Planescape Torment e Icewind Dale sbarcano su Xbox One, Ps4 e Switch

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Planescape Torment e Icewind Dale sbarcano su Xbox One, Ps4 e Switch
Planescape Torment e Icewind
Dale sbarcano su Xbox One,
Ps4 e Switch
Planescape Torment e Icewind Dale arrivano su Xbox One, Ps4 e
Nintendo Switch. Dopo la recente uscita di Baldurs Gate 1 e 2
(qui la nostra recensione), anche questi titoli vedono nuova
vita sulle console di attuale generazione e sono pronti a
farsi conoscere dalle nuove generazioni di gamers, ma anche a
fare la gioia di chi li ha giocati nello scorso millennio.
Planescape Torment e Icewind Dale rappresentano due modi
diversi, quasi opposti di vedere i giochi di ruolo. Torment è
un rpg a tutto tondo dove la storia la fa da padrone pur con
una certa dose di libertà. Una sceneggiatura degna di un
ottimo film, personaggi caratterizzati e ben definiti, e una
serie di sidequest splendide ne fanno un gioco di ruolo una
spanna sopra ai Baldur’s Gate. Icewind Dale invece, propone
un’avventura lineare, in certi versi simile ad una sessione
Planescape Torment e Icewind Dale sbarcano su Xbox One, Ps4 e Switch
cartacea vera e propria di Dungeon’s and dragons, con missioni
a “moduli” e un party tutto da costruire, dove la storia è sì
importante, ma di contorno rispetto a strategia e
combattimento. Ma andiamo ad esaminare i tioli: Icewind Dale
si propone come una sorta di Baldur’s Gate più concentrato sul
sistema di combattimento. Certo, una storia è sempre presente,
e al giocatore è richiesto di affrontarla dalla propria
prospettiva: il che significa che risolvere determinate
situazioni in un modo o nell’altro spetta alla sensibilità del
giocatore, con tutte le conseguenze del caso. Per tutto il
resto, Icewind Dale è molto simile a Baldur’s Gate, ossia è un
classico gioco di ruolo con visuale isometrica, con sistema di
combattimento in “tempo reale” con la possibilità di poter
usare una pausa tattica per poter gestire al meglio le azioni
dei membri del party del giocatore. Il party, infatti, è una
delle prime differenze rispetto a Baldur’s Gate che saltano
all’occhio. Mentre in BG il giocatore deve costruire il suo
party mentre avanza nell’avventura selezionando i compagni man
mano che si avanza, in Icewind Dale si comincia immediatamente
con un party formato di tutto punto. Questo potrebbe allungare
decisamente i tempi della creazione dei personaggi, ma per
fortuna, il gioco mette a disposizione un party di base creato
precedentemente, facendo così risparmiare tempo al giocatore.
Inutile dire che l’editor di creazione è sempre lo stesso ed
offre, come al solito, un’elevatissima mole elevata di opzioni
di personalizzazione della propria squadra. D’altronde, si
parla sempre di una campagna di D&D, e Icewind Dale riesce a
catturare lo spirito pienamente, regalando centinaia di ore di
gioco. Parlando di Planescape Torment, invece, possiamo dire
che il titolo riprende le meccaniche dei giochi D&D precedenti
e le rielabora per presentare un tipo di esperienza unica nel
mondo dei giochi di ruolo. Infatti, a differenza degli altri
titoli di cui abbiamo parlato, Torment è quello che presenta
il livello di scrittura più alto, con uno stile che non
disdegna anche picchi di black humor.
Planescape Torment e Icewind Dale sbarcano su Xbox One, Ps4 e Switch
Il giocatore veste i panni del Nameless One, e le
informazioni che il giocatore ha su di lui sono uguali a
quelle che il
personaggio stesso è a conoscenza: ovvero, niente. Tutto
quello che si sa è che
il protagonista è stato portato in un obitorio perché si
credeva fosse morto,
solo che all’improvviso si alza e cammina. Uno scheletro
fluttuante si avvicina
e interagisce con il protagonista, e decide di accompagnarlo
per scoprire cosa
gli è successo. Infatti, il personaggio principale soffre di
un’amnesia che non
gli consente di ricordare assolutamente nulla degli eventi che
lo hanno portato
a finire in un obitorio. Starà al giocatore guidarlo alla
ricerca della verità,
in un mondo incredibilmente complesso e tutto da scoprire.
Come già detto,
Planescape Torment ha un accento decisamente maggiore sulla
storia e su come il
giocatore la può navigare ed influenzare. I testi a schermo
sono tantissimi,
scritti in maniera davvero squisita. Nonostante la storia
abbia una trama
assolutamente straordinaria però resta comunque un gioco con
vent’anni alle sue
spalle. Infatti, chi sta dinanzi lo schermo non sa mai bene
quello che deve
fare, dove deve andare, e soprattutto come farlo. Tutto ciò è
lasciato al
giocatore stesso da scoprire; questo perché Torment richiede
un’immedesimazione
molto elevata, richiede di tuffarsi nel mondo di gioco con
grande attenzione e
concentrazione, senza lasciarsi sfuggire dettagli e cercando
di non tralasciare
Planescape Torment e Icewind Dale sbarcano su Xbox One, Ps4 e Switch
nulla. Se si è in grado di superare gli ostacoli iniziali
dovuti all’età di
questo titolo, ci si ritroverà davanti uno degli esempi più
sopraffini di
narrativa videoludica e credeteci, vivere un’esperienza del
genere è davvero
fantastico. Adesso che abbiamo fatto un veloce excursus su ciò
che i due titoli
hanno da offrire, andiamo ad analizzare il comportamento di
Icewind Dale e Planescape
Torment su console. Come per Baldur’s Gate, il lato puramente
estetico non
rappresenta un problema, e anche lo zoom che va a “distorcere”
le texture, è
parte integrante di un compromesso impossibile da risolvere.
Non è possibile, a
meno di non ricreare completamente la grafica partendo da
texture ad alta
definizione, ma è una discussione prettamente accademica in
quanto questo tipo
di lavoro richiederebbe     una   mole   di   risorse   tale   da
scoraggiare qualsivoglia
progetto. E forse, soprattutto per i puristi, non sarebbe
nemmeno corretto.
Infatti, questi giochi vanno goduti per ciò che offrono in
termini di storia e
gameplay, non certo per l’aspetto estetico. Dal punto di vista
tecnico,
esattamente come con la collection di Baldur’s Gate, anche qui
Skybound Games e
Beamdog hanno fatto un lavoro molto ben riuscito. Il sistema
di controlli funziona
alla perfezione: anche se stiamo anni luce dalla precisione
che tastiera e
mouse, per cui questi giochi erano originariamente pensati, la
mappatura dei pulsanti
però è decisamente convincente. Certo, c’è bisogno di un primo
Planescape Torment e Icewind Dale sbarcano su Xbox One, Ps4 e Switch
periodo di
apprendimento; ma dopo un po’, navigare il mondo di gioco e
fra le varie
finestre dei menu diventerà facile come bere un bicchiere
d’acqua, specialmente
per chi è abituato ad avere a che fare con i giochi di ruolo.
Tirando le somme,
possiamo dire che con Planescae Torment e Icewind Dale su
console, i giocatori
si trovano in mano due rpg indimenticabili. Strategia e
personalizzazione ai
massimi livelli faranno la gioia degli appassionati di D&D,
mentre le ambientazioni
da brividi, soprattutto quelle di Planescape Torment sono
quanto di meglio si
possa trovare in circolazione. Certo, ve lo ripetiamo, questi
titoli sono adatti
a utenti esperti, ma se si ha pazienza e costanza, anche un
giocatore di primo
pelo può imparare e apprezzare la maestosità di queste vere e
proprie opere
videoludiche.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 9

Gameplay: 9,5

Longevità: 9,5
Planescape Torment e Icewind Dale sbarcano su Xbox One, Ps4 e Switch
VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise

Call of Duty Modern Warfare,
il reboot che rilancia la
saga
Call of Duty Modern Warfare è un reboot della saga che ha
rivoluzionato il concetto di sparatutto in prima persona ed è
disponibile su
Pc, Xbox One e Ps4. Per anni gli appassionati di questo
genere, dopo una prima
trilogia indimenticabile e diversi titoli futuristici che non
Planescape Torment e Icewind Dale sbarcano su Xbox One, Ps4 e Switch
hanno avuto lo
stesso impatto della serie MW originale, hanno desiderato un
ritorno alle
origini, e quest’anno Activision e Infinity Ward hanno deciso
di accontentare i
fan. Il nuovo capitolo di Call of Duty, infatti, non è altro
che una rilettura
del titolo uscito nel 2007 che utilizza alcuni fra i
personaggi iconici del
brand e apre la strada verso un futuro che sembra essere
pronto a riscrivere
una delle storie più amate dal popolo dei gamers. Call of Duty
Modern Warfare
ripropone i tre pilastri storici del brand, ossia: la Campagna
single player,
una corposa componente multiplayer, vero fulcro del gioco per
milioni di
appassionati, e una componente cooperativa basata su orde di
nemici IA con le
Operazioni Speciali. Prima analizzare queste modalità, è però
doveroso parlare
di un’altra novità: dopo anni e anni di riciclo e ritocchi del
motore originale
della serie, lo studio stavolta ha introdotto un engine
grafico completamente
nuovo, pensato per gli hardware di prossima generazione che
anche sulle console
di attuale generazione si difende davvero bene con modelli
estremamente curati,
animazioni fluidissime ed effetti speciali hollywoodiani che
rendono tantissime
parti della campagna realistiche quasi quanto un film di
guerra.
Planescape Torment e Icewind Dale sbarcano su Xbox One, Ps4 e Switch
Come già detto, per quanto riguarda la storia in singolo,
Infinity
Ward ha deciso di tornare ai suoi titoli più famosi, con un
vero e proprio
reboot che riprende personaggi e tematiche dei vecchi titoli,
inserendoli in un
nuovo contesto. La campagna, come detto dallo stesso studio di
sviluppo, vuole
essere uno spaccato sulla guerra moderna. Nel 2007 Call of
Duty 4: Modern
Warfare aveva lo stesso obiettivo, ma era figlio di un’altra
epoca; 12 anni fa,
erano ancora forti tematiche come la guerra in medio-oriente,
una guerra
diversa da quelle del passato, ma in cui ancora si potevano
vedere eserciti,
regolari e non, scontrarsi tra loro. Dodici anni sono passati
e con essi è
cambiato, almeno per il team di Infinity Ward, il significato
di “guerra
moderna”. Per questo Call of Duty: Modern Warfare non presenta
battaglie tra
eserciti di soldati, ma una guerra più subdola, che entra
nelle vite di tutti i
giorni. Per far comprendere pienamente i toni di questo gioco
e che cosa si intende
per “guerra moderna” ci basterà descrivere brevemente una
missione: in una di
quelle iniziali, infatti, il giocatore si trova a Picadilly,
una delle strade
più famose di Londra. La vita scorre come da norma per la
metropolitana: folle
di persone che sciamano lungo i marciapiedi, le strade
bloccate dal traffico,
le luci elettriche che illuminano la serata. Il giocatore,
però, nei panni di
un agente delle forze speciali, stiamo cercando di fermare una
Planescape Torment e Icewind Dale sbarcano su Xbox One, Ps4 e Switch
cellula
terroristica che, a bordo di un veicolo, si lancia tra la
folla e facendosi
esplodere. La battaglia comincia così, tra le strade di
Londra, in mezzo ai
civili, in mezzo alle grida disperate. Le tematiche toccate
dal gioco sono
forti e riguardano argomenti davvero contemporanei, che non
sono affatto
semplici da trattare. Fortunatamente, Call of Duty: Modern
Warfare riesce anche
a evitare un approccio eccessivamente apodittico
all’argomento. Se in molte
missioni ci si trova nei panni di soldati occidentali, in
altre si vestono i
panni dei ribelli dell’Urzikstan, che hanno intenti simili
alle cellule
terroristiche di Al-Qatala, vale a dire la liberazione del
loro Paese. In
particolare, ci sono missioni ambientate nell’infanzia della
comandante dei
ribelli, Farah, che mostrano la violenza che è stata usata
contro il suo popolo
e che portano a capire tanto i suoi motivi quanto quelli delle
cellule
terroristiche, di cui Farah e i suoi ribelli non condividono i
metodi. In
questa situazione è difficile fare una divisione netta tra
buoni e cattivi. Ci
sono personaggi ambigui tra le forze occidentali, ma ve ne
sono anche negli
altri gruppi. Infiltrarsi nei covi dei terroristi significa
infiltrarsi in case
di persone che non sono dei veri soldati, persone che hanno
una famiglia,
mogli, mariti e figli. Sono queste missioni, più di altre, che
generano una
Planescape Torment e Icewind Dale sbarcano su Xbox One, Ps4 e Switch
sensazione contrastante, gettando veri dubbi su quale sia la
cosa giusta da
fare in queste situazioni. La campagna di Call of Duty Modern
Warfare ha una
tenuta narrativa che la serie non vedeva dai tempi di Black
Ops 2, e che
sicuramente rientra tra le migliori offerte dalla serie fino
ad ora. Questo,
grazie anche ad un cast di personaggi che rimane impresso,
anche dopo
l’avventura. Le storie dei quattro protagonisti sono ben
delineate e, alla fine
della campagna, è chiaro che i loro volti sono destinati a
tornare presto, ma saranno
accompagnati da alcune vecchie conoscenze. Chi vivrà vedrà.
Volendo essere
puntigliosi e trovare un difetto per questa modalità, possiamo
dire che la
durata della campagna è piuttosto breve, intorno alle sei/7
ore, e ad essere
penalizzata è la parte finale. Il ritmo narrativo subisce
infatti un’improvvisa
accelerata verso la fine, che stona con il resto della storia.
La sensazione
che si ha una volta portata a termine la storia è infatti
quella che manchi
qualcosa per completare il tutto.

Lo step successivo alla Campagna in singolo è quello della
modalità cooperativa Operazioni Speciali, che è possibile
affrontare in locale
(fino a 2 giocatori) e online (fino a 4 persone). Tale
tipologia di gioco
permette ai giocatori di affrontare missioni top secret ad
alto tasso di
adrenalina contro orde di soldati IA sempre più equipaggiati e
letali. A
differenza della storia proposta da Call of Duty Modern
Warfare, però, questa
modalità sembra realizzata in maniera piuttosto frettolosa,
con poca cura per i
dettagli ed asset che sembrano quasi nati per altri utilizzi.
Una volta
lanciata una delle missioni disponibili, ci si trova infatti
in una gigantesca
mappa con strade, edifici e punti di interesse basati su mappe
storiche della
saga, divisa in aree accessibili a seconda delle operazioni,
che sembra
palesemente creata per una qualche modalità Battle Royale non
ancora rilasciata
(ma si mormora che arriverà ad inizio 2020). Qui le missioni
presentano
obiettivi piuttosto semplici come l’uccisione di determinati
nemici o la
conquista di alcune aree, il tutto mentre si affrontano orde
di soldati IA
sempre più forti, che vanno dai soldati semplici fino ai
temibili Juggernaut o
altri che utilizzano carri armati ed elicotteri, fino a
completare gli
obiettivi per poi essere estratti da un elicottero per
terminare la missione. Il
tutto sembra molto bello se non che, ad oggi, raggiungere
questo obiettivo è
praticamente impossibile: infatti i nemici respawnano di
continuo anche a pochi
metri dai giocatori o addirittura alle loro spalle, e grazie
al time-to-kill
bassissimo che accompagna ogni modalità del gioco, restare in
piedi è un’impresa
disperata vista anche la scarsità delle coperture in giro per
la mappa. L’unica
strategia che funziona al momento, ma solo in alcune aree,
sembra essere quella
di nascondere un giocatore in un punto irraggiungibile all’IA,
perché se
qualcuno resta in vita anche i compagni morti possono
rientrare dopo circa un
minuto di attesa. Insomma, le operazioni speciali di Call of
Duty Modern
Warfare a nostro avviso rappresentano una modalità sfruttata
male e che al
momento offre pochi motivi per essere giocata. Tale tipologia
di gioco necessiterà
di diversi aggiornamenti per diventare degna di attenzione o
quanto meno al
pari di quelle viste nel 2009 con CoD MW2. Peccato davvero.

Differentemente dalle operazioni speciali, le modalità online
di Call of Duty Modern Warfare raggiungono in pieno
l’obiettivo: una partita tira l’altra ed è un piacere
ritornare nelle mappe per un altro scontro. C’è da dire che
fortunatamente quest’anno il multiplayer ha subito più di una
rivoluzione soprattutto per quel che riguarda le modalità di
gioco, che guardano sia a giochi di guerra su grande scala
come Battlefield che a titoli che prediligono le lotte due
contro due. Ovviamente è presente anche il multiplayer
“classico”, dove due squadre di 5 o 6 giocatori si affrontano
in mappe medio-piccole nelle classiche modalità che ormai
famose della saga come il Deathmatch a Squadre, Cerca e
Distruggi ma anche lo spassoso Attacco Hacker che ricalca le
regole del CeD tranne che per il fatto che i compagni possono
essere rianimati, creando così dinamiche di ingaggio molto più
variegate con un 1v4 che può tranquillamente diventare 4v2 se
il giocatore rimasto è bravo ad aggirare i nemici. On Call of
Duty Modern Warfare anche le meccaniche di gioco hanno subito
alcuni cambiamenti: velocità di movimento ridotta, tempi di
mira allungati, possibilità di agganciarsi alle coperture per
sbirciare più al sicuro e ottenere una mira più precisa a
discapito della mobilità, mappe con tanta verticalità e dove
lo scavalcamento degli ostacoli risulta molto più immediato
rispetto a prima hanno portato a un approccio più cauto e meno
da “Rambo”. Da tutto questo e da livelli di salute molto più
bassi rispetto ai classici CoD ne deriva uno stile di gioco
più fluido ma anche più lento e ragionato, amplificato
dall’impressionante volume sonoro dei passi che rivelano
rapidamente la posizione ai nemici circostanti e dal ritorno
delle letali mine claymore. Ovviamente in Call of Duty Modern
Warfare c’è anche la possibilità di personalizzare le proprie
classi. Via il sistema Pick 10, si torna al sistema inventato
nel 2007 da Infinity Ward stessa nel primo Modern Warfare,
dove ogni slot ha un utilizzo specifico e vanno occupato per
forza partendo dall’arma principale fino ad arrivare alle
granate e ai perk. Tra questi si sottolinea la presenza di
ritorni eccellenti come Fantasma, che nasconde i giocatori ai
radar degli aerei spia, o un perk inedito che ricarica
automaticamente ogni 30 secondi granate, claymore, flashbang o
qualunque altro equipaggiamento in possesso del giocatore. La
chicca del multiplayer di Call of Duty Modern Warfare però è
l’Armeria, luogo dove è possibile creare migliaia di
combinazioni letali per personalizzare al meglio qualunque
arma, cambiandone anche drasticamente l’utilizzo. Insomma, in
questo nuovo capitolo della serie sparatutto più famosa del
mondo i contenuti non mancano di certo e non resta altro che
vedere come se la caverà poi Infinity Ward con il supporto
post-lancio. Al momento non ci sono neanche microtransazioni
(con gli sviluppatori che hanno dichiarato di rilasciare tutte
le mappe gratuitamente e di non introdurre meccaniche loot-
box), mentre diverse novità come il cross-play tra tutti i
sistemi e il supporto mouse e tastiera sono già delle novità
più che benvenute. Presente ovviamente anche la localizzazione
completa in italiano del titolo che rende l’avventura ancora
più bella da vivere e totalmente immersiva.

Come già accennato, grazie al nuovo motore grafico Call of
Duty: Modern Warfare porta la serie Activision verso nuovi
standard qualitativi. Chiaramente ciò va a incidere sulle
prestazioni del gioco in termini di frame rate e se vi state
domandando su quale piattaforma gira meglio il titolo? Bene
ecco il mostro responso riguardo la campagna: la maggiore
risoluzione utilizzata da Infinity Ward su Xbox One X rende
questa versione del gioco non sempre stabile e talvolta
soggetta a cali anche abbastanza vistosi, cosa che di contro
non accade su PS4 Pro dove la console Sony offre più stabilità
a scapito di una qualità grafica leggermente inferiore. Per
quanto concerne invece i modelli base, PS4 e Xbox One, la
situazione appare decisamente più problematica dove il target
dei 60 fps spesso e volentieri non viene raggiunto.
Ovviamente, quest’utima analisi di Call of Duty Modern Warfare
è mirata a evidenziare aspetti assolutamente non percettibili
da occhi inesperti. Il titolo offre un’ottima esperienza su
entrambe le console e ovviamente anche su Pc. Quindi, alla
luce di quanto detto, se siete alla ricerca di uno sparatutto
in prima persona che ricordi i CoD di fine decennio scorso, il
nuovo prodotto di Activision e Infinity Ward sarà una vera e
propria gioia. Con questo reboot della saga il brand sembra
finalmente aver trovato la via d’uscita dal tunnel di buio e
monotonia in cui era finita negli ultimi anni. Quindi, tirando
le somme, siamo assolutamente certi che la riedizione del
grande classico del 2007 sarà decisamente un prodotto
apprezzato dalle nuove generazioni di gamers, ma anche da chi
12 anni fa giocava al titolo originale.

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9

Gameplay: 9

Sonoro: 9

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise
TikTok dall’app di successo
al nuovo smartphone
Annunciato a gran voce come il TikTok Phone, in realtà il
“Jianguo
Pro 3” (questo il nome del dispositivo) è soltanto prodotto
dalla stessa
società dietro l’applicazione in testa a tutte le classifiche
di download del
momento, Bytedance. Ufficializzato per il mercato cinese, il
nuovo dispositivo
non dovrebbe avere molte possibilità di giungere fin da noi in
Europa ed è un
peccato dato che si tratta di uno smartphone dalle
caratteristiche davvero
niente male. Lo smartphone Targato TikTok arriva sul mercato
con un prezzo di
ingresso tutt’altro che economico (2.899 yuan, l’equivalente
di circa 410
dollari). Ovviamente fra i servizi preinstallati è presente
Douyin, la versione
di TikTok destinata agli utenti cinesi: basta passare il dito
sulla schermata
di blocco e immediatamente si applicano gli effetti e i filtri
dell’app ai
video in memoria. Definirlo lo smartphone di TikTok è però
forse improprio,
visto che proprio i portavoce di ByteDance hanno confermato
come questo
dispositivo sia di fatto la continuazione dei progetti già in
essere prima
dell’avvio della partnership con Smartisan, ma è certo che si
tratti di un
apparecchio con caratteristiche tecniche non banali. A livello
tecnico il “TikTok
Phone” si presenta con una dotazione da dispositivo di fascia
alta, a
cominciare dal processore Snapdragon 855 Plus, cui fa pendant
una batteria da
4.000 mAh, per finire con un comparto fotografico forte di
quattro camere
posizionate sul retro (un sensore principale da 48 Megapixel,
un obiettivo
ultra wide da 13 MP, un teleobiettivo da 8 MP e una camera
macro da 5 MP) e un
sensore 20 megapixel per i selfie sulla parte anteriore del
display, dove trova
posto anche il sensore per il riconoscimento delle impronte
digitali. Il
telefonino di TikTok si troverà nei colori verde, bianco e
nero, più che
probabile la sua disponibilità tramite il mercato grigio
d’importazione.

F.P.L.
Baldur’s Gate 1 e 2 arrivano
su console
Baldur’s Gate Enhanced Edition, pacchetto contenente
Baldur’s Gate 1 e Baldur’s Gate 2 più le relative espansioni è
finalmente
arrivato su Xbox One, Ps4 e Nintendo Switch. Questa
collezione, ci teniamo a
sottolineare, fa parte di una linea di uscite che ripropongono
i migliori gdr
ispirati a D&D, quindi: Planescape Torment, Icewind Dale e
Neverwinter.
Dopo questa doverosa premessa, torniamo a Baldur’s Gate.
L’importanza del brand
per il medium dei videogiochi è indiscussa. Il capolavoro
uscito nel lontano
1998 su Pc fu il primo esempio di come utilizzare le regole di
Dungeons &
Dragons in maniera credibile per sviluppare la struttura
ludica di un
videogioco. Ambientato nel mondo dei Forgotten Realms, il
giocatore si trova a
dover affrontare una vera e propria epopea disseminata di
eventi epici e
personaggi memorabili. A prescindere dalla console scelta per
godere di questa
storica Enhanced Edition – che pur conserva l’eccellente
impronta pixellosa
dell’originale – il lavoro del team di Beamdog è piuttosto
evidente, e va ad
impattare soprattutto sui controlli di gioco su Baldur’s Gate
II, che poggia
sull’ultima versione dell’Infinity Engine. In particolare,
sebbene sia sempre
possibile indirizzare il     party   verso   un   punto   preciso
attraverso la modalità
tattica, adesso è possibile guidare il gruppo autonomamente
utilizzando lo
stick sinistro per farlo camminare e lo stick destro per
direzionarlo, muovendo
al tempo stesso la telecamera. Il controllo “sui pollici” è un
chiaro requisito
da console, che si sposa perfettamente con ciascuna delle
piattaforme su cui
approda questa Enhanced Edition. Ciò detto, la modalità
tattica con il
puntamento preciso nell’area della location rimane la più
adatta quando non si
è in fase esplorativa; ad esempio, dovrete utilizzarla per
combattere o usare
magie puntuali. Ovviamente anche l’interfaccia grafica è stata
reinventata per
adeguarsi alla navigazione da pad, con menu radiali e non,
comandabili tramite
dorsali e grilletti. Ottima anche la telecamera intelligente
che, in modo
autonomo, va a puntare sia gli oggetti di interesse che i
personaggi,
facilitando un po’ i controlli durante l’esplorazione dei
dungeon e
svecchiando, di fatto, un sistema di gioco estremamente rigido
e complesso. La
difficoltà di fondo legata al sistema Advanced Dungeon &
Dragons rimane
tutta, il che ne fa un titolo adatto soprattutto a chi già ne
sa, perché un
neofita andrebbe incontro ad una curva d’apprendimento
estremamente rigida e
non paragonabile agli action RPG attualmente in commercio
sotto diversi punti
di vista. Tuttavia, chi deciderà di non gettare la spugna dopo
alcune ore, da
un certo momento in poi riuscirà a sentire la difficoltà più
dolce, complice
sia un party più forte che l’ottenimento di una maggiore
esperienza di gioco.
C’è, poi, tutta la gestione delle arti magiche e delle
caratteristiche dei
personaggi, che richiedono davvero tanto tempo da investire
per padroneggiare a
dovere ogni aspetto di ciascuna avventura. In Baldur’s Gate è
fondamentale non
correre: il tempo speso a leggere le informazioni di corredo e
a pianificare
ogni attacco risulta essenziale, tanto per non morire dopo
poche azioni, quanto
per arrivare a un livello di coinvolgimento e appagamento
post-vittoria che
forse non ha ancora eguali. La cosa veramente ammirevole di
questa coppia di
giochi importantissima è il sistema di controlli. Adattare un
gioco nato e
cresciuto con mouse e tastiera per essere giocato con un
controller non è
assolutamente un’operazione semplice. Skybound Games e Beamdog
hanno fatto un
lavoro decisamente pazzesco: la mappatura dei comandi è fatta
sulla falsariga
di Pillars of Eternity, ma in Baldur’s Gate sembra addirittura
funzionare
meglio. Certo, siamo ben lontani dalla precisione e
dall’accuratezza che mouse
e tastiera concedono, ma è incredibile pensare di poter
giocare in questo modo
un gioco per computer storico come Baldur’s Gate.

Il sistema di combattimento segue delle regole modificate
della seconda edizione di Dungeons & Dragons: per esempio, le
battaglie in
Baldur’s Gate sono molto più impegnative, e fanno molto più
affidamento sui “roll”,
esattamente come in una qualsiasi campagna di D&D. Non è raro
che,
soprattutto all’inizio, il party del giocatore cerchi di
sconfiggere un mostro
deboluccio impiegandoci una quantità di tempo forse pure un
po’ troppo
eccessiva: si vedono infatti i protagonisti mancare il nemico
più e più volte,
allungando la durata dello scontro. Infatti, nonostante la
bontà estrema di
questo sistema, è innegabile che sia Baldur’s Gate sia
Baldur’s Gate 2 mostrano
decisamente la loro provenienza da un’altra era videoludica.
Al giocatore è
infatti richiesto di calarsi completamente nel mondo di gioco,
e di viverlo pienamente
così da poter capire le pieghe più nascoste e vederne
l’immenso valore. Trattandosi
di videogiochi degli anni ’90, non esistono indicatori sulla
mappa, o qualsiasi
elemento che faciliti la progressione: Baldur’s Gate 1 e 2 non
perdonano
nessuna disattenzione. Quindi, soprattutto per i neofiti
consigliamo caldamente
di salvare molto spesso. Questo elemento può forse
rappresentare quello più
difficile da digerire per chi si avvicina a questi capolavori
per la prima
volta, ed è assolutamente normale. Baldur’s Gate 1 e 2 sono
giochi molto
complessi, che richiedono dedizione, ma che sono in grado di
regalare
esperienze che ben pochi altri giochi sono in grado di
regalare. Come detto, la
storia in tutti e due i giochi rappresenta uno degli aspetti
più importanti, e
il giocatore deve navigarla influenzandola con le proprie
decisioni e azioni.
Il mondo di gioco è vivo, vibrante, con un fortissimo
carattere, popolato da
una grandissima varietà di personaggi e personalità, alcuni
dei quali si
uniranno a noi nella nostra avventura, mentre altri
cercheranno di metterci i
bastoni tra le ruote. Ed è esattamente questa una delle
qualità maggiori di
Baldur’s Gate: l’incredibile complessità della storia e del
mondo di gioco
permettono al giocatore di affrontare l’esperienza dalla
propria soggettività,
dal proprio punto di vista. Dal punto di vista estetico,
nonostante le
migliorie tecniche, l’Enanched Edition di titoli con alle
spalle 20 anni non
può proporre certo miracoli grafici, ed è anche per questo che
gli sforzi del
team di sviluppo si sono concentrati sugli aspetti di gioco
anziché su texture,
ombre ed effetti di illuminazione. Se il lato tecnico non è
stato quindi troppo
ritoccato rispetto all’edizione speciale di qualche anno fa
per pc, la versione
console viene impreziosita anche dalla presenza di Siege of
Dragonspear e
Thrones of Bhaal, le due espansioni che chiudono l’arco
narrativo della saga
Baldur’s Gate. La prima è un’esperienza che va a collocarsi
tra i due capitoli
principali della serie, ed è molto importante perché non
rientra nella versione
base dell’Enanched Edition pubblicata per PC, anzi, ne è a sua
volta uno
spin-off. Thrones of Bhaal, invece, è più vecchiotto, e
racconta gli
accadimenti dopo l’epilogo di Baldur’s Gate II. In attesa
della modalità
multiplayer, per adesso solo presente nel menu ma senza alcuna
proposta, le due
espansioni vi regaleranno ancora tante altre ore di quest
interessanti e importanti
per approfondire la storia. Tirando le somme, possiamo dire
che la grandezza di
questa coppia di titoli è dimostrata dalla freschezza
dell’esperienza,
nonostante siano passati più di 20 anni dalla loro uscita
originale. Questa
collection presenta pure le varie espansione, rendendo il
totale di ore di
gioco per completare entrambi i titoli quasi incalcolabile.
Certo, il prezzo
della collection è un po’ altino considerando che questi
giochi vengono
letteralmente dallo scorso millennio; però, il sistema di
controlli è stato
implementato in maniera molto convincente, e in aggiunta, la
possibilità di
poter giocare in modalità portatile (su Intendo Switch) queste
perle è
semplicemente meravigliosa. Unica pecca veramente grave,
riscontrata durante la
nostra analisi su Xbox One, è la totale assenza della
compatibilità con la
lingua italiana. Elemento davvero devastante se non si mastica
l’inglese in
quanto entrambi i giochi sono costellati di dialoghi e testi
che devono essere
compresi bene. In    entrambi   i   Baldur’s   Gate,   infatti,
trascurare libri,
documenti o dialoghi, vuol dire non riuscire a completare come
si vuole le
quest o addirittura rimanere bloccati. Proprio per tale
ragione speriamo che
presto vengano adattati i dialoghi e i testi in italiano,
proprio come già
erano presenti più di 20 anni fa. Ovviamente se si è
appassionati di Dungeson’s
& Dragons, ma anche di Gdr in generale, questa collezione va
assolutamente
giocata. Se invece si è alla ricerca un titolo veloce, di
facile comprensione e
poco complesso, I capitoli 1 e 2 della saga di Baldur’s Gate
non vanno presi in
considerazione. Detto ciò è bene ricordare che questa
collezione rappresenta un
vero e proprio gioiello per chi, come chi scrive, ha amato e
giocato le
versioni originali dei titoli, ma è anche un punto d’inizio
per tutti quei
nuovi giocatori che vogliono approcciare al mondo dei gdr in
maniera seria e
complessa.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8

Longevità: 9

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise
Facebook si rinnova e cambia
il logo aziendale
Facebook si rifà il look grazie a un nuovo logo aziendale “che
aiuta a fare miglior distinzione tra la società e l’app”. Si
tratta di una scritta tutta maiuscola “FACEBOOK” e sarà anche
in vari colori, non solo nel classico blu. Il marchio,
infatti, contraddistinguerà app come Instagram e WhatsApp, si
troverà nelle pagine iniziali o nelle impostazioni, o in
prodotti come i visori per la realtà virtuale “Oculus” e
l’altoparlante intelligente Portal. Tale mutamento non avverrà
invece nel social network, che manterrà l’attuale scritta in
minuscolo nel colore blu. L’azienda non possiede solo
Facebook, ma da tempo è proprietaria anche di Instagram e
WhatsApp e questo sarà evidente anche dal cambio di look del
logo dell’azienda annunciato in via ufficiale sul blog della
società. “FACEBOOK” a carattere tutto maiuscolo si colorerà
infatti anche delle tonalità calde di Instagram e WhatsApp,
“facebook” a caratteri minuscoli in bianco e blu rimarrà
invece al social network. Ma la lettura di questo cambiamento
va oltre quella comunicata ufficialmente. Ciò che ne emerge è
una sempre maggiore interconnessione tra le tre applicazioni,
già culminata con l’annuncio nello scorso aprile della volontà
di creare un unico ambiente di comunicazione condiviso tra
Instagram, WhatsApp e Messenger. Un disegno che si delinea
sempre più come un processo di accentramento. E guardando
ancora più indietro appariva già chiaro che l’addio dei due
fondatori di Instagram, Kevin Systrom e Mike Krieger, fosse
legato a una sempre minore indipendenza garantita al social
acquisito da Facebook nel 2012. Ma prima era stata già la
volta del passo indietro dei fondatori di WhatsApp, Brian
Acton e Jan Koum, in disaccordo con i progetti di Mark
Zuckerberg. In ogni caso, è probabile che l’azienda voglia
separare chiaramente tutte le altre app da Facebook (social
network), soprattutto per via delle numerose controversie che
ha dovuto affrontare. In questo modo Facebook sottintende che
compagnia e servizio sono due cose diverse, e le varie
applicazioni – sebbene strettamente legate all’azienda – non
hanno le stesse finalità del social network.

F.P.L.
Ghost   Recon   Breakpoint,
tornano  i   “fantasmi”  di
Ubisoft
Ghost Recon Breakpoint arriva su Pc, Xbox One e Ps4 a due anni
e mezzo di distanza dal lancio del suo predecessore. Questa
volta Ubisoft ha proposto un titolo che ha preso quanto di
meglio ci fosse dal capitolo precedente, Wildlands (qui la
nostra recensione), lo ha ampliato con meccaniche interessanti
e gli ha donato una grafica del tutto più curata e ancora più
bella da vedere.

Visto che squadra che vince non si cambia, la formula di gioco
di Ghost Recon Breakpoint rimane fedele all’originale,
offrendo un vasto open world liberamente esplorabile che
fungerà da ambientazione per la nuova missione di Nomad,
capitano della squadra Ghost che si trova ad affrontare in
questo capitolo una situazione del tutto inedita, almeno per
gli standard della serie.

Il palcoscenico è l’esotico arcipelago di Auroa nel sud
dell’Oceano Pacifico, centro nevralgico delle operazioni della
Skell Technology, azienda miliardaria e tentacolare che qui ha
stabilito la sua personale Silicon Valley, libera da qualsiasi
vincolo giuridico.

In questo paradiso in cui le migliori menti del pianeta si
sono riunite per studiare e progettare la tecnologia del
futuro che avrebbe dovuto migliorare la qualità di vita
dell’uomo però, non tutto è andato come ci si aspettava.

Jace Skell, capo della Skell Technology si ritrova prigioniero
delle sue stesse creazioni. L’isola di Auroa viene totalmente
isolata dal resto del mondo dopo un colpo di stato militare ad
opera di Cole D. Walker, ex Ghost interpretato da Jon Bernthal
(lo Shane di The Walking Dead).

La scoperta della situazione avviene però dopo che una nave
della marina americana affonda misteriosamente nelle acque
vicine ad Auroa, e la CIA invia una squadra di circa 30 Ghost
ad indagare.

Purtroppo anche questa spedizione non va per il meglio: gli
elicotteri che trasportavano gli agenti vengono abbattuti da
qualcosa di praticamente invisibile non appena entrano nello
spazio aereo dell’isola. Adesso sta a chi gioca vestire i
panni del Ghost Nomad, uno dei pochi sopravvissuti a questo
attacco, per scoprire la verità dietro al tradimento di Walker
e sventare una potenziale minaccia per il mondo intero.
Con queste premesse Ghost Recon Breakpoint è pronto a offrire
ore e ore di gioco fra sparatorie, agguati, inseguimenti e
molto altro ancora di cui a breve andremo a parlarvi.

Fin dalle primissime battute di gioco è possibile notare
alcune importanti differenze che rendono Breakpoint
sostanzialmente molto diverso dal precedente capitolo.

La prima cosa che inevitabilmente salta all’occhio è la
posizione della telecamera alle spalle del protagonista,
percettibilmente più vicina rispetto al passato. Questa scelta
rende l’avventura di Nomad più personale, intima, anche perché
Ghost Recon Breakpoint affida il sostentamento e la
sopravvivenza del Ghost come mai la serie aveva fatto in
passato. Gli elementi survival di cui parleremo in seguito
rappresentano una graditissima novità, così come il rinnovato
sistema delle armi che avvicina questo capitolo a un looter
shooter, per non parlare dell’assenza dei compagni di squadra
gestiti dal computer, che tra polemiche e ripensamenti non
sono in ogni caso presenti in questa nuova avventura.

Tutte queste novità sul fronte del gameplay non vanno a
intaccare la limpidezza dell’infrastruttura di gioco, molto
coerente con quanto già visto in Wildlands nel 2017.

La nuova fatica di Ubisoft Paris non è altro che uno
sparatutto in terza persona con elementi tattici, dotato di un
sistema di coperture fluido e non legato alla pressione di un
tasto, che può essere giocato dall’inizio alla fine da soli o
in compagnia di altri tre amici.
Come fu per il capitolo precedente, anche in Ghost Recon
Breakpoint l’elemento di gameplay principale è rappresentato
sempre dalla minuziosa pianificazione e dallo svolgimento
degli attacchi agli avamposti controllati dai Lupi e dai
contractor della Sentinel, che punteggiano le 21 provincie in
cui si divide Auroa.

La fase preparatoria che precede un assalto vede ancora come
protagonista indiscusso il drone da ricognizione, che può
identificare e marcare i nemici che sono segnalati sulla mappa
con un generico alone rosso. In queste fasi l’HUD diventa un
preziosissimo alleato, con cui tenere d’occhio la posizione
dei soldati ostili e le informazioni su armi e attrezzature.
Anche se l’uso della forza bruta è sempre un’opzione, la
prassi largamente riconosciuta nel franchise Ghost Recon
prevede che i giocatori operino in religioso silenzio, ed è
proprio in queste situazioni che il gioco dà il suo meglio.

Questo risultato viene raggiunto in larga parte grazie al
lavoro svolto sul gunplay, che si presenta all’appuntamento
con la recensione in gran forma e privo di sbavature.

Complici alcune animazioni che ricalcano i movimenti tipici
delle forze speciali, ripulire soldato dopo soldato un
accampamento nemico è l’attività più piacevole che Ghost Recon
Breakpoint possa offrire, specialmente se ci troviamo in
squadra con altri giocatori.

Se da un lato i nemici non sono adeguatamente caratterizzati,
una grossa variabile di gameplay è costituita dalla massiccia
presenza dei droni, chimere tecnologiche costruite dalla Skell
Technology e che popolano il gioco in tanti modelli diversi.
Oltre a droni di piccole e medie dimensioni, in alcune
località dell’arcipelago si nascondono i Behemoth, le macchine
più letali mai realizzate dalla compagnia, messe a difesa di
tesori inestimabili. Affrontarli sarà molto impegnativo,
esaltante, ma soprattutto anche molto appagante.

Parlando della componente survival in questo Ghost Recon
Breakpoint, la prima, nonché più importante delle novità
risiede nella rinnovata gestione della salute di Nomad.

Il protagonista infatti durante il combattimento può subire
degli infortuni di tre diverse entità, che limiteranno
progressivamente la capacità operativa sul campo del
protagonista.

Per riprendersi da questi ferimenti, che riducono in via
definitiva la barra della salute, saremo costretti a metterci
al riparo per bendarci e curarci, un’operazione che dura
momenti interminabili quando si è sotto il fuoco nemico.

Ad avere un impatto sull’esito dei combattimenti è anche la
stamina, che può velocemente esaurirsi correndo e saltando da
un riparo all’altro. Non è una buona idea trovarsi senza
resistenza nel bel mezzo di uno scontro a fuoco, soprattutto
quando si ha a che fare con terreni scoscesi, e questo
aspetto, in concomitanza con l’introduzione degli infortuni,
evolve secondo noi di tantissimo le fondamenta del gameplay
della serie.

L’idea che Nomad abbia debolezze e vulnerabilità intensifica
la percezione d’immersione, convincendoci di avere tra le mani
la sopravvivenza di un vero soldato in un ambiente ostile e
pericoloso. Le dinamiche survival di Ghost Recon Breakpoint
orbitano poi attorno ai bivacchi, i piccoli accampanti
disseminati per Auroa che i giocatori possono utilizzare per
rifocillarsi, prepararsi e armarsi, ma anche e soprattutto per
servirsi del viaggio rapido attraverso le diverse località
dell’arcipelago.

Raggiungendo un bivacco si ha la possibilità di richiamare un
veicolo, di consultare il negozio delle armi e delle
attrezzature, ma anche di dedicare del tempo a una delle sei
diverse attività che offrono buff consistenti alle statistiche
di Nomad. Ad esempio, mangiare aumenta la resistenza agli
infortuni e idratarsi fornisce un bonus alla stamina, mentre
fare stretching garantisce più resistenza. Controllare armi e
droni migliora le performance di entrambi, oppure è sempre
possibile optare per un bonus all’ottenimento di punti
esperienza con il quale livellare più velocemente.

Altra grande novità proposta in questo Ghost Recon Breakpoint
è rappresentata dalle classi, ossia ruoli che ricalcano quelli
che ognuno finisce con l’interpretare sul campo di battaglia.
Le classi sono quattro, Medico da Campo, Assalto, Pantera e
Tiratore, e danno accesso ad una serie di abilità e perk
specifici che aiutano a rendere significativamente più
variegato il gameplay di squadra. Ciascuna classe mette a
disposizione un’abilità e un gadget unici, che nella classe
Medico sono naturalmente orientati al curare i compagni, in
quella Assalto a ridurre i danni subiti e a rendere più letale
il Soldato, in quella Pantera a essere più furtivi e in quella
Tiratore a visualizzare e a eliminare con più efficacia i
nemici distanti.
Completando una serie di compiti sarà inoltre possibile
livellare una classe per sbloccare perk aggiuntivi, aspetto
che favorisce l’immedesimazione del giocatore nel suo ruolo.
Naturalmente, tanto in PvE quanto in PvP si potrà passare in
ogni momento da una classe all’altra, senza subire
penalizzazioni di sorta. Insomma, scegliere quella adatta al
proprio stile di gioco sarà uno dei piaceri offerti da Ghost
Recon Breakpoint, che sotto questo aspetto riesce a offrire
una nuova meccanica dall’indiscusso fascino.

Oltre al leveling delle classi, il giocatore può scalare ben
30 livelli ottenendo di volta in volta punti abilità, che
possono essere investiti sui rami di un albero delle abilità
non dissimile da quello di Wildlands ma molto, molto più
folto, composto da oltre 50 perk attivi e passivi con cui
personalizzare ulteriormente le abilità di Nomad sul campo di
battaglia. Il titolo di Ubisoft può anche essere definito un
vero e proprio loot shooter, infatti, tra le infinite
influenze che hanno caratterizzato lo sviluppo di Ghost Recon
Breakpoint è evidente la volontà della casa francese nel
riprendere alcune caratteristiche dal suo The Division.

Infatti l’isola di Auroa è letteralmente disseminata di casse
tramite le quali ottenere equipaggiamenti di ogni tipo.

Il livello di combattimento di Nomad viene definito dalla
qualità del suo equipaggiamento, per cui è sempre una buona
idea cercare di aprire più casse possibile nella speranza di
trovare qualche arma, cappello, guanti e così via con
statistiche migliori e magari qualche bonus passivo per essere
sempre pronti ad affrontare nemici sempre più impegnativi… più
o meno.
Qui infatti Ubisoft non sembra aver bilanciato benissimo il
tutto, e la differenza tra armi che nella realtà hanno potenze
di fuoco anche molto diverse è abbastanza minima, quasi da non
giustificare l’impegno nell’esplorare e magari rischiare di
essere scoperti pur di raggiungere una cassa; ben presto la
voglia di cercare loot viene meno e ci si limita a raccogliere
solo le casse che si trovano sul proprio cammino, senza
impegnarsi più di tanto nella ricerca.

Interessante invece è il level system armi/equipaggimento.
Esso è calcolato sulla media aritmetica dei valori di armi e
vestiti inseriti negli 8 slot disponibili, e condiziona
l’efficacia del protagonista quando affronta i nemici, anche
loro dotati di livello. I modificatori ai danni inflitti e
ricevuti dipendono in larga parte dalla difficoltà selezionata
tra le quattro a disposizione (Arcade, Regolare, Avanzata ed
Estrema), c’è da dire però che anche ad Arcade non sarà
possibile caricare a testa bassa un gruppo di nemici, quindi,
livello e difficoltà selezionata non salveranno il giocatore
da azioni avventate o sciocche.

Per non nuocere al realismo, caratteristica centrale
dell’intera serie, Ubisoft Paris ha scelto di applicare questa
nuova filosofia del Livello Attrezzatura con alcune
limitazioni, per evitare quel fastidioso effetto “bullet
sponge” che spesso è una peculiarità di moltissimi looter
shooter. In tal senso ogni nemico, anche i membri dei Lupi che
sono di livello 150 o più, verranno abbattuti da un singolo
colpo alla testa, quindi esiste la concreta possibilità di
affrontare un loro accampamento senza i requisiti adeguati.

In Ghost Recon Breakpoint è stato rivoluzionato anche il
processo che porta all’ottenimento delle armi, che possono
essere acquistate dal negozio, trovate nelle casse nascoste
nei punti di interesse di Auroa o ricevute come drop casuale
dai nemici uccisi. Dal momento che è proprio attraverso i drop
che Nomad sale di Livello Attrezzatura, capiterà spesso di
dover aggiornare il proprio setup e utilizzare un vasto numero
di bocche di fuoco, che si dividono tra fucili d’assalto,
mitragliette, fucili a pompa, mitragliatrici leggere, fucili
di precisione, DMR e pistole. Nel corso dell’avventura, non
sarà tuttavia necessario affidarsi sempre al caso per giocare
con la propria arma preferita, poiché nascosti nel mondo di
gioco sono nascosti i progetti relativi a ognuna di esse, che
una volta ottenuti offrono la possibilità di “forgiare” il
fucile al Livello Attrezzatura corrente.

Questa funzione è utile inoltre per sorteggiare nuovamente le
statistiche di un’arma:       ognuna ha caratteristiche
prestabilite, ma gode di      due bonus casuali che sono
determinati dalla rarità con cui viene ottenuta. Come ogni
titolo di questo tipo, anche Ghost Recon Breakpoint offre i
fantomatici livelli di rarità di ogni oggetto. Esistono cinque
livelli di rarità, e proprio per questo può essere utile di
tanto in tanto cercare di riottenere un fucile con statistiche
migliorate, specialmente nella fase di endgame.

Ovviamente non manca il Gunsmith, ossia la sezione del menù
dedicata alla personalizzazione delle armi. Le bocche di fuoco
possono infatti montare una moltitudine impressionante di
accessori ed essere colorante in ogni singola parte con
tantissime mimetiche. Tutte le armi, in ottica endgame,
possono essere inoltre potenziate attraverso tre livelli di
qualità, che vengono preservati quando si scarta e si riceve
nuovamente lo stesso fucile. Insomma, Ghost Recon Breakpoint è
un titolo davvero molto complesso anche per quanto riguarda la
sezione “equipaggiamento e armi”.
Se vi state chiedendo, ma Quanto dura questo Ghost Recon
Breakpoint? La risposta è: solo la campagn principale, circa
una 25ina di ore.
Sempre in base poi a che difficoltà si gioca. A contorno delle
28 quest che
compongono la storia principale ci sono tantissime missioni
secondarie, la
maggior parte di esse collegate alle due fazioni dell’isola
(Coloni ed Esclusi)
che nel corso del supporto post-lancio si evolveranno con
nuovi spunti
narrativi. L’unico elemento che riesce a spezzare la monotonia
delle missioni è
il taglio investigativo che lo studio parigino ha voluto
applicare alla maggior
parte delle attività, che impone al giocatore di trovare
indizi, prove e
testimonianze che lo possano portare alla prossima fase della
missione. Nel
menù principale è addirittura presente una sezione dedicata
alla soluzione dei
grandi misteri di Auroa, che possono essere risolti scovando
collezionabili e
altri indizi nel vasto mondo di gioco di Ghost Recon
Breakpoint. Ma non finisce
qui, infatti il titolo di Ubisoft offre anche una modalità
Multigiocatore PvP chiamata
Ghost War. Questa al momento non include moltissimi contenuti
con due sole
modalità (deatmatch a squadre e cerca e distruggi) e sei
mappe, ma sarà espansa
nel corso delle settimane e senza dubbio sa offrire spunti
interessanti. La
nota positiva è che si può finalmente partecipare alle partite
online con il
proprio avatar del PvE, che riceverà oggetti e armi dal
multigiocatore in un
sistema di progressione condivisa che era fondamentale per
legare
indissolubilmente le due esperienze. Le partite coinvolgono
due squadre da
quattro Ghost ciascuna, che cominciano il match agli antipodi
di mappe molto
grandi che favoriscono almeno in questa prima fase i cecchini
e i tiratori
dalla distanza. Caricare a testa bassa potrà comunque essere
molto
remunerativo, poiché risorse come medikit e batterie per il
drone possono
essere trovate solo all’interno degli edifici che solitamente
sono al centro
dell’ambientazione. Insomma, Ghost Recon Breakpoint è un gioco
davvero pieno di
cose da fare e che per venire alla noia ci metterà davvero
molto tempo. A livello grafico/estetico, il gioco naviga
fra alti e bassi. Il colpo d’occhio generale è tutto sommato
buono, ma spesso
ci sono momenti in cui si resta quasi a bocca aperta per lo
stupore e altri in
cui invece si storce il naso davanti a modelli fin troppo
legnosi e con pochi
dettagli, a volte anche nel corso delle stesse cut-scene.
Sembra quasi che ci
siano problemi di caricamento delle texture (fortunatamente su
Xbox One X
questo fenomeno è marginale e la situazione migliora
notevolmente rispetto a
una S). A questo poi si uniscono anche numerosi bug grafici
che, se possono
essere perdonati in un open world così vasto, in alcune
occasioni hanno
compromesso la mia esperienza di gioco come la selezione
rapida degli oggetti
che ogni tanto decide di non funzionare o personaggi chiave
con cui parlare che
spariscono misteriosamente, bloccando così la missione e
costringendo al
riavvio. Buono invece il frame-rate, che si è sempre mantenuto
stabile a 30
fps, mentre su Xbox One X è possibile anche scegliere tra due
modalità che si
concentrano di più sulla grafica o sulla fluidità. A livello
audio il videogame
offre un ottimo doppiaggio in lingua italiana e sia dal punto
di vista degli
effetti sonori che delle musiche il risultato è davvero
stupefacente. Insomma,
tirando le somme, nella speranza che con il passare dei giorni
Ubisoft rilasci
qualche patch correttiva per i sopracitati bug, Ghost Recon
Breakpoint risulta
essere uno dei titoli migliori del momento: lungo, avvincente
ed estremamente
divertente. A nostro avviso lasciarselo sfuggire potrebbe
essere un vero
errore.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 9,5

Gameplay: 9

Longevità: 9
VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise

Emoji, in arrivo 168 nuove
“faccine”
Sono ben 168 le nuove emoji che si preparano a popolare le
tastiere dei nostri smartphone.

L’Unicode Consortium ha annunciato la versione 12.1 del suo
standard per caratteri digitali che, come noto, include anche
le celebri faccine.

Le emoji sono diventate così importanti nella nostra vita da
rappresentare la lingua più parlata al mondo, nonché un mezzo
per descrivere il nostro stato d’animo utilizzando una
semplice segno grafico.

Attualmente nel mondo sono oltre due miliardi le persone che
utilizzano le faccine per comunicare.

Del resto, una emoji è molto più semplice da capire e permette
a coloro che non parlano la stessa lingua di intendersi a
vicenda. L’ultimo aggiornamento delle emoji risale allo scorso
luglio quando, in occasione del World Emoji Day, era stato
annunciato l’arrivo di nuove faccine dedicate all’inclusività
e alle diversità.

Tra queste sono comparsi cani guida, protesi per gli arti e
sedie a rotelle, nonché un maggior numero di emoticon dedicate
alle etnie e ai diversi generi sessuali. Per ora non è stata
annunciata una data ufficiale del rilascio delle nuove emoji
versione 12.1, ma è normale supporre che le nuove faccine
verranno introdotte durante le prossime settimane attraverso
un aggiornamento di sistema sia su smartphone Android sia su
iOS.

Come dichiarato dall’Unicode Consortium, i nuovi emoji non
sono poi così “nuovi”. Per lo più si tratta di variazioni
applicate alle emoji già presenti. In particolare, 138 sono
state ideate per rappresentare le persone senza però indicarne
il genere, mentre le restanti 30 raffigurano una combinazione
tra le faccine esistenti caratterizzate da una diversa
tonalità della pelle che si tengono per mano.

Sono solo 26 le emoji inedite che rappresentano diversi tipi
di persone con diversi stili di acconciatura. Sono state
inserite persone calve, ricce, insegnanti studenti cuochi,
meccanici, giudici, agricoltori, cantanti e altro ancora.
Tutte le versioni, naturalmente, comprendono entrambe i sessi.
Insomma, le emoji sono pronte a rinnovarsi per stare al passo
coi tempi e ad accompagnarci ogni giorno in tutte le nostre
conversazioni.

F.P.L.
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