Media Monitoring per 23-10-2019 - Rassegna stampa del 21-10-2019 - Ruggi
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AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona ................................................................................ 1 21/10/2019 - IL MATTINO (ED. SALERNO) «Una preparazione migliore per superare tutte le paure» ..................................................... 1 21/10/2019 - IL MATTINO (ED. SALERNO) L'algoritmo che riduce i parti cesarei ..................................................................................... 3 21/10/2019 - LA CITTÀ DI SALERNO Scandalo furbetti del cartellino, niente sconti ....................................................................... 5 Sanità Salerno e provincia .............................................................................................................. 7 21/10/2019 - LA CITTÀ DI SALERNO «Il Centro era fuorilegge, risarcisca» ..................................................................................... 7 Sanità Campania ............................................................................................................................... 9 21/10/2019 - IL MATTINO (ED. AVELLINO) Città ospedaliera senza autorizzazione .................................................................................. 9 21/10/2019 - IL MATTINO (ED. AVELLINO) Molti nosocomi sono nella stessa situazione ad aprile sequestrato quello di Sessa Aurunca .............................................................................................................................................. 11 Sanità nazionale ............................................................................................................................. 13 21/10/2019 - IL FATTO QUOTIDIANO "Le nanoparticelle di smog causano cancro al cervello" ....................................................... 13 21/10/2019 - IL MESSAGGERO Allerta sigarette elettroniche «Partire con il monitoraggio» ................................................ 16 21/10/2019 - IL MESSAGGERO «È un problema di sostanze in Italia regole più severe» ...................................................... 18 21/10/2019 - CORRIERE DELLA SERA «Curo i bimbi tra le bombe ma non sono un supereroe» ...................................................... 19 21/10/2019 - AFFARI & FINANZA E-health, nell' Italia che spende poco si fanno strada cinque eccellenze ............................. 21 21/10/2019 - IL MATTINO Infiammazioni, se i medici non "ascoltano" l' allarme .......................................................... 23 21/10/2019 - AFFARI & FINANZA La tecnologia arma la prevenzione nella guerra al tumore del seno .................................... 25 21/10/2019 - AFFARI & FINANZA Nella diagnostica il know-how delle foto "Per noi il digitale è driver d' eccellenza" ............ 28
21/10/2019 Pagina 19 Il Mattino (ed. Salerno) EAV: € 4.378 Lettori: 107.296 Argomento: AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona «Una preparazione migliore per superare tutte le paure» L' INTERVISTA «Si metta fine alla personalizzazione del parto e si preparino meglio gli specializzandi all' ostetricia e i corsi per le gravide». A invocare il cambio di passo per diminuire il ricorso al taglio cesareo è Mario Polichetti, attuale responsabile facente funzione del reparto di gravidanze a rischio del Ruggi, che spiega anche come siano cambiate le partorienti negli ultimi anni. I numeri mostrano nel salernitano percentuali ancora intorno al 40-45 per cento di tagli cesarei. A cosa è dovuto e dove si dovrebbe intervenire? «Il primo punto è quello della depenalizzazione del reato connesso al parto. Molte volte, per paura, non si vuole rischiare e si opta per questa soluzione. C' è da dire, inoltre, che nelle scuole di specializzazione si fa poca formazione in ostetricia e si preferiscono altre strade. Ci sono poi i cosiddetti parti di comodi, che si hanno quando la paziente ha paura di partorire e chiede di essere operata di taglio cesareo. Una cosa che dovrebbe scomparire, infine, è la personalizzazione del parto. In questi casi la paziente vuole essere assistita dal proprio medico e quindi pur di non perderlo chiede di essere sottoposta a taglio cesareo». Dietro questi numeri ancora alti, soprattutto in alcune strutture private, nonostante la flessione degli ultimi tempi, c' è solo la paura di non sbagliare o si nasconde dell' altro? «Non credo. Le strutture private sono convenzionate e la prestazione è garantita dal sistema sanitario nazionale. Non c' è, quindi, il discorso della ricompensa per l' operatore o della parcella per chi opera. Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
Penso, invece, che sia solo una questione di tranquillità e sicurezza, non di soldi». Oggi le partorienti sono cambiate. Il primo figlio giunge più tardi e questo aumenta i fattori di rischio. Il suo reparto, poi, è specializzato nella gestione dei casi eccezionali. «Sì, oggi lo scenario è cambiato. Il primo parto avviene in età più avanzata e questo porta con sé una serie di problematiche. Tra queste anche l' aumento dell' incidenza di tagli cesarei. Far partorire una donna di 45-46 anni sicuramente presenta più rischi rispetto a una di 26, se non altro per i tessuti, per la presenza di patologie concomitanti. Nel mio reparto, poi, è necessario il cesareo, proprio perché ci sono gravide affette da patologie serie, i cui feti hanno essi stessi patologie serie. Nessuno si sogna di far partorire una gravida a rischio. Parliamo di donne con un bambino prematuro o con una placenta a creta». Persiste ancora quella sottocultura di remora nei confronti dei parti naturali? «Sì, perché bisognerebbe lavorare di più sulla formazione, sui corsi di preparazione al parto. In prevalenza la donna si sente insicura. Il parto naturale rappresenta un punto interrogativo, così si vede nel cesareo qualcosa di rassicurante. Le partorienti dovrebbero essere preparate meglio. Negli ultimi tempi, però, almeno nelle prime gravide, si sta riducendo il numero di tagli cesarei». sa.ru. © RIPRODUZIONE RISERVATA. Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
21/10/2019 Pagina 19 Il Mattino (ed. Salerno) EAV: € 5.331 Lettori: 107.296 Argomento: AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona L'algoritmo che riduce i parti cesarei Sabino Russo In arrivo un nuovo modello di gestione dei parti cesarei, con l' uso delle nuove tecnologie per limitare un fenomeno che nel salernitano, stando almeno agli ultimi numeri del Piano nazionale esiti 2018, vede ancora nei due più grandi ospedali della provincia una incidenza che va dal 54,25 per cento del Ruggi al 43,86 per cento di Nocera Inferiore. Il progetto prevede la creazione di una piattaforma digitale, nella quale saranno inseriti i dati clinici della paziente (età, primo o secondo parto, conoscenze culturali e anche possibilità economiche), che saranno intersecate con i dati del singolo medico (percentuali di parti naturali o con taglio svolto) e della struttura ospedaliera più idonea al singolo caso. Dall' insieme di queste informazioni, attraverso l' utilizzo di algoritmi predittivi, il sistema punta a elaborare un nuovo modello, che avrà un duplice scopo: tutelare la salute delle partorienti e dei nascituri, favorendo l' efficientamento del percorso di cure, e supportare il processo di digitalizzazione del sistema sanitario nazionale. PIATTAFORMA DIGITALE Il sistema è sviluppato da Innovery, azienda specializzata nell' analisi ed elaborazione di grande quantità di dati (big data), in collaborazione col Centro interdipartimentale per la ricerca in diritto, economia e management della pubblica amministrazione e il dipartimento di Medicina e chirurgia, coordinati da Paola Adinolfi (foto in alto) dell' ateneo di Salerno, e ha ottenuto un finanziamento attraverso i fondi europei di sviluppo regionale (Fesr) della Campania e si concluderà Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
entro maggio 2020. L' obiettivo è di ridurre il numero di parti con taglio cesareo clinicamente non necessari nella regione con il più alto numero di cesarei del Paese, attraverso l' utilizzo di big data analytics, intelligenza artificiale e mobile app: un modello che potrebbe essere utilizzato da tutte le strutture sanitarie interessate, portando a una diminuzione dei parti cesarei in tutto il territorio nazionale. «Siamo lieti di essere i capofila di un progetto così ambizioso e innovativo per la Regione, avviato grazie alla collaborazione con l' Università di Salerno - spiega Gianvittorio Abate, amministratore delegato di Innovery - Per la sua realizzazione abbiamo utilizzato una combinazione di piattaforme digitali, facendo leva sulla nostra consolidata esperienza nel campo dei big data analytics on cloud, e nel settore dei data security; tecnologie che Innovery sa creare e utilizzare grazie al know-how dei suoi dipendenti e che possono avere un' infinità di applicazioni, non solo in campo sanitario, ma in moltissimi altri settori della società». Il parto cesareo è una procedura con profili di rischio più alti rispetto a quello naturale e con costi più elevati per il sistema sanitario, con un incremento di costi di circa il 36 per cento rispetto a quello naturale (remunerazione equipe, farmaci e materiali necessari all' intervento chirurgico, incremento dei costi di degenza). I costi sono assorbiti dal sistema sanitario nelle strutture pubbliche, mentre sono a carico della paziente in quelle private (circa 1500 euro, che possono arrivare a 6mila). Il tema ha dimensioni europee e ha le sue radici in un trend globale: in Europa, ogni anno, si stimano circa 160mila tagli cesarei non necessari, con un surplus di costo associato pari a 156 milioni di euro (dato 2017), ma nei primi anni duemila si è assistito a un' impennata dei parti cesarei, che sono passati da 16 milioni (12,1 per cento di tutte le nascite) nel 2000 ai 29,7 milioni (21.1 per cento del totale) nel 2015. Non è un caso che proprio la Regione abbia finanziato la ricerca: il progetto potrebbe dimostrarsi un ottimo supporto per ridurre il ricorso alla pratica del taglio cesareo, fenomeno che in Campania, complessivamente, raggiunge la percentuale del 59,5 per cento, sebbene l' organizzazione mondiale della Sanità raccomandi di non superare il 15%. © RIPRODUZIONE RISERVATA. Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
21/10/2019 Pagina 4 La Città di Salerno Argomento: AOU San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona Scandalo furbetti del cartellino, niente sconti Assenteismo all'ospedale di Salerno, la Cassazione rigetta il ricorso della caposala: confermata la condanna a sei mesi di reclusione e il risarcimento danni in favore dell'azienda ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona. Il collegio della seconda sezione penale (presidente Domenico Gallo , relatore Andrea Pellegrino ) ha respinto il ricorso avanzato da una ex dipendente dell'ospedale di via San Leonardo. La caposala Elena D'Ambrosio , nel dettaglio, aveva impugnato la sentenza della Corte d'Appello di Salerno del 23 marzo 2018, che confermava la pronuncia resa in primo grado all'esito di giudizio abbreviato nell'udienza preliminare del Tribunale di Salerno, con la quale la professionista veniva condannata alla pena di sei mesi di reclusione per i reati di truffa aggravata oltre al risarcimento dei danni a favore dell'azienda Ruggi che si è costituta parte civile nel procedimento. Arriva così la parola fine sulla vicenda nata da una denuncia sporta dal sindacalista Giuseppe Cicalese , all'epoca rappresentante della Ugl, all'interno dell'ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona, con cui il rappresentante dei lavoratori lamentava l'esistenza di un diffuso e ben collaudato sistema di assenteismo dal lavoro con il coinvolgimento, a vario titolo, di un cospicuo numero di dipendenti, tra medici ed ausiliari. Secondo la ricostruzione della Procura di Salerno, un gruppo di maestranze al Ruggi erano solite aggirare i sistemi di rilevazione delle presenze, installati all'interno della struttura, affidando a colleghi i compiti di timbrare i propri cartellini marcatempo, in modo da far figurare l'ingresso e l'uscita Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
dal luogo di lavoro in orario diverso da quello effettivo. Nel caso specifico, il legale della D'Ambrosio ha impugnato la sentenza di secondo grado, lamentando «la contraddittoria e illogica motivazione del percorso di motivazione della pronuncia, e in riferimento all'ingiusto profitto e dolo della ricorrente». Ma i giudici dellla Corte di Cassazione hanno bocciato la tesi difensiva della caposala e condannando, in via definitiva, l'ex dipendente dell'azienda ospedaliera di Salerno, obbligandola al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile. In merito alla vicenda, l'Azienda sanitaria nell'ottobre del 2016 aveva già provveduto al licenziamento per sei imputati: oltre a Elena D'Ambrosio, il benservito è stato dato anche a Marisa Palo (infermiera), Santo Pepe (operatore addetto alle pulizie esterne), Carmine De Chiaro (addetto alla formazione), Ciro Cuciniello (operatore addetto ai servizi tecnici), Vincenzo Califano (impiegato) e Carmela Di Paolo (caposala). Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
21/10/2019 Pagina 23 La Città di Salerno Argomento: Sanità Salerno e provincia «Il Centro era fuorilegge, risarcisca» di Carmine Landi ALBANELLA Il Tre Torri deve restituire i quattrini: parola dei vertici dell'Asl salernitana, che bussano a soldi alle porte del Centro di riabilitazione, reclamando le somme versate per ventitré mesi sul conto della società titolare della struttura di Matinella di Albanella, guidata da Gennaro Salzano . Per quasi due anni, a detta dell'Azienda sanitaria, il centro era fuorilegge perché non aveva reclutato un direttore responsabile specialista a tempo pieno. Il presidio che fu senza direttori deve sborsare le somme incassate per «prestazioni sanitarie erogate non in regime di accreditamento provvisorio». Lo deliberano il direttore generale dell'Asl, Mario Iervolino , quello amministrativo, Caterina Palumbo , e quello sanitario, Ferdinando Primiano , conferendo ai legali il mandato «di procedere al recupero delle somme corrisposte al Centro in parola limitatamente alle annualità 2016/2017, in particolare dal 12 febbraio 2016 fino al 31 dicembre 2017». A proporre a Iervolino l'adozione del provvedimento sono stati il direttore del Dipartimento di Prevenzione, Domenico Della Porta , quello dell'Unità assistenza accreditata, Marcella Magurno , e il numero uno del Distretto Sanitario 69 Agropoli Capaccio Paestum, Giuseppina Arcaro . E lo hanno fatto dopo aver preso atto dei verbali di riunione stilati, in occasione di nove sedute, da novembre 2018 a giugno 2019, dalla Commissione speciale che era chiamata a quantificare la Com, la Capacità operativa massima del Centro Tre Torri: di quel gruppo, presieduto da Nicola Abbamondi , direttore dell'unità di Riabilitazione alle dipendenze dell'Asl Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
partenopea, facevano parte Mario Forlenza , Arcangelo Saggese Tozzi , Adriana Amato e Stefano Graziano , tutti dipendenti dell'Azienda sanitaria salernitana. Una commissione chiamata a mettere ordine nell'intricata matassa Tre Torri, il cui accreditamento provvisorio con l'Asl, fin dal '94, era stato riconosciuto solo nel 2014 dal commissario ad Acta, delegato dieci anni prima dai giudici del Consiglio di Stato, che s'erano pronunciati su un vecchio contenzioso, proprio in materia di convenzionamento, tra l'Azienda sanitaria e la società privata. Per rendere nuovamente operativo il Centro, l'Asl nel 2016 stabilì un tetto di spesa provvisorio; nel 2018 nominò una commissione chiamata a verificare. Verifiche nefaste per il centro. «Nel corso della disamina - scrivono i dirigenti - la commissione ha rilevato che, nei ruoli organizzativi del Centro, non era presente un direttore responsabile specialista a tempo pieno, come viceversa è richiesto dalla normativa di riferimento». Di qui «l'assenza di un requisito essenziale per l'attribuzione della Com e dell'erogazione di prestazioni in regime di accreditamento ». Per l'Asl le somme vanno restituite: saranno i contabili dell'Azienda a quantificarle, i legali a reclamarle. L'assenza d'un direttore in passato non dovrebbe portare alla serrata, visto che la commissione ritiene «possibile oggi calcolare il tetto di spesa tenendo conto dei requisiti presenti al 31 dicembre del 2017 e l'assenza di qualsiasi provvedimento formale che abbia disposto la sospensione o, addirittura, la decadenza del Centro è congrua base». Sul punto, però, Iervolino fa sapere che «le risultanze verranno formalizzate con separato provvedimento». Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
21/10/2019 Pagina 17 EAV: € 5.770 Lettori: 107.296 Argomento: Sanità Campania Città ospedaliera senza autorizzazione IL CASO Flavio Coppola Nove anni dopo l' inaugurazione, la Città ospedaliera di Contrada Amoretta non ha ancora ottenuto dal Comune l' autorizzazione sanitaria completa all' esercizio dell' attività. Il più grande ospedale irpino, lo si evince dalla documentazione protocollata a Piazza del Popolo, è privo dell' attestato fondamentale sul rispetto dei requisiti igienici e strutturali previsti dalla delibera regionale 7301, in vigore dal lontano 2001. In teoria, dunque, rischia l' avvio di un procedimento di chiusura da parte dell' ufficio sanitario di Palazzo di Città o, quantomeno, di una visita dei Nas. Sta di fatto che la commissione tecnica multidisciplinare dell' Asl non ha ancora consegnato nelle mani del Comune (che ha nel sindaco la massima autorità sanitaria locale) il parere igienico-sanitario conclusivo rispetto all' idoneità di tutti i reparti. E' il presupposto di legge per il rilascio dell' autorizzazione sanitaria dall' ente. In merito, se è vero che tanto il presidente della commissione, Onofrio Manzi, quanto il direttore dell' Area Tecnica del «Moscati», Serio Casarella, chiariscono verbalmente che l' azienda ospedaliera non presenta di fatto alcuna rilevante criticità igienico-strutturale, agli atti risulta che l' Ufficio comunale competente ha autorizzato negli ultimi 9 anni anni soltanto 3 unità operative. Tutte durante la consiliatura di Paolo Foti. Si tratta del Servizio immuno-trasfusionale, al piano terra, il 23 febbraio 2015, del Centro di Procreazione medicamente assistita di secondo livello, al secondo piano, il 27 marzo 2015, e dell' Unità di Radioterapia, Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
ancora al piano terra, il 27 luglio 2016. Tutto il resto, al netto di due nulla osta, per l' impiego di un acceleratore lineare ancora in Radioterapia e per l' organizzazione di un laboratori di manipolazione cellulare, è sprovvisto dell' autorizzazione del Comune. Sebbene in Campania siano diversi i plessi pubblici in questa condizione, che però va obbligatoriamente sanata, l' assenza dell' autorizzazione all' esercizio dell' attività sanitaria figura tra le cause che possono indurre i Nas a disporre un sequestro preventivo dell' ospedale. Ciò è avvenuto lo scorso aprile per il plesso di Sessa Aurunca, mentre la chiusura, in questi casi, è all' ordine del giorno nelle strutture sanitarie private. Ovviamente, va anche detto che appare assolutamente improbabile che il sindaco di Avellino, Gianluca Festa, si spinga sin qui. Ma l' iter, se è vero che la Città ospedaliera ha tutti i requisiti, va immediatamente sbloccato. Le carte testimoniano la lentezza estrema di un procedimento delicatissimo, che riguarda la sicurezza e i diritti di migliaia e migliaia di utenti. Ma anche degli operatori. L' ultimo atto al protocollo del Comune di Avellino risale, infatti, a due anni fa. L' 8 febbraio 2018, in risposta ad un' apposita richiesta giunta dal «Moscati», a firma di Casarella e dell' ex dg, Sergio Percopo, l' ufficio sanitario scriveva: «Si attende il parere igienico-sanitario conclusivo dell' Asl, per poter rilasciare le autorizzazione all' esercizio e completare, insieme a quelle già rilasciate (allegate alle carte ndr), tutti i settori della Città Ospedaliera». Da allora, però, nessuna comunicazione è più pervenuta a Piazza del Popolo. Perché? A rispondere è il presidente dell' organismo competente, la commissione tecnica multidisciplinare dell' Asl, Onofrio Manzi: «Il problema è legato alla vastità della struttura, ma abbiamo ispezionato la gran parte dei reparti e non abbiamo riscontrato criticità di sorta, se non minime. Abbiamo deciso procedere per singola unità (circostanza confermata anche da Casarella ndr) ma l' iter si è rallentato. - ammette - Sia per il cambio al vertice del «Moscati», che per il fatto che la nostra commissione ha perso due membri». Stessa versione anche dalla Cttà ospedaliera, dove però Casarella riferisce anche di un altro intoppo, sempre burocratico, legato all' accatastamento della proprietà dei suoli. Risalirebbe addirittura al 1993. Resta il fatto che l' autorizzazione sanitaria totale non c' è ancora. E fino a quando l' atto non verrà rilasciato nero su bianco dal Comune, sul più grande ospedale irpino continuerà a gravare un' ombra di pesante incertezza. © RIPRODUZIONE RISERVATA. Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
21/10/2019 Pagina 17 EAV: € 6.150 Lettori: 107.296 Argomento: Sanità Campania Molti nosocomi sono nella stessa situazione ad aprile sequestrato quello di Sessa Aurunca IL QUADRO Ettore Mautone È il 3 aprile di quest' anno quando i carabinieri del Nas provvedono al sequestro preventivo, con facoltà d' uso, dell' ospedale San Rocco di Sessa Aurunca per la riscontrata assenza delle autorizzazioni all' esercizio previste dall' articolo 193 del Testo unico delle Leggi sanitarie. Da quanto emerge dall' inchiesta il cinquanta per cento delle strutture sanitarie della Asl Napoli 3 non è in possesso dell' autorizzazione necessaria per legge all' esercizio dell' attività sanitaria primo gradino degli accreditamenti delle strutture in base ai requisiti di qualità strutturali e strumentali al cui rispetto sono tenute sia le strutture pubbliche sia quelle private. Una falla che investe in realtà gran parte delle Asl e ospedali della Campania e che risale nel tempo incrociando il tortuoso iter delle ristrutturazioni e adeguamenti strutturali previsti per la rete ospedaliera regionale. In Campania, le norme che hanno recepito le previsioni della legge 229 del 1999 sugli accreditamenti delle strutture sanitarie pubbliche e private sono state scritte nel 2001 con un' apposita delibera di giunta regionale (7301) poi sfociata, di proroga in proroga, nell' ultimo regolamento del 22 giugno del 2007. Ma cosa prevede l' autorizzazione che manca alla lista nera degli ospedali pubblici? Parliamo di una serie di parametri igienico-strutturali che devono rispondere ai requisiti prestabiliti per passare il vaglio di un' apposita commissione regionale. Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
Parliamo di impianti antincendio, servizi, parametri di sale operatorie e corsie, reti di diffusione dell' ossigeno, impianti e strutture che dovrebbero rispondere a precisi criteri di qualità e sicurezza. Solo dopo che il suddetto organismo regionale si è espresso favorevolmente, i sindaci dei Comuni di competenza rilasciano il permesso all' attività sanitaria alle strutture. Detta così sembrerebbe che Asl e ospedali, sprovvisti di tali decreti, esercitino quasi da abusivi. In realtà lo scenario è ben diverso e quanto mai complesso e si lega a doppio filo con il destino dei fondi per le ristrutturazioni edilizie in campo sanitario. Lo stanziamento delle risorse (30 mila miliardi delle vecchie lire da ripartire in varie tranche annuali tra tutte le Regioni) è partito nel lontano 1988 con la finanziaria di quell' anno (articolo 20 della legge 67) ma la partita è ancora in gioco e si concluderà solo nei prossimi anni. Dei circa 2,5 miliardi di euro (a quel tempo calcolati in lire) spettanti alla Campania una buona metà si incagliò nelle difficoltà di progettazione e negli alterni destini dei piani ospedalieri licenziati da Palazzo Santa Lucia. Sono gli anni della giunta governata da Antonio Bassolino. Parte di quei fondi a causa dei ritardi restano dunque congelati. Un lungo bagnomaria durato quasi tre lustri fino a trascinarsi nell' attuale consiliatura quando dopo il via libera al tormentato iter del piano ospedaliero il Governatore Vincenzo De Luca è riuscito da ottenere (a marzo di quest' anno) il definitivo via libera del ministero della Salute e dell' Economia all' utilizzo di 1,1 miliardi residui per rammodernare e adeguare strutturalmente e dal unto di vista impiantistico la rete ospedaliera campana. Era il tassello che mancava per procedere agli adeguamenti sinora condotti in porto solo dalle strutture private accreditate ma rimasti al palo sul versante pubblico. Il nodo delle mancate autorizzazioni è dunque tutto in questi passaggi. Del resto è lo stesso regolamento regionale del 2007 all' articolo 4 a stabilire che «al fine di garantire alle strutture pubbliche ed equiparate (ospedali classificati) la realizzazione del programma di investimenti in edilizia sanitaria (con le risorse assegnate alla Regione per le prime e direttamente dallo Stato per le seconde la scadenza è differita fino al completamento di detto programma regionale di edilizia sanitaria e comunque non oltre due anni dalla data di concessione del finanziamento». In pratica fino a quando non saranno chiusi i cantieri per gli adeguamenti edilizi e strutturali le strutture pubbliche sono accreditate e autorizzate in deroga. © RIPRODUZIONE RISERVATA. Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
21/10/2019 Pagina 6 EAV: € 7.190 Lettori: 101.864 Argomento: Sanità nazionale "Le nanoparticelle di smog causano cancro al cervello" Stefano Valentino Nanoparticelle fuori controllo provocano tumori al cervello. L' Ue vuole limitale. I costruttori auto chiedono tempo. Un esclusivo studio canadese, pubblicato prossimamente sulla rivista Epidemiology, dimostra per la prima volta che le particelle ultrafini emesse da fonti inquinanti come il traffico stradale provocano tumori cerebrali. La scoperta lancia un nuovo allarme sulla pericolosità per la salute delle nanoparticelle, composti chimici con diametro inferiore a 100 nanometri (1.000 volte più sottili di un capello). Questi inquinanti infinitesimali non sono ancora pienamente regolamentati a livello europeo. Pertanto sfuggono ai controlli e fuoriescono a iosa dai tubi di scappamento. Si parla di decine di migliaia di miliardi a Km percorso. Ma l' industria automobilistica si oppone a una rapida riforma legislativa che ne limiti l' emissione. Le regole Ue vigenti per l' omologazione delle auto fissano limiti solo per le particelle di dimensione minima di 23 nanometri. Tuttavia nuove tecnologie di misurazione hanno recentemente svelato che ogni giorno, nelle nostre città, respiriamo invisibili sciami di particelle inferiori ai 2,5 nanometri (9 volte inferiori a quelle normate) che sono ancora più micidiali: sono così piccole che riescono a penetrare in profondità nei tessuti dell' organismo umano, compreso il cervello appunto. Le quantità esatte di particelle in circolazione sono ancora difficilmente determinabili, variando a seconda del posto e della stagione. Le agenzie ambientali nazionali non ci hanno ancora informato poichè, in base alla Direttiva europea sulla qualità dell' aria, le Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
stazioni pubbliche di monitoraggio dell' inquinamento atmosferico hanno l' obbligo di misurare solo le concentrazioni di particelle di 2,5 micrometri (2.500 volte piu grandi delle nanoparticelle). "Un aumento di 10.000 nanoparticelle per cm cubo è responsabile di circa un nuovo caso di tumore cerebrale per ogni 100.000 persone - afferma Scott Weichenthal, autore dello studio condotto nella città di Toronto (oltre 6 milioni di abitanti nell' area urbana) e professore associato al Dipartimento di Epidemiologia, Biostatistica e Salute del lavoro dell' Universita McGill di Montreal - Per stabilire tale correlazione e necessario studiare una popolazione molto ampia e disporre di un modello di esposizione alle nanoparticelle specifico per la località studiata, pertanto i nostri risultati non sono automaticamente applicabili in qualsiasi altra città". Concorda Massimo Stafoggia, esperto del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, che sta attualmente pianificando un' indagine nella Capitale per quantificare le vittime di malattie cardiovascolari indotte dallo stesso tipo di particelle. "Per ottenere eventualmente anche nelle grandi città italiane gli stessi risultati riscontrati a Toronto occorrerebbe ripetere lo studio localmente usando una popolazione altrettanto cospicua". Giusto per dare un generico ordine di grandezza, si puo stimare che a Roma (4 milioni di abitanti) 40 persone muoiono ogni anno di tumore al cervello a causa delle nanoparticele, sempre che si possano operare i medesimi calcoli fatti a Toronto. Altri studi, pubblicati di recente, confermano che le nanoparticelle colpiscono tutte le parti del corpo, contribuendo all' insorgere di numerose patologie, compreso il diabete. A salvarci dalle particelle killer non basterà l' uscita dal diesel, finora demonizzato in seguito allo scandalo delle emissioni truccate di biossido di azoto ( NO2 ). Nuovi test auto finanziati dall' Ue rivelano infatti che i motori a benzina e gas naturale emettono addirittura più nanopaticelle nocive che i motori diesel euro 6 (dotati di filtri antiparticolato piu efficaci), nonostante rispettino le soglie in vigore per le particelle piu grandi. I quantitativi rilasciati dai due tipi di carburanti sarebbero rispettivamente 100 e 10 volte superiori rispetto ai nuovi diesel. La Commissione europea sta già lavorando a un piano per imporre limiti piu stringenti alle emissioni di tutte le tipologie di auto in modo da minimizzare anche il rilascio di particelle ultrafini. Ma la tempistica per l' approvazione di norme che tutelino maggiormente la nostra salute resta incerta. Il processo e iniziato nell' ottobre 2018 con la conferenza sul futuro della legislazione sulle emissioni, a seguito della quale e stato istituito un gruppo di esperti a Bruxelles, riunitosi per la seconda volta venerdi scorso. Alle riunioni partecipano sia le Ong sia l' Associazione europea dei costruttori auto. Quest' ultima ha chiesto un periodo di transizione per dotare i futuri veicoli dei necessari sistemi anti- Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
nanoparticelle, alludendo al preavviso di quattro anni tradizionalmente accordato all' industria dalla legislazione Usa. "Non e neanche ancora appurato che nuovi limiti di emissione post euro 6 siano necessari - afferma Kasper Peters, Portavoce dell' Associazione - I nuovi standard potrebbero essere adottati, ma anche non esserlo, sarà tutto da vedere". La tabella di marcia è fitta di procedure burocratiche che rischiano di allungare i tempi. La Commissione Ue ha commissionato due indagini scientifiche e due altri studi: uno per analizzare la legislazione internazionale e le possibili opzioni legislative a livello Ue e un secondo per valutare la fattibilità tecno- economica e l' atteso impatto dei nuovi limiti di emissione. L' avanzamento di vari lavori, che non saranno completati prima della fine del 2020, verrà seguito dal gruppo di esperti che continuerà a riunirsi ogni trimestre. Una proposta normativa concreta della Commissione non è ancora stata messa in calendario. Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
21/10/2019 Pagina 15 EAV: € 15.754 Lettori: 292.828 Argomento: Sanità nazionale Allerta sigarette elettroniche «Partire con il monitoraggio» IL CASO ROMA La definizione tecnica è «Allerta di grado 2». È contenuta in un documento inviato dall' Istituto superiore di Sanità al Ministero della Salute e agli assessorati regionali di tutta Italia. Obiettivo: vigilare sulla «grave malattia polmonare tra le persone che utilizzano le sigarette elettroniche (svapo), con causa sconosciuta», segnalata in diversi Stati degli Usa; monitorare l' insorgenza «di gravi lesioni polmonari tra le persone che utilizzano prodotti per sigaretta elettronica» documentati sempre negli Usa. Si tratta di una polmonite chimica che sta mietendo vittime soprattutto tra i più giovani in America. Attenzione: questo non significa che svapare faccia male o quanto meno che siano dimostrati gli effetti nocivi. Il tema è un altro: poiché negli Stati Uniti si sta affrontando una epidemia di una malattia polmonare, chiamata Evali (E-cigarette, or Vaping, product use Associated Lung Injury) diffusa tra chi fa un uso improprio di questo strumento, ora è giusto vigilare anche negli ospedali italiani. SITUAZIONE Gli esperti però avvertono: ciò che è stato registrato negli Stati Uniti, per ora non ha alcun riscontro in Italia e in Europa, perché il problema negli Usa è rappresentato dall' uso senza regole dell' e-cigarette, spesso legato al consumo di stupefacenti. Nel nostro Paese i controlli sulla vendita nei canali ufficiali delle sostanze con cui sono caricati questi strumenti sono molto più rigorosi. Negli Usa l' epidemia preoccupa con 1.300 casi e 26 morti, tanto che anche il presidente Donald Trump era intervenuto garantendo che sarebbero state Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
cambiate le leggi. L' Istituto superiore di Sanità parte dalle segnalazioni ricevute dall' Osservatorio europeo sulle droghe e le tossicodipendenze, che a sua volta parte da ciò che è stato accertato dalle autorità americane; ricorda che le strutture sanitarie negli States hanno registrato una serie di gravi lesioni polmonari diffuse tra chi usa prodotti per sigarette elettroniche. Sono stati segnalati casi di svapo di una serie di prodotti e di sostanze tra cui quelli contenenti nicotina, thc, cannabis, cannabidiolo e cannabinoidi sintetici. Sebbene la causa della malattia negli Stati Uniti sia attualmente sconosciuta, ma sia comunque verificato il collegamento con l' uso in modo scorretto delle sigarette elettroniche non si può escludere anche una potenziale minaccia anche in Europa a causa della catena di approvvigionamento globalizzata. Spiega il documento in cui è diffuso l' allerta di grado 2: la causa specifica della lesione polmonare va trovata, ma tutti i pazienti riportano una storia di utilizzo della sigaretta elettronica e hanno segnalato l' uso di sostanze come il thc (uno dei più importanti principi attivi della cannabis). VIGILANZA In estrema sintesi, ora anche le strutture sanitarie italiane dovranno vigilare e denunciare eventuali casi simili di malattie polmonari. Secondo gli esperti, ad oggi non ci sono stati, anche perché, come detto, i canali di vendita sono più controllati così come le cartucce in commercio, mentre negli Stati Uniti, dove questo tipo di prodotto è molto diffuso tra i giovanissimi, la storia è assai differente. Secondo gli esperti, l' ipotesi più credibile è che nel serbatoio siano stati introdotti degli oli e della vitamina E per sciogliere dei derivati della cannabis, ma anche altre sostanze tossiche non ancora individuate. Giova ripeterlo: l' epidemia dunque è collegata a questa problematica, a un uso distorto della sigaretta elettronica e fuorilegge. DIVIETI Discorso differente, è quello su cui da tempo c' è dibattito: c' è chi chiede una differente regolamentazione anche dell' uso corretto della sigaretta elettronica in Italia, applicando gli stessi divieti previsti per le sigarette tradizionali. Nel Lazio, ad esempio, l' assessore regionale Alessio D' Amato ha deciso che applicare una serie di limitazioni: divieto di utilizzare la sigaretta elettronica negli uffici regionali, ma anche negli ospedali e nei parchi circostanti alle strutture sanitarie. Mauro Evangelisti © RIPRODUZIONE RISERVATA. Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
21/10/2019 Pagina 15 EAV: € 6.856 Lettori: 292.828 Argomento: Sanità nazionale «È un problema di sostanze in Italia regole più severe» OL' intervista Fabio Beatrice «È giusto che l' Istituto superiore di Sanità diffonda l' allerta. Ma ciò che sta succedendo negli Stati Uniti è dovuto a un uso illegale della sigaretta elettronica. In Italia abbiamo regole molto più severe». Il professor Fabio Beatrice è direttore Orl e Centro Antifumo Ospedale San Giovanni Bosco di Torino. Perché l' uso con sostanze nocive non potrebbe avvenire anche in Italia? «In Europa e in Italia non ci sono stati casi perché chi produce questi liquidi è sottoposto a rigorosi controlli. Poi, certo se qualche sconsiderato si procura sostanze proibite sul dark web, il problema si pone, ma è lo stesso guaio che abbiamo se qualcuno compra cozze avariate dove non dovrebbe. Negli Usa ci sono meno regole. E quasi tutti i casi di polmonite chimica sono collegati all' uso di cannabis». C' è chi sostiene che andrebbe limitato anche il normale uso della e-cigarette perché non ci sono sufficienti studi che escludano effetti nocivi. «La sigaretta tradizionale in Italia provoca 81mila morti all' anno. Tra una nocività accertata e uno strumento che riduce enormemente il rischio, non ho dubbi sulla scelta migliore». Non rischia di avvicinare i ragazzi al tabacco? «La sigaretta elettronica deve essere usata per aiutare i fumatori incalliti a smettere. Se fumi due pacchetti di sigarette al giorno, prova a farti aiutare e a smettere; se non ci riesci, meglio la sigaretta elettronica». M.Ev. © RIPRODUZIONE RISERVATA. Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
21/10/2019 Pagina 18 EAV: € 36.918 Argomento: Sanità nazionale Lettori: 725.830 «Curo i bimbi tra le bombe ma non sono un supereroe» dal nostro inviato Riccardo Bruno La storia Scaini e i Medici Senza Frontiere MISANO (Rimini) In ambulatorio non c' è. È uscito per fare una visita urgente a un' anziana malata di Alzheimer. Arriva dopo dieci minuti, con la borsa in pelle da medico condotto. «Me l' ha regalata mio padre dopo la laurea, 21 anni fa. Ci tengo molto, perché è lo strumento che ti permette di andare dalla gente». Roberto Scaini è uno di quei dottori che ama muoversi. Sia quando è a Misano, medico di base a due passi dal lungomare, sia quando parte per Medici senza Frontiere. Ha iniziato nel 2011, ha già all' attivo 17 missioni. Dall' ultima, nello Yemen, è tornato a maggio. Era la quinta volta che ci andava, un veterano. «Era già un Paese poverissimo, dopo la guerra la situazione è precipitata». Scaini ha fatto medicina perché sognava di andare in Africa. «Come molti miei colleghi, anche se poi spesso diventa difficile conciliare con il lavoro e la famiglia». Otto anni fa si è presentata l' occasione, c' era bisogno in Etiopia, e lui non se l' è lasciata scappare. «Una volta che sei lì scatta qualcosa, io lo chiamo il punto di non ritorno. Ti rendi conto che puoi essere davvero utile. Quando una mamma piange, implora di salvargli l' ultimo figlio che le è rimasto, e tu puoi restituirglielo guarito, ecco, tutto questo ti ripaga di ogni sacrificio». Le missioni di Scaini durano in genere non più di tre mesi. Per scelta personale («Ho una figlia di 15 anni, credo che abbia il diritto di crescere con il padre vicino»), e di lavoro, per non abbandonare troppo il suo ambulatorio. «Per me tutti i pazienti hanno la stessa dignità, in Italia o all' estero. Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
Non mi sento un supereroe, ma semplicemente un medico. Quando mi chiedono: "perché lo fai?" io rispondo: e perché non lo dovrei fare?». Un po' di coraggio sicuramente ci vuole. Lo Yemen, per esempio, è diventato un posto complicato, le fazioni in lotta mutano continuamente, neppure gli ospedali vengono risparmiati dai bombardamenti. Nel Paese più povero del Medio Oriente, Medici senza frontiere è presente con l' intervento più importante in una zona di conflitto: ci sono équipe in 12 ospedali e 11 governatorati, da marzo 2015 a dicembre 2018 hanno eseguito 81.102 interventi chirurgici, curato quasi 120 mila feriti, fatto nascere 68.702 bambini, affrontato 116.687 casi di colera. Scaini è stato il coordinatore medico, aprendo anche nuove strutture. Ha lavorato anche in Siria, Etiopia, Iraq, Sud Sudan, e in Liberia e Sierra Leone nel 2014 quando scoppiò l' emergenza Ebola. «Noi di Msf eravamo già lì a chiedere l' intervento degli organismi internazionali. Era davvero una scena apocalittica, i primi giorni ci siamo limitati a spostare i cadaveri. Adesso se c' è un nuovo allarme, ma per fortuna anche molta più consapevolezza e attenzione». Avrebbe mille storie da raccontare. «Come il ragazzino che mi raccontò che fuggendo dal Sud Sudan i suoi compagni che morivano venivano buttati uno alla volta giù dal camion. Una storia terribile ma quello che più colpì ero come lo diceva, come se fosse normale». Ci sono momenti in cui puoi essere preso dallo sconforto. «Una volta la mia responsabile nello Yemen mi disse: non pensare a chi non ce la fa, ma a tutti quelli che riusciamo a salvare. Finché puoi dare il tuo contributo, allora vuol dire che ne è valsa la pena». Quando torna in Italia, con la stessa energia si dedica ai suoi pazienti della mutua. «È vero, sono due mondi agli antipodi, ma rappresentano due facce della stessa medaglia. In fondo sia qui che lì mi occupo di malnutrizione: in Africa il problema è la carenza di cibo, qui l' eccesso, mi tocca curare le patologie del benessere». Anche gli strumenti sono gli stessi. Dello stetoscopio per esempio cambia solo il colore. «A Misano è nero, in Africa ne ho uno rosso. Perché attrae i bambini, se lo afferrano hanno voglia di giocare, e vuol dire che sono guariti». Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
21/10/2019 Pagina 47 EAV: € 41.325 Lettori: 724.276 Argomento: Sanità nazionale E-health, nell' Italia che spende poco si fanno strada cinque eccellenze andrea frollà Dispositivi indossabili per monitorare i parametri vitali, assistenti virtuali per velocizzare le diagnosi dei pazienti, connessioni 5G per gestire gli interventi chirurgici da remoto, soluzioni di intelligenza artificiale per snellire le file al pronto soccorso e stampanti 3D per formare i medici del futuro. La rivoluzione digitale sta pian piano travolgendo anche la sanità. E per un settore che vive di equilibri difficili tra costi, efficienza, valore, sostenibilità e soprattutto vite umane non è proprio una rivoluzione semplice da governare. Invecchiamento della popolazione, aumento delle malattie croniche sono due tra le cause più pressanti nello spingere il sistema ad adottare le nuove tecnologie. Queste tendenze non stanno solo spingendo verso l' alto la spesa sanitaria globale, ma stanno anche mettendo in luce l' errata allocazione di questa spesa. Secondo le stime dell' Ocse, circa il 20% della spesa sanitaria apporta infatti un contributo minimo o nullo al miglioramento della salute delle persone a causa dell' inappropriata allocazione delle risorse. Ed è proprio in questo contesto che entrano in gioco le tecnologie come strumenti abilitanti di efficienza ed efficacia. Lo dimostra l' impennata della spesa globale in tecnologie per la sanità degli ultimi anni: dai 79 miliardi rilevati nel 2015 ai 142 miliardi dello scorso anno, e nel 2020 secondo Statista si supererà il muro dei 200 miliardi. Risorse che, aggiungono gli analisti di Frost&Sullivan, tendono a concentrarsi ormai su alcuni ambiti specifici: big data (30%), intelligenza artificiale Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
(24,5%), mobile (14,8%) e wearable (i dispositivi indossabili, 10,2%). Questi trend stanno interessando anche il nostro Paese, che purtroppo continua a non brillare nello scenario internazionale: la media dei Paesi Ocse è una spesa di 3.992 dollari pro capite (a parità di potere d' acquisto), mentre in Italia ci fermiamo a 3.428 dollari. Non va meglio esaminando la sola spesa pubblica, visto che il gap resta vicino ai 500 dollari (3.038 dollari contro una media di 2.545 euro a testa spesi dal Servizio sanitario nazionale italiano). Secondo l' ultima edizione dell' Osservatorio eHealthLab, elaborato da NetConsulting Cube e presentato in occasione del Digital Health Summit andato in scena a Milano, il mercato della sanità digitale in Italia ha toccato quota 1,72 miliardi di euro nel 2018, con una crescita del 4,2% rispetto al 2017 e un trend simile per l' anno in corso. Questa spesa continua però a essere cannibalizzata dalla macchina operativa (80% del totale), lasciando poco spazio alla progettualità di più lungo periodo. La buona notizia è che nonostante alcuni limiti strutturali (la frammentazione dei centri di spesa, la scarsità di competenze manageriali in tema di innovazione e il pressing asfissiante delle malattie croniche), le esperienze virtuose si stanno moltiplicando, nel pubblico e nel privato. Il Dipartimento di medicina e chirurgia l' Università di Salerno sta sviluppando in tandem con il Cirpa e l' azienda Ict Innovery una piattaforma tecnologica che analizza variabili cliniche ed extra-cliniche su pazienti, operatori sanitari e strutture, per ridurre il numero di parti con taglio cesareo clinicamente non necessari (in Europa ogni anno se ne stimano circa 160mila l' anno con un surplus di costo di 156 milioni di euro). C' è la startup innovativa Intech, che integra composti stampati in 3D, assistenti virtuali e intelligenza artificiale per formare i medici 4.0. Oppure l' algoritmo ideato dalla Cattolica e dalla Bicocca, che aiuta il pronto soccorso a dare il giusto codice alle emergenze su diagnosi complesse. Ci sono poi il sistema di telemedicina sviluppato sempre dai due atenei con il Centro cardiologico monzino per prevenire i disturbi del ritmo e della fibrillazione atriale come l' ictus, e il chatbot per la ricerca documentale avanzata lanciato dalla Società italiana di nefrologia con Amgen e Ibm. «Sarebbe però opportuno un coordinamento maggiore tra queste esperienze - auspica però l' ad di NetConsulting Cube, Annamaria di Ruscio - Allo stesso tempo servono pure visioni e approcci omogenei, che mettano sempre al centro di ogni progetto la misurabilità del valore, tanto per il singolo quanto per la collettività». ©RIPRODUZIONE RISERVATA. Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
21/10/2019 Pagina 46 EAV: € 6.200 Lettori: 107.296 Argomento: Sanità nazionale Infiammazioni, se i medici non "ascoltano" l' allarme Alessandra Graziottin Passioni & sentimenti L' infiammazione è amica o nemica della salute? Come possiamo tenerla amica nell' arco della vita? Saperlo è essenziale: siamo vivi perché abbiamo attraversato con successo innumerevoli infiammazioni. Più saremo capaci di allearci all' infiammazione amica, più saremo longevi e felici, in luminosa salute. Infiammare, dal latino inflammare, significa incendiare, mettere a fuoco. Sono incendi microscopici, che tuttavia coinvolgono miliardi di cellule. Tre caratteristiche differenziano l' infiammazione amica, alleata della salute, dalla nemica. Innanzitutto, che sia finalizzata (resolving), ossia che persegua un progetto preciso, misterioso e silenzioso, di rinnovamento tissutale, anatomico e funzionale. Proprio perché finalizzata ha un tempo preciso di realizzazione e un' intensità proporzionata al progetto. Nella donna, tre esempi tipici di infiammazione fisiologica, sana, finalizzata a mantenere integre la vita e la possibilità di procreazione, sono l' ovulazione, la mestruazione e il parto. E' sana anche l' infiammazione che accompagna le infezioni o i traumi che si risolvono con un ritorno perfetto all' integrità (restitutio ad integrum), e quindi alla piena salute. Quello che noi vediamo, il rossore e il gonfiore, quello che sentiamo, il calore e il dolore, e quello che lamentiamo, la riduzione o la lesione funzionale, sono solo l' epifenomeno dell' infiammazione che incendia i tessuti. Gli antichi medici, con l' accurata osservazione clinica che oggi, ebbri di tecnologia, stiamo smarrendo, l' Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
avevano ben sintetizzata con specifiche parole chiave: rubor, tumor, calor, dolor, functio lesa. L' infiammazione diventa progressivamente nemica della salute quando non persegue più un progetto di rinnovamento e diviene anarchica, puramente distruttiva. In quanto tale, è cronica, di intensità variabile e imprevedibile. Questo succede quando persistono le cause infettive, batteriche, micotiche o virali che l' hanno provocata. Quando agenti nocivi, come i cancerogeni contenuti nel fumo, o metalli pesanti ambientali, avvelenano i tessuti. L' infiammazione diventa cronica anche quando ci comportiamo da piromani contro il nostro stesso corpo, buttando benzina sul fuoco dell' infiammazione sino a un vero e lento suicidio in differita. Quale benzina? L' eccesso di zuccheri, lieviti e grassi animali, che infiammano intestino e tessuti. L' eccesso di alcol, cocktail micidiale di lieviti e zuccheri insieme. L' inattività fisica, con l' asfissia tessutale che comporta, e l' aumento ponderale che l' accompagna, in una società sempre più bulimica e sedentaria. Quando bruciamo il riposo notturno. Quando dimentichiamo che una sobrietà scelta e variata è il miglior alleato dell' infiammazione amica, che ci consente adattamenti rapidi e recuperi ottimali. Quando dimentichiamo che coltivare l' equilibrio interiore è il miglior allenamento per restare sani nel corpo, nella mente e nel cuore. Diamo per scontato il tornare in forma, dopo un' infezione o una malattia. Non ci rendiamo nemmeno conto di quanto sia complesso e mirabile il funzionamento di triliardi di processi chimici contemporanei e sincronizzati per tenerci o farci tornare in salute. Di quante misteriose strategie biochimiche sottendano la guarigione, per restituirci vitalità e gioia di vivere. Siamo ancor meno consapevoli di quanto, ogni giorno, rendiamo più difficile il progetto del corpo di restare in salute, nonostante noi stessi, verrebbe da dire. A ben pensarci, essere e restare in salute è statisticamente meno probabile dell' ammalarsi E noi medici? Aiuto! Spesso ci comportiamo più da piromani che da vigili del fuoco impegnati a spegnere l' infiammazione. Perché non ascoltiamo più i sintomi, che sono le sirene d' allarme con cui il corpo dice: «Attenzione, è partita un' infiammazione che sta diventando nemica!». Perché da alleati del corpo e della salute diventiamo traditori, quando di fatto ci alleiamo con le forze nemiche, consentendo agli agenti nocivi di fare sempre più danno. Perché banalizziamo il dolore, primo sintomo di infiammazione. Perché diciamo quella frase tremenda: «È normale, cosa pretende», confondendo la frequenza statistica con la normalità anatomica e funzionale. La normalità è la salute. Ciascuno di noi è il primo alleato del proprio corpo. Il secondo è un medico competente, che ascolti i sintomi e riconosca e curi l' infiammazione nemica e le sue cause, prima che sia troppo tardi. www.alessandragraziottin.it © RIPRODUZIONE RISERVATA. Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
21/10/2019 Pagina 60 EAV: € 56.589 Lettori: 724.276 Argomento: Sanità nazionale La tecnologia arma la prevenzione nella guerra al tumore del seno Il dibattito sibilla di palma, milano Resta il cancro più diffuso in Italia: 53.500 casi nel 2019. Ma è anche quello che si può meglio sconfiggere attraverso una diagnosi precoce della malattia. Decisiva l' evoluzione dei macchinari. Lo hanno confermato i massimi specialisti U na diagnosi sempre più precoce grazie a nuove tecnologie che sono in grado di identificare anche le lesioni più piccole, così da intervenire prima che il tumore si diffonda. Alleati preziosi capaci di fare la differenza per chi soffre di cancro al seno, una patologia che colpisce in Italia circa 815mila donne, ma verso la quale sono stati fatti grossi passi in avanti, permettendo un tasso di sopravvivenza dell' 87% a cinque anni dalla diagnosi. Temi dei quali si è parlato nei giorni scorsi a Milano in occasione dell' evento "Health Screening: le nuove tecnologie per la lotta al tumore al seno", appuntamento organizzato nel mese della prevenzione da Repubblica in collaborazione con H-Farm e Fujifilm nell' ambito dei "Talks on Tomorrow", ciclo di incontri dedicati alla trasformazione digitale e al rapporto tra tecnologia e società e salute pubblica. A dare uno spaccato della situazione è l' indagine "I numeri del cancro in Italia 2019", censimento ufficiale dell' Associazione italiana di oncologia medica-Aiom, secondo cui il cancro della mammella è tutt' ora il più frequente nella Penisola (53.500 casi nel 2019) ed è anche la neoplasia più diagnosticata nelle donne. Tra i fattori di rischio il più importante riguarda l' età, con la maggior incidenza per le donne tra i 50 e i 69 anni. A questo si aggiungono fattori Riproduzione autorizzata Licenza Promopress ad uso esclusivo del destinatario Vietato qualsiasi altro uso
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