Comunicazione 2020 - Smart ...
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La Copertina d’Artista - Tutto è comunicazione 2020 Una donna ci fissa diritto negli occhi, ha un megafono e delle strane extension applicate ai capelli, sicuramente è una manifestante, impegnata in una delle innumerevoli proteste esplose in questa fase post lockdown da coronavirus. È strano, ma il megafono copre la sua bocca e parte del suo naso e, in un periodo di distanziamento sociale e dispositivi di protezione individuale, come quello che viviamo, quest’immagine non può non ricordarci che anche le mascherine coprono la stessa porzione di viso. Quindi, questa “anonima manifestante”, che potrebbe essere chiunque, e protestare per qualunque cosa, in una maniera sibillina e curiosa ci immerge nell’attualità più stringente.
casuale da parte dell’artista. Gli occhi di questa manifestante ci fissano, ci scrutano, quasi ci sfidano, eppure noi non possiamo distogliere lo sguardo, siamo calamitati, catturati, forsanche sedotti ed inquietati da questa donna che ci trafigge con i suoi occhi e che sembrano scavare nella nostra più recondita intimità. Fra tutte le domande che si affollano nella nostra testa, una prende il sopravvento su tutte le altre, ed è: “quale sarà mai la protesta a cui prende parte questa manifestante?”. Incuriositi e smaniosi di scoprirlo, ci concentriamo sulla scena, che però non ci aiuta più di tanto a capire la causa per cui si batte questa giovane donna. L’artista, e lo capiamo proprio dallo sfondo, ha utilizzato la tecnica del collage, ed infatti la scenografia, le strane extention dei capelli, il viso e addirittura il megafono sono formati da piccole strisce di carta accuratamente selezionate e tagliate per comporre un meta-racconto, un racconto nel racconto. B o n d M e s B o n d , 2 0 2 0 . Queste strisce di carta, tagliate così fini da sembrare gli sfilacci di una distruggi documenti come quelle presenti negli uffici, sono il definitivo colpo di coda che l’artista di questo mese, Paola Montanaro (classe 1969), ci assesta. Come in una di quelle word-cloud che troviamo nelle immagini
di Google, l’opera addensa e stratifica altri significati, come nella migliore tradizione Pop, è insieme immediata e complicata, semplice ma pure complessa, chiara ma anche difficile. Ma capire la tecnica non ci aiuta ancora a capire la natura della protesta, potrebbe essere una contro il razzismo, oppure contro l’ennesimo monumento ritenuto politicamente scorretto, od ancora la protesta di una qualunque di quelle categorie di lavoratori e commercianti ridotte sul lastrico da più di due mesi circa di chiusura e lockdown? Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato. Forse il titolo può trarci d’impaccio, ed aiutarci a collocare correttamente manifestante, causa e protesta; l’opera si intitola “Urlo”, e d’un tratto un’illuminazione ci abbaglia, le nostre lezioni di storia dell’arte durante le scuole superiori ci ricordano lo sconvolgente “Urlo” (o Grido) di Edvard Munch, il geniale pittore norvegese che nel 1895, sul finire del secolo, dipinse una serie di quadri dai colori pastosi e tinte fosche che ritraevano un uomo in primo piano che, guardando in faccia lo spettatore, si contorceva in un urlo di disperazione. Munch dava sfogo alle angosce esistenziali di fine secolo, tecnologia e scienza galoppavano velocemente, il capitalismo si affermava in tutto il mondo, il divario fra ricchi e poveri aumentava e all’orizzonte si addensavano le nubi del primo conflitto mondiale. Insomma, il quadro dell’artista norvegese era un ritratto della condizione dell’uomo di fronte al progresso ed alla tecnologia ed insieme il presagio di una catastrofe che stava per arrivare.
S e p u l v e d a , 2 0 2 0 . E la nostra artista Paola Montanaro cosa vuole presagire? Forse che in un mondo iperconnesso e virtualizzato come il nostro, dove abbiamo più informazioni di quelle che riusciamo ad analizzare, più foto di quelle che riusciremmo mai a guardare e un autentico surplus di comunicazione, comunque alla fine non riusciamo a dare priorità ed importanza o quantomeno a scegliere le informazioni corrette, importanti o quanto meno più utili per noi? Oppure, l’Urlo della nostra artista ci racconta che per fare emergere una protesta, un messaggio, dal confuso rumore di fondo della comunicazione odierna, abbiamo bisogno necessariamente di un megafono? O, infine, che dobbiamo rassegnarci al fatto che i poteri forti hanno compreso che, nel mondo virtuale e non, la censura non deve più oscurare o rimuovere una giusta causa o un messaggio, ma basta che lo sommerga, anzi lo affoghi, in una marea indistinta e confusa di altre informazioni perché, di fatto, non sia più visibile?
M a r l e n e D i e t r i c h , 2 0 1 6 . Credo che lo scopo, sotteso a questa bellissima opera, consapevole o inconscio che sia, è quello di farci capire l’importanza dei concetti di “attenzione” e “concentrazione”, qualità che i neurologi ci dicono siano drasticamente diminuite negli ultimi 10 anni, passando dai 10 secondi circa a meno di 5; l’opera densa, stratificata e magnetica della Montanaro ci esorta a fermarci, a riflettere, a concentraci, e così facendo ci aiuta a districarci ed orientarci nel mondo d’oggi.
L’arte contemporanea quindi, come mappa e bussola, o se preferite come navigatore, strumento privilegiato per indicarci il cammino, accompagnare i nostri viaggi, e, perché no, anche le nostre cause e le nostre proteste. Un tool, uno strumento, quello dell’arte, che spesso dimentichiamo di utilizzare, ma che può essere quello più importante che abbiamo nella nostra cassetta degli attrezzi, qualunque sia la nostra professione. La bellezza forse non salverà il mondo, ma di sicuro può aiutarci a vivere meglio e più “consapevolmente” le nostre vite, e quindi, alla fine, un poco ci salva. Paola Montanaro classe 1969, originaria di Massafra, ma residente a Lecce, dove vive ed opera. Appassionata fin da giovane di disegno e fotografia, intraprende studi prettamente scientifici che però le forniranno una base essenziale ed originale per la sua ricerca artistica. All’inizio è la grafica che l’avvicina all’arte, ed un materiale che più di tutti caratterizzerà la sua cifra stilistica: la carta. Utilizzata dapprima come supporto, diverrà in seguito, sminuzzata, tagliata e frammentata, materia e mezzo privilegiato per comporre le suo opere artistiche, che vedranno nel collage di carta l’approdo definitivo dell’artista. Composizioni meticce sospese fra grafic art, illustrazione e pop art, i lavori della sua ultima produzione si concentrano sulle tematiche sociali, politiche e dell’attualità che diventano, in virtù della tecnica usata, vere meta-opere, con un significato palese ed uno, o molti, nascosti nelle scritte delle strisce di carta che l’artista ritaglia dalle riviste. Una sfida posta alla nostra capacità di fermarci, concentrarci e scoprire tutti i significati dell’opera. Per informazioni e per contattare l’artista Paola Montanaro: paolamontanaroart@gmail.com – www.paolamontanaro.com – Instagram: paolacollageart Ultime mostre 2019 ARTE MUSA, 1ª edizione Concorso Letterario Germinazioni Arte – Scrivi un quadro d’autore, Lecce; 2018 I Collage di carta, in collaborazione con GeoArk // Arte e Arredo e Antonio Palma ph; Lecce Bene Comune Incontro di lettura de #ilpaneelerose “Per raccontare la realtà con le immagini” – “Dall’autoritratto alle foto di una irrecuperabile ribelle”; Collettiva a tema libero in occasione dell’inaugurazione della nuova sede di Labirinti Artistici, Lecce; 2017 Lecce Fashion Night, Partecipazione, con Madmood, alla serata targata “Confindustria Lecce
Fashion Night”; MUST Museo Storico della città di Lecce – Esposizione di un’opera, omaggio al fotografo Steve McCurry, in occasione della serata inaugurale della mostra fotografica e incontri a tema, a cura della Pro Loco di Lecce; Itinerari Rosa Pro Loco in Puglia tra cielo e… mare, Open Space Palazzo Carafa, Lecce. Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile candidarsi alla selezione della sesta edizione di questa interessante iniziativa scrivendo ed inviando un portfolio alla nostra redazione: redazione@smarknews.it Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Tutto è Comunicazione - L'editoriale di Ivan Zorico
I social media sono diventati strumenti più che familiari, le notizie circolano veloci, le fonti di informazioni sono esplose e siamo sempre più portati a farci un giudizio su un fatto o su un personaggio attraverso l’elaborazione di una battuta, un frame o uno slogan, senza andare in profondità. Non è superficialità, è più bisogno di sintesi. Sino a solo venti anni fa il mondo dell’informazione era più semplice: fonti ufficiali da cui informarsi, agenzie stampa che ribattevano le dichiarazioni del personaggio di turno, fatti ripresi e commentati da un operatore dell’informazione; il tutto ad una velocità che vista con gli occhi di oggi ci sembra preistorica. In quel tempo le notizie si leggevano su carta e non su uno schermo da 5 o 6 pollici. Si leggeva il giornale al bar, in ufficio prima di iniziare a lavorare o alla sera, così, per rilassarsi un po’ e tenersi aggiornati. Una lettura più attenta, ragionata e meno attaccabile: difficile pensare che un’email, una notifica di Facebook o un WhatsApp potesse saltare fuori dalle pagine di un quotidiano e distrarti dalla lettura, agganciare la tua attenzione e sfilacciarla tra i vari link, contenuti multimediali e molto altro ancora. Formarsi un’opinione consapevole era più semplice; non dico facile, ma più semplice di oggi certamente sì. Va bene, c’era anche la televisione, ma i momenti dedicati all’informazione erano quelli del primo mattino, del pranzo e della cena, con l’aggiunta degli approfondimenti serali in cui conduttori e ospiti dibattevano del tema del momento. Nulla di nuovo sotto al cielo e, ancora una volta, il tutto era segnato da una liturgia abbastanza nota e compassata. Poi la rivoluzione, tutto è cambiato. I cellulari hanno fatto spazio agli smartphone e d’un tratto siamo passati dal maneggiare un comune telefono senza fili a un oggetto ultra performante in grado di fare fotografie, produrre video, elaborare dati, immagazzinare dati, potenziare le nostre risorse e aprire infinite finestre su infinite possibilità. L’uso di internet è esploso, abbiamo conosciuto i blog, sono nati i social media e abbiamo scoperto che anche noi stessi potevano essere generatori di contenuti, oltre che meri fruitori di notizie. Quello che prima era appannaggio di pochi, oggi è nelle disponibilità di tutti: rivoluzionario. Talmente rivoluzionario che non riusciamo ancora pienamente a gestire e a codificare questa nuova realtà. Fatichiamo a starle dietro e i rischi sono alti.
Capire questo mondo non è più né facile né semplice, anzi è complicatissimo. Siamo al centro di un flusso talmente ampio e denso che riuscire a venirne a capo è davvero arduo. In questo mare di informazioni, dobbiamo destreggiarci tra fake news, titoli acchiappa click e dichiarazioni contraddittorie. Poi dobbiamo intercettare le notizie vere, verificarne l’attendibilità, fare almeno una comparazione con altre fonti per avere un quadro completo e, se ci rimane del tempo, vivere la vita di tutti i giorni che ormai sembra andare (anzi va) ad una velocità elevatissima (per questo punto sono da escludere gli ultimi 3 mesi). Insomma se non si indossa un mantello rosso, non ci si chiama Clark Kent e di giorno non facciamo i giornalisti mentre nascondiamo di essere un supereroe, siamo evidentemente di fronte ad una missione impossibile. La comunicazione ha preso il posto dell’informazione. In questo contesto abbiamo bisogno di sintesi. Paradossalmente apprezziamo molto di più chi in 15 secondi va dritto al punto piuttosto che un’analisi dettagliata che ci porta via, ovviamente, maggiore tempo (dove per maggiore si può intendere 5-6 minuti). Cediamo profondità in favore della rapidità. Il divulgatore, o il comunicatore, ha quindi maggiore seguito del giornalista, ossia di chi dovrebbe saper maneggiare la materia informativa, perché meglio sa utilizzare i nuovi media e meglio sa utilizzare il nuovo linguaggio. (Nell’ultimo periodo molti giornalisti sono diventati degli ottimi comunicatori, ma è una evoluzione del mestiere a cui non tutti sanno adeguarsi efficacemente). Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato. E se come detto prediligiamo la rapidità, ovviamente chi comunica ci darà qualcosa da fruire rapidamente. Qualcosa attraverso la quale possiamo crearci un’idea o almeno una sua illusione. Per cui via libera agli slogan, alle frasi ad effetto e alla battute. Se ci pensate in questi anni ce sono stati davvero tanti e ogni volta si cerca di alzare sempre più l’asticella per catturare l’attenzione e per costringerci a fermarci almeno quei 15 secondi. L’attenzione va nutrita. Sarò controcorrente, ma credo che questo giochino alla lunga stancherà. Attenzione non sto dicendo che bisogna ritornare al passato. Non lo vorrei mai: credo infatti che si debba vivere al meglio il tempo presente e che non esistano isole felici nel passato. Quello che dico è altro. Le persone vogliono essere informate non spintonate a destra e a sinistra a colpi di notizie flash. Chi sarà in grado di nutrire l’attenzione delle persone senza farle sentire a disagio, senza destabilizzarle con proclami o senza andare a toccare sistematicamente elementi viscerali, sarà premiato.
Il ruolo della comunicazione a servizio dell’informazione dovrà essere questo: nutrire l’interesse e l’attenzione delle persone per portarle ad avere un pensiero consapevole. E se devono essere 15 secondi purché siano di qualità e magari sommati ad altri 15 e poi ancora altri 15 e così via. L’appetito, si sa, vien mangiando. Intanto, se sei arrivato a leggere sino a qui, ti ringrazio. Mi hai dedicato alcuni minuti della tua intensissima giornata e questo è per me un grande riconoscimento di fiducia. Grazie! Buona lettura, Ivan Zorico Ti è piaciuto? Hai qualche considerazione in merito? Fammelo sapere nei commenti. Rispondo sempre. Se vuoi rimanere in contatto con me questo è il link giusto: www.linkedin.com/in/ivanzorico Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Tutto è comunicazione - L’editoriale di Raffaello Castellano
Dove eravamo rimasti??? Gli ultimi 4 mesi hanno visto l’Italia ed il Mondo intero sprofondare nell’incubo della pandemia da SARS-CoV-2 che tra le altre cose ha monopolizzato e verticalizzato totalmente la comunicazione e l’informazione. Ne è un esempio anche questo magazine, che, a partire dal numero di febbraio “Virale” fino al numero di maggio “Upgrade”, ha dipanato un racconto del quotidiano che si è concentrato interamente sulle problematiche, ma pure le opportunità che un cambio di paradigma così radicale come una pandemia virale porta insite in sé. L’agenda politica, sociale, economica e culturale ha visto l’adozione di un lessico nuovo, di nuovi linguaggi e soprattutto di nuovi comunicatori. Le parole nuove le conosciamo bene, sono: quarantena, lockdown, coronavirus, Covid-19, emergenza sanitaria, zona rossa, contagio, infetti, terapia intensiva, etc.. Il linguaggio nuovo è stato quello dei bollettini della Protezione Civile, delle Conferenze Stampa del Governo a tarda notte, delle dirette Facebook, delle stanze di Zoom, delle videochat di Skipe, degli innumerevoli webinar, videoconferenze e corsi online che si sono susseguiti senza soluzione di continuità. I nuovi comunicatori sono stati un po’ a sorpresa gli scienziati, soprattutto epidemiologi, virologi, biologi, medici, veterinari, esperti di statistica e giornalisti scientifici, che hanno spopolato su tutti i media, soprattutto la televisione, che è passata con “estrema” naturalezza da prime serate animate da Panzironi e il Mago Otelma direttamente a virologi di fama come Ilaria Capua e Roberto Burioni.
I v i r o l o g h i R o b e r t o Burioni e Ilaria Capua Insomma, la scienza, quella ufficiale e rigorosa, ha goduto di uno spazio e di un’attenzione mai viste prima. Vuoi per paura, vuoi per disperazione, tutti noi, all’inizio della pandemia, perfino terrapiattisti, no-vacs e complottisti vari, ci siamo rivolti alla scienza per avere una qualche indicazione, una parola di speranza, un conforto, un’informazione sicura. Ma tutto questo è durato poco, sono stati diversi i fattori che ci hanno piano piano allontanato dalla scienza. Due su tutti, secondo chi scrive, i motivi principali: da una parte la diffusa ignoranza del pubblico generalista sul funzionamento del metodo scientifico, e dall’altro gli scienziati stessi, che, ubriacati dall’attenzione mediatica e abbagliati dalla luce dei riflettori, hanno per la maggior parte sprecato questa occasione d’oro che il virus gli aveva offerto. Ma analizziamo più approfonditamente entrambi i motivi. Per quale motivo l’ignoranza su come funziona la scienza ha portato lentamente ma inesorabilmente le persone a disaffezionarsi agli scienziati? La scienza, al contrario di quello che pensa la gente comune, non fornisce certezze, ma anzi va avanti per tentativi ed errori, teorie e confutazioni, successi e fallimenti. Fra i postulati fondamentali del metodo scientifico ci sono: che una teoria possa essere falsificata, che un esperimento possa essere replicato da un altro gruppo di scienziati, che un articolo scientifico, prima della pubblicazione, debba essere validato da una comunità di pari. Quindi la scienza, nelle migliori condizioni, propone teorie, ipotesi e studi che hanno una funzione pratica, temporanea e possibile di verifiche future. Spingendo più in là il nostro ragionamento, potremmo dire che se qualcuno propone una certezza inconfutabile, assoluta ed immutabile, possiamo stare certi che non si tratta di scienza, ma di qualcos’altro.
F o t o d i G e r d A l t m a n n d a Pixabay Quindi, alla luce del funzionamento del metodo scientifico, abbiamo capito che chiedere certezze alla scienza è non solo sbagliato ma addirittura bizzarro, perché la scienza non è un dogma immutabile, ma un processo dinamico ed in continua evoluzione. Ma veniamo al secondo motivo: è indubbio che la maggior parte degli scienziati passati per la radio, le dirette web e soprattutto la TV, abbiano peccato di narcisismo, finendo molto spesso per litigare fra loro, urlando e contribuendo alla confusione e disaffezione del pubblico, che invece era alla ricerca di rassicurazioni e di qualche parola di speranza. La colpa di questo purtroppo risiede nella natura degli esseri umani, che, posti sotto i riflettori e la ribalta mediatica, spesso perdono la bussola e dimenticano il loro ruolo. A discolpa della categoria si potrebbe addurre il fatto che, ignorati per anni, mai ascoltati, sottopagati e frustrati, gli scienziati si siano fatti prendere la mano e non abbiano saputo gestire un processo comunicativo così ampio, articolato e complesso come quello mediatico, nel quale non ci si rivolge a pochi ricercatori sparsi per il mondo, che in definitiva parlano la stessa lingua, ma ad un pubblico generalista, a digiuno di sapere scientifico e bisognoso di un linguaggio più divulgativo, piano e chiaro. Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato.
Ma, come ho ribadito all’inizio di questo editoriale, una cosa è l’informazione, altra cosa è la comunicazione, saper divulgare è una capacità che bisogna saper imparare, coltivare ed esercitare, e gli esempi di semplificazione e potabilizzazione di termini e discipline complesse abbondano. Pensiamo al lavoro di divulgatori scientifici come Piero ed Alberto Angela, Mario Tozzi, Luca Mercalli, di quelli storici come Alessandro Barbero o Paolo Mieli, o di quelli economici come Carlo Cottarelli o Francesco Specchia, quest’ultimo fautore di un comunicazione economica non solo divulgativa, ma addirittura pop, come il fortunato esperimento del canale multipiattaforma POP Economy dimostra. Ed è proprio il giornalista e direttore di POP Economy, Francesco Specchia, che abbiamo intervistato sul tema di “tutto è comunicazione” e che ci ha aiutato ad orientarci meglio in questo particolare periodo storico, congestionato ed intasato di parole, informazioni contraddittorie, dichiarazioni politiche e fake news. I l g i o r n a l i s t a e D i r e t t ore di POP Economy, Francesco Spechhia Prima di concludere, permettetemi un’ultima digressione, che come mia abitudine sarà “laterale”. Quale è, se c’è, la forma di comunicazione che meglio ci può aiutare a comprendere, filtrare e classificare meglio l’immensa quantità di informazione e comunicazione che quotidianamente ci sommerge? Penso, ma sono molto sicuro, che la forma di comunicazione migliore per comprendere il presente sia l’arte, soprattutto contemporanea. Come sapete, quasi dall’inizio della sua nascita questo magazine affida ogni mese il tema alla sensibilità di un artista sempre diverso, scelto proprio per le
sue caratteristiche di stile e linguaggio. Lo sappiamo benissimo che un’immagine ci dice molte più cose di un articolo: è più immediata, più interessante, più seducente, certo non sempre risulta facile, o di univoca o rapidissima lettura, però l’arte (come tutta la cultura) ci costringe in un mondo scandito da tempi sempre più concitati, come questi della ripartenza da Fase 3, a fermarci, guardare, ammirare e riflettere, insomma l’arte, come ho detto altrove, ci aiuta a concentrare la nostra attenzione, affinare il nostro pensiero ed ad approfondire il nostro senso critico. Pensate che stia esagerando? Allora vi propongo un piccolo e veloce test, proponendovi le tre Copertine d’Artista che il nostro magazine ha dedicato negli anni al macro-tema della comunicazione: la prima, del giugno 2015, realizzata da Michele Petrelli, dall’iconico titolo “Enforced Silence” (Silenzio Forzato); la seconda, del giugno 2019, realizzata da Vincenzo Maraglino, dal lapidario titolo “Atrofizzati”, e la terza, quella di questo 74° numero, del giugno 2020, realizzata da Paola Montanaro, dall’emblematico titolo “Urlo”, e vi sfido a trovare tre “sintesi” migliori per raccontare l’attualità, il contemporaneo, la nostra stessa vita. L’arte, e la cultura in generale, ci aiutano a comprendere il presente, immaginare il futuro e ad addestrarci al cambiamento, ed è anche per questi motivi che questo magazine si sforza di avere un approccio laterale ed originale al contemporaneo, proponendovi rubriche come quelle del cinema, della musica e quella della Copertina d’Artista, perché, all’apparenza, potrebbero sembrare superflue od off topic in un mensile di marketing ed innovazione come il nostro, ma in realtà sono quelle che più caratterizzano la nostra natura, il nostro stile, la nostra linea editoriale, e che voi, i nostri lettori, numeri alla mano, sembra apprezziate particolarmente. Buona lettura Raffaello Castellano
Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter La comunicazione non è improvvisazione, è scienza e bisogna saperla fare! “See, I can draw the sky” questo il Billboard di qualche anno fa, nelle ultime settimane è tornato alla ribalta sui canali social. Sarà la necessità di disegnare un nuovo futuro, sarà la voglia di creare nuove opportunità che fanno intravedere un desiderio di ripartenza dopo il lockdown fatto sta che sono diverse le pagine social che riprendono la campagna: esempio 1 – esempio 2 – esempio 3. Faber Castell, azienda diventata famosa per la produzione di matite, che attualmente produce ogni tipo di materiale di cancelleria ci fa sognare utilizzando quanto di più fantasioso può esserci, risvegliando il bambino che c’è dentro di noi. Disegnare il cielo con una matita? E’ possibile e con Faber Castell puoi! Già l’idea esprime tutte le infinite possibilità di un mondo nuovo: se si può arrivare a disegnare il cielo, si può pensare di fare qualsiasi cosa e tutto ciò che hai nel cuore e nella mente può diventare realtà. Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come
Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato. Walt Disney diceva se puoi immaginarlo, puoi farlo! E da un maestro di creatività come lui non può che essere vero. Il cartellone pubblicitario non necessita di essere spiegato, basta guardarlo per comprenderne il forte impatto visivo e soprattutto emozionale: una bambina con il braccio alzato verso il cielo e una matita in mano intenta a disegnarlo. Lo slogan è imponente: “Guarda, posso disegnare il cielo…” e in calce disegna qualsiasi cosa tu voglia, sentiti un artista! Un messaggio per nulla scontato e senza tempo che mai come in questo momento è di forte attualità e di stimolo. E’ il potere della comunicazione e al tempo dei social bisogna riflettere come spesso non è l’azienda a riposizionarsi ma il mondo circostante a farlo per lei. Guardate questo esempio: una pubblicità di qualche anno fa che nuovamente fa capolino perché un determinato periodo storico fa rinascere l’urgenza di “tornare a sognare” e, quando questo avviene cavalcare l’onda, significa approfittare della situazione per far parlare di sé e del proprio brand. Può capitare che non sempre la comunicazione sia associata a messaggi positivi ed ecco che il “crisis management plan”
di un’azienda è la prima arma da predisporre per salvaguardare l’immagine. La comunicazione non è improvvisazione, è scienza! Si deve sapere come farla, come usare le mille sfaccettature di essa, riuscire ad emozionare e trasmettere allo stesso momento, creare pathos ma anche rimanere indelebili. E’ un mondo fatto di colori dove la tavolozza è infinita di combinazioni ma, soltanto quelle giuste riescono a realizzare qualcosa che abbia un senso per qualcuno. I mille lati della comunicazione sono un’esperienza che si vive man mano si studia questa materia, semplice all’apparenza ma che nasconde insidie profonde ancor di più se parliamo di comunicazione digitale che non va sottovalutata soprattutto per il grande potere degli strumenti che a disposizione di tutti possono amplificare le notizie creando un viralismo inaspettato. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Tutto è Comunicazione: intervista a Francesco Specchia direttore di POP Economy Parafrasando una celebre massima di Emily Dickinson, dedicata all’amore, potremmo azzardare e dire: “Che la comunicazione è tutto, è tutto ciò che sappiamo della comunicazione”. E, benché un po’ tirata, questa massima calza a pennello al concetto di comunicazione, ancora di più oggi che, nel mondo iperconnesso, digitalizzato e virtualizzato in cui ci muoviamo, abbiamo
compreso da tempo che la comunicazione, insieme all’informazione ed ai dati ad essa strettamente connessi, sono i tre asset strategici più importanti non solo per il nostro futuro, ma anche adesso, per il nostro presente. Questo numero di giugno di Smart Marketing dal titolo “Tutto è Comunicazione” vuole fare il punto sullo stato dell’arte della comunicazione interpersonale, politica, economica, sociale, culturale e virtuale nel nostro Paese e nel Mondo, dopo, ma meglio sarebbe dire durante, la pandemia e l’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus. Si è ripetuto come un mantra “nulla sarà come prima”, od ancora “cambierà tutto”, e noi abbiamo visto come la comunicazione sia profondamente cambiata durante questa emergenza, sia nelle modalità, nei mezzi, negli strumenti, nelle tematiche che soprattutto nella “natura stessa” dei comunicatori. I l g i o r n a l i s t a e D i r e t t ore di POP Economy, Francesco Spechhia Per aiutarci a districarci in questo “assembramento” caotico di dati, informazioni e comunicazioni, noi di Smart Marketing abbiamo intervistato un comunicatore doc, il dott. Francesco Specchia, giornalista, scrittore e conduttore radiofonico e televisivo di lungo corso, noto soprattutto per “POP Economy – Il luna park dell’economia”, famoso ed innovativo format televisivo che approccia il complicato mondo dell’economia con un linguaggio fresco, divulgativo e al contempo approfondito. Domanda: Dott. Specchia, per cominciare, quanto ha inciso nella sua formazione ed esperienza il fatto che lei abbia iniziato i suoi primi passi da giornalista e comunicatore nel mondo della carta stampata in quotidiani come “Libero” e soprattutto “La Voce” di Indro Montanelli?
Risposta: “Ha inciso parecchio. Sono stato molto fortunato a vivere, come ragazzo di bottega, l’esperienza di quel covo di spiriti folli che era la Voce, nel ’94. Montanelli era riuscito nell’impresa di riunire sotto la sua ala grandi innovatori grafici e giornalistici come Vittorio Corona, giovanissimi talentuosi come Travaglio e Gomez, firme che avevano fatto la storia della carta stampata come Sergio Saviane. Ha reso il giornalismo libero, è stato gambizzato per questo; e ci ha instillato un senso della scrittura, della notizia e dell’onore inarrivabili. Il mio primo figlio si chiama Gregorio Indro non a caso. Libero, invece, l’ho vissuto da padre fondatore: rispetto alla Voce è meno geniale ma più solido, e Feltri è la naturale prosecuzione – anche se animato da sentimenti opposti – di Montanelli, solo più bravo nel dirigere l’orchestra”. Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato. Domanda: A proposito di Indro Montanelli, cosa pensa della recente ondata di sdegno anti razzista e politicamente corretto che sta travolgendo l’opinione pubblica mondiale, al seguito dell’omicidio da parte della polizia americana di George Floyd, e che si sta abbattendo anche, e soprattutto, sulle statue di personaggi storici del passato? Risposta: “Il caso della sposa bambina è ciclico e alimentato da avversari politici che a Montanelli non son degni di lustrare le scarpe. Indro spiegò bene quali erano le condizioni storiche e giuridiche di quel matrimonio. Non tirerò fuori tutte le eccezioni del caso, dalle unioni con ultraminorenni di Maometto al concetto storico di “maggiore età” che cambia nella storia. E l’attacco alla sua statua non ha nulla a che vedere con George Floyd. Dovrebbero prendere quei quattro idioti vandali e spiegar loro di un signore che è stato condannato a morte dai nazisti, a cui hanno sparato le Brigate Rosse, che è stato cacciato sia dal giornale di cui era il campione sia da quello che egli stesso aveva fondato. Il vecchio Cilindro ha rifondato il nostro mestiere, dovremmo amarlo in silenzio solo per
questo”. Domanda: Come è cambiata, se lo ha fatto, la comunicazione politica, scientifica, sociale ed economica durante questa pandemia? Risposta: “Quella politica si è spinta in modo ossessivo sugli annunci e sulle promesse non mantenute (Alex Zanardi diceva che se un allenatore facesse quelle promesse sarebbe licenziato, i politici invece li rieleggono). Quella scientifica, specie dei virologi, ha occupato tutti gli interstizi della comunicazione, sostituendosi pericolosamente a quella politica. Le comunicazioni sociale ed economica sono diventate una fastidiosa appendice della realtà nel mondo descritto dalla comunicazione politica. E’ un circolo vizioso che prima o poi dovrà rompersi. E allora andremo alle elezioni”. Domanda: Durante il lockdown abbiamo assistito a due fenomeni comunicativi in antitesi fra loro. Da una parte abbiamo avuto la prepotente ascesa degli scienziati, soprattutto virologi, biologi ed epidemiologi, su tutti i media, dalla radio alle dirette facebook, dalla carta stampata alla tv, dove mai prima d’ora si era visto un tale spazio dedicato alla scienza. Dall’altra parte, nel clima di paura ed incertezza, è esplosa la produzione e circolazione di fake news e bufale che hanno intossicato il dibattito pubblico e, cosa assai più grave, anche quello politico. Come possono stare insieme le due cose, scienza e fake news, scienziati e complottisti? Sono davvero il sintomo di un’arteriosclerosi della comunicazione? Risposta: “Più che arteriosclerosi io parlerei di cortocircuito. Le fake sono il vero dramma del secolo, perché con questo giornalismo “a rete”, conseguenza nefasta del web e dei social, è sempre
più difficile distinguerle dalla verità; mentre i virologi sono un fenomeno temporaneo ma che sta anchilosando, come dicevo, la nostra comunicazione. In Italia, oggi, i virologi hanno una voce oracolare, qualsiasi boiata dicano. Mentre in Usa, per dire, sono già diventati una caricatura. Si tratta di aspettare e ancorarsi, come una volta, alla veridicità delle fonti”. D a s x l o p s i c ologo e filosofo austriaco Paul Watzlawick e il giornalista e politologo statunitense Walter Lippman Domanda: A proposito di arteriosclerosi della comunicazione, concetto caro alle teorie di Paul Watzlawick, come si concilia, secondo lei, il primo assioma della comunicazione: “è impossibile non comunicare”, postulato dallo psicologo e filosofo austriaco, principale esponente della Scuola di Palo Alto, nel mondo iperconnesso e virtualizzato di oggi? Questo assioma ha perso vigore, o è più valido che mai? Risposta: “Nel mondo iperconnesso si sprecano le teorie e le definizioni: Walter Lippmann, per esempio, dice che le notizie formano una sorta di pseudo-ambiente, ma le nostre reazioni a tale ambiente non sono affatto pseudo-azioni, bensì azioni reali. Si comunica sempre, forsennatamente, anche se in modo sempre diverso. Nel mio mestiere ora si staglia perfino la moda del “robot journalism”, una definizione che viene associata all’uso di software in grado di realizzare testi di senso compiuto senza l’intervento dell’uomo. Credo che passerà anche questa. Ma, certo, così com’è messa la società, non puoi evitare di esprimerti…”. Domanda: Per concludere, lei è un esperto riconosciuto di comunicazione, soprattutto economica, che attraverso i suoi vari programmi, in particolare con POP Economy, ha reso divulgativa e chiara; secondo lei, guardando agli ultimi mesi, come si è comportata la comunicazione scientifica sul web ed in tv? Gli scienziati hanno avuto un approccio divulgativo, sono ancora troppo complicati, o hanno sprecato un’occasione, anche per eccesso di vanità e protagonismo? E, alla luce della pandemia di Covid-19, quanto è e sarà importante la “comunicazione scientifica” nelle nostre vite? Risposta: “La comunicazione scientifica del Covid, volgarizzandosi, diventando seriale e adeguandosi alle esigenze televisive, ha senz’altro perso un po’ in autorevolezza, spesso rendendo narcisi personaggi di un’austerità di solito invincibile. Ma tornerà a riacquisire i propri spazi e le propria ineluttabilità quando passerà il Coronavirus e gli Italiani torneranno ad essere – a secondo dei momenti – soltanto un popolo di poeti, santi, navigatori, allenatori di calcio, costituzionalisti, espertoni di fondi europei…”.
Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d’adozione è giornalista, scrittore e autore tv. Ha una laurea in legge e una specializzazione in comunicazioni di massa e antropologia criminale, ma non gli sono servite a nulla. Tra i fondatori del quotidiano “Libero” dove scrive di politica, cultura, tv e mass media, ha lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Angese assieme ai grandi satirici italiani. Per anni titolare del “Telebestiario” sul TgCom, in radio ha firmato trasmissioni per Radio Monte Carlo e R101 e “Prima pagina” su Radio3 Rai; e partecipato alla fondazione di “Agorà” su Raitre. Ha scritto e condotto programmi televisivi disparati e disperati, tra cui i talk show politici “Iceberg”, “Alias” , “Versus”, e “I Tartassati- Storie di fisco e dintorni”. Tra i suoi libri: saggi tra cui “Diario inedito del Grande Fratello” (Gremese), “Gli Inaffondabili” (Marsilio), “Terrorismo -L’altra storia” e “Giulio Andreotti-Parola di Giulio” (Aliberti). Bazzica spesso la tele, in programmi seriosissimi. Tifa per la Fiorentina, i film di genere e i fumetti d’autore. Ha due figli; il suo primogenito si chiama Gregorio Indro (e ancora si chiede il perché, ma quando sarà grande capirà…). Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy
Iscriviti alla newsletter Statue e razzismo: è giusto prendersela con il passato? È già passato più di un mese dalla morte di George Floyd. Difficilmente potremo dimenticare le immagini che hanno ripreso gli istanti precedenti la sua morte e difficilmente potremo dimenticare le sue ultime parole: I can’t breathe. Parole sin da subito diventate manifesto e che hanno riportato prepotentemente al centro del dibattito pubblico un tema ancora così lontano dall’essere risolto: il razzismo. Nei giorni seguenti l’uccisione di Floyd, centinaia di migliaia di persone appartenenti al movimento Black Lives Matter si sono riversate (e ancora lo stanno facendo) nelle strade delle città americane (e non solo) per manifestare contro le discriminazioni e gli abusi delle forze dell’ordine. Manifestazioni che, ad un certo punto, hanno preso di mira non solo le forti disuguaglianze razziali presenti nel sistema socio-politico degli Stati Uniti d’America, ma anche alcuni simboli – monumenti e statue – che incarnano, a loro dire, valori fortemente divisivi e che sono espressione diretta del razzismo. E così abbiamo assistito alla rabbia e alla violenza riversate contro personaggi storici come Cristoforo Colombo o Winston Churchill e, qui da noi in Italia, Indro Montanelli. La loro colpa sarebbe quella di essere in qualche modo depositari di valori intolleranti e, per mezzo delle loro effigie, di esserne ancora veicolo di diffusione. https://youtu.be/CK518fN-cBo Vedendo quelle scene alla televisione ho provato a mettermi nei panni dei manifestanti per cercare di capire acriticamente le ragioni di tali gesti. Ho voluto fare un ragionamento laterale: sarei contento o anche solo neutrale nel vedere la statua di Hitler nelle strade o piazze della mia città? Evidentemente no. E perché non lo sarei? Perché è un personaggio che nel recente passato si è macchiato di crimini contro l’umanità. E su questo non ci sono dubbi. Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato.
Questo stesso ragionamento potrebbe essere traslato ad esempio su Cristoforo Colombo reo, a suo tempo, di azioni che oggi, nel XXI secolo, potremmo valutare più che discutibili? La risposta è no? E perché? Perché non si possono giudicare le azioni di una persona se la togliamo dal suo contesto storico e sociale. Quello che per noi oggi è giusto, magari non lo sarà tra 500 anni o più. Non per questo, però, le azioni degli uomini e delle donne avranno meno importanza e valore se, nel loro tempo, erano state meritevoli di considerazione. La statua di Cristoforo Colombo simboleggia e comunica, ad esempio, valori come coraggio e determinazione, e non riporta altri significati se non questi. Non possiamo commettere l’errore di giudicare le azioni degli uomini con le lenti del nostro tempo. E non lo possiamo commettere per almeno due motivi: primo, sarebbe un esercizio sterile che non porterebbe a nulla e, secondo, dirotterebbe le nostre energie su qualcosa di immutabile. https://youtu.be/uJdrRNVYG9w La storia va conosciuta e dibattuta per guadagnare nuove consapevolezze. Impegniamoci a costruire un mondo migliore in cui vivere oggi piuttosto che sfregiare la memoria di quello passato. Ti è piaciuto? Hai qualche considerazione in merito? Fammelo sapere nei commenti. Rispondo sempre. Se vuoi rimanere in contatto con me questo è il link giusto: www.linkedin.com/in/ivanzorico Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter
Comunicare in maniera differente, questo il motto “vincente” di Burger King Ci aveva già abituato ad una comunicazione irriverente con la sua ultima trovata pubblicitaria nella quale, la grande catena di fast food, per pubblicizzare la decisione di rimuovere i conservanti artificiali dal suo panino più iconico aveva scelto di mostrare il naturale deperimento del proprio hamburger fotografandolo ricoperto di muffa. Un ritorno alla verità con spot controversi e dai messaggi forti che ritornano anche nella fase due e cioè quella del post pandemia. Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato. E se, adesso, parole come “grazie, uniti, andrà tutto bene” sono bandite a causa dell’appiattimento comunicativo generato da un’assenza di creatività, anche nei brand più famosi a farci scuola è ancora una volta proprio Burger King. Abbiamo superato anche la fase due e ci stiamo avvicinando alla fase tre dove però rimane l’obbligo del distanziamento sociale, in questo nuovo scenario un ruolo chiave nella fase promozionale deve essere attribuito allo storytelling aziendale che si deve adattare al nuovo “mondo” e deve non solo essere in grado di comunicare i nuovi valori ma anche scegliere il modo più giusto. Cambio di rotta La priorità, adesso, è comunicare la sicurezza, la pulizia e soprattutto il distanziamento sociale. Le persone che ancora sono “scosse” dal momento storico che stiamo vivendo, e dal lungo periodo di reclusione che hanno subito, si ricorderanno e apprezzeranno sui brand che puntano sulle persone e
sulla solidarietà. In una strategia comunicativa non deve mai essere sottovalutato il posizionamento, inteso come posizione che il brand occupa nella mente del consumatore, in quanto potrebbe determinare il successo o il fallimento di una campagna promozionale. Basti pensare alle perdite subite dal famoso brand di birre Corona che proprio a casa dell’associazione al nome del temuto virus, specie in Cina, ha subito una calo delle vendite per un ammontare di circa 285 milioni di dollari. Oppure il caso contrario quello di Barilla che elencando i nomi delle persone che continuavano a lavorare e quindi permettevano di produrre la pasta per gli italiani, è entrata favorevolmente nell’immaginario collettivo ed ha mantenuto le sue vendite anche in una fase di pandemia. Il caso Burger King Comunicare dei valori, però, non vuol dire non poter introdurre nella propria strategia la creatività e l’ironia. Lo sa bene Burger King che ha puntato tutto proprio sull’ironia per risultare credibile e al tempo stesso affidabile. Al centro del discorso c’è sempre il panino più famoso della catena, il Whooper. Ovviamente oltre a comunicare la sicurezza dei propri locali, adeguati alle norme vigenti, Burger King non si ferma (ed è qui la sua forza), ma lancia un nuovo panino con una dose tripla di cipolla che garantisce l’assoluto distanziamento sociale, il tutto comunicato con claim e grafica accattivante sui propri social network. Un modo ironico e creativo che ha permesso al fast food di continuare a lavorare anche in questo periodo così difficile, con un posizionamento nella mente del cliente assolutamente unico, coerente e vincente. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.
Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Pride month 2020 senza abbracci, ma con la vicinanza di tutti i brand che credono nell’amore arcobaleno Quello che è appena passato è stato un Pride month abbastanza singolare, come del resto tutti gli eventi degli ultimi mesi. Chi ha partecipato a una festa, a una manifestazione gay lo sa bene: l’imperativo è abbattere le distanze fisiche e mentali tra le persone, gridare e dimostrare unione senza avere paura di abbracciarsi e baciarsi in pubblico. Da quando è stato istituito, nel 1970, in tutte le più piccole e grandi città del mondo, il Pride month si festeggia per strada, insieme a migliaia di persone con le mani impegnate a sollevare lo stesso striscione e la pelle scottata dal sole dopo aver ballato, esultato e protestato dalle ore più calde del mattino. Si compiono, in totale disinvoltura, gesti che ora sono rimandati a tempi migliori. Oltre i confini del social distancing In attesa che arrivi il momento in cui tutto andrà come è sempre andato, i brand, naturalmente, non hanno rinunciato a sostenere la comunità LGBTQIA+. Hanno comunque trovato il modo di far sentire la propria voce. Hanno agito secondo le regole del content marketing, hanno colto l’occasione di dimostrare empatia nei confronti delle persone. Hanno costruito la propria strategia di engagement all’insegna della creatività e con limited edition a tema Gay Pride. In un Pride month senza eventi né parate, per rispettare il social distancing, iniziative del genere
diventano ancora più importanti. Se non è possibile andare in scena, l’orgoglio omosessuale non resta dietro le quinte, ma si esprime in forme diverse a seconda del brand e delle sue strategie. Del resto l’intera vicenda del Coronavirus ci ha insegnato ad adattarci, a cambiare in funzione delle circostanze e a usare, bene e consapevolmente, quelli che, mancando il face to face sono diventati gli unici strumenti di comunicazione. Alcuni esempi Che cosa ha fatto Adidas? Il colosso tedesco di abbigliamento sportivo apre il Pirde month 2020 con il lancio di un Pride Pack contenente la rivisitazione color arcobaleno delle sue calzature best seller: Superstar, NMD R1, Nite Jogger, Stan Smith, Ultra Boost S&L, e Carrera Low. Sulla suoletta si legge: “Siamo orgogliosi e impenitenti e vi incoraggiamo a essere come noi. L’amore unisce”. Sulle amatissime ciabatte Adilette ecco che spunta una versione nera con logo Trefoil in texture colorata. Non delude neanche la collezione clothing con shorts, calzini, felpe e leggins a tema Pride. Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato. Il messaggio di Adidas è semplice, chiaro e coerente con il suo sostegno costante verso la comunità LGBTQIA+. Lo è altrettanto quello di Nike, che per questa circostanza ha scelto lo slogan BETRUE. Una parola tanto breve quanto efficace. Per Nike ciò che importa è essere se stessi, veri e autentici. E allora via a tutte le Nike (Air Max 2090, Air Deschutz e Air Force, vere protagoniste di tutta la collezione) con i dieci colori della bandiera More Color, More Pride disegnati sul tallone. Il Pride Month visto da Chiara Ferragni e Netflix La comunicazione è tutto, si sa. Sono davvero tantissimi i marchi che si affidano al real time marketing e ad altri espedienti per creare relazioni con le persone e condividere molto più che un semplice prodotto. Quello che deriva da scelte comunicative efficaci, e in linea con i valori del brand, è un’esperienza d’acquisto destinata a ripetersi sempre e con la fiducia che si riserva a un amico. Ecco perché il personal branding è diventato una potente calamita attira clienti! Chiara Ferragni è appunto l’amica di tutte le ragazze che vogliono essere come lei. Love Fiercely è il nome della sua Pride collection che esorta ad amare oltre ogni pregiudizio o discriminazione. Il suo messaggio è: “Puoi amare chi vuoi. Puoi scegliere di essere chiunque ti renda orgogliosa di te stessa”. Le t-shirt, i jeans e le tute non solo indumenti, sono bandiere da sventolare e segni distintivi della propria personalità. Se poi non si possono indossare per questo Pride month, pazienza, arriverà anche il prossimo! Al di fuori del settore fashion, chi si è distinto in questa circostanza particolare è, come al solito, Netflix. In quanto a strategie comunicative, il distributore automatico di film in streaming non delude mai.
Con lo slogan “Per questo Pride i baci li mettiamo noi” ha trovato il modo di spostare la festa dedicata a tutta la comunità LGBTQIA+ dalle strade al divano di casa. Se non si può uscire a baciarsi e ad abbracciarsi, ci sono tantissimi film dedicati ad amori gay che si possono guardare. Le parole non sono solo parole In casi come questi, in cui il messaggio piace e fa parte di iniziative concrete dell’azienda, il ritorno in termini di engagement, awareness o vendite è assicurato. Occasioni, come Pride month, Ciber Monday o la Festa della Repubblica offrono uno spunto in più alla comunicazione con il pubblico. Una frase, il titolo di un post o anche una breve mail sono come le fessure di una finestra, piccole e a volte impercettibili, possono emanare una luce abbagliante, irresistibile. È questa che distingue chi vende cose da chi crea relazioni, storie e magie. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Pubblicità durante il lockdown: 3 approcci comunicativi Il mondo, lo vediamo tutti ogni giorno, sta vivendo un rapido cambiamento che ha avuto inizio con il lockdown e l’emergenza sanitaria. Non solo sono cambiate le nostre vite e il nostro modo di approcciarci al Web, con la diffusione di video e sistemi di messaggistica, ma anche il modo di fare pubblicità. Tutte le aziende hanno dovuto ripensare al modo in cui trasmettere i messaggi commerciali in questa fase, per parlare nel migliore dei modi a consumatori chiusi in casa. Meglio mantenere la comunicazione pre lockdown o utilizzare nuovi approcci? Ecco i risultati di uno studio
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