Media Monitoring per 23-10-2019 - Rassegna stampa del 21-10-2019 - Ruggi

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Media Monitoring per 23-10-2019 - Rassegna stampa del 21-10-2019 - Ruggi
23-10-2019

Media Monitoring per

   Rassegna stampa del 21-10-2019
Media Monitoring per 23-10-2019 - Rassegna stampa del 21-10-2019 - Ruggi
AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona ................................................................................ 1
      21/10/2019 - IL MATTINO (ED. SALERNO)
             «Una preparazione migliore per superare tutte le paure» ..................................................... 1
      21/10/2019 - IL MATTINO (ED. SALERNO)
             L'algoritmo che riduce i parti cesarei ..................................................................................... 3
      21/10/2019 - LA CITTÀ DI SALERNO
             Scandalo furbetti del cartellino, niente sconti ....................................................................... 5
Sanità Salerno e provincia .............................................................................................................. 7
      21/10/2019 - LA CITTÀ DI SALERNO
        «Il Centro era fuorilegge, risarcisca» ..................................................................................... 7
Sanità Campania ............................................................................................................................... 9
      21/10/2019 - IL MATTINO (ED. AVELLINO)
             Città ospedaliera senza autorizzazione .................................................................................. 9
      21/10/2019 - IL MATTINO (ED. AVELLINO)
             Molti nosocomi sono nella stessa situazione ad aprile sequestrato quello di Sessa Aurunca
        .............................................................................................................................................. 11
Sanità nazionale ............................................................................................................................. 13
      21/10/2019 - IL FATTO QUOTIDIANO
             "Le nanoparticelle di smog causano cancro al cervello" ....................................................... 13
      21/10/2019 - IL MESSAGGERO
             Allerta sigarette elettroniche «Partire con il monitoraggio» ................................................ 16
      21/10/2019 - IL MESSAGGERO
             «È un problema di sostanze in Italia regole più severe» ...................................................... 18
      21/10/2019 - CORRIERE DELLA SERA
             «Curo i bimbi tra le bombe ma non sono un supereroe» ...................................................... 19
      21/10/2019 - AFFARI & FINANZA
             E-health, nell' Italia che spende poco si fanno strada cinque eccellenze ............................. 21
      21/10/2019 - IL MATTINO
             Infiammazioni, se i medici non "ascoltano" l' allarme .......................................................... 23
      21/10/2019 - AFFARI & FINANZA
             La tecnologia arma la prevenzione nella guerra al tumore del seno .................................... 25
      21/10/2019 - AFFARI & FINANZA
             Nella diagnostica il know-how delle foto "Per noi il digitale è driver d' eccellenza" ............ 28
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21/10/2019                                                                                                                Pagina 19
                                     Il Mattino (ed. Salerno)
                                                                                                                          EAV: € 4.378
                                                                                                                          Lettori: 107.296
                    Argomento: AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona

      «Una preparazione migliore per superare tutte le paure»

 L'   INTERVISTA       «Si      metta          fine        alla
 personalizzazione          del        parto         e       si
 preparino meglio gli specializzandi all'
 ostetricia e i corsi per le gravide». A
 invocare il cambio di passo per diminuire
 il ricorso al taglio cesareo è Mario
 Polichetti, attuale responsabile facente
 funzione del reparto di gravidanze a
 rischio del Ruggi, che spiega anche come
 siano cambiate le partorienti negli ultimi
 anni. I numeri mostrano nel salernitano
 percentuali ancora intorno al 40-45 per
 cento di tagli cesarei. A cosa è dovuto e
 dove si dovrebbe intervenire? «Il primo
 punto è quello della depenalizzazione del
 reato connesso al parto. Molte volte, per
 paura, non si vuole rischiare e si opta
 per questa soluzione. C' è da dire,
 inoltre,    che         nelle            scuole             di
 specializzazione si fa poca formazione in ostetricia e si preferiscono altre strade. Ci
 sono poi i cosiddetti parti di comodi, che si hanno quando la paziente ha paura di
 partorire e chiede di essere operata di taglio cesareo. Una cosa che dovrebbe
 scomparire, infine, è la personalizzazione del parto. In questi casi la paziente vuole
 essere assistita dal proprio medico e quindi pur di non perderlo chiede di essere
 sottoposta a taglio cesareo». Dietro questi numeri ancora alti, soprattutto in alcune
 strutture private, nonostante la flessione degli ultimi tempi, c' è solo la paura di non
 sbagliare o si nasconde dell' altro? «Non credo. Le strutture private sono
 convenzionate e la prestazione è garantita dal sistema sanitario nazionale. Non c' è,
 quindi, il discorso della ricompensa per l' operatore o della parcella per chi opera.

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Penso, invece, che sia solo una questione di tranquillità e sicurezza, non di soldi».
Oggi le partorienti sono cambiate. Il primo figlio giunge più tardi e questo aumenta i
fattori di rischio. Il suo reparto, poi, è specializzato nella gestione dei casi
eccezionali. «Sì, oggi lo scenario è cambiato. Il primo parto avviene in età più
avanzata e questo porta con sé una serie di problematiche. Tra queste anche l'
aumento dell' incidenza di tagli cesarei. Far partorire una donna di 45-46 anni
sicuramente presenta più rischi rispetto a una di 26, se non altro per i tessuti, per la
presenza di patologie concomitanti. Nel mio reparto, poi, è necessario il cesareo,
proprio perché ci sono gravide affette da patologie serie, i cui feti hanno essi stessi
patologie serie. Nessuno si sogna di far partorire una gravida a rischio. Parliamo di
donne con un bambino prematuro o con una placenta a creta». Persiste ancora
quella sottocultura di remora nei confronti dei parti naturali? «Sì, perché
bisognerebbe lavorare di più sulla formazione, sui corsi di preparazione al parto. In
prevalenza la donna si sente insicura. Il parto naturale rappresenta un punto
interrogativo, così si vede nel cesareo qualcosa di rassicurante. Le partorienti
dovrebbero essere preparate meglio. Negli ultimi tempi, però, almeno nelle prime
gravide, si sta riducendo il numero di tagli cesarei». sa.ru. © RIPRODUZIONE
RISERVATA.

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21/10/2019                                                                                                                   Pagina 19
                                        Il Mattino (ed. Salerno)
                                                                                                                             EAV: € 5.331
                                                                                                                             Lettori: 107.296
                       Argomento: AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona

                        L'algoritmo che riduce i parti cesarei
 Sabino Russo

 In arrivo un nuovo modello di gestione
 dei parti cesarei, con l' uso delle nuove
 tecnologie per limitare un fenomeno che
 nel   salernitano,         stando          almeno          agli
 ultimi numeri del Piano nazionale esiti
 2018, vede ancora nei due più grandi
 ospedali della provincia una incidenza
 che va dal 54,25 per cento del Ruggi al
 43,86 per cento di Nocera Inferiore. Il
 progetto prevede la creazione di una
 piattaforma digitale, nella quale saranno
 inseriti i dati clinici della paziente (età,
 primo   o      secondo         parto,        conoscenze
 culturali        e          anche               possibilità
 economiche), che saranno intersecate
 con i dati del singolo medico (percentuali
 di parti naturali o con taglio svolto) e
 della struttura ospedaliera più idonea al
 singolo caso. Dall' insieme di queste
 informazioni, attraverso l' utilizzo di algoritmi predittivi, il sistema punta a elaborare
 un nuovo modello, che avrà un duplice scopo: tutelare la salute delle partorienti e
 dei nascituri, favorendo l' efficientamento del percorso di cure, e supportare il
 processo di digitalizzazione del sistema sanitario nazionale. PIATTAFORMA DIGITALE
 Il sistema è sviluppato da Innovery, azienda specializzata nell' analisi ed
 elaborazione di grande quantità di dati (big data), in collaborazione col Centro
 interdipartimentale per la ricerca in diritto, economia e management della pubblica
 amministrazione e il dipartimento di Medicina e chirurgia, coordinati da Paola
 Adinolfi (foto in alto) dell' ateneo di Salerno, e ha ottenuto un finanziamento
 attraverso i fondi europei di sviluppo regionale (Fesr) della Campania e si concluderà

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entro maggio 2020. L' obiettivo è di ridurre il numero di parti con taglio cesareo
clinicamente non necessari nella regione con il più alto numero di cesarei del Paese,
attraverso l' utilizzo di big data analytics, intelligenza artificiale e mobile app: un
modello che potrebbe essere utilizzato da tutte le strutture sanitarie interessate,
portando a una diminuzione dei parti cesarei in tutto il territorio nazionale. «Siamo
lieti di essere i capofila di un progetto così ambizioso e innovativo per la Regione,
avviato grazie alla collaborazione con l' Università di Salerno - spiega Gianvittorio
Abate, amministratore delegato di Innovery - Per la sua realizzazione abbiamo
utilizzato una combinazione di piattaforme digitali, facendo leva sulla nostra
consolidata esperienza nel campo dei big data analytics on cloud, e nel settore dei
data security; tecnologie che Innovery sa creare e utilizzare grazie al know-how dei
suoi dipendenti e che possono avere un' infinità di applicazioni, non solo in campo
sanitario, ma in moltissimi altri settori della società». Il parto cesareo è una
procedura con profili di rischio più alti rispetto a quello naturale e con costi più
elevati per il sistema sanitario, con un incremento di costi di circa il 36 per cento
rispetto a quello naturale (remunerazione equipe, farmaci e materiali necessari all'
intervento chirurgico, incremento dei costi di degenza). I costi sono assorbiti dal
sistema sanitario nelle strutture pubbliche, mentre sono a carico della paziente in
quelle private (circa 1500 euro, che possono arrivare a 6mila). Il tema ha dimensioni
europee e ha le sue radici in un trend globale: in Europa, ogni anno, si stimano circa
160mila tagli cesarei non necessari, con un surplus di costo associato pari a 156
milioni di euro (dato 2017), ma nei primi anni duemila si è assistito a un' impennata
dei parti cesarei, che sono passati da 16 milioni (12,1 per cento di tutte le nascite)
nel 2000 ai 29,7 milioni (21.1 per cento del totale) nel 2015. Non è un caso che
proprio la Regione abbia finanziato la ricerca: il progetto potrebbe dimostrarsi un
ottimo supporto per ridurre il ricorso alla pratica del taglio cesareo, fenomeno che in
Campania, complessivamente, raggiunge la percentuale del 59,5 per cento, sebbene
l' organizzazione mondiale della Sanità raccomandi di non superare il 15%. ©
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21/10/2019                                                                                                                  Pagina 4
                                              La Città di Salerno
                      Argomento: AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona

              Scandalo furbetti del cartellino, niente sconti

 Assenteismo all'ospedale di Salerno, la
 Cassazione      rigetta          il        ricorso       della
 caposala: confermata la condanna a sei
 mesi di reclusione e il risarcimento danni
 in favore dell'azienda ospedaliera San
 Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona. Il
 collegio della seconda sezione penale
 (presidente Domenico Gallo , relatore
 Andrea Pellegrino ) ha respinto il ricorso
 avanzato      da       una            ex      dipendente
 dell'ospedale di via San Leonardo. La
 caposala      Elena         D'Ambrosio               ,     nel
 dettaglio, aveva impugnato la sentenza
 della Corte d'Appello di Salerno del 23
 marzo       2018,       che           confermava              la
 pronuncia resa in primo grado all'esito di
 giudizio       abbreviato                    nell'udienza
 preliminare del Tribunale di Salerno, con la quale la professionista veniva
 condannata alla pena di sei mesi di reclusione per i reati di truffa aggravata oltre al
 risarcimento dei danni a favore dell'azienda Ruggi che si è costituta parte civile nel
 procedimento. Arriva così la parola fine sulla vicenda nata da una denuncia sporta
 dal sindacalista Giuseppe Cicalese , all'epoca rappresentante della Ugl, all'interno
 dell'ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona, con cui il rappresentante dei
 lavoratori lamentava l'esistenza di un diffuso e ben collaudato sistema di
 assenteismo dal lavoro con il coinvolgimento, a vario titolo, di un cospicuo numero di
 dipendenti, tra medici ed ausiliari. Secondo la ricostruzione della Procura di Salerno,
 un gruppo di maestranze al Ruggi erano solite aggirare i sistemi di rilevazione delle
 presenze, installati all'interno della struttura, affidando a colleghi i compiti di
 timbrare i propri cartellini marcatempo, in modo da far figurare l'ingresso e l'uscita

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dal luogo di lavoro in orario diverso da quello effettivo. Nel caso specifico, il legale
della D'Ambrosio ha impugnato la sentenza di secondo grado, lamentando «la
contraddittoria e illogica motivazione del percorso di motivazione della pronuncia, e
in riferimento all'ingiusto profitto e dolo della ricorrente». Ma i giudici dellla Corte di
Cassazione hanno bocciato la tesi difensiva della caposala e condannando, in via
definitiva, l'ex dipendente dell'azienda ospedaliera di Salerno, obbligandola al
pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile. In merito alla
vicenda, l'Azienda sanitaria nell'ottobre del 2016 aveva già provveduto al
licenziamento per sei imputati: oltre a Elena D'Ambrosio, il benservito è stato dato
anche a Marisa Palo (infermiera), Santo Pepe (operatore addetto alle pulizie
esterne), Carmine De Chiaro (addetto alla formazione), Ciro Cuciniello (operatore
addetto ai servizi tecnici), Vincenzo Califano (impiegato) e Carmela Di Paolo
(caposala).

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21/10/2019                                                                                                                   Pagina 23
                                              La Città di Salerno
                                      Argomento: Sanità Salerno e provincia

                          «Il Centro era fuorilegge, risarcisca»
 di Carmine Landi

 ALBANELLA Il Tre Torri deve restituire i
 quattrini:     parola         dei        vertici     dell'Asl
 salernitana, che bussano a soldi alle
 porte    del        Centro          di     riabilitazione,
 reclamando          le    somme            versate          per
 ventitré mesi sul conto della società
 titolare della struttura di Matinella di
 Albanella, guidata da Gennaro Salzano .
 Per quasi due anni, a detta dell'Azienda
 sanitaria, il centro era fuorilegge perché
 non     aveva        reclutato            un       direttore
 responsabile specialista a tempo pieno. Il
 presidio che fu senza direttori deve
 sborsare       le    somme               incassate          per
 «prestazioni sanitarie erogate non in
 regime di accreditamento provvisorio».
 Lo    deliberano         il    direttore           generale
 dell'Asl, Mario Iervolino , quello amministrativo, Caterina Palumbo , e quello
 sanitario, Ferdinando Primiano , conferendo ai legali il mandato «di procedere al
 recupero delle somme corrisposte al Centro in parola limitatamente alle annualità
 2016/2017, in particolare dal 12 febbraio 2016 fino al 31 dicembre 2017». A
 proporre a Iervolino l'adozione del provvedimento sono stati il direttore del
 Dipartimento di Prevenzione, Domenico Della Porta , quello dell'Unità assistenza
 accreditata, Marcella Magurno , e il numero uno del Distretto Sanitario 69 Agropoli
 Capaccio Paestum, Giuseppina Arcaro . E lo hanno fatto dopo aver preso atto dei
 verbali di riunione stilati, in occasione di nove sedute, da novembre 2018 a giugno
 2019, dalla Commissione speciale che era chiamata a quantificare la Com, la
 Capacità operativa massima del Centro Tre Torri: di quel gruppo, presieduto da
 Nicola Abbamondi , direttore dell'unità di Riabilitazione alle dipendenze dell'Asl

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partenopea, facevano parte Mario Forlenza , Arcangelo Saggese Tozzi , Adriana
Amato e Stefano Graziano , tutti dipendenti dell'Azienda sanitaria salernitana. Una
commissione chiamata a mettere ordine nell'intricata matassa Tre Torri, il cui
accreditamento provvisorio con l'Asl, fin dal '94, era stato riconosciuto solo nel 2014
dal commissario ad Acta, delegato dieci anni prima dai giudici del Consiglio di Stato,
che s'erano pronunciati su un vecchio contenzioso, proprio in materia di
convenzionamento, tra l'Azienda sanitaria e la società privata. Per rendere
nuovamente operativo il Centro, l'Asl nel 2016 stabilì un tetto di spesa provvisorio;
nel 2018 nominò una commissione chiamata a verificare. Verifiche nefaste per il
centro. «Nel corso della disamina - scrivono i dirigenti - la commissione ha rilevato
che, nei ruoli organizzativi del Centro, non era presente un direttore responsabile
specialista a tempo pieno, come viceversa è richiesto dalla normativa di
riferimento». Di qui «l'assenza di un requisito essenziale per l'attribuzione della Com
e dell'erogazione di prestazioni in regime di accreditamento ». Per l'Asl le somme
vanno restituite: saranno i contabili dell'Azienda a quantificarle, i legali a reclamarle.
L'assenza d'un direttore in passato non dovrebbe portare alla serrata, visto che la
commissione ritiene «possibile oggi calcolare il tetto di spesa tenendo conto dei
requisiti presenti al 31 dicembre del 2017 e l'assenza di qualsiasi provvedimento
formale che abbia disposto la sospensione o, addirittura, la decadenza del Centro è
congrua base». Sul punto, però, Iervolino fa sapere che «le risultanze verranno
formalizzate con separato provvedimento».

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21/10/2019                                                                                                                  Pagina 17

                                                                                                                            EAV: € 5.770
                                                                                                                            Lettori: 107.296
                                            Argomento: Sanità Campania

                    Città ospedaliera senza autorizzazione

 IL CASO Flavio Coppola Nove anni dopo l'
 inaugurazione, la Città ospedaliera di
 Contrada    Amoretta             non        ha       ancora
 ottenuto dal Comune l' autorizzazione
 sanitaria completa all' esercizio dell'
 attività. Il più grande ospedale irpino, lo
 si    evince        dalla           documentazione
 protocollata a Piazza del Popolo, è privo
 dell' attestato fondamentale sul rispetto
 dei requisiti igienici e strutturali previsti
 dalla delibera regionale 7301, in vigore
 dal lontano 2001. In teoria, dunque,
 rischia l' avvio di un procedimento di
 chiusura da parte dell' ufficio sanitario di
 Palazzo di Città o, quantomeno, di una
 visita dei Nas. Sta di fatto che la
 commissione        tecnica          multidisciplinare
 dell' Asl non ha ancora consegnato nelle
 mani del Comune (che ha nel sindaco la
 massima autorità sanitaria locale) il parere igienico-sanitario conclusivo rispetto all'
 idoneità di tutti i reparti. E' il presupposto di legge per il rilascio dell' autorizzazione
 sanitaria dall' ente. In merito, se è vero che tanto il presidente della commissione,
 Onofrio Manzi, quanto il direttore dell' Area Tecnica del «Moscati», Serio Casarella,
 chiariscono verbalmente che l' azienda ospedaliera non presenta di fatto alcuna
 rilevante criticità igienico-strutturale, agli atti risulta che l' Ufficio comunale
 competente ha autorizzato negli ultimi 9 anni anni soltanto 3 unità operative. Tutte
 durante la consiliatura di Paolo Foti. Si tratta del Servizio immuno-trasfusionale, al
 piano terra, il 23 febbraio 2015, del Centro di Procreazione medicamente assistita di
 secondo livello, al secondo piano, il 27 marzo 2015, e dell' Unità di Radioterapia,

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ancora al piano terra, il 27 luglio 2016. Tutto il resto, al netto di due nulla osta, per l'
impiego di un acceleratore lineare ancora in Radioterapia e per l' organizzazione di
un laboratori di manipolazione cellulare, è sprovvisto dell' autorizzazione del
Comune. Sebbene in Campania siano diversi i plessi pubblici in questa condizione,
che però va obbligatoriamente sanata, l' assenza dell' autorizzazione all' esercizio
dell' attività sanitaria figura tra le cause che possono indurre i Nas a disporre un
sequestro preventivo dell' ospedale. Ciò è avvenuto lo scorso aprile per il plesso di
Sessa Aurunca, mentre la chiusura, in questi casi, è all' ordine del giorno nelle
strutture sanitarie private. Ovviamente, va anche detto che appare assolutamente
improbabile che il sindaco di Avellino, Gianluca Festa, si spinga sin qui. Ma l' iter, se
è vero che la Città ospedaliera ha tutti i requisiti, va immediatamente sbloccato. Le
carte testimoniano la lentezza estrema di un procedimento delicatissimo, che
riguarda la sicurezza e i diritti di migliaia e migliaia di utenti. Ma anche degli
operatori. L' ultimo atto al protocollo del Comune di Avellino risale, infatti, a due
anni fa. L' 8 febbraio 2018, in risposta ad un' apposita richiesta giunta dal «Moscati»,
a firma di Casarella e dell' ex dg, Sergio Percopo, l' ufficio sanitario scriveva: «Si
attende il parere igienico-sanitario conclusivo dell' Asl, per poter rilasciare le
autorizzazione all' esercizio e completare, insieme a quelle già rilasciate (allegate
alle carte ndr), tutti i settori della Città Ospedaliera». Da allora, però, nessuna
comunicazione è più pervenuta a Piazza del Popolo. Perché? A rispondere è il
presidente dell' organismo competente, la commissione tecnica multidisciplinare
dell' Asl, Onofrio Manzi: «Il problema è legato alla vastità della struttura, ma
abbiamo ispezionato la gran parte dei reparti e non abbiamo riscontrato criticità di
sorta, se non minime. Abbiamo deciso procedere per singola unità (circostanza
confermata anche da Casarella ndr) ma l' iter si è rallentato. - ammette - Sia per il
cambio al vertice del «Moscati», che per il fatto che la nostra commissione ha perso
due membri». Stessa versione anche dalla Cttà ospedaliera, dove però Casarella
riferisce anche di un altro intoppo, sempre burocratico, legato all' accatastamento
della proprietà dei suoli. Risalirebbe addirittura al 1993. Resta il fatto che l'
autorizzazione sanitaria totale non c' è ancora. E fino a quando l' atto non verrà
rilasciato nero su bianco dal Comune, sul più grande ospedale irpino continuerà a
gravare un' ombra di pesante incertezza. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

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21/10/2019                                                                                                                     Pagina 17

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                                                                                                                               Lettori: 107.296
                                               Argomento: Sanità Campania

      Molti nosocomi sono nella stessa situazione ad aprile
              sequestrato quello di Sessa Aurunca

 IL QUADRO Ettore Mautone È il 3 aprile
 di quest' anno quando i carabinieri del
 Nas provvedono al sequestro preventivo,
 con facoltà d' uso, dell' ospedale San
 Rocco       di        Sessa       Aurunca             per        la
 riscontrata assenza delle autorizzazioni
 all' esercizio previste dall' articolo 193
 del Testo unico delle Leggi sanitarie. Da
 quanto       emerge             dall'       inchiesta             il
 cinquanta        per      cento         delle       strutture
 sanitarie della Asl Napoli 3 non è in
 possesso dell' autorizzazione necessaria
 per legge all' esercizio dell' attività
 sanitaria             primo          gradino               degli
 accreditamenti delle strutture in base ai
 requisiti        di     qualità           strutturali             e
 strumentali al cui rispetto sono tenute
 sia le strutture pubbliche sia quelle
 private. Una falla che investe in realtà
 gran parte delle Asl e ospedali della Campania e che risale nel tempo incrociando il
 tortuoso iter delle ristrutturazioni e adeguamenti strutturali previsti per la rete
 ospedaliera regionale. In Campania, le norme che hanno recepito le previsioni della
 legge 229 del 1999 sugli accreditamenti delle strutture sanitarie pubbliche e private
 sono state scritte nel 2001 con un' apposita delibera di giunta regionale (7301) poi
 sfociata, di proroga in proroga, nell' ultimo regolamento del 22 giugno del 2007. Ma
 cosa prevede l' autorizzazione che manca alla lista nera degli ospedali pubblici?
 Parliamo di una serie di parametri igienico-strutturali che devono rispondere ai
 requisiti prestabiliti per passare il vaglio di un' apposita commissione regionale.

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Parliamo di impianti antincendio, servizi, parametri di sale operatorie e corsie, reti di
diffusione dell' ossigeno, impianti e strutture che dovrebbero rispondere a precisi
criteri di qualità e sicurezza. Solo dopo che il suddetto organismo regionale si è
espresso favorevolmente, i sindaci dei Comuni di competenza rilasciano il permesso
all' attività sanitaria alle strutture. Detta così sembrerebbe che Asl e ospedali,
sprovvisti di tali decreti, esercitino quasi da abusivi. In realtà lo scenario è ben
diverso e quanto mai complesso e si lega a doppio filo con il destino dei fondi per le
ristrutturazioni edilizie in campo sanitario. Lo stanziamento delle risorse (30 mila
miliardi delle vecchie lire da ripartire in varie tranche annuali tra tutte le Regioni) è
partito nel lontano 1988 con la finanziaria di quell' anno (articolo 20 della legge 67)
ma la partita è ancora in gioco e si concluderà solo nei prossimi anni. Dei circa 2,5
miliardi di euro (a quel tempo calcolati in lire) spettanti alla Campania una buona
metà si incagliò nelle difficoltà di progettazione e negli alterni destini dei piani
ospedalieri licenziati da Palazzo Santa Lucia. Sono gli anni della giunta governata da
Antonio Bassolino. Parte di quei fondi a causa dei ritardi restano dunque congelati.
Un lungo bagnomaria durato quasi tre lustri fino a trascinarsi nell' attuale
consiliatura quando dopo il via libera al tormentato iter del piano ospedaliero il
Governatore Vincenzo De Luca è riuscito da ottenere (a marzo di quest' anno) il
definitivo via libera del ministero della Salute e dell' Economia all' utilizzo di 1,1
miliardi residui per rammodernare e adeguare strutturalmente e dal unto di vista
impiantistico la rete ospedaliera campana. Era il tassello che mancava per procedere
agli adeguamenti sinora condotti in porto solo dalle strutture private accreditate ma
rimasti al palo sul versante pubblico. Il nodo delle mancate autorizzazioni è dunque
tutto in questi passaggi. Del resto è lo stesso regolamento regionale del 2007 all'
articolo 4 a stabilire che «al fine di garantire alle strutture pubbliche ed equiparate
(ospedali classificati) la realizzazione del programma di investimenti in edilizia
sanitaria (con le risorse assegnate alla Regione per le prime e direttamente dallo
Stato per le seconde la scadenza è differita fino al completamento di detto
programma regionale di edilizia sanitaria e comunque non oltre due anni dalla data
di concessione del finanziamento». In pratica fino a quando non saranno chiusi i
cantieri per gli adeguamenti edilizi e strutturali le strutture pubbliche sono
accreditate e autorizzate in deroga. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

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21/10/2019                                                                                                                    Pagina 6

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                                                                                                                              Lettori: 101.864
                                              Argomento: Sanità nazionale

     "Le nanoparticelle di smog causano cancro al cervello"
 Stefano Valentino

 Nanoparticelle fuori controllo provocano
 tumori al cervello. L' Ue vuole limitale. I
 costruttori auto chiedono tempo. Un
 esclusivo studio canadese, pubblicato
 prossimamente                       sulla               rivista
 Epidemiology, dimostra per la prima
 volta che le particelle ultrafini emesse da
 fonti inquinanti come il traffico stradale
 provocano tumori cerebrali. La scoperta
 lancia      un        nuovo            allarme             sulla
 pericolosità        per         la       salute           delle
 nanoparticelle,         composti            chimici          con
 diametro     inferiore          a     100        nanometri
 (1.000 volte più sottili di un capello).
 Questi inquinanti infinitesimali non sono
 ancora      pienamente               regolamentati               a
 livello europeo. Pertanto sfuggono ai
 controlli e fuoriescono a iosa dai tubi di
 scappamento. Si parla di decine di migliaia di miliardi a Km percorso. Ma l' industria
 automobilistica si oppone a una rapida riforma legislativa che ne limiti l' emissione.
 Le regole Ue vigenti per l' omologazione delle auto fissano limiti solo per le particelle
 di dimensione minima di 23 nanometri. Tuttavia nuove tecnologie di misurazione
 hanno recentemente svelato che ogni giorno, nelle nostre città, respiriamo invisibili
 sciami di particelle inferiori ai 2,5 nanometri (9 volte inferiori a quelle normate) che
 sono ancora più micidiali: sono così piccole che riescono a penetrare in profondità
 nei tessuti dell' organismo umano, compreso il cervello appunto. Le quantità esatte
 di particelle in circolazione sono ancora difficilmente determinabili, variando a
 seconda del posto e della stagione. Le agenzie ambientali nazionali non ci hanno
 ancora informato poichè, in base alla Direttiva europea sulla qualità dell' aria, le

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stazioni pubbliche di monitoraggio dell' inquinamento atmosferico hanno l' obbligo di
misurare solo le concentrazioni di particelle di 2,5 micrometri (2.500 volte piu grandi
delle nanoparticelle). "Un aumento di 10.000 nanoparticelle per cm cubo è
responsabile di circa un nuovo caso di tumore cerebrale per ogni 100.000 persone -
afferma Scott Weichenthal, autore dello studio condotto nella città di Toronto (oltre
6 milioni di abitanti nell' area urbana) e professore associato al Dipartimento di
Epidemiologia, Biostatistica e Salute del lavoro dell' Universita McGill di Montreal -
Per stabilire tale correlazione e necessario studiare una popolazione molto ampia e
disporre di un modello di esposizione alle nanoparticelle specifico per la località
studiata, pertanto i nostri risultati non sono automaticamente applicabili in qualsiasi
altra città". Concorda Massimo Stafoggia, esperto del Dipartimento di Epidemiologia
della Regione Lazio, che sta attualmente pianificando un' indagine nella Capitale per
quantificare le vittime di malattie cardiovascolari indotte dallo stesso tipo di
particelle. "Per ottenere eventualmente anche nelle grandi città italiane gli stessi
risultati riscontrati a Toronto occorrerebbe ripetere lo studio localmente usando una
popolazione altrettanto cospicua". Giusto per dare un generico ordine di grandezza,
si puo stimare che a Roma (4 milioni di abitanti) 40 persone muoiono ogni anno di
tumore al cervello a causa delle nanoparticele, sempre che si possano operare i
medesimi calcoli fatti a Toronto. Altri studi, pubblicati di recente, confermano che le
nanoparticelle colpiscono tutte le parti del corpo, contribuendo all' insorgere di
numerose patologie, compreso il diabete. A salvarci dalle particelle killer non
basterà l' uscita dal diesel, finora demonizzato in seguito allo scandalo delle
emissioni truccate di biossido di azoto ( NO2 ). Nuovi test auto finanziati dall' Ue
rivelano infatti che i motori a benzina e gas naturale emettono addirittura più
nanopaticelle nocive che i motori diesel euro 6 (dotati di filtri antiparticolato piu
efficaci), nonostante rispettino le soglie in vigore per le particelle piu grandi. I
quantitativi rilasciati dai due tipi di carburanti sarebbero rispettivamente 100 e 10
volte superiori rispetto ai nuovi diesel. La Commissione europea sta già lavorando a
un piano per imporre limiti piu stringenti alle emissioni di tutte le tipologie di auto in
modo da minimizzare anche il rilascio di particelle ultrafini. Ma la tempistica per l'
approvazione di norme che tutelino maggiormente la nostra salute resta incerta. Il
processo e iniziato nell' ottobre 2018 con la conferenza sul futuro della legislazione
sulle emissioni, a seguito della quale e stato istituito un gruppo di esperti a
Bruxelles, riunitosi per la seconda volta venerdi scorso. Alle riunioni partecipano sia
le Ong sia l' Associazione europea dei costruttori auto. Quest' ultima ha chiesto un
periodo di transizione per dotare i futuri veicoli dei necessari sistemi anti-
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nanoparticelle, alludendo al preavviso di quattro anni tradizionalmente accordato all'
industria dalla legislazione Usa. "Non e neanche ancora appurato che nuovi limiti di
emissione post euro 6 siano necessari - afferma Kasper Peters, Portavoce dell'
Associazione - I nuovi standard potrebbero essere adottati, ma anche non esserlo,
sarà tutto da vedere". La tabella di marcia è fitta di procedure burocratiche che
rischiano di allungare i tempi. La Commissione Ue ha commissionato due indagini
scientifiche e due altri studi: uno per analizzare la legislazione internazionale e le
possibili opzioni legislative a livello Ue e un secondo per valutare la fattibilità tecno-
economica e l' atteso impatto dei nuovi limiti di emissione. L' avanzamento di vari
lavori, che non saranno completati prima della fine del 2020, verrà seguito dal
gruppo di esperti che continuerà a riunirsi ogni trimestre. Una proposta normativa
concreta della Commissione non è ancora stata messa in calendario.

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21/10/2019                                                                                                                  Pagina 15

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                                                                                                                            Lettori: 292.828
                                            Argomento: Sanità nazionale

  Allerta sigarette elettroniche «Partire con il monitoraggio»

 IL CASO ROMA La definizione tecnica è
 «Allerta di grado 2». È contenuta in un
 documento inviato dall' Istituto superiore
 di Sanità al Ministero della Salute e agli
 assessorati     regionali          di     tutta        Italia.
 Obiettivo: vigilare sulla «grave malattia
 polmonare tra le persone che utilizzano
 le sigarette elettroniche (svapo), con
 causa sconosciuta», segnalata in diversi
 Stati degli Usa; monitorare l' insorgenza
 «di gravi lesioni polmonari tra le persone
 che utilizzano prodotti per sigaretta
 elettronica» documentati sempre negli
 Usa. Si tratta di una polmonite chimica
 che sta mietendo vittime soprattutto tra
 i più giovani in America. Attenzione:
 questo non significa che svapare faccia
 male    o     quanto          meno          che         siano
 dimostrati gli effetti nocivi. Il tema è un
 altro: poiché negli Stati Uniti si sta affrontando una epidemia di una malattia
 polmonare, chiamata Evali (E-cigarette, or Vaping, product use Associated Lung
 Injury) diffusa tra chi fa un uso improprio di questo strumento, ora è giusto vigilare
 anche negli ospedali italiani. SITUAZIONE Gli esperti però avvertono: ciò che è stato
 registrato negli Stati Uniti, per ora non ha alcun riscontro in Italia e in Europa,
 perché il problema negli Usa è rappresentato dall' uso senza regole dell' e-cigarette,
 spesso legato al consumo di stupefacenti. Nel nostro Paese i controlli sulla vendita
 nei canali ufficiali delle sostanze con cui sono caricati questi strumenti sono molto
 più rigorosi. Negli Usa l' epidemia preoccupa con 1.300 casi e 26 morti, tanto che
 anche il presidente Donald Trump era intervenuto garantendo che sarebbero state

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cambiate le leggi. L' Istituto superiore di Sanità parte dalle segnalazioni ricevute
dall' Osservatorio europeo sulle droghe e le tossicodipendenze, che a sua volta parte
da ciò che è stato accertato dalle autorità americane; ricorda che le strutture
sanitarie negli States hanno registrato una serie di gravi lesioni polmonari diffuse tra
chi usa prodotti per sigarette elettroniche. Sono stati segnalati casi di svapo di una
serie di prodotti e di sostanze tra cui quelli contenenti nicotina, thc, cannabis,
cannabidiolo e cannabinoidi sintetici. Sebbene la causa della malattia negli Stati
Uniti sia attualmente sconosciuta, ma sia comunque verificato il collegamento con l'
uso in modo scorretto delle sigarette elettroniche non si può escludere anche una
potenziale minaccia anche in Europa a causa della catena di approvvigionamento
globalizzata. Spiega il documento in cui è diffuso l' allerta di grado 2: la causa
specifica della lesione polmonare va trovata, ma tutti i pazienti riportano una storia
di utilizzo della sigaretta elettronica e hanno segnalato l' uso di sostanze come il thc
(uno dei più importanti principi attivi della cannabis). VIGILANZA In estrema sintesi,
ora anche le strutture sanitarie italiane dovranno vigilare e denunciare eventuali
casi simili di malattie polmonari. Secondo gli esperti, ad oggi non ci sono stati,
anche perché, come detto, i canali di vendita sono più controllati così come le
cartucce in commercio, mentre negli Stati Uniti, dove questo tipo di prodotto è molto
diffuso tra i giovanissimi, la storia è assai differente. Secondo gli esperti, l' ipotesi
più credibile è che nel serbatoio siano stati introdotti degli oli e della vitamina E per
sciogliere dei derivati della cannabis, ma anche altre sostanze tossiche non ancora
individuate. Giova ripeterlo: l' epidemia dunque è collegata a questa problematica, a
un uso distorto della sigaretta elettronica e fuorilegge. DIVIETI Discorso differente, è
quello su cui da tempo c' è dibattito: c' è chi chiede una differente regolamentazione
anche dell' uso corretto della sigaretta elettronica in Italia, applicando gli stessi
divieti previsti per le sigarette tradizionali. Nel Lazio, ad esempio, l' assessore
regionale Alessio D' Amato ha deciso che applicare una serie di limitazioni: divieto di
utilizzare la sigaretta elettronica negli uffici regionali, ma anche negli ospedali e nei
parchi circostanti alle strutture sanitarie. Mauro Evangelisti © RIPRODUZIONE
RISERVATA.

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21/10/2019                                                                                                                  Pagina 15

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                                                                                                                            Lettori: 292.828
                                            Argomento: Sanità nazionale

       «È un problema di sostanze in Italia regole più severe»

 OL' intervista Fabio Beatrice «È giusto
 che l' Istituto superiore di Sanità diffonda
 l' allerta. Ma ciò che sta succedendo
 negli Stati Uniti è dovuto a un uso
 illegale della sigaretta elettronica. In
 Italia abbiamo regole molto più severe».
 Il professor Fabio Beatrice è direttore Orl
 e     Centro    Antifumo             Ospedale             San
 Giovanni Bosco di Torino. Perché l' uso
 con    sostanze        nocive         non        potrebbe
 avvenire anche in Italia? «In Europa e in
 Italia non ci sono stati casi perché chi
 produce questi liquidi è sottoposto a
 rigorosi controlli. Poi, certo se qualche
 sconsiderato si procura sostanze proibite
 sul dark web, il problema si pone, ma è
 lo stesso guaio che abbiamo se qualcuno
 compra      cozze        avariate            dove         non
 dovrebbe.      Negli      Usa       ci     sono        meno
 regole. E quasi tutti i casi di polmonite chimica sono collegati all' uso di cannabis».
 C' è chi sostiene che andrebbe limitato anche il normale uso della e-cigarette perché
 non ci sono sufficienti studi che escludano effetti nocivi. «La sigaretta tradizionale in
 Italia provoca 81mila morti all' anno. Tra una nocività accertata e uno strumento che
 riduce enormemente il rischio, non ho dubbi sulla scelta migliore». Non rischia di
 avvicinare i ragazzi al tabacco? «La sigaretta elettronica deve essere usata per
 aiutare i fumatori incalliti a smettere. Se fumi due pacchetti di sigarette al giorno,
 prova a farti aiutare e a smettere; se non ci riesci, meglio la sigaretta elettronica».
 M.Ev. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

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21/10/2019                                                                                                                     Pagina 18

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                                               Argomento: Sanità nazionale                                                     Lettori: 725.830

      «Curo i bimbi tra le bombe ma non sono un supereroe»
 dal nostro inviato Riccardo Bruno

 La   storia       Scaini       e     i    Medici         Senza
 Frontiere MISANO (Rimini) In ambulatorio
 non c' è. È uscito per fare una visita
 urgente       a     un'       anziana           malata           di
 Alzheimer. Arriva dopo dieci minuti, con
 la borsa in pelle da medico condotto.
 «Me l' ha regalata mio padre dopo la
 laurea, 21 anni fa. Ci tengo molto,
 perché è lo strumento che ti permette di
 andare dalla gente». Roberto Scaini è
 uno di quei dottori che ama muoversi.
 Sia quando è a Misano, medico di base a
 due passi dal lungomare, sia quando
 parte per Medici senza Frontiere. Ha
 iniziato nel 2011, ha già all' attivo 17
 missioni. Dall' ultima, nello Yemen, è
 tornato a maggio. Era la quinta volta che
 ci andava, un veterano. «Era già un
 Paese poverissimo, dopo la guerra la situazione è precipitata». Scaini ha fatto
 medicina perché sognava di andare in Africa. «Come molti miei colleghi, anche se
 poi spesso diventa difficile conciliare con il lavoro e la famiglia». Otto anni fa si è
 presentata l' occasione, c' era bisogno in Etiopia, e lui non se l' è lasciata scappare.
 «Una volta che sei lì scatta qualcosa, io lo chiamo il punto di non ritorno. Ti rendi
 conto che puoi essere davvero utile. Quando una mamma piange, implora di
 salvargli l' ultimo figlio che le è rimasto, e tu puoi restituirglielo guarito, ecco, tutto
 questo ti ripaga di ogni sacrificio». Le missioni di Scaini durano in genere non più di
 tre mesi. Per scelta personale («Ho una figlia di 15 anni, credo che abbia il diritto di
 crescere con il padre vicino»), e di lavoro, per non abbandonare troppo il suo
 ambulatorio. «Per me tutti i pazienti hanno la stessa dignità, in Italia o all' estero.

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Non mi sento un supereroe, ma semplicemente un medico. Quando mi chiedono:
"perché lo fai?" io rispondo: e perché non lo dovrei fare?». Un po' di coraggio
sicuramente ci vuole. Lo Yemen, per esempio, è diventato un posto complicato, le
fazioni in lotta mutano continuamente, neppure gli ospedali vengono risparmiati dai
bombardamenti. Nel Paese più povero del Medio Oriente, Medici senza frontiere è
presente con l' intervento più importante in una zona di conflitto: ci sono équipe in
12 ospedali e 11 governatorati, da marzo 2015 a dicembre 2018 hanno eseguito
81.102 interventi chirurgici, curato quasi 120 mila feriti, fatto nascere 68.702
bambini, affrontato 116.687 casi di colera. Scaini è stato il coordinatore medico,
aprendo anche nuove strutture. Ha lavorato anche in Siria, Etiopia, Iraq, Sud Sudan,
e in Liberia e Sierra Leone nel 2014 quando scoppiò l' emergenza Ebola. «Noi di Msf
eravamo già lì a chiedere l' intervento degli organismi internazionali. Era davvero
una scena apocalittica, i primi giorni ci siamo limitati a spostare i cadaveri. Adesso
se c' è un nuovo allarme, ma per fortuna anche molta più consapevolezza e
attenzione». Avrebbe mille storie da raccontare. «Come il ragazzino che mi raccontò
che fuggendo dal Sud Sudan i suoi compagni che morivano venivano buttati uno alla
volta giù dal camion. Una storia terribile ma quello che più colpì ero come lo diceva,
come se fosse normale». Ci sono momenti in cui puoi essere preso dallo sconforto.
«Una volta la mia responsabile nello Yemen mi disse: non pensare a chi non ce la fa,
ma a tutti quelli che riusciamo a salvare. Finché puoi dare il tuo contributo, allora
vuol dire che ne è valsa la pena». Quando torna in Italia, con la stessa energia si
dedica ai suoi pazienti della mutua. «È vero, sono due mondi agli antipodi, ma
rappresentano due facce della stessa medaglia. In fondo sia qui che lì mi occupo di
malnutrizione: in Africa il problema è la carenza di cibo, qui l' eccesso, mi tocca
curare le patologie del benessere». Anche gli strumenti sono gli stessi. Dello
stetoscopio per esempio cambia solo il colore. «A Misano è nero, in Africa ne ho uno
rosso. Perché attrae i bambini, se lo afferrano hanno voglia di giocare, e vuol dire
che sono guariti».

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21/10/2019                                                                                                                       Pagina 47

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                                                 Argomento: Sanità nazionale

  E-health, nell' Italia che spende poco si fanno strada cinque
                             eccellenze
 andrea frollà

 Dispositivi indossabili per monitorare i
 parametri vitali, assistenti virtuali per
 velocizzare         le     diagnosi           dei      pazienti,
 connessioni 5G per gestire gli interventi
 chirurgici          da      remoto,           soluzioni            di
 intelligenza artificiale per snellire le file
 al pronto soccorso e stampanti 3D per
 formare         i     medici           del       futuro.          La
 rivoluzione          digitale         sta       pian        piano
 travolgendo anche la sanità. E per un
 settore che vive di equilibri difficili tra
 costi, efficienza, valore, sostenibilità e
 soprattutto vite umane non è proprio
 una rivoluzione semplice da governare.
 Invecchiamento                  della           popolazione,
 aumento delle malattie croniche sono
 due tra le cause più pressanti nello
 spingere il sistema ad adottare le nuove tecnologie. Queste tendenze non stanno
 solo spingendo verso l' alto la spesa sanitaria globale, ma stanno anche mettendo in
 luce l' errata allocazione di questa spesa. Secondo le stime dell' Ocse, circa il 20%
 della spesa sanitaria apporta infatti un contributo minimo o nullo al miglioramento
 della salute delle persone a causa dell' inappropriata allocazione delle risorse. Ed è
 proprio in questo contesto che entrano in gioco le tecnologie come strumenti
 abilitanti di efficienza ed efficacia. Lo dimostra l' impennata della spesa globale in
 tecnologie per la sanità degli ultimi anni: dai 79 miliardi rilevati nel 2015 ai 142
 miliardi dello scorso anno, e nel 2020 secondo Statista si supererà il muro dei 200
 miliardi. Risorse che, aggiungono gli analisti di Frost&Sullivan, tendono a
 concentrarsi ormai su alcuni ambiti specifici: big data (30%), intelligenza artificiale

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(24,5%), mobile (14,8%) e wearable (i dispositivi indossabili, 10,2%). Questi trend
stanno interessando anche il nostro Paese, che purtroppo continua a non brillare
nello scenario internazionale: la media dei Paesi Ocse è una spesa di 3.992 dollari
pro capite (a parità di potere d' acquisto), mentre in Italia ci fermiamo a 3.428
dollari. Non va meglio esaminando la sola spesa pubblica, visto che il gap resta
vicino ai 500 dollari (3.038 dollari contro una media di 2.545 euro a testa spesi dal
Servizio sanitario nazionale italiano). Secondo l' ultima edizione dell' Osservatorio
eHealthLab, elaborato da NetConsulting Cube e presentato in occasione del Digital
Health Summit andato in scena a Milano, il mercato della sanità digitale in Italia ha
toccato quota 1,72 miliardi di euro nel 2018, con una crescita del 4,2% rispetto al
2017 e un trend simile per l' anno in corso. Questa spesa continua però a essere
cannibalizzata dalla macchina operativa (80% del totale), lasciando poco spazio alla
progettualità di più lungo periodo. La buona notizia è che nonostante alcuni limiti
strutturali (la frammentazione dei centri di spesa, la scarsità di competenze
manageriali in tema di innovazione e il pressing asfissiante delle malattie croniche),
le esperienze virtuose si stanno moltiplicando, nel pubblico e nel privato. Il
Dipartimento di medicina e chirurgia l' Università di Salerno sta sviluppando in
tandem con il Cirpa e l' azienda Ict Innovery una piattaforma tecnologica che
analizza variabili cliniche ed extra-cliniche su pazienti, operatori sanitari e strutture,
per ridurre il numero di parti con taglio cesareo clinicamente non necessari (in
Europa ogni anno se ne stimano circa 160mila l' anno con un surplus di costo di 156
milioni di euro). C' è la startup innovativa Intech, che integra composti stampati in
3D, assistenti virtuali e intelligenza artificiale per formare i medici 4.0. Oppure l'
algoritmo ideato dalla Cattolica e dalla Bicocca, che aiuta il pronto soccorso a dare il
giusto codice alle emergenze su diagnosi complesse. Ci sono poi il sistema di
telemedicina sviluppato sempre dai due atenei con il Centro cardiologico monzino
per prevenire i disturbi del ritmo e della fibrillazione atriale come l' ictus, e il chatbot
per la ricerca documentale avanzata lanciato dalla Società italiana di nefrologia con
Amgen e Ibm. «Sarebbe però opportuno un coordinamento maggiore tra queste
esperienze - auspica però l' ad di NetConsulting Cube, Annamaria di Ruscio - Allo
stesso tempo servono pure visioni e approcci omogenei, che mettano sempre al
centro di ogni progetto la misurabilità del valore, tanto per il singolo quanto per la
collettività». ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

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21/10/2019                                                                                                                  Pagina 46

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                                            Argomento: Sanità nazionale

        Infiammazioni, se i medici non "ascoltano" l' allarme
 Alessandra Graziottin

 Passioni & sentimenti L' infiammazione è
 amica o nemica della salute? Come
 possiamo tenerla amica nell' arco della
 vita? Saperlo è essenziale: siamo vivi
 perché      abbiamo            attraversato                con
 successo     innumerevoli               infiammazioni.
 Più   saremo       capaci          di     allearci          all'
 infiammazione            amica,           più        saremo
 longevi e felici, in luminosa salute.
 Infiammare,        dal        latino         inflammare,
 significa incendiare, mettere a fuoco.
 Sono incendi microscopici, che tuttavia
 coinvolgono      miliardi          di     cellule.         Tre
 caratteristiche              differenziano                      l'
 infiammazione           amica,           alleata         della
 salute, dalla nemica. Innanzitutto, che
 sia   finalizzata      (resolving),            ossia        che
 persegua un progetto preciso, misterioso
 e silenzioso, di rinnovamento tissutale,
 anatomico e funzionale. Proprio perché finalizzata ha un tempo preciso di
 realizzazione e un' intensità proporzionata al progetto. Nella donna, tre esempi tipici
 di infiammazione fisiologica, sana, finalizzata a mantenere integre la vita e la
 possibilità di procreazione, sono l' ovulazione, la mestruazione e il parto. E' sana
 anche l' infiammazione che accompagna le infezioni o i traumi che si risolvono con
 un ritorno perfetto all' integrità (restitutio ad integrum), e quindi alla piena salute.
 Quello che noi vediamo, il rossore e il gonfiore, quello che sentiamo, il calore e il
 dolore, e quello che lamentiamo, la riduzione o la lesione funzionale, sono solo l'
 epifenomeno dell' infiammazione che incendia i tessuti. Gli antichi medici, con l'
 accurata osservazione clinica che oggi, ebbri di tecnologia, stiamo smarrendo, l'

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avevano ben sintetizzata con specifiche parole chiave: rubor, tumor, calor, dolor,
functio lesa. L' infiammazione diventa progressivamente nemica della salute quando
non persegue più un progetto di rinnovamento e diviene anarchica, puramente
distruttiva. In quanto tale, è cronica, di intensità variabile e imprevedibile. Questo
succede quando persistono le cause infettive, batteriche, micotiche o virali che l'
hanno provocata. Quando agenti nocivi, come i cancerogeni contenuti nel fumo, o
metalli pesanti ambientali, avvelenano i tessuti. L' infiammazione diventa cronica
anche quando ci comportiamo da piromani contro il nostro stesso corpo, buttando
benzina sul fuoco dell' infiammazione sino a un vero e lento suicidio in differita.
Quale benzina? L' eccesso di zuccheri, lieviti e grassi animali, che infiammano
intestino e tessuti. L' eccesso di alcol, cocktail micidiale di lieviti e zuccheri insieme.
L' inattività fisica, con l' asfissia tessutale che comporta, e l' aumento ponderale che
l' accompagna, in una società sempre più bulimica e sedentaria. Quando bruciamo il
riposo notturno. Quando dimentichiamo che una sobrietà scelta e variata è il miglior
alleato dell' infiammazione amica, che ci consente adattamenti rapidi e recuperi
ottimali. Quando dimentichiamo che coltivare l' equilibrio interiore è il miglior
allenamento per restare sani nel corpo, nella mente e nel cuore. Diamo per scontato
il tornare in forma, dopo un' infezione o una malattia. Non ci rendiamo nemmeno
conto di quanto sia complesso e mirabile il funzionamento di triliardi di processi
chimici contemporanei e sincronizzati per tenerci o farci tornare in salute. Di quante
misteriose strategie biochimiche sottendano la guarigione, per restituirci vitalità e
gioia di vivere. Siamo ancor meno consapevoli di quanto, ogni giorno, rendiamo più
difficile il progetto del corpo di restare in salute, nonostante noi stessi, verrebbe da
dire. A ben pensarci, essere e restare in salute è statisticamente meno probabile
dell' ammalarsi E noi medici? Aiuto! Spesso ci comportiamo più da piromani che da
vigili del fuoco impegnati a spegnere l' infiammazione. Perché non ascoltiamo più i
sintomi, che sono le sirene d' allarme con cui il corpo dice: «Attenzione, è partita un'
infiammazione che sta diventando nemica!». Perché da alleati del corpo e della
salute diventiamo traditori, quando di fatto ci alleiamo con le forze nemiche,
consentendo agli agenti nocivi di fare sempre più danno. Perché banalizziamo il
dolore, primo sintomo di infiammazione. Perché diciamo quella frase tremenda: «È
normale, cosa pretende», confondendo la frequenza statistica con la normalità
anatomica e funzionale. La normalità è la salute. Ciascuno di noi è il primo alleato
del proprio corpo. Il secondo è un medico competente, che ascolti i sintomi e
riconosca e curi l' infiammazione nemica e le sue cause, prima che sia troppo tardi.
www.alessandragraziottin.it © RIPRODUZIONE RISERVATA.
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21/10/2019                                                                                                                 Pagina 60

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                                           Argomento: Sanità nazionale

   La tecnologia arma la prevenzione nella guerra al tumore
                           del seno

 Il dibattito sibilla di palma, milano Resta
 il cancro più diffuso in Italia: 53.500 casi
 nel 2019. Ma è anche quello che si può
 meglio      sconfiggere            attraverso             una
 diagnosi precoce della malattia. Decisiva
 l' evoluzione dei macchinari. Lo hanno
 confermato i massimi specialisti U na
 diagnosi sempre più precoce grazie a
 nuove tecnologie che sono in grado di
 identificare anche le lesioni più piccole,
 così da intervenire prima che il tumore si
 diffonda. Alleati preziosi capaci di fare la
 differenza per chi soffre di cancro al
 seno, una patologia che colpisce in Italia
 circa 815mila donne, ma verso la quale
 sono stati fatti grossi passi in avanti,
 permettendo un tasso di sopravvivenza
 dell' 87% a cinque anni dalla diagnosi. Temi dei quali si è parlato nei giorni scorsi a
 Milano in occasione dell' evento "Health Screening: le nuove tecnologie per la lotta
 al tumore al seno", appuntamento organizzato nel mese della prevenzione da
 Repubblica in collaborazione con H-Farm e Fujifilm nell' ambito dei "Talks on
 Tomorrow", ciclo di incontri dedicati alla trasformazione digitale e al rapporto tra
 tecnologia e società e salute pubblica. A dare uno spaccato della situazione è l'
 indagine "I numeri del cancro in Italia 2019", censimento ufficiale dell' Associazione
 italiana di oncologia medica-Aiom, secondo cui il cancro della mammella è tutt' ora il
 più frequente nella Penisola (53.500 casi nel 2019) ed è anche la neoplasia più
 diagnosticata nelle donne. Tra i fattori di rischio il più importante riguarda l' età, con
 la maggior incidenza per le donne tra i 50 e i 69 anni. A questo si aggiungono fattori

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