ANIEM Rassegna Stampa del 27/02/2018 - Confimi Industria Sicilia
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ANIEM Rassegna Stampa del 27/02/2018 La proprietà intellettuale degli articoli è delle fonti (quotidiani o altro) specificate all'inizio degli stessi; ogni riproduzione totale o parziale del loro contenuto per fini che esulano da un utilizzo di Rassegna Stampa è compiuta sotto la responsabilità di chi la esegue; MIMESI s.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio dello strumento o comunque non conforme a quanto specificato nei contratti di adesione al servizio.
INDICE ANIEM Il capitolo non contiene articoli ANIEM WEB Il capitolo non contiene articoli SCENARIO EDILIZIA 27/02/2018 Il Messaggero - Abruzzo 5 Appello corale «Edilizia popolare da valorizzare e non ghettizzare» 27/02/2018 Il Sole24Ore Edilizia e Territorio 6 L'impegno lungo di Edilizia 27/02/2018 Il Sole24Ore Edilizia e Territorio 10 Edilizia. Niente permesso per 58 interventi «light» SCENARIO ECONOMIA 27/02/2018 Corriere della Sera - Nazionale 12 «Indipendenza Bce garantita dai trattati Molta volatilità, non c'è guerra di valute» 27/02/2018 Corriere della Sera - Nazionale 13 Esselunga accelera su ricavi e profitti La spinta di online e vendite a domicilio 27/02/2018 Corriere della Sera - Nazionale 14 Scaglia vende La Perla al private equity Sapinda I timori del sindacato 27/02/2018 Il Sole 24 Ore 15 Una spinta a privatizzare, alleggerire e tutelare 27/02/2018 Il Sole 24 Ore 17 Così il Testo unico ha cambiato la Borsa 27/02/2018 Il Sole 24 Ore 19 Deutsche Bank accelera sull'Ipo dell'asset management 27/02/2018 Il Sole 24 Ore 20 Risparmio, il Fisco «rilancia» sui Pir
27/02/2018 Il Sole 24 Ore 22 Saras al passaggio generazionale 27/02/2018 Il Sole 24 Ore 23 «La Capital market union prenda esempio dall'Italia: serve il Tuf della finanza Ue» 27/02/2018 La Repubblica - Nazionale 25 Embraco & Co. le multinazionali che se ne vanno 27/02/2018 La Repubblica - Nazionale 27 Perché lo smartphone non corre più 27/02/2018 La Repubblica - Nazionale 29 Draghi: "Prezzi ancora bassi gli stimoli sono necessari" 27/02/2018 La Repubblica - Nazionale 30 Un falco alla Bce La partita italiana contro Weidmann 27/02/2018 La Repubblica - Nazionale 32 Eni, tangenti in Algeria il pm chiede sei anni per l'ex ad Scaroni 27/02/2018 La Stampa - Nazionale 33 "Una rivoluzione nel commercio" 27/02/2018 La Stampa - Nazionale 35 Pirelli supera i 5 miliardi di ricavi 27/02/2018 Il Messaggero - Nazionale 36 Draghi frena sulla svolta monetaria SCENARIO PMI 27/02/2018 Il Sole 24 Ore 38 Entro il 2021 sottoscrizioni per un valore di 68 miliardi 27/02/2018 Il Sole 24 Ore 40 Più punti di ricarica per le auto ecologiche 27/02/2018 Il Sole 24 Ore 41 Il noleggio scommette sul verde 27/02/2018 ItaliaOggi 43 BREVI 27/02/2018 Libero - Nazionale 44 Detassare chi assume giovani farà ripartire il Mezzogiorno
SCENARIO EDILIZIA 3 articoli
27/02/2018 diffusione:102976 Pag. 50 Ed. Abruzzo tiratura:142615 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Appello corale «Edilizia popolare da valorizzare e non ghettizzare» IL PIANO «L'edilizia residenziale pubblica non va ghettizzata, né demolita, ma rivalutata nello sviluppo della città e rilanciata attraverso il cronoprogramma della ricostruzione». A fare il punto sui quartieri pubblici residenziali della città, sabato scorso a casa Onna, il coordinamento Erp, cittadinanza attiva e Comitatus Aquilanus con l'architetto Antonio Perrotti, la professoressa Maria Cristina Forlani e il docente dell'ateneo aquilano Mario Centofanti che ha contribuito al progetto per la realizzazione delle case popolari di San Gregorio negli anni '80. «L'importanza urbanistico architettonica del patrimonio Erp è sempre stata sottovalutata in questa città, tant'è che sia la vecchia che la nuova amministrazione hanno pensato alla demolizione e a un masterplan per la zona di San Gregorio che sarebbe solo un inutile sperpero di denaro pubblico. Anche per Valle Pretara si era pensato a un masterplan, ma l'ipotesi è stata poi bocciata. Sono da sempre stati considerati quartieri brutti e degradate e non è affatto così», spiega Perrotti. «Le case Erp sono un esempio di buona articolazione urbanistica, di rispetto degli standard e di buona qualità abitativa che deve diventare elemento trainante della ricostruzione di questa città, a partire da Valle Pretara, quartiere ad alti standard urbanistici con orti, parcheggi, strade e piazze. Quello che va creato per Valle Pretara è un nucleo di servizi e non certo una sostituzione edilizia come si voleva fare», sottolinea. In relazione alle case di San Gregorio Perrotti aggiunge: «E' un esempio di edilizia popolare di alto livello e non va demolito, ma va considerato come elemento trainante della riqualificazione dell'intera frazione con un piano di riqualificazione che lo valorizzi senza stravolgerlo». Il quartiere di edilizia popolare di San Gregorio fu realizzato agli inizi degli anni 80 e progettato dall'Istituto di architettura urbanistica dell'Università aquilana, come spiega il professore Centofanti: «In quegli anni si usciva da esperienza traumatiche di edilizia residenziale pubblica come le vele di Scampia e altri esempi italiani come Palermo e Roma, esempi di grandi edifici in cui i fenomeni di degrado fisico e sociale sono stati particolarmente accentuati». Marianna Galeota © RIPRODUZIONE RISERVATA SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/02/2018 5
27/02/2018 Pag. 1 N.8 - 26 febbraio 2018 tiratura:25000 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato L'impegno lungo di Edilizia DI GIORGIO SANTILLI Questo è l'ultimo numero di Edilizia e territorio su carta. Come sanno bene i nostri lettori e i nostri abbonati (che ringraziamo sempre per la loro partecipazione sentita alla nostra comunità), da tre anni il settimanale Edilizia e territorio è diventato anche un quotidiano on line. Scelta giusta per stare al passo dei tempi, gettare un ponte verso sviluppi futuri, lasciare una solida eredità a una informazione che si evolve radicalmente e ad altissima velocità. La carta si ferma, il quotidiano online va avanti. Inevitabile e utile un bilancio di questi 22 anni di informazione, di storia di riforme avviate e lasciate spesso a metà, di passi avanti e ritorni indietro, di nodi irrisolti, con qualche suggestione per il futuro di settori economici oggi attanagliati dalle difficoltà di una crisi che non finisce. Non posso, in prima battuta, non ringraziare Savatore Carrubba che ebbe fiducia nel progetto e in questo nuovo filone di informazione del Sole 24 Ore. Poi, i colleghi e compagni di lavoro che hanno condiviso con me la fatica e la bellezza di Edilizia e territorio. N SEGUE ALLA PAGINA Dal 1996 su carta e ora sul web la nosra redazione resta in prima linea a raccontare le innovazioni del settore costruzioni L'impegno di «Edilizia» e le riforme mancate ... PAGINA di Giorgio Santilli Li citerò, diciamo così, in ordine di apparizione, partendo da Valeria Uva e Alessandro Arona, che hanno contribuito a creare con me il giornale fin dai primi giorni (e le prime notti), e poi Alessandro Lerbini, Bianca Lucia Mazzei, Mauro Salerno, Massimo Frontera e, per periodi più limitati, Flavia Landolfi, Silvia Marzialetti, Alessia Tripodi, da ultimo Giuseppe Latour. Firme familiari ai lettori. Non posso citare qui tutti i collaboratori, preziosissimi, di questi anni, ma voglio ricordare Roberto Mangani e Lorenzo Bellicini per i loro contributi di idee fin dal progetto originario, Cinzia Leone per le grafiche e i brillanti suggerimenti e Paola Pierotti, con cui abbiamo condiviso l'entusiasmo della stagione di Progetti e concorsi, un bellissimo viaggio alla scoperta della giovane architettura italiana cominciato 15 anni fa, quando ancora nessuno - fuori della stretta cerchia di addetti ai lavori - conosceva gli straordinari talenti di Mario Cucinella, Nemesi, 5+1, Labics e tanti altri (la prima inchiesta a puntate fu realizzata con 50 interviste), oggi largamente affermati in Italia e all'estero. Volevamo fare un giornalismo di architettura diverso da quello delle riviste, che non parlasse solo agli addetti ai lavori con un linguaggio autoreferenziale e volevamo fare un giornalismo economico dell'architettura per spiegare ai nostri lettori committenti pubblici e privati, imprese di costruzioni, società di ingegneria quello che oggi tutti sanno sullo straordinario valore aggiunto dell'architettura nella catena del valore di un'opera, ma che allora nessuno diceva. Volevamo farlo e ci siamo riusciti, portando spesso l'architettura in questa chiave tutta nuova anche sulle colonne del Sole 24 Ore. Per quel lavoro devo ricordare anche la bussola fondamentale di Luigi Prestinenza Puglisi. Edilizia e territorio non è stato solo un caso editoriale unico nei settori dell'edilizia, dei lavori pubblici, dell'urbanistica e dell'architettura. È stato uno straordinario impegno professionale, umano, civile. Voglio ricordare due premi prestigiosissimi che sono andati a me come fondatore e coordinatore editoriale di Edilizia e territorio ma che io ho sempre vissuto come premi al nostro collettivo: il premio dell'Istituto nazionale di urbanistica (Inu) che abbiamo vinto nella sua prima edizione, quella fondante del 1999; e il titolo di "architetto onorario" che mi è stato conferito dal Consiglio nazionale degli architetti nel 2013, anche in questo caso nella prima edizione di quel premio, in compagnia di due lungimiranti innovatori del settore, monsignor Russo (responsabile Cei per l'architettura) e Giovanna Melandri (autrice della potente trasformazione del MAXXI). Chi mi conosce personalmente sa che ho sempre interpretato il lavoro con una buona dose di umiltà e mai mi sono vantato di questi premi. Se ne parlo ora è perché - nella loro dimensione di riconoscimento a una comunità mi pare che meglio di ogni altro episodio diano il senso di un modo di fare giornalismo, di una importante storia collettiva, costruita non su capacità di marketing e commercializzazione o su relazioni "politiche", ma sul duro lavoro redazionale di ricerca e scavo delle SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/02/2018 6
27/02/2018 Pag. 1 N.8 - 26 febbraio 2018 tiratura:25000 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato informazioni, di interpretazione istituzionale e normativa, di sistematizzazione di quei contenuti in una chiave di servizio agli operatori economici e culturali, di comprensione dinamica di una realtà in continua (e non sempre felice) evoluzione. Farò parlare le motivazioni di questi due premi. In quella dell'Inu si ricorda la «centralità» data «ad una nuova concezione, integrata, unitaria e riformista del governo del territorio» e «l'intuizione di dover offrire, ad una nascente dimensione professionale e del mercato, uno spazio specifico di informazione e di confronto» che «si è tradotta nella ideazione, nella promozione e nella realizzazione di "Edilizia e Territorio", settimanale qualificato da un forte orientamento verso i nuovi temi dell'urbanistica e strumento di lavoro indispensabile per i professionisti, le pubbliche amministrazioni e le imprese, che non solo ha esercitato un'opera di sensibilizzazione dell'opinione pubblica, ma ha altresì svolto una azione di stimolo, nei confronti del legislatore nazionale e regionale, utilissima e largamente apprezzata». L'Inu, nel conferire il premio, «interpreta queste intenzionalità e questi risultati come un contributo essenziale alla diffusione ed alla comprensione di quei principi e di quelle regole che sono a base del processo di riforma urbanistica che l'Istituto stesso ha da tempo proposto e sostenuto. Il conferimento del Premio ad un giornalista vuole inoltre sottolineare il ruolo che i mezzi di informazione possono assumere nella affermazione di una nuova concezione dialogica, ragionevole e pragmatica dell'urbanistica». In effetti Edilizia e territorio ha dato molto spazio a questo passaggio epocale dell'urbanistica italiana da una dimensione ideologica, al tempo stesso espansiva, pubblicistica e vincolistica, ancorata alla legge del 1942, a una dimensione viva, dinamica, pragmatica che è nata proprio dalla spinta dell'Inu di Giuseppe Campos Venuti e Stefano Stanghellini per trovare approdo nelle leggi regionali (da quella Toscana del 1995, la mitica numero 5, in avanti). In un percorso sperimentale e via via sempre più consolidato che con lo sdoppiamento del piano urbanistico in strutturale e operativo e con l'introduzione della perequazione ha fissato i nuovi principi fondanti della disciplina. Non si può, per altro, evitare di considerare che ancora una volta si è trattato di una rivoluzione a metà che ha scontato il ritardo della politica nazionale, incapace di tradurre queste innovazioni diffuse in una nuova legge urbanistica, con il risultato di lasciare elementi di incertezza che non di rado rendono instabili gli strumenti urbanistici varati a livello regionale e comunale e frenano le potenzialità di sviluppo. Anche il nostro sforzo informativo sulla nuova architettura è stato riconosciuto con il premio del Consiglio nazionale architetti presieduto allora da Leopoldo Freyrie, assegnato per aver «promosso con passione e competenza la necessità che la committenza pubblica e privata perseguissero la buona architettura, considerata elemento essenziale per la crescita e lo sviluppo del Paese». In particolare si apprezzava «il contributo critico al dibattito sulle regole del mercato e la sua opera di diffusione del lavoro dei giovani talenti dell'architettura italiana», importanti «nell'educare la committenza alla necessità culturale, sociale ed economica dell'architettura di qualità». Anche qui si potrebbero fare considerazioni analoghe a quelle fatte sull'urbanistica, per esempio sul tema dei concorsi di architettura su cui Edilizia e territorio si impegnò al punto da presentare una proposta di legge, che voleva essere il punto d sintesi delle spinte riformatrici, largamente condivise in Parlamento ma mai arrivate al traguardo, mentre si rafforzava, fra mille criticità normative, la spinta a fare concorsi e aumentava il numero dei concorsi pubblicati. Un guado ancora non attraversato che comporta il serio rischio di un arretramento complessivo di mezzo secolo. In fondo questa è una chiave di lettura che vale per molte questioni irrisolte del Paese, il bilancio amaro di un ventennio di riforme a metà che, senza approdo stabile, possono farci cancellare conquiste ben più lunghe. Governo del territorio e architettura, ma ovviamente da Edilizia e territorio anche tanta informazione, giuridica e di mercato, sugli appalti, sui lavori pubblici, sulle infrastrutture, in anni in cui queste politiche sono state centrali, nel bene e nel male, nelle aspettative e nei risultati (ahimè scarsi) per il Paese, se si fa eccezione per il progetto dell'Alta velocità che è, viceversa, una delle poche grandi conquiste di modernità del Paese e che abbiamo sempre difeso, strenuamente, nella sua dimensione infrastrutturale e concorrenziale, anche quando nessuno lo faceva, con la chiara visione del salto di qualità del servizio che avrebbe portato ai cittadini. Più in generale, vale la pena ricordare che SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/02/2018 7
27/02/2018 Pag. 1 N.8 - 26 febbraio 2018 tiratura:25000 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato questo giornale è stato il primo, nel 1996, nell'allora nascente mercato degli appalti pubblici, a diffondere la cultura "europea" della trasparenza del bando di gara in un mondo di trattative private, rendendo un servizio alle piccole e medie imprese con la diffusione e informazione dei bandi di gara. L'Osservatorio costruito con il Cresme sui bandi di gara è stato a lungo l'unica fotografia del settore, ben prima della nascita dell'Anac e dell'Osservatorio istituzionale, previsto solo sulla carta. E siamo stati, allora, strenui difensori della legge Merloni che portava per la prima volta il settore italiano delle opere pubbliche in un regime di mercato trasparente e concorrenziale. Non fu capita né dalle amministrazioni né dalle imprese (un po' più da professionisti e società di ingegneria) e fu un'occasione mancata di centralità del progetto esecutivo, di professionalizzazione delle imprese e delle stazioni appaltanti, di pianificazione delle priorità, di scelta degli esecutori su principi di concorrenza. Fu un'occasione mancata e la guerra fra chi guardava al passato e voleva abolirla e chi volle modificarla per adeguarla (in 5 successive e altalenanti edizioni) fu una guerra a perdere per tutti che lasciò irrisolti i problemi di allora, portandoli pressoché immutati fino a oggi. Guerre che si riproducono pari pari ora, a conferma di un Paese che soffoca sempre uguale nella sua lentezza e di un settore che non riesce a fare il salto della piena industrializzazione (che ora significa digitalizzazione). Con risposte conservatrici, soprattutto sul lato pubblico, che impediscono non solo di risolvere i problemi che ci trasciniamo ma anche di cogliere le straordinarie opportunità che verrebbero dalla regolazione e dalla soft law, dalla digitalizzazione con e oltre il Bim, da una maggiore centralizzazione e professionalizzazione delle stazioni appaltanti. Con una pubblica amministrazione drammaticamente immobile (a dispetto delle tante promesse di riorganizzazione profonda e di rivisitazione del perimetro di competenze) e con le imprese allo stremo non ci si può aspettare nulla di buono sulla ennesima battaglia normativa che avrà ad oggetto nei prossimi mesi il codice degli appalti (Dlgs 50/2016). Mettemmo in guardia per primi e pesantemente - forti della lezione della Merloni - dal rischio derivante dalla mancanza di un adeguato periodo transitorio. Dicemmo che un'entrata in vigore frettolosa del codice avrebbe bloccato tutto e avrebbe messo in discussione anche le cose buone. Cosa che si è puntualmente verificata. Cambiare tutto ora vuol dire infilarsi in un processo che durerà anni e terrà ancora fermo il settore; modificare rapidamente il modificabile sarebbe utile ma richiederebbe una convergenza dei tanti attori per il bene del Paese, una convergenza che non c'è; accelerare l'attuazione è una promessa che le autorità pubbliche non riescono a mantenere. E questo invece bisognerebbe fare sul codice appalti : modifiche chirurgiche ovunque servano per dare fluidità e applicabilità; una stagione straordinaria di attuazione rapida (tutte le linee guida Anac e i decreti ministeriali entro tre mesi, a partire dal rating delle stazioni appaltanti per superarne la frammentazione); sospensione per 18 mesi delle norme inapplicabili per dar modo di smaltire e accelerare tutti i progetti che possono partire subito; immissione di strumenti di sostegno finanziario e organizzativo alle Pa per risolvere i due problemi fondamentali della capacità progettuale e della capacità di spesa complessiva; digitalizzazione spinta delle procedure di appalto, di progettazione, di esecuzione, con la volontà di aprire una finestra che ci riconnetta in breve tempo al futuro su cui si stanno dirigendo i Paesi più avanzati. Il tutto all'interno di un piano straordinario per le costruzioni , settore strategicamente decisivo, se vogliamo tornare a un Pil del 2% e oltre. Bisogna spendere i soldi stanziati: 6 mesi alle grandi stazioni appaltanti per aprire il cantiere o revoca delle risorse; pagamento immediato di tutto l'arretrato della Pa, è un fatto di equità; norma che obblighi il dirigente della Pa ad affidare un contratto dopo la prima pronuncia negativa di un Tar sui relativi ricorsi, tutelandolo dal rischio di procedimento per danno erariale della Corte dei conti; potenziamento ed estensione degli strumenti fiscali che hanno funzionato (bonus recupero, energetico e sismico); una legge condivisa e finalmente innovativa sulla riqualificazione urbana (che comprenda il ristabilimento di condizioni vantaggiose per la demolizione e ricostruzione) e sul ritorno a una politica nazionale per la competitività delle città (terreno su cui si misura ormai la competizione globale); progetto articolato di digitalizzazione del settore, attraverso una estensione di Industria 4.0. Più che sulle guerre di religione, le forze politiche dovrebbero avere oggi l'intelligenza di SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/02/2018 8
27/02/2018 Pag. 1 N.8 - 26 febbraio 2018 tiratura:25000 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato convergere su un programma realistico, ma capace di una visione lunga, che sarebbe non di una parte ma di tutti. Se la priorità presente in tutti i programmi elettorali di forte rilancio degli investimenti pubblici e privati non è l'ennesimo annuncio vuoto, se ne faccia oggetto di un esempio virtuoso di convergenza nazionale. SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/02/2018 9
27/02/2018 Pag. 1 N.8 - 26 febbraio 2018 tiratura:25000 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato SUL WEB Edilizia. Niente permesso per 58 interventi «light» Arrivano le prime 58 definizioni - ma la lista resta aperta - degli interventi di edilizia privata che non richiedono comunicazioni (Cil, Cila, Scia) né permesso di costruire. La lista (in attuazione del Dlgs 222/2016) traccia un confine tra una miriade di piccoli interventi di manutenzione e miglioramento che nel Testo unico edilizia (Dpr 380/2001) sono indicati solo per capitoli. SCENARIO EDILIZIA - Rassegna Stampa 27/02/2018 10
SCENARIO ECONOMIA 17 articoli
27/02/2018 diffusione:231083 Pag. 26 tiratura:321166 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato «Indipendenza Bce garantita dai trattati Molta volatilità, non c'è guerra di valute» Draghi: giudizio su De Guindos l'8 marzo. Lo spagnolo: un politico può difendere l'autonomia La scelta La decisione definitiva spetta al Consiglio dei capi di Stato e di governo il 22 marzo Ivo Caizzi BRUXELLES Due audizioni separate e consecutive, nella commissione Econ dell'Europarlamento, hanno chiamato in causa possibili rischi per l'indipendenza della Banca centrale europea (Bce). Il presidente dell'istituzione di Francoforte Mario Draghi e poi il controverso ministro delle Finanze spagnolo Luis de Guindos, designato come nuovo vicepresidente della Bce dai colleghi dell'Eurogruppo/Ecofin, hanno rassicurato. Ma alcune parole taglienti di Draghi e il discusso passato di de Guindos, notoriamente da anni filo-Berlino, hanno lasciato dubbi tra alcuni eurodeputati. Il presidente della Bce ha annunciato che «l'8 marzo» la sua istituzione renderà noto il parere di rito (non vincolante) sulla designazione del nuovo vicepresidente, che sarebbe il primo politico a passare da un governo alla banca centrale della zona euro, organismo tecnico indipendente. «Il quadro istituzionale è il nostro scudo contro ogni interferenza politica», ha risposto Draghi agli eurodeputati in relazione alle caratteristiche di de Guindos, accusato anche di conflitto d'interessi per essere stato scelto dagli stessi colleghi dell'Eurogruppo/Ecofin. «Non sta a me discutere in questa occasione del candidato raccomandato dall'Ecofin», ha precisato Draghi, anticipando che dall'Eurotower «sarà espressa una valutazione sulle sue competenze in materia di politica monetaria e bancaria». Si tratta proprio dei punti deboli del ministro delle Finanze spagnolo, che non ha competenza operativa di politica monetaria (materia base per un banchiere centrale). Quando era alla banca d'affari Usa Lehman Brothers, che fu travolta dalla crisi finanziaria, da numero uno per Spagna e Portogallo fu collegato perfino a una vendita di titoli risultati «tossici». De Guindos, parte di un governo di centrodestra, si è difeso ridimensionando le critiche e promettendo di mostrarsi «un fermo difensore dell'indipendenza della Bce» perché la considera fondamentale «per tenere bassa l'inflazione». Quando detto da Draghi può far ritenere che il consiglio esecutivo della Banca Centrale europea, composto di sei membri finora tutti tecnici, non intende consentire comunque al nuovo vicepresidente di mettere in discussione le decisioni indipendenti di politica monetaria. Oggi gli eurodeputati della commissione Econ devono votare (in modo non vincolante) sul nuovo vicepresidente della Bce. Dall'audizione, nonostante le domande critiche, è emersa una certa disponibilità ad approvare lo spagnolo a maggioranza. Dopo il parere degli eurodeputati e dell'Eurotower, la decisione definitiva spetta al Consiglio dei capi di Stato e di governo il 22 marzo. Draghi, valutando lo scenario macroeconomico, è stato incoraggiante sulla ripresa «robusta e più forte di quanto previsto in precedenza». Ha ammonito sulla «crescita delle retribuzioni rimasta modesta» e sugli «attivi illiquidi del settore bancario», promettendo «pazienza e perseveranza» nel portare avanti la sua politica monetaria espansiva, spesso criticata da Berlino. E ha aggiunto: «Non c'è alcuna guerra delle valute di cui si possa parlare», ma «la recente volatilità nei mercati finanziari, specie nel tasso di cambio, merita particolare attenzione» . © RIPRODUZIONE RISERVATA Il cambio Corriere della Sera Dicembre 1,16 1,24 1,22 1,20 1,18 2017 2018 Febbraio Ieri 1,231 Foto: Il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi. Ieri in audizione in Commissione affari economici dell'Europarla-mento SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/02/2018 12
27/02/2018 diffusione:231083 Pag. 28 tiratura:321166 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato I conti Esselunga accelera su ricavi e profitti La spinta di online e vendite a domicilio Avviata la ricerca di un direttore generale. Dal riassetto risparmiati 90 milioni di affitti Daniela Polizzi Da pioniere dell'ecommerce, più di 15 anni fa, a player delle consegne che quest'anno arriveranno a 220 milioni di ricavi. Un guanto di sfida lanciato ad Amazon negli acquisti online in Italia, oltreché un cardine della crescita futura che verrà anche dall'aumento del numero di store. E questo nell'ambito di investimenti che replicheranno quelli dell'anno scorso, chiuso con 439 milioni di risorse puntate sulla crescita. Per un totale di 1,8 miliardi secondo il piano al 2020. Il motore gira pieno ritmo in casa Esselunga, primo gruppo della distribuzione, il cui board presieduto da Vincenzo Mariconda e che vede Marina Caprotti vicepresidente (la figlia più giovane del fondatore Bernardo Caprotti), ieri ha esaminato i conti del 2017, chiusi con ricavi in aumento del 3,1% a 7,75 miliardi, trainati dalle nuove aperture e sostenuti dall'ecommerce (180 milioni). Due i passaggi chiave dell'anno: il riassetto in famiglia e il bond da un miliardo. La società guidata dall'amministratore delegato Carlo Salza ha condiviso con il consumatore il lato positivo del calo dei prezzi per i prodotti di largo consumo confezionati, (deflazione dello 0,6% a vantaggio dei clienti). Questo, nell'ambito di sconti totali pari a 1,4 miliardi, 100 milioni in più rispetto al 2016. La manovra è stata possibile perché il numero di clienti è salito del 5% (5,6 milioni), trainato dallo sviluppo della rete di 157 store. Quelli a Roma (Prenestino), Novara, Verona e Bergamo con i quali si è arrivati a 23 mila addetti. Il gruppo replicherà ora a Milano (Famagosta) e con le riaperture a Verona, Vimercate e Pistoia. Esselunga è una macchina sempre più complessa. Da qui la ricerca (con Egon Zhender) di un manager con esperienza di mercati e canali, che gestirà le attività operative sotto la guida di Salza.La sfida più ambiziosa è l'ecommerce. Il mercato, sempre più competitivo, non ha frenato l'utile netto rettificato, salito del 3,9% a 305,8 milioni a fronte di un margine operativo lordo di 647,9 milioni (+8%). Ha avuto effetti positivi il riassetto in famiglia che ha portato sotto Esselunga il 67,5% dell'immobiliare Villata (ceduto in parte da Marina con i fratelli Violetta e Giuseppe che hanno ricevuto dalla società 321 milioni a testa) che ha portato in dote 83 immobili. Il gruppo può così risparmiare 90 milioni per gli affitti. È la prima fotografia che il gruppo scatta dopo l'emissione obbligazionaria dell'autunno. Un bond per il quale gli investitori avevano fatto richieste pari a nove volte l'offerta. E l'andamento dei titoli ha dato loro ragione. Ma anche alla società che ha un profilo investment grade, adatto per raccogliere liquidità a costi vantaggiosi. © RIPRODUZIONE RISERVATA I numeri del gruppo 305,8 milioni l'utile netto 3,1 l'incremento delle vendite 180 milioni le vendite in ecommerce 5,6 milioni i clienti, con un incremento del 5% 23.094 i dipendenti 420,6 milioni il risultato operativo Dati del 2017 Foto: Marina Caprotti, 40 anni, è la figlia più giovane del fondatore dell'Esselunga Bernardo Caprotti, scomparso nel settembre 2016. Ricopre il ruolo di vicepresidente del gruppo dei supermercati che nel 2017 ha realizzato vendite per 7,7 miliardi, in crescita del 3,1% rispetto al 2016 SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/02/2018 13
27/02/2018 diffusione:231083 Pag. 29 tiratura:321166 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato La cessione Scaglia vende La Perla al private equity Sapinda I timori del sindacato Fabio Savelli Il fondo di private equity guidato dal controverso finanziere Lars Windhorst. Con grossi investimenti nell'immobiliare, ma non nel lusso. Sapinda si prende tutta La Perla, il gioiellino made in Italy della lingerie di alta gamma. Il venditore è la famiglia Scaglia, socio di controllo della holding. Il prezzo non è stato comunicato, ma occorre considerare i 300 milioni di investimenti di questi ultimi quattro anni per potenziare la rete commerciale, oltre ai 69 milioni con i quali il fondatore di Fastweb aveva comprato la società dal Tribunale di Bologna al termine della procedura di concordato. L'annuncio dell'operazione ha colto di sorpresa tutti. Soprattutto i sindacati che in questi ultimi due mesi avevano visto diversi manager di Fosun in vista di una possibile acquisizione da parte della conglomerata cinese, che controlla Caruso, John Knits e Tom Tailor e l'ex palazzo Unicredit a Milano, oltre che Club Med. Fosun però era vista con sospetto per le sue possibili mire di delocalizzazione. Fonti vicine al dossier rilevano che la fase del negoziato in esclusiva con i cinesi però era terminato e Silvio Scaglia si è sentito libero di trattare con il fondo Sapinda per spuntare condizioni migliori. Roberto Guarinoni, segretario Filctem-Cgil di Bologna, dice che «i nuovi acquirenti sono sconosciuti nel mondo del lusso, per cui abbiamo diversi interrogativi sulla loro capacità di dare un solido sviluppo» a La Perla. Che ha oltre 1.500 dipendenti, il quartier generale a Londra, ma il cuore produttivo a Bologna, dove tra operai, creativi e rete commerciale sono in 650. Il gruppo ha aperto negli ultimi anni nuove boutique, che oggi sono a quota 150 monomarca, in posizioni strategiche come via Montenapoleone a Milano, Rodeo Drive a Los Angeles e Aoyama a Tokyo. Gli interrogativi su Sapinda vertono sulla figura di Wind-horst che è stato oggetto di indagini per le attività finanziarie riconducibili ad un veicolo d'investimento con sede in Lussemburgo. La società di consulenza Deloitte ha abbandonato la revisione dei conti un anno fa perché «il fondo aveva fornito informazioni deliberatamente false». © RIPRODUZIONE RISERVATA 1.500 i dipendenti che lavorano nel gruppo La Perla tra le sedi in Italia e quelle all'estero Foto: In alto Silvio Scaglia, azionista di controllo del brand ( nella foto la sfilata a New York del 2017 ) SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/02/2018 14
27/02/2018 diffusione:97980 Pag. 1 tiratura:140038 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato I VENT'ANNI DEL TUF Una spinta a privatizzare, alleggerire e tutelare Marco Onado Il Testo unico della finanza di cui cade in questi giorni il ventennale - completò il processo di trasformazione dell'ordinamento finanziario italiano e consentì di portare a termine il processo di privatizzazione (il più vasto attuato dai Paesi avanzati in quegli anni) che diede una duplice assicurazione ai mercati internazionali: che il processo di rientro del debito pubblico accelerato dai governi Ciampi e Prodi era credibile e che il mercato italiano era presidiato da difese dell'investitore all'altezza dei migliori standard internazionali. Va ricordato che il decennio era iniziato sotto cattivi auspici: una grave crisi che aveva gettato la lira fuori dallo Sme, il fallimento del sistema bancario meridionale, una forte depressione economica e il terremoto di Mani pulite con tutte le conseguenze politiche che ne sono derivate. Ma mentre moriva la Prima repubblica e con essa una parte non piccola del vecchio tessuto economico e finanziario, l'Italia realizzava una riforma profonda del suo ordinamento. Il Testo unico bancario e la legge sull'intermediazione finanziaria all'inizio del decennio, il Testo unico finanziario alla fine. Non è un caso che la Commissione che ha lavorato per la preparazione delle nuove norme fosse presieduta da Mario Draghi, che in qualità di Direttore generale del Tesoro era in prima linea nei processi di privatizzazione e il referente principale degli investitori internazionali da cui dipendeva il successo delle operazioni di privatizzazione. Tanto che egli non solo presiedette tutte le numerose riunioni della Commissione, ma ebbe un ruolo indiscusso di leadership nelle peraltro rare occasioni in cui è emersa qualche differenza nelle posizioni dei due principali attori, cioè la Banca d'Italia e la Consob. Continua pagina 11 Continua da pagina 1 Le parole d'ordine erano: semplificazione (si voleva una legge che facesse prevalere i principi generali sulla burocratica elencazione dei precetti); privatizzazione (in particolare completo superamento della natura pubblica delle borse); rafforzamento delle difese degli investitori. Quest'ultimo era allora l'esigenza più acuta: il diritto societario italiano non era considerato all'altezza dei tempi e nelle graduatorie internazionali di ricerche specializzate occupava un posto di retroguardia. Inoltre, la legge sull'Opa (introdotta in Italia pochi anni prima per recepire una direttiva europea) aveva urgente bisogno di una manutenzione straordinaria. La Commissione lavorò intensamente, affiancata da un Comitato di esperti di alto profilo, in uno spirito di collaborazione che dimostrava quanto le istituzioni rappresentateei singoli componenti fossero consapevoli dell'importanza storica di quella riforma. Tantoè vero che il testo proposto al Governo venne corretto dal Parlamento in due punti: quello che assegnava forti poteri di indagine alla Consob nei casi di manipolazione di mercato e quello che prevedeva una disciplina speciale per le grandi popolari quotate. Sul primo punto, qualche anno più tardi la direttiva europea scavalcò "a sinistra" la commissione e costrinse a introdurre molti dei -bise -ter di cuiè oggi costellato il testo. Sul secondo, è inutile infierire dopo quello cheè successo negli ultimi anni. La legge venne accolta con grande favore e, nelle graduatorie già ricordate, l'Italia fece un balzo in avanti sensazionale, passando da posizioni vicino alla retrocessione alla zona Champions. Un riconoscimento internazionale di tutto rispetto che premiava lo sforzo della Commissione e del governo. C'era però un ottimismo di fondo nel clima di allora che è andato in parte deluso: l'idea che un nuovo quadro normativo avrebbe favorito il rinnovamento delle imprese italiane, afflitte dalla chiusura dei modelli proprietari e dalla riluttanza alla quotazione in Borsa. In realtà la riforma della normativa era una condizione necessaria, ma non sufficiente. Come è dimostrato dalla difficoltà di aumentare la dimensione della Borsa italiana rispetto ad altri Paesio come dimostrò subito in modo drammatico il caso Telecom. A pochi mesi dall'entrata in vigore del Tufe della privatizzazione del colosso telefonico, venne lanciata un'Opa che avrebbe finito per scaricare sulla società una montagna di debiti. Il successo non fu determinato dalle nuove norme (anzi con le vecchie l'onere per uno scalatore avrebbe potuto anche essere inferiore), ma dal fatto che il settore privato italiano non colse l'invito di Draghie del governoa costituire un nocciolo duro di SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/02/2018 15
27/02/2018 diffusione:97980 Pag. 1 tiratura:140038 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato investitori capaci di garantire stabilità nella fase di transizione. L'esile pacchetto che venne messo insieme da imprenditori che si illudevano che valesse ancora il principio che le azioni si pesano, non si contano, fu ovviamente travoltoe da allora le strategie e lo sviluppo tecnologico della società sono state condizionati pesantemente dal fattore finanziario. Fu il primo esempio (altri ne seguiranno negli anni successivi) che le riforme sono sì importanti, ma bisogna sapersele meritare. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/02/2018 16
27/02/2018 diffusione:97980 Pag. 1 tiratura:140038 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato FINANZA. LE REGOLE Così il Testo unico ha cambiato la Borsa Morya Longo Così il Testo unico ha cambiato la Borsa pagina 11 In fondo è stato il suo primo «whatever it takes». Il Testo unico della finanza, elaborato esattamente vent'anni fa da Mario Draghi quando era direttore generale del Tesoro, ha senza dubbio rappresentato un punto di svolta per il mercato finanziario di questo Paese. Come le celebri parole che anni dopo Draghi ha pronunciato in veste di presidente Bce. Perché questo monumentale volume normativo varato il 24 febbraio del 1998 - che ha messo insieme, semplificato e migliorato le molte leggi che prima regolavano il mondo della Borsa e degli investimenti - ha contribuito a traghettare un piccolo mondo antico come la Borsa di Milano verso l'era moderna. Anticipando di anni molti temi poi introdotti dalla direttiva Mifid. Oggi nel Testo unico della finanza (Tuf) resta ben poco dell'elaborato iniziale, dato che in vent'anni è stato modificato 70 volte per recepire le normative europee. Per molti aspetti in realtà già anticipava la normativa europea. Per altri le varie direttive l'hanno migliorato. Per altri aspetti invece no, e tutt'oggi la vecchia Legge Draghi mantiene alcuni dei difetti che aveva allora. Uno fra tutti: la poco chiara divisione dei compiti di vigilanza tra la Consob e la Banca d'Italia. Ai tempi l'ambiguità era nata a causa del braccio di ferro tra le due autorità sul tema delle competenze. I testimoni di allora riferiscono di diverbi anche accesi tra le due autorità. Sta di fatto che questo è uno dei motivi per cui neppure il Tuf, che si poneva l'obiettivo di rafforzare la tute- la dei risparmiatori, è riuscito a evitare i casi di risparmio tradito che da Cirio e Parmalat fino ai bond subordinati hanno bruciato miliardi delle famiglie italiane. Piccolo mondo antico Nel febbraio 1998, quando Draghi varava l'omonima legge, il mercato finanziario italiano aveva un'impostazione ancora feudale e locale. Le azioni si compravano e vendevano in lire, Piazza Affari era un incrocio intricato e oscuro di patti di sindacato e di capitalismo famigliare. La Borsa aveva ancora una concezione pubblicistica. In Italia non esisteva un vero mercato obbligazionario, se non quello dei titoli di Stato. In Borsa erano quotate 243 aziende, contro le 417 attuali. Oggi non si può certo dire che la piazza finanziaria italiana abbia fatto passi da gigante, dato che resta di piccole dimensioni e dominata da società famigliari. Tant'è che in vent'anni la capitalizzazione del mercato azionario non è aumentata in maniera significativa, passando dai 485 miliardi di euro del 1998 (pari al 42% del Pil) ai 677 miliardi attuali (pari al 41% del Pil). Ma molte cose sono comunque cambiate. Grazie anche alla certezza normativa impostata dal Testo unico della finanza. Il listino milanese ha attirato molti investitori internazionali (oggi circa il 90% del flottante è in mani estere). La stessa Borsa Italiana è finita nelle mani di quella di Londra. Oggi esiste un mercato crescente di obbligazioni aziendali. Le tutele per i piccoli risparmiatori, soprattutto ora che è entrata in vigore la direttiva Mifid 2, sono in molti casi aumentate. Il mondo della finanza è insomma cambiato, anche in Italia. Si sarebbe evoluto ugualmente, ma il Tuf ha avuto il merito di in quegli anni accompagnarne il cambiamento con quella certezza normativa necessaria per attirare investimenti. Non sufficiente per far crescere davvero la piazza finanziaria italiana, certo, ma necessaria. Obiettivi raggiunti e mancati Quando il Tuf venne varato, il Tesoro si poneva alcuni obiettivi. Il primo, principale, era di mettere ordine in una selva di leggi e regolamenti poco chiari e poco organici. «La legislazione precedente come il decreto Eurosim - osserva Gioacchino Foti, counsel dello studio legale Clifford Chance - era legata a una concezione pubblicistica della Borsa e paternalistrica delle autorità di vigilanza. Il Tuf ha superato questa impostazione, proponendo un più moderno modello di mercato e di Vigilanza». Il Tuf ha dunque messo ordine alla legislazione, creando chiarezza su molti aspetti. Eppure c'erano allora e restano oggi ancora alcune pecche. Prima fra tutte, come già accennato, la troppo vaga definizione delle competenze tra Consob e Bankitalia che creano ambiguità. E che, purtroppo, hanno prodotto scaricabarile di responsabilità dai casi Cirio e Parmalat (chi doveva vigilare sui bond venduti ai risparmiatori?) a quelli recenti dei bond subordinati bancari (come è emerso durante la Commissione SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/02/2018 17
27/02/2018 diffusione:97980 Pag. 1 tiratura:140038 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato parlamentare d'inchiesta). Ma di punti dove le due Autorità si pestano i piedi ce ne sono molti altri, meno noti. Per esempio in tema di risparmio gestito: Consob ha il compito di verificare la correttezza dei comportamenti dei gestori, mentre Bankitalia la sana e prudente gestione dei fondi stessi. Praticamente la stessa cosa detta in maniera diversa. Oppure Bankitalia controlla Mts (il mercato all'ingrosso dei titoli di Stato) mentre Consob la Borsa Italiana. E oggi, con Mifid 2 che ha assegnato molti poteri anche all'Esma, si crea ancora più ridondanza. Insomma: sovrapposizioni che provocano confusione e - appunto - riducono l'efficacia dei controlli anti-truffa. Alcune cose sono cambiate negli anni, per esempio grazie al decreto salvarisparmio varato nel 2005 dopo i casi Cirio e Parmalat. Ora con Mifid 2 la Consob ha anche il potere di bloccare alcuni prodotti finanziari (la cosiddetta product intervention), anche prima che vengano commercializzati. Ma tanti nodi di vigilanza sono ancora da sciogliere. Il Regno Unito ha risolto questo problema, spaccando in due la "vecchia" Autorità di Vigilanza. Ora esiste la Prudential regulation Authority che controlla lo stato di salute degli intermediari e la Financial Conduct Authority che si occupa delle relazioni con i clienti. Questo - pensano alcuni - è un modello che potrebbe essere imitato. C'è poi un altro punto dolente, non tanto per colpa del Tuf italiano quanto per il fatto che l'Unione europea non ha mai voluto armonizzare la materia: la normativa sull'Opa. «L'Europa - spiega spiega Lucio Bonavitacola, partner di Clifford Chance - ha varato una direttiva nel 2004 sul tema dell'Opa, lasciando ampia discrezionalità tra gli Stati nell'applicazione. Questo crea problemi di asimmetrie e di mancanza di reciprocità». Forse su questo tema, come su quello della Vigilanza, servirebbe un nuovo « whatever it takes ».70 Il testoè stato modificato negli anni 70 volte per recepire tutte le variazioni richieste dalle normative europee che via via si sono verificate SUL SOLE DEL 25 FEBBRAIO 1998 Così Il Sole 24 Ore, nella sua edizione del 25 febbraio 1998, esprimeva alcuni dubbi relativi al nuovo Testo unico dei mercati finanziari. L'andamento di Piazza Affari Vent'anni a Piazza Affari 10.000 15.000 20.000 25.000 30.000 35.000 40.000 45.000 50.000 55.000 31 dicembre 1997 24.401, 54 CAPITALIZZAZIONEIN MILIONI CAPITALIZZAZIONE IN % SUL PIL NUMERO SOCIETÀ QUOTATE Fonte: Reuters e Borsa italiana 24 febbraio 1998 Varato il Tuf, la "legge Draghi" 485. 187 44, 2% 243 1998 726. 566 64, 2% 270 1999 818. 384 68, 2% 297 2000 21 aprile 2004 Emanata la direttiva Mifid, per creare un mercato finanziario integrato in Ue 592. 319 47, 2% 294 2001 460. 089 35, 3% 295 2002 490. 515 36, 5% 279 2003 2004 Prima direttiva Transparency 585. 139 41, 9% 278 2004 688. 021 48, 1% 282 2005 800. 789 53, 9% 311 2006 28 dicembre 2005 Al via la legge "salva-risparmio", varata dopo i casi Cirio e Parmalat 751. 630 48, 4% 344 2007 383. 296 24, 3% 336 2008 474. 767 30, 2% 332 2009 16 aprile 2014 Nuovo regolamento Ue sugli abusi di mercato 446. 835 27, 9% 332 2010 349. 156 21, 3% 328 2011 384. 020 23, 8% 323 2012 26 novembre 2014 Regolamento Ue Priips sui prodotti preassemblati 465. 458 28, 9% 326 2013 482. 438 29, 9% 342 2014 573. 602 35, 1% 356 2015 3 gennaio 2018 in vigore la direttiva Mifid 2 525. 050 31, 8% 387 2016 640. 028 38, 5% 421 2017 23 febbraio 2018 22.672, 15 677. 139 40, 7% 417 2018 Foto: .@MoryaLongo SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/02/2018 18
27/02/2018 diffusione:97980 Pag. 1 tiratura:140038 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Per il 25% della divisione attesi 2 miliardi Deutsche Bank accelera sull'Ipo dell'asset management Isabella Bufacchi Deutsche Bank stringe i tempi per quotare in Borsa il colosso dell'asset management, DWS, che gestisce 700 miliardi di euro. Entro Pasqua il primo gruppo di credito tedesco collocherà il 25% della controllata, per un controvalore compreso tra 1,5 e 2 miliardi di euro che servirà a finanziare il dividendo per gli azionisti. pagina 35 FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente Il colosso DWS con 700 miliardi di attivi in gestione sarà ancora per poco posseduto al 100% dal gruppo Deutsche Bank. Entro Pasqua, con il suo nuovo marchio di due linee argentee che puntano al rialzo e tante speranze di crescere nel redditizio mercato europeo dell'asset management, DWS sarà quotata in Borsa: Deutsche Bank cederà il 25% con un'entrata attesa tra 1,5 e 2 miliardi di euro, un incasso che rimpolperà il tesoretto per distribuire un dividendo che piaccia agli azionisti e che plachi l'onda lunga della disaffezione, soprattutto in Germania. Se quella di DWS non sarà la più grande Ipo dell'anno in Germania, non lo sarà per poco, seconda solo a quella dello spin off dell'attività nel settore sanitario di Siemens. È dunque un'operazione di peso per il mercato tedesco ma anche per quello europeo, lo sbarco in borsa di DWS. «Finalmente indipendenti», titolava ieri Faz. E «la finestra» preannunciata circa un anno fa si è infine aperta, con la società di gestione che arriva al grande passo con i conti in ordine. Dopo un 2016 da dimenticare, con flussi netti in uscita per 39 miliardi che avevano fatto calare gli asset under management di 25 miliardi, il 2017 si è chiuso con il ritorno dei flussi netti positivi per 15,8 mi- liardi: gli investitori istituzionali, soprattutto americani, che si erano allontanati da DWS per la serie di cattive notizie sulla Deutsche Bank (i timori sulla liquidità e i colpi inferti dalle cause in Usa sulle mortgage backed securities), «sono tornatie stanno tornando», ha commentato un portavoce della società di gestione, la seconda in Europa in termini di assets dopo Amundi e con il fiore all'occhiello di Top Dividende, il fondo più grande in Europa. Uno dei punti deboli della catena, stando alle lamentele dei clienti di DWS, era quello di dover condividere con Deutsche Bank la parte infrastrutturale, i sistemi IT, il reparto legale: in vista della quotazione in Borsa, DWS si è già riorganizzata separando e rendendo indipendenti 1.400 dipendenti che lavorano in quei comparti, considerati «la spina dorsale» della società. L'indipendenza, l'autonomia, l'autodeterminazione da Deutsche Bank (che la possiede al 100% dal 2004) sono tutti obiettivi ai quali mira DWS con la quotazione in Borsa del 25% del capitale. Il legame troppo stretto con Deutsche Bank, un gruppo bancario che nonostante sventoli uno dei più solidi Cet1 in Europa non gode ancora della fiducia incondizionata del mercato, non avrebbe consentito di spiccare il volo alla società di gestione che vuole crescere dagli attuali 700 miliardi. Il 55% dei clienti di DWS sono istituzionali, ma ci sono margini: in Europa 7.100 miliardi sono parcheggiati in cash e in depositi, aggredibili dalle società di gestione che si spartiscono per ora un mercato dell'asset management europeo da 4.000 miliardi. DWS va già molto bene in Italia e in Spagna, due mercati di punta dei prodotti d'investimento cross border europei, ma c'è da fare di più. Deutsche Bank, tuttavia, continuerà ad avere il suo tornaconto da questa gallina dalle uova d'oro: il mercato dell'asset management è redditizio e in prospettiva, con il rialzo dei tassi, dovrebbe tornare ad esserlo sempre più. Il gruppo intanto si prepara per lo stacco del dividendo, in aprile. Il fatto che avrebbe avuto un utile nel 2017, se non fosse arrivata la stangata della supertassa americana, non ha entusiasmato il mercato che continua a penalizzare in Borsa il primo global player europeo. I numeri di Deutsche Bank Dati in miliardi di euro 35,0 17,5 0 Ricavi netti 30,01 2016 26,45 2017 Fonte: dati societari 0 -15 -30 Costi -24,73 2016 -23,83 2017 2 0 -2 Risultato lordo -0,81 2016 1,29 2017 0 -0,75 -1,5 Risultato netto -1,36 2016 -0,50 2017 Foto: REUTERS Svolta nell'asset management. La sede di Deutsche Bank SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/02/2018 19
27/02/2018 diffusione:97980 Pag. 1.3 tiratura:140038 La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato Le vie della ripresa I CHIARIMENTI DELLE ENTRATE Il passaggio tra operatori La circolare dell'Agenzia precisa che i trasferimenti non fanno perdere i benefici Casse di previdenza Per il tetto del 5% nell'esercizio successivo diventa decisivo l'incremento dell'attivo Risparmio, il Fisco «rilancia» sui Pir Cumulo con il bonus start up innovative - Intestazione ai minori ma vincoli per i genitori DETENZIONE MENO DI 5 ANNI Semplificazione in arrivo anche per gli intermediari che potranno usare il costo medio ponderato per le plusvalenze tassabili Carmine Fotina ROMA Dalla cumulabilità agli investimenti di Casse e fondi pensione. La circolare 3/E dell'agenzia delle Entrate, integrando le linee guida pubblicate lo scorso ottobre, fornisce ulteriori chiarimenti molto attesi da associazioni di categoria, intermediari e investitori sullo strumento dei Pir (Piani individuali di risparmio). Cumulo agevolazioni e titolarità La circolare, dopo aver sintetizzato le caratteristiche dello speciale regime fiscale agevolativo introdotto con la manovra 2017, chiarisce alcuni margini di cumulabilità. In particolare, sono sommabili gli incentivi fiscali per gli investimenti in startup innovative introdotti con il decreto 179 del 2012. Questi ultimi agevolano gli investimenti di soggetti Irpefe Ires nel capitale delle startup mentre nel perimetro Pir rientrano gli investimenti effettuati dalle persone fisiche, al di fuori di attività commerciali, in strumenti finanziari mediante piani di risparmioa lungo termine. Quanto al tema della titolarità, la circolare ribadisce che non sono previsti limiti minimi all'età delle persone fisiche che possono essere titolari di un Pir. Ma si precisa che l'esenzione fiscale per redditi di capitale e capital gain si applica solo se l'usufruttuario (entrambi i genitori o uno solo dei due)-a cuiè imputato il reddito finanziario derivanti dagli investimenti inseriti nel Pir- non sia contemporaneamente titolare di un altro Piano. La circolare interviene anche sul tema dell'unicità: è possibile essere titolari di più Pir purché non contemporanei, chiuso un Piano se ne può costituire un altro anche nel medesimo periodo di imposta. Casse , fondi pensione e assicurazioni Casse di previdenza e fondi pensione- stabilisce la manovra 2017- possono destinare fino al 5% dell'attivo patrimoniale agli investimenti qualificati dei Pir. Se in un esercizio- precisa ora la circolare - sono effettuati investimenti rilevanti fino al 5%, nell'esercizio successivo se ne possono effettuare con agevolazione solo nei limiti del 5% dell'incremento dell'attivo patrimoniale. Nel caso di diminuzione dell'attivo, invece, non si potranno effettuare ulteriori investimenti qualificati: restano validi quelli posti negli esercizi precedenti. Per i Pir assicurativi, come peri Pir costituiti da fondi dei fondi, si ribadisce chei vincoli di composizione e i limiti alla concentrazione devono essere rispettati in riferimento agli attivi. Trasferimento del Pir La circolare torna sul trasferimento della residenza fiscale all'estero trattato con le linee guida (si veda altro articolo in pagina). Un altro tipo di trasferimento- cioè quello del Pir da un intermediarioa un altro- non fa decadere l'agevolazione in quanto il passaggio non rileva per il calcolo dei cinque anni di possesso minimo dell'investimento (holding period). Ricade ad ogni modo sull'intermediario l'obbligo di verificare la sussistenza delle caratteristiche degli investimenti inseriti nel piano, anche ai fini del riparto tra il 70% di investimenti qualificatie il 30% di quota libera. Le modifiche intervenute successivamente all'acquisto, per effetti non prevedibili dall'investitore (ad esempio una riorganizzazione societaria), per le Entrate non assumono rilevanza. Calcolo redditi e regole sui derivati Rilevante il chiarimento sui casi di pluralità di titoli, quote, certificati o rapporti appartenenti a gruppi omogenei: per la determinazione del reddito derivante dalla cessione si può usare il costo o il valore medio ponderato relativo a ciascuna categoria. Quanto ai derivati, questi strumenti non possono in linea generale beneficiare della disciplina dei Pir. La circolare precisa però nel caso di Oicr conformi alla normativa Pir si può derogare considerandoli «derivati di copertura»: nell'ambito della quota libera del 30% e al solo fine di contenere il rischio degli investimenti qualificati. Tra l'altro, tutto questo solo entro l'ammontare necessario per la copertura delle perdite degli investimenti qualificati. SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 27/02/2018 20
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