No Shade in Paradise - peter buggenhout
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No Shade in Paradise peter buggenhout
No Shade Con testi di peter buggenhout eva kraus in Paradise simone menegoi romeo castellucci claudia castellucci selen ansen peter koenig books buggenhout Sommario Ho una passione per i titoli, per l’atto di dare un nome alle cose; anche a quelle più insignificanti, per rispetto. Tutto, ogni singolo oggetto, ogni essere vivente, 3 [—] ogni avvenimento ha diritto a un nome, un nome proprio, un nome specifico, peter buggenhout piuttosto che una parola che li riunisca in un gruppo di ‘simili’: sedia, scarpa, (Traduzione di Gabriella Nocentini) guerra, cristianesimo. L’impossibilità di farlo (come potremmo comunicare se 4 Non c’è ombra in Paradiso usassimo esclusivamente nomi propri? Chi capirebbe più gli altri?) mi porta a Preludio intitolare le mie opere con uno stato d’animo/#/numero. Così concedo loro piena, eva kr aus indescrivibile autonomia, piuttosto che ridurle; per quanto poetici possano essere (Traduzione di Susanna Piccoli) titoli come Rosy Fingered Dawn (Willem De Kooning), Impression, soleil 14 Brancusi e la Gorgone levant (Claude Monet) o Nu descendant un escalier (Marcel Duchamp). Peter Buggenhout, in teoria e in pratica I titoli delle mie mostre, delle mie opere e dei miei libri precedenti hanno simone menegoi tutti questo stesso denominatore. Sono pensieri/perplessità/riflessioni che creano aperture nello spettatore, aperture verso nuove idee che gli permettono di stabilire 31 [—] romeo castellucci i propri significati senza alcuna restrizione, piuttosto che essere indicazioni sul modo in cui dovrebbe interpretare le mie opere. Il titolo di questo libro non fa 32 Dialogo degli Indiani che imparano l’inglese eccezione. No shade in paradise non spiega in alcun modo il mio lavoro. Sta claudia castellucci piuttosto a indicare che in un mondo senza parole tutto è in pieno sole, senza 44 Sottosopra ombre, senza surrogati illusori. Il mondo è brutalmente presente, senza le parole selen ansen consolatorie che ci danno l’illusione di comprendere ciò che ci circonda. Il mio (Traduzione di Stefania Meazza) lavoro è brutalmente presente, e io diffido delle parole. (Giocano con noi). pb maggio 2017 3
Quando ho letto per la prima volta il misterioso testo di Romeo e Claudia Castellucci pubblicato in questo catalogo era notte, e io ero in uno stato di spossatezza. Suggestionata dalla singolarità delle creazioni verbali che si di- panavano davanti a me e che in quel momento sembravano appartenere a una Non c’è ombra in Paradiso lingua segreta o inventata, mi sentivo sospesa tra sogno e realtà. Ciò che ve- devo era una strana successione di lettere alfabetiche, le quali, attraverso un curioso raddoppiamento delle vocali, cominciavano a danzare sulla pagina. Inizialmente questi caratteri non sembravano avere un senso; solo la succes- siva traduzione ha svelato il mistero. Ho capito che si trattava dell’incontro tra due persone che conversano in lingue diverse (quella cheyenne e quella Preludio shawnee). Ci viene detto che il loro intento è imparare la lingua inglese. Nella conversazione i due nativi americani esprimono la loro perplessità di fronte al fatto che per loro esistano così tanti oggetti per i quali non ci sono dei corri- spettivi nell’inglese e viceversa (“they do not have the words for our things” / “we do not have the words for their things”) 1 . Comprensibilmente. Questa impotenza verbale rispetto ad altre sfere culturali vale in senso figurato anche per l’arte di Peter Buggenhout. Davanti ai nostri occhi si forma qualcosa di indecifrabile, per esprimere il quale non troviamo, o non abbia- mo, parole. Forse per farlo bisognerebbe sviluppare una nuova lingua, perché eva kraus difficilmente le sue opere possono essere descritte con i mezzi espressivi tra- dizionali a nostra disposizione: sono grossi agglomerati di materiali impre- cisati e cosparsi di polvere, lunghe filacce che ricoprono ammassi informi, interiora imbalsamate combinate con materiali indefinibili o avanzi prodotti dagli esseri umani; accumuli di materiali residui abbandonati e scartati dalla società, testimonianze scaturite dal ciclo di utilizzo di tutte le cose. Davanti ai nostri occhi si presentano opere ermetiche e autonome, dotate di una per- sonalità propria, alcune scure e malinconiche, altre più colorate e luminose. In un primo momento – ma anche in seguito – ci si trova affannosamente alla ricerca di parole di fronte a una tale presenza fisica che nel suo stato puro e quasi arcaico deve fare a meno delle parole. Nel 1989 Peter Buggenhout ha abbandonato la pittura in favore della scultura. Da allora la sua opera scultorea è costituita da diverse serie prodotte in stretto collegamento tra loro, reciprocamente condizionate e complementari. L’attri- buzione di titoli enigmatici alle opere è un elemento importante ed esprime il grande valore che l’artista dà a tutte le cose. Kein Schatten im Paradies [Non c’è 1 Cfr. il testo di ombra in Paradiso] si riferisce indirettamente al mito della caverna di Platone, Romeo e Claudia Castellucci in questa in cui le ombre fungono da metafora per l’illusione della realtà. I prigionieri pubblicazione. nella caverna, privi di ogni esperienza della vita, considerano reali le ombre, 4 5
non avendo mai visto la fonte di quelle proiezioni. Anche in paradiso le ombre chiarificatrice dovette cedere alla consapevolezza che il divino si può trovare non esistono, si è esposti senza protezione alla luce piena, al chiarore, all’ir- soltanto in sé stessi 5 . L’esperienza del girare attorno alle sculture di Peter radiazione ininterrotta. Tutto, il vero e il falso, è rivelato, tutto è spietatamen- Buggenhout osservandole insistentemente appare come una passeggiata in un te evidente. Il nesso con il lavoro dell’artista si trova nella rappresentazione paesaggio di cui non si riesca a saziarsi. della realtà di cui le opere ritraggono la rivelazione implacabile. Il titolo della Le opere della serie the blind leading the blind, alle quali l’artista mostra, poetico come tutti i titoli di Peter Buggenhout, non intende spiegare lavora dall’inizio del nuovo millennio, sono le sue forme più iconiche, ma al alcunché; al massimo può essere considerato come una traccia per possibili contempo più imperscrutabili. Emergono dalle profondità come relitti, cor- interpretazioni. Tuttavia esso ribadisce ancora una volta l’interesse dell’arti- pi giganteschi ricoperti di strati spessi di polvere scura. Oggetti che danno sta per la descrizione filosofica e mitologica del mondo. l’impressione di provenire da altri tempi, intrappolati in se stessi, preservati nel deperimento. Questa immagine si materializza nella polvere che funge da Con un termine preso a prestito da Georges Bataille, l’artista definisce “abiet- incarnazione del tempo. La consistenza della superficie inghiotte la luce. Presi ti” gli oggetti incomprensibili, estranei, disprezzati dagli esseri umani, che isolatamente questi corpi sembrano mondi ermetici, realizzati accumulando provocano disgusto o repulsione 2 . La psicanalisi li classifica come fenomeni materiali alluvionali. Nella parabola biblica, la sorte che attende i ciechi è che ci mettono di fronte ai nostri limiti e paure 3 . Essi visualizzano l’avversio- quella di inciampare e finire in una pozza melmosa, che nella serie riappare ne umana per ogni forma di bruttura e parallelamente il fascino esercitato in forma di metafora estetica – per lo meno nel colore, un grigio-bruno mo- dalle creature ripugnanti. Secondo la mitologia greca le Gorgoni sono figure 2 Peter Buggenhout nocromo e profondo. Pieter Breughel il Vecchio rappresenta questa scena nel crudeli e immortali che con il loro aspetto terribile pietrificano chi le guarda. si rifà più volte a famoso dipinto della parabola dei ciechi (1568). I ciechi rappresentano allego- Georges Bataille e ai Medusa ne è la rappresentante più eminente; la vista della sua orribile bellezza suoi testi, ad esempio ricamente i miscredenti, che non vedono dove vanno né sanno da dove ven- si paga con la rovina. Nel titolo della serie Gorgo Peter Buggenhout cita questi “Abjection et les gono. Il riferimento nel titolo ai ciechi che avanzano incerti definisce in senso formes misérables” esseri fantastici, nefasti, estranei al nostro mondo. I crini di cavallo scuri, im- (1934, ora in Georges figurato l’approccio intuitivo di Peter Buggenhout. “Da dove vengano questi Bataille, Œuvres pregnati di sangue di maiale, evocano visivamente i serpenti sulle teste delle oggetti e dove vadano” non è prevedibile da parte dell’artista mentre opera, complètes, II, Écrits Meduse. Queste sculture, votate al deperimento e alla decomposizione, si rive- posthumes 1922–1940, tanto meno è stato pianificato preventivamente. Anche il visitatore è lasciato Parigi, Gallimard, lano all’occhio curioso come una tentazione allettante esercitata dal proibito in uno stato di dubbio e d’incertezza. 1972), e “Informe”, e dal nefasto, capace di sedurre la nostra psiche recalcitante. in Georges Bataille, Le opere nascono nel corso del processo e crescono costantemente. In Documents, n. 7, 1929, p. 382; trad. una ripetizione perpetua [The Everchanging Repetition] l’artista continua a cre- Nella serie mont ventoux sono le proliferazioni, gli eccessi, a essere rap- it. “Informe” in are opere simili, con leggere variazioni. Sono compiute soltanto quando fini- Documents, Dedalo, presentati e a manifestarsi 4 . Oggetti informi nascono da interiora o stomaci Bari (1974) 2009, sce il dialogo tra artista e oggetto. Quando non c’è più niente da dire – come bovini conciati le cui superfici sono percorse da venature che svelano dei mi- p. 165. 5 Cfr. http://www. in una conversazione tra vecchi amici in cui a un certo punto si esauriscono germanistik.hhu.de/ crocosmi individuali. Le ramificazioni e le strutture della pelle, conciata fino 3 Cfr. Julia fileadmin/redaktion/ gli argomenti –, allora anche per l’artista si conclude il processo di incessan- a renderla pallida e poi rivoltata, s’impongono allo sguardo dell’osservatore. Kristeva, che a sua Fakultaeten/ te modifica. Talvolta ciò si verifica solo dopo una rielaborazione pluriennale volta fa riferimento Philosophische_ Al di sotto di essa proliferano escrescenze che fagocitano come tumori gli ele- a Sigmund Freud, Fakultaet/ nello studio. Le opere assumono le sembianze di artefatti tramandati, relitti menti confinanti. Queste conformazioni creano panorami affascinanti, pitto- ad esempio in Poteri Germanistik/ storici, rovine della nostra civiltà, cumuli di tracce umane viste da un futuro dell’orrore. Saggio Germanistische_ reschi, a cui è stato dato il nome di un monte che si affaccia su vasti orizzonti. sull’abiezione, Spirali, Mediaevistik/Dateien/ lontano. Si rivelano commenti mistici su un mondo digitale livellato dalla glo- Sul Mont Ventoux, massiccio della Francia meridionale, salì nel XIV secolo Milano 2006. Francesco_Petrarca_ balizzazione. Nell’era della smaterializzazione la loro qualità analogica appare Mont_Ventoux.pdf il più celebre degli escursionisti, il poeta e filosofo Petrarca, per bearsi alla 4 La serie Mont (Ultima consultazione: anacronistica e perfino consolatoria. Ventoux è in corso 1/7/2017) vista del paesaggio che si stendeva sotto di lui. Nelle sue descrizioni roman- La serie on hold è più colorata e sembra meno remota, più prossima al dal 2006; dal 1996 tiche, scritte in forma di lettere amorose, non intendeva soltanto celebrare il l’artista crea opere 6 On Hold è una serie nostro tempo 6 . “Siamo tutti collezionisti”, afferma Peter Buggenhout, decli- basate sull’utilizzo di opere più recenti divino, ma anche l’esperienza rinnovatrice e compiuta in sé stessa della per- alla quale l’artista nando anche questi lavori in serie di variazioni costruite con ogni sorta di di pelli e interiora di cezione della natura. La sua illusione che dall’alto si potesse avere una visione animali conciate. lavora dal 2014. reperti. Sono frammenti della nostra esistenza, oggetti prodotti da qualcuno 6 7
e poi gettati via. Il loro “scheletro” è costituito da residui, legno e plastica Dovendo abbozzare un ritratto dell’artista, lo definirei uno scultore, più ar- usati. All’inizio l’artista non dà particolare valore all’aspetto del materiale, chitetto che pittore, anche se come tale ha esordito. L’interesse per la “madre dedicando maggiore attenzione al modo in cui le cose si relazionano tra loro. di tutte le arti” lo accompagna fin dall’adolescenza. Il fascino che esercita Un ruolo centrale è svolto da gonfiabili parzialmente gonfi e tesi. Sono in- sull’artista è evidente dall’ambiente in cui vive e opera e che ha contribuito trappolati nella struttura che al tempo stesso li tiene insieme. La loro forma a progettare: il palazzo nella Gent medievale dove abita con la famiglia, la è determinata dai limiti dell’armatura; in questo modo struttura e forma si scuola abbandonata adibita a studio, l’officina convertita in un gigantesco la- condizionano reciprocamente, generando una compenetrazione indissolubile boratorio. Sono luoghi magici, che hanno visto grandi cambiamenti nel corso di forme e materiali. In un’asimmetria organizzata, le figure giostrano su una degli anni, dei decenni, perfino dei secoli. Nell’architettura contemporanea gamba sola in cerca di equilibrio. Sono fermate in pose instabili, congelate e si parla di “energia grigia” 9 . Accanto alla sostenibilità e all’uso responsabile trattenute in uno stato di sospensione. delle risorse, è attraverso l’azione degli eventi che un oggetto accumula una carica positiva, anch’essa racchiusa nella materia. A mio parere, questi luoghi L’artista lavora sulla trasformazione infinita del materiale. Improvvisazione, carichi di Storia lasciano un’impronta sui lavori di Peter Buggenhout. Anche capitolazione, empatia e attenzione sono momenti generativi e correttivi che nelle pubblicazioni precedenti, riccamente illustrate, le sue opere vengono descrivono la vita in sé. Buggenhout combina gli oggetti, decostruisce, ri- accostate a esempi di contesti architettonici caratterizzati da una forte pre- compone e ripete questi passi incessantemente. L’imprevedibile si inscrive senza fisica. Queste immagini analizzano in particolare la relazione con il automaticamente all’interno del processo. Come nell’écriture automatique – in- momento corporeo dell’atto creativo, così caratteristico per l’artista, ma anche ventata dai surrealisti, influenzata dalla psicanalisi – le sue conformazioni na- per l’opera. Si veda ad esempio la famosa visione, mai realizzata, dell’Endless scono in una fase di elaborazione istintiva. In proposito, l’artista afferma che House di Friedrich Kiesler – un manifesto degli anni 1950 sullo spazio sfe- non siamo affatto creature così consapevoli come riteniamo di essere. rico concepito come opera d’arte totale, che fu un punto di riferimento per I lavori di Peter Buggenhout sono ritratti della nostra realtà, appendici le generazioni successive 10 . Si consideri il Palais idéal (1879–1912) di Facteur analoghe al nostro mondo. L’artista vorrebbe che fossero interpretati come Cheval, un collezionista fanatico che per tutta la vita si dedicò, da autodidatta, processi fatti di gioie e dolori, di tentativi e fallimenti, come riflessi dell’essere alla costruzione di un edificio fiabesco – un palazzo fantastico che Cheval, di e non come semplici espressioni, esplicative e riduttive, di una realtà com- professione postino, edificò pietra su pietra con oggetti trovati e raccolti nei plessa 7 . Dice a riguardo che «Quello che faccio è realtà, non la sua rappre- suoi innumerevoli itinerari. C’è il complesso dei templi di Angkor Wat (Siam 9 Cfr. Muck Petzet sentazione simbolica». Considera in termini simbolici la pittura, che, proprio sul dibattito relativo Reap, Cambogia), fagocitati dalla foresta vergine, o di Ranakpur in Rajasthan per questo, ha abbandonato da tempo 8 . Non vuole più realizzare immagini all’“energia grigia”, (India). In più occasioni l’artista rimanda anche alla falesia di Bandiagara ad es. in Q+A: perché non intende semplificare, bensì rappresentare semplicemente la vita www.qandapanels. (Dogon, Mali) con i suoi villaggi di roccia. con i mezzi che essa mette a disposizione. Nell’astrazione cercava un modo per 7 Cfr. Zehra org/?p=489. (Ultima Accanto a questi riferimenti vengono in mente gli insediamenti arcaici, i Jumabhoy consultazione: esprimere la sua aspirazione – modo che forse avrebbe potuto trovare nell’in- nell’intervista a 18/11/2017) villaggi rupestri o le tende dei nomadi del deserto raccolti nel compendio di formale, ma che ha trovato in particolare nella scultura – di rappresentare Peter Buggenhout in Bernard Rudofsky intitolato Architecture Without Architects (1964) 11 , che sono occasione della mostra 10 Cfr. Frederick adeguatamente la nostra esistenza. «I miei lavori descrivono in ultima analisi presso la Maskara Kiesler: Inside the costruiti tanto dalla natura quanto nella natura stessa. Nelle archi-sculture come nascono, crescono, respirano, collassano e cambiano le situazioni e i si- Gallery, Mumbai, Endless House, Simon amorfe di André Bloc si potrebbe trovare un altro riferimento per la ricerca Artforum (luglio/agosto and Schuster, New stemi sociali, fisici, psicologici e storici, nella loro evoluzione priva di qualsiasi 2008). (Laddove non York 1966. di una creazione organica e in crescita, che nasce dalla sfiducia nei confronti altro scopo che non sia il cambiamento fine a se stesso. Dovremmo guardarci indicato diversamente, dello spazio euclideo, ovvero ortogonale. Nel contesto dei lavori di Peter Bug- le traduzioni sono di 11 Trad. it: Bernard intorno confidando in noi stessi e riconoscere che le cose si sviluppano molto Susanna Piccoli). Rudofsky, Architettura genhout non è stato finora ancora menzionato il Merzbau di Kurt Schwitters, senza architetti. Una meglio in modo eterogeneo che non in modo omogeneo». «Le mie opere non costruito a partire dalla metà degli anni Venti del secolo scorso. Una costru- 8 Dal 1989 Peter breve introduzione si possono classificare», prosegue l’artista; «bisogna prenderle come sono». Buggenhout non all’architettura “non zione plastica in espansione che invadeva più spazi interni e piani, un envi- dipinge più, anche blasonata”, Editoriale Scientifica, Napoli ronment ante litteram realizzato con un lavoro pluriennale, andato distrutto se fino al 2003 ha disegnato molto. 1977. ma ancor oggi ricordato come leggendario. I collegamenti di Buggenhout con 8 9
l’architettura sono molteplici, e un saggio dettagliato su questo tema non è lavori di polvere come se fossero epifanie. Il tempo si era fermato. On Hold: stato ancora scritto. un istante che si dilata e genera il silenzio, come in uno stato di sospensione tra realtà e immaginazione. Dal mio punto di vista le sculture di Buggenhout La contestualizzazione storico-artistica di Peter Buggenhout è un terreno hanno qualcosa di sublime, sembrano dotate di un’anima. Nell’arte l’ine- quasi altrettanto inesplorato, proprio per la grande autonomia della sua arte. splicabile, ciò per cui dobbiamo ancora trovare le parole, si definisce come Nel suo approccio l’astratto si contrappone al concreto, il materiale all’im- “trascendenza”. L’astrazione, nel migliore dei casi, affronta ciò che si sottrae materiale, l’intuizione all’analisi, l’irrazionale al razionale. Nel suo libro del alla nostra conoscenza. Andare oltre il comprensibile è sicuramente una delle 1911 Lo spirituale nell’arte, Vasilij Kandinskij mette in evidenza il lato misti- aspirazioni dell’artista; forse di ogni artista. Una volta (nel buddismo zen) si co dell’allora nascente arte astratta. Ai miei occhi le sculture di Peter Bug- pensava che le anime immortali vivessero nelle pietre. Peter Buggenhout non genhout sembrano eredi tridimensionali di quegli esordi. L’artista si colloca crede nell’animismo, si occupa della realtà. Afferma nichilisticamente che le inoltre nella tradizione di concezioni artistiche del mondo innovative, come sue opere sono mera materia. E ci rammenta che anche noi, incidentalmente, Simone Menegoi dimostra con grande precisione nel suo saggio partendo da siamo soltanto materia. artisti storici come gli scultori Constantin Brancusi e Auguste Rodin. Alla 12 Vedi, nel testo di Selen Ansen in questo base della creazione artistica di questi scultori vi è la consapevolezza della volume, il discorso complessità del mondo che si sottrae alla nostra comprensione. Citando Ro- sulle Metamorfosi di Ovidio o la Teogonia salind Krauss, Menegoi indica in Rodin uno dei grandi personaggi di svolta di Esiodo. Ansen cita nella storia della scultura del Ventesimo secolo. Anche Brancusi, non meno inoltre il concetto di «chaosmos» di innovativo, è posto in relazione con Peter Buggenhout, ma non come esempio Gilles Deleuze e agli antipodi per la sua perfezione controllata. Entrambi hanno in comune de- Félix Guattari: «La poetica del chaosmos gli atelier completamente sommersi dalla polvere del lavoro; solo che nel caso teorizzata dai due filosofi francesi aspira del primo a diffondersi e depositarsi sull’opera d’arte è il bianco splendente a smantellare il prodotto dalla levigatura della pietra, mentre nel caso del secondo a dominare pensiero platonistico che oppone il caos lo scenario mozzafiato è un colore scuro, quasi nero. al cosmo (e quindi, Nel suo eccellente saggio “Downside Up”, Selen Ansen inserisce l’opera di sottinteso, l’ordine al disordine) e Peter Buggenhout all’interno di un excursus filosofico, analizzando il suo la- a decostruire le voro dal punto di vista del divenire e dell’essere, nello specifico considerando categorie oggettive ereditate dal il caos come elemento importante della storia della nascita del mondo 12 . L’au- cartesianesimo. Il trice, che vive a Istanbul, affronta questo tema avendo in mente, sullo sfondo, termine chaosmos è preso in prestito i grandi tumulti di questo nostro giovane secolo. da James Joyce che lo assume come poetica nel suo Da parte loro, i lavori di Peter Buggenhout costituiscono una declinazione romanzo Finnegan’s infinita di creazione e trasformazione. Visualizzano il ciclo della nostra esi- Wake, per farne il principio di un’“opera stenza terrena – l’ordine nel disordine, potremmo dire. Sono estremamente aperta” che non ha complessi tanto nell’interpretazione quanto nell’esistenza formale. La loro né fine né inizio». (Trad. di Stefania immagine non si fissa nella mente: attraverso gli innumerevoli dettagli e la Meazza). Pubblicato originalmente in forma, che continua a espandersi a seconda della prospettiva, le opere sfidano inglese in: The le capacità della nostra memoria. Non siamo in grado di ricrearle nella mente, Everchanging Repetition, Édition de esistono soltanto nel fugace momento dell’incontro. Nel 2014, ad Art Berlin l’Amateur, Parigi 2015, Contemporary, in mezzo al frastuono della fiera, rimasi inchiodata davanti ai p. 270. 10 11
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I. 1 Vedi ad esempio la testimonianza di Nello studio di Brancusi il colore dominante era il bianco. Bianche le pareti; Margaret Anderson: bianchi i mobili che lo scultore aveva costruito con le sue mani; bianchi i «Costantin Brancusi blocchi di marmo grezzi o sbozzati. Bianche le sculture in gesso, modelli per Brancusi e la Gorgone vive in uno studio di pietra nell’impasse fusioni in bronzo a venire oppure copie di opere vendute. Bianca, infine, la Ronsin, rue de Vaugirard. I suoi polvere che ricopriva ogni cosa. Più d’uno, fra i molti visitatori dello studio, capelli e la sua barba ricorda questo particolare: negli stanzoni dell’Impasse Ronsin, dove Brancusi sono bianchi, la sua lunga veste da lavoro è lavorò dal 1916 alla sua morte nel 1957, tutto era ricoperto da polvere bianca 1 . Peter Buggenhout, bianca, le sue panche di pietra e la larga Polvere di marmo, prodotta dalla sega e dallo scalpello, e polvere di gesso che tavola rotonda sono si accumulavano sulle superfici. Il sole che entrava dalle grandi vetrate dello in teoria e in pratica bianchi, e la polvere dello scultore che copre studio portava tutto quel bianco all’incandescenza, tendeva a rendere sovrae- ogni cosa è bianca…». sposte le fotografie a cui Brancusi consegnava le mutevoli configurazioni delle M. C. Anderson, My Thirty Years War. opere nello spazio. Dalla luminosa caligine bianca, dal caos di blocchi di pie- The Autobiography: tra e di legno, emergevano forme che Ezra Pound definì «libere dalla gravita- Beginnings and Battles to 1930, Horizon Press, zione terrestre» e «tanto pure quanto quelle della geometria analitica»; forme New York 1970, pp. 251– non inventate da Brancusi bensì da lui semplicemente «trovate», preesistenti, 52. Laddove non indicato diversamente, eterne 2. le traduzioni sono Nello studio di Peter Buggenhout a Gent prevale il nero, o un grigio tanto dell’autore. scuro da confondersi con il nero. Sotto la luce dei neon, è nera la distesa di 2 «Nel caso simone menegoi dell’ovoide, credo materiali, lasciati a vista o coperti da teli: pezzi di plastica ondulata, rottami che Brancusi stia metallici, rotoli di moquette e di gommapiuma, travi di legno e tubi di ferro, meditando su una forma pura, libera dalla pannelli di cartongesso, telai metallici arrugginiti – un elenco che non discri- gravitazione terrestre; mina fra nuovo e vecchio, fra intatto e degradato, fra prodotto e scarto. Tutto una forma tanto libera nella sua esistenza è nero, perché tutto è ricoperto di polvere. Non bianca polvere di marmo o di quanto quelle della geometria analitica…» gesso, ma sporcizia, residuo finale dell’usura delle cose e degli esseri viventi, . E, in un passaggio dal grigio tanto più prossimo al nero quanto più spesso è lo strato che forma. precedente a questo: «Non so con quale Non è una presenza accidentale, non è solo il sottoprodotto dell’attività dello perifrasi metaforica studio: è il medium per eccellenza dell’artista. Le sculture ne sono ricoperte potrei far comprendere la relazione di questi in modo permanente. Anche per questo non si stagliano in mezzo al caos di ovoidi con le altre oggetti come forme discrete e compatte. Sembrano piuttosto addensamenti di sculture di Brancusi. A mo’ di etichetta quel caos, agglomerati particolarmente fitti al suo interno; enormi escrescen- provvisoria, si ze dello studio, cresciute inglobando lentamente ciò che le circondava, senza potrebbero considerare come dei passepartout criterio nella scelta dei materiali, né legge a cui obbedire nella crescita, né per il mondo della forma definita a cui tendere, sviluppandosi indifferentemente in verticale o in forma – non il “suo” mondo della forma, ma orizzontale, appoggiandosi al pavimento o sostenendosi a una parete. L’uscita ciò che egli ha scoperto delle sculture dallo studio è meno una semplice questione di trasporti, che “del” mondo della forma» Ezra Pound, l’asportazione chirurgica di una parte dello studio stesso. “Brancusi”, The Little Ordine contro caos, assoluto contro contingente, forma contro informe: Veduta dello studio: le sculture per Dornbirn (2010) Review, Paris, Autumn vengono ricoperte di polvere. 1921, pp. 3–7. l’accostamento fra i due atelier, quello di Brancusi e quello di Buggenhout, si 14 15
pone sotto il segno dell’antitesi totale. Il secondo come rovesciamento specu- lare del primo; come suo negativo, nel senso in cui il negativo sta a una fotogra- fia, dove al bianco dell’una corrisponde, necessariamente, il nero dell’altro. Colpisce, tuttavia, la coincidenza della polvere. Niente sembra più estraneo della polvere alle superfici di Brancusi, talmente lucidate da diventare riflet- tenti. Si stenta a concepire che un granello di polvere, anche uno solo, possa turbarne la perfezione. Eppure lo scultore lasciava che la polvere si accumu- lasse sulle opere. Polvere, il più effimero dei fenomeni; il più volatile, insieme alla luce. E polvere e luce sono le protagoniste delle centinaia di fotografie scattate da Brancusi nel suo studio, che introducono nella sua opera ciò che per altro verso sembra esserne escluso: il tempo, il divenire, la contingenza. Paola Mola – interprete del lavoro di Brancusi di sottigliezza quasi esoterica 3 Paola Mola, – ipotizza che la polvere di gesso fosse per lo scultore rumeno una sorta di Brancusi. Indicazioni medium ulteriore, capace di «unificare il visibile in una materia rarefatta e sull’opera leggera , Scalpendi, Milano transitabile alle forme» 3; e legge le piccole macchie bianche lasciate dagli acidi 2003, p. 22. di sviluppo, che punteggiano la superficie di alcune delle sue stampe fotogra- 4 Ibid. fiche, come una specie di trasposizione di quel pulviscolo – trasposizione del 5 «Sapevi che tutto intenzionale, così come gli effetti di sfuocato o di sovraesposizione di cui che nel XIX secolo si lasciava che la le stampe abbondano 4. “Unificare il visibile” è appunto uno dei compiti che polvere volteggiasse Buggenhout affida alla polvere, con la quale ricopre e uniforma i materiali negli angoli delle case? La polvere e gli oggetti più disparati, nuovi e consunti, naturali e artificiali, interi e in era considerata un Veduta dello studio: preparazione delle opere intermediario fra frantumi, che formano le sue sculture della serie The Blind Leading The Blind. per Barbara Gladstone (2014). il mondo noto e In un’intervista, ricorda il fatto che nel XIX secolo si lasciava che la polvere l’ignoto». Michaël Amy, “Seizing the volteggiasse liberamente negli angoli delle case. La si considerava, dice, una chaos of life: a Secondo Rosalind Krauss 6, il primo responsabile della rottura con l’Ot- sorta di mediatore fra interno ed esterno, noto e ignoto 5. conversation with tocento, il cuneo da cui essa si irradia, è un autore ancora pienamente otto- Peter Buggenhout”, Sculpture Magazine, centesco in senso anagrafico: Rodin. Tutto ciò che nella scultura precedente II. vol 28, n. 5, giugno a lui aspirava ad essere equilibrato, limpido, immediatamente comprensibile 2009, pp. 25–29. La polvere non è l’unico elemento che lega Buggenhout a Brancusi, evidente Ripreso in AA.V V., – il rapporto fra le parti di una composizione, fra le sue diverse vedute, fra nell’uno, segreto e quasi iniziatico nell’altro. Entrambi, a livello profondo, ap- Peter Buggenhout. superficie e massa – in Rodin si intorbida, diventa deliberatamente opaco. Se “It’s a strange, partengono a un filone della scultura del XX secolo che si oppone a un’idea di strange world, Sally”. la scultura ottocentesca consegnava il proprio senso narrativo e psicologico a composizione razionale e analitica, ereditata dalla scultura del secolo prece- Recent sculptures and un punto di vista privilegiato, in Rodin questo punto di vista è introvabile: installations by Peter dente. Non si tratta, in ultima analisi, di un’opposizione fra stili ed estetiche, Buggenhout, Constantin Brâncu˛si, vedute successive, da angolazioni diverse, delle sue sculture ne forniscono im- Stampa fotografica ma del conflitto fra due diverse idee del mondo. Quasi tutta la scultura otto- Lannoo, Tielt 2010. senza titolo (veduta magini contraddittorie, senza che una possa imporsi sulle altre. (Vista da una La citazione è a p. V. centesca (e parte di quella novecentesca) riposa ancora su un’idea di mondo dello studio), 1924 ca. certa angolazione, la figura maschile di Je suis belle sembra cedere sotto il peso 6 Rosalind Krauss, come totalità intellegibile, e colloca l’uomo al suo interno come osservatore Passages in Modern di quella femminile; vista da un’altra, sembra scagliarla verso l’alto. A sua vol- Sculpture, MIT Press, distaccato; la scultura di cui ci occupiamo qui, avverte il mondo come un in- ta, la figura femminile sembra, a seconda dell’angolazione da cui la si guarda, 1981. Ed. it., Passaggi. sieme di fenomeni la cui complessità sfida la comprensione, e l’uomo come un Storia della scultura da contrarsi o espandersi 7 ). Se la scultura ottocentesca concepiva il rapporto fra Rodin alla Land Art, osservatore implicato in esso. Le caratteristiche formali dell’uno e dell’altro Bruno Mondadori, le parti di una composizione come quello fra le parti di una frase di senso fronte derivano dai loro differenti orizzonti di senso. Milano 1998. 7 Idem, pp. 32–35. compiuto, Rodin ne ingarbuglia i nessi logici (come nella folla di figure della 16 17
Porta dell’Inferno) oppure lo riduce a un’ottusa paratassi (come nelle Tre ombre alla sommità della Porta, che consistono in realtà nella stessa, identica figura maschile ripetuta tre volte). Là dove la scultura ottocentesca tendeva a occul- tare il processo produttivo, Rodin lo mette in primo piano (le tracce di spa- tola, o coltello, che sfregiano la schiena di Figura volante); là dove essa legava superficie e massa in un rapporto di causa ed effetto, Rodin le dissocia deci- samente (la vestaglia che racchiude il Balzac in una massa compatta occulta la postura del corpo dello scrittore) 8. Negli stessi anni Medardo Rosso, autore di un’opera più limitata di quella di Rodin nei temi e nei formati, ma non meno radicale e innovativa, trasforma il punto di vista privilegiato in una sorta di fragile zattera gettata nel mare della materia, sempre sul punto di naufragare. C’è una sola angolazione dalla quale le sculture di Rosso fanno balenare un miraggio di figura (il volto di un neonato, una madre con il bambino al seno, un gruppo di figure all’aperto): da ogni altro punto di vista, anche divergente di pochi gradi, la scultura ritorna ad essere un magma informe di bronzo o di cera, la cui materialità è esibita in modo ancora più brutale che in Rodin. Oltre la soglia del XX secolo, la scultura non potrà ignorare l’esempio di questi due maestri, se non rischiando di consegnarsi al passato e all’insigni- ficanza. Ogni grande scultore trarrà però da loro la lezione che gli conviene; ed è a questo punto che le vie divergono. Brancusi – che conosceva Rosso, e che declinò l’invito di Rodin a diventare suo assistente 9 – metterà in scacco le The Blind Leading the Blind viene installato nozioni stesse di composizione e di punto di vista, contraendo e semplificando al Palais de Tokyo, Parigi (2012). Auguste Rodin, Figura volante, 1890–91 la forma fino a un estremo in cui essa non più passibile di alcuna analisi; fino 8 Idem. Vedi in all’ovoide, al cilindro, al modulo geometrico, ripetuto senza variazioni, della particolare le pagine su Rodin, pp. 15–42. Colonna infinita. (Una lezione a cui si rifaranno, mezzo secolo dopo, i Minima- 9 «Quando degli listi). Altri sceglieranno invece di riprendere la disgiunzione dei punti di vista amici rumeni lo iniziata da Rodin, e portarla alle estreme conseguenze. È il filo conduttore presentarono a Rodin, il grande scultore gli che lega il Picasso dei rilievi cubisti a Tatlin, David Smith ad Anthony Caro. suggerì di lavorare con Mark di Suvero, Tom, 1959 Dal punto di vista della storia della scultura, Buggenhout appartiene di diritto lui. “Non cresce nulla all’ombra dei giganti a questa seconda genealogia; si può dire anzi che ne sia il punto terminale, il della foresta”, fu la non plus ultra. La forma delle sue sculture, soprattutto quelle su scala architet- risposta. Il patriarca apprezzò». Pierre tonica, è talmente irregolare, tormentata e complessa da rendere impossibile Cabanne, Brancusi, allo spettatore assimilarla: le vedute che offrono a chi le esplora con lo sguar- Finest S.A. / Éditions Pierre Terrail, Parigi do girando loro intorno, o passando sotto di esse, sono così radicalmente 2003. Ed. it. Brancusi. divergenti da non saldarsi mai, nella percezione e nella memoria, in un tutto Forme pure e astratte, trad. di Mario Barboni, coerente e compatto. Key Book / Rusconi Altri tratti confermano l’appartenenza di Buggenhout a questo ambito Libri, Santarcangelo di Veduta dello studio: un’opera in costruzione (2015). Romagna 2003, p. 14. di ricerca, definito dall’opposizione a un’idea di forma razionale e analitica. 18 19
ad alcun nucleo o struttura portante interna che dia loro senso 13 ). Buggenhout ha adottato entrambe le strategie. Se le sculture della serie Gorgo, e molte di quelle di polvere, si presentano come masse compatte e insondabili, la cui re- gola strutturale resta incomprensibile, le più grandi fra le opere di The Blind Leading The Blind prendono spesso l’aspetto di carcasse sventrate, le cui parti si tengono l’una all’altra precariamente. Talvolta le opere sfruttano entrambe queste modalità allo stesso tempo: The Blind Leading The Blind #65 associa una massa centrale, troppo caotica per suggerire qualunque associazione con un nocciolo, a una serie di elementi satelliti, la cui presenza ai lati dell’ammasso centrale appare puramente fortuita. L’ultimo aspetto fondamentale che contrappone gli scultori dediti a un’i- dea razionale della forma, a quelli per cui essa, per essere adeguata alla realtà, non può che essere irrazionale, è il diverso statuto accordato alla scultura stessa. Per i primi, l’opera plastica si pone implicitamente su un piano di re- altà diverso da quello quotidiano: essa è un oggetto ideale, tanto trasparente al senso quanto gli oggetti ordinari sono opachi, capace di ordinare e rendere 13 Idem, p. 186. istantaneo ciò che nell’esperienza comune è disperso nello spazio e nel tempo. 14 Idem, pp. 53–58. (L’esempio canonico proposto da Krauss è quello dello Sviluppo di una bottiglia 15 Idem, pp. 63–66. nello spazio di Umberto Boccioni, 1912 14). L’approccio anti-razionale è invece 16 «…affermare che quasi sempre, giocoforza, anti-idealista. Non accorda in via di principio all’og- l’universo non somigli getto scultoreo uno statuto percettivo e ontologico diverso da quello di qua- a niente e non sia altro Veduta dello studio: un’opera in costruzione (2017). che informe equivale lunque altro oggetto; non lo proietta su un piano di realtà staccato da quello a dire che l’universo è qualcosa come un ordinario. (L’esempio di scuola è quello dello straordinario Rilievo d’angolo di Come ha notato Krauss, questa opposizione non coincide affatto con quella ragno o uno sputo». Tatlin, 1915 15 ). Molte delle più celebri innovazioni della scultura del XX secolo, Georges Bataille, fra figurazione e astrazione; fatto salvo il valore degli artisti, un’idea analitica voce “Informe” del dall’abolizione del piedistallo all’abbraccio senza riserve di materiali ordinari della composizione è all’opera tanto nella statuaria accademica precedente a Dictionnaire Critique, ed effimeri, vanno appunto in questa direzione; strappare la scultura a una Documents, n. 7, Rodin, quanto nelle composizioni astratte di Anton Pevsner 10. Uno dei modi 1929, p. 382. Trad. it. regione fintamente separata dell’esperienza per calarla nella realtà fenome- in cui la concezione razionale si è manifestata nella scultura astratta, è sot- Documents, a cura di nica. Di questa tendenza, di nuovo, Buggenhout è l’approdo estremo. I suoi S. Finzi, Dedalo, Bari to forma della figura ricorrente di un nucleo che raccorda e ordina le facce (1974) 2009, p. 165. Il materiali – polvere, sangue, interiora di animali – non si limitano a resistere della scultura; un nucleo dal quale quelle facce sembrano emanare, secondo concetto batailliano all’idealizzazione: ne confutano la possibilità perfino in linea di principio. di “informe” è un uno svolgimento logico o un processo di crescita organica. È un tratto che luogo ormai comune Le sue sculture non si limitano ad abbandonare il piedistallo: proliferano in John Chamberlain, si ritrova in artisti tanto diversi quanto Naum Gabo, Henry Moore, Jacques WETSTA R ESCORT, 2011 della letteratura su modo parassitario sulle pareti, strisciano sul pavimento, penzolano a brandel- Buggenhout. Vedi Lipchitz 11. Gli scultori che nel XX secolo hanno optato per una concezione an- Sofie Van Loo, “The li dal soffitto. Oppure, al contrario, si rinchiudono in teche asettiche, esaspe- ti-razionalista della forma, hanno lavorato contro quel nucleo: o spaccandolo 10 Krauss, language(s) of Silent razioni e parodie del piedistallo, forti della certezza che nessuna vetrina potrà Passaggi, op. cit., ‘Borderlinking’ and e disgregandolo (come Mark Di Suvero, le cui opere più caratteristiche sono cap. II, “Lo spazio Analogue Abstraction renderle alcunché di diverso da «un ragno o uno sputo» 16. analitico: Futurismo beyond the Narrative un insieme di elementi periferici privi di un centro 12), oppure trasformando e Costruttivismo”, in the Work of Peter la scultura in un volume compatto e inarticolato, che resiste all’analisi (come pp. 51–77. Buggenhout”, in “It’s III. a strange, strange Brancusi, appunto; oppure, all’estremo opposto per estetica e sensibilità, come 11 Idem, pp. 144–203. world, Sally”, op. cit., Il mio primo incontro con l’opera di Buggenhout risale a dieci anni fa. Avven- John Chamberlain, le cui superfici di lamiera accartocciata non rimandano 12 Idem, p. 181. p. 19. ne nel contesto di una grande mostra che, come una wunderkammer contem- 20 21
poranea, spaziava dai minerali alla pittura del XVI secolo, dai manufatti tri- motivo, non riuscivo a distoglierne lo sguardo. Si intitolava Gorgo, il nome la- bali alla videoarte 17. In una delle sale mi trovai di fronte a un oggetto nerastro tino della Gorgone: un riferimento – del tutto appropriato – a Medusa 21. alto un metro e mezzo, dalla forma estremamente irregolare. Impossibile dire L’occasione di collaborare per la prima volta con Buggenhout mi fu offer- di cosa fosse fatto: era interamente coperto da uno spesso strato di polvere e ta da una mostra collettiva che curai nel 2012 22. Invitai l’artista a esporre una sporcizia 18. Perfino in una mostra come quella, affollata di opere e manufatti delle sue sculture di polvere 23. Per trasportarla nella sala a cui era destinata fuori dal comune, l’oggetto calamitò il mio sguardo. Non aveva l’aria di essere senza toccarne la superficie, gli installatori, seguendo le istruzioni dell’assi- stato prodotto da una mano umana, ma dal caso e dall’entropia; non fabbri- stente di Buggenhout, fecero passare due sbarre di ferro attraverso dei fori cato, ma semplicemente trovato, rinvenuto dopo decenni (o forse secoli) di poco visibili creati a questo scopo, che passavano l’opera da parte a parte. abbandono. Mi sembrò che mettesse alla prova il regime asettico (sia in senso Presi consapevolezza di quello che, in fondo, sapevo già: dietro a quell’og- letterale che metaforico) degli spazi espositivi a cui siamo abituati, più di qua- getto, apparentemente estraneo a qualunque logica costruttiva, c’erano un lunque cosa io avessi mai visto fino ad allora. pensiero e una prassi d’artista, processi di fabbricazione ed espedienti tecnici. Tre anni dopo visitai una grande mostra personale di Buggenhout in una L’abilità di Buggenhout era stata quella di renderli invisibili, di far dimenti- fondazione privata a Parigi 19. Anche qui, le opere erano coperte da un denso care allo spettatore la loro presenza. Da allora, e fino a poco tempo fa, la mia strato di polvere. Una di esse mi lasciò di nuovo sconcertato: era una specie di comprensione dell’opera di Buggenhout ha cercato di conciliare due aspet- guscio sventrato, grande come la fusoliera di un piccolo aereo 20. Non riuscivo ti apparentemente divergenti: da un lato, il suo aspetto di oggetto trovato; a capire come fosse stato costruito (giacché costruito, ovviamente, doveva pur dall’altro, l’artificio che presiede a questo aspetto. esserlo) e collocato nelle sale della fondazione. In realtà, credo di non essermi L’esperienza di collaborare con l’artista e i suoi assistenti all’allestimento nemmeno posto il problema. L’opera tendeva a imporsi come un dato di fatto, di una mostra personale 24 fece pendere momentaneamente la bilancia a favo- qualcosa che è sempre stato lì. Accanto alle sculture di polvere era esposto re del secondo versante, quello dell’artificio. Nell’arco di quattro giorni vidi un lavoro differente: una specie di fagotto coperto di filacce, o crini, intrisi sorgere un’opera lunga quasi dieci metri e alta più di sei (The Blind Leading di un liquido scuro. (Avrei scoperto in seguito che si trattava di sangue). Era The Blind # 65, 2014) a partire da decine di parti distinte, abbastanza piccole da realmente ripugnante. La sola idea di toccarlo mi dava la nausea; per lo stesso poter essere sollevate e trasportate con relativa facilità all’interno dello spazio Umberto Boccioni, espositivo attraverso una finestra. Su una grande griglia di travi metalliche, le Sviluppo di una bottiglia nello spazio, 1913 parti trovarono posto l’una accanto all’altra con una precisione millimetrica. Grazie a un promemoria di appunti e fotografie di oltre trenta pagine, e a una 17 Artempo. When serie di riferimenti – linee, lettere, numeri – tracciati a spray sulle parti della Time Becomes Art, da 21 Gorgo#18, 2009. scultura, ogni dettaglio, anche il più piccolo, il più apparentemente casuale e un’idea di A. Vervoordt e M. Visser, a cura di 22 LE SILENCE. irripetibile, fu collocato esattamente nella posizione che occupava negli alle- Une fiction, a cura D. Ferretti, J-H. Martin, di S. Menegoi e stimenti precedenti: un brandello di stoffa attaccato a una trave, un fil di ferro G. Romanelli, M. Visser, Palazzo Fortuny, C. Raimondi, Nouveau legato a un’asse di legno, un sudicio fagotto di stoffa ficcato nell’interstizio fra Musée National de Venezia, 9 giugno – Monaco, un pannello di plastica e una sbarra di ferro. 7 ottobre 2007. 2 febbraio – 3 aprile Lo sconcerto che avevo provato inizialmente per l’opera di Buggenhout 18 L’opera è The Blind 2012. Leading The Blind # 11. aveva ormai lasciato il posto all’ammirazione per le capacità costruttive e ar- 23 The Blind Leading 19 “It’s a Strange, the Blind #36, 2010 tigianali dell’artista e dei suoi assistenti. Mi sentivo come chi, dopo aver visto Strange World, Sally”, un film di fantascienza particolarmente impressionante, ne visiti il set, e sco- 24 Peter Buggenhout. La Maison Rouge, The Blind Leading The Paris, 12 giugno – pra gli artifici messi in campo dal regista e dallo scenografo per far sembrare Blind, a cura di S. 26 settembre 2010 Menegoi, Palazzo De’ la finzione perfettamente verosimile (anzi, per farla dimenticare del tutto). 20 L’opera è What the Toschi, Bologna, Qualcuno che, vedendo il retro delle scenografie lasciato grezzo e i binari fuck… (Maison Rouge 28 gennaio – Scarico delle opere alla galleria Gladstone, New York (2014) piece), 2010. 19 febbraio 2017. delle cineprese, si liberi del brivido suscitato dall’incontro sullo schermo con 22 23
l’Altro – l’alieno e la sua tecnologia incomprensibile, l’infinito spazio buio – cità di accamparsi in una zona grigia fra i due estremi, un punto in cui queste per tornare a una logica interamente umana, quella dell’ispirazione artistica categorie stentano ad applicarsi (o cessano affatto di avere senso). Il caso non e dell’abilità tecnica. Il volto di Medusa che mi aveva inchiodato le prime volte è mai assente dal processo di creazione delle sculture, così come non lo è che avevo visto un’opera di Buggenhout – il volto del caos, della sporcizia, l’intento dell’artista; l’uno e l’altro si intrecciano in nodi troppo fitti per po- dell’abietto – assumeva tratti familiari, perfino rassicuranti. terli sciogliere. I materiali impiegati, in larga parte di recupero, logori o rotti, Mi resi ben presto conto che la nuova prospettiva, e la rassicurazione che recano segni vistosi che l’artista non ha scelto e di cui non conosce l’origine. ne derivava, erano largamente infondate. In una pausa del lavoro chiesi a Bug- La polvere e la sporcizia, che portano con sé quando Buggenhout li incorpora genhout se si servisse della collaborazione di un ingegnere per progettare la nelle sculture, si confondono con quelle che l’artista applica di proposito sulle parte strutturale delle sue opere più grandi. Mi rispose che una parte struttu- superfici, strato dopo strato, con l’aiuto di un fissativo; queste, a loro volta, sa- rale vera e propria non esisteva neppure. La forma delle sculture non veniva ranno ricoperte da altra polvere che si depositerà sulla scultura nel momento decisa in anticipo, tanto da poterle dotare di uno scheletro. (La griglia me- della sua esposizione, modificandola poco a poco. Il taglio che Buggenhout tallica che avevo visto montare era un’eccezione, non la regola; non era stata infligge a un elemento della scultura è virtualmente indistinguibile dall’ac- scelta per ragioni strutturali, ma estetiche. Non a caso, era stata lasciata in cidente che lo ha ammaccato prima che l’artista lo scegliesse. (Forse perfino gran parte a vista). Di fatto, l’idea stessa di “scheletro”, di una parte di soste- l’artista stesso, dopo qualche anno, stenterà a riconoscere la differenza) 25. Le gno destinata ad essere ricoperta da una “pelle” di altri materiali, era comple- linee e i numeri che Buggenhout e i suoi assistenti tracciano sui pezzi delle tamente estranea al suo modo di lavorare. Quest’ultimo si svolgeva in modo sculture come riferimenti per il montaggio (e che spesso lasciano a vista) non largamente intuitivo, per addizioni e stratificazioni successive, influenzato in sono che segni che si aggiungono a un fitto palinsesto di tracce già esistenti, modo determinante dai materiali ammassati in quel momento nello studio; lasciate da altre mani, da accidenti casuali, dal lento logorio della materia. 25 Durante veniva abbandonato e ripreso più volte, talvolta protratto per molto tempo. montaggio della Non è un problema di stile o di tecnica, ma di senso. Buggenhout, nelle La parte essenziale, il nocciolo del processo, consisteva nel creare una massa mostra a Palazzo De’ sue interviste, è del tutto esplicito a riguardo. Per lui, la zona grigia, l’area Toschi, dopo aver di oggetti e materiali per aggiunte successive, svilupparne una parte a scapito tolto The Blind Leading di indecidibilità fra intenzione e caso, non investe solo l’opera, ma si colloca The Blind # 25 (2008) delle altre, tagliare e incidere in un punto per ricominciare ad aggiungere in molto più a monte, nel cuore del nostro rapporto stesso con la realtà: dal suo imballo, un altro, e così via, fino a quando la forma non fosse diventata così complessa Buggenhout si accorse che lo strato polvere e intricata che lui stesso non riusciva a comprenderla o a memorizzarla. La su uno dei lati non I am convinced that we’re not conscious beings, that we don’t decide parte di progettazione a cui mi riferivo interveniva quando il processo era era più uniforme: everything the way we believe we do. This was proved in a recent erano chiaramente ormai prossimo a concludersi, o addirittura quando era terminato del tutto, visibili delle tracce, experiment with rats, which had to decide whether to turn left or right e lui e i suoi assistenti si ponevano il problema di smontare l’opera per farla probabilmente at the end of a passage. Using electrodes, the researchers proved that the lasciate dalla mano uscire dallo studio. Cominciava allora un paziente lavoro di dissezione della di un installatore rat’s brain decided which direction to take the instant its eyes registered scultura in parti di forme e dimensioni diverse, pezzi di un gigantesco puzzle maldestro. Dopo una the fork. But the rat is not aware at that moment that its brain has breve riflessione, da ricomporre con precisione minuziosa. l’artista decise di non decided already. It thinks it’s choosing when it gets to the fork. What I’m La conversazione rimise completamente in discussione la mia idea dell’o- restaurare l’opera, trying to get across is that we don’t decide everything the way we believe includendo questo pera di Buggenhout. La conciliazione fra quelli che mi erano apparsi come i intervento accidentale we do. We’re the performers of something unknown and indeterminable. due versanti del suo lavoro – l’apparenza di oggetto trovato, la realtà della sua nella forma dell’opera. Although we have no free will, we still feel as though we’re capable of fabbricazione intenzionale – doveva essere ripensata; la distinzione stessa, for- 26 “We are all making choices. That feeling gives me an immense freedom when I’m passers-by. Peter se, doveva essere abbandonata in favore di un’ipotesi più complessa. Buggenhout in making my sculptures. Nothing is wrong 26. conversation with Eva Ora, nel momento in cui scrivo, non penso più alle sculture di Buggenhout Wittocx”, in The Ever- in termini di “casualità” né di “intenzionalità”; e meno ancora penso che il changing Repetition, Secondo Buggenhout la distinzione fra intento e caso è un falso problema, Editions de L’amateur, primo termine sia l’apparenza, e il secondo la realtà (o, detto altrimenti, l’ar- perché per lui non esiste atto intenzionale: o almeno non nel senso pieno, senza Parigi 2015, p. 160. tificio). La qualità unica di queste opere mi sembra consistere nella loro capa- Il corsivo è mio. ombre, che gli attribuisce il senso comune, ancora impregnato di umanesimo 24 25
e antropocentrismo. (Quanto Buggenhout sia lontano da entrambi, lo dimo- stra eloquentemente il fatto che, per parlare della condotta umana, scelga un esperimento su topi da laboratorio). Buggenhout riporta il problema della scelta nella creazione a quello più ampio (e ontologico) della scelta tout court, del libero arbitrio; e risolve entrambi in una professione di scetticismo, di decisa sfiducia nella capacità dell’uomo di auto-determinarsi, e perfino di es- sere consapevole di ciò che limita questa capacità. «We’re the performers of something unknown and indeterminable». Perché il mio ingenuo paragone con la visita al set di un film di fanta- scienza abbia ancora un senso, dovrei allora completarlo con un finale diver- so. Conoscere il backstage delle sculture di Buggenhout – in senso ampio: un senso che include anche il metodo di lavoro dell’artista, le sue premesse nella storia dell’arte, le sue implicazioni filosofiche – è come abbandonare il brivi- do della finzione cinematografica per la prosaica realtà del set, ma solo per scoprire, in seconda battuta, che quest’ultima è ancora più perturbante della finzione stessa. Come venire a sapere, ad esempio, che l’esperto di effetti spe- ciali che ha creato gli alieni del film è un fanatico degli UFO, assolutamente persuaso che gli alieni esistano realmente. Oppure, meglio ancora, che, sotto la sua apparenza bonaria, lui stesso è un alieno. Pp. 27–29: The Blind Leading the Blind#65 at Palazzo De’ Toschi, Bologna (2017) 26 27
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