Come riconquistarlo con il Digital Recruiting - Smart Marketing

Pagina creata da Pietro Granata
 
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Come riconquistarlo con il Digital Recruiting - Smart Marketing
Il lavoro ai tempi del Covid: cosa è
successo a chi lo aveva appena trovato e
come riconquistarlo con il Digital
Recruiting

Una storie come tante
Roberta si sente fortunata. Solo una settimana dopo la fine del suo ultimo stage è stata contattata
per un’application che aveva fatto due mesi prima!

Vive a Napoli ma la job position è a Roma. Non ci pensa due volte, compra il biglietto e va a fare il
colloquio di persona anche se le era stato proposto di farlo online. Lo fa perché vuole vedere
l’azienda che potrebbe assumerla, vuole stringere la mano di chi l’ha contattata, scoprire che
aspetto ha e forse vorrebbe addirittura abbracciarla, ma ovviamente tiene per sé quel senso di
gratitudine.
Compra un vestito che rispetti il dress code e tre giorni dopo è sul treno che la porterà a
destinazione.

Quando arriva le danno un cartellino, c’è scritto “ospite”, ma lei si sente già a suo agio.
Il colloquio è una chiacchierata formale, ma piacevole. Stranamente non le si colora il petto di
macchie rosse come succedeva sempre durante gli esami. Ormai è cresciuta, sa gestire meglio le
emozioni.
Quello che non sa fare è interpretare le parole del suo recruiter.
Avrà fatto una buona impressione? La richiameranno? Non ne ha idea, ma ha così paura di perdere
un’opportunità che ora vale più di ogni altra cosa, che istintivamente pensa al peggio.
Come chi si prepara alla difesa ancora prima di commettere il reato, inizia a pensare dove ha
sbagliato e cosa avrebbe potuto dire che non ha detto.
In ogni caso non si perde d’animo e sul treno del ritorno già dà un’occhiata alle prossime
candidature!

Chiude un attimo gli occhi per riposarsi, squilla il telefono. È l’HR che le ha fatto il colloquio, dice
che è molto colpita dalle sue motivazioni e dalle sue skills, poi aggiunge: “è ancora interessata alla
posizione?”.
Roberta non ricorda l’ultima volta che è stata così felice.
È il 24 febbraio 2020 quando inizia lo stage a cui sarebbe seguito, con buone probabilità, il contratto
di apprendistato. È il 19 Aprile, due mesi dopo, quando tutto s’interrompe.
Non ci sono abbastanza progetti da assegnarle e, nonostante la valutazione sia positiva, Roberta
perde la migliore occasione che le sia capitata da quando, un anno prima, si è laureata.

Gli effetti del Covid sul recruiting
Del resto, chi non ha perso niente durante il Coronavirus!
La storia di Roberta è solo una delle tante, neanche la peggiore se comparata a quella di molte altre.
Il bello, perché un aspetto positivo c’è sempre, è che questa pandemia, da una parte ha tolto e
dall’altra ha dato opportunità.
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La digitalizzazione è l’esempio più emblematico. Da mesi non si parla d’altro che di smart working
e di piattaforme digitali per riunirsi a distanza e automatizzare i processi.
Che cosa significa questo per chi cerca lavoro? La possibilità di trovarlo in maniera alternativa, più
smart e forse anche più meritocratica.

Cerca, cerca e non si trova…
Quando un interessato si candida a un’offerta di lavoro, si sa, deve saltare molti ostacoli.
A volte deve essere più bravo del cavallo da corsa su cui tutti scommettono, perché è davvero dura
superarli tutti.
Il primo sono i suoi rivali. Deve riuscire a candidarsi almeno tra i primi cento, ma in molti casi ci si
ferma anche prima. E non ci vogliono giorni perché il numero di application arrivi a due o tre cifre,
bastano poche ore.
Il secondo ostacolo sono i software di selezione (ATS). Se nel curriculum non c’è un numero
sufficiente di parole in linea con posizione per cui ci si candida, questi arguti quanto limitati tools lo
eliminano in pochi secondi.

Quando i primi due sono superati, ecco che arriva il terzo: il colloquio.

Qui, quando ci si è preparati a tutte le possibili domande e ci si è vestiti nel modo adeguato (in certi
casi è sbagliato anche vestirsi troppo eleganti, quindi attenzione a cosa diamo per scontato), bisogna
piacere a un perfetto sconosciuto.
Possiamo essere bravi, motivati e avere tutte le competenze richieste, ma riusciremo a comunicarle
nel modo giusto? Sapremo parlare senza far trapelare la nostra ansia? Saremo all’altezza delle
aspettative di quella persona (o al massimo due) che ci esamineranno?

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   La pandemia è stato un fortissimo shock che ha interessato tutti gli aspetti della nostra vita e il
  mondo del lavoro è certamente tra questi. Dal telelavoro allo smart working, passando per il south
              working, vedremo come sta velocemente cambiando il concetto di lavoro.

Benvenuto Digital Recruiting
È chiaro che il processo di recruiting è come un terno al lotto, una partita in cui bisogna essere
tanto bravi quanto fortunati.
Come il Coronavirus lo sta cambiando? Trasformandolo in digital.
Le piattaforme di Digital Recruting esistono da anni, ma è solo negli ultimi tempi che in Italia gli
HR ne fanno un uso più consistente.
Sono innovativi, rapidi nella selezione e meritocratici!

Le piattaforme del recruiting 2.0

Ad esempio Just Knock, ha introdotto il concetto di talento al posto del background
professionale. Con questa piattaforma ci si propone all’azienda, non inviando il curriculum, ma
un’idea o un progetto online, attraverso un interessante iter di preparazione e candidatura.
Insomma, è un ottimo strumento per valutare profili creativi.
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Meritocracy invece offre la possibilità ai candidati di incontrare virtualmente le aziende, attraverso
un tour digitale all’interno dei loro spazi di lavoro. Così, le aziende hanno la possibilità di
presentare la propria realtà già a distanza, svolgendo un’efficace azione di attraction, i candidati di
entrarci dentro per capire, già al primo step, se sono realmente interessati.

CVing è la prima piattaforma al mondo a permettere sia alle aziende di richiedere video colloqui ai
candidati selezionati, sia a chi cerca lavoro di proporsi attraverso candidature spontanee.
Il funzionamento è semplice, il candidato riceve per email e sull’app la richiesta dell’azienda di
sottoporsi alla Pending Interview e ha una settimana di tempo per inviarla.
Una volta aperto il colloquio, il candidato ha a disposizione, per ogni domanda, 30 secondi per
prepararsi e 60 secondi per registrare la risposta.
CVing è dotato anche di un database interattivo per la gestione smart dei candidati tramite
video on demand, punteggio individuale, post-it virtuali e risultati di test di personalità.

Poi c’è Pulse, la piattaforma integrata di Linkedin per la pubblicazione di contenuti, nata come blog,
che viene spesso usata in modo alternativo per pubblicizzare offerte di lavoro.

Never give up
Sarà il Digital Recruiting la svolta per Roberta e per tutti gli idealisti, i tenaci e gli ambiziosi come
lei?
Forse, non esiste un’unica strada per arrivare dove vogliamo.
Abbiamo infinite possibilità, alcune neanche le immaginiamo, ma non dobbiamo smetterle di
cercarle.
La storia è piena di naufragi che hanno portato a mete incredibili.

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Come riconquistarlo con il Digital Recruiting - Smart Marketing
Intervista a Massimo Cantini Parrini, il
pluripremiato costumista italiano
I costumi dei film italiani più apprezzati del momento portano tutti la sua firma. La sua
professionalità è motivo di orgoglio per il nostro paese, un artista che permette di tenere alto il
nostro nome in tutto il mondo. Parliamo del costumista Massimo Cantini Parrini, reduce dal David
di Donatello per “Pinocchio” e il Nastro d’Argento per “Favolacce” e “Pinocchio”. La sua arte, la sua
creatività ed il suo talento partono da lontano, dall’infanzia, e con tanto studio e accesa passione,
arrivano a raggiungere importanti traguardi. In questo periodo così delicato per il cinema italiano,
abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistarlo.

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Come è nata la sua passione, che le ha permesso di diventare oggi ciò che è, un
professionista nel suo settore?

“La mia passione è nata con la frequentazione della sartoria dove lavorava mia nonna, così ho
iniziato a scoprire vecchi abiti presenti in casa e ho iniziato a chiedere il motivo per cui li avessero
conservati. Il fascino per il costume è iniziato da qui, nel momento in cui scovavo un abito, ne
chiedevo sempre la storia, così, attraverso i racconti, ho conosciuto tutto quel mondo pieno di magia.
In seguito ho deciso di proseguire i miei studi con l’Istituto d’Arte a Firenze, il Polimoda, il Centro
sperimentale, concentrandomi soprattutto sulla storia del costume, che è diventato il centro del mio
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mestiere.”

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     La pandemia è stato un fortissimo shock che ha interessato tutti gli aspetti della nostra vita e il
    mondo del lavoro è certamente tra questi. Dal telelavoro allo smart working, passando per il south
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Nella sua vita c’è stata una particolare fonte d’ispirazione o un professionista che l’abbia
ispirata o guidata in questo percorso?

“Ci sono stati i miei maestri: la prima è stata Cristina Giorgetti, grandissima storica del costume, che
ho incontrato al Polimoda ed è stata la prima volta che incontravo qualcuno con cui poter parlare
della mia passione e con lei ho potuto trascorrere giornate intere a parlare di costume; in seguito c’è
stato l’incontro con Piero Tosi al Centro sperimentale di Cinematografia, che è stato il mio maestro a
tutti gli effetti e sono rimasto con lui per venticinque anni, fino alla sua morte lo scorso anno, e con
lui si è instaurato un rapporto che è andato al di là dello studio, è diventato amicizia; poi c’è stata
Gabriella Pescucci, di cui sono stato assistente per dieci anni e con lei ho potuto mettere in pratica
tutti gli insegnamenti ricevuti sia da Cristina Giorgetti, che da Piero Tosi.”

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E’ di pochi giorni fa la notizia che è diventato un membro dell’Academy Awards, quindi, il
suo talento, il suo percorso e i numerosi premi le hanno permesso di raggiungere questo
ambito riconoscimento, immagino che per arrivare a questi alti livelli, credo che debba
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dedicare al suo lavoro tanto tempo.

“È la passione che ti spinge a dare sempre il meglio; i premi sono un bellissimo riconoscimento, ma
non lavoro per raggiungere questi obiettivi. Solo l’amore per il mio mestiere mi spinge a pretendere
sempre tanto da me stesso e quando viene riconosciuto non solo dagli addetti ai lavori è una felicità
immensa, vuol dire che il mio messaggio è universale.”

Durante questo periodo difficile che tutto il mondo sta attraversando sotto tanti punti di
vista e in particolare anche nel mondo del lavoro e soprattutto in Italia nel mondo del
cinema, come continua a svolgere il suo lavoro, come affronta le difficoltà del momento?

“Nel nostro mestiere si lavora anche tre, quattro, cinque mesi di fila e poi può capitare di stare fermi
per altrettanti mesi. Può succedere, però questa volta nasceva da un motivo molto diverso. Il
lockdown è stato per me anche occasione di riflessione e di studio. Adesso stiamo lavorando
nuovamente, con tutte le precauzioni necessarie.”

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Cosa pensa della situazione generale del cinema in Italia, cosa si augura che possa
accadere nel mondo del cinema nel nostro paese?

“Io credo che il mondo del cinema già da prima non navigasse in buone acque, il covid poi ha
accentuato questa sorta di tragedia, quindi mi auguro che tutto torni meglio di prima.”

In quale prossimo film vedremo le sue creazioni?

“Al momento ci sono dei lavori, di cui, però, per contratto non posso parlare, quindi presto ci
saranno delle novità.”
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Quando inizia il suo processo creativo, quando comincia a ideare e disegnare un abito,
inizia dalla sceneggiatura, dalla storia, dalla personalità del personaggio, qual è il punto di
partenza? Delinea anche il tratto psicologico del personaggio che lo indurrà poi ad
indossare quell’abito?

“Nel mio lavoro inizia tutto dalla sceneggiatura. Quando veniamo contattati per un film, da un
regista o da una produzione, la prima cosa che chiedo è quella di leggere, leggere la storia che dovrò
affrontare. La leggo generalmente tre volte, prima da spettatore poi da costumista. Tradurre il
pensiero del regista per me è la cosa più difficile, come tracciare il profilo psicologico dei personaggi
attraverso il costume. Appena si accende la lampadina parte tutto. L’idea è il mio motore.”

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In questo periodo così difficile, in cui il mondo del lavoro e del cinema devono affrontare inedite ed
ardue sfide, leggere le parole di un artista che, con cuore ed impegno, porta avanti il suo lavoro e lo
fa anche toccando alte vette, è sicuramente una scintilla che possiamo utilizzare quando guardiamo
al momento attuale con preoccupazione, perché anche la peggiore delle crisi può rivelarsi un
momento di grande cambiamento.
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  mela Gori

  Massimo Cantini Parrini

  Nato a Firenze, da bambino subisce il fascino del costume grazie alla nonna, sarta fiorentina.
  Consegue il diploma di Perito di costume e moda presso l’Istituto d’Arte di Firenze, prosegue gli
  studi al Polimoda per poi conseguire la laurea in Cultura e Stilismo della Moda presso la Facoltà
  di Lettere e Filosofia di Firenze; frequenta il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, dove
  diventa allievo del costumista Piero Tosi. Entra poi nella Sartoria Tirelli come assistente
  costumista e accanto alla costumista premio Oscar Gabriella Pescucci, collabora per grandi
  produzioni quali “Sogno di una notte di mezza estate” e “La fabbrica di cioccolato”.

  Premi Massimo Cantini Parrini:

  European Film Awards per i Migliori costumi per “Dogman”;

  David di Donatello per “Il Racconto dei Racconti”, “Indivisibili”, “Riccardo va all’inferno” e
  “Pinocchio”;

  Nastro d’Argento per “Il Racconto dei Racconti”, “Indivisibili”, “Pinocchio” e “Favolacce”;

  Ciak d’Oro per “Il Racconto dei Racconti” e “Indivisibili”;

  Numerosi altri premi nazionali ed internazionali.

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Il primo film girato interamente in Smart
Working: l’inizio di una nuova era?
In questi mesi di emergenza Covid-19 che ha stravolto completamente le nostre vite, abbiamo
imparato che è possibile lavorare completamente in smart working. Almeno per alcuni settori, quelli
che non necessitano di una imprescindibile presenza fisica. Nel nostro Paese, sempre molto
conservatore e poco avvezzo a farsi da promotore di cambiamenti tecnologici, si è scoperta questa
particolare forma di lavoro, proprio a causa del lockdown che ci ha costretti a ripararci tra le nostre
mura domestiche. La direzione e insieme la sfida futura del mondo del lavoro dovrà
necessariamente, nei prossimi mesi e nei prossimi anni, fare i conti sempre più con una vera e
propria rivoluzione dei modelli organizzativi e aziendali. E come al solito però, è nel campo dell’Arte
e in questo caso del Cinema, che il nostro Paese dimostra, ancora una volta, di essere in grado di
“fare scuola” nel mondo. E’ tutto italiano infatti, il primo film girato completamente in smart
working. Il padre del primo “smart film” è Daniele Vicari, regista di “Diaz”, che ha terminato di
girare il suo “Il Giorno e la Notte” con l’aiuto soltanto della tecnologia a 360 gradi.

https://www.youtube.com/watch?v=Fq3qcFAj6Is

Le riprese sono cominciate nella Fase 2 e sono state rese possibili dal fatto che gli attori – in alcuni
casi si tratta di coppie nella vita oltre che sulla scena – si riprendono da soli da casa propria, grazie
alla propria attrezzatura tecnica. L’idea non è solo quella di fare un esperimento cinematografico ma
anche quella di tradurre, dal punto di vista creativo, questo particolare momento storico,
caratterizzato da isolamento e restrizioni della libertà, con tutte le conseguenze del caso, nel bene e
nel male. Vicari porta con sé un cast d’eccellenza: Vinicio Marchioni e Milena Mancini (coppia nella
vita, in quarantena insieme alla famiglia), Dario Aita, Elena Gigliotti, Barbara Esposito. Francesco
Acquaroli, Isabella Ragonese, Matteo Martari. Giordano De Plano. Tutti comunicano tra di loro in
video attraverso le varie piattaforme online, così come gli attori anche il regista è a casa sua e dirige
il cast a distanza.

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La trama si avvicina molto a quello che abbiamo vissuto, quasi in maniera profetica, e come ha
assicurato lo stesso regista, la stesura della sceneggiatura è antecedente al lockdown di metà marzo
e che certamente le scene, riprese tramite le piattaforme online, sarebbero state una parte
preponderante del film, ma non certo esclusiva. Il lockdown ha dunque cambiato le carte in tavola, e
il regista insieme agli sceneggiatori ha deciso di portare alle estreme conseguenze quel senso
“claustrofobico” della quarantena del film.

La trama è praticamente la storia di quello che abbiamo passato dal 10 marzo ai primi giorni di
maggio, con un attentato chimico, che nella finzione del film ha sostituito la pandemia da
coronavirus; e con la sola Roma, che ha sostituito la nazione intera.

I destini di alcune coppie si intrecciano quando improvvisamente il telegiornale dà la notizia che a
Roma è in corso un misterioso attentato chimico. Tutti sono obbligati a chiudersi in casa. Nessuno
può più uscire. Le strade si svuotano. Che sta succedendo? Intanto le coppie asserragliate dentro le
mura domestiche si trovano messe alle strette, in un confronto intimo e inesorabile che spesso è
scontro ma anche incontro, e soprattutto porta a riflessioni e nuove consapevolezze.

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, mentre dirige il suo “smart film” Il Giorno e la Notte.

Nella nuova frontiera, dunque, che non si può sapere al momento quanto percorribile, poiché
comunque ora le produzioni cinematografiche hanno ripreso a lavorare in “presenza”, questo lavoro
di Vicari, rappresenta comunque una sperimentazione, che potrebbe diventare un vero e proprio
genere in futuro, magari parallelo, fioriero però di idee capaci di innovare il cinema mondiale. Dal
punto di vista tecnico, con questo film siamo però sempre di fronte, alla prerogativa tutta italiana,
che da De Sica, Rossellini e Visconti, ci accompagna, ovvero quella di rappresentare quello che
siamo, quello che stiamo vivendo, insomma il cinema ancora una volta funge da “specchio della
nostra società”. La trama del film di Vicari, non è forse una tragica “commedia all’italiana”?
Rappresenta un po’, quello che abbiamo vissuto qualche mese fa, rappresenta le nostre angosce, le
nostre paure, i nostri cambiamenti psichici che in lockdown abbiamo vissuto e che ci ha portati ad
essere “diversi” una volta ritornati ad una vita “quasi” normale.

E poi c’è l’ultimo punto di questo “cambiamento” cinematografico, che il lockdown ha velocizzato.
Ovvero la fruizione dei film in prima assoluta, che non passano più dal cinema, ma vengono
direttamente caricati sulle piattaforme televisive a pagamento, del tipo di Netflix e altre equipollenti.
Speriamo davvero, che questo sia stato soltanto un esperimento di “emergenza”, perché un film che
non passa più dalla “SALA” non è più film; e se le SALE saranno destinate a chiudere sarà la morte
del CINEMA, almeno nella visione romantica, quali noi cultori siamo stati abituati a pensarlo.
Insomma che l’evoluzione, che esiste in tutte le cose, non solo nell’Arte, non porti alla rovina del
CINEMA, perché in futuro ce ne pentiremmo, considerato che il CINEMA, rimane una delle
pochissime cose pure, che ancora riescono a far vibrare i sentimenti, ed è meglio farlo in una SALA,
che dal divano di casa.

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Il mondo del lavoro dopo il 2020: smart
working, remote company e nuove
opportunità.
Ormai lo sappiamo: il salto in avanti che abbiamo fatto negli ultimi mesi, in termini di remote
working, smart working o lavoro da casa (per i polemici e i puristi della lingua italiana) è pari a
un salto avanti di anni. Almeno così dicono, o così ci piace pensare, perchè di fatto, a mio parere,
abbiamo assistito all’improvviso fenomeno di un’Italia buttata nel mondo digitale allo sbaraglio,
alla scoperta quotidiana di tool più o meno adeguati per continuare a lavorare e alla ricerca delle
modalità migliori per utilizzarli. A un’Italia, soprattutto in determinate zone, totalmente impreparata
e che mai avrebbe ceduto allo smart working libero che, però, per forza di cose, si è trovata
costretta a testarlo, in modalità estrema, e a tratti disorganizzata.

La pubblica amministrazione, le scuole, le aziende, le PMI, persino il mondo dello spettacolo si sono
ritrovati “Smart” (che poi letteralmente significa intelligente, traete voi le conclusioni in merito al
cambiamento). Comunque sia, ce la siamo cavata. Se ce lo avesse predetto un oracolo, o i Maya,
Marty McFly o chissà quale profeta…non ci avremmo creduto.

Lavorare da casa. Tutti. In Italia.
Secondo l’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano i lavoratori da remoto sono
passati da 570 mila a 8 milioni. Non tutti contenti, a dire il vero, perchè ci sono settori e ambiti in
cui lo smart working è più complicato o persone che non amano abbandonare la routine e il luogo di
lavoro con i risvolti di socialità e coesione che ne derivano.

L’italia si è un po’ divisa in due: i sostenitori dello smart working, che una volta abituati a
questa nuova modalità non vorrebbero più tornare indietro o sperano di poter avere questa opzione
più spesso possibile, e quelli che attendono con ansia il ritorno alla vecchia normalità, alla
pausa pranzo con i colleghi, alle riunioni tutti in una stanza, alle strette di mano…

Se ne discute da mesi sottolineando pregi e difetti: il risparmio di tempo per raggiungere la sede di
lavoro; la diminuzione dello smog; i minori costi aziendali; il maggior engagement di dipendenti
liberi di organizzarsi per bene e con meno distrazioni; ma anche la perdita del contatto umano; le
difficoltà nel suddividere il tempo lavorativo da quello personale e così via.

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   La pandemia è stato un fortissimo shock che ha interessato tutti gli aspetti della nostra vita e il
  mondo del lavoro è certamente tra questi. Dal telelavoro allo smart working, passando per il south
              working, vedremo come sta velocemente cambiando il concetto di lavoro.

Non c’è una risposta giusta. Meglio lo smart working o il vecchio e tradizionale modo di lavorare?
Anche in questo caso la risposta è soggettiva. E’ come chiedere se è meglio il mare o la montagna:
ognuno ha i suoi gusti e le sue esigenze e sarà in grado di supportare la sua teoria con molte
motivazioni valide. Ma nessuno potrà mai convincermi a trascorrere l’intero mese di Agosto in
montagna.
Lo smart working non fa per tutti, è vero, ma a questo punto
dovrebbe essere un’opzione reale, non qualcosa a cui siamo
costretti nei soli momenti di necessità o in soli casi di
pandemie mondiali.
Lo smart working è ormai una realtà, che ha persino creato delle interessanti sotto-realtà come il
southworking, di cui si parla tanto recentemente, e che altro non è che la possibilità di lavorare al
sud per realtà del nord. Io lo pratico da oltre 6 anni e non avevo mai pensato di dargli un nome. Però
adesso è molto più semplice da spiegare. Perchè questi mesi ci hanno fatto fare un salto in avanti
anche di mentalità, di apertura mentale.

Per anni ho spiegato che sì… vivo all’estremo sud Italia (persino all’estremo sud Europa) e lavoro
proprio come se fossi all’estremo nord Italia, senza il minimo problema e con poche differenze
organizzative rispetto ai colleghi localizzati a Milano, Bologna ecc…

Nel 2020, per la prima volta, vedo scomparire le espressioni perplesse e le domande del tipo “ma ti
pagano?”. In quello che chiamiamo il new normal lo smart working è a pieno titolo lavoro. Lo
abbiamo dovuto provare sulla nostra pelle, ma adesso lo sappiamo!

Quale sarà il prossimo step?
Il southworking è sicuramente una bellissima esperienza per chi al momento sta sperimentando la
possibilità di trasferirsi (per lo più tornare) al sud; ma parliamo di persone che fino a qualche tempo
fa vivevano al nord, probabilmente sono residenti a Milano, Torino, Bologna,…, persone che si sono
spostate al nord, hanno trovato un lavoro nelle grandi città e hanno lavorato a lungo in sede e poi,
complice la pandemia globale, si ritrovano a poter scegliere dove lavorare. E vanno al sud, che
hanno lasciato probabilmente alla ricerca di maggiori opportunità. E ora che le opportunità possono
essere smart?

Nel new normal potrò permettermi di studiare al sud, formarmi al sud e inviare il cv per una
posizione aperta in un’azienda di Milano/Londra/Torino/Parma anche se vivo al sud, in provincia, e
magari non ho tra i miei obiettivi quello di trasferirmi o non ne ho la possibilità?

Il numero degli annunci di lavoro per posizioni in smart
working negli ultimi mesi è aumentato, sia da parte delle
aziende che dai candidati.
Le aziende si rendono conto di non aver necessità di porre limiti territoriali alla ricerca di
competenze e profili validi, e anche chi cerca lavoro vede adesso aprirsi questa prospettiva.

Forse non ci stiamo rendendo conto di quanto questo fenomeno possa cambiare le carte in tavola nel
nostro paese, svoltare la vita di tante persone valide che magari difficilmente potrebbero avere
grandi occasioni. Non dobbiamo pensare al southworking solo come alla possibilità di
ritrasferirsi,ma come l’estensione delle opportunità anche nelle regioni meno sviluppate
economicamente.

Nulla di nuovo all’orizzonte: i cosiddetti nomadi digitali lavorano online dove vogliono, per lo più in
luoghi dove il costo della vita è abbordabile, e per aziende e realtà all’avanguardia. E dico
all’avanguardia nel senso di aziende aperte tanto da considerare il lavoro a distanza una normalità.
Adesso, nel 2020, vedo uno spiraglio di avanguardia anche da noi, in Italia, e se riusciremo a
sfruttarlo bene non parleremo di southworking, northworking, smart working, remote working, ma
semplicemente working, perchè per attivare le nostre capacità intellettuali non tutti abbiamo
bisogno di badge, mense aziendali, città munite di metro e pause caffè davanti alla macchinetta
automatica.

Cosa ci aspetta?
Il futuro, a mio avviso, è solo trovare la nostra dimensione: sorgeranno sempre più Remote
Company, ovvero aziende in cui si lavora al 100% da remoto, con sporadici incontri in punti
strategici comodi a tutti; e continueranno ad esserci le realtà tradizionali, con i dipendenti ognuno
alla propria scrivania. A questi si aggiungeranno delle aziende un po’ più smart, con formule miste:
alcuni collaboratori in smart working e altri ruoli in sede, o con la possibilità di scegliere
liberamente o richiedere giornate o periodi in smart working a piacimento, quelle che vengono
definite aziende remote friendly.

Il mio è un augurio più che una previsione, ma spero che il futuro del lavoro sia libero,
flessibile e senza barriere territoriali. E spero che il 2020 venga ricordato per essere stato
il punto di partenza di questa trasformazione e non “l’anno del lockdown”.

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I Love My Radio: a 45 anni dalla prima
radio libera, la radio rimane il mezzo di
comunicazione di massa per eccellenza
Chissà se Heinrich Hertz, il primo a dimostrare l’esistenza delle onde radio e che nominiamo
involontariamente ogni volta che impostiamo la frequenza della nostra trasmissione preferita, e
Guglielmo Marconi, padre della telegrafia senza fili, la cui evoluzione portò allo sviluppo della
radio, avrebbero mai immaginato che i loro studi avrebbero dato vita ad uno strumento di
comunicazione di massa ancora così molto utilizzato.

Le trasmissioni radiofoniche hanno saputo attraversare il tempo, raccontandolo meglio di qualsiasi
altro mezzo, ed in alcuni casi facendone la storia. Così, da strumento di alfabetizzazione,
aggregazione e propaganda, nell’epoca fascista la radio diventa mezzo di lotta e resistenza grazie
alle trasmissioni di Radio Londra a cura della BBC, fino a diventare persino strumento di liberazione;
famoso è il messaggio radiofonico, ad esempio, che annuncia la fine della seconda guerra mondiale.

Nel dopoguerra c’è una radio quasi in ogni casa e la RAI (Radio Audizioni Italiane), assume
l’egemonia delle trasmissioni; la prima edizione del Festival di Sanremo è trasmessa in radio, nel
1951, così come l’imparziale radio-giornale, che diventa un appuntamento fisso con l’informazione
per milioni di italiani.

https://youtu.be/GHsydt2urWM

Le trasmissioni radiofoniche, fin dagli esordi regolate e codificate da concessioni statali in regime di
monopolio dalla RAI, poi negli anni ’70 vengono liberalizzate, dando vita ed alimentando le tante
radio pirata già esistenti, che da questo momento in poi saranno chiamate “Radio Libere”.

Alle Radio Libere si deve la diffusione di musica indipendente, di programmi di approfondimento
culturale di carattere locale, delle idee politiche e persino di quelle religiose: libera era Radio Out
di Peppino Impastato, libera era la militante Radio Alice, e libera era persino la religiosa Radio
Maria.

Ma alle radio libere si deve anche lo sviluppo della comunicazione pubblicitaria come mezzo per
finanziare le trasmissioni, da un lato, e come strumento per aumentare la Brand awareness
aziendale, dall’altro.

La possibilità di raggiungere in modo capillare il proprio target, soprattutto i giovani, spinge le
aziende ad investire sempre più sulla comunicazione pubblicitaria radiofonica, trasformandole
spesso da strumento di protesta a mezzo di puro intrattenimento, dove lo spazio dedicato alla
pubblicità diventa sempre più preponderante.

Grazie anche a questi capitali, le radio da libere diventano private, da locali a nazionali, spesso da
generaliste a radio tematiche, con un numero sempre crescente di ascolti, anche quando la
predominanza della televisione e l’avvento di internet ne avevano prefigurato il declino.

La radio è invece il media che più di tutti ha saputo reggere il passo con i tempi, anche quelli
destabilizzanti ed incerti che stiamo vivendo.
https://youtu.be/_FTtXlbYW2Q

Paradossalmente, nel bel mezzo di una pandemia mondiale, in cui la quarantena ed il distanziamento
sociale hanno prefigurato situazioni di isolamento ed in cui imperversavano la caccia allo scoop ed
alla notizia roboante (sempre condite dalle immancabili fake news da parte di tutti i mezzi di
comunicazione, da quelli alternativi come i social a quelli più tradizionali come la televisione), le
emittenti radiofoniche, invece di innescare concorrenza spietata all’ultimo ascoltatore, per la prima
volta hanno deciso di unirsi per trasmettere all’unisono un messaggio che fosse, al tempo stesso,
rassicurante e propositivo.

Ve lo abbiamo raccontato in pieno lockdown con “Fratelli d’Italia: le radio, i balconi e le altre
storie di un paese blindato”, ma mai avremmo immaginato che l’esperienza delle emittenti
radiofoniche, nazionali e locali, che trasmettono contemporaneamente lo stesso palinsesto, si
sarebbe potuta ripetere, questa volta, per eleggere la canzone più amata degli ultimi 45 anni.

45 canzoni italiane, una per ogni anno, da “Sabato pomeriggio” di Claudio Baglioni del 1975, a
“Soldi” di Mahmood, vincitrice, nel 2019, del Festival di Sanremo; 45 brani indimenticabili, che,
entro il 31 luglio, decreteranno la canzone migliore, la più amata, grazie ai voti congiunti degli
ascoltatori e delle direzioni artistiche delle Radio Unite per l’Italia.

Impossibile scegliere tra successi come “Una donna per amico” di Battisti, “La donna Cannone” di
Francesco De Gregori, “Senza una donna” di Zucchero, “Mare mare” di Luca Carboni, “Domani”
degli Articolo 31, “Luce” di Elisa, “Estate” dei Negramaro, “Albachiara” di Vasco Rossi, “Notte
prima degli esami” di Venditti, “Perdere l’amore” di Massimo Ranieri e “Sei nell’anima” della
Nannini, solo per citarne alcuni.

L’iniziativa, che non ha precedenti nella storia della radio italiana, non ha lasciato indifferenti
neanche grandi big, che devono la propria popolarità anche alla radio, e che hanno deciso di
incidere delle cover inedite di alcune canzoni in gara, come, ad esempio, Biagio Antonacci che ha
reinterpretato “Centro di gravità permanente” di Battiato, e “Caruso” di Lucio Dalla, nella versione
di Jovanotti.

https://youtu.be/GldSfNrF-V4

La gara vedrà poi un evento conclusivo in ottobre, anch’esso unico e senza precedenti, che verrà
trasmesso in contemporanea, in diretta via radio, tv e in streaming sui canali social di tutte le
emittenti, a ribadirne nuovamente il senso di unità.

La capacità di rinnovarsi, unirsi, trovare nuovi modi di comunicare e stare insieme, essere un mezzo
vicino alla gente, capillare e familiare, fa della radio uno dei mass-media più amati dal pubblico, che
continua a preferirla ad altri più moderni e sofisticati; sarà perché, come diceva Eugenio Finardi,
ne “La Radio”, del 1976, “Con la radio si può scrivere, Leggere o cucinare, Non c’è da stare
immobili, Seduti lì a guardare, E forse è proprio quello Che me la fa preferire, È che con la radio non
si smette di pensare”.

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Digital Innovation Days Italy 2020 online
edition: dal lockdown alla ripartenza.
Il Digital Innovation Days Italy torna con la settima edizione, che si terrà nelle giornate del 29-30
ottobre e sarà per la prima volta in versione full digital.

In un periodo di grande emergenza sanitaria ed economica la conferma, in veste inedita, di questo
appuntamento dedicato al digitale e all’innovazione può rappresentare una delle chiavi di volta per
una ripartenza con uno spirito nuovo e orientato naturalmente al futuro. Il Digital Innovation
Days Italy è l’evento pensato per raccontare la trasformazione digitale a 360 gradi e per
diffondere e misurare gli impatti delle migliori strategie di digital marketing e delle nuove tecnologie
sulla crescita e lo sviluppo del business.

  La kermesse è rivolta ad agenzie di comunicazione, aziende, direttori marketing, freelance,
  startup, PMI e professionisti che operano nel settore marketing, digitale e non, che desiderano
  aggiornare, accrescere o approfondire le proprie skills sul digital marketing, dei principali
  strumenti di social media marketing e degli ultimi trend nell’ambito dell’innovazione tecnologica.
  Si tratta, quindi, di un’opportunità unica per apprendere, fare networking e stimolare la curiosità,
  condividendo esperienze con professionisti di alto livello.

L’evento andrà alla scoperta delle aziende più “virtuose” durante la lunga fase di lockdown, tra chi
ha tratto vantaggio dalla situazione e chi invece si è dovuto reinventare accelerando giocoforza il
processo di digitalizzazione. Si cercherà di capire come siano cambiati i trend e le necessità
delle imprese, quali misure servano per ripartire e quali insegnamenti vadano tenuti a mente per il
futuro.

L’appuntamento di quest’anno si configurerà come un
percorso di aggiornamento e formazione.
È prevista una rassegna delle più importanti novità, realizzata per mezzo di esempi di strategie
concrete e Case Study di successo, presentati nella sala principale dai più autorevoli professionisti
del settore, sia italiani che internazionali, con particolare riferimento al momento storico che stiamo
attraversando. Saranno inoltre allestite apposite sale verticali per affrontare le questioni legate al
web marketing e all’innovazione.

    Per i lettori di Smart Marketing è previsto un codice sconto - Didyou20
             – per acquistare il biglietto per l’evento: acquistalo qui!
Le tematiche al centro della discussione saranno:

■   Food Tech,
■   Fashion Tech (il moderatore di questa sala sarà Stefano Galassi, Managing Director di Startup
    Bootcamp),
■   Social Media (Luca La Mesa, Presidente di Procter&Gamble Alumni), Influencer Marketing,
■   Innovation & Emerging Tech (Fernando Piccirilli, Investment Advisory di Kobe Partners),
■   Sustainability & Well Being (Francesca Petrella, Responsabile Comunicazione Ipsos),
■   Web Marketing (Antonello Schiavo, Digital Marketing for Emea SMEs Google),
■   Fintech & Payment (Daniela Nespolo, Business Development Freelance),
■   Formazione digitale (Stefano Saladino – Founder di Rinascita Digitale).

     L’edizione 2019 ha ospitato 1200 partecipanti e oltre 100 speeches. Sui social network ha
     totalizzato 200.000 visualizzazioni durante lo svolgimento della kermesse. Sono stati presentati 80
     Case Study di successo, incentrati sui filoni del social media marketing, digital transformation e
     digital strategy. Il Digital Innovation Days Italy ha mostrato negli anni una crescita esponenziale
     per durata dell’evento, per numero di partecipanti e per i membri di una community che oggi
     vanta oltre 50.000 contatti profilati. Sul palco dell’evento, sono diversi gli speaker che negli anni
     hanno condiviso progetti ed esperienze, legati a importanti agende e agenzie, fra cui Google,
     Microsoft, Enel, American Express, SAS, L’Oréal, Deutsche Bank, Nestlé, Banca Mediolanum,
     Perfetti Van Melle, Armando Testa, Ogilvy e Meritocracy.

Giulio Nicoletti, CEO e Founder della 24 Pr & Events e organizzatore del Digital Innovation
Days Italy: “Il Digital Innovation Days intende prima di tutto cogliere l’innovazione del mercato del
digital marketing italiano e europeo. Negli anni, questo progetto si è evoluto con continuità,
cercando di rimanere al passo con i tempi. All’orizzonte vedo ancora grandi prospettive di crescita e
sviluppo, in linea con la naturale aspirazione di un evento come questo, sempre pronto a ricercare,
accogliere e, per quanto possibile, anticipare il cambiamento.” Sulle difficoltà legate al contesto
attuale di emergenza sanitaria ed economica: “Nonostante il periodo difficile che stiamo
attraversando, crediamo che portare avanti l’iniziativa dell’evento in formato digitale sia un buon
modo per cominciare a ripartire, con uno sguardo proiettato verso un futuro migliore.”
Smart Marketing è felice di essere media partner della settima edizione
del più grande evento italiano dedicato al marketing digitale, al social
media marketing e all’innovazione. Per i nostri lettori è previsto un
codice sconto – Didyou20 – per acquistare il biglietto per l’evento:
acquistalo qui!
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“Cobra non è”, il primo film di Mauro
Russo, è una smaccata dichiarazione
d’amore ai film di genere degli anni ’70, ai
B-movie ed al pulp alla Tarantino, con
ottimi spunti ma una trama inconsistente
Cobra è un rapper che ha fatto il suo tempo, dopo un breve momento di fama. Quando il suo
manager e amico, Sonny, gli offre la possibilità di firmare un contratto con una rinomata etichetta,
lui è entusiasta, ma qualcosa potrebbe andar male, anzi malissimo. E così sarà!

Questo in sintesi lo spunto narrativo di “Cobra non è”, un film che mescola, non senza meriti, il
gusto per l’eccesso con la chiassosità e il montaggio sincopato di tanto cinema di genere anni ’70,
quei polizieschi, o meglio poliziotteschi, che tanta fortuna ebbero sia presso il pubblico italiano che
quello internazionale.

Cinema di genere che molti registi, Quentin Tarantino in primis, hanno citato e saccheggiato,
sdoganando questo filone anche presso la nostra critica, da sempre refrattaria, oltre che
particolarmente caustica nei giudizi, ad un certo tipo di cinema.

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(
Cobra) e Denise Capezza (Angela), protagonisti del film “Cobra non è” di Mauro Russo.

Ciò che colpisce del primo film del regista salentino Mauro Russo, dal 30 aprile disponibile su
Amazon Prime Video, è la quantità incredibile di citazioni cinematografiche degne di un vero cinefilo
appassionato.

Ma la citazione cinefila non è una cosa semplice e, anche se divertente e ben fatta, non può essere il
pilastro su cui si regge un lungometraggio. Infatti ciò che manca a “Cobra non è” non sono le
atmosfere o gli interpreti, quello che sembra mancare è la coerenza di una narrazione che, invece di
scorrere coerente verso un finale, preferisce stupire lo spettatore con scene roboanti e delle
interpretazioni troppo tirate e sopra le righe, che però non riescono a consegnarci dei personaggi
memorabili.

Il film è accattivante, c’è un grande senso della messinscena a cui concorrono da una parte le
inquadrature fumettistiche di Russo, la fotografia di Simone Zampagni e il montaggio veloce di
Marcello Saurino, e dall’altra le belle scenografie di Pigi Bosna e Michele Lisi che intrattengono
gradevolmente lo sguardo dello spettatore.

Simpatici sono pure i cammei di Clementino, Elisa, Max Pezzali e Tonino Carotone, tutti amici
del regista Mauro Russo, già affermato autore di videoclip e collaboratore di questi come di altri
artisti.

Molto originali e d’effetto anche i titoli di testa, girati tutti in un interno, con i nomi del cast tecnico
ed artistico che emergono da scritte sui muri, tatuaggi e insegne al neon.
Buone anche le interpretazioni del cast, almeno di parte di esso, anche se, come detto, l’esagerata
stereotipizzazione dei caratteri alla fine consegna più dei personaggi grotteschi che memorabili.

Ma, nonostante tutto questo, la mancanza di una narrazione coerente e razionale si fa sentire, e
malgrado le scene rocambolesche ed il ritmo, per lo più veloce, del film, la durata tipica di 90 minuti
sembra, per noi spettatori, molto più lunga. Ha ragione, a tal proposito, Paola Casella che su
Mymovies.it scrive: “Manca soprattutto quella tensione narrativa che è requisito fondamentale del
cinema di genere, dunque un film sotto la canonica ora e mezza rischia di sembrare interminabile”.

Il film vanta perfino la collaborazione del leggendario Ruggero Deodato, che, come guest director,
ha girato la scena della tortura rimasta poi inedita nel montaggio finale e disponibile solo nella
versione integrale.

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li del film “Cobra non è”. Quella di destra è stata realizzata dall’artista Domenico Velletri.

Infine e sul finire, il film presenta una vera chicca, una lunga sequenza animata molto violenta e
sincopata ai limiti dello splatter, che riprende ed omaggia la famosa scena “Capitolo 3: Le origini
di O-Ren” del film “Kill Bill vol. 1” di Quentin Tarantino. La sequenza animata è opera del
talentuoso artista e fumettista Domenico Velletri, nostra vecchia conoscenza; infatti è fra gli autori
della nostra “Copertina d’Artista”, di cui ha realizzato quella del n° 67 nel novembre 2019
dedicata al “Natale che verrà”.

Cosa altro dire di questo film?

Sicuramente che merita una visione, sia perché rappresenta comunque un esordio interessante sia
perché esplora un “genere” poco, o per niente, battuto dal nostro cinema “autoriale”, fatto di storie
complicate, dialoghi infiniti, e votato ad un minimalismo estremo ed a una eccessiva sottrazione. Il
film di Mauro Russo, smaccatamente citazionista e eccessivo, ci ricorda invece che c’è un’altra
strada per raccontare storie e girare film, anche nel nostro Paese, e questa è già, a mio modesto
parere, una scelta registica, oltre che produttiva, sovversiva.

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Il podcast che ti fa scoprire l’A.I. - Ecco
come l’Intelligenza Artificiale sta
rivoluzionando il marketing, con Lorenzo
Luce
Il marketing è probabilmente il settore in cui gli algoritmi dell’A.I. sono maggiormente utilizzati.

Le grandi telco e le big tech del web sono state le prime aziende ad utilizzare questi strumenti; gli
algoritmi di A.I. di oggi sono già in grado non solo di analizzare in tempo reale una infinità di dati,
ma pure di stilare strategie “predittive” sul comportamento e propensione all’acquisto di singoli
utenti, così come di cluster o categorie di individui.

Dall’avvento di internet prima, del web 2.0 poi, ed infine dell’intelligenza artificiale, il marketing è
profondamente cambiato. Oggi, infatti, la possibilità di monitorare, registrare e profilare i
comportamenti online degli utenti consente agli algoritmi di A.I., sempre più performanti e raffinati,
di confezionare campagne pubblicitarie “ad personam” che, contemporaneamente, una volta
addestrati a farlo, tengono conto del mutare del mercato, dei comportamenti d’acquisto dei singoli
utenti e perfino dell’eventuale concorrenza di altri competitor commerciali.

Tutto questo lo fanno velocemente, efficientemente e costantemente, rendendo estremamente
efficaci le campagne marketing di oggi rispetto al passato.

Lavorando sul dato puro ed essendo privi di pregiudizi, bias di conferma, errori di ragionamento
tipici degli analisti umani, gli algoritmi di A.I. spesso sembrano funzionare in maniera contro
intuitiva, eppure le loro performance sono nettamente superiori a quelle degli umani.

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el 4° podcast , il dott. Lorenzo Luce, amministratore delegato
di BigProfiles e membro del Group of High Level Experts on
Artificial Intelligence del MiSE.

In pratica, quando accettiamo i contratti di utilizzo di app o servizi in internet e firmiamo per il
consenso al trattamento dei dati personali, per le campagne promozionali, per la targhetizzazione e
la profilazione, contribuiamo ad addestrare i vari algoritmi di A.I., che imparano a conoscerci e
cominciano a “suggerirci” le cose che potrebbero interessarci e i prodotti che vorremo comprare.

Certo, qualcuno potrebbe obbiettare, gli algoritmi di A.I., come già quelli dei social network,
proponendoci solo ciò che ci piace e che desideriamo acquistare, rafforzano e radicalizzano la nostra
visione del mondo, il pensiero unico e ci confinano nei cosiddetti cluster o silos sociali, ma questa è
un’altra storia.

Tuttavia, sapere come, attraverso il marketing, le tecnologie dell’intelligenza artificiale funzionino e
lavorino nella nostra vita di tutti i giorni è non solo utile, ma fondamentale per comprendere quanto
il futuro che attendiamo sia già il presente che viviamo.

Il 4° episodio del podcast “Alla scoperta dell’Intelligenza Artificiale”, ideato e promosso
dall’Associazione Italiana per l’intelligenza Artificiale (AIxIA) e Radio IT (il primo podcast
network italiano sull’information technology), ci spiega come l’AI abbia rivoluzionato il marketing, la
pubblicità e, in pratica, le nostre esistenze sia online che offline.

A dialogare con il giornalista Igor Principe di Radio IT questa volta è il dott. Lorenzo Luce,
amministratore delegato di BigProfiles, la prima azienda italiana specializzata in predizioni per il
teleselling e il telemarketing e membro del Group of High Level Experts on Artificial
Intelligence del MiSE (Ministero per lo Sviluppo Economico).

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Ecco i vincitori dei Nastri d'Argento 2020
Si è svolta il 6 luglio, presso il Museo MAXXI di Roma, la cerimonia dei Nastri d’Argento, il
premio del cinema italiano assegnato dal Sindacato nazionale giornalisti cinematografici
italiani (SNGCI), un’edizione all’insegna del ricordo del grande maestro compositore e musicista
Ennio Morricone, scomparso lo stesso giorno.

Molti artisti presenti hanno dedicato un pensiero all’icona della musica da film, che ha lasciato nel
mondo colonne sonore di sconfinata bellezza e che ha permesso al nostro paese di avere numerosi
importanti riconoscimenti.

Ci aspettavamo una cerimonia nel rispetto delle norme di sicurezza e così è stato, non ci
aspettavamo però una cerimonia molto poco coinvolgente: il periodo non è dei migliori e la ripresa è
difficile, ma proprio per questo motivo, quel che era possibile fare si sarebbe dovuto fare con molto
più trasporto ed emozione. Paradossalmente la cerimonia dei David di Donatello dell’8 maggio
scorso, svolta in piena pandemia e alla presenza del solo presentatore, si è rivelata essere molto più
sentita e brillante. Scenografia e musica quasi inesistenti, sembrava tutto molto improvvisato e
preparato con superficialità; fuori luogo sarebbero stati sicuramente i lustrini delle scorse edizioni,
ma dell’emozione avevamo davvero bisogno e qualche piccola attenzione in più avrebbe decisamente
aiutato. La situazione è stata aggravata dallo spoiler già dalla mattina di tutti i vincitori, su
numerose testate giornalistiche e su profili social, che sicuramente ha smontato il brivido dell’attesa,
rendendo ancor più piatta la serata.
Mettendo da parte la cerimonia in sé, per fortuna ci hanno pensato i vincitori e il valore delle opere
a trasmetterci l’arte e la bellezza che tanto serve al nostro paese in un momento decisivo come
questo.

Di seguito i vincitori:

Miglior film
Favolacce

Migliore regia
Matteo Garrone – Pinocchio

Miglior regista esordiente
Marco D’Amore – L’Immortale

Miglior commedia
Figli di Giuseppe Bonito

Miglior produttore
Agostino, Giuseppe e Mariagrazia Saccà – Favolacce e Hammamet

Miglior attore protagonista
Pierfrancesco Favino – Hammamet

Miglior attrice protagonista
Jasmine Trinca – La Dea Fortuna

Miglior attore non protagonista
Roberto Benigni – Pinocchio

Miglior attrice non protagonista
Valeria Golino – 5 è il numero perfetto, Ritratto della giovane in fiamme

Miglior attore di commedia
Valerio Mastandrea – Figli

Miglior attrice di commedia
Paola Cortellesi – Figli

Miglior soggetto
Il Signor Diavolo di Pupi, Antonio e Tommaso Avati

Miglior sceneggiatura
Favolacce – Damiano e Fabio D’Innocenzo

Migliore fotografia
Paolo Carnera – Favolacce

Migliore scenografia
Dimitri Capuani – Pinocchio

Miglior montaggio
Marco Spoletini – Pinocchio, Villetta con ospiti

Migliori costumi
Massimo Cantini Parrini – Pinocchio, Favolacce

Miglior sonoro
Maricetta Lombardo – Pinocchio

Migliore colonna sonora (ex aequo)
Brunori Sas – Odio l’estate

Pasquale Catalano – La Dea Fortuna

Miglior canzone originale
Che vita meravigliosa di Diodato – La Dea Fortuna

Oltre a questi, una lunga lista di premi speciali, assegnati dal Direttivo con il Consiglio Nazionale:

Film dell’anno a “Volevo nascondermi” del regista Giorgio Diritti; Nastro alla carriera all’attore
Toni Servillo; Nastro europeo al regista Pedro Almodovar per il film “Dolor y Gloria”; Nastro
d’oro al direttore della fotografia Vittorio Storaro per “Un giorno di pioggia a New York”;
Premio speciale a “La famosa invasione degli orsi in Sicilia” del regista e illustratore Lorenzo
Mattotti; Nastro della legalità al film “Aspromonte” di Mimmo Calopresti; Miglior casting
director a Davide Zurolo per “L’Immortale”; Premi Guglielmo Biraghi all’attore Giulio Pranno
per “Tutto il mio folle amore” e Menzione speciale all’attore Federico Ielapi per “Pinocchio”;
Premio Graziella Bonacchi all’attrice Barbara Chichiarelli per “Favolacce”; Miglior cameo
dell’anno alla scrittrice Barbara Alberti per il ruolo nel film “La Dea Fortuna”; Premio Nino
Manfredi all’attore Claudio Santamaria per il ruolo di padre in “Tutto il mio folle amore” e “Gli
anni più belli”; Premio Nastri SIAE per la sceneggiatura del film “Buio” ad Emanuela Rossi;
Premio Nuovo IMAIE per il doppiaggio a Stefano De Sando, Claudia Catani ed Emanuela
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