CONFIMI 17 settembre 2018
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CONFIMI 17 settembre 2018 La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio.
INDICE CONFIMI WEB 17/09/2018 ilsole24ore.com 02:17 5 Lapidei (piccola industria) - Confimi - Previdenza complementare 17/09/2018 ilsole24ore.com 02:17 6 Lapidei (piccola industria) - Confimi - Minimi retributivi 16/09/2018 cityjournal.it 18:01 7 Nicola Angelini è il presidente del Gruppo giovani imprenditori di ... SCENARIO ECONOMIA 17/09/2018 Corriere della Sera - Nazionale 9 La trincea di Tria: il deficit si fermerà all'1,6 per cento 17/09/2018 Corriere L'Economia 11 RISPARMIO LA BATTAGLIA PER FAR PAGARE ZERO COMMISSIONI 17/09/2018 Corriere L'Economia 13 DOMENICHE OFF LIMITS IKEA RILANCIA CON I NEGOZI IN CENTRO 17/09/2018 Corriere L'Economia 16 Giovanni Pitruzzella cari consumatori i giganti della rete vanno regolati 17/09/2018 Corriere L'Economia 19 Corrado Passera generazione x delle banche: siamo i primi 17/09/2018 Il Sole 24 Ore 22 «I fondi si aggreghino» 17/09/2018 La Repubblica - Nazionale 23 Fisco e reddito di cittadinanza i veti incrociati di Lega e M5S 17/09/2018 La Repubblica - Affari Finanza 25 Vertice Bce, una poltrona per quattro 17/09/2018 La Repubblica - Affari Finanza 28 "Sulla partita pesa la debolezza di Macron e della Merkel" 17/09/2018 La Repubblica - Affari Finanza 30 "Per le imprese sane rischi limitati: le banche fanno la fila per finanziarle"
17/09/2018 La Stampa - Nazionale 32 "Se passa la proposta Brambilla sulle imprese allora non si cancellerà più la riforma Fornero" 17/09/2018 La Stampa - Nazionale 33 Il piano del governo: Anas sotto la Cdp e stop alla fusione con le Ferrovie 17/09/2018 Il Messaggero - Nazionale 35 Cassa integrazione per le aziende chiuse SCENARIO PMI 17/09/2018 Corriere L'Economia 38 MILANO CAPITALE Un hub per la moda: la sfida con Parigi e il rebus governo 17/09/2018 Corriere L'Economia 40 Un milione di macchine Il traguardo del noleggio 17/09/2018 Corriere L'Economia 42 Spedizioni & magazzini La crescita viene dal web 17/09/2018 La Repubblica - Affari Finanza 44 Sistema moda il Made in Italy sale sull'onda di una crescita record 17/09/2018 La Stampa - Nazionale 46 Adriana ed Enrica, pionieri dei tessuti eco-sostenibili 17/09/2018 La Stampa - Nazionale 47 La settimana che farà luce sull'industria
CONFIMI WEB 3 articoli
17/09/2018 02:17 Sito Web La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Lapidei (piccola industria) - Confimi - Previdenza complementare Lapidei (piccola industria) - Confimi - Previdenza complementare -Scadenziario Scadenza del 1 settembre 2018 Settore: Lapidei (piccola industria) - Confimi Istituto: Previdenza complementare CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 5
17/09/2018 02:17 Sito Web La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Lapidei (piccola industria) - Confimi - Minimi retributivi Lapidei (piccola industria) - Confimi - Minimi retributivi -Scadenziario Scadenza del 1 settembre 2018 Settore: Lapidei (piccola industria) - Confimi Istituto: Minimi retributivi CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 6
16/09/2018 18:01 Sito Web cityjournal.it La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Nicola Angelini è il presidente del Gruppo giovani imprenditori di ... Redazione , 16 settembre 2018 2 min read L'associazione regionale aderisce dal 2012 a Confimi industria e conta 500 imprese PERUGIA - Nicola Angelini della Angelini & Co. srl è il nuovo presidente del Gruppo regionale giovani imprenditori Confimi Apmi Umbria. L'assemblea del Gruppo regionale giovani imprenditori, che si è riunita nella sede sociale a Ponte San Giovanni, lo ha eletto all'unanimità e ha costituito anche il nuovo Consiglio direttivo. A presiedere l'incontro Mauro Orsini, presidente di Confimi Apmi Umbria. Le parole del nuovo presidente. «Ringrazio il presidente Orsini e il Consiglio direttivo - ha dichiarato il neoeletto presidente Angelini - per la fiducia che mi è stata accordata. Siamo una bella squadra e agiremo affinché ci sia un lavoro sinergico e costruttivo tra i senior dell'Associazione e il Gruppo giovani perché condividere progettualità, rispondere alle esigenze delle imprese, divulgare la cultura d'impresa significa sostenere il benessere collettivo. Sono felice che in Associazione ci sia, oggi più che mai, lo spirito costruttivo, l'energia, la vivacità e il dinamismo degli imprenditori che ne fanno parte». «Numerose - ha proseguito Angelini - saranno le iniziative che metteremo in campo come giovani, puntando su progetti che incentivino le imprese a innovarsi, a coltivare momenti di accrescimento formativo e professionale, facendo crescere la base associativa per costruire l''Associazione del domani'». «La nostra realtà - ha commentato Orsini - è fatta di piccole e medie imprese. In Umbria siamo circa 500 con alcune migliaia di dipendenti. A livello nazionale aderiamo, fin dal 2012, a Confimi industria presieduta da Paolo Agnelli che conta circa 28mila imprese, 400mila dipendenti e circa 70 miliardi di euro di fatturato integrato. Confimi industria è nata per fare una politica delle imprese diversa, in cui sono le imprese che portano in evidenza le proprie esigenze e le problematiche del territorio. A livello regionale cerchiamo di portare avanti alcuni temi fondamentali come l'accesso all'energia a basso costo, l'abbattimento del carico burocratico a cui devono far fronte le pmi che dal legislatore sono quasi sempre accomunate alle grandi imprese anche se la loro realtà è diversa, la certezza del credito, soprattutto nei confronti della Pubblica amministrazione, e la certezza dei tempi della giustizia civile. Cerchiamo anche di accompagnare le imprese in un percorso di ammodernamento verso l'industria 4.0, l'uscita dai confini nazionali, verso nuovi mercati e realtà produttive». Ad affiancare Angelini sarà il consiglio direttivo in cui sono stati eletti Daniele Bartocci (Bartocci Enzo d.i.), Lorenzo Carnevali (Adalab srl), Isabel Filippucci (Maglierie Lu-Is srl), Federico de Nigris (Super Immobiliare), Hope Merejewe Ogbonna (Stelba Servizi Coop Soc.), Paride Pacifici (Grifo Pac srl), Daniele Perini (H.Pierre srl), Nico Perini (Studio Tecnico Associato Perini e Fioravanti), Emanuele Pesciolini (Quality Living sas) e Andrea Spalloni (Tebax di Spalloni Andrea d.i.). CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 7
SCENARIO ECONOMIA 13 articoli
17/09/2018 diffusione:222170 Pag. 1 tiratura:308621 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato la manovra La trincea di Tria: il deficit si fermerà all'1,6 per cento Federico Fubini Il deficit non deve salire oltre l'1,6 per cento: questa la linea di resistenza voluta dal ministro dell'Economia, Giovanni Tria. Convinto che questo sia l'obiettivo adatto: permetterebbe di erodere un po' il deficit «strutturale», garantirebbe un calo sostanziale del debito; ma non imporrebbe una vera stretta adesso che l'economia sta chiaramente rallentando. Anche il premier Giuseppe Conte sarebbe acquisito a questa prospettiva. Ma più passano i giorni, più aumenta la sensazione che il programma di governo e i suoi garanti stiano entrando in un imbuto.a pagina 3 Qualcuno fra gli addetti ai lavori lo definisce l'avvicinarsi inesorabile di un «redde rationem». Più passano i giorni, più aumenta dentro e attorno ai palazzi romani la sensazione che il programma di governo e i suoi garanti stiano entrando in un imbuto. Da oggi ai prossimi giorni qualcosa riuscirà a sfociare verso l'esterno senza incontrare troppi ostacoli, altri elementi resteranno bloccati o verranno triturati al passaggio. Di sicuro sta formandosi un ingorgo dove qualcuna fra le promesse e le proposte anche più recenti e qualche esponente del governo o della maggioranza avrà la peggio. La legge di bilancio non è mai stata un «pasto gratis» e anche questa sta per presentare il conto: non sarà il più facile dei momenti, per i protagonisti del governo giallo-verde. Giovanni Tria, il ministro dell'Economia senza affiliazione di partito, è attestato su un obiettivo solo apparentemente semplice però chiaro: il deficit delle amministrazioni pubbliche per il 2019 può raddoppiare rispetto agli impegni ereditati dal suo predecessore Pier Carlo Padoan, ma non di più. Non ci sarà finanziamento delle misure promesse da Lega e Movimento 5 Stelle generando ulteriore debito. La nota al Def Quando nei prossimi giorni si dovranno scrivere le grandi linee di programma nella «nota di aggiornamento» al Documento di economia e finanza (Def)- da approvare entro dieci giorni - il deficit per il 2019 dovrà essere all'1,6% del prodotto lordo (Pil). Tria è convinto che questo sia l'obiettivo adatto: permetterebbe di erodere un po' il deficit «strutturale», lo zoccolo duro della posizione di bilancio, garantirebbe un calo sostanziale del debito; ma non imporrebbe una vera stretta adesso che l'economia sta chiaramente rallentando. Anche il premier Giuseppe Conte sarebbe acquisito a questa prospettiva. Se questa è la premessa, che per il ministro dell'Economia resta ferma, la messa in musica appare tutt'altro che semplice. Sta emergendo in primo luogo un problema di metodo, perché i lavori di preparazione alla nota per il Def e alla legge di bilancio sono chiaramente in ritardo. Fino a pochissimi giorni fa i leader politici di governo e maggioranza, i vice-premier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, si erano concentrati più sulle promesse ai loro elettori che sul lavoro collegiale con Tria e alcuni dei suoi collaboratori per valutare ciò che è compatibile con i vincoli sui conti e le scelte da compiere. Le riunioni più operative sono partite solo molto di recente, a pochi giorni dal momento in cui la nota al Def dovrà contenere non solo gli obiettivi ma anche la struttura di fondo della manovra di bilancio. Le istanze politiche del governo finora non hanno ascoltato coloro che conoscono le questioni tecniche di prima mano. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 9
17/09/2018 diffusione:222170 Pag. 1 tiratura:308621 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La strettoia Accanto al metodo c'è però anche un problema di merito ed è questo che sta avvicinando la costellazione del governo a una strettoia difficilissima, dalla quale sicuramente ad oggi nessuno nell'esecutivo sa bene come uscire. Per ora infatti i conti non tornano, eppure andrebbero fatti tornare entro pochi giorni. Fino a questo momento Lega e 5 Stelle si sono suddivisi il compito di reclamare trasferimenti pubblici, ciascuno per i propri elettori. Il «reddito di cittadinanza» e l'adeguamento a 780 euro delle pensioni minime per esempio determinerebbe uno spostamento netto di risorse dello Stato in prevalenza verso il Mezzogiorno, dove vive gran parte della platea dei disoccupati potenzialmente beneficiari. Allo stesso tempo, la richiesta del leader della Lega Matteo Salvini di anticipare la soglia della pensione con pieni diritti ai 62 anni di età con almeno 38 anni di contributi versati di fatto implicherebbe un trasferimento di risorse in prevalenza verso il Nord del Paese, dove vivono in proporzione più persone con questo tipo di versamenti. Le scelte e la Ue Il problema è che per realizzare queste e tutte le altre richieste - cancellazione dell'aumento Iva, tagli alle tasse per i lavoratori autonomi, sgravi sugli affitti dei commercianti, tagli alle accise sulla benzina - servono risorse che impongono scelte draconiane. I conti non danno scampo: vanificato l'aumento dell'Iva, tenuto conto dell'aumento dei tassi d'interesse sul debito e del rallentamento della ripresa, il deficit l'anno prossimo tende spontaneamente a salire verso circa il 2,2% del Pil; senza aggiungere nuove misure, servirebbero dunque risparmi o nuove entrate per 10 miliardi solo per centrare l'obiettivo che serve per rassicurare l'Unione Europea e i tanti creditori del Paese. In più però c'è da finanziare il programma di governo, i cui costi reali sono ancora ignoti ma andranno necessariamente contenuti. Tagli di spesa Ne deriva che i risparmi o le entrate supplementari per far quadrare i conti dovranno essere in totale di almeno 15 miliardi di euro. Poiché non è pensabile ottenerli solo con tagli di spesa ai ministeri, se non in minima parte, i sacrifici andrebbero distribuiti altrove: aumenti dell'Iva selettivi e smantellamento di deduzioni o detrazioni fiscali sono le scelte più ovvie, ma non è detto che piacciano ai leader del governo populista. Da alcuni di loro viene piuttosto la richiesta di colpire con nuove tasse le grandi aziende - banche o servizi di rete - perché questa sembra una scelta più funzionale ai sondaggi d'opinione. Che poi essa contribuisca a frenare ancora di più l'economia, distruggendo altri posti di lavoro e complicando ancora di più la quadratura dei conti fra qualche mese appare ai politici, per adesso, una questione del tutto secondaria. © RIPRODUZIONE RISERVATA 2019 Il ministro dell'Economia Giovanni Tria pensa che il deficit delle amministrazio-ni pubbliche nel 2019 possa raddoppiare rispetto agli impegni presi dal suo predecessore Pier Carlo Padoan. Ma non di più Nelle grandi linee di programma nella nota di aggiornamento al Def il deficit dovrà essere all'1,6% del Pil SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 10
17/09/2018 Pag. 1.2.3 N.38 - 17 settembre 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Risparmio LA GUERRA DEI COSTI RISPARMIO LA BATTAGLIA PER FAR PAGARE ZERO COMMISSIONI Ferruccio de Bortoli Gli ultimi dati Assogestioni sull'andamento del risparmio gestito segnalano in luglio un nuovo deflusso di capitali non compensato dall'aumento della raccolta. Il saldo positivo del 2018 si è così ridotto a soli 9,3 miliardi. Il patrimonio in gestione rimane superiore ai duemila miliardi. L'Italia del risparmio è uno dei mercati più ambiti al mondo. Diverse le cause di questa battuta d'arresto. Non solo legate alla nostra particolare, per usare un eufemismo, congiuntura economica e politica. Le incognite sui mercati internazionali - aumento dei tassi, protezionismo - sono numerose. Va detto però che la raccolta di Assoreti, l'associazione delle reti di consulenza finanziaria, quindi con uno spettro più ampio di investimenti, è stata in luglio positiva per 2,7 miliardi. Qualcuno crede, tra i legastellati, che l'Italia sia l'ombelico del mondo. E, nelle suggestioni sovraniste, c'è addirittura chi pensa che se fosse sola, anche al di fuori della moneta unica, starebbe meglio. Turchia, Venezuela e Argentina possono stampare tutte le banconote che vogliono. Peccato che a volte non sappiano cosa farne visto che le rifiutano anche i loro cittadini. E i capitali, intanto, scappano. Come sta peraltro succedendo da mesi anche da noi. Dunque, in questo tormentato autunno sarebbe meglio non farsi notare troppo. Perché se dovessimo ridiventare - come nel 2011 - l'ombelico dei mercati finanziari, non lo saremmo per le nostre anatomiche bellezze o altre celebrate virtù. E il primo a soffrirne sarebbe il risparmio degli italiani che già in questi mesi qualche colpo l'ha ricevuto. Proteggerlo è dunque ancora più necessario. Gestirlo al meglio, doveroso. Caricare gli investitori di costi eccessivi, ancora meno accettabile. Le ricerche Secondo l'ultimo rapporto Morning Rating Analysis sulla qualità dei gestori europei del risparmio, gli italiani sono al terz'ultimo posto. Un Paese di formiche virtuose non sarebbe in grado, con i suoi operatori, di assicurare i migliori rendimenti a costi competitivi. Interessante lo studio Consob, pubblicato all'inizio di quest'anno (autori Finiguerra, Frati, Grasso), sull'andamento dei fondi comuni aperti in Italia nel periodo 2012-16 che valgono circa un migliaio di miliardi. Il 70 per cento delle commissioni è assorbito dalla distribuzione. Troppo. I fondi italiani sarebbero più vantaggiosi e competitivi se banche e promotori finanziari trattenessero una quota minore delle commissioni pagate dai clienti, come avviene in altri Paesi. L'incidenza dei costi sul patrimonio è stabile intorno all'1,4 per cento. Ma «il peso sugli utili prodotti è cresciuto notevolmente dal 16 al 51 per cento». I costi d'ingresso sono aumentati, nel periodo osservato, dallo 0,7 all'1,5 per cento. Quelli d'uscita si sono progressivamente ridotti. In diversi fondi l'incidenza dei costi ha reso negativi i rendimenti. Le commissioni di performance sono calcolate su base annuale. Ma per prodotti lussemburghesi o irlandesi anche su base mensile. Con mercati volatili, il risparmiatore si espone a rischi che sottovaluta. Il Lussemburgo, per inciso, è tra le destinazioni preferite di chi porta all'estero i propri capitali per scongiurare il rischio di ridenominazione (leggi uscita dall'euro). I prodotti di diritto straniero venduti ai risparmiatori italiani sono largamente in maggioranza. Per i fondi aperti si arriva al 74,5 per cento. Si parla a sproposito di un ritorno dello Stato in economia, si ipotizzano sconti fiscali per gli italiani che acquistano Bot così da «italianizzare il debito», e intanto le leve del nostro risparmio finiscono in mani straniere. Nel silenzio generale. Unicredit, insieme a Intesa Sanpaolo, l'unica vera banca internazionale italiana, SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 11
17/09/2018 Pag. 1.2.3 N.38 - 17 settembre 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato cedette nel 2016 Pioneer, ovvero l'asset management, ai francesi di Amundi (Crédit Agricole). A parti invertite si sarebbero scatenate polemiche e forse, alla fine, non se ne sarebbe fatto nulla. Le fabbriche stanno altrove. Ci si accontenta di gestire piccole ma remunerative quote di mercato. Non c'è un campione nazionale. Si va in ordine sparso. Ma la concorrenza si fa - e si farà sempre di più - sulle masse gestite, sulla tecnologia. E sui costi. A maggior ragione ora che la Mifid 2 costringe tutte le società a comunicare alla clientela l'ammontare delle commissioni di varia natura. A inizio 2019 i risparmiatori riceveranno il rendiconto dei costi che sia Esma, l'autorità europea degli organi di vigilanza, sia la stessa Consob spingono perché sia chiaro e leggibile. Una cifra complessiva in euro per ogni gestione. Fidelity e Vanguard Due mosse recenti di grandi operatori internazionali sono destinate a mutare le condizioni del mercato del risparmio. Prima o poi anche in Italia. La prima è di Fidelity Investment che, da quando è gestita dalla figlia del fondatore Abigail Johnson, ha accelerato l'offerta di fondi passivi oltre che di Etf (Exchange-traded fund). Per due di questi, uno che investe su tremila aziende americane e l'altro a diversificazione internazionale, Stati Uniti esclusi, sono state azzerate le commissioni di gestione. Si tratta ovviamente di fondi basati su indici proprietari, cioè fatti in casa, che non replicano benchmark più diffusi e autorevoli, ma anche costosi per i gestori che se ne avvalgono. «Il mercato si evolve - dice Cosmo Schinaia, Country Head per l'Italia di Fidelity International che gestisce oltre 400 miliardi di dollari - e quello italiano è tra i meno sofisticati. Veniamo da quasi un decennio di rialzi su tutte le classi di investimento. Ed è necessaria una grande attenzione ai costi, per esempio con commissioni variabili, a seconda delle performance, anche nelle gestioni attive». Anche Vanguard, che con 5 mila miliardi di dollari di capitali gestiti è seconda nel mondo solo a BlackRock, è attiva da giugno sul mercato italiano. Si appresta a lanciare Etf per gli investitori istituzionali per poi quotarli in Borsa e renderli accessibili dal 2019 alla clientela più piccola. Negli Stati Uniti Vanguard offre ai privati di comprare e vendere Etf sulla propria piattaforma senza commissioni di negoziazione. Con alcuni limiti, per importi e frequenza. «Più cresce la scala delle masse gestite - è l'opinione di Simone Rosti, responsabile italiano di Vanguard - più si possono comprimere i costi. Abbiamo decuplicato in pochi anni i patrimoni in gestione ma il personale è cresciuto solo di un terzo. In Italia non si può ancora a lungo avere costi di distribuzione che in qualche caso arrivano al 5 per cento». La sfida è aperta in un mercato si spera più concorrenziale e trasparente. Peccato che, anche per una questione di dimensioni, non esista un Etf di diritto italiano. Quei pochi che c'erano sono stati venduti o addirittura chiusi. © RIPRODUZIONE RISERVATA Quanto costano i fondi comuni azionari in Europa.... ....e quanto quelli obbligazionari Fonte: Report Commissione Ue, Aprile 2018, Elaborazione AcomeA sgr * Valori mediani in percentuale 1,80 1,80 1,89 1,30 0,98 1,07 1,03 1,01 ITALIA Francia Germania Spagna Media Ue Spese correnti* Commissioni di ingresso* 2 3 2 5 3 4 2,50 5 5 3,65 2,12 2,07 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 12
17/09/2018 Pag. 1.14.15 N.38 - 17 settembre 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato negozi, il futuro (senza domeniche) INTERVISTA DOMENICHE OFF LIMITS IKEA RILANCIA CON I NEGOZI IN CENTRO Il commento di Dario Di Vico e l'intervista a Jesper Brodin , numero uno di Ikea di Maria Elena Zanini Maria Elena Zanini Scena uno: anni 50 nei boschi della Svezia il diciassettenne Ingvar Kamprad pedala per andare a consegnare alcune penne e cancelleria per l'ufficio ai clienti che le hanno ordinate. Ha da poco fondato Ikea, ma per registrare il marchio ha dovuto chiedere al padre di accompagnarlo dato che è ancora minorenne. Scena due: anno 2018. A Hyderabad, in India, dopo aver scelto online la cucina nuova, un ragazzo appena tornato dal lavoro aspetta che i mobili gli vengano consegnati e montati a casa. Tra una scena e l'altra l'evoluzione di Ikea fondata nel 1953 da Kamprad, che, partendo dai boschi svedesi, è diventata uno dei marchi più conosciuti al mondo e che tra brugole, legno (e qualche polemica) si prepara a cambiare. «Chiariamo - spiega Jesper Brodin amministratore delegato di Ikea Group - i nostri flagship store, le "scatole blu", per capirci, rimarranno. Ma entro i prossimi tre anni vogliamo trasformare la nostra società. Vediamo se ci riusciamo». Un punto di partenza sono i nuovi format che Ikea sta sperimentando da qualche anno, dai Pick-Up and Order point (dimensioni ridotte, assortimento selezionato, possibilità di acquistare online) ai pop up store (monotematici, come quello aperto a Roma dedicato esclusivamente alle cucine). Un nuovo concetto di negozio, una formula flessibile che potrebbe tornare utile in Italia quando e se le proposte di legge della maggioranza giallo- verde sui weekend di chiusura obbligatoria dovessero cambiare radicalmente il panorama commerciale delle nostre città rendendo difficile un «investimento» sulle domeniche. Per le imprese e per i consumatori. Al momento però la chiusura domenicale è ancora una proposta, per questo Brodin non si sbilancia nè vuole commentare. Ma è curioso pensare che una «soluzione» potrebbe venire da chi ha fatto delle spedizioni domenicali fuori città, la propria filosofia imprenditoriale. I nuovi modelli di negozio sono pensati per venire incontro a un pubblico urbano. Non correte il rischio di perdere la vostra identità? «L'obiettivo è rendere Ikea sempre più vicina e accessibile al cliente, anche cambiando. Del resto se non osi, se non vuoi valicare certi confini, a costo di perdere qualcosa, come fai a migliorarti? Noi vogliamo sperimentare e non possiamo certo farlo seduti alle nostre scrivanie. Dobbiamo provare». In questo modo non si riduce comunque l'offerta classica delle vostre «scatole blu»? «No, anzi. La nostra idea è che l'offerta in questo modo possa diventare ancora più ricca, più integrata e soprattutto, ci permetta di migliorare ancora di più la nostra attività online. Qualche anno consideravamo l'ecommerce complementare al negozio fisico. Ma ora abbiamo smesso di percepirlo come qualcosa di diverso. Sappiamo per esempio che una buona percentuale dei nostri clienti si informa online prima di venire negli store. Il web diventa così un'ulteriore porta di accesso al negozio fisico». Che ruolo ha l'Italia in questo progetto? «L'Italia è da sempre il nostro mercato guida, dove sperimentiamo nuovi progetti per poi esportarli in tutti gli altri Paesi. Guardiamo a grandi città come Roma e Milano come teatri per cambiare il nostro business, per migliorare i nostri servizi». SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 13
17/09/2018 Pag. 1.14.15 N.38 - 17 settembre 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato I contatti su Ikea.com, superano i due miliardi all'anno, una cifra che rende il vostro sito di arredamento il più visto al mondo. Avete mai pensato a partnership con Alibaba o Amazon per implementare ancora di più questo aspetto del vostro business? «Noi siamo molto bravi a creare comunità attorno al brand. Piattaforme come Amazon sono eccellenti nel creare ricerca. Sono società "transactional", fatte semplicemente per vendere oggetti. La nostra missione da sempre è migliorare la vita quotidiana delle persone. C'è un gap tra noi incolmabile. E non è un'opzione abbandonare questa filosofia: le nostre energie morirebbero anche se le vendite potrebbero senza dubbio migliorare. Non siamo contrari a prescindere a partnership con altre società. Lo scorso anno abbiamo acquisito la startup TaskRabbit, la piattaforma che mette in contatto con freelance per lavori che vanno dal montaggio degli armadi al trasloco completo. Anche qui con l'obiettivo di venire incontro alle esigenze dei nostri clienti». Come sono cambiate negli ultimi anni? «Abbiamo individuato alcuni trend fondamentali che consideriamo i più interessanti per noi. Innanzi tutto la trasformazione urbana: la popolazione nel mondo si sta spostando sempre più verso le grandi città. Se nel 2015 solo il 30% viveva in grandi centri, nel 2030 il valore raddoppierà. Con tutto quello che ne consegue: mobilità ridotta, case più piccole. Elementi che ci pongono sfide interessanti. Sempre meno persone guidano automobili? Spostiamo i negozi dalla periferia al centro. Le case diventano più piccole? Creiamo mobili multifunzionali. Stiamo anche studiando un sistema di leasing per i mobili. Non abbiamo ancora la ricetta vincente, ma stiamo testando un sistema di affitto che comporti una restituzione dei mobili usati nel corso del tempo. Qui può venirci in aiuto la tecnologia (che sta cambiando la società a velocità esponenziale). Ma sempre nel rispetto dell'ambiente. Vogliamo diventare una compagnia 100% sostenibile, riuscendo a soddisfare i bisogni dei clienti in una logica di economia circolare e sostenibile». Da sempre avete fatto del welfare aziendale il vostro cavallo di battaglia, ma recentemente, alcuni episodi hanno messo in dubbio il vostro sistema, a partire dal licenziamento della lavoratrice dell'Ikea di Milano, accusata di non aver rispettato i nuovi turni di lavoro. La giustizia ha dato ragione a voi, ma il rapporto tra Ikea e i lavoratori sta cambiando? «Siamo una grande comunità, fatta da oltre 150mila persone. Ognuno di noi è una piccola parte di un sistema che coinvolge ogni giorno oltre un milione di persone che interagiscono con Ikea, dai clienti ai fornitori. Non sarà mai un sistema perfetto, senza problemi. La cosa fondamentale per noi però è la trasparenza, sia nei nostri valori, sia nel dare il buon esempio. È capitato di avere un problema, abbiamo affrontato il dibattito che ne è scaturito, non abbiamo nascosto la nostra posizione, anzi. Questo episodio è servito a far capire come ci muoviamo in questi casi. L'episodio specifico non ha cambiato e non cambierà il rapporto con i lavoratori. È innegabile che il mondo del lavoro stia cambiando e tra qualche decennio l'intelligenza artificiale stravolgerà i canoni consueti. Siamo pronti a cambiare se sarà necessario, ma non cambieranno i nostri valori. E forse questo è il motivo per cui Ikea, pur essendo un marchio internazionale, non viene percepito come "cattivo" da movimenti no global, come invece succede ad altri brand percepiti come consumistici». A proposito di «globale» avete recentemente aperto il vostro primo negozio in India. «Con una popolazione di 1,3 miliardi di persone l'India è il mercato più ad alto potenziale per noi. Per il momento contiamo un solo negozio, ma i piani sono di espanderci. Anche in Cina possiamo dire di essere soltanto all'inizio, vista la rapidità di espansione al momento. La strategia di penetrazione è la stessa per tutti i mercati. Le esigenze dei clienti non cambiano SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 14
17/09/2018 Pag. 1.14.15 N.38 - 17 settembre 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato molto da un Paese all'altro: vogliono servizi, comodità, vicinanza. Per questo da un punto all'altro del mondo ci confrontiamo quotidianamente su ciò che accade in ogni singolo mercato». © RIPRODUZIONE RISERVATA Jesper Brodin ceo di Ikea1943 1953 1963 1989 2018 Ikea viene fondata da Ingvar Kamprad: è un negozio di casalinghi per corrispondenza Ad Almhult, nel sud della Svezia, è aperto il primo showroom. I mobili sono già nell'assortimento Il successo del negozio di Oslo precede l'apertura, due anni, dopo nella capitale svedese Dopo Svizzera, Usa, Canada, Ikea sbarca in Italia, a Cinisello Balsamo. Nel 1998 la conquista della Cina Muore il fondatore Kamprad. L'azienda sperimenta nuovi format e dà spazio all'ecommerce I conti Il 2017 si è chiuso per Ikea con un incremento delle vendite, a livello mondiale, del 3,5% a 34,1 miliardi di euro, mentre i ricavi hanno raggiunto i 36,3 miliardi (+1,7%). II gruppo conta a oggi 355 negozi in 29 Paesi in tutto il mondo che hanno accolto circa 817 milioni di visitatori nel corso dell'anno con una crescita del 4% dai 783 milioni del 2016. A incrementare la cifra, ha contribuito l'aperture di 13 nuovi store, tra pick up and order, pop-up store e punti di ritiro. I dipendenti di Ikea sono in tutto 149 mila, di cui 6.500 in Italia. E nel mercato tricolore lo scorso anno il gruppo svedese ha registrato vendite per 1,7 miliardi di euro raggiungendo una quota di mercato del 7,5%. Più nel dettaglio, le vendite legate al comparto «food» in Italia hanno raggiunto i 102,5 milioni di euro. Nel 2017 sono stati oltre 44 milioni i visitatori in Italia e 105 milioni le visite al sito. Jesper Brodin, già direttore degli approvvigionamenti del gruppo svedese dell'arredamento, è il ceo di Ikea da settembre 2017, al posto di Petr Angefjall, 47 anni. Brodin è nato a Goteborg ha 50 anni e lavora in Ikea dal 1995 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 15
17/09/2018 Pag. 1.8 N.38 - 17 settembre 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Economia & Politica regole e mercati INTERVISTA Giovanni Pitruzzella cari consumatori i giganti della rete vanno regolati A pochi giorni dalla fine del mandato il presidente dell'Antitrust traccia il bilancio: sanzioni alle aziende scorrette per quasi un miliardo e mezzo, un record. Ma la legge sulla concorrenza va cambiata: «Così serve a poco». E le gare vanno fatte Sul copyright digitale serve equilibrio, ma chi produce i contenuti come giornali e tivù va remunerato Alessandra Puato Il professor Giovanni Pitruzzella, 58 anni, ha attraversato cinque governi e la medaglia bipartisan l'ha conquistata sul campo. Siciliano ed europeista convinto - in ottobre sarà avvocato generale della Corte di giustizia Ue, «Vado in Lussemburgo a occuparmi di diritto europeo» - conclude il 30 settembre il mandato settennale da presidente Antitrust con una soddisfazione: oltre un miliardo e mezzo di euro di multe a tutela del mercato e dei consumatori. È un terzo delle sanzioni totali uscite dall'Authority, 4,2 miliardi in 27 anni mentre Pitruzzella, dal 2011 al 2018, ha toccato gli 1,613 miliardi: 1,371 miliardi le sanzioni alla concorrenza e 241,7 milioni quelle a tutela del consumatore. L'altro strumento dissuasivo, le decisioni con impegni (delle imprese a comportarsi meglio, misura più blanda) sono scese al 27% dal 49% del precedente settennato. «Basta con i cliché, il mercato in Italia si è aperto», dice dunque Pitruzzella. E rivendica il ruolo dell'Antitrust italiana nell'Ue: «Un modello di cooperazione per l'Europa di domani». Bilancio di questi sette anni? «Positivo. Abbiamo usato appieno il potere delle multe e rilanciato la funzione delle sanzioni. È deterrente. Chi viola la concorrenza o nuoce ai consumatori deve sapere che va incontro a multe pesanti. Questo deve scoraggiare i comportamenti illeciti delle imprese. Il mercato è fonte di benessere generale se ci sono regole rispettate da tutti. E l'Autorità le fa rispettare». Ma il Tar spesso ha poi bocciato i vostri provvedimenti. «Meno di quanto si pensi. Le nostre decisioni sono sempre state oggetto di ricorso, naturalmente, davanti al Tar. Le cui pronunce però nel 2012-2018 sono state favorevoli all'Antitrust nel 78% del casi, di cui il 15% con riduzione delle sanzioni e conferma della decisioni. E anche i ricorsi successivi al Consiglio di Stato sono stati favorevoli al 70%». Il 13 settembre la Corte di giustizia Ue vi ha riconosciuto competenza sulle pratiche commerciali scorrette degli operatori telefonici, una vittoria sull'Agcom. Contento? «Sì. La Corte di giustizia non solo ci dà ragione, ma permette così una più efficace protezione dei cittadini. L'Antitrust aveva sanzionato Wind e Vodafone nel 2012 per forniture non richieste con le carte sim. Le due aziende avevano fatto ricorso, negando la nostra competenza. Con questa sentenza si supera un rischio: l'incertezza sulle regole, che ostacola la crescita». Cosa l'ha soddisfatta di questi anni? «Mi è piaciuto rappresentare in Europa una struttura italiana di eccellenza. Quello che facciamo viene seguito con attenzione. Come nel caso di Aspen, che aveva aumentato i prezzi degli antitumorali fino al 1.500%». La multaste per 5,2 milioni. «Sì, e dopo che ha seguito la nostra decisione i prezzi dei farmaci sono stati ridotti di oltre l'80%. Ma ricordo anche la sanzione a Novartis e Roche sul caso Avastin-Lucentis, i farmaci per gli occhi. La Corte di giustizia europea ci ha dato ragione, i prezzi si sono allineati al prodotto meno caro. Altro caso è Facebook, lo sanzionammo dopo la fusione con WhatsApp SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 16
17/09/2018 Pag. 1.8 N.38 - 17 settembre 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato perché aveva preso i dati degli utenti». E che dispiaceri ha avuto, invece? «Nel 2012 il Parlamento ha alzato la soglia delle concentrazioni sottoposte al nostro controllo. Così ci sfuggono i mercati locali, spero che si cambi. Inoltre nel Paese va diffusa ancora una cultura della concorrenza per un mercato efficiente, ma anche equo. Per me l'Antitrust è lo strumento per favorire l'innovazione e ridurre le diseguaglianze». Il mercato italiano è aperto o no? «Più che in passato, grazie ai comportamenti degli imprenditori e a nuove regole. Certo, restano sacche opache, lobby che ottengono privilegi». Eppure la legge sulla concorrenza finalmente c'è, dal 2017. L'Antitrust la chiedeva da anni. Troppo debole? «Così com'è serve a poco. Arriva dopo un iter tormentato e lunghissimo. Questo fa capire che va ripensata: invece di una legge omnibus annuale, che rischia di rafforzare il potere delle lobby che si alleano, meglio provvedimenti singoli con durata più estesa». Con la nuova norma Ue sul copyright, big come Google devono pagare se prendono i contenuti di altri. Questo tutela i consumatori o no? «Non entro nel merito, ma auspico che si raggiunga un equilibrio. Di certo le piattaforme che servono a diffondere i contenuti e i produttori di contenuti, come giornali e tv, vanno adeguatamente remunerati. Altrimenti c'è impoverimento per tutti. In generale, il digitale è il cuore della nostra economia, ha accresciuto il nostro benessere. Bisogna colpire i comportamenti dei giganti della Rete che possono danneggiare i consumatori». Ma il divario digitale resta. «Sull'accesso alla banda ultralarga siamo intervenuti molto, abbiamo sanzionato Telecom che usava la posizione dominante ostacolando l'accesso ai concorrenti sulla sua rete. Il settore si è aperto, è nata Open Fiber». Sui portali web capita ancora che siano applicati sovrapprezzi a chi paga con carta di credito... «Siamo intervenuti molto e il fenomeno si è ridotto. Così come i prezzi dei biglietti aerei sono diventati più trasparenti dopo le sanzioni a molte compagnie». I negozi chiusi la domenica sono un passo indietro? «Anche qui non entro nel merito, va trovato un punto di caduta. La concorrenza va unita alle esigenze sociali». Le società autostradali hanno avuto la proroga delle concessioni senza gare. È d'accordo? «Quando ci fu da decidere per la proroga, l'Antitrust si espresse negativamente. In linea con l'Europa. L'ho sempre detto, prima della tragedia di Genova. Le concessioni devono avere durata limitata o il concessionario si adagia. E ci devono essere controlli pubblici costanti. Il pubblico - le amministrazioni, i ministeri - non deve lavarsene le mani. Un mercato efficiente richiede uno Stato autorevole». L'Europa è fragile. C'è ancora una difesa comune del consumatore? «Va rafforzata la cooperazione e noi l'abbiamo fatto, se si lavora con serietà e coesione la voce italiana viene ascoltata. Il futuro non è nella separazione ma nella collaborazione tra le autorità nazionali e la Commissione Ue. L'Antitrust è un modello per l'Europa futura. Più cooperazione e meno gerarchia». © RIPRODUZIONE RISERVATA Chi è Giovanni Pitruzzella, 58 anni. Nato a Palermo, professore ordinario di Diritto costituzionale all'Università di Palermo, presiede l'Autorità garante della concorrenza e del mercato SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 17
17/09/2018 Pag. 1.8 N.38 - 17 settembre 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato (Antitrust) dal 29 novembre 2011. Lascerà l'incarico in anticipo il 30 settembre, i presidenti di Camera e Senato stanno lavorando alla nomina del successore. Con lui l'Antitrust ha fra l'altro bloccato gli aumenti dell'8% delle società telefoniche (con le fatturazioni a 28 giorni), multato di 4,5 milioni la PopVicenza per i vincoli sui mutui e le Poste di 23 milioni per posizione dominante SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 18
17/09/2018 Pag. 17 N.38 - 17 settembre 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Finanza credito INTERVISTA Corrado Passera generazione x delle banche: siamo i primi Una nuova leva di istituti specializzati è pronta per gestire servizi finanziari spesso poco serviti dai canali tradizionali: Illimity, a breve quotata, spiega il fondatore, sarà tutor delle imprese da far crescere. Si parte a ottobre Le piccole banche al passo I 4-5 player medi possono dar vita ad un terzo forte gruppo, o anche al secondo Il settore si sta rivoluzionando, e chi nasce "rivoluzionato", quindi digitale e senza vincoli, avrà grandi vantaggi Stefano Righi Lo definisce «nuovo paradigma». Sarà il modo di fare banca basato su piattaforme digitali e competenze verticali. Una rivoluzione che, secondo Corrado Passera, cambierà la geografia del mondo bancario, rendendo insostenibile a molti il tradizionale modello di business. Un paradigma su cui la sua nuova creatura, Illimity, è stata profilata. Ma ha senso oggi in Italia fondare una banca? «Sì, moltissimo, per due ragioni. La prima è che il settore bancario si sta rivoluzionando, e chi nasce "rivoluzionato", quindi completamente digitale e senza vincoli, avrà grandi vantaggi sia in termini di efficacia che di efficienza. Il settore si sta rivoluzionando in forza a quattro spinte: le tecnologie digitali, le nuove regole, i nuovi entranti e la politica monetaria. Questi quattro fattori stanno rendendo insostenibile il modello di business bancario tradizionale, soprattutto per le banche piccole e medie che rimangono generaliste. Noi puntiamo, per esempio, ad avere il 30% di cost-income, il rapporto tra costi e ricavi, quando le banche tradizionali si collocano spesso tra il 60 e il 90%. Questo è un vantaggio competitivo importante, ma per raggiungerlo bisogna applicare paradigmi gestionali del tutto inediti». Il secondo motivo? «C'è grande spazio in alcuni settori dei servizi finanziari che oggi sono poco serviti dalle banche tradizionali. Imprese a basso rating, in difficoltà (Utp) o in aperta crisi (Npl), sono categorie di investimento che molte banche tendono ad espellere. È un mondo enorme - 6- 700 miliardi di stock almeno - nel quale individuare opportunità di intervento». Ma non potrebbero intervenire le banche esistenti? «Certamente, ma bisogna volerlo fare, avere le competenze e le tecnologie per farlo. Alcune lo faranno, molte lasceranno il campo libero. Nel nuovo mondo bancario che si sta configurando mi aspetto che perdano peso gli operatori piccoli e quelli generalisti, che abbiano peso crescente i grandi operatori - sia bancari sia di altri settori - che sapranno sfruttare economie di scala o di scopo investendo molto in tecnologia. Tra i nuovi vincitori, mi aspetto alcune nuove banche specializzate che partono da zero con paradigmi di gestione molto innovativi, come Illimity». Sta delineando un quadro preciso delle banche italiane. «Ne sono convinto. I piccoli e medi istituti generalisti sono destinati a segnare il passo. Unica alternativa è fondersi e avviare rapidamente un percorso di profondo cambiamento. Ma non sarebbe comunque semplice. Resisteranno le grandi, che oggi sono due. Mentre quei quattro- cinque player medi possono, mettendosi assieme in varie geometrie, dar vita ad un terzo forte gruppo, o diventare anche il secondo. Questo universo, che va ridisegnandosi, dovrà poi fare i conti con i nuovi player, da Amazon che farà credito ai suoi clienti, ai vari PayPal per i sistemi di pagamento, alle nuove banche specializzate». Sarà l'era delle banche di nicchia? «Sì, anche se preferisco definirle specializzate: nicchia fa pensare a piccole dimensioni, mentre in alcuni casi, come il nostro, parliamo di segmenti di mercato molto grandi. Queste SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 19
17/09/2018 Pag. 17 N.38 - 17 settembre 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato nuove banche specializzate, per avere successo, dovranno avere modelli gestionali ottimizzati. Digitale, perché le tecniche analitiche e di intelligenza artificiale saranno comunque necessarie. Ma digitale di per sé non garantisce il successo. Nel nostro caso è fondamentale portare alle pmi competenze ed esperienze industriali e settoriali. Il nostro modello di relazione basato sui tutor - dirigenti d'impresa con lunga esperienza - servirà proprio a questo». Torniamo all'8 agosto. In un momento di tensione sui mercati, lei ha ottenuto il 91,7% di conferme dai soci. «Aver avuto in piena estate e in un contesto perlomeno incerto, una fortissima maggioranza dei nostri azionisti che hanno confermato il loro appoggio al progetto è stato un bel segno, sicuramente per il nostro Paese, perché dimostra che c'è interesse per progetti italiani se vengono percepiti come seri, forti, ben pensati. Ed è poi stata una soddisfazione personale perché questa start-up che nasce in un settore difficile, in un momento difficile, in un Paese difficile, con grande ma ragionata ambizione, ha meritato la fiducia dei suoi azionisti». Prossime tappe? «Cominciare a fare credito e investimenti. A breve fonderemo Banca Interprovinciale, che abbiamo acquistato, con Spaxs, che ha dentro i capitali raccolti, cambieremo nome e ci quoteremo al primo mercato, l'Mta, entro la fine del 2018. Una bella idea imprenditoriale, in meno di un anno, diventa una nuova banca operativa e quotata in Borsa». Perché Illimity? Già Spaxs non è immediato... «Illimity perché nello spirito di questa banca c'è l'impegno ad andare oltre i limiti tipici dell'agire bancario. Trovare un nome che esprimesse questo spirito e fosse libero da vincoli è stato dannatamente difficile: abbiamo dovuto inventare una parola che non esisteva. Quanto a Spaxs, sono l'unico responsabile e lo rifarei. Ho scelto questo nome perché, come per l'iPhone, la X segnala il modello "extra" e ha funzionato: nel settore se lo ricordano in molti». Gioca con le parole? «Un po' sì, ma c'è dietro una riflessione profonda. Come pure dietro il nostro claim "banca oltre la forma", che vuole spiegare il nostro impegno a superare quei vincoli e quelle regole non necessarie che spesso si riflettono negativamente sui clienti delle banche più tradizionali». Concentrerete gli impieghi su particolari imprese? «Vogliamo concentrarci nella parte un po' più complessa del mondo del credito che è quello delle aziende che hanno potenziale, ma che sono ancora deboli, a basso rating, o che sono in difficoltà e già considerate Utp, Unlikely to pay. Inoltre stiamo costruendo una struttura interna per acquisire e gestire gli Npl, cioè le posizioni in sofferenza, ma dove esiste ancora del valore recuperabile». Che banca sarà Illimity per le famiglie? «Una banca diretta dedicata a loro. Depositi a condizioni molto competitive. Conti correnti e sistemi di pagamento che facilitano la gestione famigliare. Mutui, prestiti e assicurazioni attraverso partnership con i migliori operatori di mercato. Saremo una piattaforma aperta per poter essere sempre competitivi in tutto, anche dove non saremo noi a produrre al nostro interno i prodotti e i servizi». Quali sono gli obiettivi di questa avventura? «Per Illimity, che è la prima delle nuove banche di nuovo paradigma, abbiamo fissato due step, al 2020 e al 2023. Ci proponiamo attivi prima a 4 miliardi e poi a 8 miliardi. L'obiettivo di utile netto nel 2020 sarà di una cinquantina di milioni per poi puntare a 300 milioni. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 20
17/09/2018 Pag. 17 N.38 - 17 settembre 2018 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Contiamo di arrivare a un Roe del 25%, mentre il ratio di capitale ( Ct1 ) dovrà collocarsi stabilmente sopra il 15 per cento». La sede dove sarà? «Il quartiere generale di Illimity sarà a Milano, in via Ferrante Aporti, nella ex sede di Amazon, vicino alla stazione Centrale. Dal primo ottobre saremo lì». © RIPRODUZIONE RISERVATA I numeri 8 miliardi l'obiettivo per gli attivi di Illimity fissato per il 2023 (4 miliardi al 2020) 50 milioni L'obiettivo di utile netto al 2020 della nuova banca, con successivo step a 300 milioni 30 per cento l'obiettivo di cost-income per Illimity contro una media di sistema che arriva al 70-80% Foto: Rosalba Casiraghi, Milano 1950, è presidente di Illimity. Un passato in Miraquota, è stata consigliere di Intesa Sanpaolo SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 21
17/09/2018 diffusione:87661 Pag. 1 tiratura:129277 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato INTERVISTA / Mario Padula «I fondi si aggreghino» Davide Colombo Se per le pensioni obbligatorie le novità sono al momento solo annunciate, per la previdenza complementare il 2019 sarà sicuramente un anno di svolta. Come lo è stato il 2005, quando la legge 252 gettò le basi dell'attuale sistema dei fondi pensione. Entro gennaio dovrà essere recepita la direttiva Ue 2016/2341 (la famosa Iorp 2) che aggiorna radicalmente la governance dei fondi. Il decreto legislativo di recepimento è al vaglio del Parlamento e, dopo il via libera, la Commissione di vigilanza dovrà adottare la regolamentazione secondaria. I fondi dovranno dotarsi di nuove funzioni come il risk management, la revisione e la funzione attuariale. Saranno rafforzati i presìdi sulle scelte di investimento e ridefinite le politiche di comunicazione agli iscritti e di remunerazione dei soggetti coinvolti nella gestione. Un salto quantico, insomma. Per affrontarlo i fondi, spiega il presidente della Covip, Mario Padula, dovranno ripensare profondamente ai loro assetti. «Covip negli ultimi anni ha segnalato a più riprese l'opportunità di aggregazioni tra fondi più piccoli - spiega Padula - ora però siamo a una svolta. Iorp 2 trasforma un'opportunità in una necessità.». Il riferimento è sicuramente a 259 fondi preesistenti (57 gestiscono un patrimonio inferiore al milione di euro) ma l'invito, accorato, vale per tutto il sistema, ovvero le 415 forme complementari. Con Iorp 2 alcune delle nuove funzioni di governance potrebbero essere adottate in forma consortile. Bisognerà aspettare la regolamentazione Covip per capirlo e per capire anche, in termini di costi, quanto le nuove funzioni di governance peseranno su un sistema che oggi gestisce 155 miliardi di patrimonio e spende circa 140 milioni l'anno di attività amministrativa. Covip sarà molto impegnata nei prossimi mesi in un'ampia attività di normazione secondaria ma avrà anche nuovi poteri di vigilanza, che sarà estesa a diverse nuove funzioni: dalle informazioni che i fondi dovranno fornire agli iscritti fino ai fornitori di servizi esterni ai fondi. E per Covip, ancora, si allargano le prerogative sanzionatorie, oltre ai componenti degli organi di amministrazione e controllo e ai responsabili dei fondi pensione, anche ai direttori generali e ai responsabile delle funzioni fondamentali. « È cruciale un'integrazione delle risorse su cui l'Autorità può contare. Per assolvere alle nuove funzioni, servirebbero 1,5-2 milioni in più sui 12 milioni di entrate attuali e 15-20 nuove risorse umane rispetto alle 80 attuali» dice il presidente. Covip, vale ricordarlo, vigila anche sugli investimenti delle 20 Casse dei professionisti (1,6 milioni di iscritti e un patrimonio gestito che è passato da 37 miliardi del 2007 ai 78,7 dell'anno scorso) senza che queste, a differenza dei fondi, paghino un euro di contributo. «Iorp 2 non si applica alle Casse - conclude sul punto Padula - il che crea un divario regolamentare ancora più ampio con i fondi. Una divario che spetta al legislatore colmare anche tenendo conto della natura obbligatoria dei contributi previdenziali che le casse gestiscono». © RIPRODUZIONE RISERVATA Davide Colombo Foto: MARIO PADULA Il presidente Covip analizza l'impatto della direttiva Iorp2 sulla previdenza complementare SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 22
17/09/2018 diffusione:171388 Pag. 1.6 tiratura:255996 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La manovra Fisco e reddito di cittadinanza i veti incrociati di Lega e M5S Di Maio: la at tax non per i ricchi ma per la classe media. E Salvini: l'assegno che vogliono i 5 Stelle non serva per stare a casa a guardare la tv. Polemica sulla sanatoria portata fino a un milione di euro Brambilla, tecnico vicino al Carroccio, contro le pensioni minime a 780 euro: così si spacca il sistema rosaria amato Roma Ok alla flat tax «ma non deve aiutare i ricchi». Sì al reddito di cittadinanza purché «non sia fatto per stare a casa e guardare la televisione». Veti incrociati tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini in vista del vertice di governo, fissato per oggi. Il vicepremier grillino mette i suoi paletti alla misura fiscale che la Lega vorrebbe, ma che di fatto ha già rimandato al 2020. Quello leghista dà corpo alla diffidenza dell'elettorato del Nord sul rischio di un'ondata di assistenzialismo targata 5 Stelle. Sul tavolo c'è la legge di bilancio: tra i 28 e i 30 miliardi di euro - vorrebbero i due partiti di governo - da distribuire per gli interventi che ciascuno di loro promuove. Senza dimenticare le clausole Iva da disinnescare, e soprattutto l'impegno a non spingere il deficit oltre l'1,6 per cento. La giornata si apre con un lungo messaggio sul reddito di cittadinanza postato sul Blog delle Stelle, che definisce l'intervento «presupposto indispensabile della prossima Legge di Bilancio e condizione essenziale per le nostre politiche attive del lavoro». Una replica indiretta ai messaggi diffusi dalla Lega il giorno precedente: Salvini e il sottosegretario al Mef Massimo Bitonci avevano ampiamente descritto il piano di politica economica del Carroccio, a partire dalla pace fiscale con tetto un milione di euro fino a quella che chiamano flat tax ma che per ora è limitata alle partite Iva e rinviata per le persone fisiche. E quindi il Movimento Cinque Stelle si è affrettato a ribadire che le priorità non sono certo solo quelle della Lega. Ma già nel primo pomeriggio la Lega si mette di traverso sulle proposte pentastellate. Alberto Brambilla, l'economista che ha messo a punto il programma del Carroccio sulle pensioni, interviene dicendosi «totalmente contrario» al progetto di portare da gennaio le pensioni minime a 780 euro, annunciato dal viceministro M5S all'Economia, Laura Castelli. Alla «pensione di cittadinanza», aveva spiegato Castelli, nel 2019 sarebbe seguito, uan volta completata la riforma dei centri per l'impiego, anche il reddito di cittadinanza. «Se io fossi un artigiano, un commerciante, un imprenditore, obietta Brambilla - non verserei più, tanto se poi devo prendere 780 euro. Spacchiamo il sistema». Poco dopo entrano in campo Di Maio, a Nola per un convegno, e Salvini, a Domenica Live. «La prima misura, insieme alle infrastrutture, è sicuramente il reddito di cittadinanza», ribadisce Di Maio, affrettandosi a precisare che «non significa dare i soldi alle persone per stare sul divano». Quanto alla flat tax, via libera solo se aiuterà «la classe media e le persone più disagiate». Salvini invece ribadisce: «Il mio obiettivo è che le partite Iva, quelle piccole, quelle che fatturano 65, 70, 80mila euro, già dal prossimo anno paghino il 15% di tasse e non di più». E precisa che la Lega voterà il reddito di cittadinanza purché «non sia un reddito fatto per stare a casa e guardare la televisione». Sembra uno scontro, anche se i due contendenti assicurano che non è così. «Con il premier Conte e con il ministro Di Maio mi messaggio tutti i giorni, sono persone ragionevoli con le quali andremo avanti cinque anni per cambiare il Paese», dice Salvini. «Non ci sono tensioni sulla manovra, ma un dibattito franco nel governo sul fatto che o si mantengono le promesse o è inutile che ci stiamo», sostiene Di Maio, attingendo al linguaggio della vecchia politica. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 23
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