La Copertina d'Artista - Simply the best 2021

Pagina creata da Roberto Re
 
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La Copertina d'Artista - Simply the best 2021
La Copertina d’Artista - Simply the best
2021
É una coloratissima e psichedelica immagine a fare da Copertina d’Artista al 92° numero del nostro
magazine.

Sembra più la cover di un LP di un gruppo progressive rock degli anni ‘70 che la copertina di un
mensile.

Una serie di elementi molto eterogenei si affastellano e amalgamano gli uni sugli altri senza
soluzione di continuità.

Dall’alto si vedono innanzitutto delle geometrie perfettamente sospese fra l’arte Pop e l’arte Optical,
scendendo appena un poco con lo sguardo sorprendiamo due fate o ninfe in pieno stile Liberty,
ancora più in basso una grande ruota o disco si ruba metà della scena, è una ruota strana perché
assomiglia sia ad un mandala induista che ad una roulette, infine in basso vediamo un groviglio di
piante e rose che formano una sorta di cornice che delimita lo spazio.

Su tutto l’Artwork, infine, campeggia la scritta “Simply the best”.
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o magazine realizzata da Giulio Giancaspro.

Insomma, siamo davanti ad un lavoro stratificato e multiforme, di non immediata comprensione,
un’opera che si presta a svariate letture.
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Ho il privilegio di conoscere personalmente l’artista, il talentuoso ed eclettico Giulio Giancaspro,
giunto ormai alla sua 4° collaborazione con il nostro magazine, e, dopo aver chiacchierato con lui
sulla tematica del numero che doveva illustrare, sono venuto a conoscenza di una serie di meta-
informazioni che mi hanno permesso di comprendere meglio questo lavoro.

Quello che vedete è una vera biografia, o meglio un’infografica, nella quale Giancaspro ha
condensato più di 30 anni di carriera, ogni elemento grafico rappresenta un “periodo” dell’artista.

Cominciando dall’alto scorgiamo le geometrie optical e pop della sua giovinezza, le ninfe sono le
rappresentazioni del suo breve ma intenso periodo liberty (della cui esistenza ho appreso solo
recentemente), il disco è in realtà un piatto della sua ultima produzione di design dove ritornano le
sue giovanili geometrie filtrate dall’esperienza e dal mestiere della maturità, infine, le piante e le
rose sono un mix efficace tra illustrazione e fumetto. Tutta l’immagine infine è resa armoniosa ed
equilibrata da altre due frequentazioni del nostro artista: la grafica e la Pop art che da anni, e più
profondamente di altre, definiscono lo stile eclettico e multiforme del Giancaspro.
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Giancaspro.

Raccontare con le immagini, imprimere la propria impronta sulla materia per darne significati altri,
creare opere che parlano sì ai nostri occhi, ma che prima ancora interrogano le nostre coscienze.

                Scopri il nuovo numero: “Simply the best”
       Possiamo decidere che il 2021, al pari del 2020, sia completamente da buttar via, oppure
     possiamo scegliere di focalizzarci su altro… sulle nuove consapevolezze raggiunte, sul nuovo
   valore che diamo al tempo ed allo stare insieme. Ossia, su quanto di buono è comunque accaduto
                                     o su cosa abbiamo imparato.

Giulio Giancaspro in quest’opera parla di se stesso, del suo percorso come uomo ed artista, ma a
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guardar bene e a fondo parla anche a noi e di noi: tutta l’immagine pare un inno alla vita, non c’è
angoscia o tristezza, ma solo positività e gioia. I simboli di buon augurio per il futuro si sprecano: le
ninfe sembrano le fate delle nostre favole, la ruota sembra un benaugurante mandala, le piante ed i
fiori sono la natura che emerge per inondare di profumo e bellezza tutto lo spazio.

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lio Giancaspro in esposizione a Kunst im Fluss (Arte sul fiume), 2° edizione, presso
Hersbruck (Norimberga), Germania.

Con questo tripudio di arte e storytelling si chiude un altro anno di straordinarie Copertine d’Artista;
abbiamo voluto chiudere questo strano ed ansiogeno 2021 con un’opera di Giulio Giancaspro, con il
quale avevamo cominciato lo scorso gennaio, perchè eravamo sicuri che ci avrebbe donato un lavoro
pieno di gioia, speranza e buoni propositi, ma il nostro beniamino ha fatto di più, perché l’ultimo, e
più importante, messaggio che emerge dalle figure e dai colori della copertina, sembra essere che:
“senza sapere da dove veniamo, non sappiamo dove stiamo andando”.

Forse è questo il compito più sottovalutato dell’arte, immaginare i sentieri del futuro, senza
dimenticare il cammino che abbiamo già compiuto.
La Copertina d'Artista - Simply the best 2021
Giulio Giancaspro

  Nato nel 1963 a Molfetta (Ba), dove vive e opera.

  Dal 1990, sulla scia delle prime esperienze pop, mette in gioco con ironia il suo lavoro con
  sensibili capacità nello scomporre e ristrutturare un altro know how strettamente legato alla
  comunicazione pubblicitaria.

  Si occupa di pittura, grafica e comunicazione visiva. Numerose sono le sue produzioni grafico-
  pubblicitarie, pittoriche e digitali, tra cui i Movie-Poster.

  Nel 2019, dalla fusione di due linguaggi diversi tra loro (astrattismo geometrico e pop art), giunge
  a una ricerca più intima, intrisa di sensibilità emotiva e positività, che chiama ironicamente “Arte
  in Stallo”. Dal 2020 collabora come illustratore con la rivista mensile “L’altra Molfetta”, di cui
  cura le pagine dell’arte e della satira.

  Per Smart Marketing ha illustrato la primissima Copertina d’Artista del Gennaio 2015, quella
  del 50° numero del nostro magazine nel Giugno del 2018 e quella del Gennaio 2021.

  Per informazioni e per contattare l’artista:

  giulio.giancaspro@libero.it

Ultime mostre:

2021

Un Pop di tutto, Cittadella degli Artisti, Molfetta (BA);

Kunst im Fluss (Arte sul fiume), 2° edizione, presso Hersbruck (Norimberga), Germania.

2020

“Kunstspaziergang” – Percorso artistico ambientale, Hersbruck (Norimberga), Germania.
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2019

“Arte in Stallo “– Gaart Gallery, Molfetta (BA);

“Kunst im Fluss” – Mostra all’aria aperta, Hersbruck (Germania);

“Play Movie. Cinema, gioco e ironia nei movie posters di Giulio Giancaspro” – Liceo Artistico Statale
“V. Calò”, Grottaglie (TA).

2018

“Love & other drugs” – Galleria Spaziogiovani, Bari;

“Tessere di Pace” – Sala dei Templari, Molfetta (BA).

2017

“Nei meandri della Bellezza” – Deutsches Hirtenmuseum, Hersbruck (Germania);

“Eternalove” – Clitorosso Art Gallery, Ruvo di Puglia (BA).

2016

“BeneBiennale” – Rocca dei Rettori, Benevento;

“Sottobraccio” – Museo della Città e del Territorio, Corato (BA);

“News-Cover. Notizie, immagini e visioni ai tempi dell’Infotainment” – Momart Gallery – Matera,
Chiesa Sant’Andrea degli Armeni – Taranto, Laboratorio Urbano Mediterraneo – San Giorgio Jonico
(TA).

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La Copertina d'Artista - Simply the best 2021
Simply the best 2021- L’editoriale di
Raffaello Castellano

  Che anno è stato quello che volge al termine?

  Di cosa abbiamo discusso? Di cosa abbiamo avuto paura? Di cosa ci siamo
  privati? Di cosa abbiamo scoperto di non poter fare a meno?

  Ed ancora: cosa abbiamo desiderato? Cosa abbiamo comprato? Chi (quando
  possibile) abbiamo incontrato? Cosa, o chi, abbiamo perduto?

  Ed infine: cosa abbiamo imparato? Cosa abbiamo applicato alle nostre vite
  online ed offline? Cosa ci ha fatto crescere e maturare? E, soprattutto, cosa ci
  porteremo dietro nell’anno che verrà?

Ogni fine anno la resa dei conti con queste domande, così scontate eppure così fondamentali ed
ineludibili, si fa concreta e inesorabile.

Eppure, al netto delle date e dei calendari, in teoria e anche in pratica, nulla ci vieta di porci queste
domande in qualsiasi momento dell’anno, di un mese o di una qualsiasi singola giornata da cui è
composto un anno, questo o qualsiasi altro.

Perché facciamo i conti, i bilanci e stiliamo le nostre liste di buoni propositi
sempre a fine anno?

Perchè il nostro “Simply the best” arriva sempre fra fine dicembre e inizio
gennaio?
Sinceramente non l’ho mai capito, ho cercato di recuperare le possibili risposte in ambito psicologico
e sociale, ma alla fine, dopo una sfilza di erudite e puntuali spiegazioni specialistiche, ho concluso
che la disincantata e amara verità è che a noi umani ci piace un sacco procrastinare, rimandare e
eludere le possibili risposte che sappiamo di dover dare alla serie di domande cui accennavo
nell’elenco messo in apertura a questo editoriale.
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La routine, la zona di comfort, lo status quo, chiamatelo come vi pare, anche se stretto, angusto,
asfissiante, monotono, quando non proprio tossico e dannoso, ci piace, ci conforta e ci spaventa
meno di un ipotetico e incerto futuro. Anche se, in cuor nostro, sappiamo che per cambiare, per fare
il grande passo, per migliorare la nostra condizione professionale o sentimentale, abbiamo tutti gli
strumenti, tutte le competenze, tutte le abilità necessarie; non riusciamo, ma meglio sarebbe dire
non vogliamo, cambiare.

Eppure ogni mattina, al risveglio, controllando i nostri feed su LinkedIn piuttosto che Facebook,
mettiamo un pollice su alla bella frase motivazionale condivisa da Millionaire, o abbiamo appena
finito di vedere, per l’ennesima volta, che so, il film Yes Man del 2008 diretto da Peyton Reed e
interpretato da uno straordinario Jim Carrey, oppure abbiamo letto (o riletto) l’ultimo ed
“illuminato” libro di motivazione ed auto aiuto di Anthony Robbins o di Brian Tracy.

La domanda delle domande allora è: Perchè desideriamo così fortemente cambiare e metterci in
gioco e poi stentiamo e rimandiamo il nostro appuntamento con il futuro e con noi stessi?

Ovviamente non ho una risposta a questa domanda: se l’avessi, certamente la strutturerei in un
manuale o in un webinar che cercherei di vendere e capitalizzare. Tutte le domande che ho posto in
testa a questo editoriale sono anche, e soprattutto, le mie domande, divenute ancora più pressanti
dai due anni di emergenza sanitaria che ci ha costretto, più di quanto avremmo voluto, a fare i conti
con la solitudine, l’isolamento e con noi stessi.
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È da molto più di un anno che sia come Raffaello Castellano, sia come redazione, sia come Smart
Marketing, insieme con l’amico e socio Ivan Zorico, ragioniamo su che direzione e sviluppo dare al
nostro magazine, dopo 8 anni di esperienza, 92 numeri editi e oltre 1500 articoli pubblicati con la
collaborazione di una dozzina di contributor.

Ma adesso è arrivato, io credo, il momento di far fare un salto qualitativo e quantitativo al nostro
mensile, rendendolo, da semplice organo di informazione verticale e trasversale, un progetto più
ampio, che contenga al suo interno anche ambiti specifici, per i quali siamo da tempo maturi, come
ad esempio la formazione.

Mentre scrivo questo editoriale, alcuni piccoli ma decisi passi in questa direzione sono stati fatti:
penso, ad esempio, al format di dirette online “Incontri ravvicinati”, che, cominciato in piena
pandemia, ci ha permesso di sperimentare nuovi canali e codici comunicativi e di metterci
“finalmente” la faccia. Le 32 live andate in onda con sufficiente regolarità, al di là dei numeri e delle
visualizzazioni, ci hanno permesso di dialogare con professionisti riconosciuti del web marketing, le
cui biografie personali, oltre ad assomigliarsi tutte, non differivano poi tanto da quelle mia e
dell’amico Ivan.

Ma, benché l’esperienza di “Incontri ravvicinati” sia stata e sarà fondamentale per noi e il nostro
futuro, è stato un altro l’episodio che ci ha causato una vera doccia fredda, svegliandoci dal nostro
torpore e dimostandoci che cambiare è sì spaventoso, ma anche gratificante. Come sempre le
migliori esperienze sono quelle che si fanno sulle proprie spalle, in mancanza di questo, auguratevi
che avvengano vicino a voi, ed è proprio questo quello che è successo quando a novembre abbiamo
appreso della decisione di una nostra contributor, Ilaria Caroli, riconosciuta ed autorevole esperta
di Inbound Marketing, di lasciare il suo posto fisso in una avviata software house per lanciarsi nella
libera professione della consulente freelance.

Insomma, Ilaria Caroli, una persona che conosciamo e con la quale collaboriamo, ha fatto il grande
salto, dimostrandoci che il futuro non va atteso, ma affrontato, che il cambiamento non va temuto,
ma amato, che il mondo non è nostro nemico, ma alleato. La nostra Ilaria con il suo “esempio
concreto” ha dato sostanza materiale alle parole “motivazionali” di un autore, Rainer Maria Rilke,
che io amo molto e il cui libro “Lettere ad un giovane poeta” è sempre sul mio comodino, quando
diceva:

“… noi non siamo prigionieri. Non reti e trappole sono tese intorno a noi, non v’è nulla che ci debba
angosciare o tormentare. Noi siamo posti nella vita come nell’elemento più conforme a noi, e inoltre
per adattamento millenario ci siamo tanto assimilati a questa vita, che, se ci teniamo immobili, per
un felice mimetismo appena ci si può distinguere da tutto quanto ci attornia. Non abbiamo alcuna
ragione di diffidare del nostro mondo, che non è esso contro di noi. E se ha terrori, sono nostri
terrori; se ha abissi, appartengono a noi questi abissi; se vi sono pericoli, dobbiamo tentare di
amarli. E se solo indirizziamo la nostra vita secondo quel principio, che ci consiglia di attenerci
sempre al difficile, quello che ora ci appare ancora la cosa più estranea, ci diventerà la cosa più fida
e fedele”.

                 Scopri il nuovo numero: “Simply the best”
       Possiamo decidere che il 2021, al pari del 2020, sia completamente da buttar via, oppure
     possiamo scegliere di focalizzarci su altro… sulle nuove consapevolezze raggiunte, sul nuovo
   valore che diamo al tempo ed allo stare insieme. Ossia, su quanto di buono è comunque accaduto
                                      o su cosa abbiamo imparato

Quindi, se mi chiedete cosa è stato il Simply the best di quest’ultimo anno, ciò che sicuramente mi
porterò nel nuovo, vi rispondo che sono 3 cose: un’esperienza (il format Incontri ravvicinati), una
citazione (quella di Rainer Maria Rilke) e un esempio (quello di Ilaria Caroli); sono sicuro che
saranno questi i bagagli migliori per viaggiare leggeri, spediti e consapevoli verso il futuro.

Il mio augurio è che ciascuno di voi trovi i suoi simply the best da mettere in valigia e che
soprattutto decida di partire colmo di speranza e fiducia verso quella meta agognata, sognata,
desiderata e un po’ temuta, che chiamiamo domani.

Buona fine e soprattutto Buon inizio a tutti voi.

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Matrix Resurrections, il 4° capitolo del
famoso franchise, torna in sala dopo 22
anni dal primo film, in un mondo dove gli
algoritmi e le Big Tech hanno vinto ed
imposto il Capitalismo della Sorveglianza
Matrix Resurrections, il 4° capitolo della famosa saga cinematografica, in uscita nelle sale italiane
il 1° gennaio 2022, è uno dei film più attesi della stagione, ma difficilmente, per quanto bello e
avvincente possa essere, eguaglierà il successo né il profondo impatto, sia psicologico che sociale,
della saga principale, soprattutto quelli del primo capitolo, e questo per una serie di fattori.

Quando, il 31 marzo del 1999, usciva nelle sale il primo capitolo della saga, The Matrix (qui potete
leggere la nostra recensione), il mondo in cui vivevamo era profondamente diverso.

Erano solo 200 milioni gli utenti collegati in rete (oggi sono 4,66 miliardi), il motore di ricerca di
Google era nato da poco meno di un anno (4 settembre 1998), Amazon esisteva da 4 anni (5 luglio
1994) ma vendeva prevalentemente libri, CD e DVD, Napster, il primo programma di file sharing
era nato lo stesso anno (1999), YouTube ancora non esisteva (sarebbe arrivato solo nel 2005) e la
Apple commercializzava solo computer, non esistevano né iTunes, né l’iPod (entrambi del 2001),
né l’iPhone (9 gennaio 2007), e la famigerata Bolla delle Dot-com sarebbe scoppiata un anno dopo
(10 Marzo 2000).

Insomma, il mondo cominciava sì a connettersi, ma era molto meno virtuale di oggi e molto legato ai
computer fissi ed ai pochi e costosi portatili, l’esperienza di navigazione non era ancora mobile, ed i
social network, almeno come li intendiamo oggi, ancora non esistevano: il primo social network
propriamente detto, Friendster, sarebbe arrivato solo nel marzo del 2002.

Ecco che in uno scenario del genere irrompe un film apocalittico e visionario che parla di hacker e
reti virtuali, mondi simulati e computer impazziti, uomini schiavi e guerrieri ribelli.

Un film, quello del 1999, che segnò profondamente l’immaginario di almeno due generazioni di
spettatori, fra cui anche quella di chi scrive, che lo vide in tv con un caro amico in una versione
piratata, in una lunga notte dalle ore piccole, all’inizio degli anni 2000.

Il film, come giustamente rileva il critico cinematografico Gabriele Niola sulle pagine di Wired
Italia, è una grande metafora sulla transizione dal mondo reale a quello virtuale, ma non solo, anche
in un senso più generale: pensiamo ai registi dei primi tre episodi della saga, i fratelli Larry e Andy
Wachowski, diventate le sorelle Lana e Lilly Wachowski dopo un percorso di transizione di
genere.

Il corpo, la carne, il sangue nei primi tre film sono visti come una prigione, una gabbia per la mente,
solo in Matrix Neo, Trinity e Morpheus possono dare sfogo a tutto il loro potenziale, una metafora
ingenua ed amara se la vediamo oggi, in una rete intossicata dall’hate speech, dalle fake news e
dall’estremismo.

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rrie-Anne Moss (Trinity) in una scena del film “Matrix Resurrections”.

Il film parla di nuovi poteri e dell’egemonia delle macchine sull’uomo, anche questa una metafora (o
meglio una profezia) sullo strapotere degli algoritmi e delle Big Tech nelle nostre vite. Chissà se
Larry Page e Sergey Brin, all’epoca 26enni, che con il loro motore di ricerca stavano ponendo le basi
del “capitalismo della sorveglianza”, come lo chiama l’accademica e scrittrice statunitense
Shoshana Zuboff, avessero visto o meno il film e se ne fossero fatti ispirare.

Fatto sta che Matrix Resurrections arriva in un momento davvero particolare, dopo due anni e
passa di emergenza sanitaria e pandemia da Coronavirus, che ci hanno costretto per molto tempo a
casa e reso, se possibile, ancora più dipendenti dai nostri innumerevoli device, oltre che da internet
stessa.

Insomma, oggi, a più di 20 anni di distanza, siamo utenti più smaliziati
del web, ma forse siamo anche più fragili ed esposti.
Viviamo e navighiamo su una rete piena sia di opportunità che di insidie, siamo storditi e meno
attenti, facili all’ira e poco accorti, compulsivi e poco, o per niente, pazienti.

                 Scopri il nuovo numero: “Simply the best”
       Possiamo decidere che il 2021, al pari del 2020, sia completamente da buttar via, oppure
     possiamo scegliere di focalizzarci su altro… sulle nuove consapevolezze raggiunte, sul nuovo
   valore che diamo al tempo ed allo stare insieme. Ossia, su quanto di buono è comunque accaduto
                                      o su cosa abbiamo imparato

Insomma, non saremo immersi in una capsula collegati ad un computer che ci propina una immensa
e globale simulazione in cambio di calore ed energia, ma siamo collegati, almeno 6 ore al giorno,
secondo gli ultimi dati, ad un qualche tipo di terminale che ci connette ad amici e parenti, che ci
profila e ci indicizza, ci aiuta a scegliere e semplificare le nostre vite, ci consiglia cosa comprare,
cosa leggere, cosa ascoltare, forse anche chi amare e chi odiare.

La nostra vita di oggi è, se possibile, più fantascientifica e allucinata di quella immaginata nei primi
3 episodi della saga, il tutto senza una resistenza, un Morpheus od un eletto pronti a liberarci.

Siamo prigionieri, consapevoli, a differenza di quelli dei film, di vivere in una gigantesca realtà
virtuale, ma invece di provare a ribellarci pare che abbiamo apaticamente accettato il nostro nuovo
ruolo di materia prima per il capitalismo della sorveglianza; sì, materia prima, avete letto bene,
non prodotti o clienti come qualcuno dice, ma materia prima da cui estrarre il surplus
comportamentale che diviene poi analisi predittiva dei comportamenti futuri, quest’ultimo sì il
vero oro di internet, la sua vera energia, quello che fa girare tutta la baracca, dandoci l’illusione
della gratuità.

Alla fine siamo ancora delle pile, delle batterie per alimentare la nostra
realtà, la nostra matrix.

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Il meglio del cinema italiano nel 2021
Il 2021 volge al termine. Un anno che ha saputo risollevarsi grazie alla campagna vaccinale, che ha
permesso, tra le tante cose, di tornare a respirare il “profumo” della cultura, compreso il ritorno
nelle sale cinematografiche. Certo, con le dovute cautele, con l’uso delle mascherine e con l’ausilio
del famigerato green-pass. E così, nonostante le varie piattaforme di streaming online abbiano
continuato a programmare film di nuova uscita, la vecchia distribuzione nelle sale cinematografiche
ha ripreso vigore, anche perché sappiamo tutti, che nonostante l’incessante progresso tecnologico,
la sala cinematografica, così come pensata dai fratelli Lumiérè, nel lontano 1895, non morirà mai.

Quest’anno si registra un incremento numerico, riguardo le pellicole italiane uscite in sala, che
lascia ben sperare riguardo la vitalità ritrovata della nostra industria cinematografica. Rispetto alla
scorsa annata, abbiamo un incremento di 20 film: 260 contro le 240 del 2020.

Come ogni fine anno, facciamo una carrellata dei migliori film italiani dell’annata, tenendo conto di
vari fattori, come la popolarità degli attori impiegati, l’effettivo valore delle pellicole e infine del
successo popolare, estendibile anche in campo internazionale.

Ad esempio, record assoluto per il nostro cinema, è stato quello che si è verificato nella recente
edizione del Festival del Cinema di Venezia. Ben 5 pellicole italiane in gara, con film d’autore di
estremo valore. Ovviamente il posto d’onore spetta al film di Paolo Sorrentino, E’ stata la mano
di Dio, vincitore del Leone d’Argento e film italiano candidato ai prossimo Premi Oscar, del marzo
2022. E’ con ogni probabilità il suo capolavoro, certamente il suo film più doloroso e intimista. Il
regista fa della sua storia privata una storia pubblica trascinante, gioiosa, sofferente, generazionale,
commovente. C’è dentro di tutto: la vita, il cinema, Napoli, Maradona, Fellini, interpretazioni
magistrali, una regia avvolgente e…una concreta possibilità di rivincere il Premio Oscar come
miglior film straniero.

Altro film applauditissimo a Venezia è stato Freaks out, di Gabriele Mainetti, un kolossal di
fantascienza, talmente inusuale, se inserito nel contesto sociologico della storia del cinema italiano,
da risultare efficace, originale, complicatissimo e coraggiosissimo. Tanti anche i riferimenti “alti”: il
cinema di Quentin Tarantino, l’amore per i freak (da Diane Arbus a Tim Burton), il mondo Marvel,
Steven Spielberg, Il mago di Oz. Ma anche maestri nostrani come Sergio Leone, Roberto Rossellini e
Vittorio De Sica.

E poi questo è stato l’anno dei riferimenti al grande teatro napoletano, con due film legati dal filo
parentale, che legava il grande commediografo dell’800 e inizi ‘900, Eduardo Scarpetta ai suoi figli
illegittimi, Eduardo, Peppino e Titina De Filippo, destinati, con il loro teatro umoristico, a
rivoluzionare per sempre la storia dello spettacolo partenopeo e più in generale italiano. Ma
andiamo con ordine. Sempre a Venezia è stato presentato il film di Mario Martone, dal titolo Quì
rido io, splendida biografia accorata sul grande Eduardo Scarpetta, sul suo teatro e sui suoi
complicati intrecci familiari. Ad impersonare questa figura così complessa, un grandioso Toni
Servillo. Il regista dimostra di aver studiato alla perfezione il personaggio, tanto che il contesto
storico e sociologico è perfetto e aderisce perfettamente a quella che è stata la storia personale del
grande commediografo napoletano. Non ci sono solo i drammi interni al nucleo (come il non
riconoscimento dei figli Titina, Eduardo e Peppino De Filippo: vedi più avanti), ma anche e
soprattutto il passaggio dalla commedia con la maschera di Felice Sciosciammocca all’azzardata
parodia della tragedia di Gabriele D’Annunzio La figlia di Iorio.

Continuando la nostra carrellata, appare molto legato a questo film, anche lo splendido ritratto di
Sergio Rubini, dedicato ad Eduardo, Peppino e Titina, dal titolo semplicemente I fratelli De
Filippo, un delizioso e superbo omaggio, dichiarato ed esplicito, ai tre fratelli figli naturali, ma
illegittimi del grande Eduardo Scarpetta, che ereditano però dal padre il grande talento e il grande
amore per il teatro e la recitazione. E’ una storia piena di nostalgico affetto per tre fratelli che hanno
fatto la storia del nostro teatro e del nostro cinema. Dal nulla, perché il padre alla sua morte
avvenuta nel 1925, non ha lasciato ai tre neanche le briciole, riescono a costruirsi il loro sogno,
ovvero fondare un trio con un repertorio tutto loro. E quella sera di Natale del 1931 al Teatro
Kursaal di Napoli inizia la magia dei “Fratelli De Filippo”. Accompagnato dalle musiche pazzesche di
Nicola Piovani, il film ripercorre le fasi più importanti della loro infanzia e adolescenza e segue il
binario parallelo del palcoscenico che s’incrocia con la vita privata.

Va segnalato anche il film di Edoardo Falcone, ovvero Io sono Babbo Natale. Una divertente
commedia natalizia per tutta la famiglia, ricca di straordinari effetti speciali, sull’amicizia, il valore
degli affetti e la generosità. Si rende indispensabile e consigliabile la visione, perché è l’ultimo film
di una vera leggenda come Gigi Proietti. La pellicola è infatti, uscita postuma e simbolicamente
produttore e distributori hanno deciso di far uscire il film in sala, esattamente il giorno dopo del
primo anniversario di morte di Gigi Proietti, ovvero lo scorso 3 novembre.
Ora scorriamo l’elenco un po’ più velocemente, nominando altri titoli meritevoli
di menzione.
Uno di questi può essere senza dubbio Il bambino nascosto, parabola laica raccontata con grande
eleganza formale e sincerità espressiva, in una storia ambientata nel difficile quartiere napoletano di
Forcella, dove un bambino decide di nascondersi in casa di un professore, impersonato dal sempre
perfetto Silvio Orlando.

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                                      o su cosa abbiamo imparato

O ancora possiamo nominare gli altri due titoli reduci da Venezia 2021, come America Latina,
thriller dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo con Elio Germano; o Il buco di Michelangelo
Frammartino che narra una straordinaria impresa italiana di speolologia.

Nell’annata ci sono stati anche graditissimi ritorni, come quello del maestro Marco Bellocchio, che
ci regala Marx può aspettare, un film bello, ricco, complesso e intimo: un documentario che solo
documentario non è, semmai un bilancio professionale ed esistenziale, un tuffo psicanalitico in
ottant’anni (incredibile ma vero) pubblici e privati. Un capolavoro che resterà, unico e solo, in un
cassetto importante della storia del nostro cinema.

Citiamo poi, Ariaferma, film che ha un’accoppiata curiosa, “alta” e napoletana, come quella tra
Toni Servillo e Silvio Orlando, due dei massimi interpreti cinematografici partenopei, dei tempi
moderni. Toni Servillo e Silvio Orlando per la prima volta protagonisti insieme, è una notizia, che
basta già da sola a rendere “unico” il film di riferimento. Poi se ci si aggiunge una solida
sceneggiatura, un professionista come Leonardo Di Costanzo dietro la macchina da presa e una
storia drammatica raffinatissima, sulla compassione e sull’umanità nel luogo che più di tutti si sforza
di vuotare di significato queste parole, ovvero il carcere; allora ci troviamo di fronte ad un film
coraggioso, audace e fuori dagli schemi.

Infine, di recentissima uscita, non possiamo non nominare Diabolik, dei Manetti Bros; e
Supereroi, di Paolo Genovese. Il primo film è una consigliatissima contaminazione fumettistica-
cinematografica delle avventure del personaggio creato da Angela e Luciana Giussani, realizzata dai
fratelli Marco e Antonio Manetti, con la consueta competenza. Un Diabolik personalissimo, che
possiede tutte le sfumature del fumetto, senza essere nè edulcorato, nè trasformato in un Robin
Hood buonista, arricchito da un cast di altissimo livello. Il secondo film, invece, è una commedia
familiare dai toni vagamente surreali, con la quale il regista Paolo Genovese, scherza amabilmente
su quanti superpoteri debbano avere le coppie di oggi per resistere al tempo che passa e amarsi
tutta la vita. La coppia è quella composta da Jasmine Trinca e Alessandro Borghi, che ci faranno
ridere e riflettere nello stesso tempo.
Insomma, abbiamo nominato una dozzina di film, quelli probabilmente più significativi dell’annata.
Ma ce ne sono tanti altri che compongono il livello “medio” del cinema italiano, quello
numericamente più corposo, che ambisce al grande salto nel cinema “impegnato”. La dimostrazione
lampante della vitalità ritrovata del nostro cinema, al quale manca soltanto una nuova creativa
generazione di sceneggiatori e soggettisti, in grado di prendere in mano il cinema italiano ed
inventare storie di grande contenuto, sociale, culturale e sociologico.

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Dalle classifiche ai Google Trends: il 2021
della musica italiana

Che anno è stato il 2021 per la musica italiana?
Sicuramente un anno positivo, se si guarda alla vittoria dell’Eurovision Song Contest 2021 dei
Måneskin, un anno nero se si pensa ai grandissimi autori ed interpreti che ci hanno lasciato, come
Battiato, Milva e Raffaella Carrà, ma anche un anno di ripresa di concerti ed eventi, seppur con
qualche restrizione, dopo lo stop forzato dato dalle norme di contrasto al Covid-19.

Insomma, un anno che ci ha visti un po’ sulle montagne russe, tra momenti di gioia e spensieratezza
e momenti più cupi.
Come ogni anno, ci pensano colossi come Google, Spotify ed Apple Music a fare l’istantanea delle
tendenze, dei brani più ascoltati e degli interpreti più amati, e, come ogni anno, i colpi di scena non
mancano, tra grandi interpreti della classica canzone all’italiana, leader indiscussi di click e
visualizzazioni, e new entry che non ci saremmo aspettati.

Ad esempio, tra le parole più cercate su Google Trends spicca il nome della grandissima ed amata
Raffaella Carrà, icona della musica e della televisione italiana, che ci ha lasciati nel luglio 2021, in
testa alla tragica classifica degli “Addii”, seguita dal giovanissimo cantautore Michele Merlo, dal
maestro Franco Battiato e da Milva.

Una classifica un po’ cupa, quella degli “Addii”, che registra l’attenzione mediatica su alcuni
personaggi solo nel momento in cui si annuncia la notizia del loro trapasso, mentre ci sarebbe
piaciuto che i “click” degli utenti della rete gli avessero reso il giusto tributo in vita solo ed
unicamente per il loro talento e per le loro doti artistiche.

Tra i personaggi dell’anno che hanno reso grande la musica italiana, non ci meraviglia trovare i
Måneskin, gruppo rock vincitore della 71ª edizione del Festival di Sanremo e della 65ª
edizione dell’Eurovision Song Contest, che figurano anche al settimo posto tra le canzoni più
ascoltate su Spotify nel 2021 ed al sesto posto per la classifica di Apple Music.

Risultato non da poco, se si pensa che l’Italia non portava a casa una vittoria all’Eurovision dal 1990,
quando a trionfare fu il brano “Insieme: 1992” di Toto Cutugno, alla luce anche del fatto che i
Måneskin sono tra le pochissime band italiane presenti nelle classifiche mondiali.

Mentre i Måneskin conquistavano il mercato mondiale, in Italia la canzone più riprodotta ed
ascoltata è stata “Malibù” di Sangiovanni, brano semplice, orecchiabile ed accattivante che è
riuscito a conquistare davvero tutti, dai giovanissimi agli adulti, regalandoci quella dose di
spensieratezza che ci serviva in quest’anno davvero complicato.

Se, da un lato, Sfera Ebbasta si conferma l’artista più ascoltato in streaming in Italia, la classifica di
Apple Music vede esordire al secondo posto BLANCO, al secolo Riccardo Fabbriconi, che proprio
con Sfera Ebbasta ha confezionato il brano “Mi fai impazzire”, al secondo posto nella top ten dei
brani più ascoltati; suo anche il terzo posto con il singolo “Notti in bianco” ed il quinto, insieme a
Salmo e Mace, con il brano “La canzone nostra”, mentre al quarto posto troviamo Fedez, Achille
Lauro ed Orietta Berti con il tormentone estivo “Mille”.

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Orietta Berti, poi, risulta al nono posto tra i personaggi più cercati su Google nell’ultimo anno,
risultato dato sicuramente dalla collaborazione con Fedez e Achille Lauro, che hanno sdoganato
“L’usignolo di Cavriago” tra il pubblico più giovane, che evidentemente non la conosceva o
relegava la sua musica tra i generi ormai demodé.

Per noi, invece, Orietta resta la regina indiscussa dell’anno appena passato, non solo per via della
sua voce unica ed inconfondibile, ma soprattutto per la voglia di rimettersi in gioco e sperimentare
altri generi (che sicuramente anagraficamente non le appartengono), senza mai snaturarsi per
correre dietro alla moda del momento, ma portando sempre quel tocco di classe che forse non si usa
più: la grande firma di un’artista che da oltre cinquant’anni ci allieta con la sua spontaneità.

La classifica non cambia molto se guardiamo Spotify Wrapped, dove, insieme a questi big di
visualizzazioni, ad affermarsi in tutte le classifiche (o quasi) c’è anche Rkomi.

Mentre sul web la guerra all’ultima visualizzazione suonava al tempo di rap e trap, in radio hanno
continuato a girare brani più classici di stampo sanremese, come “Ma stasera” di Marco Mengoni
e “Musica leggerissima” di Colapesce e Dimartino, in testa alle classifiche EarOne.

Radio e Streaming, due mondi differenti che raccontano il variegato sistema della musica italiana e
che solo in parte coincidono nell’esprimere gusti e tendenze, forse per il target differente che fruisce
dell’uno o dell’altro media, forse per il modo in cui viene proposta la musica da ascoltare: mentre in
radio la selezione viene adeguata al pubblico di riferimento, sul web è il pubblico stesso che decide
arbitrariamente cosa ascoltare, decretando il successo o l’insuccesso di un brano senza mediazione o
filtri e, se da un lato questo processo ci sembra estremamente democratico, dall’altro rende il
mercato discografico molto instabile, senza contare che senza alcuna mediazione ad emergere
potrebbero essere non i brani qualitativamente migliori, ma quelli che in qualche modo riescono a
diventare più popolari.

Intanto, indipendentemente dalla classifica che si prende a riferimento, sono ancora pochissime le
donne che riescono ad emergere nel panorama musicale italiano, e, questo 2021, ci lascia
un’istantanea di personaggi quasi tutti maschili, dove sembra avere poco spazio la visione femminile.

Con quest’ultima riflessione, ci auguriamo, e vi auguriamo, un 2022 in cui le donne riescano a
portare al grande pubblico italiano, e non solo ad una nicchia ristretta di estimatori, la loro musica, il
carisma e la sensibilità che da sempre le contraddistingue in tutti i campi, compreso quello musicale.

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5 imperdibili produzioni che hanno
caratterizzato il 2021
Di questo 2021 forse vogliamo portarci dietro poche cose, le numerose vittorie sportive dell’Italia, i
Maneskin che vincono l’Eurovision e io direi anche qualche film e serie tv.

Ho fatto una selezione di 5 tra serie, programmi e film, italiani e stranieri, per fare un ripasso dei
fenomeni 2021 e per attendere con ansia quelli del 2022.

1) E’ STATA LA MANO DI DIO (Paolo Sorrentino)

L’ultima fatica del pluripremiato regista Paolo Sorrentino omaggia la sua città natale Napoli con il
suo stile inimitabile. Attraverso scene dalle atmosfere felliniane, ricordi di infanzia anni ’80 e attori
meravigliosi come Teresa Saponangelo e Toni Servillo nei panni dei genitori del regista, il film
autobiografico racconta la storia di Fabietto, adolescente che sogna l’arrivo di Maradona nel Napoli
ed è affascinato dal grande cinema. Vincitore del Leone d’Argento alla 78ª Mostra del Cinema di
Venezia, visibile su Netflix, “È stata la mano di Dio” riprende in parte la vita del regista napoletano,
compreso un episodio molto doloroso della sua adolescenza e lascia nello spettatore una poetica
malinconia. Dopo “La Grande Bellezza”, uno splendido omaggio alla città di Roma, Sorrentino
celebra Napoli con tutti i suoi affascinanti misteri e i luoghi unici.

2) SQUID GAME (Hwang Dong-hyuk)
Serie tv sudcoreana di Netflix, scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk, originale e cruda, che in
pochissime ore è diventata un fenomeno mondiale e che ha scatenato non poche polemiche. Abbiamo
assistito a bambini ed adolescenti travolti da questa serie, per niente adatta ai minori, ma che si fa
portatrice di messaggi che probabilmente fanno rabbrividire solo gli adulti. È la storia di un gioco
con in palio un montepremi astronomico, con diverse prove ispirate ai giochi d’infanzia coreani, da
cui viene il titolo “Squid game”, gioco del calamaro, uno tra i più famosi giochi coreani per bambini.
Per questo gioco al massacro vengono ingaggiati persone con grandi problemi economici e pesanti
debiti. Un prodotto imperdibile, ora uscito anche in lingua italiana, che va sicuramente visto, in
attesa della seconda stagione ufficiosamente confermata e della terza di cui già si parla.

3) “LOL – Chi ride è fuori” (Alessio Pollacci)
Il game show targato Amazon che ha caratterizzato questo 2021. Un format in cui dieci famosi
comici italiani si sono sfidati per sei ore consecutive, cercando di non ridere e tentando di far ridere
gli avversari. Il risultato è stato una serie di gag e momenti esilaranti, sul filo dell’improvvisazione,
che hanno dato vita a video e meme virali sui social. Un fenomeno da migliaia di visualizzazioni e
condivisioni, con a capo uno su tutti, il grandioso Lillo del duo comico Lillo & Greg, con la sua ormai
famosissima battuta “So Lillo!”.

4) STRAPPARE LUNGO I BORDI (Michele Rech)

Sicuramente la serie italiana dell’anno, “Strappare lungo i bordi”, scritta e diretta dal fumettista
Zerocalcare (Michele Rech) per Netflix, ci ha fatto riflettere facendoci anche tanto ridere. Sei
episodi in cui il protagonista affronta i temi più cari alla sua generazione, quella dei millennial, con
ironia ed intelligenza, sensibilità e realismo. La ricerca di una certa stabilità, emotiva e
professionale, è il filo conduttore del viaggio che Zero fa con Sarah e Secco, suoi due migliori amici,
sempre accompagnato dall’immancabile Armadillo, personaggio meraviglioso che vive con lui e che
rappresenta il suo lato più razionale e cinico, con la voce del grande attore romano Valerio
Mastandrea.

5) HOUSE OF GUCCI (Ridley Scott)
Uscito al cinema a dicembre, narra la storia della famiglia Gucci, in particolare la vicenza
dell’omicidio di Maurizio Gucci. Ha diviso la critica quest’ultima opera di Ridley Scott, nonostante il
cast stellare composto da Adam Driver, nei panni dell’ex direttore dell’azienda Gucci, Jared Leto che
interpreta Paolo Gucci, Al Pacino, Jeremy Irons e soprattutto la fantastica Lady Gaga. La cantante
americana dalle origini italiane, ha dato vita al controverso personaggio di Patrizia Reggiani,
chiamata la Vedova nera, l’ex moglie di Gucci, accusata di aver organizzato l’omicidio
dell’imprenditore.

Quello che ci aspetta nel 2022
Tanti i film e le serie attese nel nuovo anno, di qualcosa si ha già una data indicativa, di qualcos’altro
ancora no, come ad esempio la quarta stagione dell’amata serie “Stranger Things”, di cui si hanno
ancora poche notizie.

La primavera dell’anno nuovo ci regalerà la seconda stagione del sopra citato programma di Amazon
“LOL” e due importanti film stranieri come “The Batman” e “Top Gun – Maverick”. A settembre
finalmente arriverà il momento della serie tv “Il Signore degli Anelli”, che inevitabilmente sarà
paragonata alla mitica trilogia cinematografica, iniziata nel 2001, tratta dall’omonima saga letteraria
di Tolkien.

Non ci resta che augurarci un luminoso 2022, all’insegna delle belle emozioni, sullo schermo e nella
vita.

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Addio a Lina Wertmüller: modello di
emancipazione femminile
La figura di Lina Wertmüller si lega indissolubilmente agli anni ’70, che la elevano come prima
donna della storia a conquistare una nomination agli Oscar, come migliore regista, poi assegnatole
alla carriera nel vicino 2020. Da qui ha inizio il mito di Lina Wertmüller, che diventa un modello di
emancipazione femminile, tra i più incisivi del mondo. Perché dimostra che le donne possono ambire
anche ai ruoli apicali, in barba alla società maschilista, imperante nel ‘900.

Dicevamo, che il suo stile del tutto “personale”, si afferma nei laboriosi e non facili anni ’70, quando
la regista stringe un sodalizio artistico molto rilevante con Giancarlo Giannini, giovane attore di
grande prestanza fisica e presenza scenica impeccabile, erede dichiarato di Marcello Mastroianni.
Quando i due decidono di proseguire la loro carriera artistica insieme, Giannini aveva già
interpretato per Scola e al fianco di Mastroianni Dramma della gelosia, tutti i particolari in cronaca;
mentre la Wertmüller veniva da alcuni film-esperimenti con Manfredi (Questa volta parliamo di
uomini) e dal notevolissimo ma fiacco esordio de I basilischi. Con l’unione delle loro valenze
artistiche entrambi arrivano al grosso successo internazionale: dal 1972 al 1975 escono in sala
quattro film del tandem Wertmüller-Giannini, a cui si aggiunge Mariangela Melato, la quale manca
solo in quello del ’75. Mimì metallurgico ferito nell’onore(1972), Film d’amore e d’anarchia(1973),
Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto(1974) e Pasqualino Settebellezze (1975),
fanno conquistare fama e notorietà al terzetto. La Wertmuller ha modo finalmente di esprimere il
suo stile personale e particolarissimo fatto di toni grotteschi, stravaganti, racconti macchinosi e
abbondanti.
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ina Wertmüller e Mariangela Melato.

Per quanto riguarda la coppia Melato-Giannini, anche per loro questo sodalizio vuol dire, al di là del
successo, consapevolezza dei propri mezzi. I due diventano una coppia-feticcio: lui è l’uomo tutto
d’un pezzo che incarna il cliché del meridionale machista; lei, con dei tratti molto particolari che
calamitano lo sguardo degli spettatori, è la ragazza che non può resistere al suo fascino. Sono anche
la rappresentazione di un altro tema ricorrente nella filmografia della regista, quello del conflitto di
classe, esasperato e reso grottesco. Molto significativi sono i film del periodo per la regista dai “titoli
chilometrici”, perché le hanno dato modo di impossessarsi con disinvoltura di situazioni e gag
collaudate ormai da tre lustri di cinema satirico all’italiana; ma lei le ha arricchite con un’aggressiva
profusione di sguaiataggini e indecenze, perché il suo in larga parte è stato un successo di scandalo.
La Wertmuller arrivò al grosso successo non servendosi mai, di nessuno dei tradizionali specialisti
del genere brillante, andando invece coraggiosamente a cercare nuovi talenti da valorizzare: nel
caso di Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, arrivando a creare due star. Il cinema della
Wertmüller è caratterizzato da una attenzione quasi maniacale per i particolari e da un barocchismo
che si traduce in titoli densi di ironia e di lunghezza proverbiale, rimasti nell’immaginario comune.
La stessa regista, scherzava su questa curiosa scelta: “Il sogno di tutti i distributori è di avere dei
film con una sola parola perché la possano scrivere più grande; ad un certo punto mi è venuta –
grazie a quel tanto di “scugnizzo” che c’è in me – la voglia di scherzare col pubblico e di proporgli
dei titoli talmente lunghi che nessuno se li potesse ricordare”.

Analizziamo velocemente i quattro film del sodalizio artistico. Se i primi due si inseriscono in filoni e
situazioni già collaudate, quello della satira dei costumi sessuali e dei tabù linguistico-sessuali
nazionali; gli ultimi due rappresentano quella maturazione artistica, che infatti porterà la coppia ad
Hollywood. Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto è ritenuto il più fortunato, ma
anche il migliore dei film della Wertmuller, dove prende in giro la classe dei nuovi ricchi, ignoranti e
presuntuosi. E lo fa servendosi, ancora una volta di Mariangela Melato e Giancarlo Giannini, ricca e
antipatica la prima, rude marinaio comunista il secondo, che si ritrovano su un’isola deserta quando
il gommone guidato dal marinaio va alla deriva. Quì l’uomo si prende la sua rivincita e seduce con
successo la donna, ma l’arrivo dei salvatori, dopo parecchi giorni, riporta la situazione alla
normalità. Il grande successo internazionale di Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare
d’agosto, proietta il successivo film Pasqualino Settebellezze alle massime vette hollywoodiane. Il
film ottiene quattro nomination agli Oscar nel 1977, tra cui quello alla Miglior regia (la prima volta
in assoluto per una donna) e al miglior attore protagonista per Giancarlo Giannini. Il film è
ambientato negli anni ’30 e racconta la storia di un ragazzo napoletano, bello, compiaciuto, con tutta
la vita davanti, che commette un omicidio per salvare l’onore della sorella (all’epoca non era
considerato un reato): per la dinamica con cui viene compiuto, non viene considerato un delitto
d’onore quindi Pasqualino viene arrestato e portato in un manicomio criminale. Costretto ad
arruolarsi nella spedizione in Russia, riesce a disertare ma viene poi rinchiuso in un campo di
concentramento. Tornerà a casa profondamente cambiato e disilluso. La pellicola è un’opera
violenta, nichilista e inquietante che “giustifica il male insinuando la comoda convinzione che nulla
avrebbe cambiato le cose”(sia nel campo di concentramento che nella Napoli corrotta e disperata
della Liberazione) e cancella ogni riferimento morale per esaltare solo le primordiali esigenze del
corpo, ovvero fame e sesso.

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Il sodalizio artistico tra Giannini, la Melato e la Wertmüller, rappresenta una delle vette
collaborative più interessanti e qualitativamente di livello del nostro cinema. I film del sodalizio
artistico arricchiscono la storia del cinema italiano e mondiale di capolavori satirici di spessore,
segnandone un’epoca e, nel caso particolare della Wertmuller aprendo la strada ad altre registe
donne, prima di allora ruolo quasi tabù per il gentil sesso. E siccome siamo qui per rendere omaggio
ad una grande regista che ha fatto la storia del cinema italiano, scomparsa in questo uggioso
dicembre del 2021, vogliamo nominare almeno altri tre film, realizzati tra gli anni ’80 e gli anni ’90,
decenni nei quali forse, la sua azione diventa meno incisiva, meno graffiante, con poche eccezioni,
che andiamo ora ad analizzare.
Dopo il 1978 de Fatto di sangue tra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi
politici, con Sophia Loren, Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini, la regista ci mette ben cinque
anni per trovare un progetto valido e tornare dietro la macchina da presa. Lo fa con una graffiante e
sottovalutata allegoria politica, talmente scomoda, che per girarla, la Wertmüller dovette aspettare
due anni. La sceneggiatura era infatti già pronta dal 1981 e si sa, quando si parla di politica in Italia,
bisogna avere mille occhi. Finalmente il film ottiene le obbligatorie autorizzazioni e potè realizzarsi.
Parliamo di Scherzo del destino dietro l’angolo in agguato come un brigante da strada, con un cast
di primissimo ordine, in parte riciclato dal secondo capitolo di Amici miei: ci sono infatti Ugo
Tognazzi, Gastone Moschin, Renzo Montagnani, Piera Degli Esposti ed una giovanissima Valeria
Golino.
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Il trio di Amici miei, funziona alla grande, con Montagnani (il migliore del gruppo), che interpreta
uno spiritosissimo funzionario della Digos imbrigliato in una storia decisamente ingarbugliata, con il
ministro Moschin intrappolato dentro un’auto ministeriale inceppata, ferma davanti la casa del suo
più ostracizzato politico, l’onorevole Tognazzi. Da quì la trama si dipana mettendo in scena situazioni
bizzarre e divertenti, che prende in giro la politica, non risparmiando colpi bassi all’uno o all’altro
schieramento politico.

Quasi nove anni dopo Lina Wertmüller torna ad esprimersi ai livelli delle origini. Sublime appare
infatti Io speriamo che me la cavo (1992), affresco sul disagio economico del Sud, tratto
dall’omonimo bestseller di Marcello D’Orta che raccoglie temi scolastici di una terza elementare di
Arzano (Napoli). La figura del maestro, assente nel libro, diviene, sullo schermo, il filtro attraverso il
quale i piccoli esprimono la loro visione del mondo, e la realtà di degrado in cui vivono. Il Maestro è
ovviamente Paolo Villaggio, che dona al professore tratti di incredibile e straziante comicità amara,
sguardi, gestualità e tonalità di voce estremamente diversi dai film a cui eravamo abituati. E’ la
rivincita dell’Attore sulla Maschera, ed è la storia di un film struggente e di un sodalizio artistico tra
Villaggio e la Wertmüller, rimasto nella memoria collettiva, tanto che la pellicola è il secondo incasso
della stagione dietro Puerto Escondido, di Gabriele Salvatores.

Merita un accenno, infine, l’ultimo film importante della regista, dal solito titolo chilometrico, ovvero
Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica (1996), che ripropone, in chiave
moderna, le sue famose coppie mal assortite. Qui a creare situazioni comiche e cortocircuiti sociali
sono Tullio Solenghi e Veronica Pivetti, con un efficace Gene Gnocchi sullo sfondo.

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ricevuto la stella della Walk of fame di Hollywood.

23 film da regista, 10 da sceneggiatrice e in aggiunta numerosi lavori televisivi, tra cui Il giornalino
di Gian Burrasca: diamo giusto qualche numero per affermare, se mai ce ne fosse bisogno, la valenza
che Lina ha avuto nello spettacolo italiano del ‘900. Possiamo anche continuare aggiungendo 3
nominations agli Oscar, un Oscar alla carriera, un David di Donatello alla carriera, un Globo d’oro
alla carriera e due Premi di primo livello all’importante Festival di Locarno.

Non c’è bisogno di aggiungere null’altro, se non che la Wertmüller rimarrà in eterno come simbolo
della forza e della tenacia delle donne, in grado di emergere e di primeggiare, in un mondo ahimè e
ahinoi, ancora troppo maschilista.

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“E noi come stronzi rimanemmo a
guardare”, il nuovo film di Pif su un futuro
distopico non troppo diverso dal nostro
presente
L’ultima fatica di Pierfrancesco Diliberto è una commedia che prospetta davanti a noi quel che già
stiamo vivendo. Un film sentimentale, che fa sorridere e tanto riflettere, con tanto di intelligenti
citazioni sparse e un messaggio sociopolitico molto forte.

Presentato come Evento Speciale alla Festa del Cinema di Roma, diretto e scritto a quattro mani da
Pif insieme a Michele Astori, per Sky Original, è liberamente ispirato al libro di Guido Maria Brera
“Candido”.

Attori protagonisti, oltre a Pif, sono i bravissimi Fabio De Luigi e Ilenia Pastorelli, con una piccola
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