D'amore": L'antidoto ai virus dell'anima di Vinicio Capossela

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D'amore": L'antidoto ai virus dell'anima di Vinicio Capossela
“In tempo di pestilenza bisogna parlare
d’amore”: L’antidoto ai virus dell’anima di
Vinicio Capossela
Quando in una città, problematica sotto tanti punti di vista, un teatro registra sold out per uno
spettacolo musicale, le risposte sono due: o si sente l’urgenza di riappropriarsi della cultura e degli
spazi cittadini, oppure, ci troviamo di fronte ad un grande musicista, che con la sua arte, riesce a
toccare l’anima di molti o, forse, entrambe le cose.

È il 21 febbraio 2020, la città in questione è Taranto, il Teatro Orfeo è gremito di gente, neanche
un posto libero, impossibile entrare senza biglietto, il concerto di Vinicio Capossela accompagnato
dall’Orchestra della Magna Grecia, è sold out da settimane. Del famoso e letale Coronavirus
neanche l’ombra, arriverà solo qualche giorno più tardi in Puglia, proprio in provincia di Taranto,
lasciando deserti molti luoghi di ritrovo.

“In tempo di pestilenza bisogna parlare d’amore”, esordisce così Vinicio Capossela, solcando il
proscenio ed aggiunge che la sua opera, “Bestiario d’amore”, si rifà ai bestiari medievali e come se
fossimo in una fiaba boccaccesca, ci saremmo isolati per scampare alla peste dei nostri giorni.

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state realizzate da Maddalena D’Amicis.

I bestiari, raccolta di testi che descrivono gli animali, reali o inventati che siano, sono comuni nel
Medioevo ed hanno una forte valenza simbolica, utilizzati spesso per decantare vizi o virtù umane,
molte volte sono accompagnati da illustrazioni, così come l’ultima opera di Capossela, uscita
D'amore": L'antidoto ai virus dell'anima di Vinicio Capossela
negli store il 14 febbraio, composta da un EP accompagnato da un bellissimo libretto illustrato.

Il suo “Bestiario d’amore” si ispira all’omonimo componimento del poeta duecentesco Richard de
Fournival, in cui gli animali sono utilizzati in maniera allegorica, per indagare tutti gli aspetti umani
dell’amore e dell’innamoramento, ne deriva un viaggio introspettivo leggero ed originale, che tiene
incollati alle poltrone del teatro tutti gli spettatori, nessuno escluso, per ben due ore, tra bestie
comuni, rare o mitologiche, tra maschere e cappelli di scena, tra il desiderio di ascoltare il nuovo e
lasciarsi scivolare nei ricordi delle vecchie e rassicuranti canzoni, che magari si conoscono a
memoria, ma che adesso assumono un’altra veste, più completa, più intima.

È l’incanto dell’arrangiamento orchestrale, la magia che l’Orchestra della Magna Grecia riesce a
ricreare, nei componimenti più romantici, senza perdere colpi in quelli più frenetici e ritmati, è
l’impeccabile direzione del Maestro Stefano Nanni, reduce dal successo di Sanremo 2020, nel
quale ha diretto le esibizioni di Raphael Gualazzi, è lo speciale legame e rapporto che si crea da
subito col il pubblico in sala.

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state realizzate da Maddalena D’Amicis.

È semplicemente Vinicio, che riesce sempre a strappare un sorriso, a far riflettere, a far guardare le
cose in modo diverso, a trasportare il suo pubblico tra le pieghe dei suoi mondi fiabeschi ed
insondabili, tra le sue “Canzoni a Manovella”, le sue “Ballate per uomini e bestie, tra “Marinai,
profeti e balene”.

È l’amore, in tutte le sue forme, che trasforma tutte le cose, lo stesso amore che “apre i cancelli allo
zoo interiore che ci portiamo dentro. Attiva in noi il lupo, il coccodrillo e la sirena, ci rende parenti
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stretti del licantropo, del corvo e dell’asino selvaggio, ci rende credibili la fenice e l’unicorno.
Insomma mette in moto e rivela un intero bestiario d’amore, perché l’innamorato è un mostro,
sopraffatto dalla necessità di mostrarsi”, quello stesso amore che Vinicio ci esorta a mostrare, non
solo per l’essere, oggetto del desiderio, ma anche per il luogo in cui viviamo, per le radici e la nostra
storia.

Lo fa lui per primo, nel modo che non ci si aspetta, dice che è felice di vedere il teatro così pieno,
racconta la sua Taranto, dice che le Sirene le ha sentite dopo l’ennesima Birra Raffo, ammiccando al
marchio storico e patrimonio, nell’immaginario collettivo, della città, lo fa esortando l’orchestra,
bestia anch’essa mitologica, mastodonte della musica, come lui stesso la definisce, a mettere una
mano sul cuore quando a suonare il pianoforte è il Maestro Nanni, scherzosamente travestito da
Giovanni Paisiello, con tanto di parrucca settecentesca.

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state realizzate da Maddalena D’Amicis.

Solo un artista con grande estro e grande sensibilità poteva mettere insieme la musica de “Nel cor
più non mi sento”, celebre aria di Giovanni Paisiello, con le parole di Alessandro Leogrande
sulla salvaguardia della città vecchia, parole con cui Leogrande cita Bassani, che racchiudono a mio
avviso, l’essenza di tutta la serata, “la poesia non è il fiore sul vulcano. Brama il contesto,
esige le strutture. È il riflesso della vita, la prova della vita. E, proprio come la vita, non è
mai pura.”

Così, mentre la musica va ed io ancora mi chiedo come sia avvenuto quell’artificio scenico in grado
di avvicinare musica e parole distanti secoli tra loro, per creare un concetto nuovo, capisco il
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“contesto”, capisco il perché di quella mano sul cuore, quell’orgoglio che manca, per la storia, per le
proprie pietre, per la cultura, per le radici, l’amore per una città che fatica a riconoscere le proprie
eccellenze e vocazioni.

“Il tempo non è gentile”, ci ricorda Vinicio, “il tempo è passato troppo in fretta”, penso tra me
e me, troppe emozioni, troppe scosse al cuore, troppi pensieri per un concerto solo, sembra appena
iniziato, eppure è già finito, sembra breve, eppure si esce con l’idea di aver affrontato un percorso,
un vero e proprio viaggio, la metamorfosi di chi cambia per amore, o forse veramente, la musica ci
ha cambiati.

Mentre mi avvio all’uscita, scenari apocalittici misti a credenze medievali, reminiscenze di racconti e
film di fantascienza, miste a fake news e comunicati ufficiali, mi affollano la mente.

Il Coronavirus è alle porte: È forse questo l’ultimo concerto al quale ho assistito?

Smetteremo di frequentare i luoghi pubblici? Ci terremo a distanza di sicurezza?

Smetteremo di abbracciarci? Saremo più simili alle bestie? Dimenticheremo la
solidarietà?
Domande che non hanno trovato ancora risposte, o forse, corsi e ricorsi storici, mediati
dall’immaginario fiabesco al quale ho assistito.

Da lì a poco, sarà la paura ad arrivare, quella stessa paura che svaligia supermercati o farmacie e
scatena l’odio contro chi, suo malgrado, ha solo la colpa di essersi ammalato.

Quando la paura avrà invaso prepotentemente i nostri pensieri più reconditi, allora, l’unico antidoto
sarà l’amore, mentre musica, poesia ed arte, i medicamenti che ci guariranno, ricordandoci che
siamo ancora umani, ecco perché, “in epoca di pestilenze sentiamo la necessità di cantare
l’amor”, diceva il Boccaccio, a metà del 1300 e Vinicio Capossela, ce lo ribadisce oggi, nel 2020.

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D'amore": L'antidoto ai virus dell'anima di Vinicio Capossela
Bugo lascia Morgan: la quarta serata del
70° Festival della Canzone Italiana
La quarta serata della settantesima edizione del Festival della Canzone Italiana, sarà da tutti
ricordata come quella in cui il sodalizio tra Bugo e Morgan, si sgretola sul palco dell’Ariston,
ormai consunto.

La serata precedente, si era chiusa con le votazioni dei maestri dell’orchestra e la relativa classifica,
i cui risultati, sono stati sommati alla classifica complessiva di tutte e tre le serate, ed è proprio con
quest’ultima che si apre la quarta serata.

In testa, Francesco Gabbani, seguito da Le Vibrazioni, Piero Pelù e Tosca, vincitrice nella serata
precedete con la cover di “Piazza Grande” di Lucio Dalla, ultimi Bugo e Morgan, dopo una serie di
polemiche che avevano già infiammato il palco dell’Ariston, ma che non lasciavano prefigurare
quello che sarebbe poi accaduto all’1:45, quasi sul finire della gara canora.

Intanto, parte anche la gara tra le nuove proposte, Tecla e Leo Gassmann sono in finale, ma il
pubblico preferirà “Va bene così” del giovane figlio di Alessandro Gassmann, che vincerà con il
52,5% dei voti, e che, già si era fatto notare ad X Factor.

Il premio della critica “Mia Martini” per la sezione Nuove
Proposte, andrà invece, agli Eugenio in via di Gioia con
l’originale “Tsunami”.
La quarta serata di questo Sanremo 2020, sarà quella in cui si appianano le polemiche con una sana
ironia. Così Tiziano Ferro e Fiorello metteranno tutti a tacere con un bacio rappacificatore, dopo
battutine al vetriolo, ed Amadeus sdrammatizzerà l’ingenua battuta “del passo indietro”, quando
ad affiancarlo nella conduzione sarà Francesca Sofia Novello.

Insieme alla Novello e ad Amadeus, ci sarà anche una scoppiettante e nazionalpopolare Antonella
Clerici, già conduttrice del Festival nel 2010.
Tantissimi gli ospiti anche per questa quarta serata, a cominciare dal grande Tony Renis, che
dirigerà l’orchestra dell’Ariston mentre Fiorello intonerà per il pubblico la sua intramontabile
“Quando, quando, quando”.
Sul palco dell’Ariston anche Ghali, Gianna Nannini insieme a Coez e la bellissima Dua Lipa.

  Rivivi le prime 3 serate del Festival di Sanremo 2020:

  ■   Le donne vogliono essere musica: la prima serata del 70° Festival della canzone
      italiana
  ■   Sanremo è Paolo: la seconda serata del 70° Festival della Canzone Italiana
D'amore": L'antidoto ai virus dell'anima di Vinicio Capossela
■   Sanremo70: la terza serata del 70° Festival della Canzone Italiana

Questo Sanremo 2020 sarà anche l’ultimo raccontato da
Vincenzo Mollica, è Amadeus ad annunciarlo nel corso della
serata, suscitando commozione tra il pubblico.
I tanti momenti di spettacolo però, non riescono a distogliere l’attenzione dalla gara che si fa sempre
più accesa ed agguerrita anche perché, a votare stasera, sono i giornalisti della sala stampa
dell’Ariston.

Fiorello ed Amadeus ce la mettono tutta a cercare di creare un clima disteso, cercando di
appianare le polemiche che a Sanremo non mancano mai e, quando ci sono quasi riusciti, ecco che si
presenta sul palco del tempio sacro della musica italiana, l’imprevedibile.

Tutto filava liscio, e la serata era quasi in dirittura d’arrivo con le gli artisti delle 24 canzoni in gara
che si alternano, come da scaletta, sul palco, quando tocca a Morgan e Bugo.

Morgan sale sul palco, inizia a cantare, e quando si volta Bugo non è al suo posto; è andato via e
successivamente si rifiuta di rientrare mentre c’è sgomento tra Amadeus ed il pubblico tutto,
collegato grazie a Raiplay, da ogni angolo del mondo.

Più tardi si dirà che Morgan ha modificato estemporaneamente il testo della loro canzone “Sincero”,
per inveire contro il compagno di viaggio; e Bugo, stanco, forse, dei tanti capricci di Morgan, abbia
abbandonato il palco per non farci più ritorno, decretando di fatto, la squalifica dalla gara canora,
così come prevede il ferreo regolamento del Festival e con gran rammarico da parte del direttore
artistico che aveva fortemente voluto questa canzone in gara.

Se fosse una trovata di qualche guru della comunicazione
sarebbe geniale.
In fondo è meglio abbandonare la gara squalificati con disonore e montando un enorme polverone
mediatico che finirla, soffrendo, ultimi in classica, perché è questo quello che sarebbe accaduto
senza il plateale litigio.

Diciamola tutta, il duo incriminato non si era fatto amare da subito, anche alla luce delle tante
polemiche montate in continuazione, tanto da finire ogni sera inesorabilmente ultimi in classifica,
nonostante la loro performance, fosse migliore di tante altre in gara.

Malgrado la squalifica di Bugo e Morgan, la gara continua per gli altri 23 artisti e giunge al
termine, anche questa sera, con la consueta votazione.

La sala stampa preferisce, tra tutti, l’intensa “Fai rumore” di Diodato, seguito da Gabbani e da I
Pinguini Tattici Nucleari, mentre non piacciono Alberto Urso, Riki e Nigiotti.

Occhi puntati stasera, per l’ultimo atto di questa gara che si profila sempre più avvincente.
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Sanremo70: la terza serata del 70° Festival
della Canzone Italiana
La terza serata della settantesima edizione del Festival della Canzone Italiana, è quella dedicata alle
cover, i cantanti in gara, infatti, si sono esibiti portando sul palco dell’Ariston quelle canzoni che
hanno reso grande il Festival di Sanremo nel mondo.

La gara si mostra da subito incalzante, del resto, c’erano ben 24 canzoni da ascoltare e giudicare.

L’inflessibile giuria, sarà composta dai maestri dell’orchestra e del coro di Sanremo, che non
valuteranno il brano presentato, ma soltanto, il modo in cui sarà interpretato.

A tenere alto il ritmo, concorreranno le due co-conduttrici, Georgina Rodriguez e Alketa Vejsiu,
che insieme ad un Amadeus, sempre più spontaneo e meno ingessato, accompagneranno lo
spettatore nella ormai consueta maratona canora.

Georgina Rodriguez, compagna di Cristiano Ronaldo, presente in sala, si esibisce in un
conturbante tango, o almeno, ci prova, è, infatti, la prima volta che la modella si cimenta in questo
sensuale ballo.

Alketa Vejsiu, briosa conduttrice albanese, incanta tutti con la sua bellezza e la sua verve ed in un
perfetto italiano, racconta di un paese in dittatura, il suo, in cui non si poteva guardare Sanremo ed i
programmi considerati contro il regime e ringrazia l’Italia per l’accoglienza che ha sempre riservato
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al suo popolo, infine, duetta magistralmente con Bobby Solo, cantando “Una lacrima sul viso”,
ricordandoci che la musica abbatte muri, confini e fa a meno dei passaporti.

La serata scorre talmente tanto veloce, e del resto, Amadeus l’aveva annunciato, che non si ha il
tempo di sentire la mancanza di Fiorello ed anche Tiziano Ferro, ormai ospite fisso, si esibisce una
sola volta.

C’è spazio anche per due ospiti internazionali, Lewis Capaldi e Mika, che omaggia la grande
musica italiana cantando una canzone di De André, anche se il più atteso di tutti è sicuramente
Roberto Benigni, che non calpesta il palco dell’Ariston da nove anni e rispetto ad allora, appare più
posato.

Il premio Oscar racconta all’Italia quella che, secondo lui, è la canzone delle canzoni, la canzone
d’amore più bella che sia mai stata scritta nella storia dell’uomo, il “Cantico dei Cantici” e ne legge
alcuni stralci, regalandoci un momento di pura poesia.

https://youtu.be/TDmCTVpxPu4

Lo spettacolo più grande, però, lo fanno i cantanti in gara reinterpretando quei pezzi che ormai
appartengono alla storia e alla memoria collettiva, alcune volte stravolgendoli, altre invece, facendoli
riacquistare nuova vita.

Volete rivivere le prime due serate del Festival di Saneremo
2020?
■   1a serata
■   2a serata

Anastasio con la PFM, attualizza “Spalle al muro” di Renato Zero, trasformandola in un
incontro/scontro generazionale, mentre Diodato e Nina Zilli, reinterpretano con gran estro 24000
baci, mentre Gabbani svecchia “L’Italiano” di Toto Cutugno.

Rancore con Dardust e La Rappresentante di Lista, ci regalano una intensa “Luce” di Elisa, così
come intense sono “E se domani”, interpretata da Raphael Gualazzi e Simona Molinari e la
bellissima “Ti regalerò una rosa” di Simone Cristicchi, giunto a supportare Enrico Nigiotti.

Insolita l’interpretazione di “Si può dare di più”, con un trio femminile d’eccezione, Levante,
Francesca Michielin e Maria Antonietta, così come insolita risulta “Gli uomini non cambiano”,
interpretata da Achille Lauro con Annalisa.

Alla fine la giuria dei maestri preferirà Tosca accompagnata da Silvia Perez Cruz,
nell’interpretazione di “Piazza Grande”, a metà tra flamenco e fado, la versione rock di “Cuore
Matto” alla Pierò Pelù e “Settanta volte”, il simpatico riassunto medley dei Pinguini Tattici Nucleari,
da “Papaveri e papere” a “Rolls Royce”.

Non piacerà, invece, l’interpretazione di “L’edera” di Riki e Ana Mena, la dance di “Non succederà
più” di Elettra Lamborghini con Myss Keta e la bellissima “Canzone per te”, forse resa troppo
leggera dalla rivisitazione di Bugo e Morgan.
D'amore": L'antidoto ai virus dell'anima di Vinicio Capossela
Non ci resta che attendere stasera, quando questi risultati andranno a sommarsi alla classifica
generale, la gara è ancora aperta.

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Sanremo è Paolo: la seconda serata del 70°
Festival della Canzone Italiana
La seconda serata della settantesima edizione del Festival della Canzone Italiana, inizia con Fiorello
travestito da Maria De Filippi e si evolve nel commovente ricordo di Fabrizio Frizzi.

Fiorello, brio in un contesto un po’ lento, canta, balla e fa divertire il pubblico dell’Ariston che non
smette di regalare standing ovation ai tantissimi ospiti intervenuti nel corso della serata.

Il primo ospite a sorpresa è il campione Novak Doković, seguito da Massimo Ranieri che duetta
con Tiziano Ferro nel celebre brano “Perdere l’amore”.

Tra gli ospiti attesi ci sono anche Zucchero, che infiamma il pubblico dell’Ariston con un medley
eseguito insieme alla sua storica band e Gigi D’Alessio, che festeggia i vent’anni del suo brano “Non
dirgli mai”, in gara al Festival di Sanremo del 2000.

Il momento che tutti attendono da anni però, è quello in cui
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a salire sul palco saranno i Ricchi e Poveri.
La reunion di questo gruppo rappresenta sicuramente un momento storico che ricorderemo nelle
prossime edizioni del Festival. La formazione originale a quattro voci, due femminili e due maschili,
è esistita dal 1967 al 1981 per poi continuare tra svariate vicissitudini, a tre voci ed infine a due
voci.

All’interpretazione dei Ricchi e Poveri si devono brani meravigliosi della storia della canzone italiana
che tutti noi abbiamo ben scolpiti nella mente, come “Mamma Maria”, “Sarà perché ti amo”, “Che
sarà”, eseguiti per l’occasione anche sul palco dell’Ariston.

A coadiuvare Amadeus, ci sono tre bellissime donne, così come era capitato per la prima serata,
l’icona pop degli anni ’80, Sabrina Salerno accompagnata dalle signore del TG 1, Emma
D’Aquino e Laura Chimenti, che porteranno all’attenzione del pubblico, la libertà di stampa e
l’esperienza di essere una mamma lavoratrice.

La seconda serata, che sembra lasciare molto spazio agli ospiti e poco alla gara canora, vede sul
palco anche l’esibizione di Paolo Palumbo, giovane cantautore affetto dalla SLA, insieme al rapper
Kumalibre.

Il suo brano, “Io sono Paolo”, delicato e di una grandissima potenza evocativa, è un
bellissimo inno alla vita che racconta come la sua condizione di malato non gli abbia impedito di
realizzare i suoi sogni.

Paolo, imprigionato in un corpo che non riesce a comandare più, parla utilizzando un comunicatore
vocale che guida con gli occhi, ma nonostante questo non hai mai smesso di sognare, di sperare e di
amare la vita. Il suo insegnamento di ringraziare ed apprezzare anche le piccole cose, è prezioso in
un mondo di eterni insoddisfatti.

Il Festival guidato da Amadeus si prefigura sempre di più, come momento per riflettere oltre che
intrattenere, guadagnandosi a pieno titolo l’appellativo di “Festival dell’inclusione”.

Escluse invece dalla kermesse canora, sono altre due giovani proposte che non passano il turno,
Gabriella Martinelli&Lula e Matteo Faustini.

  Rivivi la prima puntata: Le donne vogliono essere musica: la prima serata del 70° Festival
  della canzone italiana

Peccato per l’esclusione di Gabriella Martinelli&Lula, il loro “Il gigante d’acciaio” avrebbe
meritato sicuramente una chance, soprattutto per la tematica affrontata, ma forse, il riscatto di una
terra martoriata, è un argomento troppo poco sanremese.

Accedono invece alle semifinali, Fasma e Marco Sentieri, che ritorneranno venerdì insieme a Tecla e
Leo Gassmann.
La seconda serata è anche quella degli altri 12 big in gara e
della relativa classifica parziale.
Ultimo Junior Cally, a monito del fatto che le polemiche quest’anno non pagano, preceduto da
Rancore ed Elettra Lamborghini, mentre sul podio della serata troviamo Gabbani, seguito da Piero
Pelù ed I Pinguini Tattici Nucleari.

Intanto la classifica generale, quella delle 24 canzoni in gara, vede trionfare Gabbani, Le
Vibrazioni e Piero Pelù; ultimi, Junior Cally insieme a Bugo e Morgan.

Stasera, la giuria demoscopica lascerà il posto alle votazioni della grande orchestra del Teatro
Ariston ed i cantanti in gara si esibiranno in duetti con ospiti speciali reinterpretando le canzoni che
hanno fatto la storia e reso grande il Festival di Sanremo.

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Le donne vogliono essere musica: la prima
serata del 70° Festival della canzone
italiana
Fiorello apre la settantesima edizione del Festival della Canzone Italiana nel modo più
anticonvenzionale che ci saremmo mai potuti immaginare. Del resto Amadeus l’aveva più volte
annunciato: il suo sarebbe stato un Festival diverso da tutti gli altri ed a giudicare dalla prima
serata, sembra esserci riuscito.
Il presentatore della porta accanto riesce a mischiare bene la tradizionale sobrietà, che da sempre è
cifra stilistica dell’Ariston, con l’informalità di una conduzione semplice e che lascia trasparire le
emozioni della prima tanto attesa.

Mai invadente, Amadeus, lascia spazio alla bellezza ed alla bravura delle prime due co-
conduttrici, Diletta Leotta e Rula Jebreal, abbandonando più volte il palco dell’Ariston persino
trasferendosi fuori dal teatro, in piazza Colombo, dove è presente un altro palco, allestito ad hoc, che
ospita alcune performance dei tanti ospiti presenti.

A quanto pare, è la prima volta che un conduttore abbandona l’Ariston, così come per la prima volta,
Emma Marrone, super ospite della serata, lascia il palco uscendo dal foyer per esibirsi su
un palco esterno.

Emma, che ha debuttato come attrice ne “Gli anni più belli”, il nuovo film di Gabriele Muccino, è
presente a Sanremo insieme agli altri protagonisti del cast, Claudio Santamaria, Pierfrancesco
Favino, Kim Rossi Stuart e Micaela Ramazzotti, per poi regalare al pubblico, un medley dei suoi
successi sanremesi.

Altro super ospite attesissimo, che come Fiorello accompagnerà Amadeus per tutte e cinque le
serate, è Tiziano Ferro che omaggia le canzoni che hanno fatto la storia ed il successo del Festival
come “Nel blu dipinto di blu” ed “Almeno tu nell’universo”, e si commuove nel ricordare Mia
Martini.

L’emozione poi, diventa tangibile quando Diletta Leotta e Rula Jebreal, portano in scena
due monologhi legati alle loro personali vicende familiari; parole e racconti di donne gioiose e
sofferenti, ma sempre forti.

Toccante il racconto di Rula, mischiato ai testi di alcune tra le più belle canzoni della musica
italiana dedicate alle donne e che recita sul finale “Noi donne vogliamo essere musica”: un
auspicio che non si può non condividere.

Forse qualcuno avrà trovato fuori luogo parlare di argomenti forti come la violenza sulle donne,
declinata in più racconti, come quello di Rula Jebreal o come la canzone di Antonio Maggio e Gessica
Notaro, fuori concorso anche se fortemente voluta da Amadeus, ma forse all’Italia serve anche
questo, serve una gara canora per ribadire che la violenza e la discriminazione sulle donne
non è mai accettabile.

Del resto sicuramente questo Festival sarà ricordato per la solidarietà. Il settantesimo infatti è il
Festival in cui la RAI ha dedicato un canale agli utenti con diverse abilità assicurando l’audio-
descrizione in diretta e l’interpretazione in LIS dell’intera manifestazione, comprese le canzoni in
gara.

Sul palco dell’Ariston anche Al Bano e Romina Power, come sempre, garanzia di spettacolo e
successo di pubblico.

La serata scorre senza intoppi, lasciando ampio spazio per gustarsi le prime 12 canzoni dei big in
gara, tra cui spicca l’outfit di Achille Lauro e qualche canzone interessante come quella di
Diodato.

L’inflessibile giuria demoscopica però, decreta al primo posto Le Vibrazioni, al secondo posto Elodie,
seguita da Diodato e Irene Grandi, mentre lascia agli ultimi posti il duetto Bugo/Morgan, Riki e Rita
Pavone.

Tra i giovani passano in semifinale Tecla e Leo Gassmann, mentre c’è trepidante attesa per le
altre 12 canzoni in gara che potrebbero cambiare questa prima classifica parziale.

Attesa anche per la reunion dei Ricchi e Poveri e del duetto di Tiziano Ferro con Massimo
Ranieri

Lo spettacolo e la gara sono appena cominciati.

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Anch’io guardo Sanremo: pensieri sparsi
aspettando il 70° Festival della Canzone
Italiana
“Non credo di esser superiore anche io guardo Sanremo”, per dirla alla The Zen Circus e come la
migliore tra “i qualunquisti”, ad occhio e croce, ho memoria di una trentina di Festival.

Ogni anno, è più o meno la stessa storia, declinata, nella caccia al conduttore perfetto, al totobig dei
cantanti in gara, alla ricerca spasmodica di notizie sulle nuove promesse canore, all’annuncio di
roboanti novità ed ospiti strepitosi.

Insomma, il solito baraccone di sempre, che man mano che si avvicina al fatidico giorno d’inizio, è
sempre più arricchito di particolari più o meno succulenti, immancabili polemiche ed outfit non
azzeccati.

Non bisogna dimenticare poi, il Dopofestival, microsistema di quella macro, attrazione
nell’attrazione, che tira fino a notte fonda, fornendo spunti ancora più accattivanti, meno formali e
più spontanei e che, di solito, è l’unica cosa divertente di tutta la manifestazione.

Il Dopofestival, anzi, dovrei dire, “L’altro Festival”, quest’anno sarà visibile solo su Raiplay,
richiedendo un atto volontario del “gentile telespettatore” che dovrà spostarsi sulla piattaforma on-
line e non potrà seguirlo per inerzia su Rai Uno.

Non ho citato, invece, la musica, le canzoni, il bel canto, perché di musica vera, mi verrebbe da dire,
che negli ultimi anni ne ho ascoltata ben poca.

Se dovessi spiegarlo con le mie parole, direi che il Festival detto “della canzone italiana”, non è altro
che una enorme operazione di product placement che dura ininterrottamente cinque serate,
pubblicità a parte.

La musica e la gara, sono solo il pretesto per mostrare, piazzare il disco sul mercato, aumentare le
quotazioni, e così, intonato o stonato, originalità o arrangiamenti scontati, esecuzione impeccabile o
meno, sono quasi ridotti a discorsi da bar, che magari si rincorrono sui social, approdo finale di tutti
i commenti più o meno sensati sul Festival, forse poi spazzati via dall’ultimo scoop.
Scopri il nuovo numero > Il futuro è aperto
Consapevole di dissacrare il tempio sacro della musica italiana, quello che vide esibirsi Domenico
Modugno, Pierangelo Bertoli e Rino Gaetano, solo per citarne alcuni, sono altresì consapevole che se
spesso ci si lamenta del crollo qualitativo che ha subito la nostra musica negli ultimi tempi, complice
è anche il ruolo di un festival che, invece di educare alla bellezza fornendo prodotti musicali di
qualità, ha preferito adagiarsi ai gusti del mercato, assecondandolo.

Eppure mi piace pensare che, nonostante il contesto ed il contorno, la musica riesca ancora a
trasmettere la sua essenza migliore, riesca ancora ad emozionare e, magari, a far riflettere su una
società diventata profondamente sfaccettata e dai risvolti imprevedibili.

Intanto quest’anno, siamo arrivati alle soglie della settantesima edizione, un’edizione che si
preannuncia sobria, elegante, aperta e democratica e che sarà capitanata da Amadeus, coadiuvato e
circondato da affascinanti donne; non soubrette, vuote bambole da mostrare, ma donne intelligenti,
espressione della femminilità in tutti i suoi aspetti, bellezza, forza ma anche fragilità ed empatia,
sperando che, come spesso accade in questi casi, non si scada nell’ovvio, nella banalità o nel luogo
comune.

Per adesso, a proposito di luoghi comuni, sono le donne a far cadere il “conduttore della porta
accanto” in gaffe, polemiche ed odio di genere per alcuni concetti, forse infelici, forse mal espressi,
ma sicuramente detti con estremo candore, nel corso della tradizionale conferenza stampa di metà
gennaio.

Amadeus paventa un Sanremo “di tutti”, in cui la musica rompe gli argini dell’Ariston e incontra la
gente nella piazza. Il compunto conduttore, si auspica di rappresentare un punto di rottura con tutto
il resto, con le edizioni precedenti, proponendo un Festival che guarda al futuro e, forse, in un certo
qual modo, rinnegando il passato.

Eppure, in occasione di un anniversario così importante, settant’anni, ci si aspetterebbe, una
commemorazione degna di questa istituzione che si è arricchita ed è cresciuta ogni anno, un passo
alla volta, diventando a volte vetrina, a volte specchio di un’Italia che negli anni ha affrontato
profondi cambiamenti.

Non credo che si possa apprezzare la nuova edizione, senza conoscere, almeno un po’, le precedenti,
e del resto, come si può apprezzare la musica contemporanea senza aver ascoltato quella del
passato?

Il passato poi, acquista sempre un alone malinconico che lo riveste di bellezza, man mano che ci si
allontana nel tempo ed è facile pensare che le canzoni delle scorse edizioni siano meglio di quelle
che ci apprestiamo ad ascoltare.

Elucubrazioni che mi accompagnano sempre nel mese di gennaio quando comincia a salire
l’aspettativa per il festival, che da lì a poco verrà messo in scena e che diventano dolore, da un po’ di
anni a questa parte, per l’assenza di grandi come Fabrizio De Andrè e Pino Daniele.

Entrambi, non prenderanno mai direttamente parte alla gara canora, anche se Pino Daniele, nella
scorsa edizione, ha ricevuto il premio alla carriera, un riconoscimento postumo che sicuramente non
rende giustizia ad un musicista così completo.

Così, in attesa di ascoltare le nuove canzoni, mi soffermo sempre a pensare alle canzoni delle
precedenti edizioni, quelle che ho amato da subito e che mi accompagnano sempre, altre, che seppur
amate, via via hanno perso importanza, oppure quelle che in un primo momento non ho notato e che
invece strada facendo, sono diventate colonna sonora di un periodo e un’emozione, anche se la
maggior parte, risultate indigeste, sono rimaste tali.

Eppure, nonostante non sia mai riuscita a farmi piacere il contesto, sempre troppo incentrato sullo
spettacolo e poco sulla musica, aspetto anche quest’anno la kermesse, aspetto di ascoltare le
canzoni, aspetto di tifare per le nuove giovani promesse della musica, aspetto di supportare il
cantante del cuore, così come la maggior parte degli italiani.
Strano popolo il nostro, che si appassiona, si indigna e si scatena in proteste sul web per una
competizione canora, mentre si lascia scivolare nella più profonda indifferenza per tutto il resto lo
riguardi dentro e fuori il Parlamento.

Non credo di essere superiore, anch’io continuo a guardare Sanremo e come ogni anno, cerco di
capire e raccontare una gara dal meccanismo di voto degno della più complessa legge elettorale,
cerco di dare il mio sguardo, sempre un po’ disincantato ma onesto, ma soprattutto, cerco di trovare
buona musica dove non ci si aspetterebbe di trovarla.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

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La musica rende liberi

“A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno
consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione
giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti
saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma
quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore
di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di
una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza:
finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi
di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di
pericolo.”
Queste parole, che ancora oggi fanno riflettere su rigurgiti razzisti, sono quelle contenute nell’opera
di Primo Levi “Se questo è un uomo”, deportato nel campo Auschwitz-Monowitz e salvato dalle
truppe dell’Armata Rossa che il 27 gennaio 1945 arrivarono ad Auschwitz scoprendo, per la prima
volta e con incredulità, le atrocità perpetrate dal regime nazista in quel luogo di tortura e di morte.

I pochi sopravvissuti, come Levi, ripeteranno fino alla fine dei loro giorni quello che accadeva in quel
campo ed in tutti i campi di sterminio nazista, spesso impauriti e con la voce rotta dalla commozione.

Uomini, donne e bambini privati di ogni umanità, non persone e nomi, ma soltanto numeri, come
quelli che gli venivano tatuati sul braccio, numeri mandati a morire nei modi più assurdi ed atroci.

https://www.youtube.com/watch?v=frVkJCXZBLA

“Numeri da scaricare”, gli stessi, forse, della cupa canzone composta da Francesco De Gregori
nel 2005, che esorta a non piegarsi alla logica dell’indifferenza.

Shoah, olocausto, sterminio, genocidio, sono parole che riecheggiano e si ripetono ogni 27 gennaio,
il “giorno detto della memoria”, istituito dalle Nazioni Unite affinché non ci si dimentichi dell’orrore
di quei campi e delle testimonianze di quelli uomini, scampati per miracolo ad una fine tragica.

Racconti reali, ma così assurdi e grotteschi, da sembrare il frutto del più distopico dei romanzi di
fantascienza o dell’ultima accattivante serie TV, come qualcuno, di tanto in tanto, insinua.

È il caso dell’“Orchestra delle ragazze di Auschwitz” (Mädchenorchester von Auschwitz), creata
dalle SS nel 1943, che assolveva gli stessi compiti dell’orchestra maschile del campo, suonare per le
detenute costrette ai lavori forzati o intrattenere i loro aguzzini.
Era pratica usuale, infatti, creare orchestre utilizzando i musicisti detenuti nei campi cercando di
dare parvenza di un clima disteso, che in realtà non esisteva, oppure semplicemente, per offrire
svago alle truppe, ma solo nel campo di Auschwitz-Birkenau, era presente un’orchestra femminile.

Sperando di scampare alla morte, le prigioniere, tra cui erano presenti nomi illustri come Fania
Fénelon e Alma Maria Rosé, la prima, cantante e pianista francese, la seconda, violinista austriaca
e nipote di Gustav Mahler, erano costrette a suonare per tantissime ore al giorno, malnutrite e
vessate dei loro sorveglianti ma, nonostante questo, non smisero mai di portare conforto con la loro
arte, alle altre detenute.

https://www.youtube.com/watch?v=MV9ivuoljGo

Dev’essere questa storia e questo messaggio di speranza ad aver ispirato il brano del cantautore
pugliese Camillo Pace, “Birkenau”.

“Birkenau” non è soltanto il racconto di un viaggio in Polonia, tragica meta turistica, ma il filo
spinato dietro il quale spesso rinchiudiamo insicurezze e paure che non riusciamo a superare, la
gabbia dentro la quale non c’è nessun soldato nazista ad imprigionarci, se non noi stessi e dal quale,
riusciamo ad uscire soltanto grazie alla musica ed al suo potere liberatorio e terapeutico.

Quella stessa musica, asservita al potere nazista, spogliata della sua forma più pura, violentata
anch’essa, in un posto dove non c’è più niente di umano, un luogo dove persino i bambini in un
delirio di onnipotenza e disumanità, vengono mandati a morire nelle camere a gas e le loro polveri
finiscono nell’oblio, trasportate dal vento.

https://www.youtube.com/watch?v=krsp726YPAk

Così “Auschwitz” (La canzone del bambino nel vento), la più celebre canzone sull’olocausto
composta da Francesco Guccini nel 1966, racconta lo sterminio di milioni di ebrei, ammonendo su
tutte le guerre che ancora devastano il mondo.

Quel delirio razzista, non risparmiò neanche gli ebrei convertiti al cattolicesimo, come la santa
Edith Stein, deportata dal convento carmelitano di Echt, nei Paesi Bassi, ad Auschwitz-Birkenau,
dove morì incenerita.

https://www.youtube.com/watch?v=aV_jMq4wass

A lei, nel 1991, Juri Camisasca dedica “Il Carmelo di Echt”, brano dalla forte potenza evocativa e
mistica, successivamente interpretato anche da Franco Battiato.

Nel corso degli anni, molti autori hanno sentito il bisogno di raccontare l’olocausto, pur non
avendolo direttamente vissuto e molti se ne potrebbero citare e ognuno a suo modo, con la sua
musica, ci spinge a non abbassare la guardia, a non dimenticare, a non cadere vittima
dell’indifferenza perché, come recita la definizione scritta per lo Zingarelli 2020, da Liliana Segre:

“Quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore.
L’indifferente è complice. Complice dei misfatti peggiori.”
MEDIMEX 2019: 80mila presenze per
l’International Festival & Music
Conference
C’era una volta il MEDIMEX, il salone dell’innovazione musicale, nato a Bari nel 2011, come salone
espositivo, e da subito delineatosi come una fra le più importanti fiere italiane nel campo della
musica.

Nel corso degli anni, il MEDIMEX ha cambiato volto, spostandosi dai padiglioni della Fiera del
Levante per riempire di senso e musica il centro cittadino, dapprima quello barese e, nelle ultime
due edizioni, quello tarantino.

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Ma MEDIMEX non è solo concerti live, incontri, presentazioni di mostre e libri o film, è una
manifestazione a tutto tondo che dedica ad artisti, operatori e imprese della filiera musicale spazio
per conoscersi, confrontarsi e formarsi grazie a workshop mirati all’accrescimento professionale ed
al miglioramento di competenze specifiche e sempre più richieste sul mercato.

Il progetto targato Puglia Sounds, il programma della Regione Puglia per lo sviluppo del sistema
musicale regionale, non ha deluso le aspettative neanche in quest’ultima edizione, ricca come
sempre di eventi che hanno reso Taranto capitale della musica, aperta e cosmopolita così come si
vede soltanto in pochissime altre occasioni.

Le location più belle e suggestive della città sono state lo scenario ideale della manifestazione, che
quest’anno ha accolto artisti internazionali del calibro di Editors, Liam Gallagher e Patti Smith.

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Ampio spazio è stato dedicato ai cinquant’anni di Woodstock con la proiezione, nel Teatro Fusco, di
tre pellicole dedicate a questo storico avvenimento; tre punti di vista, tre narrazioni e tre visioni
differenti che raccontano i tre i giorni di pace, amore e musica che cambiarono profondamente
l’America, e, di riflesso, il mondo intero.

L’urlo di Joe Cocker, la preghiera laica di Joan Baez, l’indimenticabile esibizione di Jimi Hendrix, la
chitarra ed il ritmo travolgente di Richie Havens, icone del rock raccontate attraverso gli occhi del
regista Michael Wadleigh e del suo rockumentary “Woodstock – Tre giorni di pace, amore e
musica”; ma anche il salto generazionale di “My Generation – Woodstock 1969, 1994, 1999”,
film del 2000 di Barbara Kople, che racconta anche le due successive edizioni del festival mettendo a
confronto generazioni diverse tra idealismo e disincanto; per finire con “Woodstock – Three days
that defined a generation” di Barack Goodman, in anteprima per il MEDIMEX, che si sofferma più
sugli aspetti emozionali di quel pubblico, unito dall’amore per il rock e dai profondi cambiamenti
politici e di costume che la fine degli anni ’60 stava portando.
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Il MEDIMEX non ha voluto celebrare Woodstock soltanto attraverso la cinepresa ma l’ha fatto anche
utilizzando la fotografia e l’occhio di due grandissimi fotoreporter, Baron Wolman e Donald
Silverstein, dedicando loro “Woodstock & Hendrix: THE REVOLUTION”, una mostra fotografica
dislocata in due location, il polo universitario di Taranto e il MarTa (Museo Nazionale Archeologico
di Taranto).

Baron Wolman, fotoreporter della rivista Rolling Stone, fissa quelle istantanee della piana di Bethel
che resteranno per sempre nell’immaginario collettivo, e lo fa spostando la visuale dagli artisti al
pubblico, fotografando facce, espressioni ed intenzioni; Donald Silverstein invece, si sofferma sulla
figura di Jimi Hendrix, fotografandolo in studio e contribuendo all’immagine iconografica del
chitarrista che rivoluzionò il rock. La mostra riesce a combinare bene queste due differenti visuali,
per raccontare quell’epoca in cui la musica cambiò la storia.
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Anche la sezione book stories del MEDIMEX è interamente dedicata a libri che raccontano di
Woodstock, nei suoi vari aspetti.

Il critico musicale Ernesto Assante con “Woodstock ’69 – rock devolution”, racconta Woodstock
attraverso le sue interviste ai personaggi che fecero la storia del concerto, mentre Riccardo
Bertoncelli, nel suo “1969. Storia di un favoloso anno rock da Abbey Road a Woodstock”, offre
una visione più ampia del 1969, anno ricco di avvenimenti che cambiarono profondamente il modo di
fare musica.

Singolare nel suo genere è, invece, il libro presentato da Barbara Tomasino che in “Groupie,
ragazze a perdere”, indaga sul ruolo trascurato delle groupie, ragazze al seguito della band di cui
sono fan appassionate e che si donano totalmente ai loro beniamini, diventando simbolo della
rivoluzione sessuale che attraversò gli anni a cavallo di Woodstock.
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Il MEDIMEX non è solo film, mostre, libri e formazione, ma è soprattutto incontro con gli autori e
musica live.

Da Mezzosangue a Frankie H-RNG, da Piero Pelù a Motta, ognuno con la propria storia da
raccontare, un’esperienza che vale la pena ascoltare, quel dialogo tra pubblico ed autori che spesso
manca e mette distanza tra chi fa musica e chi la ascolta.

Esperienza ed ascolto che il MEDIMEX riesce a catalizzare portando in Puglia performance di
respiro internazionale che danno vita ad eventi live epocali.
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Saranno ricordate la performance degli Editors, preceduti dai Cigarettes After Sex e l’esibizione
di Liam Gallagher, ma resterà nella storia Patti Smith, che con il suo temperamento e la sua
energia ha stregato il pubblico prima nella gremita aula magna dell’Università e poi sul palco della
Rotonda del Lungomare.

Non parla una parola d’italiano e ne è visibilmente dispiaciuta, tanto da scusarsene, ma non smette
mai di dialogare con il pubblico, un continuo omaggio alla città di Taranto ed alla sua gente, tanto da
indossare una maglia del Taranto F.C., un’energia unica e prorompente che pervade la città ed esce
dai confini della performance fine a se stessa.
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Si chiude così, con il saluto della sacerdotessa del rock, l’edizione 2019 del MEDIMEX, ma non è un
addio, è solo un arrivederci al 2020.

80mila presenze, oltre 500 gli operatoti, gli artisti e i rappresentanti di imprese musicali pugliesi che
hanno partecipato alle attività formative di Puglia Sounds, oltre 2milioni e mezzo di interazioni sui
Social, sold out per biglietti staccati e strutture ricettive.

Un risultato che supera ogni rosea aspettativa, ma anche la dimostrazione che basta veramente poco
per valorizzare un territorio dalle enormi potenzialità che aspetta solo di essere scoperto e mostrarsi
al meglio.

Una delle tante dimostrazioni di efficace valorizzazione dei territori depressi utilizzando strumenti
culturali come musica, teatro, cinema, di cui ormai l’establishment della Regione Puglia è ben
consapevole.
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Al margine di pompose presentazioni di sterili, seppur sorprendenti, indicatori economici, il
sentimento di riscatto di una città troppe volte bistrattata ed emarginata, troppe volte dimenticata,
che almeno per qualche giorno si è sentita alla pari delle altre, non più problema ambientale, bensì
bellezza da vivere ed ammirare e pura e semplice normalità.

Sperando che quest’onda positiva venga sfruttata al meglio e non diventi solo un episodio sporadico,
l’appuntamento è per l’anno prossimo, ancora una volta a Taranto, con il MEDIMEX –
International Festival & Music Conference del 2020, che vedrà anche una Spring Edition a
Brindisi.

Curve nella memoria: gli anniversari del
2019 da ricordare a suon di musica
“La mia memoria trae fuori i ricordi da un cappello senza che io sappia perché questo e non quello”,
recitava Franco Battiato nel testo di una sua celebre canzone, infatti pare che ricordare, andare
indietro con la memoria fin dove la mente riesca a spingersi, sembra essere uno dei modi in cui
riusciamo a mantenere la nostra identità, anche se i ricordi sono casuali, ma ci sono fatti ed
avvenimenti che fanno parte dell’identità collettiva e della storia di ognuno di noi, nonostante non li
abbiamo vissuti direttamente.

Questa riflessione è ancor più valida, se è la musica ad ispirare un ricordo, un’emozione o un
avvenimento storico; basta poco, una vecchia canzone che passa in radio, per accendere ricordi
casuali, ma ancora vivi dentro di noi.

Così proprio mentre il nostro giornale compie 5 anni di frenetica attività, abbiamo pensato di aprire i
cassetti della memoria per ricordare insieme pezzi di storia e di vita che ci hanno condotto fin qui,
momenti che magari sono stati epocali per qualcuno, ma che qualcun’altro forse non ricorda
neanche.

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usic Died” (Il giorno in cui la musica morì).

Ad esempio, il 1959, un anno che qualcuno avrebbe ricordato per l’interpretazione di Marilyn
Monroe, protagonista del film “A qualcuno piace caldo” di Billy Wilder, ma anche per la prima
edizione del concorso canoro, il più ambito negli U.S.A., i Grammy Awards, invece sarà ricordato
per “The Day the Music Died” (Il giorno in cui la musica morì).

Il 3 febbraio 1959, infatti, persero la vita in un tragico e fortuito incidente aereo nel Iowa, tre
giovanissime icone del rock: Buddy Holly, The Big Bopper e Ritchie Valens.

Questo nefasto evento, però, non ha impedito a capolavori come “Words Of Love”, “Chantilly
Lace” e “La Bamba”, di varcare la soglia del tempo e giungere fino a noi.

Dieci anni più tardi, nella calda estate del 1969, Neil Armstrong è il primo uomo a toccare il suolo
lunare, un evento vivo nell’immaginario collettivo di chi ha vissuto in diretta televisiva mondiale quel
momento, ma anche nell’immaginario di tutti coloro i quali non erano ancora nati, così come è
ancora vivido il ricordo irripetibile del Festival di Woodstock.
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“3 Days of Peace & Rock Music”, tre giorni di pace e musica rock, un messaggio talmente forte e
travolgente, da rompere la quiete della tranquilla cittadina di provincia per cui era stata pensata “la
Fiera della Musica e delle Arti di Woodstock”, tanto da attirare oltre 400.000 persone, in gran
parte giovani.

  Leggi anche:

  ■   Generazione nostalgia e le tecniche del Vintage Marketing
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      di Virgin Radio

Il 1979, invece, sarà l’anno ricordato per l’ascesa di due donne alle più alte cariche dello
Stato. Margaret Thatcher diventa la prima donna a essere nominata Primo Ministro nel Regno
Unito quasi contemporaneamente, in Italia, Nilde Iotti viene nominata anch’essa per la prima volta,
Presidente della Camera dei Deputati, ma questo è anche l’anno in cui la musica diventa fruibile in
qualsiasi posto, grazie ad un piccolo apparecchio portatile, inventato dalla Sony.
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Il Walkman, lettore portatile di musicassette rivoluzionerà per sempre il modo di fruire della musica
che, da questo momento in poi, scandirà ed accompagnerà la vita di tutti, così come “The Wall”, il
concept album dei Pink Floyd, resterà per sempre una pietra miliare del rock.

Il successo planetario della band britannica, culminò nel 1989 con un concerto a Venezia, unico
nella storia e “Another brick in the wall” proprio in quell’anno, verrà associata ad un altro evento
epocale, la caduta del muro di Berlino, nonostante nella canzone non se ne faccia mai riferimento
esplicito.

Soltanto dieci anni dopo la caduta del muro e la fine della guerra fredda, il 1° gennaio 1999, gli
europei assistono alla nascita della moneta unica, l’Euro, che cambierà radicalmente la politica
economica dei singoli Stati e gli scambi commerciali con il mondo, mentre l’Italia, perdeva uno dei
più grandi poeti e musicisti del suo paese, Fabrizio De Andrè, stroncato da un tumore l’11
gennaio.

Una perdita talmente tanto dolorosa, da non essere ancora superata; De Andrè, il cantautore degli
ultimi, è vivo nei cuori degli italiani che ogni anno, il giorno dell’anniversario, si radunano
spontaneamente nelle piazze per ricordarlo cantando le sue canzoni.
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EURO.

Il 2009 consacrerà il primo Presidente afroamericano della storia, Barack Obama, mentre l’Italia
piangerà le vittime del terremoto dell’Aquila, un avvenimento che segnerà profondamente il nostro
paese.

La reazione al terremoto, sarà un collettivo di “Artisti Uniti per l’Abruzzo” che inciderà un singolo
“Domani 21.04.2009”, cover di un brano di Mauro Pagani, che devolverà in beneficenza circa un
milione di euro per la ricostruzione e la salvaguardia delle opere d’arte.

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i per l’Abruzzo.
Intanto, ascoltando canzoni e ricordi, siamo arrivati al 2019, l’anno in cui i lavori per la
ricostruzione del terremoto dell’Aquila non sono ancora stati terminati e urgono più che mai; l’anno
in cui, “commemorare” deve significare anche “ricostruire”, rimettere insieme quei pezzi di storia
sparpagliati, ridare un senso agli avvenimenti, nuova vita alle cose, non dimenticare le vittime.

Chissà se quest’anno ci regalerà pezzi di canzoni intramontabili “angoli del presente che
fortunatamente diventeranno curve nella memoria, quando domani ci accorgeremo che
non ritorna mai più niente, ma finalmente accetteremo il fatto come una vittoria”, come
questo capolavoro di Francesco De Gregori del 1992.

Isola di fuoco: Il concerto per visioni di
Colapesce
Certe emozioni non si possono raccontare con l’immediatezza dettata dai tempi giornalistici, per
comprendere ed assaporarle, è necessario lasciarle sedimentare negli strati più profondi della
coscienza per ristabilire un collegamento con quanto più di ancestrale ci appartiene.

È il caso di “Isola di fuoco”, progetto ideato dal cantautore Colapesce che prende vita
dall’omonimo documentario, girato in Sicilia alla metà degli anni ’50, dal maestro Vittorio De Seta.

De Seta, uno dei più grandi documentaristi che l’Italia abbia mai conosciuto, nel 1954 gira sull’isola
di Stromboli, il suo capolavoro, premiato l’anno successivo al Festival del Cinema di Cannes,
raccontando un mondo prevalentemente rurale, in cui sudore, fatica, fame e sacrifici, sono spezzati
da momenti conviviali e feste tradizionali religiose.

Uomini e donne, con i volti segnati dal rovente sole siciliano, vivono in un costante rapporto
simbiotico con il mare, la terra ed il vulcano, dove sussistenza ed opulenza si mischiano e fervore
religioso e credenze popolari si confondono.
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