CONFIMI 17 settembre 2018
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INDICE CONFIMI WEB 17/09/2018 ilsole24ore.com 02:17 5 Lapidei (piccola industria) - Confimi - Previdenza complementare 17/09/2018 ilsole24ore.com 02:17 6 Lapidei (piccola industria) - Confimi - Minimi retributivi 16/09/2018 cityjournal.it 18:01 7 Nicola Angelini è il presidente del Gruppo giovani imprenditori di ... SCENARIO ECONOMIA 17/09/2018 Corriere della Sera - Nazionale 9 La trincea di Tria: il deficit si fermerà all'1,6 per cento 17/09/2018 Corriere L'Economia 11 RISPARMIO LA BATTAGLIA PER FAR PAGARE ZERO COMMISSIONI 17/09/2018 Corriere L'Economia 13 DOMENICHE OFF LIMITS IKEA RILANCIA CON I NEGOZI IN CENTRO 17/09/2018 Corriere L'Economia 16 Giovanni Pitruzzella cari consumatori i giganti della rete vanno regolati 17/09/2018 Corriere L'Economia 19 Corrado Passera generazione x delle banche: siamo i primi 17/09/2018 Il Sole 24 Ore 22 «I fondi si aggreghino» 17/09/2018 La Repubblica - Nazionale 23 Fisco e reddito di cittadinanza i veti incrociati di Lega e M5S 17/09/2018 La Repubblica - Affari Finanza 25 Vertice Bce, una poltrona per quattro 17/09/2018 La Repubblica - Affari Finanza 28 "Sulla partita pesa la debolezza di Macron e della Merkel" 17/09/2018 La Repubblica - Affari Finanza 30 "Per le imprese sane rischi limitati: le banche fanno la fila per finanziarle"
17/09/2018 La Stampa - Nazionale 32 "Se passa la proposta Brambilla sulle imprese allora non si cancellerà più la riforma Fornero" 17/09/2018 La Stampa - Nazionale 33 Il piano del governo: Anas sotto la Cdp e stop alla fusione con le Ferrovie 17/09/2018 Il Messaggero - Nazionale 35 Cassa integrazione per le aziende chiuse SCENARIO PMI 17/09/2018 Corriere L'Economia 38 MILANO CAPITALE Un hub per la moda: la sfida con Parigi e il rebus governo 17/09/2018 Corriere L'Economia 40 Un milione di macchine Il traguardo del noleggio 17/09/2018 Corriere L'Economia 42 Spedizioni & magazzini La crescita viene dal web 17/09/2018 La Repubblica - Affari Finanza 44 Sistema moda il Made in Italy sale sull'onda di una crescita record 17/09/2018 La Stampa - Nazionale 46 Adriana ed Enrica, pionieri dei tessuti eco-sostenibili 17/09/2018 La Stampa - Nazionale 47 La settimana che farà luce sull'industria
CONFIMI WEB 3 articoli
17/09/2018 02:17
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Lapidei (piccola industria) - Confimi - Previdenza complementare
Lapidei (piccola industria) - Confimi - Previdenza complementare -Scadenziario Scadenza del
1 settembre 2018 Settore: Lapidei (piccola industria) - Confimi Istituto: Previdenza
complementare
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 517/09/2018 02:17
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Lapidei (piccola industria) - Confimi - Minimi retributivi
Lapidei (piccola industria) - Confimi - Minimi retributivi -Scadenziario Scadenza del 1
settembre 2018 Settore: Lapidei (piccola industria) - Confimi Istituto: Minimi retributivi
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 616/09/2018 18:01
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Nicola Angelini è il presidente del Gruppo giovani imprenditori di ...
Redazione , 16 settembre 2018 2 min read L'associazione regionale aderisce dal 2012 a
Confimi industria e conta 500 imprese PERUGIA - Nicola Angelini della Angelini & Co. srl è il
nuovo presidente del Gruppo regionale giovani imprenditori Confimi Apmi Umbria.
L'assemblea del Gruppo regionale giovani imprenditori, che si è riunita nella sede sociale a
Ponte San Giovanni, lo ha eletto all'unanimità e ha costituito anche il nuovo Consiglio
direttivo. A presiedere l'incontro Mauro Orsini, presidente di Confimi Apmi Umbria. Le parole
del nuovo presidente. «Ringrazio il presidente Orsini e il Consiglio direttivo - ha dichiarato il
neoeletto presidente Angelini - per la fiducia che mi è stata accordata. Siamo una bella
squadra e agiremo affinché ci sia un lavoro sinergico e costruttivo tra i senior
dell'Associazione e il Gruppo giovani perché condividere progettualità, rispondere alle
esigenze delle imprese, divulgare la cultura d'impresa significa sostenere il benessere
collettivo. Sono felice che in Associazione ci sia, oggi più che mai, lo spirito costruttivo,
l'energia, la vivacità e il dinamismo degli imprenditori che ne fanno parte». «Numerose - ha
proseguito Angelini - saranno le iniziative che metteremo in campo come giovani, puntando
su progetti che incentivino le imprese a innovarsi, a coltivare momenti di accrescimento
formativo e professionale, facendo crescere la base associativa per costruire l''Associazione
del domani'». «La nostra realtà - ha commentato Orsini - è fatta di piccole e medie imprese.
In Umbria siamo circa 500 con alcune migliaia di dipendenti. A livello nazionale aderiamo, fin
dal 2012, a Confimi industria presieduta da Paolo Agnelli che conta circa 28mila imprese,
400mila dipendenti e circa 70 miliardi di euro di fatturato integrato. Confimi industria è nata
per fare una politica delle imprese diversa, in cui sono le imprese che portano in evidenza le
proprie esigenze e le problematiche del territorio. A livello regionale cerchiamo di portare
avanti alcuni temi fondamentali come l'accesso all'energia a basso costo, l'abbattimento del
carico burocratico a cui devono far fronte le pmi che dal legislatore sono quasi sempre
accomunate alle grandi imprese anche se la loro realtà è diversa, la certezza del credito,
soprattutto nei confronti della Pubblica amministrazione, e la certezza dei tempi della giustizia
civile. Cerchiamo anche di accompagnare le imprese in un percorso di ammodernamento
verso l'industria 4.0, l'uscita dai confini nazionali, verso nuovi mercati e realtà produttive». Ad
affiancare Angelini sarà il consiglio direttivo in cui sono stati eletti Daniele Bartocci (Bartocci
Enzo d.i.), Lorenzo Carnevali (Adalab srl), Isabel Filippucci (Maglierie Lu-Is srl), Federico de
Nigris (Super Immobiliare), Hope Merejewe Ogbonna (Stelba Servizi Coop Soc.), Paride
Pacifici (Grifo Pac srl), Daniele Perini (H.Pierre srl), Nico Perini (Studio Tecnico Associato Perini
e Fioravanti), Emanuele Pesciolini (Quality Living sas) e Andrea Spalloni (Tebax di Spalloni
Andrea d.i.).
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 7SCENARIO ECONOMIA 13 articoli
17/09/2018 diffusione:222170
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la manovra
La trincea di Tria: il deficit si fermerà all'1,6 per cento
Federico Fubini
Il deficit non deve salire oltre l'1,6 per cento: questa la linea di resistenza voluta dal
ministro dell'Economia, Giovanni Tria.
Convinto che questo sia l'obiettivo adatto: permetterebbe di erodere un po' il deficit
«strutturale», garantirebbe un calo
sostanziale del debito; ma non imporrebbe una vera stretta adesso che l'economia sta
chiaramente rallentando. Anche il premier Giuseppe Conte sarebbe acquisito a questa
prospettiva. Ma più passano i giorni, più
aumenta la sensazione che il programma di governo e i suoi garanti stiano entrando in un
imbuto.a pagina 3
Qualcuno fra gli addetti ai lavori lo definisce l'avvicinarsi inesorabile di un «redde rationem».
Più passano i giorni, più aumenta dentro e attorno ai palazzi romani la sensazione che il
programma di governo e i suoi garanti stiano entrando in un imbuto. Da oggi ai prossimi
giorni qualcosa riuscirà a sfociare verso l'esterno senza incontrare troppi ostacoli, altri
elementi resteranno bloccati o verranno triturati al passaggio. Di sicuro sta formandosi un
ingorgo dove qualcuna fra le promesse e le proposte anche più recenti e qualche esponente
del governo o della maggioranza avrà la peggio. La legge di bilancio non è mai stata un
«pasto gratis» e anche questa sta per presentare il conto: non sarà il più facile dei momenti,
per i protagonisti del governo giallo-verde.
Giovanni Tria, il ministro dell'Economia senza affiliazione di partito, è attestato su un obiettivo
solo apparentemente semplice però chiaro: il deficit delle amministrazioni pubbliche per il
2019 può raddoppiare rispetto agli impegni ereditati dal suo predecessore Pier Carlo Padoan,
ma non di più. Non ci sarà finanziamento delle misure promesse da Lega e Movimento 5
Stelle generando ulteriore debito.
La nota al Def
Quando nei prossimi giorni si dovranno scrivere le grandi linee di programma nella «nota di
aggiornamento» al Documento di economia e finanza (Def)- da approvare entro dieci giorni -
il deficit per il 2019 dovrà essere all'1,6% del prodotto lordo (Pil). Tria è convinto che questo
sia l'obiettivo adatto: permetterebbe di erodere un po' il deficit «strutturale», lo zoccolo duro
della posizione di bilancio, garantirebbe un calo sostanziale del debito; ma non imporrebbe
una vera stretta adesso che l'economia sta chiaramente rallentando. Anche il premier
Giuseppe Conte sarebbe acquisito a questa prospettiva.
Se questa è la premessa, che per il ministro dell'Economia resta ferma, la messa in musica
appare tutt'altro che semplice. Sta emergendo in primo luogo un problema di metodo, perché
i lavori di preparazione alla nota per il Def e alla legge di bilancio sono chiaramente in ritardo.
Fino a pochissimi giorni fa i leader politici di governo e maggioranza, i vice-premier Luigi Di
Maio e Matteo Salvini, si erano concentrati più sulle promesse ai loro elettori che sul lavoro
collegiale con Tria e alcuni dei suoi collaboratori per valutare ciò che è compatibile con i
vincoli sui conti e le scelte da compiere. Le riunioni più operative sono partite solo molto di
recente, a pochi giorni dal momento in cui la nota al Def dovrà contenere non solo gli obiettivi
ma anche la struttura di fondo della manovra di bilancio. Le istanze politiche del governo
finora non hanno ascoltato coloro che conoscono le questioni tecniche di prima mano.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 917/09/2018 diffusione:222170
Pag. 1 tiratura:308621
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La strettoia
Accanto al metodo c'è però anche un problema di merito ed è questo che sta avvicinando la
costellazione del governo a una strettoia difficilissima, dalla quale sicuramente ad oggi
nessuno nell'esecutivo sa bene come uscire. Per ora infatti i conti non tornano, eppure
andrebbero fatti tornare entro pochi giorni. Fino a questo momento Lega e 5 Stelle si sono
suddivisi il compito di reclamare trasferimenti pubblici, ciascuno per i propri elettori.
Il «reddito di cittadinanza» e l'adeguamento a 780 euro delle pensioni minime per esempio
determinerebbe uno spostamento netto di risorse dello Stato in prevalenza verso il
Mezzogiorno, dove vive gran parte della platea dei disoccupati potenzialmente beneficiari. Allo
stesso tempo, la richiesta del leader della Lega Matteo Salvini di anticipare la soglia della
pensione con pieni diritti ai 62 anni di età con almeno 38 anni di contributi versati di fatto
implicherebbe un trasferimento di risorse in prevalenza verso il Nord del Paese, dove vivono
in proporzione più persone con questo tipo di versamenti.
Le scelte e la Ue
Il problema è che per realizzare queste e tutte le altre richieste - cancellazione dell'aumento
Iva, tagli alle tasse per i lavoratori autonomi, sgravi sugli affitti dei commercianti, tagli alle
accise sulla benzina - servono risorse che impongono scelte draconiane.
I conti non danno scampo: vanificato l'aumento dell'Iva, tenuto conto dell'aumento dei tassi
d'interesse sul debito e del rallentamento della ripresa, il deficit l'anno prossimo tende
spontaneamente a salire verso circa il 2,2% del Pil; senza aggiungere nuove misure,
servirebbero dunque risparmi o nuove entrate per 10 miliardi solo per centrare l'obiettivo che
serve per rassicurare l'Unione Europea e i tanti creditori del Paese. In più però c'è da
finanziare il programma di governo, i cui costi reali sono ancora ignoti ma andranno
necessariamente contenuti.
Tagli di spesa
Ne deriva che i risparmi o le entrate supplementari per far quadrare i conti dovranno essere in
totale di almeno 15 miliardi di euro. Poiché non è pensabile ottenerli solo con tagli di spesa ai
ministeri, se non in minima parte, i sacrifici andrebbero distribuiti altrove: aumenti dell'Iva
selettivi e smantellamento di deduzioni o detrazioni fiscali sono le scelte più ovvie, ma non è
detto che piacciano ai leader del governo populista.
Da alcuni di loro viene piuttosto la richiesta di colpire con nuove tasse le grandi aziende -
banche o servizi di rete - perché questa sembra una scelta più funzionale ai sondaggi
d'opinione. Che poi essa contribuisca a frenare ancora di più l'economia, distruggendo altri
posti di lavoro e complicando ancora di più la quadratura dei conti fra qualche mese appare ai
politici, per adesso, una questione del tutto secondaria.
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2019
Il ministro dell'Economia Giovanni Tria pensa che il deficit delle amministrazio-ni pubbliche nel
2019 possa raddoppiare rispetto agli impegni presi dal suo predecessore Pier Carlo Padoan.
Ma non di più Nelle grandi linee di programma nella nota di aggiornamento al Def il deficit
dovrà essere all'1,6% del Pil
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 1017/09/2018
Pag. 1.2.3 N.38 - 17 settembre 2018
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Risparmio LA GUERRA DEI COSTI
RISPARMIO LA BATTAGLIA PER FAR PAGARE ZERO COMMISSIONI
Ferruccio de Bortoli
Gli ultimi dati Assogestioni sull'andamento del risparmio gestito segnalano in luglio un nuovo
deflusso di capitali non compensato dall'aumento della raccolta. Il saldo positivo del 2018 si è
così ridotto a soli 9,3 miliardi. Il patrimonio in gestione rimane superiore ai duemila miliardi.
L'Italia del risparmio è uno dei mercati più ambiti al mondo. Diverse le cause di questa
battuta d'arresto. Non solo legate alla nostra particolare, per usare un eufemismo,
congiuntura economica e politica. Le incognite sui mercati internazionali - aumento dei tassi,
protezionismo - sono numerose. Va detto però che la raccolta di Assoreti, l'associazione delle
reti di consulenza finanziaria, quindi con uno spettro più ampio di investimenti, è stata in
luglio positiva per 2,7 miliardi.
Qualcuno crede, tra i legastellati, che l'Italia sia l'ombelico del mondo. E, nelle suggestioni
sovraniste, c'è addirittura chi pensa che se fosse sola, anche al di fuori della moneta unica,
starebbe meglio. Turchia, Venezuela e Argentina possono stampare tutte le banconote che
vogliono. Peccato che a volte non sappiano cosa farne visto che le rifiutano anche i loro
cittadini. E i capitali, intanto, scappano. Come sta peraltro succedendo da mesi anche da noi.
Dunque, in questo tormentato autunno sarebbe meglio non farsi notare troppo. Perché se
dovessimo ridiventare - come nel 2011 - l'ombelico dei mercati finanziari, non lo saremmo per
le nostre anatomiche bellezze o altre celebrate virtù. E il primo a soffrirne sarebbe il risparmio
degli italiani che già in questi mesi qualche colpo l'ha ricevuto. Proteggerlo è dunque ancora
più necessario. Gestirlo al meglio, doveroso. Caricare gli investitori di costi eccessivi, ancora
meno accettabile.
Le ricerche
Secondo l'ultimo rapporto Morning Rating Analysis sulla qualità dei gestori europei del
risparmio, gli italiani sono al terz'ultimo posto. Un Paese di formiche virtuose non sarebbe in
grado, con i suoi operatori, di assicurare i migliori rendimenti a costi competitivi. Interessante
lo studio Consob, pubblicato all'inizio di quest'anno (autori Finiguerra, Frati, Grasso),
sull'andamento dei fondi comuni aperti in Italia nel periodo 2012-16 che valgono circa un
migliaio di miliardi. Il 70 per cento delle commissioni è assorbito dalla distribuzione. Troppo. I
fondi italiani sarebbero più vantaggiosi e competitivi se banche e promotori finanziari
trattenessero una quota minore delle commissioni pagate dai clienti, come avviene in altri
Paesi. L'incidenza dei costi sul patrimonio è stabile intorno all'1,4 per cento. Ma «il peso sugli
utili prodotti è cresciuto notevolmente dal 16 al 51 per cento». I costi d'ingresso sono
aumentati, nel periodo osservato, dallo 0,7 all'1,5 per cento. Quelli d'uscita si sono
progressivamente ridotti. In diversi fondi l'incidenza dei costi ha reso negativi i rendimenti. Le
commissioni di performance sono calcolate su base annuale. Ma per prodotti lussemburghesi
o irlandesi anche su base mensile. Con mercati volatili, il risparmiatore si espone a rischi che
sottovaluta. Il Lussemburgo, per inciso, è tra le destinazioni preferite di chi porta all'estero i
propri capitali per scongiurare il rischio di ridenominazione (leggi uscita dall'euro).
I prodotti di diritto straniero venduti ai risparmiatori italiani sono largamente in maggioranza.
Per i fondi aperti si arriva al 74,5 per cento. Si parla a sproposito di un ritorno dello Stato in
economia, si ipotizzano sconti fiscali per gli italiani che acquistano Bot così da «italianizzare il
debito», e intanto le leve del nostro risparmio finiscono in mani straniere. Nel silenzio
generale. Unicredit, insieme a Intesa Sanpaolo, l'unica vera banca internazionale italiana,
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cedette nel 2016 Pioneer, ovvero l'asset management, ai francesi di Amundi (Crédit Agricole).
A parti invertite si sarebbero scatenate polemiche e forse, alla fine, non se ne sarebbe fatto
nulla. Le fabbriche stanno altrove. Ci si accontenta di gestire piccole ma remunerative quote
di mercato. Non c'è un campione nazionale. Si va in ordine sparso. Ma la concorrenza si fa - e
si farà sempre di più - sulle masse gestite, sulla tecnologia. E sui costi. A maggior ragione ora
che la Mifid 2 costringe tutte le società a comunicare alla clientela l'ammontare delle
commissioni di varia natura. A inizio 2019 i risparmiatori riceveranno il rendiconto dei costi
che sia Esma, l'autorità europea degli organi di vigilanza, sia la stessa Consob spingono
perché sia chiaro e leggibile. Una cifra complessiva in euro per ogni gestione.
Fidelity e Vanguard
Due mosse recenti di grandi operatori internazionali sono destinate a mutare le condizioni del
mercato del risparmio. Prima o poi anche in Italia. La prima è di Fidelity Investment che, da
quando è gestita dalla figlia del fondatore Abigail Johnson, ha accelerato l'offerta di fondi
passivi oltre che di Etf (Exchange-traded fund). Per due di questi, uno che investe su tremila
aziende americane e l'altro a diversificazione internazionale, Stati Uniti esclusi, sono state
azzerate le commissioni di gestione. Si tratta ovviamente di fondi basati su indici proprietari,
cioè fatti in casa, che non replicano benchmark più diffusi e autorevoli, ma anche costosi per i
gestori che se ne avvalgono. «Il mercato si evolve - dice Cosmo Schinaia, Country Head per
l'Italia di Fidelity International che gestisce oltre 400 miliardi di dollari - e quello italiano è tra
i meno sofisticati. Veniamo da quasi un decennio di rialzi su tutte le classi di investimento. Ed
è necessaria una grande attenzione ai costi, per esempio con commissioni variabili, a seconda
delle performance, anche nelle gestioni attive».
Anche Vanguard, che con 5 mila miliardi di dollari di capitali gestiti è seconda nel mondo solo
a BlackRock, è attiva da giugno sul mercato italiano. Si appresta a lanciare Etf per gli
investitori istituzionali per poi quotarli in Borsa e renderli accessibili dal 2019 alla clientela più
piccola. Negli Stati Uniti Vanguard offre ai privati di comprare e vendere Etf sulla propria
piattaforma senza commissioni di negoziazione. Con alcuni limiti, per importi e frequenza.
«Più cresce la scala delle masse gestite - è l'opinione di Simone Rosti, responsabile italiano di
Vanguard - più si possono comprimere i costi. Abbiamo decuplicato in pochi anni i patrimoni
in gestione ma il personale è cresciuto solo di un terzo. In Italia non si può ancora a lungo
avere costi di distribuzione che in qualche caso arrivano al 5 per cento». La sfida è aperta in
un mercato si spera più concorrenziale e trasparente. Peccato che, anche per una questione di
dimensioni, non esista un Etf di diritto italiano. Quei pochi che c'erano sono stati venduti o
addirittura chiusi.
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Quanto costano i fondi comuni azionari in Europa.... ....e quanto quelli obbligazionari Fonte:
Report Commissione Ue, Aprile 2018, Elaborazione AcomeA sgr * Valori mediani in
percentuale 1,80 1,80 1,89 1,30 0,98 1,07 1,03 1,01 ITALIA Francia Germania Spagna Media
Ue Spese correnti* Commissioni di ingresso* 2 3 2 5 3 4 2,50 5 5 3,65 2,12 2,07
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negozi, il futuro (senza domeniche) INTERVISTA
DOMENICHE OFF LIMITS IKEA RILANCIA CON I NEGOZI IN CENTRO
Il commento di Dario Di Vico e l'intervista a Jesper Brodin , numero uno di Ikea di Maria Elena
Zanini
Maria Elena Zanini
Scena uno: anni 50 nei boschi della Svezia il diciassettenne Ingvar Kamprad pedala per
andare a consegnare alcune penne e cancelleria per l'ufficio ai clienti che le hanno ordinate.
Ha da poco fondato Ikea, ma per registrare il marchio ha dovuto chiedere al padre di
accompagnarlo dato che è ancora minorenne. Scena due: anno 2018. A Hyderabad, in India,
dopo aver scelto online la cucina nuova, un ragazzo appena tornato dal lavoro aspetta che i
mobili gli vengano consegnati e montati a casa.
Tra una scena e l'altra l'evoluzione di Ikea fondata nel 1953 da Kamprad, che, partendo dai
boschi svedesi, è diventata uno dei marchi più conosciuti al mondo e che tra brugole, legno (e
qualche polemica) si prepara a cambiare. «Chiariamo - spiega Jesper Brodin amministratore
delegato di Ikea Group - i nostri flagship store, le "scatole blu", per capirci, rimarranno. Ma
entro i prossimi tre anni vogliamo trasformare la nostra società. Vediamo se ci riusciamo».
Un punto di partenza sono i nuovi format che Ikea sta sperimentando da qualche anno, dai
Pick-Up and Order point (dimensioni ridotte, assortimento selezionato, possibilità di
acquistare online) ai pop up store (monotematici, come quello aperto a Roma dedicato
esclusivamente alle cucine). Un nuovo concetto di negozio, una formula flessibile che
potrebbe tornare utile in Italia quando e se le proposte di legge della maggioranza giallo-
verde sui weekend di chiusura obbligatoria dovessero cambiare radicalmente il panorama
commerciale delle nostre città rendendo difficile un «investimento» sulle domeniche. Per le
imprese e per i consumatori.
Al momento però la chiusura domenicale è ancora una proposta, per questo Brodin non si
sbilancia nè vuole commentare. Ma è curioso pensare che una «soluzione» potrebbe venire da
chi ha fatto delle spedizioni domenicali fuori città, la propria filosofia imprenditoriale.
I nuovi modelli di negozio sono pensati per venire incontro a un pubblico urbano. Non correte
il rischio di perdere la vostra identità?
«L'obiettivo è rendere Ikea sempre più vicina e accessibile al cliente, anche cambiando. Del
resto se non osi, se non vuoi valicare certi confini, a costo di perdere qualcosa, come fai a
migliorarti? Noi vogliamo sperimentare e non possiamo certo farlo seduti alle nostre scrivanie.
Dobbiamo provare».
In questo modo non si riduce comunque l'offerta classica delle vostre «scatole blu»?
«No, anzi. La nostra idea è che l'offerta in questo modo possa diventare ancora più ricca, più
integrata e soprattutto, ci permetta di migliorare ancora di più la nostra attività online.
Qualche anno consideravamo l'ecommerce complementare al negozio fisico. Ma ora abbiamo
smesso di percepirlo come qualcosa di diverso. Sappiamo per esempio che una buona
percentuale dei nostri clienti si informa online prima di venire negli store. Il web diventa così
un'ulteriore porta di accesso al negozio fisico».
Che ruolo ha l'Italia in questo progetto?
«L'Italia è da sempre il nostro mercato guida, dove sperimentiamo nuovi progetti per poi
esportarli in tutti gli altri Paesi. Guardiamo a grandi città come Roma e Milano come teatri per
cambiare il nostro business, per migliorare i nostri servizi».
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I contatti su Ikea.com, superano i due miliardi all'anno, una cifra che rende il vostro sito di
arredamento il più visto al mondo. Avete mai pensato a partnership con Alibaba o Amazon per
implementare ancora di più questo aspetto del vostro business?
«Noi siamo molto bravi a creare comunità attorno al brand. Piattaforme come Amazon sono
eccellenti nel creare ricerca. Sono società "transactional", fatte semplicemente per vendere
oggetti. La nostra missione da sempre è migliorare la vita quotidiana delle persone. C'è un
gap tra noi incolmabile. E non è un'opzione abbandonare questa filosofia: le nostre energie
morirebbero anche se le vendite potrebbero senza dubbio migliorare. Non siamo contrari a
prescindere a partnership con altre società. Lo scorso anno abbiamo acquisito la startup
TaskRabbit, la piattaforma che mette in contatto con freelance per lavori che vanno dal
montaggio degli armadi al trasloco completo. Anche qui con l'obiettivo di venire incontro alle
esigenze dei nostri clienti».
Come sono cambiate negli ultimi anni?
«Abbiamo individuato alcuni trend fondamentali che consideriamo i più interessanti per noi.
Innanzi tutto la trasformazione urbana: la popolazione nel mondo si sta spostando sempre più
verso le grandi città. Se nel 2015 solo il 30% viveva in grandi centri, nel 2030 il valore
raddoppierà. Con tutto quello che ne consegue: mobilità ridotta, case più piccole. Elementi
che ci pongono sfide interessanti. Sempre meno persone guidano automobili? Spostiamo i
negozi dalla periferia al centro. Le case diventano più piccole? Creiamo mobili multifunzionali.
Stiamo anche studiando un sistema di leasing per i mobili. Non abbiamo ancora la ricetta
vincente, ma stiamo testando un sistema di affitto che comporti una restituzione dei mobili
usati nel corso del tempo. Qui può venirci in aiuto la tecnologia (che sta cambiando la società
a velocità esponenziale). Ma sempre nel rispetto dell'ambiente. Vogliamo diventare una
compagnia 100% sostenibile, riuscendo a soddisfare i bisogni dei clienti in una logica di
economia circolare e sostenibile».
Da sempre avete fatto del welfare aziendale il vostro cavallo di battaglia, ma recentemente,
alcuni episodi hanno messo in dubbio il vostro sistema, a partire dal licenziamento della
lavoratrice dell'Ikea di Milano, accusata di non aver rispettato i nuovi turni di lavoro. La
giustizia ha dato ragione a voi, ma il rapporto tra Ikea e i lavoratori sta cambiando?
«Siamo una grande comunità, fatta da oltre 150mila persone. Ognuno di noi è una piccola
parte di un sistema che coinvolge ogni giorno oltre un milione di persone che interagiscono
con Ikea, dai clienti ai fornitori. Non sarà mai un sistema perfetto, senza problemi. La cosa
fondamentale per noi però è la trasparenza, sia nei nostri valori, sia nel dare il buon esempio.
È capitato di avere un problema, abbiamo affrontato il dibattito che ne è scaturito, non
abbiamo nascosto la nostra posizione, anzi. Questo episodio è servito a far capire come ci
muoviamo in questi casi. L'episodio specifico non ha cambiato e non cambierà il rapporto con i
lavoratori. È innegabile che il mondo del lavoro stia cambiando e tra qualche decennio
l'intelligenza artificiale stravolgerà i canoni consueti. Siamo pronti a cambiare se sarà
necessario, ma non cambieranno i nostri valori. E forse questo è il motivo per cui Ikea, pur
essendo un marchio internazionale, non viene percepito come "cattivo" da movimenti no
global, come invece succede ad altri brand percepiti come consumistici».
A proposito di «globale» avete recentemente aperto il vostro primo negozio in India.
«Con una popolazione di 1,3 miliardi di persone l'India è il mercato più ad alto potenziale per
noi. Per il momento contiamo un solo negozio, ma i piani sono di espanderci. Anche in Cina
possiamo dire di essere soltanto all'inizio, vista la rapidità di espansione al momento. La
strategia di penetrazione è la stessa per tutti i mercati. Le esigenze dei clienti non cambiano
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molto da un Paese all'altro: vogliono servizi, comodità, vicinanza. Per questo da un punto
all'altro del mondo ci confrontiamo quotidianamente su ciò che accade in ogni singolo
mercato».
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Jesper Brodin ceo di Ikea1943 1953 1963
1989 2018
Ikea viene fondata da Ingvar Kamprad: è un negozio di casalinghi per corrispondenza
Ad Almhult, nel sud della Svezia,
è aperto il primo showroom.
I mobili sono già nell'assortimento
Il successo del negozio di Oslo precede l'apertura, due anni, dopo nella capitale svedese
Dopo Svizzera, Usa, Canada, Ikea sbarca in Italia, a Cinisello Balsamo. Nel 1998 la conquista
della Cina
Muore il fondatore Kamprad. L'azienda sperimenta nuovi format e dà spazio all'ecommerce
I conti
Il 2017 si è chiuso per Ikea con un incremento delle vendite, a livello mondiale, del 3,5% a
34,1 miliardi di euro, mentre i ricavi hanno raggiunto i 36,3 miliardi (+1,7%). II gruppo conta
a oggi 355 negozi in 29 Paesi in tutto il mondo che hanno accolto circa 817 milioni di visitatori
nel corso dell'anno con una crescita del 4% dai 783 milioni del 2016. A incrementare la cifra,
ha contribuito l'aperture di 13 nuovi store, tra pick up and order, pop-up store e punti di
ritiro. I dipendenti di Ikea sono in tutto 149 mila, di cui 6.500 in Italia. E nel mercato tricolore
lo scorso anno il gruppo svedese ha registrato vendite per 1,7 miliardi di euro raggiungendo
una quota di mercato del 7,5%. Più nel dettaglio, le vendite legate al comparto «food» in
Italia hanno raggiunto i 102,5 milioni di euro. Nel 2017 sono stati oltre 44 milioni i visitatori in
Italia e 105 milioni le visite al sito.
Jesper Brodin,
già direttore degli approvvigionamenti del gruppo svedese dell'arredamento, è il ceo di Ikea
da settembre 2017, al posto di Petr Angefjall, 47 anni. Brodin è nato a Goteborg
ha 50 anni e lavora
in Ikea dal 1995
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Economia & Politica regole e mercati INTERVISTA
Giovanni Pitruzzella cari consumatori i giganti della rete vanno
regolati
A pochi giorni dalla fine del mandato il presidente dell'Antitrust traccia il bilancio: sanzioni alle
aziende scorrette per quasi un miliardo e mezzo, un record. Ma la legge sulla concorrenza va
cambiata: «Così serve a poco». E le gare vanno fatte Sul copyright digitale serve equilibrio,
ma chi produce i contenuti come giornali e tivù va remunerato
Alessandra Puato
Il professor Giovanni Pitruzzella, 58 anni, ha attraversato cinque governi e la medaglia
bipartisan l'ha conquistata sul campo. Siciliano ed europeista convinto - in ottobre sarà
avvocato generale della Corte di giustizia Ue, «Vado in Lussemburgo a occuparmi di diritto
europeo» - conclude il 30 settembre il mandato settennale da presidente Antitrust con una
soddisfazione: oltre un miliardo e mezzo di euro di multe a tutela del mercato e dei
consumatori. È un terzo delle sanzioni totali uscite dall'Authority, 4,2 miliardi in 27 anni
mentre Pitruzzella, dal 2011 al 2018, ha toccato gli 1,613 miliardi: 1,371 miliardi le sanzioni
alla concorrenza e 241,7 milioni quelle a tutela del consumatore. L'altro strumento dissuasivo,
le decisioni con impegni (delle imprese a comportarsi meglio, misura più blanda) sono scese
al 27% dal 49% del precedente settennato.
«Basta con i cliché, il mercato in Italia si è aperto», dice dunque Pitruzzella. E rivendica il
ruolo dell'Antitrust italiana nell'Ue: «Un modello di cooperazione per l'Europa di domani».
Bilancio di questi sette anni?
«Positivo. Abbiamo usato appieno il potere delle multe e rilanciato la funzione delle sanzioni. È
deterrente. Chi viola la concorrenza o nuoce ai consumatori deve sapere che va incontro a
multe pesanti. Questo deve scoraggiare i comportamenti illeciti delle imprese. Il mercato è
fonte di benessere generale se ci sono regole rispettate da tutti. E l'Autorità le fa rispettare».
Ma il Tar spesso ha poi bocciato i vostri provvedimenti.
«Meno di quanto si pensi. Le nostre decisioni sono sempre state oggetto di ricorso,
naturalmente, davanti al Tar. Le cui pronunce però nel 2012-2018 sono state favorevoli
all'Antitrust nel 78% del casi, di cui il 15% con riduzione delle sanzioni e conferma della
decisioni. E anche i ricorsi successivi al Consiglio di Stato sono stati favorevoli al 70%».
Il 13 settembre la Corte di giustizia Ue vi ha riconosciuto competenza sulle pratiche
commerciali scorrette degli operatori telefonici, una vittoria sull'Agcom. Contento?
«Sì. La Corte di giustizia non solo ci dà ragione, ma permette così una più efficace protezione
dei cittadini. L'Antitrust aveva sanzionato Wind e Vodafone nel 2012 per forniture non
richieste con le carte sim. Le due aziende avevano fatto ricorso, negando la nostra
competenza. Con questa sentenza si supera un rischio: l'incertezza sulle regole, che ostacola
la crescita».
Cosa l'ha soddisfatta di questi anni?
«Mi è piaciuto rappresentare in Europa una struttura italiana di eccellenza. Quello che
facciamo viene seguito con attenzione. Come nel caso di Aspen, che aveva aumentato i prezzi
degli antitumorali fino al 1.500%».
La multaste per 5,2 milioni.
«Sì, e dopo che ha seguito la nostra decisione i prezzi dei farmaci sono stati ridotti di oltre
l'80%. Ma ricordo anche la sanzione a Novartis e Roche sul caso Avastin-Lucentis, i farmaci
per gli occhi. La Corte di giustizia europea ci ha dato ragione, i prezzi si sono allineati al
prodotto meno caro. Altro caso è Facebook, lo sanzionammo dopo la fusione con WhatsApp
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
perché aveva preso i dati degli utenti».
E che dispiaceri ha avuto, invece?
«Nel 2012 il Parlamento ha alzato la soglia delle concentrazioni sottoposte al nostro controllo.
Così ci sfuggono i mercati locali, spero che si cambi. Inoltre nel Paese va diffusa ancora una
cultura della concorrenza per un mercato efficiente, ma anche equo. Per me l'Antitrust è lo
strumento per favorire l'innovazione e ridurre le diseguaglianze».
Il mercato italiano è aperto o no?
«Più che in passato, grazie ai comportamenti degli imprenditori e a nuove regole. Certo,
restano sacche opache, lobby che ottengono privilegi».
Eppure la legge sulla concorrenza finalmente c'è, dal 2017. L'Antitrust la chiedeva da anni.
Troppo debole?
«Così com'è serve a poco. Arriva dopo un iter tormentato e lunghissimo. Questo fa capire che
va ripensata: invece di una legge omnibus annuale, che rischia di rafforzare il potere delle
lobby che si alleano, meglio provvedimenti singoli con durata più estesa».
Con la nuova norma Ue sul copyright, big come Google devono pagare se prendono i
contenuti di altri. Questo tutela i consumatori o no?
«Non entro nel merito, ma auspico che si raggiunga un equilibrio. Di certo le piattaforme che
servono a diffondere i contenuti e i produttori di contenuti, come giornali e tv, vanno
adeguatamente remunerati. Altrimenti c'è impoverimento per tutti. In generale, il digitale è il
cuore della nostra economia, ha accresciuto il nostro benessere. Bisogna colpire i
comportamenti dei giganti della Rete che possono danneggiare i consumatori».
Ma il divario digitale resta.
«Sull'accesso alla banda ultralarga siamo intervenuti molto, abbiamo sanzionato Telecom che
usava la posizione dominante ostacolando l'accesso ai concorrenti sulla sua rete. Il settore si
è aperto, è nata Open Fiber».
Sui portali web capita ancora che siano applicati sovrapprezzi a chi paga con carta di credito...
«Siamo intervenuti molto e il fenomeno si è ridotto. Così come i prezzi dei biglietti aerei sono
diventati più trasparenti dopo le sanzioni a molte compagnie».
I negozi chiusi la domenica sono un passo indietro?
«Anche qui non entro nel merito, va trovato un punto di caduta. La concorrenza va unita alle
esigenze sociali».
Le società autostradali hanno avuto la proroga delle concessioni senza gare. È d'accordo?
«Quando ci fu da decidere per la proroga, l'Antitrust si espresse negativamente. In linea con
l'Europa. L'ho sempre detto, prima della tragedia di Genova. Le concessioni devono avere
durata limitata o il concessionario si adagia. E ci devono essere controlli pubblici costanti. Il
pubblico - le amministrazioni, i ministeri - non deve lavarsene le mani. Un mercato efficiente
richiede uno Stato autorevole».
L'Europa è fragile. C'è ancora una difesa comune del consumatore?
«Va rafforzata la cooperazione e noi l'abbiamo fatto, se si lavora con serietà e coesione la
voce italiana viene ascoltata. Il futuro non è nella separazione ma nella collaborazione tra le
autorità nazionali e la Commissione Ue. L'Antitrust è un modello per l'Europa futura. Più
cooperazione e meno gerarchia».
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Chi è
Giovanni Pitruzzella, 58 anni. Nato a Palermo, professore ordinario di Diritto costituzionale
all'Università di Palermo, presiede l'Autorità garante della concorrenza e del mercato
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
(Antitrust) dal 29 novembre 2011. Lascerà l'incarico in anticipo il 30 settembre, i presidenti di
Camera e Senato stanno lavorando alla nomina del successore. Con lui l'Antitrust ha fra l'altro
bloccato gli aumenti dell'8% delle società telefoniche (con le fatturazioni a 28 giorni), multato
di 4,5 milioni la PopVicenza per i vincoli sui mutui e le Poste di 23 milioni per posizione
dominante
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Finanza credito INTERVISTA
Corrado Passera generazione x delle banche: siamo i primi
Una nuova leva di istituti specializzati è pronta per gestire servizi finanziari spesso poco serviti
dai canali tradizionali: Illimity, a breve quotata, spiega il fondatore, sarà tutor delle imprese
da far crescere. Si parte a ottobre Le piccole banche al passo I 4-5 player medi possono dar
vita ad un terzo forte gruppo, o anche al secondo Il settore si sta rivoluzionando, e chi nasce
"rivoluzionato", quindi digitale e senza vincoli, avrà grandi vantaggi
Stefano Righi
Lo definisce «nuovo paradigma». Sarà il modo di fare banca basato su piattaforme digitali e
competenze verticali. Una rivoluzione che, secondo Corrado Passera, cambierà la geografia
del mondo bancario, rendendo insostenibile a molti il tradizionale modello di business. Un
paradigma su cui la sua nuova creatura, Illimity, è stata profilata.
Ma ha senso oggi in Italia fondare una banca?
«Sì, moltissimo, per due ragioni. La prima è che il settore bancario si sta rivoluzionando, e chi
nasce "rivoluzionato", quindi completamente digitale e senza vincoli, avrà grandi vantaggi sia
in termini di efficacia che di efficienza. Il settore si sta rivoluzionando in forza a quattro
spinte: le tecnologie digitali, le nuove regole, i nuovi entranti e la politica monetaria. Questi
quattro fattori stanno rendendo insostenibile il modello di business bancario tradizionale,
soprattutto per le banche piccole e medie che rimangono generaliste. Noi puntiamo, per
esempio, ad avere il 30% di cost-income, il rapporto tra costi e ricavi, quando le banche
tradizionali si collocano spesso tra il 60 e il 90%. Questo è un vantaggio competitivo
importante, ma per raggiungerlo bisogna applicare paradigmi gestionali del tutto inediti».
Il secondo motivo?
«C'è grande spazio in alcuni settori dei servizi finanziari che oggi sono poco serviti dalle
banche tradizionali. Imprese a basso rating, in difficoltà (Utp) o in aperta crisi (Npl), sono
categorie di investimento che molte banche tendono ad espellere. È un mondo enorme - 6-
700 miliardi di stock almeno - nel quale individuare opportunità di intervento».
Ma non potrebbero intervenire le banche esistenti?
«Certamente, ma bisogna volerlo fare, avere le competenze e le tecnologie per farlo. Alcune
lo faranno, molte lasceranno il campo libero. Nel nuovo mondo bancario che si sta
configurando mi aspetto che perdano peso gli operatori piccoli e quelli generalisti, che abbiano
peso crescente i grandi operatori - sia bancari sia di altri settori - che sapranno sfruttare
economie di scala o di scopo investendo molto in tecnologia. Tra i nuovi vincitori, mi aspetto
alcune nuove banche specializzate che partono da zero con paradigmi di gestione molto
innovativi, come Illimity».
Sta delineando un quadro preciso delle banche italiane.
«Ne sono convinto. I piccoli e medi istituti generalisti sono destinati a segnare il passo. Unica
alternativa è fondersi e avviare rapidamente un percorso di profondo cambiamento. Ma non
sarebbe comunque semplice. Resisteranno le grandi, che oggi sono due. Mentre quei quattro-
cinque player medi possono, mettendosi assieme in varie geometrie, dar vita ad un terzo
forte gruppo, o diventare anche il secondo. Questo universo, che va ridisegnandosi, dovrà poi
fare i conti con i nuovi player, da Amazon che farà credito ai suoi clienti, ai vari PayPal per i
sistemi di pagamento, alle nuove banche specializzate».
Sarà l'era delle banche di nicchia?
«Sì, anche se preferisco definirle specializzate: nicchia fa pensare a piccole dimensioni,
mentre in alcuni casi, come il nostro, parliamo di segmenti di mercato molto grandi. Queste
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nuove banche specializzate, per avere successo, dovranno avere modelli gestionali ottimizzati.
Digitale, perché le tecniche analitiche e di intelligenza artificiale saranno comunque
necessarie. Ma digitale di per sé non garantisce il successo. Nel nostro caso è fondamentale
portare alle pmi competenze ed esperienze industriali e settoriali. Il nostro modello di
relazione basato sui tutor - dirigenti d'impresa con lunga esperienza - servirà proprio a
questo».
Torniamo all'8 agosto. In un momento di tensione sui mercati, lei ha ottenuto il 91,7% di
conferme dai soci.
«Aver avuto in piena estate e in un contesto perlomeno incerto, una fortissima maggioranza
dei nostri azionisti che hanno confermato il loro appoggio al progetto è stato un bel segno,
sicuramente per il nostro Paese, perché dimostra che c'è interesse per progetti italiani se
vengono percepiti come seri, forti, ben pensati. Ed è poi stata una soddisfazione personale
perché questa start-up che nasce in un settore difficile, in un momento difficile, in un Paese
difficile, con grande ma ragionata ambizione, ha meritato la fiducia dei suoi azionisti».
Prossime tappe?
«Cominciare a fare credito e investimenti. A breve fonderemo Banca Interprovinciale, che
abbiamo acquistato, con Spaxs, che ha dentro i capitali raccolti, cambieremo nome e ci
quoteremo al primo mercato, l'Mta, entro la fine del 2018. Una bella idea imprenditoriale, in
meno di un anno, diventa una nuova banca operativa e quotata in Borsa».
Perché Illimity? Già Spaxs non è immediato...
«Illimity perché nello spirito di questa banca c'è l'impegno ad andare oltre i limiti tipici
dell'agire bancario. Trovare un nome che esprimesse questo spirito e fosse libero da vincoli è
stato dannatamente difficile: abbiamo dovuto inventare una parola che non esisteva. Quanto
a Spaxs, sono l'unico responsabile e lo rifarei. Ho scelto questo nome perché, come per
l'iPhone, la X segnala il modello "extra" e ha funzionato: nel settore se lo ricordano in molti».
Gioca con le parole?
«Un po' sì, ma c'è dietro una riflessione profonda. Come pure dietro il nostro claim "banca
oltre la forma", che vuole spiegare il nostro impegno a superare quei vincoli e quelle regole
non necessarie che spesso si riflettono negativamente sui clienti delle banche più
tradizionali».
Concentrerete gli impieghi su particolari imprese?
«Vogliamo concentrarci nella parte un po' più complessa del mondo del credito che è quello
delle aziende che hanno potenziale, ma che sono ancora deboli, a basso rating, o che sono in
difficoltà e già considerate Utp, Unlikely to pay. Inoltre stiamo costruendo una struttura
interna per acquisire e gestire gli Npl, cioè le posizioni in sofferenza, ma dove esiste ancora
del valore recuperabile».
Che banca sarà Illimity per le famiglie?
«Una banca diretta dedicata a loro. Depositi a condizioni molto competitive. Conti correnti e
sistemi di pagamento che facilitano la gestione famigliare. Mutui, prestiti e assicurazioni
attraverso partnership con i migliori operatori di mercato. Saremo una piattaforma aperta per
poter essere sempre competitivi in tutto, anche dove non saremo noi a produrre al nostro
interno i prodotti e i servizi».
Quali sono gli obiettivi di questa avventura?
«Per Illimity, che è la prima delle nuove banche di nuovo paradigma, abbiamo fissato due
step, al 2020 e al 2023. Ci proponiamo attivi prima a 4 miliardi e poi a 8 miliardi. L'obiettivo
di utile netto nel 2020 sarà di una cinquantina di milioni per poi puntare a 300 milioni.
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Contiamo di arrivare a un Roe del 25%, mentre il ratio di capitale ( Ct1 ) dovrà collocarsi
stabilmente sopra il 15 per cento».
La sede dove sarà?
«Il quartiere generale di Illimity sarà a Milano, in via Ferrante Aporti, nella ex sede di
Amazon, vicino alla stazione Centrale. Dal primo ottobre saremo lì».
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I numeri
8 miliardi l'obiettivo per gli attivi di Illimity fissato per il 2023 (4 miliardi al 2020)
50 milioni L'obiettivo di utile netto al 2020 della nuova banca, con successivo step a 300
milioni
30 per cento l'obiettivo di cost-income per Illimity contro una media di sistema che arriva al
70-80%
Foto:
Rosalba Casiraghi, Milano 1950, è presidente di Illimity.
Un passato in Miraquota, è stata consigliere
di Intesa Sanpaolo
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INTERVISTA / Mario Padula
«I fondi si aggreghino»
Davide Colombo
Se per le pensioni obbligatorie le novità sono al momento solo annunciate, per la previdenza
complementare il 2019 sarà sicuramente un anno di svolta. Come lo è stato il 2005, quando
la legge 252 gettò le basi dell'attuale sistema dei fondi pensione. Entro gennaio dovrà essere
recepita la direttiva Ue 2016/2341 (la famosa Iorp 2) che aggiorna radicalmente la
governance dei fondi. Il decreto legislativo di recepimento è al vaglio del Parlamento e, dopo il
via libera, la Commissione di vigilanza dovrà adottare la regolamentazione secondaria.
I fondi dovranno dotarsi di nuove funzioni come il risk management, la revisione e la funzione
attuariale. Saranno rafforzati i presìdi sulle scelte di investimento e ridefinite le politiche di
comunicazione agli iscritti e di remunerazione dei soggetti coinvolti nella gestione. Un salto
quantico, insomma. Per affrontarlo i fondi, spiega il presidente della Covip, Mario Padula,
dovranno ripensare profondamente ai loro assetti.
«Covip negli ultimi anni ha segnalato a più riprese l'opportunità di aggregazioni tra fondi più
piccoli - spiega Padula - ora però siamo a una svolta. Iorp 2 trasforma un'opportunità in una
necessità.». Il riferimento è sicuramente a 259 fondi preesistenti (57 gestiscono un
patrimonio inferiore al milione di euro) ma l'invito, accorato, vale per tutto il sistema, ovvero
le 415 forme complementari. Con Iorp 2 alcune delle nuove funzioni di governance potrebbero
essere adottate in forma consortile. Bisognerà aspettare la regolamentazione Covip per
capirlo e per capire anche, in termini di costi, quanto le nuove funzioni di governance
peseranno su un sistema che oggi gestisce 155 miliardi di patrimonio e spende circa 140
milioni l'anno di attività amministrativa.
Covip sarà molto impegnata nei prossimi mesi in un'ampia attività di normazione secondaria
ma avrà anche nuovi poteri di vigilanza, che sarà estesa a diverse nuove funzioni: dalle
informazioni che i fondi dovranno fornire agli iscritti fino ai fornitori di servizi esterni ai fondi.
E per Covip, ancora, si allargano le prerogative sanzionatorie, oltre ai componenti degli organi
di amministrazione e controllo e ai responsabili dei fondi pensione, anche ai direttori generali
e ai responsabile delle funzioni fondamentali.
« È cruciale un'integrazione delle risorse su cui l'Autorità può contare. Per assolvere alle
nuove funzioni, servirebbero 1,5-2 milioni in più sui 12 milioni di entrate attuali e 15-20
nuove risorse umane rispetto alle 80 attuali» dice il presidente.
Covip, vale ricordarlo, vigila anche sugli investimenti delle 20 Casse dei professionisti (1,6
milioni di iscritti e un patrimonio gestito che è passato da 37 miliardi del 2007 ai 78,7
dell'anno scorso) senza che queste, a differenza dei fondi, paghino un euro di contributo.
«Iorp 2 non si applica alle Casse - conclude sul punto Padula - il che crea un divario
regolamentare ancora più ampio con i fondi. Una divario che spetta al legislatore colmare
anche tenendo conto della natura obbligatoria dei contributi previdenziali che le casse
gestiscono».
© RIPRODUZIONE RISERVATA Davide Colombo
Foto:
MARIO PADULA
Il presidente Covip analizza l'impatto della direttiva Iorp2 sulla previdenza complementare
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 2217/09/2018 diffusione:171388
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La manovra
Fisco e reddito di cittadinanza i veti incrociati di Lega e M5S
Di Maio: la at tax non per i ricchi ma per la classe media. E Salvini: l'assegno che vogliono i 5
Stelle non serva per stare a casa a guardare la tv. Polemica sulla sanatoria portata fino a un
milione di euro Brambilla, tecnico vicino al Carroccio, contro le pensioni minime a 780 euro:
così si spacca il sistema
rosaria amato
Roma Ok alla flat tax «ma non deve aiutare i ricchi». Sì al reddito di cittadinanza purché «non
sia fatto per stare a casa e guardare la televisione».
Veti incrociati tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini in vista del vertice di governo, fissato per
oggi. Il vicepremier grillino mette i suoi paletti alla misura fiscale che la Lega vorrebbe, ma
che di fatto ha già rimandato al 2020. Quello leghista dà corpo alla diffidenza dell'elettorato
del Nord sul rischio di un'ondata di assistenzialismo targata 5 Stelle. Sul tavolo c'è la legge di
bilancio: tra i 28 e i 30 miliardi di euro - vorrebbero i due partiti di governo - da distribuire
per gli interventi che ciascuno di loro promuove. Senza dimenticare le clausole Iva da
disinnescare, e soprattutto l'impegno a non spingere il deficit oltre l'1,6 per cento.
La giornata si apre con un lungo messaggio sul reddito di cittadinanza postato sul Blog delle
Stelle, che definisce l'intervento «presupposto indispensabile della prossima Legge di Bilancio
e condizione essenziale per le nostre politiche attive del lavoro». Una replica indiretta ai
messaggi diffusi dalla Lega il giorno precedente: Salvini e il sottosegretario al Mef Massimo
Bitonci avevano ampiamente descritto il piano di politica economica del Carroccio, a partire
dalla pace fiscale con tetto un milione di euro fino a quella che chiamano flat tax ma che per
ora è limitata alle partite Iva e rinviata per le persone fisiche. E quindi il Movimento Cinque
Stelle si è affrettato a ribadire che le priorità non sono certo solo quelle della Lega. Ma già nel
primo pomeriggio la Lega si mette di traverso sulle proposte pentastellate. Alberto Brambilla,
l'economista che ha messo a punto il programma del Carroccio sulle pensioni, interviene
dicendosi «totalmente contrario» al progetto di portare da gennaio le pensioni minime a 780
euro, annunciato dal viceministro M5S all'Economia, Laura Castelli. Alla «pensione di
cittadinanza», aveva spiegato Castelli, nel 2019 sarebbe seguito, uan volta completata la
riforma dei centri per l'impiego, anche il reddito di cittadinanza. «Se io fossi un artigiano, un
commerciante, un imprenditore, obietta Brambilla - non verserei più, tanto se poi devo
prendere 780 euro. Spacchiamo il sistema».
Poco dopo entrano in campo Di Maio, a Nola per un convegno, e Salvini, a Domenica Live.
«La prima misura, insieme alle infrastrutture, è sicuramente il reddito di cittadinanza»,
ribadisce Di Maio, affrettandosi a precisare che «non significa dare i soldi alle persone per
stare sul divano». Quanto alla flat tax, via libera solo se aiuterà «la classe media e le persone
più disagiate». Salvini invece ribadisce: «Il mio obiettivo è che le partite Iva, quelle piccole,
quelle che fatturano 65, 70, 80mila euro, già dal prossimo anno paghino il 15% di tasse e non
di più». E precisa che la Lega voterà il reddito di cittadinanza purché «non sia un reddito fatto
per stare a casa e guardare la televisione». Sembra uno scontro, anche se i due contendenti
assicurano che non è così. «Con il premier Conte e con il ministro Di Maio mi messaggio tutti i
giorni, sono persone ragionevoli con le quali andremo avanti cinque anni per cambiare il
Paese», dice Salvini.
«Non ci sono tensioni sulla manovra, ma un dibattito franco nel governo sul fatto che o si
mantengono le promesse o è inutile che ci stiamo», sostiene Di Maio, attingendo al linguaggio
della vecchia politica.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2018 - 17/09/2018 23Puoi anche leggere