Del territorio: Intervista alla sound artist Daniela Diurisi - Smart Marketing
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L’ascolto mediato dalle arti sonore come strumento di comunicazione e conoscenza del territorio: Intervista alla sound artist Daniela Diurisi Le esperienze contemporanee del distanziamento sociale hanno evidenziato quanto siano importanti nella nostra vita la comunità di riferimento e la possibilità di poter mantenere con gli altri una comunicazione efficace che superi le barriere fisiche. Abbiamo preso consapevolezza di non essere affatto quegli esseri asociali e che possono vivere bene da soli che credevamo; al contempo, ci siamo riappropriati della lentezza del tempo, della riflessione, del silenzio, e, probabilmente, abbiamo ristabilito anche un equilibrio ed una connessione più profonda non solo con gli altri, ma anche con noi stessi. Nel mondo in cui niente si assapora ma tutto si consuma, persino la musica è veloce, fruita in streaming distrattamente ed in cui vanno per la maggiore brani corti e poco complessi perché non c’è il tempo per lasciare spazio a domande e riflessioni. In questo contesto, il silenzio non è contemplato e, bombardati come siamo da stimoli visivi e sonori, ci ritroviamo a non essere più capaci di guardare ed ascoltare benché abili a vedere e sentire. L a s o u n d a r t i s t s a l e n t i n a D aniela Diurisi
Non è solo un fatto di percezione, è comunicazione: l’ascolto non passa soltanto per un brano musicale ma investe tutti i campi della nostra vita, li sentiamo, ma non siamo più capaci di ascoltare veramente gli altri; non riuscendo a comprenderli, non riusciamo a stabilire una connessione efficace e la situazione peggiora se ci affidiamo alla vista per percepire il mondo circostante ed orientarci. Quante volte ci sarà capitato di prestare attenzione all’abbigliamento di qualcuno appena conosciuto per cercare di comprendere chi fosse, invece di prestare attenzione a quello che ci stava raccontando di sé? Lo stesso comportamento lo adottiamo quando cerchiamo di leggere un territorio, rimaniamo affascinati dalle sue architetture, dai colori, dal paesaggio, ma non siamo in grado di riconoscerne i suoni. Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato. Questo accade perché l’ascolto presuppone una lentezza che non siamo più abituati a sperimentare, ma di cui dovremmo riappropriare per riconnetterci ai luoghi ed alle persone che li hanno abitati, anche per ridisegnare un futuro diverso, più sostenibile e più equo, cercando di mediare tra le varie istanze di tutti gli attori di un territorio. Abbiamo chiesto alla sound artist salentina Daniela Diurisi, che ha realizzato la traccia sonora della nostra Copertina d’Artista del maggio 2020 (Upgrade), di raccontarci le trame e gli aspetti che investono la comunicazione non visiva concentrata sull’ascolto e, più in generale, le enormi potenzialità delle arti sonore come strumento di comunicazione intergenerazionale, coesione sociale e conoscenza del territorio, a partire dalla sua esperienza di organizzatrice del 9° forum internazionale sul paesaggio sonoro, all’interno degli spazi della Distilleria “De Giorgi” a San Cesario di Lecce dove, dal 2018, si occupa di progettazione di eventi, didattica e produzione come artista
sonora nell’ambito del progetto “Alchimie – la Distilleria De Giorgi residenza artistica di comunità”. Domanda: Nel corso della sua esperienza, ha avuto modo di confrontarsi con la realizzazione di percorsi sonori “al buio” insieme ad associazioni di non vedenti, come nasce un progetto di questo tipo ed a chi si rivolge? Risposta: Nel 2008 lavoravo ancora in uno studio di post produzione audio a Bologna. È stata un’esperienza molto densa che mi ha permesso di immergermi nel mondo dei suoni a 360°. In quegli anni mi stavo riavvicinando al mio territorio di origine, Lecce, dove poi mi sono trasferita e dove adesso abito. Mi sono occupata, proprio nel 2008, di portare all’interno di un convegno sulla comunicazione a Lecce un percorso, strutturato dallo studio in cui lavoravo, relativo alla comunicazione non visiva, concentrato sull’ascolto. Su suggerimento dei responsabili dello studio abbiamo organizzato, fra le varie iniziative, una cena al buio con il coinvolgimento di un’associazione di non vedenti, composta da cuochi e camerieri professionisti, della provincia di Bologna. Abbiamo pensato ad una proposta di questo tipo, rivolta a persone che partecipavano al convegno come esperti o uditori, quindi interessate ai temi della comunicazione, perché l’inversione dei ruoli permette l’apertura sensoriale a nuove prospettive. È stato molto complicato oscurare perfettamente la sala, perché gli occhi cercano a tutti i costi di vedere ed un minimo bagliore fa sì che pian piano tutto appare. Solo con il buio totale ci immergiamo nell’oscurità e gli altri sensi sono liberi di prendere il posto della vista e guidarci nell’esperienza. L’egemonia dello sguardo perde la sua forza e il mondo intorno cambia forme e dimensioni. Ovviamente i non vedenti si muovono abitualmente in questo spazio per noi inesplorato ed ecco che i ruoli sono capovolti.
L’udito, in questa particolare condizione, ci aiuta ad orientarci nello spazio, disegnando distanze, e a cercare di riconoscere le persone che ci sono vicine dall’intonazione della voce, ma in generale, come accade per il gusto, il tatto e l’olfatto, il senso si apre e comincia ad ascoltare con profondità e il mondo sonoro appare in tutte le sue trame. I luoghi hanno in sé una propria identità sonora che li rende unici? Certamente. Si parla infatti di “Impronta sonora” definendo un suono di riferimento (soundmark) di una determinata comunità, che per la sua unicità contribuisce a determinarne l’identità culturale. Chi è incuriosito da questi temi non può non leggere quello che è il punto di riferimento degli studi sul paesaggio sonoro, il libro del compositore, scrittore e ambientalista canadese Raymond Murray Schafer “Il Paesaggio Sonoro”. Come fondatore del World Soundscape Project presso la Simon Fraser University, Schafer ha incoraggiato accademici e musicisti a registrare e preservare l’ambiente sonoro del pianeta. A proposito delle impronte sonore l’autore dice: “Una volta che un’impronta sonora è stata identificata, meriterebbe di essere protetta, perché le impronte sonore rendono unica la vita acustica di una comunità” (Schafer). Se pensiamo a quali possono essere i suoni identitari dello spazio che viviamo, la prima strategia utile è quella di chiudere gli occhi e ascoltare. Se siamo in un ambiente hi-fi (hight fidelity), cioè con un buon rapporto suono/rumore (ad esempio in un piccolo paese del sud alla controra), possiamo trovare qualcosa che solo noi ascoltiamo o comunque ascoltiamo in quel particolare modo. Provo a fare un esempio: nel mio paese c’è l’arrotino. Ogni tanto passa per le vie con il suo
camioncino munito di altoparlante, solitamente lo fa dopo pranzo; credo che da quando sono nata ho sentito l’arrotino. È un suono particolare perché è in movimento. Oltre ad avere delle frasi che annunciano il suo passaggio, queste frasi “camminano”, cambiano i loro parametri: il volume, il pan (per intenderci passando dall’orecchio destro al sinistro), il timbro (se il camioncino passa dietro casa i palazzi fanno da “scudo” e il suono della voce cambia). Insomma l’arrotino è una vera e propria composizione in movimento, mai uguale a se stessa, e posso dire che è un’impronta sonora del mio paese. Naturalmente l’ho più volte registrato per preservarne la memoria. L’ascolto di suoni, rumori, racconti, memorie, voci, possono ridisegnare uno spazio fisico, ristabilendo una connessione tra chi abitava quei luoghi e chi li abita o li abiterà in futuro? Il dialogo si basa sull’ascolto, l’ascolto ci permette di ottenere un dialogo trasversale che può produrre contenuti condivisi. Ascoltando ci si può confrontare da un lato su quello che potrebbe essere migliorato, dall’altro su quello che può essere recuperato e infine su quello che alle volte è presente ma si fa fatica a focalizzare e quindi valorizzare. Per affrontare la questione alla luce di questa tripartizione: passato/presente/futuro, è necessario che tutti facciano la loro parte. La costruzione che alle volte può divenire decostruzione ha bisogno di uno sguardo multisensoriale e infragenerazionale. Il suono ricopre un ruolo importante non solo per la parte più immediata legata al linguaggio, ma
anche per la sua dimensione impalpabile più legata all’ambiente e all’ecologia. Ci troviamo molto spesso di fronte all’incomunicabilità tra vari attori di un territorio, mossi da interessi e visioni differenti: i soundscape studies possono essere concretamente il mezzo con cui la comunità dialoga, favorendo così lo scambio intergenerazionale e la coesione sociale? I soundscape studies che, interpretando il paesaggio sonoro come scatola sonora in cui accade la nostra vita, testimoniano l’identità dei luoghi e delle persone, che a loro volta vivono in queste scatole, si concentrano sulle modalità con cui il suono partecipa alla percezione e alla comprensione dello spazio, possono essere mezzo per connettere gli abitanti al luogo in una modalità lenta, dove il tempo dell’ascolto diviene fondamentale per l’intreccio delle visioni e la costruzione collettiva del nostro presente. Il concentrarci sull’ascolto tramite i soundscape studies ci consente di avvicinarci ad un linguaggio inesplorato con un tempo inusuale. Il tempo dell’ascolto richiede “tempo”, traduciamo questo gioco di parole in un fatto concreto che riguarda l’indisponibilità all’ascolto, un’inevitabile causa di distacco generazionale, superficialità anche dovuta ad una diffusione di una moltitudine di
informazioni “veloci”. L’esperienza del lockdown ha cambiato il nostro modo di comunicare e ridisegnato il paesaggio sonoro di molte città. Secondo lei, le mappe sonore potrebbero costituire un modo differente di fruire di un territorio senza recarsi materialmente sul posto? Abbiamo vissuto per tre mesi un’esperienza fuori dal comune. Molti di noi si sono interrogati su questioni qualitative: abbiamo visto le acque trasparenti e piene di pesci dei canali di Venezia, abbiamo vissuto le nostre case in ambienti acustici nuovi, dove il canto degli uccelli ha sostituito il rumore delle macchine, la natura si è riappropriata dei suoi spazi. Possiamo pensare che abbiamo vissuto un paesaggio sonoro del passato, possiamo solo immaginarlo, ma forse la strada in cui viviamo suonava proprio così, se avessimo registrato i vari punti di un paese durante il lockdown avremmo potuto impostare una mappa immaginaria dei luoghi nel passato. Le mappe sonore sono senz’altro una possibilità di fruizione del territorio differente e sì, possono essere strumento “a distanza”, ma vedo le loro potenzialità anche come ausilio ad una visita fisica. Le mappe possono contenere racconti, suoni reali o immaginati, e se costruite insieme alle comunità possono restituire una visione dei luoghi dal di dentro. Proprio in questo periodo stiamo attivando un percorso partecipato con gli abitanti del paese in cui vivo, il progetto si chiama “Il paese che parla”, creeremo una mappa dotata di QrCode che conterranno audio narrazioni a cura degli abitanti e paesaggi sonori privati, cioè individuati dai cittadini come tratti distintivi della loro percezione acustica del luogo.
Penso che sarà un progetto molto interessante sia per gli avventori esterni, che potranno conoscere il paese in una chiave del tutto differente, che per gli stessi abitanti che si ascolteranno e ascolteranno l’auto percezione della comunità. Per i fruitori esterni credo che sia un po’ come quando per caso, in un viaggio, si ha occasione di essere invitati a cena da una persona del luogo, si gustano i cibi locali, si vive la dimensione privata, insomma un viaggio vissuto. Daniela Diurisi ha studiato musica al DAMS di Bologna, ha conseguito nel 2016 la laurea di Secondo livello in Musica Elettronica presso il Conservatorio “T. Schipa” di Lecce. E’ sassofonista (sax baritono e tenore), si occupa di sound design e arte sonora, in particolare sperimentando le possibilità di incontro fra il suono ed il teatro, sviluppando un percorso di ricerca a cavallo fra le arti performative e il puro ascolto. Realizza composizioni sonore per il teatro e per i media. Ha lavorato nella post produzione audio per il cinema, tv, localizzazione di videogames, ha condotto progetti «al buio» con il coinvolgimento di associazioni di non vedenti per nuovi percorsi della comunicazione non visiva. Si occupa di esecuzione e composizione Acusmatica. Per informazioni e per contattare l’artista: Daniela Diurisi: danieladiurisi@tiscali.it Soundcloud Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter
La nuova comunicazione del brand fra etica e relazione Durante il periodo della pandemia la comunicazione del brand ha subito grandi cambiamenti, si è compreso che l’importante, in un periodo così delicato e carico di paura, non era tanto essere presente nei palinsesti televisivi e social con una pubblicità relativa alla qualità del bene, quanto piuttosto dimostrare empatia, onestà, senso di responsabilità e vicinanza rispetto ai consumatori. Abbiamo notato come molti brand abbiano tempestivamente percepito la necessità di modificare i propri messaggi pubblicitari, rendendoli più consoni alla situazione attuale, evidenziando così la capacità della comunicazione di diminuire quella distanza sociale che tanto spaventa. Con il passare delle settimane si è percepito che il consumatore non voleva solo un buon prodotto, ma un prodotto che potesse avvertire “vicino”, che avesse la capacità di creare una relazione con il brand e permettesse di sentirsi uniti in una situazione di paura sociale generalizzata. Probabilmente questo ruolo della comunicazione sarà la nuova strada da percorrere nel futuro, cioè continuare a puntare sulla responsabilità e il concetto di relazione, basata su un dialogo che tenga presente i cambiamenti avvenuti. La comunicazione sarà imperniata sulla condivisione dei valori, rendendo la responsabilità sociale dell’azienda sempre più il fattore in grado di determinare la differenza sul mercato. Il 55% dei consumatori dichiara di essere disposto a spendere di più per prodotti sostenibili, e il 54% di essi sostiene che il prezzo non sia più l’elemento principale di scelta (Altroconsumo, 2020). Questi dati ci conducono ad un’opportuna riflessione sui concetti di “marketing etico” e “marketing relazionale”: già dagli anni novanta dello scorso secolo l’attenzione è stata puntata sulla costruzione di rapporti con i clienti, al fine di renderli fedeli e aumentare in tal modo la redditività aziendale. Lo sviluppo del marketing relazionale è avvenuto grazie allo sviluppo delle Information and Communication Technology (ICT) che hanno permesso di connettere le persone tra loro e con le imprese, e permesso a quest’ultime di realizzare un’offerta personalizzata. E ancor di più quest’ultimo periodo ha dimostrato l’importanza della digitalizzazione, che per necessità ha vissuto un’impennata e sulla quale la brand communication può e deve continuare ad esercitare una spinta positiva. La necessità di una relazione deve essere però supportata da un marketing etico, costruttivo per la società e in grado di cambiare un po’ quell’idea di negatività che avvolge il marketing, perché “se ben fatto, cioè con onestà, trasparenza e rispetto, è un’attività generativa di senso e significato, aiuta le persone a vivere in un mondo più piacevole, perché fa conoscere le soluzioni utili per risolvere i loro problemi (…) e contribuisce a formare l’identità di marca, significati e senso che le persone possono prendere in prestito per strutturare ed esprimere la propria identità ai propri occhi e a quelli degli altri” (Giuseppe Morici, Fare marketing rimanendo brave persone, etica e poetica del mestiere più discusso del mondo, 2014).
Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato. Ed è proprio un marketing che utilizza una comunicazione attenta all’etica che può fare la differenza, l’esempio ci arriva appunto dal periodo della pandemia, nel quale molte aziende hanno abbandonato temporaneamente la classica comunicazione per pubblicizzare, ad esempio, il loro sostegno ad aziende ospedaliere e sanitarie. Si potrebbe anche azzardare nel dire che le aziende oggi ricoprano, in parte, il ruolo dell’”Agenda Setting” (McComb-Shaw, 1972), che asserisce che i media ci forniscono le categorie mentali grazie alle quali i destinatari possono realizzare una rappresentazione della realtà. Allo stesso modo il ruolo dei media può essere ricoperto dalla comunicazione d’impresa etica e responsabile, in quanto potrebbe fornire i valori che il consumatore può fare propri nella vita. Nel 2004 il WOMMA (word of mouth marketing association) ha elaborato un codice etico, periodicamente aggiornato, utile per la comunicazione d’impresa sui social media, evidenziando gli elementi base da rispettare ossia la fiducia tra consumatori e azienda; l’integrità nel rispetto delle leggi; il rispetto dei consumatori; l’onestà nei confronti delle opinioni dei consumatori; la responsabilità nei confronti delle categorie deboli e la promozione di strumenti che rispettino la privacy dei consumatori. Giuseppe Morici, Presidente della Regione Europa nel Gruppo Barilla ha sottolineato che “per etica del marketing intendiamo la ricerca e il mantenimento di un senso complessivo profondo di ciò che facciamo quando facciamo marketing, non in quanto fine a sé stesso, ma in quanto inserito in un contesto più ampio, in cui l’uomo, la sua vita, le relazioni e la società intera vengono costantemente messi e tenuti in primo piano”. Questa è la linea comunicativa del futuro, una comunicazione che richiede dei linguaggi semplici, lineari e positivi, orientati al futuro e in grado di rassicurare il target esprimendo la comprensione del periodo vissuto e confermando, a parole, la vicinanza ad esso, perché secondo gli esperti Luca Barbino e Federico Steiner, rispettivamente amministratore delegato e direttore generale della “Barbino & Partners” (agenzia italiana per la comunicazione d’impresa), “…le aziende devono ricostruire le relazioni con il target trasferendo scopi e valori dell’impresa. Dimmi che tipo di azienda sei, è la domanda a cui rispondere”. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della
comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter L'azienda chiama. Ma il consumatore come risponde? Il target ha da sempre interessato gli uffici marketing che cercano di catturare il “cliente tipo” per le loro comunicazioni. E adesso, virus o no, le strategie non sono cambiate. Se dovessimo dividere in due super macro mega aree potremmo dire che i consumatori si distinguono tra ansiogeni e disinteressati. I primi sono ancora molto spaventati dal Covid e risultano rassicurati dalle lunghe comunicazioni sulle norme igieniche, dalle informazioni sul distanziamento, dagli spot con gli addetti vendite con la mascherina e dal bisogno di distanziamento sociale. Gli altri invece, già scettici in pandemia, sembrano infastiditi da queste continue restrizioni e preferiscono comunicazioni che non tengano conto dell’accaduto, quasi a rimembrare i vecchi tempi. I clienti possono fare la differenza nel favorire oppure ostacolare le aziende. Ed è questo il modo che hanno di rispondere alle loro comunicazioni. Prima di tutto attraverso il risparmio. La scelta di non acquistare, infatti, è un chiaro segnale della preferenza verso certi beni rispetto ad altri nella scala di valori personale. Secondo i dati del Finacial Times gli italiani nel mese di marzo hanno messo da parte 16,8 miliardi di euro contro i 3,4 miliardi dell’anno precedente. Dagli studi di Gfk sul lockdown risultano aumentati del 26% i consumi sui beni primari e il 19% degli acquisti on line. Il trend dello shopping in rete sembra aver colpito nel segno tanto che molti negozi hanno deciso di puntare ad una strategia di vendita digitale invece di riaprire con gli store
(vedi il gruppo Inditex fatto da Zara & Co che chiude oltre 1000 negozi. E come questa catena ce ne sono tanti altri). Il consumatore nella fase new normal ha deciso di sdoppiare l’acquisto tra i negozi di prossimità e le multinazionali on line con una attenta scelta delle informazioni, per i beni durevoli e lasciarsi andare agli acquisti compulsivi, per i beni di primaria necessità (Osservatorio Multicanalità 2020 Nielsen). Non mancano però le frodi, legate spesso alla paura, segnalate dalle Associazioni di tutela dei consumatori. La lista sembra destinata ad allungarsi di giorno in giorno, e non solo per i prodotti sanitari. Primeggiano le pubblicità ingannevoli e le condizioni spacciate per favorevoli che invece erano già previste per contratto. Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato. Dopo un periodo a tinte forti, come quello appena passato, il consumatore si aspetta ancora racconti appassionati, eroi da poemi epici, e perchè no, un po’ di protagonismo. Non passa inosservato qualche “Grazie” detto dalle aziende ai propri clienti che continuano a sceglierle e a farle stare in piedi, nonostante tutto. Lo studio di Gfk sulla comunicazione in Fase 2 e sulla nuova normalità sottolinea come il consumatore compia scelte etiche ed economiche, rendendo la responsabilità sociale d’impresa un must che fa propendere o meno per l’acquisto di un prodotto. Così si vedono alcuni supermercati che nel volantino delle offerte propongono solo prodotti italiani, oppure gli hotel che offrono soggiorni gratuiti o scontati per gli operatori impegnati nel Covid. Oppure ancora spot di reti televisive che promuovono la pubblicità su media italiani o su radio locali. L’Italia degli italiani prima di tutto. Il motto è sempre quello: noi ci siamo, ti siamo vicini, per ripartire. I media preferiti dagli italiani sono tornati ad essere la TV (+18%) e la rete (+25%) – dati Gfk Eurisko – con una grande richiesta di contenuti informativi e di intrattenimento. L’entratainment sarà ancora la scelta vincente: dopo tanta chiusura, dalle scuole agli uffici, la voglia di divertirsi e rilassarsi rimane tanta. E il passo successivo è la condivisione, on line sui social, e off line con il contatto personale. Cosa ci aspettiamo? Un’estate in relax, con piccoli e grandi sfizi, secondo le possibilità di ognuno. Parola d’ordine: ricominciare a vivere, e a consumare.
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di Roma, si svolgerà in presenza il 6 luglio. Sarà un’edizione necessariamente diversa dalle altre; la diretta, che andrà in onda su Rai Movie, si svolgerà sicuramente nel rispetto delle norme di sicurezza e adotterà inevitabilmente un registro meno sfavillante e più pacato rispetto alle scorse edizioni, ma quello che possiamo dire è sicuramente che il nostro paese ha bisogno di tornare a sognare e di conseguenza ha bisogno del cinema per farlo, qualsiasi forma esso adotti. Il pensiero va automaticamente ad un altro premio cinematografico importante, svolto in piena pandemia, il David di Donatello, che l’8 maggio scorso, in presenza solo del presentatore Carlo Conti, ha avuto luogo con una cerimonia, sicuramente sottotono, ma che è ugualmente riuscita a regalare momenti d’emozione agli attori e professionisti protagonisti e anche al pubblico a casa. Diversi saranno, per fortuna, i Nastri d’Argento che si svolgeranno in presenza a Roma, ma ciò che resta uguale è l’esigenza che abbiamo di andare avanti e di riappropriarci di una sorta di normalità che ci faceva sentire tranquilli, quella parte di normalità sana, che produce bellezza, arte e cultura. Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato. In attesa del 6 luglio, qui i film, gli attori ed i professionisti del settore candidati all’ambito premio: Miglior film Gli anni più belli Hammamet La Dea Fortuna
Favolacce Pinocchio Migliore regia Gianni Amelio – Hammamet Pupi Avati – Il Signor Diavolo Cristina Comencini – Tornare Fratelli D’Innocenzo – Favolacce Matteo Garrone – Pinocchio Pietro Marcello – Martin Eden Mario Martone – Il sindaco del rione Sanità Gabriele Muccino – Gli anni più belli Ferzan Ozpetek – La Dea Fortuna Gabriele Salvatores – Tutto il mio folle amore Miglior regista esordiente Stefano Cipani – Mio fratello rincorre i dinosauri Marco D’Amore – L’Immortale Roberto De Feo – The Nest Ginevra Elkann – Magari Carlo Sironi – Sole Igor Tuveri (IGORT) – 5 è il numero perfetto Miglior commedia Figli di Giuseppe Bonito Il Primo Natale di Salvo Ficarra e Valentino Picone Lontano lontano di Gianni Di Gregorio Odio l’estate di Massimo Venier Tolo Tolo di Luca Medici Miglior produttore Marco Belardi e Paolo Del Brocco – Gli anni più belli Agostino, Giuseppe e Mariagrazia Saccà – Favolacce e Hammamet Attilio De Razza e Giampaolo Letta – Il primo Natale Luca Barbareschi e Paolo Del Brocco – L’ufficiale e la spia Matteo Garrone e Paolo Del Brocco – Pinocchio Miglior attore protagonista Stefano Accorsi, Edoardo Leo – La Dea Fortuna Pierfrancesco Favino – Hammamet Luca Marinelli – Martin Eden Francesco Di Leva – Il sindaco del rione Sanità Kim Rossi Stuart – Gli anni più belli Miglior attrice protagonista Giovanna Mezzogiorno – Tornare
Micaela Ramazzotti – Gli anni più belli Lunetta Savino – Rosa Lucia Sardo – Picciridda Jasmine Trinca – La Dea Fortuna Miglior attore non protagonista Roberto Benigni – Pinocchio Carlo Buccirosso – 5 è il numero perfetto Carlo Cecchi – Martin Eden Massimiliano Gallo e Roberto De Francesco – Il sindaco del rione Sanità Massimo Popolizio – Il primo Natale, Il ladro di giorni Miglior attrice non protagonista Barbara Chichiarelli – Favolacce Matilde Gioli – Gli uomini d’oro Valeria Golino – 5 è il numero perfetto, Ritratto della giovane in fiamme Benedetta Porcaroli – 18 Regali Alba Rohrwacher – Magari Miglior attore di commedia Luca Argentero – Brave ragazze Giorgio Colangeli – Lontano lontano Valerio Mastandrea – Figli Giampaolo Morelli – 7 ore per farti innamorare Gianmarco Tognazzi – Sono solo fantasmi Mi gli or at tri ce di co m m ed ia An to ne lla Att ili – Tolo Tolo
Paola Cortellesi – Figli Anna Foglietta – D.N.A. – Decisamente Non Adatti Lucia Mascino – Odio l’estate Serena Rossi – Brave ragazze, 7 ore per farti innamorare Miglior soggetto Bar Giuseppe di Giulio Base Buio di Emanuela Rossi Il grande salto di Daniele Costantini Il Signor Diavolo di Pupi, Antonio e Tommaso Avati L’uomo del labirinto di Donato Carrisi Miglior sceneggiatura Favolacce – Damiano e Fabio D’Innocenzo Il sindaco del rione Sanità – Mario Martone, Ippolita Di Majo La Dea Fortuna – Gianni Romoli, Silvia Ranfagni, Ferzan Ozpetek Martin Eden – Pietro Marcello, Maurizio Braucci Tutto il mio folle amore – Umberto Contarello, Sara Mosetti Migliore fotografia Luan Amelio – Hammamet Paolo Carnera – Favolacce Daniele Ciprì – Il primo Natale Daria D’Antonio – Tornare, Il ladro di giorni Italo Petriccione – Tutto il mio folle amore Migliore scenografia Dimitri Capuani – Pinocchio Emita Frigato, Paola Peraro, Paolo Bonfini – Favolacce Giuliano Pannuti – Il Signor Diavolo Luca Servino – Martin Eden Tonino Zera – L’uomo del labirinto Miglior montaggio Esmeralda Calabria – Favolacce Marco Spoletini – Pinocchio, Villetta con ospiti Jacopo Quadri – Il sindaco del rione Sanità Patrizio Marone – L’Immortale Claudio Di Mauro – Gli anni più belli, 18 Regali Migliori costumi Massimo Cantini Parrini – Pinocchio, Favolacce Cristina Francioni – Il primo Natale Alessandro Lai – Tornare Andrea Cavalletto – Martin Eden Nicoletta Taranta – 5 è il numero perfetto
Miglior sonoro Maurizio Argentieri – Il sindaco del rione sanità, Tornare Gianluca Costamagna – L’Immortale Denny De Angelis – Martin Eden Maricetta Lombardo – Pinocchio Gilberto Martinelli – Tutto il mio amore folle Migliore colonna sonora Brunori Sas – Odio l’estate Pasquale Catalano – La Dea Fortuna Dario Marianelli – Pinocchio Mauro Pagani – Tutto il mio amore folle Nicola Piovani – Gli anni più belli Miglior canzone originale Che vita meravigliosa di Diodato – La Dea Fortuna Gli anni più belli di Claudio Baglioni – Gli anni più belli Il ladro di giorni di Alessandro Nelson Garofalo, cantata da Nero Nelson e Claudio Gnut – Il ladro di giorni Rione Sanità di Ralph P. – Il sindaco del rione Sanità Un errore di distrazione di Brunori Sas – L’ospite We come from Napoli di Liberato, con Gaika e Robert Del Naja – Ultras
Pr ot ag on ist i an ch e qu i, fil m pl uri pr em iat i, ap pr ez zati da pubblico e critica, come “La Dea Fortuna” di Ferzan Ozpetek, “Gli anni più belli” di Gabriele Muccino, “Hammamet” di Gianni Amelio e “Favolacce” dei fratelli D’Innocenzo. Due importanti premi saranno assegnati: il Nastro alla Carriera al bravissimo attore napoletano Toni Servillo e il Nastro dell’Anno al film “Volevo nascondermi” del regista Giorgio Diritti, che narra la storia del pittore Ligabue, interpretato da un eccellente Elio Germano. Mesi di ripartenza questi per l’Italia e per il cinema italiano, diamo anche noi il nostro contributo, quindi, popolando le arene estive e andando a recuperare opere di grande valore che non abbiamo visto, riprendendoci così, con le dovute accortezze, anche un po’ di socialità che è momentaneamente venuta meno, e quale miglior scusa per farlo, se non quella della visione di un bel film. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome
Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Cinema, Comunicazione e Pubblicità Dal 1895 ad oggi, il cinema si è evoluto, trasformandosi da universo parallelo e intoccabile, foriero di emozioni, ma inizialmente privo di voce, a quello che potremmo addirittura definire come “stile di vita virtuale”, che influenza noi, la società in cui viviamo e la nostra cultura. Pensare che storie raccontate attraverso immagini in movimento possano avere un impatto profondo su molti aspetti delle nostre vite può fare un certo effetto. Uno dei più fulgidi e lampanti esempi, è senza dubbio la “commedia all’italiana”, specchio della nostra società, per gran parte della fetta centrale e finale dello scorso secolo. Il cinema è dunque, il più potente strumento di comunicazione di massa, e quando ci sono da sfruttare i veicoli informativi più efficaci, la pubblicità e il marketing non si lasciano scappare l’occasione. Anche i riferimenti psicologici che legano il cinema alla comunicazione, sono elementi che concorrono ad influenzare il pubblico, guidandolo verso determinate direzioni e toccando quelle corde emotive, necessarie affinché il connubio diventi davvero un fenomeno di stimolazione di massa. Già il porsi alcune domande del tipo, “Perché andiamo al cinema?”, “Che cosa cerchiamo nel cinema?” e “Cosa ci spinge ad assistere alla visione di una realtà e di una vita che non sono le nostre?”; portano a riflettere sul potere comunicativo che il cinema ha nelle nostre vite, anche in tempi come oggi, dove la televisione e i social, monopolizzano le nostre menti. Le motivazioni sono molte e i fattori altrettanti, per esempio quello sociale, infatti il cinema è un luogo d’incontro, un luogo dove poter rapportarsi con gli altri. Può essere uno spunto di conversazione, uno scambio di opinioni. L’andare al cinema inoltre comporta il soddisfacimento di un desiderio: vedere ed immedesimarci in un’esperienza di vita che non è la nostra, ed è anche un modo per darci sicurezza e allontanare, anche se per qualche ora, i fantasmi della nostra vita. Lo spettatore cerca di trovare nei film situazioni ed emozioni che poi potrà portare “sulla scena” della sua vita così da arricchire e definire la propria identità e il proprio status sociale. https://youtu.be/5BsGZyls9JI Così come le arti permettono di percepire e di venire a contatto direttamente con l’anima, il cinema raggiunge lo stesso obiettivo: narrando eventi immaginati o prendendo spunto dalle realtà. Si trova
ad avere numerose sfaccettature e permette all’individuo di vivere infinite vite, ed è come avere in mano un caleidoscopio e guardare attraverso questo la realtà sempre in modo diverso e da punti di vista differenti. E’ una “macchina dei sogni”, nel senso che ha un’influenza sul pubblico maggiore di qualsiasi altra Arte, in quanto trasporta lo spettatore in un’altra realtà, ideale ma – al tempo stesso – reale. Lo spettatore cinematografico prova un’impressione di realtà, derivante dal fatto che le immagini in movimento sullo schermo “prendono corpo”, si materializzano. Scopri il nuovo numero: Tutto è Comunicazione La comunicazione è diventata centrale nella vita di tutti noi ed è cambiata molto nell’ultimo periodo a causa dell’epidemia. Abbiamo assistito all’esplosione di nuove piattaforme digitali come Zoom, alla comparsa degli scienziati nei talk show televisivi e ad una comunicazione di brand incentrata su valori diversi rispetto al recente passato. Dunque, quello stretto legame tra cinema e comunicazione non è altro che la capacità del “cinematografo” di parlare la lingua del pubblico; e quello della “comunicazione”, di essere in grado di stimolare il pubblico, di influenzarlo e di suscitare emozioni. Cosicché, se vediamo in una pellicola, una stella del cinema, intenta magari a mangiare con gusto un piatto di spaghetti, celebri quelle al nero di seppia, che Nino Manfredi, ingurgita ne La mazzetta (1978), ci verrà probabilmente voglia di mangiarne un piatto. In fondo, è scientificamente provato, che un personaggio particolarmente amato e famoso che pubblicizza un prodotto, ha un’influenza enorme sullo spettatore, con conseguente guadagno di immagine, per se stesso, per l’azienda e per il consumatore. Così dunque, entra in gioco il terzo elemento, ovvero la pubblicità. Già dalla fine degli anni ’50, era chiaro agli esperti di mass-media e di comunicazione, come un grosso nome impiegato a pubblicizzare un prodotto, potesse essere di forte presa sul pubblico-consumatore. Nacque così la celebre trasmissione di Carosello, composta da piccoli sketch di attori famosi che pubblicizzavano il prodotto per il quale erano stati ingaggiati. E si pescava dal Cinema, da quella fabbrica di sogni, che più era in grado di influenzare il pubblico. All’epoca, bisogna dirlo, fare pubblicità sul grande schermo, all’interno di un film era vietato; però nulla appunto, vietava, che i protagonisti del grande schermo potessero essere ingaggiati in televisione, per pubblicizzare un prodotto ed esercitare quello charme comunicativo, che derivava dal cinema stesso. https://youtu.be/tKKN6uEc1tk Ad oggi è invece, aperta la possibilità di sfruttare la forza comunicazionale del film cinematografico per la promozione di prodotti diversi (dai beni di largo consumo ai beni durevoli, fino ad arrivare al lusso). Pionieri del campo sono stati i britannici e gli statunitensi, ma ora anche in Italia è possibile sfruttare questo straordinario mezzo per le proprie pianificazioni. Certo, si può portare a riflettere sul fatto se possa davvero essere conveniente o no, per un’azienda pubblicizzare un prodotto al cinema, in tempi in cui la televisione e i social, come mezzi comunicativi, la fanno da padrone. Bisogna però notare, come la “magia” del cinema, in quanto “magia” è difficilmente scalzabile, e un buon film in cui si pubblicizza un prodotto, ha sempre più presa emotiva sul pubblico rispetto ad una mera pubblicità cartacea o televisiva.
Consideriamo anche, quanto detto sopra, che un eroe del cinema, che beve un buon caffè, decantandone il gusto, vale più di mille slogan su di esso; proprio perché ci porta a pensare che in fondo non siamo tanto distanti da quei miti, e che loro sono un po’ come noi, e noi un po’ come loro. Quando Nino Manfredi, degustava le qualità di una nota marca di caffè; o ancora Gino Cervi ci faceva praticamente sentire l’odore e il sapore di un noto whisky; tutto ciò ci forniva l’emotivo ragionamento della “normalità”: “anche io posso fare la stessa cosa che fa Manfredi o che fa Cervi”. Insomma, ci si immedesimava e ci si immedesima tutt’ora, con i personaggi che fanno parte del nostro immaginario comune e si è portati a fare le stesse cose che facevano o che fanno loro per pubblicità, sia pure solamente per imitazione. Tutto ciò non è altro che la forza comunicativa “mostruosa” del cinema, che a braccetto con la comunicazione stessa e con la pubblicità, sono ancora oggi il più importante mezzo di influenza collettiva. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter MEDIMEX 2020 - DIGITAL EDITION: 70 mila visualizzazioni per la prima music conference internazionale digitale Il MEDIMEX è sempre stato una grande festa, piena di luci, gente, colori e tanta musica declinata nella sua più bella ed alta accezione, gli spettacoli dal vivo, ma anche tutto il mondo che ruota e fa capo alle produzioni musicali.
Giorni bellissimi, nei quali ci si poteva perdere tra suoni, mostre, workshop, confronti, presentazioni di libri, e poi gente, una folla festante che si spostava nelle varie location della città prescelta ad ospitare l’evento, perché il MEDIMEX è stato itinerante e, come la musica che abita in tutti i luoghi ma che non appartiene a nessuno, riempiva strade e piazze che quest’anno, a causa delle misure che comportano il distanziamento sociale, sono rimaste vuote e silenziose. L’evento però, nonostante tutto, continua a vivere ed animare pubblico, addetti ai lavori, curiosi ed appassionati, che hanno dovuto incontrarsi on-line nella solitudine dei propri appartamenti, ma accomunati dal desiderio e dalla voglia di non lasciare che tutto questo muoia, che l’egregio lavoro fatto finora da Puglia Sounds non venga perduto, affrontando con lo stesso entusiasmo il MEDIMEX D, versione digitale, ma non per questo meno interessante, dell’omologo evento dal vivo; largo, quindi, a webinar, incontri, confronti, dibattiti e workshop, tutto rigorosamente in streaming. MEDIMEX Digital Edition, come l’omologa versione live, anche quest’anno ha esplorato il mondo dell’industria musicale a 360 gradi, con le sue potenzialità ma anche criticità e trasformazioni
ancora più marcate a causa del particolare periodo che stiamo vivendo e che ha messo in crisi l’intero comparto. Mentre dai social si alzava il grido di aiuto per i tanti lavoratori rimasti a casa a causa del blocco dei concerti dal vivo con l’hashtag #iolavoroconlamusica, trend topic del momento, il MEDIMEX D si preoccupava di fornire strumenti necessari ad affrontare questo cambio di paradigma, dal modo di affrontare la comunicazione digitale ai mezzi per aumentare i follower, insieme ai classici workshop altamente professionalizzanti e rivolti agli operatori del settore. Accanto alla formazione a numero chiuso, ci sono stati gli incontri e le interviste con musicisti ed addetti ai lavori, curati dal critico e giornalista musicale Ernesto Assante, che durante le varie dirette Facebook si è confrontato con ospiti del calibro di Tommaso Paradiso, Clemente Zard di Vivo Concerti, Ghemon, Chiara Santoro di Google Italia, Francesco Sarcina, Claudio Ferrante di Artist First, Diodato, Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari e Andrea Rosi di Sony. Molti i temi trattati e da molteplici punti di vista, dalle etichette indipendenti alle major per cercare
di trovare soluzioni e discutere su nuovi modi di fare musica ed intrattenere, analizzando le perdite del mercato dei concerti dal vivo e dell’indotto, che si stima arrivino fino al 90%, ma anche per interrogarsi su come si possa creare business sfruttando i nuovi canali on-line come streaming e social network, mantenendo costante quel rapporto instaurato con i fan durante il lockdown, senza sottovalutare il grande potenziale delle nuove tecnologie che permettono ai musicisti di lavorare a distanza. Sensazioni, timori, speranze ed esperienze di chi vive di musica e per la musica, di cui ci piace ricordare soprattutto il racconto accorato di Diodato e del variegatissimo mondo dei musicisti pugliesi al quale Assante ha dedicato una interessante lezione. Quelli stessi musicisti che l’organizzazione del MEDIMEX ha sempre cercato di valorizzare, fornendo una vetrina internazionale prestigiosa, e che rappresentano il fiore all’occhiello di una regione, la Puglia, che ha fondato anche sui grandi eventi musicali e sull’estro originale dei suoi artisti il fulcro di un’offerta turistica già ricca dal punto di vista naturalistico.
La prima Digital Edition del MEDIMEX 2020 chiude i battenti con all’attivo quasi 100 ore di attività in streaming, 1500 utenti che hanno partecipato a workshop e webinar online, 350 mila persone raggiunte sui social network, circa 70 mila visualizzazioni complessive, 130 mila interazioni su Facebook, 140 mila su Instagram e 50 mila su Twitter. Numeri da capogiro, che dimostrano, laddove ce ne fosse la necessità, l’enorme potenziale derivante dall’utilizzo strategico degli strumenti on-line, in grado di catalizzare l’attenzione di migliaia di utenti ed aprire nuovi mondi e nuovi mercati anche per tutti quei settori altamente creativi come la musica. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Intelligenza Artificiale vs Covid-19, con Emanuela Girardi Prima che la pandemia da coronavirus sconvolgesse il mondo, a tenere banco era una questione che molti tecnologi, scienziati, economisti e giornalisti ritenevano l’evento epocale degli anni venti del 2000. Stiamo parlando dell’Intelligenza Artificiale e della conseguente rivoluzione tecnologica che sta innescando, e che in molti ritengono avrà lo stesso impatto nelle nostre vite della stampa a caratteri
mobili, del motore a vapore e dell’elettricità. Eppure, nel comune sentire dell’opinione pubblica, questa rivoluzione deve ancora venire, mentre gli esperti ci dicono che l’I.A. è già abbondantemente all’opera nelle vite di tutti i giorni. Ogni volta che usiamo l’assistente vocale dei nostri smartphone, o interroghiamo un chatbot di un servizio clienti, ogni volta che utilizziamo Google Maps e addirittura quando vediamo una serie TV su piattaforme come Netflix, gli algoritmi dell’I.A. sono all’opera per semplificare e velocizzare le nostre esperienze di navigazione e di acquisto. Il 2° episodio del podcast “Alla scoperta dell’Intelligenza Artificiale”, ideato e promosso dall’Associazione Italiana per l’intelligenza Artificiale (AIxIA) e Radio IT (il primo podcast network italiano sull’information technology), vuole, inoltre, farci scoprire come l’I.A. stia svolgendo un ruolo di primo piano nella lotta contro il Covid-19. L a p r o t a g o n i s t a d e l 2 ° p odcast, la dott.ssa Emanuela Girardi, componente direttivo dell’AIxIA, consulente del MiSE e fondatrice dell’Associazione Pop AI.
A dialogare con il giornalista Igor Principe di Radio IT questa volta è la dott.ssa Emanuela Girardi, componente dell’AIxIA, consulente del MiSE (Ministero dello Sviluppo Economico) e fondatrice dell’Associazione Pop AI (Popular Artificial Intelligence). In questo podcast capiremo quanto big data e Intelligenza Artificiale siano strettamente correlate e di come le tecnologie di I.A. siano il mezzo migliore per analizzare i dati clinici, epidemiologici e storici del Covid-19 e stilare modelli predittivi che aiutino il personale sanitario nel decidere il triage o la terapia migliore, i governi a decidere le politiche atte al contenimento dell’emergenza e i virologi e gli epidemiologi a redigere modelli previsionali della diffusione del virus. Scopriremo inoltre quanto sia fondamentale l’I.A. per la cosiddetta bioinformatica. Emanuela Girardi ci parlerà anche di Claire (Confederation of laboratories for artificial intelligence research in Europe), una comunità europea che raccoglie tutti gli attori, associazioni, laboratori che si occupano di I.A. e che ha avuto un ruolo importante anche durante l’epidemia di coronavirus. Infine capiremo come le parole chiave del prossimo futuro siano ricerca, istruzione, formazione e informazione, e quanto le tecnologie dell’I.A. siano fondamentali per lo sviluppo di ciascuna di esse. Per concludere, possiamo dire che questo 2° podcast ci parla non tanto delle applicazioni future dell’Intelligenza Artificiale, quanto del nostro presente, che molti hanno già definito I.A. Society. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter
Favolacce - Il film Vincitore dell’Orso d’Argento a Berlino per la Migliore sceneggiatura, Favolacce, film di Damiano e Fabio D’Innocenzo, si issa, quasi senza ombra di dubbio, come la migliore pellicola della falcidiata annata 2020. Speriamo che il cinema possa riprendersi nel corso dell’estate e del prossimo autunno, ricordando come il suddetto film avrebbe già dovuto approdare nelle sale cinematografiche lo scorso 16 aprile, poi bloccato per la pandemia da Covid-19 che ha posto l’Italia in lockdown. Qualche giorno fa, in seguito alla riapertura delle sale cinematografiche, datato 15 giugno, alcuni film hanno avuto, è proprio il caso di dirlo, il coraggio di ripresentarsi lì dove la magia del cinematografo ottiene la sua massima espressione, ovvero in sala. Favolacce è uno di questi “eroi” che cercano di prendere in mano il cinema italiano. Una favola nerissima, ma vera, in cui la coppia di autori ha riversato, attraverso la voce di un narratore, il vuoto pneumatico di figure parentali (con in più un docente) che dovrebbero insegnare a vivere ai propri figli mentre invece hanno perduto qualsiasi capacità di positività e di sguardo sul futuro. I D’Innocenzo ci propongono solo tinte scure e a uno sguardo superficiale si potrebbe pensare che di pessimismo oggi ne circola già abbastanza senza bisogno di ulteriore impegno. Di fatto però non è così. Perché questa più che una favola nera è (ci si perdoni il gioco di parole) una favola ‘vera’. Basta leggere le cronache quotidiane per rendersene conto. E se nelle favole nere non ci sono principi azzurri qui invece ce ne sono ben due. Sono i D’Innocenzo che, concentrando in una sorta di overdose narrativa il negativo sempre più presente nella società contemporanea, anche se con una diffusione a macchia di leopardo, ci vogliono ammonire. Ci ricordano che sempre più spesso i draghi dell’insensibilità e dell’amoralità (travestita da perbenismo di facciata) si annidano in quelle grotte che sono diventate certe abitazioni in cui solo apparentemente c’è tutto ciò che occorre. Questo film è la lancia che utilizzano per aiutarci a prenderne coscienza e ad iniziare a stanarli per poi sconfiggerli.
Il film, tutto poggiato sulle meravigliose spalle di Elio Germano, ormai l’attore italiano più importante del panorama nazionale, ha ottenuto anche 9 nominations ai Nastri d’Argento, tra cui quella più prestigiosa come Miglior film. In questa speciale categoria, il film sembra essere il favorito alla vittoria finale. Nella 75esima edizione, del prossimo 6 luglio, sapremo il verdetto. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Alla scoperta dell’Intelligenza Artificiale Che cosa è l’Intelligenza Artificiale? Che cosa fa l’Intelligenza Artificiale? Che cosa non può ancora fare l’intelligenza Artificiale? Sono queste le domande a cui risponde il primo episodio del podcast “Alla scoperta dell’Intelligenza Artificiale”, ideato e promosso dall’Associazione Italiana per l’intelligenza
Artificiale(AIxIA)eRadioIT,ilprimopodcastnetworkitaliano sull’information technology che, in 12 episodi di circa 30 minuti ciascuno, cercherà di raccontare lo stato dell’arte sugli studi, gli sviluppi, la ricerca e gli scenari futuri dell’IA. Come vi avevamo anticipato in un recente video di presentazione, il nostro magazine ha avviato una collaborazione con queste importanti realtà per promuovere e distribuire questo interessante contenuto anche attraverso i suoi canali e, a tale scopo, ha creato una rubrica ad hoc denominata “Innovazione e Intelligenza Artificiale”, che raccoglierà tutte e 12 le puntate di questo interessantissimo podcast. Questo primo episodio dal titolo “Alla scoperta dell’Intelligenza Artificiale” vede il giornalista Igor Principe di Radio IT dialogare con il dott. Piero Poccianti, Presidente dell’Associazione Italiana per l’intelligenza Artificiale su l’origine, la storia e i primi passi dell’IA. Si parte dagli studi pioneristici del matematico, logico e crittografo britannico Alan Turing, che negli anni ’30 fu il primo ad interrogarsi sull’intelligenza delle macchine ed a formulare concetti chiave come algoritmo. Turing è considerato uno dei padri dell’informatica e dell’Intelligenza Artificiale. In questo primo episodio, inoltre, si fa una prima e fondamentale distinzione fra Intelligenza Artificiale di tipo “generale” e di tipo “ristretto”. La prima è quella cui ci hanno abituato i film di fantascienza, ossia si tratta di quella parte dell’IA che cerca di riprodurre un “essere senziente”; mentre la seconda, quella di tipo “ristretto”, invece cerca di applicare l’IA a campi molto specifici e tecnici, dove le macchine eseguono lavori analogamente agli umani, ma con migliori prestazioni.
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