UN CROCEVIA DI POPOLI - Kit didattico - Museo M9
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Kit didattico UN CROCEVIA DI POPOLI Materiale di approfondimenti prima della visita + Percorso autonomo in Museo + attività supplementare dopo la visita Scuola: Secondaria di I grado / 11-14 anni Discipline: Storia, geografia, italiano Il kit permette all’insegnante di preparare gli alunni alla visita di M9 - Museo del ’900 e di condurli in autonomia attraverso le installazioni multimediali concentrando l’attenzione sul tema delle migrazioni e dei movimenti di popoli. Obiettivi del kit ➔ Avvicinare gli alunni al fenomeno “migratorio”; ➔ Acquisire consapevolezza della profondità temporale e della dimensione geografica del fenomeno; ➔ Acquisire consapevolezza della complessità e dell’interrelazione reciproca tra fenomeni storici; ➔ Introdurre i concetti di “integrazione” “inclusione” e avvicinare all’idea della storicità delle culture e delle norme sociali; ➔ Educare all’empatia e alla comprensione come portato del metodo storico; ➔ Facilitare l’educazione alla diversità; ➔ Osservare i luoghi e la società in cui si vive e collocarne il mutamento nel tempo. Il kit e il percorso si allineano alle indicazioni nazionali per la scuola secondaria di I grado, nell’obiettivo complessivo di formare cittadini consapevoli e responsabili a tutti i livelli e interpretando le discipline come punti di vista sulla realtà e come modalità di conoscenza, interpretazione e rappresentazione del mondo. Contribuisce a sottolineare come la ricerca storica e il ragionamento critico sui fatti essenziali relativi alla storia italiana ed europea offrano una base per riflettere in modo articolato ed argomentato sulle diversità dei gruppi umani che hanno popolato il pianeta, a partire dall’unità del genere umano. Implementa l’idea che ricerca storica e ragionamento critico rafforzino la possibilità di confronto e dialogo intorno alla complessità del passato e del presente fra le diverse componenti di una società multiculturale e multietnica. Risorse del kit ➔ Scheda docente. ➔ Materiali di approfondimento preliminari alla visita. ➔ Scheda percorso in museo “Un crocevia di popoli”. Tempo 2h | min. 15 alunni | 8 € a studente + 2 accompagnatori gratis. ➔ Attività dopo la visita.
Scheda Docente Molti di noi hanno un parente emigrato per cercare fortuna o un conoscente arrivato in Italia per lo stesso motivo. La nostra penisola – come e più di altri Paesi – è sempre stata terra di arrivi e partenze. Nel ’900 i flussi migratori si sono amplificati, diventando un fenomeno di massa. Questo kit didattico racconta gli spostamenti nazionali e internazionali di milioni di persone, rendendoci partecipi delle loro paure, delle loro rinunce, delle loro aspettative e dei loro successi. Mostra l’interconnessione tra fenomeni storici e avvicina i ragazzi ai concetti di empatia e di comprensione impliciti nel metodo storico. ➔ In classe prima della visita si avrà un’introduzione al fenomeno migratorio; ➔ In museo si potranno vedere le interconnessioni tra i fenomeni migratori e le altre grandi trasformazioni del ’900 italiano; ➔ A casa dopo la visita si applicherà il concetto di empatia e di comprensione come bagaglio del metodo storico, prendendo le migrazioni come tema di lavoro. Gli argomenti del kit Popolazione, famiglie, migrazioni, salute e medicina, mezzi di trasporto, fabbriche e produzione industriale, città e campagna, lingua e dialetti, cultura e formazione, benessere. È possibile ampliare alcuni degli argomenti approfonditi in questo percorso grazie agli altri kit dedicati a singole tematiche. Integrazione con le indicazioni nazionali per la scuola secondaria di I grado ➔ Finalità: Formare la coscienza storica dei cittadini e motivarli al senso di responsabilità nei confronti del patrimonio e dei beni comuni; curare le aree di sovrapposizione tra la storia e la geografia in considerazione dell’intima connessione che c’è tra i popoli e le regioni in cui vivono; formare per l’educazione linguistica i processi di produzione e di organizzazione delle informazioni primarie e inferenziali, le capacità che si acquisiscono studiando con metodo i testi allo scopo di apprendere il lessico specifico e imparare a concettualizzare esponendo in forma orale e scritta. ➔ Obiettivi: Acquisire conoscenza dei diversi e profondi legami, dei conflitti e degli scambi che si sono svolti nel tempo fra le genti del Mediterraneo e le popolazioni di altre regioni del mondo, rende comprensibili questioni che, altrimenti, sarebbero interamente schiacciate nella dimensione del presente. ➔ Competenze: L’alunno si informa in modo autonomo su fatti e problemi storici anche mediante l’uso di risorse digitali. Produce informazioni storiche con fonti di vario genere – anche digitali – e le sa organizzare in testi. Comprende testi storici e li sa rielaborare con un personale metodo di studio. Espone oralmente e con scritture – anche digitali – le conoscenze storiche acquisite operando collegamenti e argomentando le proprie riflessioni. Usa le conoscenze e le abilità per orientarsi nella complessità del presente, comprende opinioni e culture diverse, capisce i problemi fondamentali del mondo contemporaneo. Comprende aspetti, processi e avvenimenti fondamentali della storia italiana dalle forme di insediamento e di potere medievali alla formazione dello stato unitario fino alla nascita della Repubblica, anche con possibilità di aperture e confronti con il mondo antico. Conosce aspetti e processi essenziali della storia del suo ambiente. Conosce aspetti del patrimonio culturale, italiano e dell’umanità e li sa mettere in relazione con i fenomeni storici studiati. ➔ Capacità: acquisire la capacità di ricostruire i fatti della storia e i loro molteplici significati in relazione ai problemi con i quali l’uomo si è dovuto confrontare, fino alle grandi questioni del presente. Costruire grafici e mappe spazio-temporali, per organizzare le conoscenze studiate. Collocare la storia locale in relazione con la storia italiana, europea, mondiale. Formulare e verificare ipotesi sulla base delle informazioni prodotte e delle conoscenze elaborate.
Materiali di approfondimento preliminari alla visita Obiettivi dei materiali ➔ Introdurre i ragazzi al tema delle migrazioni; ➔ Mostrare la persistenza nel tempo e la dimensione spaziale delle migrazioni; ➔ Nel tempo sono cambiate le direzioni, i percorsi, le durate, le composizioni sociali dei gruppi che si sono mossi, ma non cambia la necessità che l’uomo sente di spostarsi; ➔ Introdurre i concetti di “integrazione” e “inclusione”; Metodo Tutte le attività della lezione possono essere svolte come gruppo classe intero, in piccoli gruppi o individualmente. Per ogni fase, è opportuno dedicare uno step conclusivo per condividere le risposte di tutti con l’intero gruppo classe. Si prevede per ogni argomento un tema per l’introduzione dell’insegnante. Argomento 1: una storia millenaria ➔ Introduzione L’Italia è da sempre un crocevia di popoli. Collocata geograficamente in una posizione che si presta a fare da tappa, da punto di partenza o da punto di arrivo, è attraversata da movimenti di popolazione sin dall’età preistorica. Lo stesso mito fondativo principale della nostra penisola racconta la storia di un’emigrazione, di una fuga e di una colonizzazione: è il racconto dell’Eneide. Buona parte della nostra cultura è frutto di vari sincretismi, ovvero della mescolanza e fusione di elementi culturali diversi. Questi movimenti sono però diventati di massa nel ’900 e sono stati causa e conseguenza di moltissimi altri fenomeni: prendendo le migrazioni come punto di osservazione, il docente potrà guidare la propria classe alla scoperta delle trasformazioni del paesaggio e dell’economia, del linguaggio, delle tradizioni popolari e delle abitudini di consumo, delle famiglie. ➔ Occhio alle fonti: Il testo da leggere è tratto da Giovanni Pizzorusso, Mobilità e flussi migratori prima dell’età moderna: una lunga introduzione, in “ASEI, Archivio Storico dell’Emigrazione Italiana”, 15/06/2007. Cerca su internet notizie dell’autore e sulla rivista in cui è pubblicato l’articolo. Chi è? Che mestiere fa? Che epoca studia? Che tipo di rivista è? La possiamo considerare una fonte affidabile? Perché? 1. Posta al centro del Mediterraneo, punto d’incontro di tre continenti, la penisola Perché la italiana ha visto la costante presenza di correnti migratorie di popolazione fin dai penisola tempi preistorici. All’incirca a partire dal 2000 a. C. giunsero, con un movimento “a italiana è tenaglia” da nord e da sud distanziato nel tempo, i grandi flussi di popolazione di sempre stata lingua indoeuropea che formarono le varie popolazioni italiche. In epoca storica si caratterizzata collocano le prime immigrazioni celtiche (VI-IV sec. a. C.) che contrastarono la da correnti colonizzazione etrusca dell’Italia settentrionale. Inoltre comunità fenicie si migratorie? attestarono nelle stazioni commerciali di Sardegna e Sicilia. Successivamente si affermarono in Italia meridionale le colonie greche, originate in un primo tempo da Quali popoli autonomi flussi di popolazione agricola e proseguite nell’età classica da stanziamenti abitarono la organizzati sotto l’egida delle città elleniche, che dettero luogo alla formazione di un penisola? tessuto urbano nella cosiddetta Magna Grecia. Dal III sec. a. C. si sviluppò la colonizzazione romana che, all’inizio, rispondeva a Come era esigenze di carattere militare, costituendo a un tempo la ricompensa ai legionari sotto gestita forma di terre da abitare e l’opportunità di sottomettere e controllare, attraverso la nell’antica colonizzazione, le popolazioni vinte. Ma dalla fine del II secolo a. C. le conquiste Roma la militari offrirono possibilità di stanziamento per la plebe romana e si sviluppò così un coabitazione tra ampio e continuato movimento di popolazione romana e italica nella Penisola e oltre. popoli diversi?
Parallelamente, l’Italia era il luogo d’arrivo di schiavi di etnie diverse convogliati in occasione delle campagne militari romane. L’integrazione degli stranieri a Roma avveniva soprattutto dal punto di vista politico. Si mantenevano invece le differenze tra i vari popoli. Venne così a costituirsi una società multietnica che si confrontava con le gentes al di là del confine. Per tutta l’età antica il Mediterraneo e l’Italia furono quindi al centro di spostamenti umani di diversa natura che incisero in vario modo nelle società di arrivo, ad esempio dal punto di vista della legislazione favorevole o sfavorevole all’accoglienza e all’integrazione dello straniero, oppure a livello della mentalità con lo sviluppo di atteggiamenti xenofobi, come nel caso delle espulsioni coatte quali quella degli ebrei da Roma del I secolo d.C (…) L’età tardo-antica e l’inizio del medioevo coincisero con una fase secolare di Che cosa movimenti di popolazione conosciuti generalmente come invasioni barbariche. (…) A comportò sul partire dal IV secolo, sotto la pressione dei popoli asiatici (unni, avari), i barbari piano “germani” irruppero nella parte occidentale dell’Impero, più debole rispetto geopolitico all’Oriente. (…) Per la prima volta dall’antichità risultò frazionata in unità politiche l’arrivo dei diverse. (…) La divisione politica della penisola italiana (destinata a durare fino al barbari? 1870) ebbe anche conseguenze durature sulla mobilità delle persone. Anche prima di costituire delle unità coese dal punto di vista geo-politico, queste realtà territoriali tesero comunque a esercitare un controllo sulle persone e sui loro spostamenti. (…) Nel frattempo in Sicilia si era stabilita una cospicua e variegata presenza musulmana Quale influsso in costante contatto con l’altra sponda del Mediterraneo e con le differenti etnie ebbero gli Arabi (berberi e arabi) che la abitavano. Nella loro secolare permanenza dall’832 al 1130 gli in Italia? arabi esercitarono una notevole influenza in campo economico e culturale. Questa presenza si arrestò e iniziò a declinare con la conquista normanna dell’isola. Provenienti dalla Scandinavia i normanni si erano attestati nella Francia del Nord e nell’Inghilterra orientale, giungendo poi nel Mezzogiorno italiano. (…) 2. L’arrivo dei normanni si inserisce in un quadro dell’Italia medievale che, malgrado il Perché frazionamento politico, comincia a definirsi come unitario, nonostante le forti dall’anno Mille differenziazioni interne, in particolare la divaricazione tra il Nord e il Sud della aumentarono i Penisola. All’interno di un processo che investe l’intera Europa, la penisola italiana fenomeni conosce – già a partire dal Mille – un complessivo processo di crescita demografica e migratori? economica. In tale contesto anche i fenomeni di mobilità geografica a breve, medio e lungo raggio Qual è la aumentano considerevolmente. Da una fase tardo-antica e alto medievale nella quale principale la Penisola è stata oggetto di successive invasioni, che si presentano come flussi differenza c’è migratori di interi popoli, si passa a una situazione di spostamenti più diffusi che tra le coinvolgono realtà locali e situazioni individuali. Con una sommaria generalizzazione si migrazioni potrebbe dire che dall’era delle migrazioni dei popoli si passa a quella della dell’antichità e migrazione degli individui. (…) quelli medievali? Il composito quadro offerto dall’Italia bassomedievale e molte delle tipologie Perché è migratorie che ne fanno parte costituisce una base di partenza per un’analisi di lungo importante periodo dei fenomeni migratori che si prolunga nei secoli dell’Età moderna fino alla studiare le fine dell’Ottocento e al Novecento, all’epoca dei grandi mutamenti socio-economici migrazioni determinati dalla transizione demografica e dalla rivoluzione industriale. (…) medievali? In generale, tranne il caso della mobilità dei poveri e dei vagabondi in cerca di carità e di assistenza, in età medievale e moderna le migrazioni furono in misura prevalente Qual è la determinate da motivi di lavoro o professionali, non solo e non tanto legati alla ricerca principale di un’occupazione qualunque, ma anche e soprattutto all’offerta da parte del ragione alla migrante di un determinato lavoro, di una competenza tecnica e di un “mestiere” (già base delle posseduti in origine) laddove questi potevano costituire una risorsa maggiormente migrazioni?
valorizzata. (…) 3. Nell’Italia centro settentrionale la società urbana viveva una fase di espansione Verso quali poli attirando popolazione sia dal contado, sia da luoghi più remoti. Le città infatti di attrazione rappresentavano centri di offerta di lavoro che attraevano manodopera, da quella vanno gli specializzata a quella non qualificata, in un contesto generale di crescita demografica Italiani che si che dal Mille arriva fino al Trecento. (…) Il contesto politico-economico della Penisola, muovono nel con la sua instaurazione di un sistema dualistico (diviso da una fascia intermedia di medioevo? passaggio) e complementare tra le due Italie formate dalle aree del Nord e del Centro e da quelle del Sud e delle grandi isole, va ulteriormente inserito in un panorama europeo e mediterraneo nel quale l’Italia urbanizzata aveva assunto un ruolo centrale, un primato economico, politico e culturale. In tale spazio europeo, che si mantenne grosso modo dal XII al XVI secolo unificandosi progressivamente soprattutto nei rapporti economici (dalle fiere, allo sviluppo degli strumenti finanziari, alla diffusione della cultura giuridica), la funzione di polo di attrazione e di spinta delle città italiane stimolò una vasta gamma di flussi migratori e di spostamenti di individui, di personaggi “di qualità” professionale e economica. All’interno di questo “sistema di rapporti”, nel quale restarono in vigore forme di mobilità a breve raggio, si sviluppò la rete degli spostamenti a lunga distanza degli italiani. La lunghezza del trasferimento non sembra essere tuttavia l’elemento decisivo nella Quali fattori scelta delle destinazioni. La decisione individuale di partire si inseriva in una strategia contribuiscono familiare nella quale la migrazione di un membro faceva parte di una valorizzazione a scegliere la complessiva delle risorse a disposizione. Inoltre tali decisioni si formavano spesso in meta delle un contesto comune a tutto il paese d’origine anche per la necessità di appoggiarsi a migrazioni? compaesani precedentemente emigrati. Si creavano così dei percorsi consuetudinari che collegavano un determinato luogo di partenza a uno d’arrivo. (…) 4. In generale il fenomeno dell’urbanesimo si presenta quasi sempre come Quali mestieri “selezionato”. Si cercava di impedire l’arrivo dei poveri e dei vagabondi a vantaggio di portavano coloro che potevano contribuire alla ricchezza cittadina. Inoltre, nei principali centri di spesso le produzione manifatturiera, l’immigrazione, anche da grande distanza, di personale persone ad qualificato in determinate attività veniva incoraggiata con politiche fiscali. (…) La emigrare? mobilità dei religiosi era altrettanto diffusa, in particolare per i membri di quelle strutture “internazionali” che sono gli ordini regolari. (…) Un’altra professione che induceva allo spostamento era quella militare, che ovviamente aveva una connotazione maschile (…) Ancora su base di genere, questa volta femminile, era lo spostamento delle serve e delle nutrici, un fenomeno di lunga durata per tutta l’età moderna. La pratica di questi mestieri era intrinsecamente legata allo spostamento, nella maggior parte dei casi non definitivo, non di rado con caratteri di stagionalità, di ingenti gruppi di popolazione, per lo più originaria di zone di montagna e collina alpina e appenninica. I grandi mercanti e banchieri italiani che si muovevano in un contesto geografico più vasto, l’Europa della “Repubblica internazionale del denaro” (…) queste figure (in particolare i lombardi e i toscani, soprattutto fiorentini, lucchesi e senesi) si imponevano nell’Europa cristiana e anche oltre, attraversando il Mediterraneo e intessendo relazioni con il mondo islamico. Inoltre essi si affermavano come prestatori di denaro delle monarchie, con i rischi che ciò comportava. La creazione di una rete di rapporti e l’utilizzo di tecniche finanziarie erano gli atout dei mercanti e banchieri italiani presso le corti e le fiere del Nord Europa e negli avamposti mercantili. Inoltre erano italiani i rappresentanti del papa che andavano a riscuotere le tasse pontificie. (…) Questi rapporti spiegano l’origine di un Cristoforo Colombo, che
è tuttavia solo il caso più noto di un fenomeno più generale riscontrabile, ad esempio, esaminando le liste degli equipaggi. Questa presenza composita, dal mercante all’artigiano, all’uomo di mare, ha consentito agli italiani di inserirsi precocemente nei commerci con il Nuovo Mondo. (…) Un ultimo sguardo alla mobilità che ha investito la Penisola nel tardo medioevo mette in rilievo vasti fenomeni che riguardano soprattutto aree rurali. Dall’Europa orientale balcanica (albanesi e slavi) partì un movimento di immigrazione che, originato dalla decadenza economica generale di quell’area e incentivato dalle crisi portate dalla repressione turca, approdò nella Penisola lungo l’intera fascia costiera dell’Adriatico, nelle città e nelle campagne. Mentre in quest’ultime gli immigrati trovavano spazio nelle terre sottopopolate a causa dei devastanti effetti della Peste Nera, permettendo un impulso a progetti di colonizzazione delle terre e di incentivazione della produzione, nelle città essi ricoprivano le fasce più basse venendo impiegati in lavori che i locali ormai in maggioranza rifiutavano, come la servitù domestica, specialmente femminile, in condizioni di schiavitù. (…) Tutti questi diversi tipi di migrazioni mostrano come alla vigilia dell’età moderna, la Quali erano le penisola italiana fosse al centro di un’alta mobilità e di flussi migratori in arrivo e in caratteristiche partenza di raggio variabile e vedesse protagoniste fasce diverse di popolazione. (…) dei flussi Nel medioevo il fenomeno migratorio era connotato soprattutto da fattori di migratori regolarità. I flussi non erano fughe o esodi quanto spostamenti più o meno medievali? programmati per motivi di lavoro e interni a strategie individuali o familiari di ampliamento delle possibilità. Queste caratteristiche si presentavano soprattutto per le categorie più elevate, i grandi mercanti finanzieri che, pur stabilitisi in uno dei grandi centri internazionali del commercio, mantenevano legami sia affettivi e parentali, sia economici con la città d’origine nonché con altre dove altri loro concittadini (spesso anche loro parenti) si erano stabiliti. Tali atteggiamenti si confermavano anche per i gruppi emigrati di più modesto livello, manodopera qualificata e specializzata che accettava lo spostamento in altri luoghi senza distruggere i legami con la famiglia e con la madrepatria, anzi spesso ritornandovi ogni anno (emigrazione stagionale) o alla fine di un’esperienza di lavoro (emigrazione temporanea) Argomento 2: l’esplosione demografica del ’900 ➔ Parole chiave Demografia. Disciplina che risponde a domande come: quanti sono gli abitanti di un luogo? Sono più i maschi o le femmine? Sono più bambini, giovani o anziani? Che lavoro fanno? Che religione professano? Quante persone arrivano o partono da un luogo? Quante cambiano lavoro? Quante si sposano? Quanti figli fanno? La demografia considera le migrazioni come uno dei suoi argomenti di interesse Qual è uno dei principale e ci fornisce alcune chiavi per capirne origine e sviluppi. Secondo questa principali fattori disciplina, uno dei motivi per cui milioni di persone cominciano a spostarsi da una che scatenano le parte all’altra del pianeta, o anche da una parte all’altra di un Paese, è la crescita migrazioni demografica, ossia l’aumento della popolazione, a volte superiore alle risorse secondo la disponibili. demografia? La meccanizzazione delle attività agricole, cominciata negli Stati Uniti all’inizio del secolo - e continuato in Europa e sino ad ora in varie ondate nel resto del pianeta - genera varie conseguenze che influiscono sulla popolazione: anzitutto permette di
produrre più alimenti di quanti non fosse possibile con le tecniche agricole tradizionali e la maggiore disponibilità di nutrienti permette, tra altri fattori, di ridurre la mortalità, aumentando dunque la popolazione; riduce il fabbisogno di manodopera (servono meno braccia per coltivare le stesse terre), proprio mentre nascono e si sviluppano i poli industriali, che attirano molti lavoratori nelle aree urbane. Le grandi migrazioni nei primi settant’anni del ventesimo secolo iniziano così: con lo spostamento dei giovani nati in campagna, dove le loro braccia non servivano più. L’arrivo di grandi quantità di prodotti agricoli dagli Stati Uniti, favorito anche dalla nascita di nuovi mezzi di trasporto più rapidi, mette inoltre a dura prova l’agricoltura europea, provocando la crisi di molte aziende agricole, disoccupazione e miseria. Anche le migrazioni dei nostri giorni rispondono anzitutto a un problema demografico: in alcune parti del mondo si fanno tanti figli – più delle risorse disponibili per crescerli e sfamarli dignitosamente – mentre in altre la popolazione invecchia rapidamente e tende a riprodursi sempre di meno e sempre più tardi. In Italia, nei prossimi vent’anni, per mantenere costante la percentuale della popolazione di età compresa tra i 20 e i 64 anni, ovvero in grado di lavorare, ogni anno dovranno entrare circa 300 mila persone abili al lavoro. Gli immigrati sono dunque una risorsa: si occupano degli anziani, svolgono i lavori faticosi e poco pagati che gli italiani non vogliono più fare e contribuiscono, con i propri figli, al ringiovanimento della società italiana. Guarda il grafico: che cosa noti? Che cosa significa “Popolazione residente”? Dopo essere rimasta per secoli quasi uguale a sé stessa, nel ’900 la popolazione Leggi il testo e mondiale è molto cresciuta e così anche quella dell’Italia: oggi siamo molto di più e confronta le molto più anziani. Dall’Ottocento alla Prima guerra mondiale, la popolazione del spiegazioni del pianeta passa da 1 miliardo di persone a 1 miliardo e 815 milioni. L’Asia, meno, e grafico con l’Europa, di più, diventano sovrappopolate, ossia ci sono più persone di quante non si quelle che avevi possano sfamare con le risorse disponibili. Mentre buona parte del pianeta è ancora proposto tu. praticamente deserto, milioni di persone iniziano ad emigrare alla ricerca di migliori
condizioni di vita: si apre la via delle grandi migrazioni verso il continente americano. Quali sono i Nel corso del Novecento, la crescita della popolazione diventa esponenziale: nel 1999 motivi per cui la eravamo 6 miliardi, oggi ben 7 miliardi e 600 milioni. Se guardiamo il grafico, possiamo popolazione notare che la curva sale sensibilmente a partire dagli anni Cinquanta, quando una serie mondiale cresce di cause contribuiscono ad allungare la durata media della vita, tra cui dagli anni ’50? l’industrializzazione di parte del pianeta, l’urbanizzazione, l’applicazione di scoperte mediche, il continuo sviluppo in campo tecnico e scientifico, lo sviluppo tecnologico Tutto il pianeta nel settore agroalimentare, la maggiore disponibilità di alimenti di qualità. cresce allo Questa crescita non ha interessato in ugual maniera tutte le aree del pianeta e ancora stesso modo? oggi ci sono grandi differenze. La popolazione di alcune regioni, come l’Europa o gli Stati Uniti d’America, sta invecchiando, mentre in molte parti dell’Africa o dell’Asia Che cosa continuano a nascere moltissimi più bambini di quante non siano le risorse naturali ed succederà economiche per garantirne la sopravvivenza. probabilmente Gli analisti prevedono che nel 2050, quando tutti i Paesi si allineeranno alla tendenza in futuro? di fare meno figli – sperimentata dai paesi industrializzati già dalla metà degli anni ’50 del ’900 -, ci sarà un’inversione di tendenza e probabilmente la popolazione mondiale smetterà di crescere. Guarda il grafico e confrontalo con il precedente: che cosa noti? Anche la popolazione italiana aumenta vertiginosamente all’inizio del secolo: ad un Quali sono i anno dall’Unità gli italiani sono 26,3 milioni. Alla fine dell’età Liberale, gli italiani momenti di diventano 36,7 milioni. Lo sviluppo economico a cavallo tra i due secoli si accompagna sviluppo della a miglioramenti significativi nelle pratiche sanitarie e nelle condizioni igieniche popolazione generali. Così, alla fine della Seconda guerra mondiale, l’entusiasmo per la ritrovata italiana? pace e le prospettive più rosee per il futuro – offerte di lì a breve da un grandissimo periodo di crescita, il cosiddetto miracolo economico – hanno dato vita a un vero e Oggi che cosa proprio boom delle nascite. Da allora ad oggi il numero degli italiani da 56,7 milioni a sta succedendo? 60,7 milioni, ma il tasso di natalità rimane costante: dieci figli ogni mille abitanti. L’Italia è cioè a “crescita 0” e l’aumento della popolazione è imputabile solo ai flussi migratori dall’estero.
Guarda il grafico e confronta le due linee: che cosa noti? Che cosa sono il saldo naturale e il saldo migratorio? Argomento 3: le direzioni dei flussi ➔ Occhio alle fonti. È molto difficile, per i ricercatori, ricostruire con precisione quante persone si sono spostate da un territorio all’altro in un determinato periodo. Essi, infatti, hanno a disposizione quasi sempre solo i registri ufficiali dell’anagrafe sulla residenza delle persone oppure i registri delle frontiere o del rilascio di documenti ufficiali, come i passaporti. In alcuni periodi, le autorità si sono preoccupate di più di censire i movimenti di popolazione, a volte per evitare lo spopolamento del proprio territorio (ad esempio come accadeva in Italia ai tempi del Fascismo), a volte, viceversa, per mandare quante più persone possibili altrove (per colonizzare territori o per accordi tra Stati, come accadde con gli accordi tra l’Italia e la Germania e il Belgio con cui nel dopoguerra si inviarono molti lavoratori italiani nelle miniere di quei paesi). Molto più spesso, però, le persone si spostano senza cambiare ufficialmente la propria residenza, senza dire cioè alle autorità che non vivono più nel luogo di nascita – sia che si siano spostati all’estero che in altre città dello stesso Stato. Questo rende molto difficile tracciare questi spostamenti, perché non risultano in nessun registro ufficiale. È molto probabile, perciò, che molte più persone si siano spostate, magari anche solo per periodi brevi, di quante non sappiamo. Da terra di emigranti a terra di immigrati? Quali sono le Si dice che, da terra di emigrazione, l’Italia sia diventata terra di immigrazione, ma siamo principali stati un popolo con la valigia e non abbiamo mai smesso di esserlo. caratteristiche Tra il 1846 e il 1940, 10 milioni di persone lasciano l’Italia per dirigersi negli Stati Uniti e in delle America del Sud. Tra il 1946 e il 1970, 8 milioni intraprendono il cammino della speranza migrazioni da verso la Germania, la Svizzera, il Belgio e altri Paesi industriali del Nord-Europa. Una e per l’Italia?
“grande migrazione” entrata nell’immaginario collettivo grazie ai film, alle canzoni e alle “Little Italy” di tutto il mondo. Dagli anni ’70 emigriamo meno all’estero, ma la gente del Sud continua a spostarsi al Nord e persone da ogni parte del mondo iniziano a venire in Italia. Oggi sono 5 milioni i cittadini stranieri presenti nel nostro Paese, il 9,5% della popolazione totale contando anche gli “irregolari”. Ma ci sono ancora 5 milioni di italiani all’estero e ogni anno 100 mila, per lo più giovani, lasciano il Paese: camerieri, pizzaioli, operai, ingegneri, medici, biologi, ricercatori e manager… Andare dove? Le tre carte geografiche e la tabella che seguono mostrano le principali mete di emigrazione degli Italiani nel corso del ’900. La scala di valori va dal giallo (poche persone decidono di recarsi in un certo luogo) al rosso (molte persone emigrano in quel paese). Guarda le tre carte geografiche e confronta i tre periodi. Che cosa noti? Guarda anche la tabella e annota i punti che ti sembrano più curiosi.
Dalla fine dell’800 gli italiani cominciano a emigrare in massa. La crisi agraria determina Leggi la un aumento considerevole dei flussi migratori da tutto il continente europeo verso spiegazione: l’America del Nord, il Sud America, il Canada e l’Australia. I primi a partire sono inglesi, che cosa irlandesi, tedeschi e scandinavi, ma ben presto anche gli italiani intraprendono il viaggio coincide con oltreoceano. Il Veneto si spopola: molti partono per il Sudamerica, a lavorare nelle grandi le tue aziende agricole in cui si producono cereali, tabacco e zucchero. Dagli anni ’80 dell’800, osservazioni? una crisi agraria e politica chiude le rotte meridionali: la manodopera italiana guarda allora agli Stati Uniti e al Canada. La Grande depressione statunitense del 1929 provoca l’aumento della disoccupazione e la limitazione dei flussi migratori. Gli italiani si dirigono in Francia e soprattutto in Germania, che diventa la meta privilegiata dopo gli accordi tra i governi fascista e nazista per sostituire i lavoratori tedeschi impegnati in guerra. Nel dopoguerra si apre anche la via dell’Australia e molti connazionali emigrano in Belgio, Svizzera e Germania, anche in questo caso sulla base di accordi tra il governo italiano e quei Paesi per inviare loro manodopera. Oggi gli italiani si dirigono in primo luogo in Germania e in Gran Bretagna, seguite da Spagna, Cina ed Emirati Arabi. Nei grafici e nelle tabelle si possono osservare le variazioni della popolazione italiana emigrata verso i principali Stati di destinazione, notando come essi siano cambiati.
Venire da dove? Le tre carte che seguono mostrano i principali paesi da cui sono arrivati e arrivano oggi immigrati in Italia. La scala di valori va dal giallo (poche persone vengono da un luogo) al rosso (molte persone). Guarda le tre carte geografiche e confronta i tre periodi. Che cosa noti?
Per buona parte del ’900 l’Italia non è una terra che attira grandi flussi di persone: Leggi la essendo ancora tra i Paesi più poveri del mondo, è luogo di partenza piuttosto che di spiegazione: arrivo. I flussi immigratori riguardano per lo più Italiani emigrati precedentemente che che cosa scelgono di tornare nella madrepatria dopo un’esperienza all’estero non soddisfacente. Il coincide con miracolo economico della metà del secolo la trasforma però nella settima potenza le tue industriale mondiale e crea il terreno per richiamare persone alla ricerca di migliori osservazioni? condizioni di vita. Contemporaneamente, negli anni ’70 la crescita demografica nei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo (non sostenuta da un’adeguata crescita economica) e la Quali sono i regolamentazione dei flussi migratori attuata da alcuni Paesi europei come la Germania motivi per cui diventano la ragione principale della trasformazione dell’Italia in una meta migratoria. sono cambiati In principio, gli immigrati sono prevalentemente tunisini, impegnati nell’agricoltura e i paesi di nella pesca, latino-americani e asiatici; negli anni ’80 arrivano eritrei, capoverdiani, provenienza somali, marocchini e filippini; negli anni ’90, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, rumeni, degli albanesi, ucraini e nordafricani. immigrati? Rispetto alla nostra emigrazione, fatta spesso di maschi giovani alla ricerca di impieghi nell’industria, l’immigrazione recente si caratterizza per la massiccia presenza di donne, che trovano occupazione nell’assistenza domestica. Un movimento circolare Si pensa spesso all’emigrazione come ad un movimento lineare, ossia di persone che lasciano un luogo A per andare in un luogo B. In realtà si tratta in molti casi di movimenti circolari e a tappe. Ad esempio, dalle campagne del Mezzogiorno ci si spostava prima nelle aree urbane della costa e da queste si prendeva il salto verso un capoluogo di provincia o verso le città del Nord. E in molti casi ci si sposta solo per alcuni periodi della vita, per poi cambiare nuovamente destinazione o tornare a casa e ripartire più avanti. Questa circolarità è oggi facilitata dai mezzi di trasporto veloci e a basso costo, ma anche quando attraversare gli oceani era un viaggio di che durava mesi e costava i risparmi di una vita, non mancava chi tornava spesso indietro. Argomento 4: la storia è fatta di tante storie… ➔ Introduzione Perché lasciare la casa vecchia per la nuova?
La decisione di emigrare è difficile e sofferta: comporta lasciare le persone che si amano, fare grandi sacrifici economici e affrontare le difficoltà di inserimento in nuovi contesti culturali, linguistici e sociali. Talvolta l’emigrazione è una scelta consapevole, compiuta per il desiderio di nuove, migliori e diverse condizioni di vita o per seguire parenti e amici già trasferitisi. Più spesso è una necessità dettata da cause esterne: per esempio perché il proprio Paese è martoriato dalla guerra o perché mancano i più elementari diritti civili, oppure per sfuggire alla miseria e trovare un lavoro. ➔ Attività Attività in gruppi: dividendo la classe, assegnare a ciascun gruppo una storia da leggere e da confrontare poi con gli altri. In museo si può chiedere ai ragazzi di ascoltare e guardare le stesse storie raccontate dai protagonisti nelle installazioni multimediali e ritrovare i punti salienti. ➔ Domande Dividere la classe in gruppi. Ciascun gruppo, leggendo la storia assegnata, può riflettere su: Chi ha deciso di partire? Quando? Perché? Qual è stato il motivo principale che ha fatto scegliere una destinazione? Chi e che cosa ha aiutato la partenza? Com’è stato il viaggio? Che emozioni hanno provato? Come si sono trovati all’arrivo? Le aspettative che avevano sono state realizzate? Hanno pensato di tornare? STORIA 1 – Dal Veneto al Brasile Introduzione: Fra il 1887 e il 1902 entrarono in Brasile quasi 1 milione di italiani. I Veneti erano il 20% del totale. L’80% dei Veneti emigrati si diresse in Brasile. Furono tra i primi ad emigrare in massa, molto prima che cominciassero i meridionali. Storia: Polesine, 1900. Qua son vent’anni che non ci sono più buoni raccolti, sempre grandine e siccità. Manca il mais per gli uomini e il foraggio per le bestie. Le mucche si ammalano nelle stalle. Le vigne sono piene di parassiti e i bachi da seta stanno morendo. I cereali russi e americani fanno concorrenza a quelli italiani e i prezzi crollano. Le tasse aumentano, il costo degli affitti dei poderi sale. Prima si riusciva ad arrotondare con un po’ di lavoro a domicilio o mandando le donne e i bambini nelle filande. Ma ora la concorrenza delle fabbriche lombarde le sta facendo chiudere tutte. Poi a furia di dividere i poderi quando qualche figlio si sposa, non basta la terra neanche per la sussistenza. Le nostre grandi famiglie di 30-40 persone si stanno sgretolando C’è chi emigra per un periodo dell’anno, in Austria o in Germania a lavorare nelle miniere o fare le ferrovie. Ma c’è sempre meno lavoro anche lì. Hanno iniziato la bonifica e qualcuno sta comprando dei macchinari agricoli a vapore. Viviamo in cason, baracche nelle campagne. Non c’è acqua, si mangia praticamente solo mais, non ci sono più neanche le mucche per il formaggio. Tutti si ammalano di pellagra, molti di colera o malaria. C’è sempre meno bisogno di braccia e invece continuano ad arrivare da tutte le parti del Veneto. Poi c’è stata l’alluvione, è uscito l’Adige e ancora non si sono asciugati i terreni. Hanno provato pure a fare una rivolta, “la boje!”, l’han chiamata, ma è finita male: tutti in galera o peggio. Allora non c’è rimasta più speranza che partire. Partire davvero, andare lontano per non tornare. È stata una decisione durissima: siamo tutta gente abituata a star qua, molti non son mai andati neanche al paese vicino. Saranno partite 63 mila persone negli ultimi vent’anni: 9 su dieci sono andati in Brasile, gli altri in Argentina e nessuno quasi è tornato. Noi veneti siamo stati tra i primi a partire, prima della gente del sud, prima dei lombardi. Se ne sono andati senza dirlo a nessuno, quasi clandestini. Mandano queste lettere dicendo che stanno bene, che son ricchi, ma non è che ne capiamo molto di quel che scrivono.
Qua siamo tutti analfabeti. Allora abbiamo deciso di partire. Per fortuna ci ci sono stati questi agenti delle compagnie di colonizzazione del Brasile e delle compagnie di navigazione di Genova che ci hanno detto che si può fare. Ci hanno letto le lettere, hanno scrivono per noi ai nostri familiari già in Brasile. Ci hanno pagato un biglietto di sola andata per tutta la famiglia e pure il treno fino a Genova: e chi mai se lo sarebbe potuto permettere? Ci hanno promesso terre e bestiame, ci hanno aiutano nelle pratiche per il nulla osta delle autorità militari e il passaporto, cambiato monete e anticipato denaro. Certo, a Genova ci hanno truffato in molti: albergatori, usurai, cambiavalute e negozianti. Il viaggio per mare è stato duro: un mese stipati in navi lente verso Plata. Molti bambini sono morti di malattie che si son presi durante il viaggio e poi c’è toccata la quarantena arrivati in Brasile. Ma in fondo noi non sappiamo far niente se non coltivare la terra, e qui in Brasile cercano gente per lavorare nei campi! Alcuni sono stati portati nelle Fazendas. I proprietari di questi terreni ti pagano cercano continuamente contadini da impiegare nelle piantagioni di caffè. Preferiscono noi veneti perché ci considerano instancabili, tranquilli, docili e poco esigenti. Ti vengono a prendere al porto, ti anticipano i soldi del viaggio fino alla piantagione e poi ti pagano dandoti una casa e sementi e buoni che puoi spendere solo nello spaccio della tenuta dove costa tutto carissimo. La vita è pessima: sei isolato da tutto, non puoi andare neanche in chiesa alla domenica, dobbiamo far lavorare anche i bambini per mettere insieme un salario decente. La volontà del proprietario è legge e se provi a fuggire ti sequestrano la moglie e i figli. Ti fanno multe su tutto, alla fin fine sei sempre in debito e non riesci mai a mettere da parte due soldi di risparmio. Praticamente, siamo i sostituti degli schiavi neri che non si possono più usare. Noi siamo stati fortunati. E siamo entrati nei programmi di colonizzazione del Rio Grande voluti dal governo. Ci hanno portato gratuitamente nell’appezzamento di terra che ci è stato assegnato con una casa provvisoria, attrezzi e sementi. In cambio dobbiamo disboscarlo, seminarlo e costruire strade e sentieri e poi riscattare il terreno dopo il primo raccolto. Siamo lontani da tutto: non abbiamo mercati, medici, scuole. Ma i raccolti bastano per vivere e per non aver più paura del futuro. Si sta meglio qui che da dove siamo partiti. E poi siamo tutti veneti. Pare di essere al paese: abbiamo le nostre usanze familiari, ci sposiamo tra italiani, parliamo persino veneto. Non torneremo mai più in Italia. Tutta la famiglia ormai è qua e poi il biglietto per il ritorno costa troppo. Con quel che risparmiamo, non potremo mai ricomprarlo. Se mai riusciremo, andremo in città, a Saõ Paulo. Lì sono tutti italiani, si parla italiano. Persino le case sembrano italiane. Ci si può andare a fare i muratori o gli artigiani e se potremo, compreremo un negozio o andremo a lavorare in fabbrica. STORIA 2 – Marisa Sposa di Guerra Introduzione: 10mila donne italiane raggiungessero l’America tra il 1946 e il 1947 per raggiungere i propri mariti, soldati americani conosciuti durante i mesi di occupazione in un’Italia devastata psicologicamente ed economicamente dalla guerra. Donne di ogni provenienza e di ogni livello culturale, che spesso a malapena parlavano inglese, destinate a reinventare la propria vita oltreoceano, nelle più sperdute province americane inseguendo il sogno di una vita prospera e ricca. Ogni mese, da Livorno e da Napoli, le Liberty Ships imbarcavano queste sposine eccitate e i loro neonati in un viaggio – organizzato nei più piccoli dettagli dall’esercito e dalla croce rossa statunitense – verso quella che doveva essere la terra promessa. È l’epopea delle war brides, che cominciava scappando ai pregiudizi nei propri paesi di nascita per essersi innamorate di un soldato americano (spesso di colore); continuava nel tortuoso sistema di visti ed autorizzazioni per poter essere imbarcate; passava per lacrimevoli addii ai propri cari nelle banchine dei porti; una traversata per mare lunga e tutt’altro che confortevole su
navi militari rapidamente riadattate e finiva con una vita non sempre all’altezza delle aspettative in una patria nuova ma non sempre accogliente. Storia: La guerra finalmente era finita. Finalmente potevo tornare a scuola. L’inglese lo studiavo da quando avevo 9 anni. Il mi babbo era convinto che l'Italia avrebbe perso la guerra e mi ripeteva: “Se impari l'inglese, troverai sicuramente un lavoro”. Un bel giorno a Livorno arrivarono gli americani. Tutti andavamo a vederli sfilare. E poi a ballare. Fu così che conobbi Gino. I suoi genitori erano abruzzesi emigrati dopo la Grande guerra. Qualche parola di Italiano riusciva a spiccicarla. La cosa cominciò per gioco, ma poi mi accorsi che veniva sempre più spesso... a trovarmi all’uscita da scuola. Io dentro di me dicevo: “Possibile che io gli piaccia?'". Un bel giorno, mi chiese se volevo sposarlo. Io senza pensarci dissi di sì. Io avevo quindici anni e Gino diciannove. Quando vieni da una guerra, sei già matura, perché hai visto certe cose, hai fatto delle esperienze, e a quindici anni a me sembrava di averne già trenta. Quando venne a casa mia, il babbo gli chiese dove lavorava e lui gli rispose che lavorava in una fattoria, aveva tradotto l’inglese factory, con fattoria invece di fabbrica. Allora il mi babbo gli disse che non poteva sposarmi perché io non ero una contadina e non ero abituata alla vita dei campi. Allora Gino tutto agitato riuscì a spiegargli che non faceva il contadino, ma l’operaio. Mamma allora gli disse: “Torna in America e, se e destino, tra quattro o cinque anni ritorni e vi sposerete”. Ma Gino le rispose: "No, perché tra quattro o cinque anni Marisa non la trovo più qui". Le autorizzazioni erano un problema. Era frustrante al massimo. Le malattie facevano paura agli americani. Così, ogni domanda di matrimonio, doveva essere accompagnata dagli esami fatti da un medico militare. Ci sposammo il 29 marzo 1947. E poi venne il giorno più triste. La mattina, quando io mia mamma e mia sorella arrivammo al porto di Livorno, mia sorella cominciò a urlare: “Marisa, non andare, non andare Marisa!!!”. C'erano le altre mamme. Tutte piangevano. Poi c'era un mio vicino di casa che lavorava al porto: mi ricordo che salì su una barchetta e, mentre la nave si allontanava, lui remava, remava e poi quando non ce la faceva più... alzò tutti e due i remi. Mi viene la pelle d'oca solo a pensarci… Sul ponte della nave, mentre si levava l'ancora, le spose salutavano e piangevano. La notte era forse il momento peggiore: Noi eravamo giù in fondo alla nave, quaranta donne in questa stanza. La notte era uno strazio: molte ragazze piangevano, probabilmente tante di loro si erano già pentite. Sa, le cose sembrano sempre belle, ma poi quando ci si trova di fronte alla realtà. Tante erano proprio risolute: "Io appena arrivo, lunedì, mi vado a cercar lavoro!”. Molte erano ragazze intelligenti, c'erano ragazze che insegnavano. Ma qualcuna probabilmente aveva fatto uno sbaglio, perché la notte le sentivo piangere proprio forte. Io credo che mi abbia salvato l'età che avevo, Fossi stata più grande, forse davanti alla nave avrei cambiato idea e gli avrei detto: "Gino, parti tu e se c'hai fortuna ritorna". STORIA 3 - Marcinelle Introduzione: Nel 1922 viene stipulato il primo accordo tra società minerarie belghe e l’Italia per reclutare manodopera in Italia. Nel 1946 sono firmati nuovi accordi italo-belghi: l’accordo è che l’Italia avrebbe inviato manodopera a cambio carbone. Nei trent’anni successivi, quasi 200 mila italiani sono andati a fare i minatori in Belgio: 867 morirono nelle miniere, 20.000 su ammalarono e altrettanti rimasero invalidi.
Storia: 1956: Giù in Italia non si mangiava, la guerra aveva distrutto tutto. Qualcuno aveva cercato di occupare un pezzo di terra, ma gli è andata male e si trovava senza lavoro e senza niente. Io sono partito da Massa, in Toscana. Sono in Belgio da 10 anni. Da quando l’Italia s’è accordata con le compagnie minerarie belghe per deportarci a scavare carbone. Partivamo in 2000 tutte le settimane su dei vagoni lentissimi dalla stazione di Milano. Cambiavano uomini disperati per carbone e soldi stranieri. 200 grammi di carbone ogni uomo. Qua i minatori polacchi se n’erano ripartiti dopo la guerra e i belgi non ci volevano più scendere in miniera. Allora servivano altre bestie da soma e hanno preso noi italiani. Ci sono due modi di venire in Belgio. Il primo è come ho fatto io, per la via ufficiale. Il governo faceva andare a Milano tutti i disoccupati che pensava di poter mandare in Belgio. Per lo più erano meridionali che avevano perso il lavoro per via delle rivolte per la terra. Ti ammassavano per un po’ in tre piani sotterranei della stazione, tipo un centro di smistamento, e lì i belgi decidevano chi partiva e chi no. Prendevano quasi tutti lombardi, piemontesi e toscani perché dicevano che siamo più mansueti. E poi non dovevi avere simpatie per qualche partito politico o qualche sindacato. Ci caricavano su dei convogli, ci volevano 52 ore per arrivare in Belgio. Sul treno ti facevano una visita medica e quelli troppo deboli li scartavano. Agli altri facevano firmare un contratto in cui si diceva che ci avrebbero dato un “alloggio conveniente”, ammobiliato e a prezzo moderato. Ma poi arrivati alla miniera abbiamo scoperto che le nostre case sarebbero stati i campi costruiti per i prigionieri russi dai nazisti durante la guerra. Baracche di legno e cartone asfaltato o di lamiere ondulate, vicino alle ferrovie, coi letti a castello, i materassi di paglia e ancora le coperte sudice. Quando arrivavamo alla stazione, ci smistavano a seconda dei pozzi dove saremmo andati a lavorare, ci caricavano sui camion per il carbone e via. Dal giorno dopo, senza dirci nulla di come funziona una miniera, ci mandavano già nei pozzi. Fu un incubo. Sembrava di essere scesi nell’inferno. Ricordo ancora che il primo giorno ho pianto tutto il giorno: avevo l’impressione che la terra mi crollasse in testa, c’era moltissimo rumore e non conoscevo nulla dei segnali di avviso che ci davano. Io ero partito pieno di speranze: avevo dei parenti che erano venuti su negli anni trenta, dopo i primi accordi del governo. E poi m’ero fatto convincere dai manifesti rosa che avevano appeso ovunque in paese in cui dicevano che il salario era buono, che c’erano le vacanze e gli assegni familiari. Ma in 107 righe non dicevano da nessuna parte che il lavoro è durissimo, che respiriamo carbone, che quasi tutti si ammalano di silicosi e muoiono perché non riescono più a respirare. E non ci dicevano nemmeno che morivamo come mosche per gli incidenti in miniera: almeno 100 minatori ogni anno rimangono schiacciati sottoterra. Io ho resistito, ma metà almeno delle persone arrivate da Milano non è più voluta scendere nei pozzi: sono stati fatti rimpatriare coi treni speciali o qualcuno ha cercato di andare in città clandestinamente per cercare un altro lavoro. Allora c’era l’altro modo, clandestino, per venire a lavorare in miniera. I proprietari delle miniere, quando si sono accorti che il governo italiano voleva mandar su solo meridionali e che comunque scappavano tutti, ha cominciato a reclutare gente direttamente dall’Italia senza passare dal sistema ufficiale. Poi qualcuno è riuscito a portare la famiglia. Io ho portato mio figlio, perché a 16 anni hanno arruolato pure lui per la miniera. Se non sono già presi come minatori, non ci fanno portare né la moglie né gli altri figli. Perché nessun italiano ha il permesso di lavorare in Belgio se non fa il minatore. Ma ora, dopo l’incidente della miniera a Marcinelle, non so che faremo. Sono morti 262 minatori. 136 erano italiani. Anche se ci siamo abituati, a che la gente muore nei pozzi, ci ha fatto impressione a tutti: morire soffocati senza via di fuga a 1000 metri
sotto terra… e poi ora che ne parla la Televisione, di come viviamo, magari i belgi pure diventano più buoni con noi e possiamo cercare un altro lavoro. Il nostro vicino belga, che non smetteva mai di insultarci, è entrato da noi piangendo e chiedendoci scusa… abbiamo pagato col sangue la nostra esistenza. STORIA 4 - Tutti a Mestre? Introduzione: A Mestre ci sono 5000 persone provenienti dal Bangladesh. È la seconda comunità più grande dopo quella di Roma e la prima area di provenienza degli immigrati in città. Storia: Mi chiamo Ripon, ho otto anni e sono arrivato a Mestre da cinque con i miei genitori che sono del Bangladesh. Quando mi chiedono da dove vengo, io rispondo “da via cappuccina”. Perché per me il Bangladesh è un racconto dei miei genitori o quella comunità di tutti i nostri amici e parenti che vivono qui. Siamo tanti, del Bangladesh. Lì non si può rimanere, dice mio papà. C’è tantissimissima gente, una persona su due vive è poverissima, i bambini muoiono di fame e devono lavorare tutto il giorno. E poi ci sono i monsoni, le alluvioni: spesso interi raccolti vanno buttati. Mio papà dice che non voleva questo per noi. Tutti quelli che partono dal Bangladesh per venire in Europa vanno in Inghilterra o vengono qui in Italia. Molti pagano dei mediatori, i “Dallal”, per avere documenti falsi per l’espatrio e i soldi per il viaggio. E quando arriva magari viene messo a vendere le rose nei ristoranti per ripagare i debiti. Mia mia mamma mi raccontava che quando siamo arrivati era tutto diverso da come si aspettavano: il clima, la lingua, la gente, le leggi di qui sono tutte diverse che da noi. Ci sono giovani che arrivano da soli, stanno un po’ a fare i lavapiatti a Venezia e poi ripartono e vanno magari a Londra. Ma per la maggior parte siamo famiglie. Siamo tantissimi bambini bangladesi. Io ho cominciato ad andare a scuola qui: ho imparato l’italiano quasi subito. Gli altri immigrati non lo fanno. Qui a Mestre ci sono molte donne dell’est Europa che lavorano nelle case, ma lasciano le famiglie al paese d’origine. 8 persone su 10 della mia comunità lavorano ai cantieri navali di Marghera. Molti non lavorano direttamente per i cantieri, ma per le cooperative: ogni mattina aspettano alla Rampa del cavalcavia il pullmino che li recluta per la giornata. Mio papà ha un negozio di alimentari. Molti stanno aprendo dei negozi, pasticcerie e ristoranti: ci piace mangiare i nostri piatti a base di riso e curry, anche se io e i miei fratelli andiamo matti pure per la pasta e la pizza. Uno dei miei zii ha una sartoria per confezionare i “sari”, i vestiti colorati delle nostre mamme. Facciamo lavori dignitosi per lo più, ma per molti è stato comunque difficile adattarsi a lavorare: in Bangladesh mio papà era considerato ricco e istruito e sperava di poter vivere meglio qui. Invece si è dovuto inventare un nuovo lavoro. Per questo non raccontiamo quasi nulla di come viviamo ai nostri parenti in Bangladesh, ma mandiamo loro i soldi per vivere meglio laggiù. Io vivo con altre due famiglie: le sorelle di mia mamma e i loro mariti e figli. Siamo 9 in un appartamento. Ci piace stare con altra gente del Bangladesh. Ci ritroviamo nelle scuole di lingua, ricordiamo i martiri della nazione e soprattutto i nostri padri si infervorano per ore a parlare della politica del Bangladesh. Impariamo anche l’arabo, perché molti di noi sono mussulmani. La cosa più divertente, però, è d’estate: allora possiamo stare in piazza tutta la notte con i nostri fratelli maggiori e giocare a cricket e a volano. Facciamo anche il campionato di cricket nel parco della Bissuola. Vivere a Mestre mi piace. Ci sono persone che vengono da tutto il mondo e non si sa bene chi sia di qui e chi no. Anche i palazzi sono tutti diversi. Sembra che tu possa essere qualunque cosa, perché sembra che ci siano sempre nuovi pezzi, di città e di gente. È un po’ come una frontiera: tutti arrivano pieni di speranze e molti ci trovano un posto per far crescere i propri figli, un posto dove stare. Ci sono i figli degli italiani che
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