Planescape Torment e Icewind Dale sbarcano su Xbox One, Ps4 e Switch
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Planescape Torment e Icewind Dale sbarcano su Xbox One, Ps4 e Switch Planescape Torment e Icewind Dale arrivano su Xbox One, Ps4 e Nintendo Switch. Dopo la recente uscita di Baldurs Gate 1 e 2 (qui la nostra recensione), anche questi titoli vedono nuova vita sulle console di attuale generazione e sono pronti a farsi conoscere dalle nuove generazioni di gamers, ma anche a fare la gioia di chi li ha giocati nello scorso millennio. Planescape Torment e Icewind Dale rappresentano due modi diversi, quasi opposti di vedere i giochi di ruolo. Torment è un rpg a tutto tondo dove la storia la fa da padrone pur con una certa dose di libertà. Una sceneggiatura degna di un ottimo film, personaggi caratterizzati e ben definiti, e una serie di sidequest splendide ne fanno un gioco di ruolo una spanna sopra ai Baldur’s Gate. Icewind Dale invece, propone un’avventura lineare, in certi versi simile ad una sessione
cartacea vera e propria di Dungeon’s and dragons, con missioni a “moduli” e un party tutto da costruire, dove la storia è sì importante, ma di contorno rispetto a strategia e combattimento. Ma andiamo ad esaminare i tioli: Icewind Dale si propone come una sorta di Baldur’s Gate più concentrato sul sistema di combattimento. Certo, una storia è sempre presente, e al giocatore è richiesto di affrontarla dalla propria prospettiva: il che significa che risolvere determinate situazioni in un modo o nell’altro spetta alla sensibilità del giocatore, con tutte le conseguenze del caso. Per tutto il resto, Icewind Dale è molto simile a Baldur’s Gate, ossia è un classico gioco di ruolo con visuale isometrica, con sistema di combattimento in “tempo reale” con la possibilità di poter usare una pausa tattica per poter gestire al meglio le azioni dei membri del party del giocatore. Il party, infatti, è una delle prime differenze rispetto a Baldur’s Gate che saltano all’occhio. Mentre in BG il giocatore deve costruire il suo party mentre avanza nell’avventura selezionando i compagni man mano che si avanza, in Icewind Dale si comincia immediatamente con un party formato di tutto punto. Questo potrebbe allungare decisamente i tempi della creazione dei personaggi, ma per fortuna, il gioco mette a disposizione un party di base creato precedentemente, facendo così risparmiare tempo al giocatore. Inutile dire che l’editor di creazione è sempre lo stesso ed offre, come al solito, un’elevatissima mole elevata di opzioni di personalizzazione della propria squadra. D’altronde, si parla sempre di una campagna di D&D, e Icewind Dale riesce a catturare lo spirito pienamente, regalando centinaia di ore di gioco. Parlando di Planescape Torment, invece, possiamo dire che il titolo riprende le meccaniche dei giochi D&D precedenti e le rielabora per presentare un tipo di esperienza unica nel mondo dei giochi di ruolo. Infatti, a differenza degli altri titoli di cui abbiamo parlato, Torment è quello che presenta il livello di scrittura più alto, con uno stile che non disdegna anche picchi di black humor.
Il giocatore veste i panni del Nameless One, e le informazioni che il giocatore ha su di lui sono uguali a quelle che il personaggio stesso è a conoscenza: ovvero, niente. Tutto quello che si sa è che il protagonista è stato portato in un obitorio perché si credeva fosse morto, solo che all’improvviso si alza e cammina. Uno scheletro fluttuante si avvicina e interagisce con il protagonista, e decide di accompagnarlo per scoprire cosa gli è successo. Infatti, il personaggio principale soffre di un’amnesia che non gli consente di ricordare assolutamente nulla degli eventi che lo hanno portato a finire in un obitorio. Starà al giocatore guidarlo alla ricerca della verità, in un mondo incredibilmente complesso e tutto da scoprire. Come già detto, Planescape Torment ha un accento decisamente maggiore sulla storia e su come il giocatore la può navigare ed influenzare. I testi a schermo sono tantissimi, scritti in maniera davvero squisita. Nonostante la storia abbia una trama assolutamente straordinaria però resta comunque un gioco con vent’anni alle sue spalle. Infatti, chi sta dinanzi lo schermo non sa mai bene quello che deve fare, dove deve andare, e soprattutto come farlo. Tutto ciò è lasciato al giocatore stesso da scoprire; questo perché Torment richiede un’immedesimazione molto elevata, richiede di tuffarsi nel mondo di gioco con grande attenzione e concentrazione, senza lasciarsi sfuggire dettagli e cercando di non tralasciare
nulla. Se si è in grado di superare gli ostacoli iniziali dovuti all’età di questo titolo, ci si ritroverà davanti uno degli esempi più sopraffini di narrativa videoludica e credeteci, vivere un’esperienza del genere è davvero fantastico. Adesso che abbiamo fatto un veloce excursus su ciò che i due titoli hanno da offrire, andiamo ad analizzare il comportamento di Icewind Dale e Planescape Torment su console. Come per Baldur’s Gate, il lato puramente estetico non rappresenta un problema, e anche lo zoom che va a “distorcere” le texture, è parte integrante di un compromesso impossibile da risolvere. Non è possibile, a meno di non ricreare completamente la grafica partendo da texture ad alta definizione, ma è una discussione prettamente accademica in quanto questo tipo di lavoro richiederebbe una mole di risorse tale da scoraggiare qualsivoglia progetto. E forse, soprattutto per i puristi, non sarebbe nemmeno corretto. Infatti, questi giochi vanno goduti per ciò che offrono in termini di storia e gameplay, non certo per l’aspetto estetico. Dal punto di vista tecnico, esattamente come con la collection di Baldur’s Gate, anche qui Skybound Games e Beamdog hanno fatto un lavoro molto ben riuscito. Il sistema di controlli funziona alla perfezione: anche se stiamo anni luce dalla precisione che tastiera e mouse, per cui questi giochi erano originariamente pensati, la mappatura dei pulsanti però è decisamente convincente. Certo, c’è bisogno di un primo
periodo di apprendimento; ma dopo un po’, navigare il mondo di gioco e fra le varie finestre dei menu diventerà facile come bere un bicchiere d’acqua, specialmente per chi è abituato ad avere a che fare con i giochi di ruolo. Tirando le somme, possiamo dire che con Planescae Torment e Icewind Dale su console, i giocatori si trovano in mano due rpg indimenticabili. Strategia e personalizzazione ai massimi livelli faranno la gioia degli appassionati di D&D, mentre le ambientazioni da brividi, soprattutto quelle di Planescape Torment sono quanto di meglio si possa trovare in circolazione. Certo, ve lo ripetiamo, questi titoli sono adatti a utenti esperti, ma se si ha pazienza e costanza, anche un giocatore di primo pelo può imparare e apprezzare la maestosità di queste vere e proprie opere videoludiche. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 8 Sonoro: 9 Gameplay: 9,5 Longevità: 9,5
VOTO FINALE: 9 Francesco Pellegrino Lise Call of Duty Modern Warfare, il reboot che rilancia la saga Call of Duty Modern Warfare è un reboot della saga che ha rivoluzionato il concetto di sparatutto in prima persona ed è disponibile su Pc, Xbox One e Ps4. Per anni gli appassionati di questo genere, dopo una prima trilogia indimenticabile e diversi titoli futuristici che non
hanno avuto lo stesso impatto della serie MW originale, hanno desiderato un ritorno alle origini, e quest’anno Activision e Infinity Ward hanno deciso di accontentare i fan. Il nuovo capitolo di Call of Duty, infatti, non è altro che una rilettura del titolo uscito nel 2007 che utilizza alcuni fra i personaggi iconici del brand e apre la strada verso un futuro che sembra essere pronto a riscrivere una delle storie più amate dal popolo dei gamers. Call of Duty Modern Warfare ripropone i tre pilastri storici del brand, ossia: la Campagna single player, una corposa componente multiplayer, vero fulcro del gioco per milioni di appassionati, e una componente cooperativa basata su orde di nemici IA con le Operazioni Speciali. Prima analizzare queste modalità, è però doveroso parlare di un’altra novità: dopo anni e anni di riciclo e ritocchi del motore originale della serie, lo studio stavolta ha introdotto un engine grafico completamente nuovo, pensato per gli hardware di prossima generazione che anche sulle console di attuale generazione si difende davvero bene con modelli estremamente curati, animazioni fluidissime ed effetti speciali hollywoodiani che rendono tantissime parti della campagna realistiche quasi quanto un film di guerra.
Come già detto, per quanto riguarda la storia in singolo, Infinity Ward ha deciso di tornare ai suoi titoli più famosi, con un vero e proprio reboot che riprende personaggi e tematiche dei vecchi titoli, inserendoli in un nuovo contesto. La campagna, come detto dallo stesso studio di sviluppo, vuole essere uno spaccato sulla guerra moderna. Nel 2007 Call of Duty 4: Modern Warfare aveva lo stesso obiettivo, ma era figlio di un’altra epoca; 12 anni fa, erano ancora forti tematiche come la guerra in medio-oriente, una guerra diversa da quelle del passato, ma in cui ancora si potevano vedere eserciti, regolari e non, scontrarsi tra loro. Dodici anni sono passati e con essi è cambiato, almeno per il team di Infinity Ward, il significato di “guerra moderna”. Per questo Call of Duty: Modern Warfare non presenta battaglie tra eserciti di soldati, ma una guerra più subdola, che entra nelle vite di tutti i giorni. Per far comprendere pienamente i toni di questo gioco e che cosa si intende per “guerra moderna” ci basterà descrivere brevemente una missione: in una di quelle iniziali, infatti, il giocatore si trova a Picadilly, una delle strade più famose di Londra. La vita scorre come da norma per la metropolitana: folle di persone che sciamano lungo i marciapiedi, le strade bloccate dal traffico, le luci elettriche che illuminano la serata. Il giocatore, però, nei panni di un agente delle forze speciali, stiamo cercando di fermare una
cellula terroristica che, a bordo di un veicolo, si lancia tra la folla e facendosi esplodere. La battaglia comincia così, tra le strade di Londra, in mezzo ai civili, in mezzo alle grida disperate. Le tematiche toccate dal gioco sono forti e riguardano argomenti davvero contemporanei, che non sono affatto semplici da trattare. Fortunatamente, Call of Duty: Modern Warfare riesce anche a evitare un approccio eccessivamente apodittico all’argomento. Se in molte missioni ci si trova nei panni di soldati occidentali, in altre si vestono i panni dei ribelli dell’Urzikstan, che hanno intenti simili alle cellule terroristiche di Al-Qatala, vale a dire la liberazione del loro Paese. In particolare, ci sono missioni ambientate nell’infanzia della comandante dei ribelli, Farah, che mostrano la violenza che è stata usata contro il suo popolo e che portano a capire tanto i suoi motivi quanto quelli delle cellule terroristiche, di cui Farah e i suoi ribelli non condividono i metodi. In questa situazione è difficile fare una divisione netta tra buoni e cattivi. Ci sono personaggi ambigui tra le forze occidentali, ma ve ne sono anche negli altri gruppi. Infiltrarsi nei covi dei terroristi significa infiltrarsi in case di persone che non sono dei veri soldati, persone che hanno una famiglia, mogli, mariti e figli. Sono queste missioni, più di altre, che generano una
sensazione contrastante, gettando veri dubbi su quale sia la cosa giusta da fare in queste situazioni. La campagna di Call of Duty Modern Warfare ha una tenuta narrativa che la serie non vedeva dai tempi di Black Ops 2, e che sicuramente rientra tra le migliori offerte dalla serie fino ad ora. Questo, grazie anche ad un cast di personaggi che rimane impresso, anche dopo l’avventura. Le storie dei quattro protagonisti sono ben delineate e, alla fine della campagna, è chiaro che i loro volti sono destinati a tornare presto, ma saranno accompagnati da alcune vecchie conoscenze. Chi vivrà vedrà. Volendo essere puntigliosi e trovare un difetto per questa modalità, possiamo dire che la durata della campagna è piuttosto breve, intorno alle sei/7 ore, e ad essere penalizzata è la parte finale. Il ritmo narrativo subisce infatti un’improvvisa accelerata verso la fine, che stona con il resto della storia. La sensazione che si ha una volta portata a termine la storia è infatti quella che manchi qualcosa per completare il tutto. Lo step successivo alla Campagna in singolo è quello della modalità cooperativa Operazioni Speciali, che è possibile affrontare in locale (fino a 2 giocatori) e online (fino a 4 persone). Tale tipologia di gioco permette ai giocatori di affrontare missioni top secret ad
alto tasso di adrenalina contro orde di soldati IA sempre più equipaggiati e letali. A differenza della storia proposta da Call of Duty Modern Warfare, però, questa modalità sembra realizzata in maniera piuttosto frettolosa, con poca cura per i dettagli ed asset che sembrano quasi nati per altri utilizzi. Una volta lanciata una delle missioni disponibili, ci si trova infatti in una gigantesca mappa con strade, edifici e punti di interesse basati su mappe storiche della saga, divisa in aree accessibili a seconda delle operazioni, che sembra palesemente creata per una qualche modalità Battle Royale non ancora rilasciata (ma si mormora che arriverà ad inizio 2020). Qui le missioni presentano obiettivi piuttosto semplici come l’uccisione di determinati nemici o la conquista di alcune aree, il tutto mentre si affrontano orde di soldati IA sempre più forti, che vanno dai soldati semplici fino ai temibili Juggernaut o altri che utilizzano carri armati ed elicotteri, fino a completare gli obiettivi per poi essere estratti da un elicottero per terminare la missione. Il tutto sembra molto bello se non che, ad oggi, raggiungere questo obiettivo è praticamente impossibile: infatti i nemici respawnano di continuo anche a pochi metri dai giocatori o addirittura alle loro spalle, e grazie al time-to-kill bassissimo che accompagna ogni modalità del gioco, restare in piedi è un’impresa
disperata vista anche la scarsità delle coperture in giro per la mappa. L’unica strategia che funziona al momento, ma solo in alcune aree, sembra essere quella di nascondere un giocatore in un punto irraggiungibile all’IA, perché se qualcuno resta in vita anche i compagni morti possono rientrare dopo circa un minuto di attesa. Insomma, le operazioni speciali di Call of Duty Modern Warfare a nostro avviso rappresentano una modalità sfruttata male e che al momento offre pochi motivi per essere giocata. Tale tipologia di gioco necessiterà di diversi aggiornamenti per diventare degna di attenzione o quanto meno al pari di quelle viste nel 2009 con CoD MW2. Peccato davvero. Differentemente dalle operazioni speciali, le modalità online di Call of Duty Modern Warfare raggiungono in pieno l’obiettivo: una partita tira l’altra ed è un piacere ritornare nelle mappe per un altro scontro. C’è da dire che fortunatamente quest’anno il multiplayer ha subito più di una rivoluzione soprattutto per quel che riguarda le modalità di gioco, che guardano sia a giochi di guerra su grande scala come Battlefield che a titoli che prediligono le lotte due contro due. Ovviamente è presente anche il multiplayer “classico”, dove due squadre di 5 o 6 giocatori si affrontano in mappe medio-piccole nelle classiche modalità che ormai famose della saga come il Deathmatch a Squadre, Cerca e Distruggi ma anche lo spassoso Attacco Hacker che ricalca le regole del CeD tranne che per il fatto che i compagni possono essere rianimati, creando così dinamiche di ingaggio molto più variegate con un 1v4 che può tranquillamente diventare 4v2 se
il giocatore rimasto è bravo ad aggirare i nemici. On Call of Duty Modern Warfare anche le meccaniche di gioco hanno subito alcuni cambiamenti: velocità di movimento ridotta, tempi di mira allungati, possibilità di agganciarsi alle coperture per sbirciare più al sicuro e ottenere una mira più precisa a discapito della mobilità, mappe con tanta verticalità e dove lo scavalcamento degli ostacoli risulta molto più immediato rispetto a prima hanno portato a un approccio più cauto e meno da “Rambo”. Da tutto questo e da livelli di salute molto più bassi rispetto ai classici CoD ne deriva uno stile di gioco più fluido ma anche più lento e ragionato, amplificato dall’impressionante volume sonoro dei passi che rivelano rapidamente la posizione ai nemici circostanti e dal ritorno delle letali mine claymore. Ovviamente in Call of Duty Modern Warfare c’è anche la possibilità di personalizzare le proprie classi. Via il sistema Pick 10, si torna al sistema inventato nel 2007 da Infinity Ward stessa nel primo Modern Warfare, dove ogni slot ha un utilizzo specifico e vanno occupato per forza partendo dall’arma principale fino ad arrivare alle granate e ai perk. Tra questi si sottolinea la presenza di ritorni eccellenti come Fantasma, che nasconde i giocatori ai radar degli aerei spia, o un perk inedito che ricarica automaticamente ogni 30 secondi granate, claymore, flashbang o qualunque altro equipaggiamento in possesso del giocatore. La chicca del multiplayer di Call of Duty Modern Warfare però è l’Armeria, luogo dove è possibile creare migliaia di combinazioni letali per personalizzare al meglio qualunque arma, cambiandone anche drasticamente l’utilizzo. Insomma, in questo nuovo capitolo della serie sparatutto più famosa del mondo i contenuti non mancano di certo e non resta altro che vedere come se la caverà poi Infinity Ward con il supporto post-lancio. Al momento non ci sono neanche microtransazioni (con gli sviluppatori che hanno dichiarato di rilasciare tutte le mappe gratuitamente e di non introdurre meccaniche loot- box), mentre diverse novità come il cross-play tra tutti i sistemi e il supporto mouse e tastiera sono già delle novità più che benvenute. Presente ovviamente anche la localizzazione
completa in italiano del titolo che rende l’avventura ancora più bella da vivere e totalmente immersiva. Come già accennato, grazie al nuovo motore grafico Call of Duty: Modern Warfare porta la serie Activision verso nuovi standard qualitativi. Chiaramente ciò va a incidere sulle prestazioni del gioco in termini di frame rate e se vi state domandando su quale piattaforma gira meglio il titolo? Bene ecco il mostro responso riguardo la campagna: la maggiore risoluzione utilizzata da Infinity Ward su Xbox One X rende questa versione del gioco non sempre stabile e talvolta soggetta a cali anche abbastanza vistosi, cosa che di contro non accade su PS4 Pro dove la console Sony offre più stabilità a scapito di una qualità grafica leggermente inferiore. Per quanto concerne invece i modelli base, PS4 e Xbox One, la situazione appare decisamente più problematica dove il target dei 60 fps spesso e volentieri non viene raggiunto. Ovviamente, quest’utima analisi di Call of Duty Modern Warfare è mirata a evidenziare aspetti assolutamente non percettibili da occhi inesperti. Il titolo offre un’ottima esperienza su entrambe le console e ovviamente anche su Pc. Quindi, alla luce di quanto detto, se siete alla ricerca di uno sparatutto in prima persona che ricordi i CoD di fine decennio scorso, il nuovo prodotto di Activision e Infinity Ward sarà una vera e propria gioia. Con questo reboot della saga il brand sembra finalmente aver trovato la via d’uscita dal tunnel di buio e monotonia in cui era finita negli ultimi anni. Quindi, tirando le somme, siamo assolutamente certi che la riedizione del grande classico del 2007 sarà decisamente un prodotto apprezzato dalle nuove generazioni di gamers, ma anche da chi 12 anni fa giocava al titolo originale. GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9 Gameplay: 9 Sonoro: 9 Longevità: 9,5 VOTO FINALE: 9 Francesco Pellegrino Lise
TikTok dall’app di successo al nuovo smartphone Annunciato a gran voce come il TikTok Phone, in realtà il “Jianguo Pro 3” (questo il nome del dispositivo) è soltanto prodotto dalla stessa società dietro l’applicazione in testa a tutte le classifiche di download del momento, Bytedance. Ufficializzato per il mercato cinese, il nuovo dispositivo non dovrebbe avere molte possibilità di giungere fin da noi in Europa ed è un peccato dato che si tratta di uno smartphone dalle caratteristiche davvero niente male. Lo smartphone Targato TikTok arriva sul mercato con un prezzo di ingresso tutt’altro che economico (2.899 yuan, l’equivalente di circa 410 dollari). Ovviamente fra i servizi preinstallati è presente Douyin, la versione di TikTok destinata agli utenti cinesi: basta passare il dito sulla schermata di blocco e immediatamente si applicano gli effetti e i filtri dell’app ai video in memoria. Definirlo lo smartphone di TikTok è però forse improprio, visto che proprio i portavoce di ByteDance hanno confermato come questo dispositivo sia di fatto la continuazione dei progetti già in essere prima dell’avvio della partnership con Smartisan, ma è certo che si tratti di un apparecchio con caratteristiche tecniche non banali. A livello
tecnico il “TikTok Phone” si presenta con una dotazione da dispositivo di fascia alta, a cominciare dal processore Snapdragon 855 Plus, cui fa pendant una batteria da 4.000 mAh, per finire con un comparto fotografico forte di quattro camere posizionate sul retro (un sensore principale da 48 Megapixel, un obiettivo ultra wide da 13 MP, un teleobiettivo da 8 MP e una camera macro da 5 MP) e un sensore 20 megapixel per i selfie sulla parte anteriore del display, dove trova posto anche il sensore per il riconoscimento delle impronte digitali. Il telefonino di TikTok si troverà nei colori verde, bianco e nero, più che probabile la sua disponibilità tramite il mercato grigio d’importazione. F.P.L.
Baldur’s Gate 1 e 2 arrivano su console Baldur’s Gate Enhanced Edition, pacchetto contenente Baldur’s Gate 1 e Baldur’s Gate 2 più le relative espansioni è finalmente arrivato su Xbox One, Ps4 e Nintendo Switch. Questa collezione, ci teniamo a sottolineare, fa parte di una linea di uscite che ripropongono i migliori gdr ispirati a D&D, quindi: Planescape Torment, Icewind Dale e Neverwinter. Dopo questa doverosa premessa, torniamo a Baldur’s Gate. L’importanza del brand per il medium dei videogiochi è indiscussa. Il capolavoro uscito nel lontano 1998 su Pc fu il primo esempio di come utilizzare le regole di
Dungeons & Dragons in maniera credibile per sviluppare la struttura ludica di un videogioco. Ambientato nel mondo dei Forgotten Realms, il giocatore si trova a dover affrontare una vera e propria epopea disseminata di eventi epici e personaggi memorabili. A prescindere dalla console scelta per godere di questa storica Enhanced Edition – che pur conserva l’eccellente impronta pixellosa dell’originale – il lavoro del team di Beamdog è piuttosto evidente, e va ad impattare soprattutto sui controlli di gioco su Baldur’s Gate II, che poggia sull’ultima versione dell’Infinity Engine. In particolare, sebbene sia sempre possibile indirizzare il party verso un punto preciso attraverso la modalità tattica, adesso è possibile guidare il gruppo autonomamente utilizzando lo stick sinistro per farlo camminare e lo stick destro per direzionarlo, muovendo al tempo stesso la telecamera. Il controllo “sui pollici” è un chiaro requisito da console, che si sposa perfettamente con ciascuna delle piattaforme su cui approda questa Enhanced Edition. Ciò detto, la modalità tattica con il puntamento preciso nell’area della location rimane la più adatta quando non si è in fase esplorativa; ad esempio, dovrete utilizzarla per combattere o usare magie puntuali. Ovviamente anche l’interfaccia grafica è stata reinventata per adeguarsi alla navigazione da pad, con menu radiali e non, comandabili tramite
dorsali e grilletti. Ottima anche la telecamera intelligente che, in modo autonomo, va a puntare sia gli oggetti di interesse che i personaggi, facilitando un po’ i controlli durante l’esplorazione dei dungeon e svecchiando, di fatto, un sistema di gioco estremamente rigido e complesso. La difficoltà di fondo legata al sistema Advanced Dungeon & Dragons rimane tutta, il che ne fa un titolo adatto soprattutto a chi già ne sa, perché un neofita andrebbe incontro ad una curva d’apprendimento estremamente rigida e non paragonabile agli action RPG attualmente in commercio sotto diversi punti di vista. Tuttavia, chi deciderà di non gettare la spugna dopo alcune ore, da un certo momento in poi riuscirà a sentire la difficoltà più dolce, complice sia un party più forte che l’ottenimento di una maggiore esperienza di gioco. C’è, poi, tutta la gestione delle arti magiche e delle caratteristiche dei personaggi, che richiedono davvero tanto tempo da investire per padroneggiare a dovere ogni aspetto di ciascuna avventura. In Baldur’s Gate è fondamentale non correre: il tempo speso a leggere le informazioni di corredo e a pianificare ogni attacco risulta essenziale, tanto per non morire dopo poche azioni, quanto per arrivare a un livello di coinvolgimento e appagamento post-vittoria che forse non ha ancora eguali. La cosa veramente ammirevole di questa coppia di giochi importantissima è il sistema di controlli. Adattare un
gioco nato e cresciuto con mouse e tastiera per essere giocato con un controller non è assolutamente un’operazione semplice. Skybound Games e Beamdog hanno fatto un lavoro decisamente pazzesco: la mappatura dei comandi è fatta sulla falsariga di Pillars of Eternity, ma in Baldur’s Gate sembra addirittura funzionare meglio. Certo, siamo ben lontani dalla precisione e dall’accuratezza che mouse e tastiera concedono, ma è incredibile pensare di poter giocare in questo modo un gioco per computer storico come Baldur’s Gate. Il sistema di combattimento segue delle regole modificate della seconda edizione di Dungeons & Dragons: per esempio, le battaglie in Baldur’s Gate sono molto più impegnative, e fanno molto più affidamento sui “roll”, esattamente come in una qualsiasi campagna di D&D. Non è raro che, soprattutto all’inizio, il party del giocatore cerchi di sconfiggere un mostro deboluccio impiegandoci una quantità di tempo forse pure un po’ troppo eccessiva: si vedono infatti i protagonisti mancare il nemico più e più volte, allungando la durata dello scontro. Infatti, nonostante la bontà estrema di questo sistema, è innegabile che sia Baldur’s Gate sia Baldur’s Gate 2 mostrano decisamente la loro provenienza da un’altra era videoludica. Al giocatore è
infatti richiesto di calarsi completamente nel mondo di gioco, e di viverlo pienamente così da poter capire le pieghe più nascoste e vederne l’immenso valore. Trattandosi di videogiochi degli anni ’90, non esistono indicatori sulla mappa, o qualsiasi elemento che faciliti la progressione: Baldur’s Gate 1 e 2 non perdonano nessuna disattenzione. Quindi, soprattutto per i neofiti consigliamo caldamente di salvare molto spesso. Questo elemento può forse rappresentare quello più difficile da digerire per chi si avvicina a questi capolavori per la prima volta, ed è assolutamente normale. Baldur’s Gate 1 e 2 sono giochi molto complessi, che richiedono dedizione, ma che sono in grado di regalare esperienze che ben pochi altri giochi sono in grado di regalare. Come detto, la storia in tutti e due i giochi rappresenta uno degli aspetti più importanti, e il giocatore deve navigarla influenzandola con le proprie decisioni e azioni. Il mondo di gioco è vivo, vibrante, con un fortissimo carattere, popolato da una grandissima varietà di personaggi e personalità, alcuni dei quali si uniranno a noi nella nostra avventura, mentre altri cercheranno di metterci i bastoni tra le ruote. Ed è esattamente questa una delle qualità maggiori di Baldur’s Gate: l’incredibile complessità della storia e del mondo di gioco permettono al giocatore di affrontare l’esperienza dalla propria soggettività, dal proprio punto di vista. Dal punto di vista estetico,
nonostante le migliorie tecniche, l’Enanched Edition di titoli con alle spalle 20 anni non può proporre certo miracoli grafici, ed è anche per questo che gli sforzi del team di sviluppo si sono concentrati sugli aspetti di gioco anziché su texture, ombre ed effetti di illuminazione. Se il lato tecnico non è stato quindi troppo ritoccato rispetto all’edizione speciale di qualche anno fa per pc, la versione console viene impreziosita anche dalla presenza di Siege of Dragonspear e Thrones of Bhaal, le due espansioni che chiudono l’arco narrativo della saga Baldur’s Gate. La prima è un’esperienza che va a collocarsi tra i due capitoli principali della serie, ed è molto importante perché non rientra nella versione base dell’Enanched Edition pubblicata per PC, anzi, ne è a sua volta uno spin-off. Thrones of Bhaal, invece, è più vecchiotto, e racconta gli accadimenti dopo l’epilogo di Baldur’s Gate II. In attesa della modalità multiplayer, per adesso solo presente nel menu ma senza alcuna proposta, le due espansioni vi regaleranno ancora tante altre ore di quest interessanti e importanti per approfondire la storia. Tirando le somme, possiamo dire che la grandezza di questa coppia di titoli è dimostrata dalla freschezza dell’esperienza, nonostante siano passati più di 20 anni dalla loro uscita originale. Questa collection presenta pure le varie espansione, rendendo il totale di ore di
gioco per completare entrambi i titoli quasi incalcolabile. Certo, il prezzo della collection è un po’ altino considerando che questi giochi vengono letteralmente dallo scorso millennio; però, il sistema di controlli è stato implementato in maniera molto convincente, e in aggiunta, la possibilità di poter giocare in modalità portatile (su Intendo Switch) queste perle è semplicemente meravigliosa. Unica pecca veramente grave, riscontrata durante la nostra analisi su Xbox One, è la totale assenza della compatibilità con la lingua italiana. Elemento davvero devastante se non si mastica l’inglese in quanto entrambi i giochi sono costellati di dialoghi e testi che devono essere compresi bene. In entrambi i Baldur’s Gate, infatti, trascurare libri, documenti o dialoghi, vuol dire non riuscire a completare come si vuole le quest o addirittura rimanere bloccati. Proprio per tale ragione speriamo che presto vengano adattati i dialoghi e i testi in italiano, proprio come già erano presenti più di 20 anni fa. Ovviamente se si è appassionati di Dungeson’s & Dragons, ma anche di Gdr in generale, questa collezione va assolutamente giocata. Se invece si è alla ricerca un titolo veloce, di facile comprensione e poco complesso, I capitoli 1 e 2 della saga di Baldur’s Gate non vanno presi in considerazione. Detto ciò è bene ricordare che questa collezione rappresenta un vero e proprio gioiello per chi, come chi scrive, ha amato e
giocato le versioni originali dei titoli, ma è anche un punto d’inizio per tutti quei nuovi giocatori che vogliono approcciare al mondo dei gdr in maniera seria e complessa. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 7 Sonoro: 8,5 Gameplay: 8 Longevità: 9 VOTO FINALE: 8 Francesco Pellegrino Lise
Facebook si rinnova e cambia il logo aziendale Facebook si rifà il look grazie a un nuovo logo aziendale “che aiuta a fare miglior distinzione tra la società e l’app”. Si tratta di una scritta tutta maiuscola “FACEBOOK” e sarà anche in vari colori, non solo nel classico blu. Il marchio, infatti, contraddistinguerà app come Instagram e WhatsApp, si troverà nelle pagine iniziali o nelle impostazioni, o in prodotti come i visori per la realtà virtuale “Oculus” e l’altoparlante intelligente Portal. Tale mutamento non avverrà invece nel social network, che manterrà l’attuale scritta in minuscolo nel colore blu. L’azienda non possiede solo Facebook, ma da tempo è proprietaria anche di Instagram e WhatsApp e questo sarà evidente anche dal cambio di look del logo dell’azienda annunciato in via ufficiale sul blog della società. “FACEBOOK” a carattere tutto maiuscolo si colorerà infatti anche delle tonalità calde di Instagram e WhatsApp,
“facebook” a caratteri minuscoli in bianco e blu rimarrà invece al social network. Ma la lettura di questo cambiamento va oltre quella comunicata ufficialmente. Ciò che ne emerge è una sempre maggiore interconnessione tra le tre applicazioni, già culminata con l’annuncio nello scorso aprile della volontà di creare un unico ambiente di comunicazione condiviso tra Instagram, WhatsApp e Messenger. Un disegno che si delinea sempre più come un processo di accentramento. E guardando ancora più indietro appariva già chiaro che l’addio dei due fondatori di Instagram, Kevin Systrom e Mike Krieger, fosse legato a una sempre minore indipendenza garantita al social acquisito da Facebook nel 2012. Ma prima era stata già la volta del passo indietro dei fondatori di WhatsApp, Brian Acton e Jan Koum, in disaccordo con i progetti di Mark Zuckerberg. In ogni caso, è probabile che l’azienda voglia separare chiaramente tutte le altre app da Facebook (social network), soprattutto per via delle numerose controversie che ha dovuto affrontare. In questo modo Facebook sottintende che compagnia e servizio sono due cose diverse, e le varie applicazioni – sebbene strettamente legate all’azienda – non hanno le stesse finalità del social network. F.P.L.
Ghost Recon Breakpoint, tornano i “fantasmi” di Ubisoft Ghost Recon Breakpoint arriva su Pc, Xbox One e Ps4 a due anni e mezzo di distanza dal lancio del suo predecessore. Questa volta Ubisoft ha proposto un titolo che ha preso quanto di meglio ci fosse dal capitolo precedente, Wildlands (qui la nostra recensione), lo ha ampliato con meccaniche interessanti e gli ha donato una grafica del tutto più curata e ancora più bella da vedere. Visto che squadra che vince non si cambia, la formula di gioco di Ghost Recon Breakpoint rimane fedele all’originale, offrendo un vasto open world liberamente esplorabile che fungerà da ambientazione per la nuova missione di Nomad, capitano della squadra Ghost che si trova ad affrontare in
questo capitolo una situazione del tutto inedita, almeno per gli standard della serie. Il palcoscenico è l’esotico arcipelago di Auroa nel sud dell’Oceano Pacifico, centro nevralgico delle operazioni della Skell Technology, azienda miliardaria e tentacolare che qui ha stabilito la sua personale Silicon Valley, libera da qualsiasi vincolo giuridico. In questo paradiso in cui le migliori menti del pianeta si sono riunite per studiare e progettare la tecnologia del futuro che avrebbe dovuto migliorare la qualità di vita dell’uomo però, non tutto è andato come ci si aspettava. Jace Skell, capo della Skell Technology si ritrova prigioniero delle sue stesse creazioni. L’isola di Auroa viene totalmente isolata dal resto del mondo dopo un colpo di stato militare ad opera di Cole D. Walker, ex Ghost interpretato da Jon Bernthal (lo Shane di The Walking Dead). La scoperta della situazione avviene però dopo che una nave della marina americana affonda misteriosamente nelle acque vicine ad Auroa, e la CIA invia una squadra di circa 30 Ghost ad indagare. Purtroppo anche questa spedizione non va per il meglio: gli elicotteri che trasportavano gli agenti vengono abbattuti da qualcosa di praticamente invisibile non appena entrano nello spazio aereo dell’isola. Adesso sta a chi gioca vestire i panni del Ghost Nomad, uno dei pochi sopravvissuti a questo attacco, per scoprire la verità dietro al tradimento di Walker e sventare una potenziale minaccia per il mondo intero.
Con queste premesse Ghost Recon Breakpoint è pronto a offrire ore e ore di gioco fra sparatorie, agguati, inseguimenti e molto altro ancora di cui a breve andremo a parlarvi. Fin dalle primissime battute di gioco è possibile notare alcune importanti differenze che rendono Breakpoint sostanzialmente molto diverso dal precedente capitolo. La prima cosa che inevitabilmente salta all’occhio è la posizione della telecamera alle spalle del protagonista, percettibilmente più vicina rispetto al passato. Questa scelta rende l’avventura di Nomad più personale, intima, anche perché Ghost Recon Breakpoint affida il sostentamento e la sopravvivenza del Ghost come mai la serie aveva fatto in passato. Gli elementi survival di cui parleremo in seguito rappresentano una graditissima novità, così come il rinnovato sistema delle armi che avvicina questo capitolo a un looter shooter, per non parlare dell’assenza dei compagni di squadra gestiti dal computer, che tra polemiche e ripensamenti non sono in ogni caso presenti in questa nuova avventura. Tutte queste novità sul fronte del gameplay non vanno a intaccare la limpidezza dell’infrastruttura di gioco, molto coerente con quanto già visto in Wildlands nel 2017. La nuova fatica di Ubisoft Paris non è altro che uno sparatutto in terza persona con elementi tattici, dotato di un sistema di coperture fluido e non legato alla pressione di un tasto, che può essere giocato dall’inizio alla fine da soli o in compagnia di altri tre amici.
Come fu per il capitolo precedente, anche in Ghost Recon Breakpoint l’elemento di gameplay principale è rappresentato sempre dalla minuziosa pianificazione e dallo svolgimento degli attacchi agli avamposti controllati dai Lupi e dai contractor della Sentinel, che punteggiano le 21 provincie in cui si divide Auroa. La fase preparatoria che precede un assalto vede ancora come protagonista indiscusso il drone da ricognizione, che può identificare e marcare i nemici che sono segnalati sulla mappa con un generico alone rosso. In queste fasi l’HUD diventa un preziosissimo alleato, con cui tenere d’occhio la posizione dei soldati ostili e le informazioni su armi e attrezzature. Anche se l’uso della forza bruta è sempre un’opzione, la prassi largamente riconosciuta nel franchise Ghost Recon prevede che i giocatori operino in religioso silenzio, ed è proprio in queste situazioni che il gioco dà il suo meglio. Questo risultato viene raggiunto in larga parte grazie al lavoro svolto sul gunplay, che si presenta all’appuntamento con la recensione in gran forma e privo di sbavature. Complici alcune animazioni che ricalcano i movimenti tipici delle forze speciali, ripulire soldato dopo soldato un accampamento nemico è l’attività più piacevole che Ghost Recon Breakpoint possa offrire, specialmente se ci troviamo in squadra con altri giocatori. Se da un lato i nemici non sono adeguatamente caratterizzati, una grossa variabile di gameplay è costituita dalla massiccia presenza dei droni, chimere tecnologiche costruite dalla Skell Technology e che popolano il gioco in tanti modelli diversi.
Oltre a droni di piccole e medie dimensioni, in alcune località dell’arcipelago si nascondono i Behemoth, le macchine più letali mai realizzate dalla compagnia, messe a difesa di tesori inestimabili. Affrontarli sarà molto impegnativo, esaltante, ma soprattutto anche molto appagante. Parlando della componente survival in questo Ghost Recon Breakpoint, la prima, nonché più importante delle novità risiede nella rinnovata gestione della salute di Nomad. Il protagonista infatti durante il combattimento può subire degli infortuni di tre diverse entità, che limiteranno progressivamente la capacità operativa sul campo del protagonista. Per riprendersi da questi ferimenti, che riducono in via definitiva la barra della salute, saremo costretti a metterci al riparo per bendarci e curarci, un’operazione che dura momenti interminabili quando si è sotto il fuoco nemico. Ad avere un impatto sull’esito dei combattimenti è anche la stamina, che può velocemente esaurirsi correndo e saltando da un riparo all’altro. Non è una buona idea trovarsi senza resistenza nel bel mezzo di uno scontro a fuoco, soprattutto quando si ha a che fare con terreni scoscesi, e questo aspetto, in concomitanza con l’introduzione degli infortuni, evolve secondo noi di tantissimo le fondamenta del gameplay della serie. L’idea che Nomad abbia debolezze e vulnerabilità intensifica
la percezione d’immersione, convincendoci di avere tra le mani la sopravvivenza di un vero soldato in un ambiente ostile e pericoloso. Le dinamiche survival di Ghost Recon Breakpoint orbitano poi attorno ai bivacchi, i piccoli accampanti disseminati per Auroa che i giocatori possono utilizzare per rifocillarsi, prepararsi e armarsi, ma anche e soprattutto per servirsi del viaggio rapido attraverso le diverse località dell’arcipelago. Raggiungendo un bivacco si ha la possibilità di richiamare un veicolo, di consultare il negozio delle armi e delle attrezzature, ma anche di dedicare del tempo a una delle sei diverse attività che offrono buff consistenti alle statistiche di Nomad. Ad esempio, mangiare aumenta la resistenza agli infortuni e idratarsi fornisce un bonus alla stamina, mentre fare stretching garantisce più resistenza. Controllare armi e droni migliora le performance di entrambi, oppure è sempre possibile optare per un bonus all’ottenimento di punti esperienza con il quale livellare più velocemente. Altra grande novità proposta in questo Ghost Recon Breakpoint è rappresentata dalle classi, ossia ruoli che ricalcano quelli che ognuno finisce con l’interpretare sul campo di battaglia. Le classi sono quattro, Medico da Campo, Assalto, Pantera e Tiratore, e danno accesso ad una serie di abilità e perk specifici che aiutano a rendere significativamente più variegato il gameplay di squadra. Ciascuna classe mette a disposizione un’abilità e un gadget unici, che nella classe Medico sono naturalmente orientati al curare i compagni, in quella Assalto a ridurre i danni subiti e a rendere più letale il Soldato, in quella Pantera a essere più furtivi e in quella Tiratore a visualizzare e a eliminare con più efficacia i nemici distanti.
Completando una serie di compiti sarà inoltre possibile livellare una classe per sbloccare perk aggiuntivi, aspetto che favorisce l’immedesimazione del giocatore nel suo ruolo. Naturalmente, tanto in PvE quanto in PvP si potrà passare in ogni momento da una classe all’altra, senza subire penalizzazioni di sorta. Insomma, scegliere quella adatta al proprio stile di gioco sarà uno dei piaceri offerti da Ghost Recon Breakpoint, che sotto questo aspetto riesce a offrire una nuova meccanica dall’indiscusso fascino. Oltre al leveling delle classi, il giocatore può scalare ben 30 livelli ottenendo di volta in volta punti abilità, che possono essere investiti sui rami di un albero delle abilità non dissimile da quello di Wildlands ma molto, molto più folto, composto da oltre 50 perk attivi e passivi con cui personalizzare ulteriormente le abilità di Nomad sul campo di battaglia. Il titolo di Ubisoft può anche essere definito un vero e proprio loot shooter, infatti, tra le infinite influenze che hanno caratterizzato lo sviluppo di Ghost Recon Breakpoint è evidente la volontà della casa francese nel riprendere alcune caratteristiche dal suo The Division. Infatti l’isola di Auroa è letteralmente disseminata di casse tramite le quali ottenere equipaggiamenti di ogni tipo. Il livello di combattimento di Nomad viene definito dalla qualità del suo equipaggiamento, per cui è sempre una buona idea cercare di aprire più casse possibile nella speranza di trovare qualche arma, cappello, guanti e così via con statistiche migliori e magari qualche bonus passivo per essere sempre pronti ad affrontare nemici sempre più impegnativi… più o meno.
Qui infatti Ubisoft non sembra aver bilanciato benissimo il tutto, e la differenza tra armi che nella realtà hanno potenze di fuoco anche molto diverse è abbastanza minima, quasi da non giustificare l’impegno nell’esplorare e magari rischiare di essere scoperti pur di raggiungere una cassa; ben presto la voglia di cercare loot viene meno e ci si limita a raccogliere solo le casse che si trovano sul proprio cammino, senza impegnarsi più di tanto nella ricerca. Interessante invece è il level system armi/equipaggimento. Esso è calcolato sulla media aritmetica dei valori di armi e vestiti inseriti negli 8 slot disponibili, e condiziona l’efficacia del protagonista quando affronta i nemici, anche loro dotati di livello. I modificatori ai danni inflitti e ricevuti dipendono in larga parte dalla difficoltà selezionata tra le quattro a disposizione (Arcade, Regolare, Avanzata ed Estrema), c’è da dire però che anche ad Arcade non sarà possibile caricare a testa bassa un gruppo di nemici, quindi, livello e difficoltà selezionata non salveranno il giocatore da azioni avventate o sciocche. Per non nuocere al realismo, caratteristica centrale dell’intera serie, Ubisoft Paris ha scelto di applicare questa nuova filosofia del Livello Attrezzatura con alcune limitazioni, per evitare quel fastidioso effetto “bullet sponge” che spesso è una peculiarità di moltissimi looter shooter. In tal senso ogni nemico, anche i membri dei Lupi che sono di livello 150 o più, verranno abbattuti da un singolo colpo alla testa, quindi esiste la concreta possibilità di affrontare un loro accampamento senza i requisiti adeguati. In Ghost Recon Breakpoint è stato rivoluzionato anche il processo che porta all’ottenimento delle armi, che possono essere acquistate dal negozio, trovate nelle casse nascoste
nei punti di interesse di Auroa o ricevute come drop casuale dai nemici uccisi. Dal momento che è proprio attraverso i drop che Nomad sale di Livello Attrezzatura, capiterà spesso di dover aggiornare il proprio setup e utilizzare un vasto numero di bocche di fuoco, che si dividono tra fucili d’assalto, mitragliette, fucili a pompa, mitragliatrici leggere, fucili di precisione, DMR e pistole. Nel corso dell’avventura, non sarà tuttavia necessario affidarsi sempre al caso per giocare con la propria arma preferita, poiché nascosti nel mondo di gioco sono nascosti i progetti relativi a ognuna di esse, che una volta ottenuti offrono la possibilità di “forgiare” il fucile al Livello Attrezzatura corrente. Questa funzione è utile inoltre per sorteggiare nuovamente le statistiche di un’arma: ognuna ha caratteristiche prestabilite, ma gode di due bonus casuali che sono determinati dalla rarità con cui viene ottenuta. Come ogni titolo di questo tipo, anche Ghost Recon Breakpoint offre i fantomatici livelli di rarità di ogni oggetto. Esistono cinque livelli di rarità, e proprio per questo può essere utile di tanto in tanto cercare di riottenere un fucile con statistiche migliorate, specialmente nella fase di endgame. Ovviamente non manca il Gunsmith, ossia la sezione del menù dedicata alla personalizzazione delle armi. Le bocche di fuoco possono infatti montare una moltitudine impressionante di accessori ed essere colorante in ogni singola parte con tantissime mimetiche. Tutte le armi, in ottica endgame, possono essere inoltre potenziate attraverso tre livelli di qualità, che vengono preservati quando si scarta e si riceve nuovamente lo stesso fucile. Insomma, Ghost Recon Breakpoint è un titolo davvero molto complesso anche per quanto riguarda la sezione “equipaggiamento e armi”.
Se vi state chiedendo, ma Quanto dura questo Ghost Recon Breakpoint? La risposta è: solo la campagn principale, circa una 25ina di ore. Sempre in base poi a che difficoltà si gioca. A contorno delle 28 quest che compongono la storia principale ci sono tantissime missioni secondarie, la maggior parte di esse collegate alle due fazioni dell’isola (Coloni ed Esclusi) che nel corso del supporto post-lancio si evolveranno con nuovi spunti narrativi. L’unico elemento che riesce a spezzare la monotonia delle missioni è il taglio investigativo che lo studio parigino ha voluto applicare alla maggior parte delle attività, che impone al giocatore di trovare indizi, prove e testimonianze che lo possano portare alla prossima fase della missione. Nel menù principale è addirittura presente una sezione dedicata alla soluzione dei grandi misteri di Auroa, che possono essere risolti scovando collezionabili e altri indizi nel vasto mondo di gioco di Ghost Recon Breakpoint. Ma non finisce qui, infatti il titolo di Ubisoft offre anche una modalità Multigiocatore PvP chiamata Ghost War. Questa al momento non include moltissimi contenuti con due sole modalità (deatmatch a squadre e cerca e distruggi) e sei mappe, ma sarà espansa nel corso delle settimane e senza dubbio sa offrire spunti interessanti. La nota positiva è che si può finalmente partecipare alle partite online con il proprio avatar del PvE, che riceverà oggetti e armi dal multigiocatore in un
sistema di progressione condivisa che era fondamentale per legare indissolubilmente le due esperienze. Le partite coinvolgono due squadre da quattro Ghost ciascuna, che cominciano il match agli antipodi di mappe molto grandi che favoriscono almeno in questa prima fase i cecchini e i tiratori dalla distanza. Caricare a testa bassa potrà comunque essere molto remunerativo, poiché risorse come medikit e batterie per il drone possono essere trovate solo all’interno degli edifici che solitamente sono al centro dell’ambientazione. Insomma, Ghost Recon Breakpoint è un gioco davvero pieno di cose da fare e che per venire alla noia ci metterà davvero molto tempo. A livello grafico/estetico, il gioco naviga fra alti e bassi. Il colpo d’occhio generale è tutto sommato buono, ma spesso ci sono momenti in cui si resta quasi a bocca aperta per lo stupore e altri in cui invece si storce il naso davanti a modelli fin troppo legnosi e con pochi dettagli, a volte anche nel corso delle stesse cut-scene. Sembra quasi che ci siano problemi di caricamento delle texture (fortunatamente su Xbox One X questo fenomeno è marginale e la situazione migliora notevolmente rispetto a una S). A questo poi si uniscono anche numerosi bug grafici che, se possono essere perdonati in un open world così vasto, in alcune occasioni hanno compromesso la mia esperienza di gioco come la selezione rapida degli oggetti che ogni tanto decide di non funzionare o personaggi chiave
con cui parlare che spariscono misteriosamente, bloccando così la missione e costringendo al riavvio. Buono invece il frame-rate, che si è sempre mantenuto stabile a 30 fps, mentre su Xbox One X è possibile anche scegliere tra due modalità che si concentrano di più sulla grafica o sulla fluidità. A livello audio il videogame offre un ottimo doppiaggio in lingua italiana e sia dal punto di vista degli effetti sonori che delle musiche il risultato è davvero stupefacente. Insomma, tirando le somme, nella speranza che con il passare dei giorni Ubisoft rilasci qualche patch correttiva per i sopracitati bug, Ghost Recon Breakpoint risulta essere uno dei titoli migliori del momento: lungo, avvincente ed estremamente divertente. A nostro avviso lasciarselo sfuggire potrebbe essere un vero errore. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 8,5 Sonoro: 9,5 Gameplay: 9 Longevità: 9
VOTO FINALE: 9 Francesco Pellegrino Lise Emoji, in arrivo 168 nuove
“faccine” Sono ben 168 le nuove emoji che si preparano a popolare le tastiere dei nostri smartphone. L’Unicode Consortium ha annunciato la versione 12.1 del suo standard per caratteri digitali che, come noto, include anche le celebri faccine. Le emoji sono diventate così importanti nella nostra vita da rappresentare la lingua più parlata al mondo, nonché un mezzo per descrivere il nostro stato d’animo utilizzando una semplice segno grafico. Attualmente nel mondo sono oltre due miliardi le persone che utilizzano le faccine per comunicare. Del resto, una emoji è molto più semplice da capire e permette a coloro che non parlano la stessa lingua di intendersi a vicenda. L’ultimo aggiornamento delle emoji risale allo scorso luglio quando, in occasione del World Emoji Day, era stato annunciato l’arrivo di nuove faccine dedicate all’inclusività e alle diversità. Tra queste sono comparsi cani guida, protesi per gli arti e sedie a rotelle, nonché un maggior numero di emoticon dedicate alle etnie e ai diversi generi sessuali. Per ora non è stata annunciata una data ufficiale del rilascio delle nuove emoji versione 12.1, ma è normale supporre che le nuove faccine verranno introdotte durante le prossime settimane attraverso
un aggiornamento di sistema sia su smartphone Android sia su iOS. Come dichiarato dall’Unicode Consortium, i nuovi emoji non sono poi così “nuovi”. Per lo più si tratta di variazioni applicate alle emoji già presenti. In particolare, 138 sono state ideate per rappresentare le persone senza però indicarne il genere, mentre le restanti 30 raffigurano una combinazione tra le faccine esistenti caratterizzate da una diversa tonalità della pelle che si tengono per mano. Sono solo 26 le emoji inedite che rappresentano diversi tipi di persone con diversi stili di acconciatura. Sono state inserite persone calve, ricce, insegnanti studenti cuochi, meccanici, giudici, agricoltori, cantanti e altro ancora. Tutte le versioni, naturalmente, comprendono entrambe i sessi. Insomma, le emoji sono pronte a rinnovarsi per stare al passo coi tempi e ad accompagnarci ogni giorno in tutte le nostre conversazioni. F.P.L.
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