RASSEGNA STAMPA CGIL FVG - mercoledì 8 gennaio 2020

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – mercoledì 8 gennaio 2020

(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)

ATTUALITÀ, REGIONE, ECONOMIA (pag. 2)
Safilo, una trattativa in salita. Resta lo stop a Martignacco (M. Veneto)
Accoglienza diffusa nelle case di Trieste. Spunta un'offerta, ma arriva da fuori (Piccolo, 3 articoli)
Viaggio nella centrale unica di emergenza: oltre seicentomila chiamate in un anno (M. Veneto)
Cibi e bevande, l'export dal Friuli vale 780 milioni ed è in aumento (M. Veneto)
CRONACHE LOCALI (pag. 6)
Assemblea infuocata e accuse in Ferriera. In bilico il sì all'accordo (Piccolo Trieste, 3 articoli)
Torna la pace sulle banchine. Accordo tra portuali e Agenzia (Piccolo Trieste)
Cantiere di un anno per l'asilo Fincantieri. All'interno spazio dove insegnare l'italiano (Piccolo Go-Mo)
Cassa integrazione prorogata: 5 mesi in più al Mercatone Uno (M. Veneto Udine e Pordenone)
Procura, il grido d'allarme di De Nicolo: «Senza personale si va verso la paralisi» (Mv Udine)La crisi
colpisce in tutti i settori: l'anno scorso altri 62 fallimenti (M. Veneto Udine)
Aumenta l'età media. Piano case di riposo: viaggio a due velocità (M. Veneto Pordenone)

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ATTUALITÀ, REGIONE, ECONOMIA

Safilo, una trattativa in salita. Resta lo stop a Martignacco (M. Veneto)
Maura Delle Case - Fumata nera al tavolo Safilo e brutte notizie confermate per lo stabilimento di
Martignacco, dove lavorano 235 persone. Dopo un incontro fiume, iniziato alle 10 del mattino e terminato
a pomeriggio inoltrato, vertici aziendali e parti sociali si sono congedati ieri con un nulla di fatto. Niente di
strano trattandosi di un primo incontro. «È normale, ci si annusa», ha commentato di rientro da Padova il
segretario regionale di Filctem Cgil, Andrea Modotto, riportando le posizioni dell'una e dell'altra parte. Le
stesse di qualche settimana fa, quando il piano industriale approvato dal consiglio di amministrazione del
gruppo dell'occhiale ha guastato il Natale dei suoi lavoratori, investiti dalla notizia choc di 700 esuberi, 235
dei quali nello stabilimento di Martignacco, 400 in in quello di Longarone. Sulla necessità di chiudere il sito
friulano e di ridurre drasticamente la forza lavoro ieri l'azienda non ha fatto alcun dietrofront. «I dirigenti al
tavolo hanno confermato pari pari il piano già presentato e la necessità di chiudere la fabbrica
dell'hinterland udinese, lasciando a casa i suoi 235 dipendenti», ha spiegato Modotto, precisando poi la
posizione, altrettanto irremovibile, del sindacato che unitariamente ha chiesto l'attivazione del Contratto di
solidarietà, strumento utile a tenere agganciati all'azienda i lavoratori e dar tempo di trovare una soluzione
che sia con Safilo o con un potenziale investitore disposto a rilevare lo stabilimento. «L'azienda non è
arretrata d'un passo - ha aggiunto il sindacalista di Cgil -. Dicono che in Friuli non sono in grado di attivare
un Contratto di solidarietà perché mancano i volumi produttivi, noi respingiamo la risposta al mittente: nel
corso dei prossimi incontri andremo ad analizzare nel dettaglio il piano industriale e a ricercare ogni
possibile soluzione alternativa». Ieri si sono dunque consumate le scaramucce iniziali. Per la battaglia vera e
propria bisognerà aspettare. Non molto, per la verità. «Il prossimo incontro è già stato fissato per venerdì,
quando torneremo a Padova per discutere con l'azienda della sola situazione di Martignacco», ha fatto
sapere dal canto suo Pasquale Lombardo (Femca Cisl), presente a Padova insieme al collega di Filctem, a
Nello Cum (Uiltec) e ai delegati Rsu. Sarà un passaggio ulteriore, si spera dirimente, in vista del successivo
dell'approdo al Mise, il prossimo 16 gennaio. «L'azienda ha cercato di farci vedere solo cose positive. Ma di
positivo in questo piano non c'è nulla. Si parla esclusivamente di esuberi», ha denunciato ancora Modotto.
Un prezzo altissimo per le maestranze, che in Friuli il piano destina tutte al licenziamento: 235 persone
"condannate", sulla carta, a restare senza lavoro. Per lo più donne, molte monoreddito, spesso da una vita
in Safilo. La vertenza rischia d'essere una bomba sociale. I sindacalisti sottolineano l'importanza dei tavoli di
confronto con le Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, «propedeutici - si legge nel comunicato diramato
unitariamente dalle segreterie generali di Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec ieri - al fine di rendere disponibili
tutti gli strumenti territoriali. In vista dell'incontro al Mise la situazione dovrebbe restare sospesa. Oggi i
lavoratori torneranno al lavoro dopo la pausa natalizia. Nessuna lettera di licenziamento dovrebbe essere
spedita, non almeno fino al prossimo incontro al ministero dello sviluppo economico. Nell'attesa, lavoratori
e parti sociali restano in allerta: lo stato di agitazione ieri è stato confermato, così come il blocco degli
straordinari e della flessibilità».

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Accoglienza diffusa nelle case di Trieste. Spunta un'offerta, ma arriva da fuori (Piccolo)
Andrea Pierini - Dopo tre tentativi andati male è stata finalmente depositata una proposta per il servizio di
gestione dell'accoglienza diffusa a Trieste, bandito dalla Prefettura. E quasi certamente arriva da fuori
regione. Scadeva infatti ieri alle 12 il termine ultimo per partecipare alla gara che prevede una copertura
finanziaria stimata di 10,9 milioni di euro per 24 mesi per l'accoglienza in appartamento di una media di 700
richiedenti asilo. Attualmente sono Ics e Caritas a garantire i posti per i migranti che sono arrivati in Italia e
che sono in attesa di completare il percorso per la richiesta di asilo. I due gestori stanno proseguendo il
servizio in regime di proroga visto che i primi due bandi erano andati deserti e che non era andata a buon
fine neanche la contrattazione diretta con la Prefettura. L'ente aveva quindi deciso, il 25 novembre, di
presentare un nuovo bando, basandosi sempre sul capitolato promosso dall'ex ministro dell'Interno Matteo
Salvini, che riduce il costo medio per migrante da 35 a 21,5 euro. Proprio sugli importi l'Ics aveva
presentato un ricorso al Tar del Lazio per contestare l'impossibilità di garantire un servizio adeguato alle
persone e per questo, insieme alla Caritas, ha deciso di non partecipare al bando. Non essendoci altre
realtà che possono partecipare alla gara a Trieste e, come annota lo stesso presidente Ics Gianfranco
Schiavone, neanche in Friuli Venezia Giulia, è quasi certo che l'unica offerta sia stata quindi depositata da
un operatore in arrivo da fuori regione. Oggi alle 12 l'apposita commissione aprirà l'offerta pervenuta e, se
questa sarà ritenuta accoglibile, nei prossimi giorni assegnerà un punteggio che prevede un massimo di 70
punti per la parte tecnica e di 30 per quella economica. Secondo le previsioni della Prefettura ci sarà da
sostenere una media di 700 migranti al giorno sul territorio, un numero che in determinati momenti potrà
aumentare al massimo del 50%, con un turnover ripetuto quattro volte in due anni: in sostanza, è prevista
l'accoglienza di 2.800 richiedenti asilo in 24 mesi. L'unico importo non assoggettabile a ribasso è quello che
fa riferimento al "pocket money" di 2,5 euro al giorno, fino a un massimo di 7,5 euro per nucleo familiare, e
alla tessera telefonica da cinque euro una tantum, per un valore totale di un milione e 291.500 euro.
L'offerta è così modulabile per quanto riguarda i 420 mila euro per la fornitura del kit all'arrivo del migrante
(vestiario e beni per l'igiene personale) e i nove milioni e 198 mila euro che derivano dal costo unitario di
ogni singolo richiedente asilo che il Viminale ha stimato in 21,35 euro al giorno così articolato: per il
personale la spesa quotidiana pro capite è di 7,40 euro, il servizio di trasporto ha un "plafond" di 60
centesimi, cinque euro invece è quello per le derrate alimentare articolate su tre pasti al giorno, mentre
valgono 46 centesimi la fornitura di beni monouso e utensili di cottura e 11 quella di attrezzature per le
pulizie di stoviglie, per il lavaggio degli indumenti e per le pulizie ambientali. Il trasporto e la consegna dei
beni, ancora, è stimato in 50 centesimi mentre per l'affitto, l'arredamento, la manutenzione
dell'appartamento e le utenze ogni migranti ha un budget di 3,93 euro. Fin qui il totale del costo medio
giornaliero è di 18 euro, cui però si aggiungono come detto la "pocket money" e la scheda telefonica da
cinque euro, oltre che il kit di primo ingresso da 150 euro: queste ultime due "voci" sono considerate una
tantum e dunque vanno suddivise per i sei mesi che si stima un richiedente asilo impieghi per il
completamento del percorso di riconoscimento del diritto a essere ospitato nell'Unione europea. Per
quanto concerne il personale i numeri sono regolamentati da una tabella che prevede ogni 50 posti un
operatore diurno per otto ore al giorno, un assistente sociale sei ore alla settimana e i servizi di mediazione
linguistica e informazione normativa rispettivamente per dieci e tre ore alla settimana. Secondo Schiavone
le condizioni proposte sono «inaccettabili»: «Con questo capitolato si apre l'accoglienza diffusa al mercato
della malavita organizzata. Auspichiamo che nelle prossime settimane arrivi a sentenza anche il Tar del
Lazio». A bocciare questo tipo di bandi per l'accoglienza diffusa, uguali in tutte le prefetture, anche lo
studio di ActionAid e Openpolis, che parla di contrazione dei diritti dei migranti, di penalizzazione
dell'accoglienza diffusa e di totale mancanza di programmazione sul tema.
«Nel capoluogo flusso monitorato, ma la guardia non va abbassata»
Gara da oltre cinque milioni per i centri collettivi da 50 posti testi non disponibili

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Viaggio nella centrale unica di emergenza: oltre seicentomila chiamate in un anno (M. Veneto)
Maura delle Case - C'è chi il primo gennaio ha lavorato come qualsiasi altro giorno dell'anno. Seduto alla
sua postazione in attesa che il telefono squilli, al ritmo di una chiamata e più al minuto. È il caso degli
operatori in forze alla Centrale unica di emergenza - 112, ospitata all'interno del quartier generale della
Protezione civile a Palmanova, di cui può ben dirsi il cuore pulsante.Le sue porte si apriranno in via
straordinaria sabato 11 per ospitare il nuovo appuntamento della community Noi Messaggero che porterà
60 lettori alla scoperta del Nue.Una macchina delicata e complessa che ogni giorno riceve migliaia di
chiamate e le reindirizza poi, valutato il tipo di emergenza, al 118, a Polizia, Carabinieri o ancora Vigili del
fuoco. Il viaggio dei lettori all'interno del 112 inizierà dalla sala ottagonale, dove verranno accolti e
potranno scoprire, grazie a dalle slide preparate allo scopo, cosa significano in Friuli Venezia Giulia
Protezione civile e numero unico delle emergenze. Noi l'abbiamo chiesto al direttore del 112 regionale,
Nazzareno Candotti, che ci ha dato in anteprima un assaggio di quello che i lettori potranno scoprire di
persona sabato mattina. «Sono quasi 3 anni che il 112 è stato attivato in Friuli Venezia Giulia. È entrato in
funzione infatti a marzo 2017» ricorda Candotti. Una rivoluzione... «Lo è stata, anche se a dirla tutta, l'Italia
era inadempiente rispetto alle indicazioni dell'Europa che aveva indicato il 2008 come l'anno in cui gli Stati
membri avrebbero dovuto adeguarsi».Il Fvg è stato la seconda regione d'Italia ad attrezzarsi in tal senso,
dopo la Lombardia. «Il primo anno abbiamo ricevuto e gestito 570mila chiamate, che nel 2018 sono salite a
624 mila per restare l'anno scorso sopra le 600 mila unità» continua il direttore che numeri alla mano fa
bene comprendere quale impressionante mole di lavoro e tensione pesi sulle spalle dei 35 operatori in
forze al Nue, al lavoro su tre turni per garantire risposte celeri ed efficaci, 24 ore su 24. Una bella
responsabilità. «Il primo gennaio abbiamo ricevuto 1.800 chiamate, nei mesi estivi arriviamo a 2.800, che
significa 116 all'ora, 2 al minuto, per cinquanta secondi di durata media ognuna: il nostro personale è in
costante attività» rileva Candotti sottolinenando la delicatezza della mansione.L'operatore del Nue deve
infatti localizzare la richiesta d'aiuto e individuare la tipologia di soccorso richiesto, per poi reindirizzare
correttamente la chiamata al soggetto più indicato a intervenire. Il tutto nel minor tempo possibile, perché
in situazioni di emergenza ogni secondo è prezioso. «Molta parte dei 465.000 indirizzi che abbiamo in Fvg è
georiferito, per quella restante stiamo lavorando. È uno dei nostri compiti - assicura il direttore -. Come lo è
il filtraggio delle chiamate perché circa la metà di quelle che riceviamo sono "spurie". Anziché passarle al
successivo le gestiamo direttamente cercando di fornire loro una risposta. Ci chiedono dal numero del
veterinario a quello della guardia medica».Il compito più difficile con cui si misurano centinaia di volte al
giorno gli operatori è gestire l'ansia di chi chiama, perché il panico, dall'altra parte del "filo", la fa
generalmente da padrone. «Le persone sono in ansia e spesso faticano a dire con esattezza dove si
trovano» fa sapere Candotti e questo complica tutti i passaggi. «In questo senso un piccolo, grande aiuto ci
viene dall'Applicazione "Where are you" che invito tutti a scaricare. È un regalo, a costo zero, che facciamo
a noi stessi. Pigiando pochi pulsanti, la App consente infatti di individuare con esattezza la nostra posizione
e la tipologia di soccorso richiesto. In presenza di ladri mi permette di fare una conversazione muta, di far
sapere che siamo in difficoltà e di farci individuare. Se abbiamo una disabilità è altrettanto efficace.
Insomma, scarichiamola tutti».

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Cibi e bevande, l'export dal Friuli vale 780 milioni ed è in aumento (M. Veneto)
Maurizio Cescon - Le etichette-semaforo su cibi e bevande, il cosiddetto "Nutriscore", mette in allarme un
settore che, in Friuli Venezia Giulia, vale da solo circa 780 milioni di euro (390 milioni nel semestre gennaio-
giugno) di esportazioni e dà lavoro a più di 8.500 addetti, la metà dei quali in provincia di Udine. Insomma
la ventilata introduzione, nei Paesi dell'Unione europea, del bollino che indica se un cibo è più o meno
salutare, potrebbe davvero creare seri danni ai "campioni" del made in Friuli, dal crudo di San Daniele al
Montasio, passando per gli altri insaccati.A testimonianza del valore del comparto, ci sono i dati
dell'indagine congiunturale elaborata dall'Ufficio studi di Confindustria Udine. Nei primi 9 mesi del 2019, in
controtendenza con l'andamento generale delle attività manifatturiere (-1,5%), l'industria alimentare
italiana ha, rispetto allo stesso periodo del 2018, un aumento nella produzione del +3,2%. Questi dati sono
frutto di un export alimentare che continua a essere il fattore trainante del settore: +5,5% tra gennaio e
luglio 2019, a fronte di consumi interni stagnanti. L'industria alimentare e bevande del Friuli Venezia Giulia
con i suoi 8.514 addetti e le 1.150 aziende (sedi di impresa e filiali) al 30 settembre 2019 rappresenta
rispettivamente il 7,3% e il 9,5% del totale dell'industria manifatturiera regionale e pesa per il 7,5% del
valore aggiunto manifatturiero regionale. In provincia di Udine il peso dell'industria alimentare e bevande è
ancora maggiore, raggiungendo l'8,3% degli addetti e il 10,3% delle imprese manifatturiere. Rispetto al 30
settembre 2018, gli occupati in regione e in provincia di Udine sono cresciuti rispettivamente del 2,2% e
dello 0,3%.Le esportazioni di prodotti alimentari del Friuli Venezia Giulia nel 2018, nel confronto con il
2017, hanno segnato una leggera flessione, -0,4%, passando da 627 a 624 milioni di euro. In crescita del
+2,5% l'export delle bevande, che aumentano da 138 a 141 milioni di euro. Il primo Paese di destinazione
delle esportazioni dell'intero comparto è la Germania, con 145 milioni di euro (-0,5% rispetto al 2017).
Seguono Stati Uniti (+2,3%), Francia (+6,9%), Austria (-6,7%), Regno Unito (-19,2%), Croazia (+37,6%) e
Slovenia (-3,9%). Il settore si posiziona ben oltre i livelli pre-crisi (765 milioni di euro nel 2018 contro i 503
milioni del 2007). Rimbalzano le vendite all'estero nel primo semestre 2019: +6,7% i prodotti alimentari (da
292 a 312 milioni di euro), +9,4% le bevande (da 68 a 74 milioni di euro). L'export verso la Germania è
cresciuto del +6,1% (da 72 a 76 milioni di euro). In aumento anche le esportazioni verso la Francia, +7,1%, il
Regno Unito, +7,5%, Croazia, +11,5%. In calo verso Austria, -15,5%, e Stati Uniti, -6,4%. A Udine (dove si
esporta oltre il 40% del totale regionale), sempre nel 2018, la contrazione delle vendite all'estero è stata
maggiore: -3,9% i prodotti alimentari (da 266 a 255 milioni di euro), -1,6% le bevande (da 56 a 55 milioni di
euro). Ma è chiaro come da tutti questi numeri l'importanza strategica dell'industria alimentare friulana sia
evidente.

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CRONACHE LOCALI

Assemblea infuocata e accuse in Ferriera. In bilico il sì all'accordo (Piccolo Trieste)
Diego D'Amelio - La fabbrica è lacerata. La maggioranza dei sindacati schierata per il sì all'accordo con
Siderurgica Triestina faceva immaginare un facile via libera da parte dei lavoratori della Ferriera, ma
l'assemblea dei dipendenti tenutasi ieri a Servola si è svolta in un clima infuocato, con accuse reciproche
all'interno della Rsu e non poche contestazioni degli operai alle sigle favorevoli. I pronostici sono andati a
farsi benedire e bisognerà attendere lunedì affinché lo spoglio delle schede dica se le maestranze
accetteranno le condizioni stabilite al tavolo del ministero dello Sviluppo economico o chiederanno la
riapertura della trattativa. Ammesso che l'azienda voglia anche soltanto considerare questa seconda ipotesi
e non si orienti invece per andare avanti a prescindere. La riunione comincia attorno all'una e si protrae per
tre ore. La sala è gremita, come non lo era da venticinque anni in qua. L'accordo è presentato dal segretario
provinciale della Uilm Antonio Rodà, sostenuto con successivi interventi da Umberto Salvaneschi (Fim Cisl),
Cristian Prella (Failms) e Sasha Colautti (Usb). Sono i rappresentanti dei quattro sindacati favorevoli alla
stipula dell'accordo, nella convinzione che la proprietà non sia disposta a riconoscere niente più di quanto
contenuto nel testo. Di tutt'altro avviso la Fiom, che con Marco Relli e Thomas Trost definisce le garanzie
poco chiare e insoddisfacenti, invitando l'assemblea al no nella speranza che la società stia bluffando e che
accetterà di riaprire il confronto. La divisione è plastica anche visivamente, con i sindacalisti dei fronti
opposti seduti in due tavoli diversi e un vistoso vuoto nel mezzo. La situazione in fabbrica è esplosiva. Due
lavoratori sfiorano la rissa nel corso dell'assemblea e contestazioni anche pesanti arrivano all'indirizzo dei
sindacati favorevoli da parte di alcuni lavoratori dell'area a caldo. Particolarmente bersagliati sono gli
autonomi della Failms (tre rappresentanti su sei nella Rsu), ritenuti troppo morbidi nei mesi passati. Ma
non mancano critiche neppure alla Fiom per la scelta di abbandonare il tavolo romano senza partecipare
alla stesura del documento finale. E, ancora, si registra un nuovo scontro tra Uilm e Fiom, per la diffusione
da parte di quest'ultima di una versione ancora non definitiva dell'accordo. Parlare con i lavoratori
all'entrata non è un metodo statistico, ma prima della riunione la maggioranza dei dipendenti interpellati
dai giornalisti risponde di essere contraria all'accordo. All'uscita le facce sono più dubbiose e molti
ritengono di non avere ancora sufficienti elementi per valutare la bontà o meno della proposta. Fatto sta
che il sì sembra minoritario e lo si capisce anche dalle facce e dalle dichiarazioni dei sindacalisti all'uscita
dalla riunione, dove speravano in un'altra accoglienza. I lavoratori voteranno domani, venerdì e lunedì,
quando avverrà lo spoglio del referendum. I dipendenti si arrovellano sui contenuti dell'intesa, che
recepisce il piano di riconversione da 180 milioni presentato da Arvedi e promette esuberi zero. In realtà le
uscite previste sono 163, fra interinali trasferiti in altre aziende, prepensionamenti e rinunce volontarie
incentivate. Dubbi fra gli addetti sollevano anche l'assenza delle istituzioni (pur chiamate in causa nel testo)
e le tempistiche, perché in molti considerano due anni di cassa integrazione insufficienti a coprire i tempi
della riconversione. Nel frattempo l'azienda gioca la sua parte nella campagna elettorale: di ieri la
diffusione della lettera scritta ai sindacati, in cui Siderurgica Triestina ribadisce i suoi impegni, ovvero 346
euro di maggiorazione mensile alla cassa integrazione, un'integrazione economica per i pensionandi pari a
1.175 euro lordi ogni mese di Naspi e un incentivo all'uscita da 28 mila euro lordi per chi volesse lasciare il
posto di lavoro. Ma le incertezze maggiori sono sulle conseguenze della propria scelta nel referendum,
perché il no non obbliga Siderurgica a sedersi nuovamente al tavolo e il sì non viene percepito come una
sicurezza rispetto a un piano industriale che praticamente tutti i lavoratori intervistati considerano poco
concreto. Prima dell'assemblea il "no" è il sentimento prevalente. Per Marco, «tante promesse e nessuna
certezza, tanto più che i sindacati firmatari non ci hanno nemmeno mostrato l'accordo». La rabbia è tanta:
«Mandano a f...... 600 famiglie - si scalda Dario - dandoci 900 euro di cassa. Non faremo la spesa: il danno è
per tutta la città. A 58 anni io poi dove vado fra due anni? Sto all'opposto della Fiom, ma voto no». Una

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signora porta il pranzo al figlio turnista: «Dipiazza li prende tutti in Comune? Cominci ad allargare il
municipio e si vergogni». Due operai entrano assieme in fabbrica: «I sindacati per il sì fanno solo promesse,
ma ci fregheranno. E intanto Fedriga non lo abbiamo mai visto». Votano no anche due giovani del
laminatoio «anche se abbiamo il posto sicuro», ma nell'area a freddo c'è anche chi il lavoro sta per
perderlo, come Axl: «Sto mandando in giro il curriculum. Voto no per i colleghi che restano». Chi la pensa
all'opposto è mosso non da fiducia nella riconversione, ma dalla speranza di ottenere qualcosa in più nel
mentre. «Se vince il no - dice Luca - la chiusura arriva lo stesso ma non ci sarà copertura della cassa
maggiorata». Fabrizio è pure lui a favore: «Le prospettive sono queste e di meglio non c'è, ma fra due anni
che succede visto che saremo in alto mare con i lavori? Prendiamoci almeno le certezze che ci sono nel
mezzo». Ma i dubbi sono forse la posizione prevalente: «Non ho capito niente - dice un operaio uscendo
dall'assemblea - e l'unica cosa che so è che ho cinque figli da sfamare». E un lavoratore di origine balcanica:
«Ho comprato casa due mesi fa. E adesso?».
Confindustria Alto Adriatico a due facce. Dal gelo di Razeto al via libera di Agrusti
Un presidente e un presidente in pectore con posizioni diverse sulla riconversione della Ferriera. È quanto
accade nella nascente Confindustria Alto Adriatico, dove il responsabile della Venezia Giulia Sergio Razeto si
è sempre mostrato a dir poco freddo verso lo spegnimento dell'altoforno, mentre l'omologo pordenonese
(e futuro presidente post fusione) Michelangelo Agrusti apre senza troppi patemi alla fine della siderurgia a
Trieste. Per Agrusti, «la chiusura dell'area a caldo senza prospettive di reimpiego e sviluppo ha sempre visto
contraria Confindustria, ma oggi abbiamo fuori dall'uscio la disponibilità di Fincantieri e registriamo la forte
evoluzione di Trieste, basata su poli di ricerca, tecnologia avanzata e turismo. Una vocazione alla scienza e
alla congressistica che vedremo anche in occasione di Esof 2020». Agrusti suona il requiem per l'industria
pesante in città: «Oggi ha meno significato per Trieste di quanto potesse averne anche solo cinque anni fa e
bisognava da tempo porsi il tema di un'acciaieria che sorge nel cuore della città. Il problema è la
salvaguardia dei lavoratori: serve formazione per riqualificarli e l'area a caldo non deve fare la fine di
Bagnoli a Napoli. Occorrono una dismissione e una riconversione che vada di pari passo, con un
cronoprogramma preciso e una nuova destinazione d'uso che dovrà essere collegata ad aspetti di sviluppo
economico industriale»...
La proprietà: «Senza l'ok trasferimenti in altre sedi». Regione sotto attacco
La spaccatura fra i lavoratori prende in contropiede l'azienda e i sindacati favorevoli all'accordo. Siderurgica
Triestina rompe il riserbo con una nota ufficiale tesa a orientare il voto e ribadire la chiusura al primo
febbraio, che la giunta regionale respinge invece con forza, incassando le critiche dei rappresentanti dei
lavoratori per una gestione della trattativa ritenuta contraddittoria. La sassata la tira il gruppo Arvedi, dopo
le prime indiscrezioni sul tenore dell'assemblea. «Nel luglio 2019 - recita il comunicato della società - la
Regione ha comunicato all'azienda la volontà di chiudere l'area a caldo. L'azienda ha comunicato alle
istituzioni che la produzione sarebbe terminata entro febbraio 2020, al fine di minimizzare i rischi per la
sicurezza dei lavoratori». Siderurgica sottolinea che «il ministro ha prodigato i necessari sforzi per arrivare
alla chiusura dell'Accordo di programma e attendiamo la convocazione a ore per la definizione degli ultimi
punti e la firma. L'accordo sindacale ne è parte integrante». E qui arriva forte e chiaro il messaggio ai
dipendenti: «Nel caso in cui l'accordo sindacale non fosse approvato dall'assemblea dei lavoratori, l'area a
caldo chiuderebbe nei tempi previsti, ovvero entro febbraio 2020, e i lavoratori avrebbero come unica
tutela la riassunzione presso altre aziende del gruppo Arvedi. Non vi sarebbe infatti Accordo di programma
e il conseguente piano di riconversione non avrebbe luogo»...

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Torna la pace sulle banchine. Accordo tra portuali e Agenzia (Piccolo Trieste)
Massimo Greco - Sì a un minimo di 20 chiamate mensili, sì a un nuovo responsabile operativo dell'Agenzia,
sì a un tavolo negoziale da convocare per mercoledì 15 gennaio. Torna così la pace in banchina dopo la
protesta indetta dal Coordinamento lavoratori portuali Trieste (ClpT), che hanno rilevato un forte calo degli
avviamenti dovuto all'eccessivo ricorso allo straordinario da parte dei terminalisti, in particolare di Tmt
(Molo VII) e di Seaway (Riva Traiana). Ieri sera, all'ora dell'aperitivo, la situazione si è finalmente sbloccata,
defluendo lungo due momenti di confronto, il primo avvenuto in mattinata davanti alla Torre del Lloyd, il
secondo nel pomeriggio alle 16.30. Si rammenta che il Coordinamento rappresenta più di metà degli
addetti iscritti all'Agenzia del lavoro portuale (Alpt), 107 su 192: si tratta dei cosiddetti "articoli 17" (con
riferimento alla legge 84/1994) che costituiscono il serbatoio di manodopera cui attingere nei casi di picchi
operativi. La tensione sociale era stata provocata da una flessione degli avviamenti stimata al 30%, cioè 15
opportunità mensili di lavoro contro una media precedente di oltre 20 chiamate. Per questo il
Coordinamento ha deciso di sollevare clamorosamente la questione, rendendosi indisponibile domenica 5 e
l'Epifania, proclamando "strike" e presidio davanti alla presidenza dell'Autorità nella giornata di ieri.Per
sedare le acque, l'AlpT, presieduta dallo stesso segretario generale dell'Autorità Mario Sommariva, ha
presentato una bozza d'accordo che prevede una verifica dell'utilizzo corretto del proprio personale da
parte delle imprese, la definizione dell'impegno ad avviare gli addetti della AlpT, la convocazione di un
tavolo sul quale negoziare con le aziende un numero minimo di chiamate. Nel contempo, l'Agenzia
richiamava il Coordinamento «al rigoroso rispetto delle norme contrattuali relative alla disciplina del
preavviso e della gestione delle vertenze sindacali», altrimenti, qualora dovessero infittirsi le violazioni,
scatteranno le sanzioni di legge. Nella premessa del breve documento, analizzando le ragioni della protesta,
AlpT paventava inoltre l'utilizzo «improprio di personale part time in deroga alle norme vigenti», il ricorso
«sistematico» ai doppi turni, «carichi di lavoro notevolmente superiori rispetto alle ragionevoli
consuetudini in termini di produttività» nelle attività di rizzaggio/derizzaggio.Dal canto suo, il
Coordinamento aveva messo a punto una nota in tre punti imperniata su un numero minimo di 20 turni
mensili per ogni lavoratore dell'Agenzia, sulla nomina di Dean Novel e di Roberto Maicen quali nuovi
responsabili operativi di Alpt, sulla chiamata per il 1°-2° turno da effettuarsi almeno 24 ore prima.Dopo
quasi quattro ore di discussione - secondo quanto riferito dal portavoce del Coordinamento, Stefano Puzzer
- l'accordo è stato finalmente raggiunto. A frenare la trattativa il dibattito sui nomi dei responsabili
operativi dell'Agenzia. Transito scorrevole invece sulle 20 chiamate minime mensili.Il caso-avviamenti non è
scoppiato improvvisamente, perché i malumori in seno al Coordinamento lavoratori portuali si erano
manifestati già a fine novembre, tant'è che il giorno 29 il Clpt aveva voluto incontrare Sommariva per
contestare la gestione del lavoro su due dei maggiori terminal triestini.

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Cantiere di un anno per l'asilo Fincantieri. All'interno spazio dove insegnare l'italiano (Piccolo Go-Monf)
Tiziana Carpinelli - Mentre i monfalconesi stappavano lo spumante, il 2019 si chiudeva con un sistema
educativo in bilico tra ristrutturazioni e carenze di posti che costringevano i bambini di età prescolare
rimasti fuori lista nelle iscrizioni a far la spola negli asili dei paesi vicini. Ma l'anno appena sbocciato nelle
intenzioni si manifesta subito più generoso e regala tre notizie importanti, non solo per il rione Romana
Solvay, che vedrà recuperato un edificio del passato, nevralgico nella suo ruolo pedagogico e sociale, ma
per tutta la città. La prima (ufficiosa) è che la Soprintendenza darà entro il mese l'assenso al progetto di
restyling dell'asilo di via delle Mandrie, adeguato nelle osservazioni e firmato dall'architetto Francesco
Morena. La seconda (ufficiale) è che l'amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, cui pertiene la
regia dell'operazione caldeggiata dal Comune, ha ulteriormente allargato i cordoni della borsa, ponendo sul
piatto 1,3 milioni solo per la realizzazione della nuova scuola dell'infanzia, più altri 900 mila (300 mila
all'anno) da destinare alla gestione della struttura nel primo triennio. Tirando la linea, 2,2 milioni sulla
partita del "Santissimo Redentore": così si chiamerà l'asilo. La terza nuova è che l'immobile non ospiterà
solo l'apprendimento e l'attività ludica dei piccoli, ma al piano superiore anche «un'area per l' "attività
mirata" di quanti, in corso d'anno, arrivano in città da altri paesi» e non avendo nozioni linguistiche
sufficienti per inserirsi agevolmente alla primaria o alle medie saranno lì istruiti con corsi intensivi di
italiano o altre materie necessarie. «C'è la possibilità di accogliere una classe nel periodo transitorio -
racconta Anna Cisint -: è, questa delle difficoltà di apprendimento, uno dei disagi più riscontrati in corso
d'anno e più evidenziati dagli insegnanti, cui abbiamo voluto dare una risposta». Sul punto il sindaco non
fornisce ulteriori dettagli per il fatto che questo percorso sarà studiato e concertato assieme «all'Ufficio
scolastico regionale, le dirigenze d'istituto, il personale docente e anche il Collegio del mondo unito, in un
gruppo coordinato». Ma è certo che sarà il primo ambito immediatamente spendibile: per questioni anche
tecniche, infatti, l'asilo non sarà operativo da settembre, in quanto i lavori al via entro marzo necessitano di
un cantiere per il recupero conservativo della durata variabile (al netto di eventuali intoppi che si
paleseranno per una struttura risalente ai primi decenni del '900) da 7 a 12 mesi; inoltre, pure sotto il
profilo della pratica da istruire, difficile accettare iscrizioni per una materna a oggi ancora solo sulla carta. È
tuttavia assai probabile che il prossimo Natale il "Santissimo Redentore" sia in pista e dunque il piano
superiore, dedicato al progetto fortemente perseguito dall'ente, attivabile. Cisint gongola, e riferisce della
battuta di Bono sul fatto che «da quando ci sono io, lui si lamenta perché viene sempre e solo costretto a
dare, senza ricevere». «Ma io gli ho risposto che c'è ancora da sborsare un bel po' prima di equiparare il
rapporto tra grande fabbrica e città - prosegue -. Detto ciò ringrazio Fincantieri per l'aggiunta disponibilità
economica, in un'ottica di responsabilità sociale d'impresa, e per aver scelto il progetto più bello». La prima
cittadina ammette che ci sono stati momenti in cui, per le difficoltà di intervento sulla struttura e di
recepimento delle osservazioni della Soprintendenza, il piano ha rischiato di finire gambe all'aria:
«Fincantieri ci ha chiesto, a un certo punto, se non fosse il caso di optare per un'altra struttura - ancora
Cisint, affiancata nell'iter sempre dall'assessore all'Istruzione Antonio Garritani -, tuttavia noi non abbiamo
accettato l'offerta per il valore e la funzione che questo immobile, di gran pregio architettonico, ha
rivestito: lo vogliamo restituire al territorio».

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Cassa integrazione prorogata: 5 mesi in più al Mercatone Uno (M. Veneto Udine e Pordenone)
Maura Delle Case - Via libera alla proroga di cinque mesi della cassa integrazione straordinaria per i
lavoratori di Mercatone Uno.L'accordo, che allunga l'ammortizzatore sociale fino al 23 maggio 2020, è stato
firmato ieri mattina a Roma al ministero del Lavoro e in Friuli Venezia Giulia interessa complessivamente 66
persone.Quindici sono legate al punto vendita di Reana del Rojale, 25 a quello di Sacile e 26 a quello di
Monfalcone.A ruota dell'incontro nella capitale ne ha dato notizia il deputato del Movimento 5 Stelle, Luca
Sut, precisando le ragioni della proroga: «La Cigs è stata rinnovata in conseguenza del fatto che il Mise ha
allungato, fino al 24 maggio 2020, il tempo per valutare le varie offerte ricevute per l'acquisizione dei punti
vendita di Mercatone Uno».«Si tratta - ha aggiunto - di 14 tra offerte e manifestazioni d'interesse,
depositate entro la scadenza del 31 ottobre, ma in parte incomplete o non idonee».«Per questo - ha
proseguito Sut - il Mise ha incontrato i singoli offerenti e chiesto loro di correggere i documenti presentati,
un'attività che sarebbe stato impossibile terminare per il 31 dicembre (giorno in cui è scaduta la precedente
cassa integrazione) e che dunque ha richiesto un ulteriore allungamento dei tempi».L'agenda è così stata
riscritta: il 23 maggio scadrà il nuovo periodo di ammortizzazione e il giorno successivo si concluderà il
tempo che il ministero si è dato per valutare le offerte. Opzioni di cui si sa poco, per non dire nulla.«Sono
circolati diversi nomi di potenziali investitori, ma dal Mise non c'è niente di ufficiale. Sappiamo solo - ha
ribadito Sut - che al ministero sono pervenute 14 tra offerte e manifestazioni d'interesse». Ai lavoratori non
resta che attendere, ancora, per sapere se e chi rileverà i negozi e di quanti dipendenti si farà carico.La
parola d'ordine è dunque aspettare. Anche gli effetti del decreto Milleproroghe, che è stato pubblicato in
Gazzetta ufficiale ma che deve essere ancora convertito in legge dal Parlamento.I dipendenti, friulani
compresi, guardano al Dl con grandi aspettative: contiene infatti la promessa di una cassa integrazione più
sostanziosa, da calcolare nuovamente sulla base del contratto a tempo pieno cui molti godevano prima di
passare alle dipendenze di Shernon, società che ricordiamolo aveva acquisito Mercatone Uno salvo poi
fallire e lasciare ancora una volta a casa i lavoratori, nel frattempo ridotti a contratti part-time e a esili
assegni di Cigs.

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Procura, il grido d'allarme di De Nicolo: «Senza personale si va verso la paralisi» (Mv Udine)
Luana de Francisco - A un passo dalla paralisi del servizio. E con le mani sempre più legate, l'orizzonte grigio
e la fastidiosa sensazione dell'irreversibilità dell'abbandono. L'anno nuovo si apre sotto auspici peggiori di
quelli con cui si era chiuso quello vecchio per la Procura di Udine alle prese con un inarrestabile stillicidio
del personale amministrativo. E allora, dopo il «grido di dolore» del procuratore Nicola Gratteri e degli altri
colleghi che «dalle terre di mafia e di 'ndrangheta» non perdono occasione per denunciare i vuoti
d'organico nei rispettivi uffici giudiziari, è la voce di Antonio De Nicolo, capo dei pm di Udine, a vibrare con
altrettanta allarmante preoccupazione.«Ogni giorno la situazione si fa più difficile e ai limiti
dell'ingestibilità», dice, snocciolando i numeri della vergogna. «Con i sei pensionamenti in programma entro
il primo semestre di quest'anno e per i quali non è previsto rimpiazzo, la scopertura dell'organico supererà
la soglia del 40 per cento». Una situazione tanto più critica, se si considera che a restare a casa sarà anche
l'unico dei tre direttori amministrativi ancora in servizio. «In assenza di nuove assunzioni - l'amara
conclusione -, il suo lavoro sarà svolto da altri, ovviamente con incarichi e grado diversi». Del resto, con il
turn over bloccato per anni, i conti sono presto fatti. «Vent'anni - precisa il procuratore -: tanto si è atteso
per procedere con il concorso per gli assistenti e, ora, con quello per i funzionari. E visto che a parteciparvi
saranno anche gli interni, rischiamo di perderli come assistenti e di vederli poi destinati dal ministero ad
altre sedi».Una corsa a ostacoli quotidiana, quindi, che in Friuli ha del paradossale. «Da noi il personale
giudiziario (i magistrati, ndr) è presente in numero adeguato alle esigenze dell'ufficio, ma se a scarseggiare
sono gli amministrativi, finisce comunque per essere depotenziato anche il lavoro dei pm». Così come
quello dei giudici, ovviamente, visto che le carenze della pianta organica attanagliano anche i colleghi del
tribunale.Il prossimo 1° febbraio, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, si conosceranno le
rilevazioni aggiornate agli ultimi mesi. Quella di un anno fa, in Procura, bastava e avanzava a giustificare
iniezioni di personale che, invece, non sono arrivate: 9 funzionari giudiziari sui 12 da pianta organica, 10
cancellieri su 13 (di cui 3 in part-time), 12 su 20 operatori giudiziari (di cui 4 in part-time), 3 su 5 conducenti
di automezzi (di cui 1 in part-time) e 4 su 9 ausiliari. A essere coperte risultavano soltanto tutte le 12
posizioni degli assistenti giudiziari. La nuova tornata di pensionamenti, sommata a un paio di ulteriori
vacanze del secondo semestre 2019, aggraverà dunque una situazione già di per sè oltremodo
precaria.«Per evitare la paralisi, sarò costretto a mia volta a "saccheggiare" la polizia giudiziaria, chiedendo
in prestito personale come già hanno fatto in altre parti d'Italia - continua De Nicolo -. Se finora non
abbiamo arrestato i servizi più importanti, è proprio perché possiamo contare sull'aggregazione di
personale dalle forze dell'ordine, che ringrazio». Uno sconforto, il suo, condito di non poca sfiducia verso la
«totale incapacità di programmazione dell'ordinario turn over» a livello centrale, «che finisce per mettere
in ginocchio anche uffici virtuosi come il nostro». E così, a preoccupare il numero uno della Procura friulana
non è tanto il presente, «quanto l'assenza all'orizzonte di un motivo per sperare in un'inversione di
tendenza».

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La crisi colpisce in tutti i settori: l'anno scorso altri 62 fallimenti (M. Veneto Udine)
Riccardo De Toma - Sono 62 le imprese della provincia di Udine fallite nel corso del 2019. Il numero ricalca
in modo speculare i dati degli anni 2017 e 2018, chiusi entrambi con 61 sentenze di fallimento. Valori che
restano fortunatamente lontani dai picchi raggiunti tra il 2011 e il 2015, quando si superò costantemente
quota cento fallimenti, con un culmine di 129 nel 2013 e una nuova recrudescenza (119 sentenze) nel 2015,
e che ancora non possono essere considerati un termometro di una congiuntura economica tornata
negativa nella seconda parte del 2019: solo il 2020, infatti, ci dirà se la fase di difficoltà attualmente
attraversata da molte aziende è solo un fatto passeggero o se siamo di fronte a una crisi più strutturale.
Guardando esclusivamente ai fallimenti, come detto, i dati non evidenziano alcuna discontinuità rispetto al
biennio 2017-2018, caratterizzato da una decisa riduzione dei fallimenti, più marcata di quella già registrata
nel 2016, quando iniziò l'inversione di tendenza. Tenendo conto anche dei concordati e delle altre
procedure concorsuali aperte nel 2019, invece, il totale delle aziende coinvolte, 91, fa segnare un balzo
rispetto alle 79 del 2018. L'aumento è legato in particolare ai 9 concordati aperti lo scorsi anno, contro i 3
del 2018, e alle 17 procedure di composizione della crisi (accordi di ristrutturazione del debito,
composizione per sovraindebitamento, liquidazioni patrimoniali, accordi di composizione e piani del
composizione), quasi raddoppiate rispetto alle 10 aperte nel 2010. In diminuzione invece i provvedimenti di
liquidazione giudiziale e liquidazione coatta amministrativa delle cooperative, soltanto 3 lo scorso anno,
contro i 5 del 2018 e il picco massimo di 16 raggiunto nel 2017.
L'incremento delle procedure concorsuali aperte, come già detto, non può essere considerato un indicatore
del rallentamento dell'economia. Un fallimento, un concordato o un accordo di ristrutturazione del debito,
infatti, sono di norma la conseguenza di crisi aziendali incominciate ben prima che la parola passi al giudice.
All'incremento registrato nel 2019, inoltre, hanno contribuito in modo sostanzioso strumenti di
composizione delle crisi disponibili soltanto a partire dal 2016: il fatto che il ricorso a queste procedure
aumenti non è tanto l'effetto di una congiuntura economica negativa, quando della disponibilità di nuovi
strumenti precedentemente non disponibili, relativi anche a società o imprese non soggette a fallimento.
Quanto ai valori assoluti. Di sicuro, sebbene i dati del 2019 non rappresentino ancora un segnale d'allarme,
il numero di fallimenti e procedure, raddoppiato rispetto ai valori pre crisi (34 fallimenti nel 2007, 36 nel
2008), è l'indice di un tessuto imprenditoriale più debole e precario rispetto al passato.
Guardando ai nomi delle aziende coinvolte, tra i pochi casi di chiusure balzate agli onori della cronaca a
causa delle ripercussioni occupazionali quelli della Confezioni Daniela di Pantianicco (40 dipendenti), della
Larice carni di Amaro (15 dipendenti) e della legatoria Friulana di Remanzacco (15 dipendenti), mentre tra i
concordati le realtà più note sono la Celsa di Latisana, impegnata in cordata con altre imprese nel cantiere
della A4, e del salumificio Dentesano. Risale esattamente a un anno fa, invece, la liquidazione coatta
amministrativa della cooperativa che gestiva l'albergo diffuso di Lauco. Difficile anche individuare settori
più colpiti, come accadeva qualche anno fa in particolare per comparti come le costruzioni o il legno arredo:
la mappa dei fallimenti e dei concordati, oggi, è equamente distribuita tra i diversi comparti e non rivela
particolari aree di crisi.

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Aumenta l'età media. Piano case di riposo: viaggio a due velocità (M. Veneto Pordenone)
Martina Milia - Un bilancio in salute, conti in ordine che consentono di programmare la costruzione di due
nuove case di riposo (una da pagare con il mutuo e una che sarà finanziata con le quote Atap), ma nei tempi
che sono quelli del pubblico. L'Asp (azienda di servizi alla persona) ha licenziato il bilancio di previsione del
2020 che offre anche la fotografia del polo dell'assistenza agli anziani della città: Casa Serena in via
Revedole, con i suoi 258 ospiti (per lo più non autosufficienti) divisi in nove nuclei e casa Umberto I, in
piazza della Motta, che accoglie 110 ospiti. Sul destino della prima - la seconda è stata ristrutturata in anni
recenti - si concentra la programmazione del cda presieduto da Antonino Di Pietro: senza le nuove
strutture, la dismissione dell'immobile di via Revedole è impensabile. Nel frattempo il privato corre.Gli
anziani ospiti delle case di riposo cittadine sono espressione di «profili di bisogno alti, che rappresentano i
processi di sanitarizzazione in atto in entrambe le strutture - si legge nella relazione dell'Asp - e il livello di
complessità assistenziale e di progetto di cura». Non a caso il cosiddetto "minutaggio" ovvero il tempo di
assistenza dedicato a ciascun anziano varia da 110 a 117 minuti giornalieri alla casa per anziani di piazza
della Motta e da 81 a 138,5 minuti (ndr cambia a seconda del nucleo) a Casa Serena.L'Asp inoltre gestisce
due centri diurni: quello di casa Serena e, dal primo gennaio, quello semiresidenziale di via delle Risorgive a
Porcia. Nonostante l'allineamento politico dei due soci dell'Asp - Comune di Pordenone e Comune di Porcia
- il piano delle due nuove case di riposo sembra aver subito qualche ripensamento sul versante di Porcia. Il
tema del contendere è il sito - l'area vicino a Villa Dolfin -, ma senza la piena sintonia il piano rischia di
incepparsi. E questo si percepisce anche negli investimenti e nel piano di valorizzazione e gestione del
patrimonio.Per quanto riguarda la nuova casa a Villanova «la fase progettuale avviata nel 2019 procede
anche nel corso del 2020 - si legge -, anno in cui si provvederà all'emanazione dei bandi per la stessa. Alla
stessa seguiranno i bandi di affidamento per i relativi lavori». Si prosegue facendo riferimento agli
interventi per «rimuovere le problematiche collegate alla presenza sul sito di un elettrodotto a media
tensione» e allo studio dell'ingresso secondario al sito. La pianificazione, inoltre, «viene coperta con fondi
dell'Uti per 600mila euro».E a Porcia? «In questa fase - si legge nella relazione - si rimane in attesa di
indicazioni da parte dell'amministrazione comunale di Porcia». Nel 2020 si preannuncia l'avvio della
progettazione e «si propone l'utilizzo dei fondi del Comune di Porcia per tale intervento (400 mila euro)».
Un eventuale ripensamento di Porcia ricadrà anche su Pordenone perché il trasloco da via Revedole è
legato alle due nuove case. Intanto a casa Serena saranno garantiti gli interventi minimi di manutenzione
oltre ai lavori di efficientamento energetico che l'Asp si è vista finanziare attraverso un bando. Il privato,
invece, che non ha la necessità di attendere decisioni politiche e di reperire i fondi, va avanti con i lavori.
Già nel 2021 potrebbe essere pronta la nuova casa in via Vittorio Veneto a Torre. La lista d'attesa delle case
del conurbamento oscilla mediamente tra le 90 e 100 persone e a Pordenone arrivano anche anziani dal
Veneto, per cui il bacino di utenza non manca.

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