RASSEGNA STAMPA CGIL FVG - martedì 11 febbraio 2020

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – martedì 11 febbraio 2020
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)

ATTUALITÀ, REGIONE, ECONOMIA (pag. 2)
In un anno 17 mila infortuni, il 79% nei siti industriali (M. Veneto)
Pensioni, sindacati all'attacco: dicano quanti soldi ci sono (M. Veneto)
Unicredit taglierà seimila posti in Italia (M. Veneto)
«Un anno da record per Banca Generali. Continuiamo a investire su Trieste» (Piccolo)
Minerva Airlines, sei ex addetti contro la curatela fallimentare (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Le polemiche scuotono l'omaggio alla memoria nella Foiba di Basovizza (Piccolo e M. Veneto, 3 articoli)
CRONACHE LOCALI (pag. 9)
I dipendenti Safilo per la "cassa" da giugno contano sui sindacati (M. Veneto Udine)
Integrativo, pronti 2,4 milioni ma dipendenti in agitazione (M. Veneto Udine)
Lavinox, duello sulla solidarietà. Ancora problemi coi pagamenti (M. Veneto Pordenone)
I sindacati lanciano l'allarme sul declassamento dell'Inps (Piccolo Trieste)
Sportelli, agenzie private e "sommerso". L'ascesa senza freni del business badanti (Piccolo Trieste)
Il mondo delle coop lancia l'allarme. In un anno 5 chiusure e operatori in calo (Piccolo Go-Monf)
La Compagnia portuale si allarga. Porta una gru e chiede magazzini (Piccolo Gorizia-Monfalcone)

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ATTUALITÀ, REGIONE, ECONOMIA (pag. 2)

In un anno 17 mila infortuni, il 79% nei siti industriali (M. Veneto)
In regione gli infortuni sul lavoro sono in leggero calo: le 17.238 denunce presentate nel 2018, lo scorso
anno sono scese a 17.068 unità. Udine la provincia più colpita (7.119) seguita da Pordenone (4043), Trieste
(3.651) e Gorizia (2.255). In calo pure i morti: in un anno sono passati da 29 a 18. Gli infortunati sono per lo
più maschi alle dipendenze di imprese industriali e di aziende di servizi.Anche se i dati pubblicati sul sito
dell'Inail potrebbero subire qualche variazione, fanno comunque riflettere e spronano le aziende che fanno
della prevenzione il loro cavallo di battaglie a fare scuola ai lavoratori. Tra queste Autovie Venete. La
concessionaria autostradale impegnata nella costruzione della terza corsia, punta a raggiungere l'obiettivo
"infortuni zero". Nel cantiere tra i più complessi della ragione circa 300 maestranze vengono impiegate
dalle ditte subappaltatrici. Sono tutte coinvolte nella progetto che la Concessionaria ha deciso di attuare in
collaborazione con i responsabili del servizio prevenzione e protezione di Lemit e Tiliaventum, i due
consorzi impegnati nella costruzione del secondo e terzo lotto dell'infrastruttura. Autovie sta organizzando,
infatti, una serie di corsi per "educare" le maestranze delle imprese esecutrici su come comportarsi
correttamente in cantiere.Attraverso lezioni "sul campo", i responsabili della sicurezza insegnano ai
lavoratori a mettere in pratica gli obblighi di legge. Circa un centinaio di persone impegnate nel secondo
lotto e poco più di 200 quelle coinvolte nel terzo stanno sperimentando in cantiere gli accorgimenti per
evitare i rischi. I risultati non mancano: basti pensare che nei cantieri dell'A4 gli infortuni sono dimezzati.
«Nel 2019 sono stati registrati sette incidenti sul lavoro nel terzo lotto Alvisopoli - Gonars (16 l'anno
precedente), mentre nel secondo lotto Portogruaro - Alvisopoli, dove i lavori sono iniziati poco più di un
anno fa, si è verificato un solo infortunio». L'azienda lo fa sapere ricordando che «il calo di infortuni sul
lavoro è frutto dell'attività di prevenzione messa in atto dal team del coordinatore per la sicurezza». I
tecnici della Struttura del commissario delegato A4 continuano «a verificare la corretta applicazione delle
procedure di lavoro e a controllare anche se impalcature e ponteggi vengono montati e posizionati
correttamente». Ai controlli segue l'organizzazione di corsi mirati per ogni singola azienda impegnata nei
lotti. A ogni lezione, della durata di circa 30 minuti, partecipano dai 5 ai 15 operai. Si tratta di incontri
"tarati" in base al tipo di lavorazione svolto, durante i quali vengono illustrate e testate le procedure
"salvavita", tra cui l'utilizzo corretto dei dispositivi di protezione individuale e dei macchinari e l'analisi dei
rischi in caso di mancato rispetto degli obblighi.La lezione viene poi replicata dopo 15 giorni per accertare
se durante le due settimane trascorse il lavoratore ha individuato eventuali situazioni di criticità in cantiere
e come le ha affrontate. Questa è solo una buona pratica per continuare a ridurre l'incidenza degli infortuni
sul lavoro in Friuli Venezia Giulia.

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Pensioni, sindacati all'attacco: dicano quanti soldi ci sono (M. Veneto)
Roberto Giovannini - Pare un po' bizzarro che proprio mentre tra le forze politiche di maggioranza la
tensione è altissima, ieri pomeriggio si sia tenuto un vertice tra i rappresentanti dei medesimi partiti - in
teoria è il primo della serie di incontri tematici voluti da Giuseppe Conte per mettere a punto la cosiddetta
«Agenda 2023» di governo - per discutere di welfare, lavoro e salario minimo. Così è stato: a Palazzo Chigi
insieme al premier e ai ministri di Lavoro (Nunzia Catalfo, M5S) e Famiglia (Elena Bonetti, Italia Viva) si sono
riuniti i delegati di Pd, Leu, M5S e Italia Viva, con Maria Elena Boschi e Teresa Bellanova a rappresentare in
modo «pesante» i renziani. Discussione, come prevedibile, molto interlocutoria: il premier Conte ha chiesto
che in settimana si definisca un percorso per varare quello che chiama «Family Act», ovvero il varo di
strumenti nuovi (e il riordino di quelli esistenti) a supporto delle famiglie, specie quelle numerose. Conte ha
chiesto anche di unificare il disegno di legge di Graziano Delrio con il ddl a cui sta lavorando la ministra
Bonetti. Tutto dipenderà, ovviamente, dalle risorse che verranno rese disponibili dal ministero
dell'Economia, rappresentato al vertice di ieri dal sottosegretario al Tesoro Pierpaolo Baretta. E dalle risorse
disponibili dipende anche l'esito del negoziato sulla riforma del sistema previdenziale tra governo e
sindacati confederali. Ieri in tarda mattinata si è tenuto il terzo appuntamento tecnico, quello sul tema
decisivo della flessibilità in uscita (la possibilità di andare anticipatamente in pensione rispetto all'età
stabilita dalla legge Fornero). I rappresentanti di Cgil-Cisl-Uil si stanno un po' stancando, dicono,
dell'atteggiamento dell'Esecutivo: il governo si dice «disponibile», «ascolta», «condivide l'impianto». Ma in
concreto finora non ha mai detto nulla di preciso né sulle richieste dei sindacati, né sulle risorse che
verranno messe a disposizione. Cgil-Cisl-Uil hanno ribadito la necessità di rimettere mano al sistema di
pensionamento affinché diventi flessibile, strutturale in una ottica di lungo periodo e che preveda una
uscita a partire dai 62 anni di età o dai 41 anni di contribuzione; una strutturalità dell'ape sociale e una
risposta al lavoro di cura delle donne alle quali «scontare» un anno di contribuzione per ogni figlio. «La
nostra proposta è finanziariamente sostenibile, ma vorremmo costruirla assieme al governo», spiega il
segretario confederale Cgil, Roberto Ghiselli. Per i sindacalisti andrebbero dedicate alla riforma anche tutti i
risparmi derivanti da quota 100 mentre, «già il primo miliardo invece è andato», dice il numero due Cisl
Luigi Sbarra. Unico risultato effettivo (e apprezzato) del tavolo è l'annuncio che da metà marzo verrà
istituita la Commissione paritetica sui lavori gravosi. Dal suo lavoro «si partirà per riuscire a capire le
dimensioni del fenomeno di una possibile uscita flessibile», commenta il leader Uil Carmelo Barbagallo.

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Unicredit taglierà seimila posti in Italia (M. Veneto)
Francesco Spini - Attraverso una lettera inviata ai sindacati bancari, Unicredit alza il velo sugli esuberi in
Italia e si prepara a un (duro) confronto con i rappresentanti dei lavoratori e col governo, che convoca i
vertici. Il conto conferma le indiscrezioni ed è salato: su 8 mila tagli a livello di gruppo, in Italia ne sono
previsti 6 mila. Di questi, 500 costituiscono, per usare le parole della banca guidata da Jean Pierre Mustier,
un «residuo di efficienze da Transform 19», il piano che si è appena concluso. Gli altri 5.500 sono il risultato
di «Team23», la strategia presentata lo scorso 3 dicembre che si spinge fino al 2023. Sono così ripartiti:
3.400 circa sono gli esuberi delle filiali, nel nuovo modello di rete che il gruppo vuole creare, altri 1.400
sono nella macchina operativa e nella struttura informatica, circa 700 infine sono i tagli indirizzati alla
holding e altre strutture centrali per lo più concentrate nel grattacielo di piazza Gae Aulenti a
Milano.Quanto agli sportelli, di qui al 2023, chiarisce la banca, saranno chiusi 450 punti vendita: 120 nel
2020, 160 nel 2021, 110 nel 2022 e 60 nel 2023. Oltre giustificare le efficienze ricordando le criticità che
ancora frenano «la redditività del conto economico», la banca chiama in causa anche gli «effetti del cambio
di abitudini della clientela». Nella missiva si spiega che si è verificata «una riduzione dell'operatività allo
sportello» tra versamenti, bonifici, imposte, pagamenti e prelievi, «di 20,3 milioni di operazioni», il 55% in
meno, precisa la banca, «rispetto ai 36,8 milioni di operazioni disposte nelle filiali nel 2016». Al contrario
l'ultimo anno le transazioni «disposte sui canali evoluti», attraverso smartphone e pc in buona sostanza,
sono state oltre 300 milioni.Unicredit punta a trasformarsi di conseguenza, vuole modificare il modello
operativo e recuperare efficienza. Sugli esuberi la banca assicura di cercare «soluzioni condivise idonee ad
attenuare per quanto possibile le ricadute sociali del nuovo piano» con prepensionamenti, ricorso al Fondo
di Solidarietà, insieme con «ulteriori forme di esodo come quota 100, opzione donna o riscatti di periodi
non coperti dalla contribuzione». A politica e sindacati, però, non basta. Il ministro del Lavoro, Nunzia
Catalfo, ha convocato i vertici del gruppo per il 21 febbraio. Sul caso si infila anche il leader leghista, Matteo
Salvini che mette in correlazione i litigi dentro il governo a Unicredit che «annuncia il licenziamento di 6
mila lavoratori». Le sigle parlano di un piano «inaccettabile». Durissima la Fabi, il principale sindacato di
categoria. «L'ad Jean Pierre Mustier - attacca il numero uno Lando Maria Sileoni - si illude di poterci
squadernare un piano a scatola chiusa, di fatto senza discutere i numeri». Non solo Sileoni chiede
un'assunzione per ciascun esubero, ma anche di condividere con i sindacati «tutti gli argomento del piano,
nessuno escluso». Critiche anche dalla Fisac-Cgil, secondo cui i livelli occupazionali e salariali «non potranno
essere sacrificati in nome degli utili che Mustier pensa di poter redistribuire ai propri azionisti», dice il
segretario generale, Giuliano Calcagni. Stessa linea del no anche di First Cisl, Uilca e Unisin: la trattativa si
annuncia movimentata.

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«Un anno da record per Banca Generali. Continuiamo a investire su Trieste» (Piccolo)
Piercarlo Fiumanò - «Il miglior anno della nostra storia»: l'amministratore delegato e direttore generale di
Banca Generali, Gian Maria Mossa, commenta così i dati annunciati ieri dalla corazzata bancaria del gruppo
triestino. Banca Generali ha chiuso il 2019 con un balzo dell'utile netto a quota 272,1 milioni (+51%).
All'assemblea verrà proposta la distribuzione di un dividendo di 1,85 euro (erano 1,25 nel 2018), per un
totale di 216 milioni di euro corrispondenti a un pay out del 79%. La cedola sarà distribuita per 1,55 euro a
maggio e per 0,30 euro nel gennaio 2021. Tra gli altri dati di bilancio, i ricavi totali salgono del 28,6% a 578
milioni. Masse totali anche qui da record per 69 miliardi di euro mentre quelle in consulenza evoluta
ammontano a 4,7 miliardi, raddoppiate dal 2018. Mossa, come sta andando il 2020 di Banca Generali dopo
un anno in forte accelerazione?In termini di crescita nel 2020 ci aspettiamo una conferma dei buoni risultati
registrati negli ultimi anni. Non mi riferisco solo ai grandi patrimoni ma anche al risparmio di famiglie e
piccole imprese che hanno bisogno di una buona consulenza finnziaria. Siamo moderatamente ottimisti
considerato lo scenario economico e internazionale e l'incognita determinata dall'epidemia del coronavirus.
Anche il mese di gennaio è partito molto bene con una raccolta di 438 milioni grazie al lavoro dei nostri
private banker sul territorio.Dopo l'acquisto della boutique finanziaria Nextam Partners e di Valeur nel 2018
come vi state muovendo?La nostra è stata una crescita record. Le masse gestite di Banca Generali sono
cresciute negli ultimi cinque anni da 36 a 69 miliardi e oggi siamo la terza realtà nel private banking in Italia.
Oggi pensiamo a un rafforzamento della nostra presenza internazionale. Mi riferisco a un piano di
valorizzazione dei nostri servizi di investimento per la clientela estera e per la clientela italiana che vuole
diversificare la piazza di investimento e mantenere i servizi italiani. E in questo senso si inserisce
l'operazione Valeur in Svizzera.Qual'è il sentiment degli investitori in Italia?Il sistema produttivo dell'Italia è
molto solido. Viviamo in un contesto di incertezza politica e economica a livello internazionale. Soprattutto
se emergenze come il coronavirus, che potrebbero avere un impatto molto severo sull'economia e sui
consumi occidentali, provocheranno un rallentamento della crescita non solo in Cina. Resiste un moderato
ottimismo ma bisogna tenere la guardia alta. Il mercato teme l'incertezza.La volatilità sui mercati sembra
diventata strutturale. Come gestire il timore di improvvisi Cigni neri dopo una crescita prolungata?Il
consulente finanziario deve capire le esigenze autentiche del cliente depurandole dai rumori di fondo che
portano ansia e incertezza e con una attenta selezione dei rischi.Come sta crescendo la vostra presenza a
Nordest nel vostro rapporto con le famiglie imprenditoriali e il sistema produttivo. C'è voglia di tornare a
investire?Il Nordest è una delle aree più importanti per noi. Tra Padova, dove abbiamo appena inaugurato
una nuova sede, e i dintorni del Triveneto abbiamo circa 10 miliardi di masse. E' un'area strategica per la
nostra crescita organica. Stiamo parlando di un territorio da sempre motore dell'economia italiana. É vero
che le crisi bancarie hanno provocato molte lacerazioni nel tessuto produttivo e nella fiducia delle famiglie.
Peraltro Banca Generali, in tutti questi anni, nel mondo del private banking a Nordest è stata sempre
considerata un porto sicuro e di questo siamo orgogliosi.Intendete rafforzarvi a Trieste?Qui siamo nati nel
1998 come banca telefonica a supporto delle Generali. Da allora abbiamo fatto molta strada. Nella sede di
Trieste lavorano oltre 350 dipendenti su un totale di quasi 800 in tutto il Paese. A Milano nella nuova Tower
Generali a Citylife sono ospitate le strutture commerciali e di prodotto. Anche oggi intendiamo continuare a
investire e ad assumere a Trieste dove non abbiamo mai perso il radicamento e dove sono rimaste le
funzioni nate con la banca: da una parte dell'organizzazione e assistenza ai clienti alla direzione finanza,
dall'information technology, alle funzioni della direzione legale.Come vi muovete nell'era digitale e delle
nuove tecnologie?Abbiamo inaugurato a Milano il Bg Training & Innovation Hub, che coinvolgerà 2mila
professionisti della società, impegnati a rotazione in oltre 30 corsi di formazione per un totale di quasi
2mila ore annue. Siamo interessati a investire e diventare partner di nuove startup.Negli ultimi anni Trieste
ha vissuto uno spopolamento di grandi gruppi e imprese finanziarie che hanno trasferito personale a
Milano. Che ne pensa?É un fenomeno che Trieste ha indubbiamente sofferto. Oggi credo che la
valorizzazione del porto vecchio e delle attività tradizionali legate al porto rappresentino una nuova
occasione di rinascita e di crescita della città. Banca Generali, che conferma il suo radicamento in città,
intende fare la sua parte.

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Minerva Airlines, sei ex addetti contro la curatela fallimentare (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Luca Perrino - Era il 23 luglio 2004 quando il tribunale di Catanzaro dichiarava fallita Minerva Airlines,
compagnia aerea con base d'armamento all'aeroporto di Ronchi dei Legionari. Già nell'ottobre 2003 i dieci
Dornier 328 che, con insegne Alitalia, componevano la flotta del vettore, erano tornati tutti alla base e i voli
erano stati sospesi. Ma ancora non c'è pace per i quasi 200 ex dipendenti che, nell'estate 2018, si erano
visti erogare l'80% di quanto ammesso, cioè stipendi arretrati, trattamento di fine rapporto e altro.Da allora
tutto è rimasto fermo, tanto che sei ex dipendenti della compagnia aerea hanno presentato atto di querela-
denuncia, sempre al tribunale di Catanzaro, nei confronti della curatela fallimentare per tutta una serie di
presunte inadempienze che, a distanza di 16 anni, non avrebbero ancora permesso la conclusione della
vicenda.I dipendenti evidenziano che da parte della curatela fallimentare ai creditori ex lavoratori nel corso
degli anni non è stata mai data alcuna informazione sullo stato della procedura, sulle azioni legali intraprese
e sulle tempistiche per il riparto, nonostante le centinaia di richieste per via telefonica e mail che non
hanno avuto alcun esito, oltre a impedimenti di vario genere riscontrati anche nelle richieste ufficiali di
accesso agli atti dei documenti presenti nel fascicolo del tribunale di Catanzaro, ogni volta negate
nonostante il fatto che fossero creditori privilegiati. «È sempre stato messo un ostacolo o un impedimento -
affermano - alle richieste di informazioni o di visione degli atti. In tutto questo ravvisiamo una gestione
poco chiara della procedura fallimentare della Minerva Airlines, soprattutto in riferimento al recupero dei
crediti verso soggetti quali la Bnl che risultano debitori verso il fallimento per milioni di euro di cui non si
hanno tracce nella ripartizione. Nei confronti degli amministratori di Minerva Airlines, che in pratica hanno
condotto la società al dissesto, il curatore ha portato avanti delle transazioni per oltre 300mila euro, invece
che procedere al recupero anche forzoso del credito nei confronti di tali soggetti quali responsabili del
fallimento». Secondo chi si è rivolto alla magistratura tutta la gestione della procedura fallimentare
presenta degli aspetti poco chiari, con particolare riguardo al recupero dei crediti vantati dalla Minerva che
ad oggi, dopo oltre 16 anni, non sono stati recuperati interamente per ragioni mai comunicate ai creditori
privilegiati.A quell'epoca, e non era cosa da poco, Minerva effettuava 12 rotte sul territorio nazionale con
ben 300 collegamenti settimanali. Molti dei quali prorio dal Friuli Venezia Giulia, ad esempio per Roma e
Genova. Si era parlato di alcune manifestazioni di interesse, ma furono solo speranze vane per tutti.
Dondata nel 1993 dal gruppo calabrese Mancuso e dal 1996 partner di Alitalia, Minerva Airlines aveva
sospeso ogni attività nell'ottobre del 2003, mentre nel febbraio 2004 erano stati concessi i benefici della
"Prodi Bis".

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Le polemiche scuotono l'omaggio alla memoria nella Foiba di Basovizza (Piccolo)
Diego D'Amelio - A Basovizza anche stavolta il Ricordo è senza pace. L'anno scorso il monumento della
Foiba fu teatro di quel «viva l'Istria e la Dalmazia italiane», con cui l'allora presidente del Parlamento
europeo Antonio Tajani scatenò una polemica internazionale. Questa volta, invece, la delegazione del Pd se
ne va, in segno di protesta contro l'intervento del senatore Maurizio Gasparri. Il presidente Sergio
Mattarella ha appena stigmatizzato il negazionismo e la scarsa conoscenza delle tragiche vicende del
confine orientale, ma queste finiscono di nuovo relegate a parte marginale del circo mediatico che ruota
attorno al Giorno del ricordo. La polemica sovrasta la ricostruzione delle violenze dei comunisti jugoslavi nel
dopoguerra, dell'esodo istriano e di uno scontro fra nazionalismi e ideologie totalitarie cominciato
nell'Ottocento e durato decenni. A Trieste arrivano i leader nazionali Matteo Salvini e Giorgia Meloni:
strette di mano, sorrisi e selfie con un popolo che sente forte il richiamo della destra. Ma il Capitano non è
più ministro e non sale sul palco come un anno fa. Stavolta la scintilla parte per la presenza fra gli oratori
del senatore Maurizio Gasparri: l'esponente di Forza Italia non è vicepresidente di Palazzo Madama, ma
prende la parola per ultimo in rappresentanza della presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati. I
parlamentari Pd lo considerano un blitz e abbandonano il campo, accusando la destra di voler
monopolizzare il 10 febbraio, anche alla luce dell'intervento del governatore Massimiliano Fedriga, primo
presidente della Regione a parlare a Basovizza. «Sapevamo - dice Gasparri - ma troppi negavano. Ci vollero
35 anni perché Basovizza diventasse monumento nazionale e 46 perché un presidente della Repubblica si
inchinasse qui. Quanto ci vorrà perché scompaiano i negazionismi?». Il senatore si sofferma sullo «spazio
marginale» dato in tv a «questa sciagura nazionale, in cui chi non inneggiava al nuovo ordine di Tito spariva
nel nulla. A Trieste il tricolore è più tricolore che altrove». Parole pronunciate mentre i senatori Luigi Zanda
e Tatjana Rojc, la deputata Debora Serracchiani e il consigliere regionale Francesco Russo lasciavano lo
spazio delle autorità, con una reazione salita subito alla ribalta nazionale e stigmatizzata dal centrodestra.
«La foiba di Basovizza - commenta Serracchiani - ormai è palcoscenico della destra sovranista. Questo
giorno è una solennità in cui si condivide pietà e giustizia, non un'occasione per spingersi in prima fila alla
ricerca delle telecamere». Per Zanda, «c'è stato un eccesso di toni di propaganda, incluso il senatore
Gasparri che era qui per rappresentare l'intero Senato. Un errore grave che contraddice lo spirito di
riconciliazione del Giorno del ricordo». Gasparri respinge le critiche: «Ero intervenuto quale rappresentante
istituzionale e come tale ho articolato il mio discorso, in gran parte tratto dalle parole del presidente
Mattarella». Per il governo aveva parlato poco prima il ministro Federico D'Incà: «Migliaia di persone non
tornarono più a casa, furono deportate o sparirono nelle foibe. L'intero Paese deve camminare unito, senza
alcun atteggiamento negazionista di fronte alla storia e senza strumentalizzazioni che servano a rinfocolare
odi ormai sepolti». Prima dell'inizio della celebrazione, Salvini e Meloni non lesinano i commenti alla
stampa. «È mio piacere, mio dovere e mio onore - dice il segretario della Lega - essere in mezzo a queste
donne e questi uomini. Spero che tutti i nostri figli possano studiare tutti i crimini della storia di qualunque
colore politico, perché in Italia c'è ancora qualcuno che nega che ci siano martiri da tutte le parti». Per
Salvini, «i pochi negazionisti rimasti andrebbero educati, curati e internati». Gli fa eco Fedriga: «Per troppo
tempo è stata negata la sofferenza degli italiani di quest'area», dice dal palco, sottolineando a margine che
«le tesi negazioniste e riduzioniste devono essere contrastate con la verità e non con la censura. Le
istituzioni eliminano i finanziamenti a tutte le realtà che promuovono tesi di questo tipo». Argomenti ripresi
anche da Giorgia Meloni. Per la presidente di Fratelli d'Italia, «c'è ancora da combattere contro il
negazionismo che, invece di diminuire, aumenta». Da Meloni anche la richiesta di «revocare la medaglia
con cui fu insignito il maresciallo Tito dalla Repubblica italiana».
Striscioni di CasaPound contro i partigiani titini. La condanna di Lubiana
Sono stati affissi in luoghi simbolo della minoranza a Opicina, Bagnoli e Muggia. Poche ore prima, nella
zona di Basovizza, scritta oltraggiosa su Norma Cossetto (testo non disponibile)

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«Stop ai finanziamenti per chi nega le foibe» (M. Veneto)
La battaglia, se così possiamo chiamarla, non è certamente nuova, ma Massimiliano Fedriga non ha alcuna
intenzione di chiuderla e, anzi, da Basovizza rilancia la sua crociata contro chi, a suo dire, continua a negare
il dramma delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata.«Per troppo tempo è stata negata la sofferenza degli
italiani di quest'area, che hanno visto morte e sofferenza - attacca il presidente -. Per chi vuole negare,
ridurre, oppure giustificare la sofferenza e la morte inferte con le foibe non serve la censura: contro questa
follia è necessario semplicemente che sia raccontata la verità, perché per troppo tempo è stata negata. Mi
auguro, però, che non vengano più erogati fondi pubblici ad associazioni che negano il sangue e la morte di
questa gente, della nostra gente. A chi mi riferisco? Prima di tutto all'Anpi, ma poi pure ad alcuni storici, o
pseudo tali, che continuano a negare il dramma di quegli anni e in alcuni casi arrivano anche a mettere in
dubbio le parole pronunciate recentemente dal capo dello Stato».E se Giorgia Meloni si è spinta a chiedere,
nuovamente, di «rimuovere e revocare la medaglia con cui fu insignito il maresciallo Tito dalla Repubblica
italiana perché non c'è davvero nulla di merito per cui dovesse ricevere questa onorificenza» da parte del
nostro Paese, sul tema è chiara anche la posizione di Piero Mauro Zanin.«Negare la realtà della storia
significa calpestare la dignità di chi l'ha vissuta - spiega -, soffrendo nel tempo un dramma reiterato dal
colpevole silenzio. Se vogliamo celebrare il Giorno del ricordo dobbiamo riconoscere che l'orribile capitolo
delle foibe e dell'esodo da Istria, Fiume e Dalmazia è stato tenuto nascosto per troppo tempo agli italiani.
Nel Giorno del ricordo viene rinnovata la memoria anche delle più complesse vicende del confine orientale.
La comune appartenenza all'Unione europea di Italia, Croazia e Slovenia va vista come straordinaria
opportunità. Soltanto sfruttandola potrà essere ricordata la persecuzione e lo sradicamento patito da 350
mila esuli, operando come Regione e associazioni per consolidamento e crescita delle decine di comunità
italiane che continuano a tener viva la nostra cultura e la civiltà millenaria dell'Istria, di Fiume e della
Dalmazia».

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CRONACHE LOCALI

I dipendenti Safilo per la "cassa" da giugno contano sui sindacati (M. Veneto Udine)
Maura Delle Case - Via libera a trattare per l'attivazione della Cassa integrazione straordinaria a partire da
giugno. Riuniti in assemblea, ieri, i lavoratori della Safilo hanno affidato, votandolo a maggioranza, il
mandato ai sindacati che torneranno a sedersi già stamattina al tavolo della trattativa. L'incontro è fissato
per le 10 in Confindustria Udine e potrebbe essere dirimente. Portare cioè all'intesa che poi dovrà confluire
insieme a quelle eventualmente raggiunte nelle sedi di Padova a di Longarone in un accordo quadro da
sottoporre al ministero dello sviluppo economico. Possibilmente entro il 14 febbraio, dead line fissata
dall'azienda e dalle parti sociali che suggerisce la necessità di fare in fretta. Nel caso di Martignacco le carte
in tavola potrebbero essere quelle buone. «Stiamo parlando della chiusura di un sito produttivo che è una
disgrazia - puntualizza Andrea Modotto, segretario Filctem Cgil Fvg -. L'azienda poteva limitarsi all'uso degli
ammortizzatori sociali e invece, grazie al pressing che abbiamo fatto insieme ai sindacati nazionali di
categoria e ai lavoratori, Safilo si è detta pronta a spostare di sei mesi l'apertura della cassa integrazione, il
che concede ai dipendenti altrettante mensilità di stipendio pieno e a noi tempo utile per cercare un
imprenditore disposto a investire su Martignacco». Oggi si torna a trattare. Partendo dall'ammortizzatore
sociale, che il sindacato chiederà di far partire dalla fine di giugno così da garantire un reddito ai 235
lavoratori friulani per i successivi 12 mesi, fino a giugno 2021. Un tempo che si spera basti a trovare una
soluzione. «L'azienda si è detta disposta a mettere in campo un advisor per gestire la reindustrializzazione
del sito, così come una società per l'outplacement dei singoli lavoratori. Di questo discuteremo in
Confindustria - ha detto Pasquale Lombardo di Femca Cisl - oltre che incentivi all'esodo da garantire ai
lavoratori che decideranno di lasciare l'azienda prima della fine della cassa integrazione».

Integrativo, pronti 2,4 milioni ma dipendenti in agitazione (M. Veneto Udine)
Cristian Rigo - Ammonta a 2 milioni e 458 mila euro il budget che il Comune ha messo a disposizione per il
contratto integrativo aziendale del 2020. E l'assessore al Personale, Fabrizio Cigolot assicura che, dopo 10
anni di blocco, torneranno anche le progressioni orizzontali per consentire ai dipendenti di ottenere, sulla
base di una valutazione di merito, delle maggiorazioni di stipendio.Ma i sindacati hanno indetto lo stato di
agitazione. «Entro il 31 dicembre del 2019 la Rsu del Comune di Udine e i sindacati non sono stati convocati
per la contrattazione e sottoscrizione del Contratto collettivo decentrato integrativo dell'anno 2019 -
ricordano i sindacalisti -, il primo incontro per l'avvio delle trattative con la delegazione trattante di parte
pubblica per la sottoscrizione dell'ipotesi di contratto collettivo decentrato integrativo 2019-2021 si è
svolto soltanto il 22 gennaio». E in quella occasioni sindacati e Rsu hanno respinto la proposta avanzata
dalla delegazione perché - spiegano nella comunicazione inviata al prefetto, Roberto Boezio della Fp Cgil e
Beppino Fabris del sindacato autonomo Sapol a nome di tutte le sigle sindacali - «non erano state prese in
considerazione alcune richieste sindacali formulate e concordate nel gruppo tecnico conclusosi a fine
ottobre 2019».A chiarire quali sono le richieste che non hanno avuto riscontri è lo stesso Boezio:
«Innanzitutto - dice - c'è da risolvere il nodo delle indennità, solo per la polizia locale è stato fatto un passo
avanti che però non giudichiamo ancora sufficiente. E poi ci sarà da discutere sulle regole per le
progressioni orizzontali e sulle risorse da attribuire».A "indispettire" i sindacati è stato poi il ritardo delle
convocazioni: «Il 29 gennaio abbiamo inviato al Comune le nostre osservazioni chiedendo in maniera
inderogabile la convocazione del tavolo di contrattazione entro giovedì scorso, cosa che non è ancora
avvenuta». Da lì la decisione di indire lo stato di agitazione. Una "mossa" che ha sorpreso l'assessore
Cigolot: «Per quanto ci riguarda ritenevamo aperto il tavolo con la riunione del 22 e in settimana avremo
convocato un altro incontro, ma al momento siamo ancora in attesa di completare alcune valutazioni in
merito alle osservazioni dei sindacati per capire alcuni aspetti giuridici e le ricadute economiche di alcune
proposte. Siamo pronti a discutere di tutto a incominciare dalle indennità di rischio per le categorie
interessate. Anche per quanto riguarda le progressioni orizzontali c'è la massima disponibilità al confronto.
Sono fiducioso che si possa arrivare a un punto di incontro su tutte le questioni ancora aperte definendo
anche i premi. Per quanto riguarda lo stanziamento - conclude - abbiamo a disposizione 2 milioni e 458 mila
euro che comprendono anche i 720 mila euro messi a disposizione dalla Regione per i quali però dovremo
attendere fine febbraio quando scadranno i termini per un'eventuale impugnazione del Governo».

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Lavinox, duello sulla solidarietà. Ancora problemi coi pagamenti (M. Veneto Pordenone)
Giulia Sacchi - Il Gruppo Sassoli chiede a una parte dei 106 addetti della Lavinox di Villotta di Chions di
rimanere a casa in regime di solidarietà, superando così la quota massima utilizzabile in un
determinatoperiodo: le Rsu insorgono, giudicando l'istanza «lesiva degli accordi».Ma c'è di più: il servizio
mensa è stato sospeso, non ci sono le condizioni per lavorare e lo stipendio del periodo che va dal 24 al 31
gennaio non è stato erogato.Nell'assemblea sindacale straordinaria convocata ieri, si è deciso quindi di
fermare l'attività, in segno di protesta. «Siamo venuti a conoscenza del fatto che a una parte degli addetti è
stato comunicato di rimanere a casa in regime di solidarietà, superando così la quota massima utilizzabile
nel periodo - hanno spiegato le Rsu di Fim, Fiom e Uilm, nel comunicato appeso all'interno dello
stabilimento -. Riteniamo questo comportamento aziendale molto grave, ingiustificabile e lesivo degli
accordi sottoscritti. Invitiamo l'impresa aripristinare quanto previsto nell'accordo sottoscritto al ministero a
febbraio 2019 e chiediamo ai lavoratori di contattarci per sottoscrivere una comunicazione individuale di
"disponibilità immediata", che certifichi tale violazione e che richieda all'azienda la copertura retributiva
per il periodo».«Oggi, in assemblea straordinaria, assieme alle organizzazioni sindacali, si è deciso di
fermarsi e mettersi a disposizione dell'azienda, perché non ci sono le condizioni che permettono di
continuare a lavorare - hanno spiegato le Rsu di stabilimento -. Non ci sono le condizioni in primis
ambientali: a questo si aggiunge la mancata erogazione dei pasti in mensa, situazione messa in evidenza più
volte. Ad aggravare il quadro è il fatto che non è stato versato lo stipendio per il periodo che va dal 24 al 31
gennaio».Da quanto si è appreso, invece, ai 22 addetti di Sarinox sarebbe stato erogato il 60 per cento degli
emolumenti. Intanto l'ammortizzatore sociale è agli sgoccioli: la solidarietà in Lavinox scade venerdì e, al
momento, non c'è possibilità di rinnovo.L'unica speranza è legata all'incontro al ministero del Lavoro, che
però è fissato per il 20 febbraio, dopo quindi il termine dell'unico salvagente rimasto a disposizione. Da
Roma potrebbe arrivare il via libera a sei mesi di cassa integrazione aggiuntiva. Ma, per ora, non vi sono
certezze: maestranze e famiglie temono di finire di nuovo sulla strada.

I sindacati lanciano l'allarme sul declassamento dell'Inps (Piccolo Trieste)
Luigi Putignano - «Assistiamo all'impoverimento e al degrado della sede Inps di Trieste, una struttura di
rilevanza nazionale che, tra le altre cose, cura i trattamenti di malattia del personale marittimo, la matricola
centrale di Fincantieri e Generali, oltre alle pensioni estere liquidate nei Paesi dell'ex Iugoslavia». Così ieri
mattina Adriano Sincovich, dello Spi Cgil Trieste, in occasione della conferenza stampa congiunta
organizzata insieme a Pierangelo Motta della Cisl pensionati, e Fabio Nemaz della Uil pensionati. Nel corso
dell'incontro sono state sollevate varie questioni. Tra queste spicca la «gestione incomprensibile», da parte
dell'ente nazionale di previdenza, di un territorio come quello triestino che presenta delle caratteristiche
demografiche che mal si coniugano con l'attuale modus operandi dell'istituto. «Senza assunzioni - ha
proseguito Sincovich - la sede di Trieste rischia il declassamento, e a farne le spese saranno soprattutto i
cittadini, specie gli over 65, i quali mal si rapportano alle nuove tipologie di comunicazione messe in atto
dalla sede centrale». Parliamo di un'utenza anziana che, non riuscendo ad ottenere risposte, si riversa
presso i numerosi punti d'ascolto del sindacato attivi sul territorio comunale: «Ci informano - ha
sottolineato Motta - di pratiche che vanno avanti per anni, basti pensare che sono oltre un centinaio le
controversie da risolvere. D'altro canto se non c'è personale che istruisce la pratiche, non si può
procedere».E qui si apre l'altra questione che riguarda quello che sarà il futuro della sede del capoluogo
giuliano e del peso dell'intero Fvg: «La sede triestina dell'Inps - ha evidenziato Nemaz - passerà dalle 133
unità del 2014 alle 79 previste per la fine del 2020 e c'è anche il rischio di uno spostamento nella sede ex
Inpdap di via Ghiberti». Il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, negli scorsi mesi, anche da Trieste, aveva
parlato di 3 mila nuove assunzioni, «ma, evidentemente - come ha sottolineato Motta - non in Fvg, o
almeno molto marginalmente, dato che i nuovi assunti nella nostra regione sono appena venti, nessuno dei
quali destinato alla sede di Trieste».«Viene da pensare - ha rincarato la dose Sincovich - che l'obiettivo,
anche mal celato, sia quello di rendere il Fvg una dependance del vicino Veneto, realtà regionale per la
quale sono previste 270 new entry» . Ora, ha concluso Sincovich, «convocheremo il prefetto, la Regione, il
comune, i parlamentari regionali e, perché no, Generali e Fincantieri per tentare arrestare questa ulteriore
manovra di declassamento della sede Inps del capoluogo e del peso del Fvg» .

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Sportelli, agenzie private e "sommerso". L'ascesa senza freni del business badanti (Piccolo Trieste)
Micol Brusaferro - Cresce a Trieste il business del settore badanti, tra domanda in costante aumento e corsa
ad accaparrarsi i clienti, anche attraverso agenzie private. Un mercato sempre più vivace, nel quale però c'è
ancora una grande fetta di "sommerso", protagonista soprattutto chi ricorre al web per trovare la soluzione
alla propria richiesta, con la paura di pratiche complesse o onerose per la regolarizzazione. A confermare la
tendenza è l'assessore regionale al Lavoro Alessia Rosolen, che ricorda come a breve saranno potenziati gli
sportelli Si.Con.Te, preposti proprio a far incontrare in modo efficace domanda e offerta. Al momento,
osservando gli ultimi dati disponibili, relativi al 2018, 1254 famiglie si sono rivolte agli uffici regionali, a
fronte di 2504 assistenti che hanno dato la propria disponibilità. Oggi gli sportelli che offrono servizi gratuiti
alle persone che cercano o che offrono lavoro nel settore, sono avviati a Trieste, Gorizia, Udine, Pordenone
e Monfalcone. Da giugno verrà incrementato il personale e saranno aperte una volta a settimana anche le
sedi di Tolmezzo e San Vito al Tagliamento. «La novità più importante - spiega Rosolen - è che renderemo
gli sportelli strutturali, finora infatti erano considerati una sperimentazione, realizzata con fondi europei. La
Regione, attraverso una recente mozione, ha approvato la decisione di inserirli all'interno dei centri per
l'impiego. Sulla presenza ancora di tanti lavoratori "in nero" - aggiunge - pesano diversi fattori, di sicuro la
non conoscenza degli strumenti, anche se la comunicazione è diventata sempre più efficace, e poi il timore
che la regolarizzazione abbia costi elevati. In realtà non è così. È importante però considerare anche un
altro aspetto: quando una persona entra in una famiglia deve avere determinate qualifiche, che
garantiscono sicurezza e qualità nell'assistenza, in particolare se si tratta di persone malate. È un messaggio
fondamentale, che deve arrivare a tutti». E scorrendo gli annunci che fioccano su web, social o bacheche
pubbliche, spicca proprio la mancanza di una professionalità specifica. Molti spiegano di aver fatto per anni
pulizie nelle abitazioni, e di rendersi disponibili ora anche come badanti. Altri ammettono che non sono
capaci di accudire persone con problemi di salute o disabilità, ma si offrono comunque per piccole mansioni
quotidiane o per affiancare anziani rimasti soli. A cavalcare l'onda del boom di candidature a badanti, c'è
poi il proliferare, soprattutto a Trieste, di agenzie private, che si offrono come punto di riferimento per
reperire personale sul territorio. «Ne sono sorte tantissime negli ultimi tempi, ma c'è da dire che non tutte
sono accreditate - precisa Rosolen -, quindi non sempre hanno le garanzie previste dalla normativa
nazionale, che regola l'intermediazione. Bisogna prestare attenzione a questo dettaglio, oltre che alla
valutazione sull'operato del singolo ufficio che propone il servizio». Le pubblicità online e in città sono
tante, destinate ad aumentare ancora nei prossimi anni in un ambito che, secondo Rosolen, va monitorato
con attenzione. «Crescendo l'età media, i servizi alla persona - conclude l'assessore - sono uno degli asset
economici del futuro, è qualcosa su cui riflettere e lavorare costantemente».

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Il mondo delle coop lancia l'allarme. In un anno 5 chiusure e operatori in calo (Piccolo Go-Monf)
Francesco Fain - Sessantaquattro cooperative, 57 milioni di euro di ricavi, 870 addetti che diventano 1.144
contando le tre banche di credito cooperativo con sede nell'Isontino.È il quadro che delinea l'Unione
provinciale cooperative, storica realtà che riunisce le coop isontine, associate a "Confcooperative". Una
realtà estremamente ramificata in diversi settori dell'economia provinciale, con un peso particolare nel
welfare (tra le cooperative sociali si concentrano infatti il 59% degli occupati), a conferma della accentuata
vocazione solidaristica della cooperazione nell'Isontino.Ma non è un momento facile per il settore che,
nell'ultimo quadriennio, ha vissuto un calo sia nel numero delle imprese sia in quello di addetti e fatturato
globale. In un solo anno hanno chiuso 5 realtà.A tracciare il bilancio il presidente Mauro Perissini, da 4 anni
alla guida dell'associazione. «Le cooperative hanno diffusamente affrontato questo quadriennio con
l'obiettivo, ovunque, di preservare quanto più possibile occupazione e reddito dei propri soci: una precisa
volontà "mutualistica", come si dice in gergo da cooperatori, che è uno dei tratti che definiscono questa
particolarissima forma d'impresa che andrebbe rivalutata, come si faceva forse di più un tempo sin dai
tempi di don Faidutti e altri pionieri della cooperazione isontina ai primi del '900». Soluzioni? Perissini
guarda avanti e sottolinea il contributo che le coop potrebbero dare al consolidamento
dell'economia.«Negli ultimi anni c'è stato un moltiplicarsi di forme societarie molto agili e snelle, di poco
costo di avviamento, che hanno sicuramente catalizzato e attratto le attenzioni di molti, giovani e non. C'è,
però, il rischio concreto di una solitudine imprenditoriale che al primo vento di tempesta fa ammainare le
vele. Non servirebbero invece imprese più solide?». Anche per questo Confcooperative sta moltiplicando i
progetti in collaborazione con diversi istituti scolastici. «Facciamo conoscere il modo di fare cooperativo,
all'insegna del principio "in più è meglio". E in seconda battuta facciamo conoscere cos'è un'impresa
cooperativa, anche attraverso simulazioni d'impresa svolte a scuola. I ragazzi rispondono bene, e in alcuni
istituti lavoriamo con soddisfazione».E per far riprendere slancio all'economia cooperativa si punta anche a
potenziare i servizi alle imprese. «Una scelta strategica, in verità comune ad altre organizzazioni
imprenditoriali e sindacali, che ci porta sempre di più verso una dimensione territoriale più ampia di quella
provinciale delle strutture, per meglio gestire la qualità dei servizi e la loro specializzazione. Anche le
cooperative, nonostante alcuni stereotipi duri a morire, sono imprese assai diversificate, specializzate, e le
associazioni che le rappresentano evolvono di conseguenza. Guardare in grande e uscire dal localismo è
una lezione anche per il sistema economico isontino nel suo complesso».

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La Compagnia portuale si allarga. Porta una gru e chiede magazzini (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Giulio Garau - Cominciano a vedersi le prime novità economiche nel porto di Monfalcone che da gennaio è
passato in gestione all'Autorità di sistema portuale del mare Adriatico Orientale. La Compagnia portuale
annuncia infatti un nuovo piano industriale e investimenti: si punta a una diversificazione dei traffici, verrà
spostata una gru da Trieste ed è stato chiesta alla stessa Authority la disponibilità di nuovi magazzini coperti
nelle aree dove opera in prevalenza la Compagnia portuale.Il nuovo piano industriale, spiega l'azienda,
prevede un incremento dei traffici nel porto di Monfalcone non solo nei settori tradizionali dei prodotti
siderurgici e forestali. Proprio parlando di queste due tipologie arriveranno nuovi prodotti (in particolare
per una nuova area siderurgica della regione) e ci sarà una diversificazione logistica oltre che
merceologica.Ma la novità più rilevante riguarda lo spostamento da Trieste a Portorosega, dove opera la
Compagnia con più di 70 dipendenti diretti (oltre ai lavoratori ex articolo 17, circa il 40% degli avviamenti
totali), della gru mobile Liebherr-Lhm 550 che era stata portata provvisoriamente nello scalo triestino.
L'imponente gru sarà spostata probabilmente a inizio primavera. La compagnia oltre a questo ha chiesto,
come detto, nuovi magazzini coperti all'Autorità di sistema, nelle aree di fronte alle banchine dove
opera.«Se all'orizzonte potrebbero prospettarsi necessità di incremento degli spazi a disposizione anche nel
settore dei prodotti siderurgici - spiega una nota dell'azienda - già i risultati del 2019, archiviato in questi
giorni, confermano la precisa volontà di attuare una nuova fase di sviluppo». Un anno, il 2019, che si è
chiuso con un bilancio in chiaroscuro per quanto riguarda i traffici. L'anno scorso infatti tra imbarchi e
sbarchi la Compagnia portuale ha movimentato 2,7 milioni di tonnellate di merce con una lieve flessione
del 2,6% dovuta essenzialmente ai traffici di cellulosa che hanno registrato un trend negativo del 15%
rispetto al 2018, con una flessione che si attesta sulle 138 mila tonnellate.«L'andamento del mercato - ha
sottolineato il capitano Giancarlo Russo, presidente e amministratore delegato della Compagnia portuale -
rende positive le previsioni per il futuro, spingendoci a premere sull'acceleratore dello sviluppo sicuri di un
produttivo confronto con l'Autorità di Sistema Portuale che dal primo gennaio ha la governance anche del
Porto di Monfalcone per il sistema Mar Adriatico Orientale, nel pieno rispetto della L. 84/94 ed anche
mediante la distribuzione intermodale nell'ottica del sistema portuale e della sostenibilità urbana ed
ambientale, mettendo a frutto l'aiuto e l'attenzione al cluster marittimo-portuale previsto dalla Regione e
dall'amministrazione Comunale di Monfalcone».Uno sviluppo dei traffici che si spera sia alimentato in
futuro anche dai lavori di approfondimento del canale di accesso al porto dopo l'escavo che dovrebbe
portare la profondità del canale a 12 metri e mezzo. Sono decenni che si attende l'infrastrutturazione del
canale che deve essere dragato, ma finora tra bocciatura dei progetti, stop per problemi ambientali dovuti
alla stessa progettazione e alle conseguenze sulla cassa di colmata non è partito nemmeno l'ombra di un
cantiere e non si ha notizia del via nonostante il bando di gara già eseguito dalla Regione con sei aziende in
lizza. L'unico lavoro che è stato svolto, tra mille difficoltà per le questioni dei fanghi e delle procedure
ambientali con le relative autorizzazioni (e anche qui con più interventi da parte della Procura della
Repubblica e conseguenti sequestri) è stata la manutenzione del canale con il livellamento dei mammelloni
che ha permesso di restituire le profondità originarie soprattutto agli accosti della banchina.

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