64 CARTOLINE CONTRO L'OCCUPAZIONE - Cineforum del Circolo

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                        i quaderni del cineforum

             Marcello Perucca

CARTOLINE CONTRO L’OCCUPAZIONE
      Viaggio nel cinema palestinese
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Marcello Perucca

CARTOLINE CONTRO L’OCCUPAZIONE
       Viaggio nel cinema palestinese

    CIRCOLO FAMILIARE DI UNITÀ PROLETARIA
          CINEFORUM DEL CIRCOLO
               Gennaio - Febbraio 2019
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Introduzione

O         rmai da qualche decennio, al cinema, vengono proposti film ambientati in Palestina e che evidenziano i
          vari problemi che affliggono quella terra in cui, ormai da 70 anni, si sono radicati forti contrasti fra ebrei
          immigrati e popolazione araba locale. Una conflittualità esacerbata dalle politiche espansionistiche dei
vari governi israeliani – e dal mondo occidentale - che mai hanno riconosciuto il diritto ai palestinesi di vivere in
uno stato proprio, nonché dalla costruzione di un muro della lunghezza complessiva di oltre 700 km che costringe
la popolazione araba a vivere in una vera e propria prigione a cielo aperto.
È comprensibile come, in siffatte condizioni, fare film per i registi palestinesi sia un’impresa eccezionale, limitati
come sono nei movimenti e dai ridotti budget a disposizione.
Fortunatamente di Palestina hanno trattato anche cineasti di altri nazioni. Spesso si tratta di registi israeliani come,
ad esempio, Uri Barbash (Oltre le sbarre, 1984; Terra di conquista, 1987), Eran Riklis (Il giardino di limoni, 2008), Amos
Gitai ( Guerra e pace a Vesoul, 1997, realizzato con il regista palestinese Elia Suleiman; Freezone, 2005), Ari Folman
(Valzer con Bashir, 2008). Ma anche filmaker di altre nazioni hanno sentito l’esigenza e il dovere di documentare,
con opere di fiction o documentari, il dramma della Palestina e del suo popolo. In un elenco per nulla esaustivo
vanno citati, fra gli altri, gli italiani Saverio Costanzo (Private, 2004), Pippo Delbono (Guerra, 2004), Stefano Savona
(Piombo fuso, 2009), Maurizio Fantoni Minella (Caos totale, 2010; Il lato d’ombra, 2011; Ad est di Gerusalemme, 2011),
Marco Proserpio, con il suo reentissimo L’uomo che rubò Banksy, 2018; il libanese Ziad Doueiri (L’insulto, 2017) o lo
statunitense Oliver Stone che, con Persona non grata (2003) ha realizzato un ritratto dello storico leader palestinese
Yasser Arafat
Ma è nel 2002, con ancora in corso la seconda Intifada, che il cinema palestinese fatto da palestinesi, è assurto
agli onori della cronaca. Quando cioè il film Intervento divino, di Elia Suleiman, ottenne la nomination all’Oscar
come miglior film in lingua straniera. Purtroppo l’Academy (Academy of Motion Picture Arts and Sciences, cioè
l’organizzazione statunitense che seleziona i film candidati all’Oscar e assegna i premi) rifiutò la candidatura in
quanto, secondo la motivazione ufficiale, vengono accettati solo film “provenienti da paesi riconosciuti come Stati
dall'ONU”. La stessa Academy, nel 2006, ha accettato come candidato alla “statuetta” per miglior film straniero
Paradise Now, di Hany Abu-Assad, regista palestinese nato a Nazareth e di passaporto israeliano. Paradise Now non
ha vinto l’Oscar, ma è comunque stato acclamato a livello internazionale vincendo numerosi premi – fra cui un
Golden Globe – e rendendo visibile una cinematografia che, per i motivi sopra esposti, aveva e ha tutt’ora enormi
problemi di visibilità.
Quella della visibilità è, forse, la maggior preoccupazione dei cineasti palestinesi. Infatti, come scrive lo studioso
Edward Said, nell’introduzione al saggio sul cinema palestinese “Dreams of a Nation” di Hamid Dabashi, 2006,
“Tutta la storia della lotta palestinese ha a che fare con il desiderio di essere visibili”. È con questa aspirazione
che può essere spiegato come, negli ultimi vent’anni, a partire dal 2000, ci sia stato una nuova ondata di cineasti
che hanno permesso al mondo di conoscere una cinematografia così radicata nella propria terra che mostrava, in
svariati modi e temi, le problematiche che, a patire dal 1948, anno della nascita ufficiale dello Stato di Israele – e di

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conseguenza della Nakba, cioè l’esodo forzato dei palestinesi espulsi dalle loro terre – affliggono questo lembo di
terra affacciato sul Mediterraneo.
Ma il cinema palestinese, per quanto minoritario nel panorama mondiale, era già presente da anni, anche se in
Europa – e in particolare in Italia dove tuttora i film palestinesi stentano ad avere un mercato – prima del nuovo
millennio difficilmente ha trovato spazio.
È possibile individuare alcuni periodi distinti nella cinematografia palestinese. In “Palestinian Cinema. Landscape,
Trauma and Memory” di Nurith Gertz e George Khleifi, saggio del 2008), ne vengono individuati quattro. Il pri-
mo va dal 1935 al 1948, anno della Nakba (letteralmente la Catastrofe). Il secondo che va dal 1948 al 1967, che gli
autori chiamano “L’epoca del silenzio”, nel quale nessun film palestinese è stato prodotto. Un terzo, dal 1968 al
1982, dopo la Guerra dei Sei Giorni e l’occupazione di Gaza e della Cisgiordania, con film prodotti per lo più in
esilio e l’ultimo che arriva sino ai giorni nostri a partire dall’invasione del Libano da parte di Israele e i massacri di
Sabra e Shatila da parte delle Falangi e di milizie libanesi con la complicità dell’esercito israeliano. Forse, a questi
quattro periodi chiave, ne andrebbe aggiunto un quinto a partire dal 2000, anno della seconda Intifada, che ha
visto la realizzazione di numerosi film con una profonda connotazione politica. Si tratta di film di finzione o di
documentari che, in molti casi hanno varcato i confini palestinesi approdando in Occidente sia nel mercato cine-
matografico ufficiale (e come abbiamo visto, in vari Festival in giro per il mondo), sia in circuiti alternativi. Al di
là del loro valore qualitativo (come tutti i film possono essere più o meno riusciti), rappresentano in ogni caso un
modo per dare visibilità a un popolo in lotta, che alcuni vorrebbero scomparisse.
In realtà definire un film come palestinese non è facile, per la natura apolide di un cinema che rappresenta 9,7 mi-
lioni di palestinesi sparsi per il mondo (è stimato come il 74% dei palestinesi viva all’estero). Il regista nato a Beirut
ma di origini palestinesi Omar al-Qattan definisce “palestinese ogni film impegnato con la Palestina”. Da questo
punto di vista potrebbe essere definiti “palestinesi” anche film realizzati da registi di tutt’altra origine. Tuttavia in
questa breve rassegna si è preferito dar voce a registi nati in Palestina o, comunque di origine palestinese. Verranno
pertanto presentati quattro lungometraggi di fiction che affrontano in maniera diversa lo stesso tema: quello della
difficoltà dei palestinesi a vivere nella propria terra e ad uscirne come cittadini liberi. Ogni film sarà preceduto da
interventi di esperti in questioni palestinesi che porteranno un valido contributo alla comprensione di ciò che la
Palestina sta vivendo.
Aprirà la rassegna Paradise Now di Hany Abu-Assad (2005), film drammatico che narra le ultime 48 ore di due gio-
vani abitanti di Nablus che hanno scelto di sacrificare la loro vita per la Palestina diventando kamikaze.
A seguire l’ultimo film di Elia Suleiman Il tempo che ci rimane (2009) che, utilizzando un registro comico e grottesco,
realizza un excursus, suddiviso in quattro parti, della storia palestinese dal 1948, anno della proclamazione dello
Stato di Israele, ai giorni nostri.
Giraffada, di Rani Massalha (2013) narra in maniera delicata attraverso la vicenda di Yacine, veterinario allo zoo di
Qalqilya in Cisgiordania, e di suo figlio Ziad, la difficoltà della vita in quelle zone.
Successivamente, ancora un film di Hany Abu-Assad, The Idol (2015), che ambienta la vicenda nella povertà di
Gaza. Ispirato alla vera storia di Mohammed Assaf, giovane cantante palestinese che riuscì a uscire rocambole-
scamente dalla Striscia per andare in Egitto a partecipare alla seconda edizione dell’Arab Idol, famoso concorso
canoro dei paesi arabi.
Chiuderà la rassegna una serata dedicata ai cortometraggi di artisti vari provenienti dal Palestine Short Film Festi-
val.

Alle origini del cinema palestinese
Il cinema palestinese prima di Al-Fatah
Se la nazionalità di un film venisse determinata esclusivamente in base al luogo d’origine del suo autore, si po-
trebbe affermare che il secondo lungometraggio prodotto in un paese arabo – e il primo realizzato in Egitto - sia
stato palestinese: Un bacio nel deserto (Qubla fi al-sahra), diretto dai fratelli Lama e presentato al cinema Cosmograf
di Alessandria il 5 maggio 1927. Infatti solo qualche mese dopo - precisamente il 16 novembre – ebbe luogo la
proiezione di Layla, il film cui la critica egiziana attribuisce il merito di aver aperto la storia della cinematografia na-
zionale. I fratelli Lama non fecero ritorno al paese d’origine ed è pertanto impossibile attribuire loro una qualsiasi
paternità sul cinema palestinese, per risalire alla nascita del quale occorre avvalersi della testimonianza di un regista
iracheno, Qasim Hawal. Egli ricorda:

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Nel corso delle ricerche che avevo compiuto sulle origini del cinema palesti-
nese avevo potuto appurare              che uno dei primi nomi che compari-
vano nelle cronache cinematografiche locali era quello di Muhammad Salih
al-Kaiyaly, un operatore che pareva avesse realizzato un cortometraggio
negli anni Quaranta ed un altro film sull’Esercito di Liberazione della
Palestina (Jaish al-tahrir al-Filastini) agli inizi degli anni Sessanta. In
mancanza di precisi riferimenti sulle modalità produttive e le strutture
con le quali al-Kaiyaly aveva realizzato i propri filmati, non mi era stato
possibile approfondirne la figura e l’opera. Nel marzo del 1974, avendo Ibrahim Hasan Sarhan. Primo filmaker palestinese
iniziato a lavorare ad un progetto cinematografico con alcuni palestinesi,
mi recai per una proiezione nel campo profughi di Shatila, non lontano da
Beirut, dove ebbi occasione di conoscere Ibrahim Hasan Sarhan – classe 1916 - che sapevo essere stato regista e operatore. Entrando
nella sua abitazione, fui attratto da una foto appesa ad una parete. Essa ritraeva un uomo intento a studiare, attraverso il mirino
di una cinepresa, un’inquadratura. Attorno alla testa dell’operatore era chiaramente visibile un auricolare. Fu in quel momento che
ebbi l’intuizione di essere arrivato al punto essenziale della mia ricerca storica e di aver probabilmente individuato colui che aveva dato
origine alla cinematografia palestinese.

Ibrahim Hasan Sarhan ebbe il primo approccio col cinema nel 1935, quando il Re dell’Higiaz - l’attuale Arabia
Saudita - visitò la Palestina e il viaggio venne filmato lungo il percorso che conduceva da al-Lidd a Tal Abib (Tel
Aviv) attraverso Yaffa. Alle riprese assistette anche un testimone, al-Haj Amin al-Husaini, che indicò a Sarhan quali
avrebbero dovuto essere i momenti da documentare: i banchetti, le passeggiate e gli incontri con la popolazione.
Il Alm venne presentato dapprima nel corso di una festa a Robin - una località di villeggiatura – quindi al cinema
Amir di Tal Abib.

Poiché si trattava di un film muto - prosegue Hawal nella descrizione dell’incontro con Sarhan -, il regista mi spiegò che ne aveva
accompagnato la proiezione con musiche riprodotte da un grammofono. Venni inoltre a sapere che il girato durava 20 minuti e che
era stato realizzato con una cinepresa a molla del costo di 50 dinari. La cosa dispiaceva ancora a Sarhan, il quale avrebbe preferito
lavorare con un apparecchio a batteria per ottenere un ritmo più costante di ripresa.

L’operatore - per propria ammissione - non era a conoscenza delle decisioni che il Congresso Ebraico Internazio-
nale aveva assunto a Basilea nel 1897 circa l’utilizzo del mezzo cinematografico per propagandare il diritto ebraico
alla Palestina.

Sarhan si rese tuttavia conto - aggiunge Hawal - che gli ebrei giunti in città si preoccupavano soprattutto di riprendere le strade sporche
e i bambini vestiti con indumenti consunti e che i film da essi realizzati, alternando riprese di terreni incolti con sequenze in cui veniva-
no mostrati coloni al lavoro, sottolineavano la produttività dei nuovi insediamenti ed ignoravano quanto veniva quotidianamente svolto
dalla popolazione palestinese. Fu proprio per contrastare la tendenziosità di queste immagini che l’operatore decise di specializzarsi
nel documentario.

Sarhan, dopo il cortometraggio del 1935, realizzò agli inizi degli anni Quaranta un filmato di 45 minuti dal titolo
Sogni avverati. In precedenza egli aveva ricevuto da alcuni ebrei residenti in Palestina l’offerta di dirigere film veri
e propri. Benché l’idea lo avesse affascinato, rifiutò, perché diffidava dell’inesperienza di un gruppo di mercanti,
i quali probabilmente avrebbero utilizzato il suo mestiere più per realizzare guadagni immediati che per dare vita
ad una struttura produttiva vera e propria. E precisava che non aveva voluto assecondare le opinioni politiche di
chi favoriva il permanere in Palestina di una situazione di gravissima tensione. Dopo la realizzazione di Sogni av-
verati, Sahran aprì uno studio professionale e col materiale girato in occasione della sua inaugurazione montò un
documentario che venne proiettato al cinema Faruq di Gerusalemme per due settimane. Il regista, che conosceva
anche la tecnica di laboratorio e possedeva l’attrezzatura per lo sviluppo, realizzava abitualmente i propri film con
velocità impressionante. In occasione della visita a Gerusalemme e Yaffa di un membro del Consiglio superiore
arabo - il Pascià Ahmad Hilmi - Sahran fu in grado di ultimare le riprese alle quindici e di presentare il filmato
alle diciotto presso il cinema al-Hamra. Col ricavato della vendita di quella pellicola - circa trecento sterline pale-
stinesi - acquistò una moviola più perfezionata. Fu in quel periodo che si fece strada nella mente di Sarhan l’idea
di trasformare lo studio che possedeva in un più grande e moderno stabilimento cinematografico. Il progetto

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venne finanziato attraverso l’emissione di titoli che furono acquistati in breve tempo da circa duemila azionisti e
attraverso la costituzione della Società araba del cinema. La struttura che ne derivò immediatamente - lo Studio
Palestina - venne riconosciuta dalle autorità britanniche e registrata a Gerusalemme. L’attività della nuova società
di produzione si concretizzò nella realizzazione di due lungometraggi: Nella notte della festa, un film comico nel
quale vennero impiegati alcuni semplici effetti speciali, e Tempesta in casa. Con lo scoppio della guerra del 1948
Sarhan fu costretto a sospendere l’attività e a rifugiarsi in Giordania, paese nel quale prese parte alla realizzazione
del film Lotta a Jarash (Sira’un fi Jarash, 1957-l958), opera con cui concluse la propria parabola professionale. Il film,
che narrava le disavventure di un turista alle prese con una banda di malfattori, poté essere proiettato in pubblico
grazie al personale interessamento di Re Hussein. Tuttavia sull’attribuzione a Sarhan della piena paternità del film
gli storici del cinema non sono concordi: mentre le dichiarazioni rilasciate dallo stesso cineasta palestinese a Qasim
Hawal farebbero concludere che l’anziano operatore sia stato il regista del primo film giordano, i titoli di testa del
film segnalano che l’autore di Lotta a Jarash sarebbe Wasif al-Shaikh Yasîn e che Sarhan avrebbe preso parte al film
in qualità di operatore.

Il nuovo cinema palestinese
Gli anni intercorsi tra la nascita dello Stato ebraico (1948) e la costituzione di al-Fatah (1º gennaio 1965) non regi-
strarono pressoché alcuna attività cinematografica. Agli inizi del l968 venne creata ad Amman, sotto l’egida della
stessa al-Fatah e per volontà di Hanî Jawhariya, Sulafa Jadallah e Mustafa Abu Ali, l’Unità del cinema palestinese
(Wihdat Aflam Filastin). L’organismo, dotato di scarsissimi mezzi, all’inizio si specializzò in reportage fotografici.
La prima produzione cinematografica dell’Unità fu La terra bruciata (1968), un documentario sugli attacchi militari
israeliani nella regione di al-Aghwar. Nel 1969, dopo aver esposto una serie di immagini relative alla battaglia di
Karama, il collettivo cinematografico di al-Fatah diresse No alla resa (La li al-hai al-silmi), il film che sancì ufficial-
mente l’atto di nascita della cinematografia palestinese. Nel settembre del 1970 l’UCP riuscì a documentare, grazie
alle riprese di Hanî Jawhariya, i massacri perpetrati dall’esercito giordano. Il materiale, mostrato da Yasser Arafat
alla riunione dei Capi di Stato del Cairo, provocò profonda emozione e venne montato da Mustafa Abu Ali sotto il
titolo di Con l’anima e col sangue (Bi al-ruh bi al-dam). Il film ottenne il premio per il miglior documentario alla prima
edizione del Festival del Cinema Giovane di Damasco (1972), prima pellicola palestinese citata dalla stampa all’in-
terno di una manifestazione a carattere internazionale.

Nel l971 l’Unità cinematografica si trasferì a Beirut, dove ebbe la possibilità di incrementare le proprie attrezzature
tecniche. L’anno successivo anche la sezione culturale dell’OLP cominciò a produrre film e nel 1973 il collettivo
cinematografico di al-Fatah dette vita al Gruppo dei cineasti palestinesi (Jama’at al-sinima al-Filastinia), struttura
produttiva che aderì al Centro di ricerche palestinesi (Markaz al-abhath al-Filastinia) e che ereditò le diverse espe-
rienze compiute fino a quel momento dai vari organismi cinematografici operanti dal l965 in poi. Il GCP non
diresse tuttavia che un film, Scene di occupazione a Gaza (Mashahid min al-ihtilat fi Ghaza) di Mustafa Abu Ali. Nel 1974
diede origine a un’ulteriore struttura: l’Organizzazione del cinema palestinese. Nel 1975, dopo dieci anni di attività,
erano stati realizzati 35 film (di cui 19 dall’Unità del cinema palestinese, 5 dal Fronte Popolare di Liberazione della
Palestina, uno dalla fazione di George Habash, 5 dalla sezione culturale dell’OLP, 3 dal Fronte Democratico di
Liberazione della Palestina, uno dal Gruppo del cinema palestinese e un altro dalla Samed Produzioni).

Nel 1979, anno in cui diede vita all’Istituto del cinema palestinese, Mustafa Abu Ali affermava che non era possi-
bile racchiudere l’esperienza cinematografica del movimento di liberazione della Palestina in una semplice defini-
zione geografica, poiché tutto il cinema che documentava quell’esperienza di lotta poteva essere a giusta ragione
definito palestinese. L’affermazione di Abu Ali non conteneva esclusivamente una valutazione politica, ma si ba-
sava soprattutto sull’osservazione del carattere cosmopolita del cinema palestinese: una caratteristica di fondo che
si sarebbe ulteriormente accentuata negli anni successivi.

Alla crescita di questa cinematografia non contribuirono solo i cineasti palestinesi. Momenti importanti della sua
storia furono scritti non solo da registi arabi – l’egiziano Tawfîq Salih, il libanese Burhan Alawiya, gli iracheni Qa-
sim Hawal e Qais al-Zubaydi, i siriani Khalid Hamadah, Muhammad Shahin, Marwan Mud’in, Nabil al-Malih -, ma
anche da registi occidentali (Jean-Luc Godard tra gli altri).

Su questo cinema di intervento e di lotta si ritiene opportuno citare una sintesi autorevole:

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Il cinema palestinese può essere ricondotto a tre componenti essenziali:

1) i cinegiornali. Fin dall’inizio il cinema palestinese si è concentrato sugli avvenimenti per registrarli, commentarli ed analizzarli nei
loro mutamenti e nella loro evoluzione. In rapporto alla rivoluzione palestinese i fatti più importanti sono stati: il piano Rogers del
1969 e le sue conseguenze, la repressione del 1970 in Giordania, i bombardamenti selvaggi dei campi profughi del 1972 e del 1974
e gli assalti militari israeliani nel Libano meridionale (1971) e a Kafr Kuba (1974). La maggior parte delle testimonianze filmate
sugli avvenimenti del periodo sono state realizzate dall’organismo del cinema palestinese mediante la produzione di cinegiornali;

2) i documentari, che possono a loro volta essere suddivisi in due ulteriori filoni:

a) le produzioni basate sull’utilizzo parziale o totale di materiale d’archivio (Tutto va bene, una produzione siriana, Scene d’oc-
cupazione a Gaza, La Palestine vaincra, una produzione francese, e Storia di Sarhan, libanese);
b) i filmati riguardanti le fasi della lotta di liberazione e gli aspetti della vita del popolo palestinese nelle basi militari e nei campi
profughi: La vita al campo di Nahr al-barid, Le nostre piccole case, (due film realizzati dal FPLP), Lontano dalla patria
e Perchè?, prodotti rispettivamente in Siria ed in Egitto. Bisogna inoltre citare i film realizzati in base a illustrazioni o canzoni:
Ricordi e fuoco, La chiamata urgente (prodotti dalla sezione culturale dell’OLP) e Testimonianze di bambini al momen-
to della guerra (realizzato in Siria);

3) i film di fiction. Se si eccettua Sanaud, coprodotto dall’OLP e dall’ONCIC algerino nel 1973, i film di fiction sono tutte rea-
lizzazioni arabe non palestinesi: Gli ingannati di Tawfiq Salih (Egitto), Kafr Qasim di Burhan Alawiya (Libano) e Ombre
sull’altra riva di Ghalib Sha’ath.

A partire dalla metà degli anni Ottanta la maggior parte della produzione palestinese è stata realizzata attraverso
l’Istituto del cinema palestinese – riorganizzato a Tunisi nel 1987 - e la sezione cinematografica del Dipartimento
cultura dell’OLP, attiva nella capitale tunisina dal 1985. Tra i titoli di maggior rilievo realizzati in questo periodo
hanno un’importanza particolare i seguenti: Il sogno (1986) del siriano Muhammad Malas, mediometraggio di fi-
ction sulle aspirazioni dei profughi che vivevano nei campi libanesi prima dell’invasione israeliana del 1982; Cronaca
di un popolo (1988) di Qais al-Zubaydi, documentario dedicato alla storia del popolo palestinese dall’inizio del seco-
lo agli anni Settanta; Il cinema documentario in Palestina di George Khlaifi e Ziad al-Fahum, cronaca del primo anno
d’Intifada; Il pessi-ommista (1990) di Muhammad Bakri, un efficace one-man show del celebre interprete del film
israeliano Oltre le sbarre di Uri Barbash; e Hanna K di Costa-Gavras, tratto dall’omonimo romanzo di Emile Habibi.

Nell’ambito delle produzioni palestinesi realizzate all’estero assume un rilievo particolare l’opera di Michel Kh-
leifi, una delle figure più rappresentative del cinema palestinese degli anni Ottanta. Nato a Nazareth nel 1950,
ha compiuto gli studi a Bruxelles, diplomandosi all’INSAS nel 1977. Khleifi ha esordito nel lungometraggio con
La memoria fertile (Al-dhajira al-khisa, l980), nel quale ha affrontato il tema dei rapporti culturali e affettivi che le-
gano le diverse generazioni di esiliati alla
madrepatria. Attraverso la descrizione del
viaggio di ritorno in Palestina di due don-
ne – un’operaia e una scrittrice - il regista
fornisce non solo un’acuta testimonianza
dell’oppressione cui è soggetto il popolo
palestinese ma anche un’appassionata ana-
lisi della condizione femminile nel mon-
do arabo. Il suo secondo lungometraggio,
Nozze in Galilea (Urs fi al-Jalil), presentato
con successo alla Quinzaine des réalisat-
eurs nel 1988, è una commossa e vibrante
riflessione sulle difficoltà di realizzare nei
territori occupati la pacifica coesistenza di
arabi ed ebrei. Il terzo, Il cantico delle pietre Il regista Michel Khleifi

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                                                                                        (Nashid al-hajar), 1990), è un ulteriore con-
                                                                                        tributo ai temi della lotta di liberazione del
                                                                                        popolo palestinese. Michel Khlaifi ha ulti-
                                                                                        mato nel 1993 il suo quarto lungometrag-
                                                                                        gio: L’ordine del giorno (Jadwal amal).

                                                                            Il cinema palestinese, nell’arco degli oltre
                                                                            vent’anni della propria vita, ha dovuto af-
                                                                            frontare numerosi problemi. I risultati,
                                                                            non sempre positivi, debbono essere inter-
                                                                            pretati alla luce delle specifiche condizioni
                                                                            in cui esso si è formato. In primo luogo
                                                                            occorre sottolineare l’effetto che la stessa
                                                                            diaspora palestinese ha avuto sullo svilup-
Una scena tratta dal film Gli ingannati, di Tawfiq Salih                    po di questa cinematografia, dati i conti-
                                                                            nui spostamenti da un paese all’altro a cui
sono state costrette istituzioni e strutture. Al cinema palestinese sono mancati gli elementi di base per la creazione
di una rete produttiva e distributiva e per la costituzione di un circuito di sale vere e proprie. Per di più ha risen-
tito - e risente tuttora – delle tensioni politiche che il dramma vissuto dalla popolazione palestinese ha creato sia
all’interno che all’esterno del mondo arabo. Nello stesso tempo si è potuto giovare di alcune condizioni favorevoli:
la coerenza con cui i cineasti palestinesi si sono applicati al cinema di diretta documentazione sociale e lo stretto
rapporto venutosi a creare tra i cineasti stessi e le popolazioni dei campi. Più in generale il terreno arduo e contrad-
dittorio della “questione palestinese” ha formato gran parte dei documentaristi arabi contemporanei e l’esperienza
che alla cinematografia palestinese è derivata dalla lunga consuetudine all’osservazione e alla documentazione del
reale ha fornito loro la struttura portante. La lezione realista impartita dal conflitto palestinese ha investito anche il
cinema di fiction, fornendo ad esso non solo soggetti di estremo interesse, ma anche l’esatta chiave metodologica
per coglierne i dati essenziali. I migliori lungometraggi dedicati alla questione palestinese - Gli ingannati di Tawfiq
Salih, Kap Qasim di Burhan Alawiya e Il ritorno in patria di Qasim Hawal - hanno infatti saputo coniugare gli elementi
drammaturgici propri della narrazione di fiction ad una solida intelaiatura realistica mutuata da un’attenta analisi
della situazione presa in esame.

La natura essenzialmente politica della cinematografia palestinese non ha tuttavia soddisfatto le aspirazioni dei suoi
cineasti. Al contrario, essi hanno manifestato in più occasioni il desiderio di assumere funzioni più complesse e di
elaborare progetti linguisticamente più raffinati. Le dichiarazioni rilasciate dal regista Jibril Awad nel corso di una
tavola rotonda promossa nel 1988 dalla rivista “al-Alam” esemplificano chiaramente queste posizioni:

Senza dubbio il cinema palestinese, soprattutto a partire dagli inizi degli anni Settanta, ha svolto una funzione molto importante ed ha
raggiunto un prestigio internazionale non indifferente. Tuttavia esso deve ancora giungere ad un livello sufficientemente alto di maturità
linguistica ed è ancora prigioniero dello stile proprio dell’argomentazione politica. La realtà palestinese è molto ricca e complessa ed il
cinema, rivolgendosi ad essa, deve essere in grado di coglierne i diversi aspetti e di ricavarne trame ed argomenti in cui l’elemento estetico
si sposi con la riflessione propriamente politica. Il cinema deve impegnarsi affinché al popolo palestinese siano restituiti i diritti perduti
e pretendere di allinearsi ad un più alto livello espressivo.

Jibril Awad traeva spunto dal dibattito sul ruolo del cinema nella società palestinese per osservare che

nel mondo arabo i programmi culturali hanno sempre rincorso i progetti politici. Ad ogni manifestazione involutiva del sistema politico
ha puntualmente corrisposto un grave fenomeno di riflusso culturale. Il cineasta palestinese ha vissuto in prima persona questo conflitto
ed ha dovuto convivere non solo con i meccanismi censori messi in atto dai regimi autoritari presenti sulla scena politica araba, ma
anche con il diffuso scetticismo di chi rifiuta di assegnare alle manifestazioni della cultura e dell’arte il giusto rilievo. In molti paesi
arabi il cinema palestinese è stato - ed è tuttora - considerato uno strumento di sovversione politica ed al cineasta che ne è portavoce è
stato concesso un tasso di libertà che variava sulla base degli equilibri tattici del momento. Queste condizioni non ci hanno mai impe-
dito di affrontare gli argomenti che avevamo scelto; hanno in determinati momenti semplicemente impedito che la classe politica araba
spontaneamente ci offrisse l’opportunità di trattarli.

                                                                      8
i quaderni del cineforum 64

 Il cinema palestinese non ha trovato avversari solo all’esterno. Spesso le conseguenze del clima politico generale
sono ricadute sulla società palestinese con effetti ancora più gravi: il dialogo tra la rappresentanza politica palesti-
nese ed i cineasti ha subito bruschi contraccolpi. Adnan Madanat, uno dei più autorevoli critici giordani ed esperto
di cinema palestinese, ha in varie occasioni dichiarato che in realtà il cinema palestinese, fin dalle origini, ha dovuto
sempre faticosamente difendere la propria autonomia dall’invadente tutela dei rappresentanti politici. Ai registi che
cercavano di ottenere finanziamenti venivano richieste precise garanzie e soprattutto si ingiungeva loro di praticare
esclusivamente la strada del documentario. Il controllo politico sul cinema palestinese -prosegue Madanat - si è
esteso anche a questa forma di rappresentazione ed in diverse occasioni si è giunti alla situazione paradossale per
cui era comunque assai arduo realizzare un progetto cinematografico, documentario o di fiction che fosse.

Per concludere questo veloce excursus sulla cinematografia palestinese occorre riportare l’opinione, condivisa da
parte della critica araba, secondo cui una delle vittime più illustri della censura operante in numerosi paesi arabi è
stato proprio il cinema palestinese. Impedendo al pubblico di accostarvisi, è stata minata alla base la sua autonomia
produttiva. In questo modo il cinema palestinese non solo non ha potuto creare le giuste opportunità di autofinan-
ziamento, ma è stato emarginato persino dagli stessi circuiti culturali; con il risultato che neppure i critici hanno
potuto conoscerlo in profondità ed hanno finito col dimenticare che esso non si limitava agli aspetti puramente
cronachistici della documentazione sociale.

Jean Alexan, Il cinema nel mondo arabo, Consiglio Nazionale della Cultura, delle Arti e della Letteratura - Ministero
della Cultura, Kuwait City, 1982, pag. 26 (pubblicazione in lingua araba).
Qasim Hawal, Il cinema palestinese, Dar al-Hadaf e Dar al-Anda, Beirut, 1979, pag. 9 (pubblicazione in lingua ara-
ba).
Jean Alexan, Il cinema nel mondo arabo, Consiglio Nazionale della Cultura, delle Arti e della Letteratura - Ministero
della Cultura, Kuwait City, 1982, pag. 208 (pubblicazione in lingua araba).
Hassan Abu Ghanima, Le cinéma palestinien, dossier pubblicato a cura della Cinémathèque Francaise e della
Cinémathèque Algérienne, Algeri, 1976. Per quanto riguarda i film arabi che hanno trattato più o meno diretta-
mente la questione palestinese, Abu Ghanima ha successivamente pubblicato una filmografia composta di 220
titoli (cfr. Guy Hennebelle, Khemais Khayati, a cura di, La palestine et le cinéma, E 100, Paris, s.d., pp. 243-272)
“Al-Alam” (tavola rotonda a cura della redazione di), Il cinema palestinese: il cammino e gli ostacoli, 4 giugno 1988, pag.
50 (in lingua araba).
Jibril Awad (intervento di) in “Al-Alam”, Il cinema palestinese. Il cammino e gli ostacoli (tavola rotonda a cura della re-
dazione), cit., pag. 10 (in lingua araba).

Testo tratto da:
Andrea Morini, Erfan Rashid, Anna Di Martino, Adriano Aprà, Il cinema dei Paesi arabi, Venezia, Marsilio, l993,
pagine: 165-174

Il cinema palestinese nel terzo millennio
Secondo quanto scrive Maurizio Fantoni Minella nel suo saggio “Spezzare l’assedio – Il cinema del conflitto isra-
elo-palestinese” (Zambon ed., 2013), se Nozze in Galilea di Michel Khleifi è considerato il capostipite della prima
nuova fase del cinema palestinese iniziata verso la metà degli anni Ottanta del XX secolo, Paradise Now di Hany
Abu-Abbas può rappresentare la pellicola che ha dato l’avvio a una nuova stagione della cinematografia palestinese
negli anni 2000. Il film, realizzato nel 2005, racconta l’ultima giornata di due giovani abitanti di Nablus che hanno
scelto la via dell’estremo sacrificio accettando di diventare kamikaze. Primo film palestinese candidato ufficialmen-
te all’Oscar come migliore film in lingua straniera, Paradise Now è anche la prima opera di un regista palestinese a
ottenere una buona distribuzione nei circuiti ufficiali del mondo occidentale e a riscuotere un discreto successo di
pubblico. Sotto questo punto di vista Fantoni Minella ha ragione a considerare il film di Abu–Abbas come il punto
di partenza della nuova fase del cinema palestinese. Anche perché il nuovo millennio aveva già visto importanti
opere di altri cineasti palestinesi di un certo livello, ma tutte con scarsa o nessuna distribuzione anche se con buona
visibilità nei festival.
Pensiamo ad esempio al regista palestinese e cittadinanza israeliana Elia Suleiman che, nel 2002 con Intervento divino,

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                                                                               Cannes e venne poi selezionato per essere
                                                                               nominato all’Oscar, candidatura non anda-
                                                                               ta a buon fine in quanto, ufficialmente, la
                                                                               Palestina non era riconosciuta come stato
                                                                               dall’Onu (anche se per altri le motivazioni
                                                                               dell’esclusione furono di natura politica). Il
                                                                               film di Suleiman, qui al suo secondo lun-
                                                                               gometraggio, racconta con uno stile grot-
                                                                               tesco che a molti ha ricordato l’arte di Jac-
                                                                               ques Tati, indimenticato attore francese, la
                                                                               difficoltà quotidiana del vivere in Palestina,
                                                                               di sviluppare rapporti fra persone sepa-
                                                                               rate dai checkpoint presidiati dai militari
                                                                               israeliani. Una terra in cui la libertà viene
                                                                               raggiunta solo metaforicamente, magari
                                                                               con un palloncino con la faccia di Yasser
                                                                               Arafat che vola nel cielo, superando i posti
                                                                               di blocchi e planando sulla Spianata delle
                                                                               Moschee nel centro di Gerusalemme.

                                                                       Altri registi a partire dal 2000 hanno scritto
                                                                       capitoli importanti della storia del cinema
                                                                       della Palestina. Del 2002 è Ticket to Jerusalem
In alto: Elia Suleiman in una scena tratta da Intervento divino;
                                                                       di Rashid Masharawi, regista e sceneggia-
Sopra: i registi di Route 181 Michel Khleifi ed Eyal Sival
                                                                       tore di Gaza. Anche in questo caso il tema
                                                                       principale è quello della difficoltà di movi-
mento in condizioni di segregazione. Nonostante il discreto successo riscosso fra il pubblico specializzato, il film
di Masharawi ha avuto, da noi, una distribuzione tardiva e solo in home video, a riprova della scarsa attenzione
che nel nostro paese viene data a questa cinematografia, con film che raramente escono al cinema e che, ancor più
raramente, vengono immessi sul mercato dell’home video doppiati in italiano.
Del 2004 è Route 181 – Frammenti di viaggio in Palestina-Israele, monumentale documentario della durata di oltre
quattro ore realizzato a quattro mani dall’israeliano Eyal Sivan e dal palestinese Michel Khleifi. Il titolo del film
fa riferimento alla risoluzione 181 con la quale l’Onu nel 1947 ha definito la divisione della Palestina in due stati,
uno ebreo, l’altro arabo, con al centro una zona internazionale. Una frontiera virtuale che avrebbe portato a un
conflitto lacerante che dura da oltre settant’anni. I due registi, nel 2002, hanno intrapreso un viaggio dal nord al
sud del loro paese, tracciando sulla mappa il percorso e chiamandolo simbolicamente “Route 181”. Nel corso del
loro viaggio incontrano uomini e donne, palestinesi e israeliani di ogni età, civili e militari, riprendendoli nella loro
quotidianità. Ognuno di essi ha un modo proprio per evocare quel confine, che ha disegnato soprattutto un solco
profondo nelle menti e nei cuori delle persone
Nel 2008 Annemarie Jacir, con Il sale di questo mare è la prima donna palestinese a dirigere un lungometraggio. Il film
ottiene un buon successo di critica a Cannes e in numerosi altri festival, senza però essere distribuito nel nostro pa-
ese, dimostrando ancora una volta la scarsa lungimiranza dei nostri distributori. La Jacir si rifarà poi nel 2017 con la
distribuzione nel normale circuito cinematografico del suo ultimo film, Wajib - Invito al matrimonio che vede, come
protagonisti un padre e un figlio, rispettivamente interpretati da Mohammed e Saleh Bakri, padre e figlio anche
nella vita reale. Un film incentrato sui contrasti (e sulla ricerca di un equilibrio): la contrapposizione fra tradizione
e modernità, che si esplicita nel rapporto fra padre e figlio; un film sulle tensioni fra israeliani e palestinesi. Tutta
la pellicola è permeata da questo dissidio, dalla prevaricazione di un popolo su un altro.
Mohammed Bakri è una figura fondamentale della cinematografia palestinese. Personaggio di carisma, iniziò negli
anni Settanta la sua carriera di attore teatrale per poi dedicarsi al cinema. È stato protagonista di numerosi film
diretti da registi di varie nazionalità: israeliani, palestinesi, italiani ed europei, per poi diventare egli stesso regista nel
2002. Lo ricordiamo, ad esempio, in Hanna K. del regista greco Costa-Gavras (1983), in Oltre le sbarre, dell’israelia-
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i quaderni del cineforum 64

no Uri Barbash (1984). In Italia ha lavorato con
Saverio Costanzo in Private (2004) sull’occupa-
zione militare della West Bank e Paolo e Vittorio
Taviani, ne La masseria delle allodole, 2007. Ha in-
terpretato numerosi film diretti da filmaker pa-
lestinesi fra i quali Haifa (1996) e Il compleanno di
Laila (2008) di Rashid Masharawi; Zindeeq (2009)
di Michel Khleifi; le già citate pellicole dirette
da Annemarie Jacir Il sale di questo mare e Wajib;
Giraffada (2013) di Rani Massalha, film nel quale
il protagonista è il figlio Saleh. Mohammed Ba-
kri è considerato uno dei pochi attori palestinesi
ad aver goduto di ampio successo sia in Israele
sia in Palestina. A partire dal 1998 ha affiancato
alla sua attività di attore anche quella di regista,
esordendo dietro la machia da presa con 1948,
documentario sull’esodo palestinese dopo la
proclamazione dello stato di Israele e, successi-
vamente girando Jenin, Jenin (2002), documenta-
rio di denuncia dei crimini commessi dall’eserci-
to israeliano durante l’attacco al campo profughi
di Jenin in quello stesso anno, durante l’opera-
zione denominata “Scudo difensivo”.                   In alto: Annemarie Jacir;
                                                         Sopra: Mohammed Bakri
Parlando di cinema che tratta temi legati alla
questione israelo-palestinese, è impossibile fare
a meno di citare film che, seppur diretti da registi non arabi, hanno uno sguardo solidale e di denuncia su quanto
viene perpetrato sistematicamente ai danni della popolazione che abita la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Oltre ai
già citati Hanna K. e Private è d’uopo accennare a Il giardino di limoni (2008) dell’israeliano Eran Riklis, che era assurto
a fama internazionale qualche anno prima con La sposa siriana (2004). Nel Giardino di limoni la vicenda narrata, tratta
da una storia vera, è quella della battaglia legale di una donna palestinese in difesa del proprio limoneto verso il
Ministro della Difesa israeliano che, per ragioni di sicurezza, ne ordina l’abbattimento.
Da segnalare ancora il documentario dell’italiano Stefano Savona Piombo fuso (2009), che filma l’esistenza quotidia-
na degli abitanti della città di Gaza che, dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009, sono stati assediati con bombar-
damenti a tappeto dall’esercito israeliano. Il regista italiano è riuscito, quasi per caso, a entrare nell’area con la sua
telecamera verso la fine del massacro, raccontando con le immagini il dramma che la popolazione stava vivendo.
Oggi il cinema con tematiche legate alla Palestina e al conflitto arabo-israeliano, si fa lentamente strada, pur se fra
mille difficoltà, nella normale programmazione delle sale cinematografiche. Wajib - Invito al matrimonio è uscito l’an-
no scorso, rimanendo in cartellone varie settimane. All’ultima edizione del Torino Film Festival è stato proiettato
L’uomo che rubò Banksy, interessante documentario che il documentarista Marco Proserpio ha realizzato nel 2018
sull’iniziativa che il famoso street artist inglese Banksy ha intrapreso nella città di Betlemme, realizzando i suoi
disegni sul muro di divisione eretto da Israele e su numerosi edifici privati. Prossimamente verrà distribuito Sarah
& Saleem – Là dove nulla è possibile, prodotto dai fratelli palestinesi Alayan, Muayad nelle vesti di regista e Raimi in
quelle di sceneggiatore.
Piccoli segnali che fanno sperare che anche da noi il cinema palestinese, con le sue tematiche e le sue problemati-
che, possa essere portato alla conoscenza del grande pubblico.

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i quaderni del cineforum 64

Cronologia

Fine XIX secolo: in seno alle comunità ebraiche europee e                     arabe.
americane si sviluppa il Sionismo Moderno, che, prendendo                     1920: trattato di pace di Sèvres fra Intesa e Impero Ottomano.
spunto dalle teorie del giornalista Theodor Herzl, predica il ritorno         Attraverso lo strumento dei mandati Francia e Gran Bretagna
degli ebrei nella Terra Promessa, la biblica Israele. Inizia dunque           si spartiscono il Medio Oriente: ai primi vengono assegnati
un processo di immigrazione verso i territori della Palestina.                Libano e Siria, mentre Palestina, Transgiordania e Iraq passano
Nello stesso periodo, fra le popolazioni arabe soggette all’Impero            agli inglesi. La dichiarazione Balfour viene inclusa nel trattato.
Ottomano, nasce un movimento nazionalista che rivendica la                    Prosegue l’immigrazione ebraica in Palestina: nel corso degli
liberazione e l’indipendenza degli arabi dalla Sublime Porta.                 anni Venti il numero di ebrei salirà di oltre il doppio.
Nella sua declinazione panarabista esso prevede la creazione di               1929: rivolta araba in Palestina. Ritenendosi minacciati dal
un unico Stato arabo dal Maghreb al Medio Oriente.                            sostegno britannico alla causa sionista e a seguito di un conflitto
1915: durante la Prima Guerra Mondiale l’Alto Commissario                     sulla gestione dei luoghi sacri a Gerusalemme, gli arabi danno
britannico in Egitto, Henry McMahon, scrivendo ad al-Husayn                   inizio a tumulti che portano alla morte di centinaia di ebrei
Ibn Ali, uno dei leader del nascente panarabismo e sharif della               e musulmani. La rivolta culmina nel cosiddetto massacro di
Mecca – di fatto il governatore – gli promette l’indipendenza di              Hebron, in cui vengono uccisi più di 60 ebrei.
tutti i territori abitati dagli arabi a conflitto concluso. In cambio         Anni Trenta: con l’ascesa del nazismo in Germania aumenta
Husayn si impegna a fomentare la rivolta contro gli ottomani, che             fortemente l’immigrazione ebraica in Palestina. Gli ebrei passano
avrà effettivamente inizio l’anno successivo.                                 dal 23% nel 1931 ad essere quasi un terzo della popolazione
1916: accordo Sykes-Picot fra Regno Unito e Francia. Le                       totale agli inizi degli anni Quaranta.
due potenze europee organizzano la spartizione dell’intero                    1936: ha inizio la Grande Rivolta araba in Palestina. Con il
Medio Oriente che avverrà alla fine della guerra. Tale accordo                sostegno inglese gli ebrei immigrati avevano intrapreso un
è ovviamente in contraddizione con quanto promesso l’anno                     massiccio acquisto di terre, cacciando e marginalizzando gli arabi
precedente a Husayn.                                                          che le coltivavano in precedenza. I rivoltosi chiedono dunque
1917: il governo britannico rilascia la dichiarazione Balfour, con            una limitazione dell’immigrazione ebraica e dell’acquisizione di
la quale si rende disponibile a creare un “focolare nazionale                 terreni e soprattutto la fine del mandato britannico sulla Palestina.
ebraico” in Palestina. Tale dichiarazione è frutto delle richieste del        L’esercito inglese, sostenuto da alcune milizie ebraiche, riuscirà a
movimento sionista inglese e probabilmente delle pressioni che                reprimere la rivolta solo nel 1939, dopo che le autorità del Regno
l’alta finanza ebraica americana stava compiendo sul governo                  Unito avranno emesso restrizioni all’immigrazione ebraica.
americano per spingerlo a entrare in guerra a fianco dell’Intesa.             1945: nasce la Lega Araba. Essa riunisce Arabia Saudita, Egitto,
La contraddittorietà e la voluta ambiguità sia delle promesse agli            Transgiordania (dal 1946 Giordania), Iraq, Libano, Siria e Yemen.
arabi sia della dichiarazione Balfour saranno fondamentali per                Il suo obiettivo è una cooperazione, che almeno inizialmente è
la nascita delle tensioni fra gli ebrei immigrati e le popolazioni            caratterizzata da un’ideologia panarabista, ai fini della completa
                                                                                                                      decolonizzazione e dello
                                                                                                                      sviluppo dei paesi membri.
                                                                                                                      1947: il governo britannico
                                                                                                                      dichiara che le sue
                                                                                                                      truppe saranno ritirate
                                                                                                                      dalla Palestina, ultima
                                                                                                                      fra i mandati inglesi
                                                                                                                      in Medio Oriente non
                                                                                                                      ancora         indipendente.
                                                                                                                      Si conclude così un
                                                                                                                      decennio di crescente
                                                                                                                      tensione fra i coloni ebrei
                                                                                                                      (spesso organizzati in
                                                                                                                      milizie paramilitari) e il
                                                                                                                      Regno Unito, che era
                                                                                                                      stato sempre più restio a
                                                                                                                      permettere l’immigrazione
                                                                                                                      incontrollata, per non
                                                                                                                      scatenare tensioni con i
                                                                                                                      vicini paesi arabi di recente
                                                                                                                      indipendenza.
                                                                                                                      Dopo l’olocausto l’opinione
                                                                                                                      pubblica occidentale –
                                                                                                                      e in particolare quella
1948: Nakba: l’esodo palestinese                                                                                      americana, data la forza
                                                                         12
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della sua comunità ebraica – guarda con favore alle istanze                   tutti gli eserciti invasori.
sioniste, a tal punto da spingere l’ONU ad approvare un piano di              La crisi di Suez aumenta notevolmente il prestigio di Nasser, che
spartizione della Palestina in due stati, uno arabo e uno ebraico.            diviene il principale portavoce degli interessi del mondo arabo.
Il piano viene accettato dai sionisti guidati da Ben Gurion ma                1964: con il sostegno della Lega Araba nasce a Gerusalemme
rifiutato dagli arabi della Palestina e dei paesi vicini.                     l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. All’atto di
1948: il 14 maggio, alla partenza delle truppe inglesi, Ben Gurion            fondazione l’OLP si propone la liberazione della Palestina per
proclama la nascita dello Stato di Israele. La dichiarazione di               mezzo della lotta armata.
Indipendenza afferma l’eguaglianza sociale e politica di tutti i              1967: guerra dei Sei Giorni. Dopo la richiesta di Nasser all’ONU
cittadini, senza distinzione di religione, razza o sesso. In realtà           di ritirare le truppe di stanza in Sinai lì dislocate dopo la crisi di
Israele si configura immediatamente come uno Stato ebraico, che               Suez e l’alleanza militare fra Egitto e Giordania, Israele sferra un
dunque mira, a dispetto dei suoi principi fondativi, all’omogeneità           violento attacco a sorpresa contro Egitto, Siria e Giordania. Dopo
etnico-religiosa dei suoi abitanti.                                           aver raso al suolo l’aviazione egiziana, l’esercito isreaeliano si
Come immediata reazione la Lega Araba attacca il neonato                      impadronisce in brevissimo tempo dell’intera penisola del Sinai,
Stato, ma viene inaspettatamente respinta dagli israeliani, che               raggiungendo le rive del canale. Strappa inoltre la Cisgiordania e
contrattaccano ed occupano numerosi territori assegnati agli                  Gerusalemme Est alla Giordania e le alture del Golan alla Siria.
arabi con la risoluzione ONU del 1947.                                        La guerra è un totale disastro per gli arabi e produce
Fra il 1947 e il 1948 si compie la nakba (letteralmente “catastrofe”):        conseguenze di vasta portata: oltre alla nuova ondata di profughi
un milione di palestinesi lasciano la propria terra, e si rifugiano           palestinesi, essa segna il declino di Nasser e del panarabismo, lo
nei paesi vicini, venendo condannati a una condizione di perenne              smarcamento dell’OLP rispetto alla politica dei paesi arabi e un
povertà e precarietà. Anche molti ebrei da tempo residenti negli              atteggiamento più moderato di alcuni Stati della zona, in primis
Stati arabi sono costretti a emigrare, la maggior parte proprio               la Giordania. La guerra dei Sei Giorni conferma inoltre l’assoluta
verso Israele.                                                                superiorità bellica di Israele e la grande disorganizzazione degli
1949: gli armistizi fra Israele e i paesi della Lega Araba segnano            eserciti arabi.
un netto avanzamento del confine (provvisorio in linea di principio)          1969: Yasir Arafat, leader del partito Al Fath, assume la guida
per lo Stato ebraico, che annette tutto il territorio della Palestina         dell’OLP, che nello stesso periodo pone la sua base operativa in
mandataria eccetto striscia di Gaza e Cisgiordania (controllate               Giordania. Qui l’organizzazione assume un controllo territoriale
rispettivamente da Egitto e Giordania). Gerusalemme, che                      tale da creare una sorta di Stato nello Stato, ponendo le premesse
secondo la divisione del 1947 avrebbe dovuto essere corpus                    per uno scontro con la monarchia.
separatum, viene divisa in due parti e occupata militarmente                  1970: Settembre Nero. A causa delle frequenti incursioni dei
dalle due fazioni.                                                            feddayn dell’OLP nei territori controllati da Israele e dei tentativi
1952: in Egitto l’esercito rovescia la monarchia e assume il                  dell’organizzazione di rovesciare la monarchia, il re giordano
potere. Due anni dopo Gamal Abdel Nasser rimane l’unico                       Husayn, che dalla guerra dei Sei Giorni si era notevolmente
leader del paese e dà inizio ad una politica riformatrice in senso            avvicinato alle posizioni occidentali, scatena una dura offensiva
socialista e di modernizzazione industriale. Nasser diventa fin               contro i guerriglieri palestinesi. L’OLP è dunque costretto a
da subito il principale portavoce del panarabismo, promuovendo                riparare in Libano. Da questo momento opterà per azioni eclatanti,
in politica estera una maggiore collaborazione dei paesi arabi                come dirottamenti aerei e l’attentato contro gli atleti israeliani
e una marcata indipendenza – anche economica – dalle ex                       nelle Olimpiadi di Monaco nel 1972 compiuto dall’organizzazione
potenze coloniali.                                                            parallela Settembre Nero.
1956: Nasser, reagendo
al ritiro dei finanziamenti
occidentali        per      la
costruzione della diga di
Assuan, nazionalizza la
compagnia che gestisce
il canale di Suez, su cui
inglesi e francesi hanno
forti interessi. Come
reazione Israele invade la
penisola egiziana del Sinai,
mentre Francia e Gran
Bretagna occupano con
le loro truppe la zona del
canale. L’inaspettata ma
ferma condanna di Stati
Uniti e Unione Sovietica
nei confronti dell’operato
delle vecchie potenze
coloniali porta al ritiro di 1967: la Guerra dei sei giorni

                                                                         13
i quaderni del cineforum 64

Il 28 settembre 1970 muore il Presidente egiziano Nasser, a cui             del partito Likud, che rappresenta l’ala destra del movimento
succede Anwar al-Sadat. Quest’ultimo allenterà notevolmente                 sionista.
i caratteri socialisti del governo del predecessore e assumerà              1978: accordi di Camp David. Con la mediazione del presidente
posizioni più vicine agli Stati Uniti, affrancandosi dall’appoggio          americano Carter si giunge all’intesa fra Egitto e Israele, che
sovietico.                                                                  sfocerà nel trattato di pace dell’anno successivo. Il Sinai viene
1973: guerra del Kippur. Durante la festività ebraica dello Yom             restituito all’Egitto, che in cambio garantisce la normalizzazione
Kippur Egitto e Siria attaccano a sorpresa Israele, per tentare             dei suoi rapporti con l’Occidente. L’accordo viene in un primo
di riconquistare i territori perduti nel 1967. Dopo una prima fase          tempo osteggiato da OLP e Stati arabi.
di avanzata, le truppe arabe vengono efficacemente contrastate              Israele interviene per la prima volta in Libano, occupando la
dall’esercito israeliano, che respinge totalmente i siriani dalle           parte meridionale del paese, abbandonata poco tempo dopo a
alture del Golan. Nonostante le conquiste militari siano modeste,           causa delle pressioni dell’ONU.
per l’Egitto (che comunque riesce a riprendere il controllo del             1981: Sadat viene ucciso da un gruppo di integralisti islamici.
canale di Suez) la guerra è una grande vittoria mediatica: Sadat            La sua morte non interrompe l’avvicinamento dell’Egitto
ha infatti lavato l’onta del disastro nella guerra dei Sei Giorni           all’Occidente.
ed è riuscito a infliggere alcune sconfitte all’apparentemente              1982: ritenendosi minacciato dalla massiccia presenza
invincibile esercito israeliano. Dopo essere riuscito a consolidare         dell’OLP in Libano, Israele invade per la seconda volta il paese,
il suo potere, il nuovo Presidente egiziano può ora aprire un               raggiungendo persino la capitale Beirut. L’OLP si rifugia dunque
canale di trattative con gli USA e Israele.                                 a Tunisi. Nasce Hezbollah, organizzazione sciita che ha come
La guerra del Kippur ha conseguenze importanti anche per                    obiettivo la cacciata dell’esercito israeliano e la liberazione del
l’occidente: essa è infatti la causa diretta dello shock petrolifero        Libano.
del 1973.                                                                   Con la probabile complicità dell’esercito israeliano si verifica
1975: svolta filo-occidentale di Sadat. Nel giro di un anno e               un eccidio nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila,
mezzo vengono espulsi i tecnici sovietici dall’Egitto, interrotti i         perpetrato dalle Falangi Libanesi e dall’Esercito del Libano del
rapporti amichevoli con l’URSS e riaperti i traffici attraverso il          Sud, stretti alleati di Israele.
canale di Suez. Vengono in tal modo resi possibili accordi fra              Anni Ottanta: durante gli anni Ottanta nel rapporto fra israeliani
Egitto e Israele, impossibili da immaginare fino a due anni prima.          e palestinesi emergono due sostanziali novità. Intorno alla metà
In Libano scoppia la guerra civile, che per i venticinque anni              del decennio l’OLP guidata da Arafat, così come una parte
successivi vedrà contrapporsi le diverse componenti etniche                 dei paesi della Lega Araba (soprattutto Giordania e Arabia
del piccolo Stato pluriconfessionale, variamente sostenute dagli            Saudita), iniziano a considerare l’opzione di una trattativa con
attori politici del mosaico mediorientale. Il Libano diventa così il        Israele, implicitamente subordinata al suo riconoscimento, in
principale campo di battaglia della regione.                                cambio del ritiro dai territori occupati della striscia di Gaza e
1977: per la prima volta nella storia di Israele i laburisti vengono        della Cisgiordania. Qui il governo conservatore israeliano aveva
sconfitti alle elezioni. Vincitore è Menachem Begin, fondatore              fortemente implementato l’insediamento di coloni ebraici, con il

Il leader dell’OLP Yasser Arafat nel suo discorso alle Nazioni Unite nel 1974

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fine di modificare la composizione etnica della regione. Ciò si           precedente si erano avuti ad esempio il massacro di Hebron,
rivelerà in futuro uno dei principali ostacoli alla soluzione dei due     in cui erano stati uccisi 60 palestinesi e una serie di attentati
Stati e all’intero processo di pace.                                      suicidi compiuti da Hamas). L’uccisione di Rabin viene seguita
1987: nei territori palestinesi scoppia la prima intifada, una            poco tempo dopo dal ritorno al potere del partito Likud, guidato
sollevazione popolare di massa contro l’occupazione israeliana.           da Benjamin Netanyahu.
Nonostante la repressione da parte dell’esercito, la rivolta è un         2000: a seguito del netto aumento della costruzione di colonie
grande successo mediatico: le immagini della enorme disparità             ebraiche nei Territori e della provocatoria visita di Ariel Sharon al
fra i due fronti, simboleggiata dai manifestanti che lanciano             Monte del Tempio a Gerusalemme, esplode la seconda intifada.
pietre contro i carri armati, portano ampio sostegno alla causa           Rispetto alla rivolta del 1987 si caratterizza per una maggiore
palestinese in tutto il mondo.                                            violenza degli scontri e per la partecipazione anche degli arabi
Viene fondato il gruppo palestinese Hamas, braccio armato del             israeliani.
movimento sunnita dei Fratelli Musulmani. Il suo statuto, redatto         2002: viene intrapresa dal governo israeliano la costruzione di
l’anno successivo, si prefigge di eliminare lo Stato di Israele e         un muro che isola quasi del tutto la Cisgiordania che, se per
di sostituirlo con una repubblica islamica palestinese. Nella sua         Israele significa la riduzione delle infiltrazioni terroristiche sul
storia Hamas si renderà responsabile di molti attacchi terroristici,      proprio territorio, per la popolazione palestinese segna un netto
in particolare attentati suicidi.                                         peggioramento delle condizioni di vita, dato che tale barriera
1993: accordi di Oslo. Il nuovo primo ministro laburista israeliano,      spezza le comunità preesistenti e impedisce agli abitanti delle
Itzhak Rabin, e Shimon Peres, suo ministro degli esteri,                  località di confine l’accesso ai servizi e al luogo di lavoro.
decidono di trattare direttamente con l’OLP, considerata come il          2004: l’11 novembre muore Arafat. Insieme all’ascesa di Hamas
rappresentante del popolo palestinese, e con il suo leader Arafat.        questo fatto contribuisce a ridimensionare l’influenza di Al Fath
Gli accordi, raggiunti con la mediazione del presidente americano         sui Territori e in particolare sulla striscia di Gaza.
Clinton, prevedono il ritiro dell’esercito israeliano da alcune zone      2006: le elezioni legislative nell’Autorità Nazionale Palestinese
dei territori occupati, che devono essere governati dalla neonata         vedono la vittoria di Hamas, che conquista la maggioranza
Autorità Nazionale Palestinese, organismo parallelo dell’OLP.             assoluta dei seggi. Nella striscia di Gaza esplode un vero e
Gli accordi sono storici, perché dichiarano il diritto all’autogoverno    proprio conflitto armato fra i due partiti.
del popolo palestinese e prevedono un mutuo riconoscimento fra            2007: Hamas conquista la striscia, mentre in Cisgiordania viene
le parti. Tuttavia essi sono caratterizzati da una serie di pesanti       formato un governo guidato dal leader di Al Fath e dell’OLP
limiti che ne inficieranno fortemente l’efficacia all’interno del         Mahmud Abbas.
processo di pace negli anni successivi: l’assenza di disposizioni         Israele ed Egitto impongono un blocco navale, terrestre e aereo
riguardo le colonie ebraiche nei territori e il rientro dei migliaia      sulla striscia di Gaza. Da questo momento verranno intraprese
di profughi palestinesi sparsi in tutto il Medio Oriente; il nodo         dall’esercito israeliano periodiche operazioni militari contro
di Gerusalemme Est, occupata da Israele, che considera                    Hamas, ormai in totale controllo di Gaza. Le più rilevanti sono
Gerusalemme la propria capitale nella sua unità; l’opposizione            l’operazione Piombo fuso del 2009 e l’operazione Margine di
agli accordi – che tenderà a crescere negli anni successivi – da          protezione del 2014.
parte sia di una larga fetta della destra nazionalista israeliana sia     2011: a Gaza, la sera del 14 aprile 2011, viene rapito da un
dei movimenti palestinesi (Hamas in primis, ma anche alcune               gruppo terrorista dichiaratosi afferente all’area jihādista salafita
frange dell’OLP stesso), nonché di alcuni stati del mondo islamico        (anche se tre di loro smentirono in seguito l’appartenenza al
(Siria, di cui le alture del Golan sono ancora sotto occupazione          gruppo), l’attivista e giornalista italiano Vittorio Arrigoni, unico
israeliana, Iran e Libia); gli accordi, infine, non mettono in            occidentale a essere rimasto nella città durante i bombardamenti
discussione la caratterizzazione di Israele come Stato etnico, e          del 2009. Verrà ritrovato privo di vita il giorno successivo.
quindi l’equazione fra israeliano ed ebreo, in contrasto con la           2018: il 14 maggio gli Stati Uniti spostano la propria ambasciata
caratterizzazione universalistica tipica dello Stato moderno sin          a Gerusalemme, riconoscendola ufficialmente come capitale di
dalla Rivoluzione Francese.                                               Israele.
1995: Rabin viene assassinato a Tel Aviv da un estremista
israeliano. La sua morte è il culmine di un periodo di violenze
da parte dei gruppi più radicali di entrambe le fazioni (l’anno           Cronologia a cura di Alessandro Perucca

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