Volti - john cassavetes il cinema di - Centro Sperimentale di Cinematografia
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
volti il cinema di john cassavetes Palazzo delle Esposizioni - Sala Cinema - Roma 13 febbraio > 14 marzo 2020
the last show of an opening night Sono trascorsi oltre trent’anni dalla morte fecero sentire con maggiore forza – e che di John Cassavetes, ma la distanza che si fece cacciare dal Champlain College separa il pubblico di oggi dal suo cinema per una serie di voti del tutto insufficienti. appare quasi siderale: la cirrosi epatica Un avvenimento che non lo turbò in che se lo portò via a neanche sessant’anni maniera particolare, visto che approfittò arrivò prima del crollo del Muro di Berlino, della “vacanza” obbligata per girovagare prima della caduta della fine della Guerra in Florida sfruttando l’autostop. No, il Fredda, prima delle proteste in piazza modello di vita che l’America borghese Tienanmen, prima della vittoria definitiva agognava dopo il termine del conflitto del “modello occidentale”, a sua volta figlio mondiale non si addiceva al giovane un po’ bastardo di quell’utopia borghese Cassavetes, semmai più prossimo a che era stata definita american way of life. sposare l’irrequieto moto continuo della Uno stile di vita che Cassavetes, figlio di generazione “beat”, tra serate alcoliche un immigrato greco e di una ellenico-a- a ritmo di bebop e poesie improvvisate, mericana, non sposò mai, lui che imparò scaturite direttamente dagli abissi dell’e- l’inglese solo a sette anni – pur essendo mozione personale. nato a New York, per garantirgli la citta- dinanza attraverso lo ius soli, trascorse i Per quanto sia scorretto, e del tutto primi anni in Grecia, per tornare negli Stati improvvido, parlare di Cassavetes come Uniti quando i venti di guerra in Europa si di un regista che si è mosso in direzione
della poetica di Kerouac, Ginsberg, (come pretende l’indie contemporaneo), Corso e via discorrendo, non c’è dubbio ma al contrario nella volontà di rigettare che la sua esperienza sia così laterale, i dogmi hollywoodiani, a partire dalla orgogliosamente fuori dagli schemi struttura narrativa per arrivare alla messa preordinati dell’industria, da risultare a sua in discussione addirittura dell’estetica e volta battuta e beatificata. Un’esperienza della sua apparente perfezione. Uscire dal trentennale (l’esordio alla regia, Ombre, cono d’ombra dell’immagine, tesa com’è è del 1959, mentre l’ultimo film diretto, a un naturale gigantismo, per riscoprire Il grande imbroglio, è del 1986) che non la fragilità dell’umano, la sua intrinseca ha mai avuto tentennamenti, non ha mai imperfezione, la sua quotidianità. mostrato neanche il minimo cenno di cedimento nei confronti dell’immaginario Che senso hanno oggi termini come egemone. Indipendente è diventato un famigliare, scarno, improvvisazione? In termine abusato, almeno a partire dagli un’epoca in cui la mistificazione è a sua anni Novanta del secolo scorso, quando volta un momento del vero, come già l’indie a stelle e strisce travalicò il valore preconizzava inascoltato Guy Debord, il cinema si allontana ancora più dal reale ogni qual volta pretende di scontrarvisi con maggiore forza. Si fa a gara a restituire verità nel cinema d’autore, anche in quello statu- nitense, ma per farlo si ricorre sempre e comunque all’artificio, alla ricostruzione del vero. Il cinema di John Cassavetes è lì a ricordarci che la verità in scena non può essere frutto di una ricostruzione. strettamente politico – oltre che poetico Filmare non è per il regista statunitense un – del termine per divenire la seconda voce atto di riscrittura, ma serve a immortalare dell’industria, quella più avvezza al canone un momento, un istante. Nel cinema di del “bizzarro”; è per questo che rischia Cassavetes si possono contare i respiri di essere fraintesa la portata innovativa, degli interpreti, ci si può appoggiare rivoluzionaria, a suo modo inimitabile, del ai muri degli appartamenti perché quei cinema di Cassavetes. Proprio in un’epoca muri e quegli appartamenti sono veri, non come quella attuale ha dunque ancora ricostruiti in studio. Veri e dunque vissuti, più valore riscoprire questa filmografia e spesso vissuti dallo stesso Cassavetes e composta di appena dodici movimenti, dalla sua consorte/musa, la straordinaria dodici istanti di libertà incuneati nel corpo Gena Rowlands. Si può pensare che per solo all’apparenza molle dell’industria dei Cassavetes portare davanti alla macchina mogul, dei tycoon, del “bigger than life”. da presa la moglie, i migliori amici, Il cinema per Cassavetes non è mai stato persino la madre e la cognata – come più grande della vita, ma è stato – sic et accade in Minnie e Moskowitz – fosse simpliciter – la vita stessa. La sua capacità un vezzo, e nulla di più. Ma sarebbe un innovativa non sta nella ricerca perpetua errore. Il concetto di famiglia non è solo e ossessiva del bislacco e dell’eccentrico uno degli aspetti centrali della poetica
cassavetesiana, ma è anche il simbolo di per simili operazioni alla Lav Diaz”. Il una resistenza al pensiero comune, allo montaggio è un nemico perché costringe status quo, ai dettami dell’industria. Il l’immagine nel suo sviluppo improvvisato cinema è una macchina produttiva che si a procedere a un tempo definito, costruito basa sulle professionalità? Cassavetes si a posteriori: eppure così mirabile appaiono rinchiude negli affetti più intimi, e scardina quei tagli improvvisi, quelle chiose che il cuore pulsante di un simile pensiero. si considerano oramai impensabili, che Ogni messa in scena di Cassavetes (si caratterizzano il suo cinema e segneranno può escludere da questo novero il solo in profondità molti cineasti, a partire per Gli esclusi, per il quale venne esautorato esempio dal Woody Allen di Io e Annie. dal montaggio per volere di Stanley L’improvvisazione, come nel tanto amato Kramer, e in parte Blues di mezzanotte jazz, è l’attimo sublime in cui il singolo e Il grande imbroglio) è il viaggio dentro riesce a diventare parte del tutto, in un una porzione di sé, delle proprie abitudini, contrappunto mai velleitario. L’umano, dei propri pensieri e desideri: con lui, in centro nevralgico dell’agire artistico di viaggio, ci sono la Rowlands, e poi i vari Cassavetes, lo si può preservare solo Seymour Cassel, Val Alery, Peter Falk, tracciando coordinate armoniche, Ben Gazzara. I temi? La solitudine, la crisi melodiose nella capacità di organizzare nei rapporti interpersonali, l’alcolismo, il caos in una polifonia che non cerca lo la riflessione sulla caducità della vita. stridore dell’urlo, ma l’intimità in cui è Quasi sempre a ritmo di jazz, Cassavetes stato generato quell’urlo stesso. Prezioso e danza, accanto e con i suoi protagonisti: perduto, il cinema di Cassavetes ci mostra da Ombre in poi il suo cinema è un’arte ancora oggi come il fuoco d’artificio molto più coreutica che narrativa, molto sorprenda con un oh di meraviglia prima più verbale che agita, molto più viva di dissolversi nell’aria, dove anche solo un negli interstizi di tempo morto che nei primo piano sa mozzare il fiato, e lasciarlo supposti – e mai reali – colpi di scena. Il mozzo per lungo tempo. vero nemico di Cassavetes è il montaggio, Raffaele Meale e come giustamente fa notare Giampiero Raganelli in queste pagine parlando di Volti “Ancora una volta il cinema di Cassavetes è instabile, liquido, sformato. E il film passa attraverso vari montaggi, per approdare, da una versione di tre ore a quella definitiva, fissata, di 130’. Ma Cassavetes ne aveva anche concepita una da otto ore. I tempi forse erano prematuri
ombre Opera prima di John Cassavetes, Ombre è il manifesto di un Ombre (Shadows) cinema indipendente e libero, costruito insieme agli attori USA, 1958-1959 regia: John Cassavetes con il “metodo”, crocevia di beatnik, esistenzialismo e musica sceneggiatura: John jazz nel contesto del fermento culturale dell’America sotto Cassavetes Eisenhower, in una società ancora pervasa di razzismo contro fotografia: Erich Kollmar gli afroamericani. musica: Charles Mingus montaggio: Maurice McEndree Hugh, Leila e Ben sono tre fratelli afroamericani, due dei interpreti: Ben quali di pelle chiara, che vivono insieme in una casa a New Carruthers (Ben), Lelia York. Hugh, il più grande, l’unico palesemente di colore, è un Goldoni (Lelia), Hugh Hurd (Hugh), Anthony cantante di nightclub in declino, Ben è un trombettista jazz Ray (Tony, Dennis Sallas che passa il tempo nei bar con due compagni di sbronze, (Dennis), Tom Reese Dennis e Tom. Leila, la più giovane, frequenta i circoli degli (Tom), David Pokitillow esistenzialisti e ambisce a diventare scrittrice. (David), Rupert Crosse (Rupert), David Jones (Davey) «The film you have just seen was an improvisation»: con produttore: Maurice questa scritta si chiude Ombre (Shadows), primo film da McEndree regista, per così dire, dell’attore di origine greca John produzione: Lion International Film Cassavetes, realizzato nell’ambito dell’Actor’s Workshop, distribuzione: Lion il laboratorio di recitazione da lui fondato, insieme a Burt International Film Lane, basato sulla loro interpretazione del cosiddetto durata: 78’ (prima “metodo”, alternativa a quella dell’Actors Studio di Lee versione in 16mm), 81’ (seconda versione Strasberg, che consideravano ormai sclerotizzato. Per in 35mm) Cassavetes non si trattava più di recitare ma semplice- mente di vivere, di superare la concezione meramente introspettiva del Metodo a favore di una collettiva, costruita sulle interazioni tra gli attori, rifiutando al contempo le inutili discussioni di gruppo. Liberarsi da ogni maschera era il credo di Cassavetes e Lane e in Ombre, concepito come manifesto, molto più che un semplice saggio o lavoro di workshop, compaiono
anche le statue, nel giardino del MoMa insegne luminose e le loro vetrate sulla e nella scena successiva al rapporto strada, i locali di musica, tra alcol, juke sessuale di Leila: manufatti di pietra, box e risse, i salotti culturali, con il suo immobili, antichi. fermento intellettuale, il suo meticciato Il concetto di improvvisazione dell’Actors culturale e la sua promiscuità e libertà Studio è mantenuto e proprio su questo sessuale nell’America di Eisenhower. Un il film è stato costruito, basandosi su film che guarda alle correnti letterarie, un esile canovaccio narrativo in cui gli citando i beatnik e l’esistenzialismo, alla attori, ognuno dei quali conservando il musica jazz, afroamericana per eccellen- proprio nome nel film, hanno lavorato za, e anche al rock’n’roll. E che idealmente con processi di interazione, di analisi si affaccia alla Nouvelle Vague d’oltreoce- dei conflitti. L’improvvisazione diventa ano, che fioriva in quegli stessi anni, che il principio di una rappresentazione pure non era ancora arrivata negli USA e anti-brechtiana, dove anche al cinema che quindi Cassavetes non conosceva, ma si ragiona sul regista come capocomico, che nasceva dalle stesse istanze artistiche. come ai tempi di Shakespeare o di Nel film si cita invece, con una locandina Pirandello, e non di un despota assoluto. che evidenzia Brigitte Bardot, simbolo Un regista, come nel caso di Cassavetes, di libertà sessuale, il film Gli amanti del che ci inserisce molto anche della sua chiaro di luna di Roger Vadim. Come non vita e della sua esperienza personale per vedere un parallelo godardiano in quelle lui, di origine greca, mettendo in scena corse nel Central Park, come quella che una storia in un ambiente melting pot di fa Leila con entrambi i suoi spasimanti? artisti. La questione razziale del film ha E ancora Ombre si inserisce in quel come fulcro la figura di Tony, che seduce contesto florido americano, anche cine- Leila e va a letto con lei, salvo accorgersi, matografico. Girato in 16mm con l’attrez- solo dopo, vedendo i fratelli, che lei è zatura prestata da Shirley Clarke, amato afroamericana, e provando così repul- da Nikos Papatakis che ha contribuito alla sione. Quella che finisce per diventare seconda versione, programmato da Jonas una condanna logica, prima ancora che Mekas e Amos Vogel. morale, del razzismo – si è considerati neri anche se la pelle è bianca –, diventa Cassavetes inaugura una forma di anche una rispondenza tematica alla rappresentazione spontanea, instabile, concezione del film: tra l’attore e il suo continuamente soggetta a discussioni e personaggio non c’è una separazione revisioni, in divenire, che non cerca una netta, come tra il bianco e nero ci sono le forma definitiva e ultima, quanto antepone ombre, le tante sfumature di grigio. Così il processo al prodotto. Così Cassavetes come i personaggi sono sempre artisti, dopo una prima versione decide di rigirare musicisti, scrittori, come gli attori che buona parte del film, tre quarti circa, li interpretano. Cassavetes teorizza un inserendo le nuove scene con un nuovo cinema dove anche lo stile di ripresa eviti montaggio. E Ombre ha avuto un tempo ogni virtuosismo per seguire i personaggi. di lavorazione finale di tre anni. Un cinema di persone vere. Dove improv- visata avrebbe dovuto essere – e lo è stata Giampiero Raganelli solo in parte per le esigenze artistiche del musicista – la colonna sonora commis- sionata a Charles Mingus, molto più che un semplice accompagnamento. Ombre è un film che pulsa di libertà, crocevia di forme d’arte e di avanguardie, in una New York – come poi quella di Woody Allen – con i suoi cenacoli culturali e artistici, i ristoranti con le loro
Opera seconda che fu funestata da vari problemi tra John Blues di mezzanotte Cassavetes e la Paramount, insuccesso commerciale e critico, (Too Late Blues) USA, 1962 Blues di mezzanotte offre in realtà una pregnante metafora regia: John Cassavetes della dialettica tra creatività e industria che avrebbe attraversato sceneggiatura: John tutta la carriera del regista. Cassavetes, Richard Carr fotografia: Lionel Lindon musica: David Raskin Leader di una piccola band jazz, Ghost si attira le antipatie del montaggio: Frank suo agente iniziando una relazione con la sua ex compagna, Brache minando la stabilità del gruppo. interpreti: Bobby Darin (John “Ghost” Wakefield), Stella Dopo il folgorante esordio di Ombre, la prova dell’opera Stevens (Jess Polanski), seconda poneva per John Cassavetes più di un problema, Everett Chambers estetico e produttivo. Il passaggio a uno studio hollywo- (Benny Flowers), Nick odiano (qui la Paramount) arrivò presto, nella carriera di Dennis (Nick), Vince Edwards (Tommy), Val Cassavetes, cogliendo probabilmente impreparato l’ancor Avery (Frielobe), James (registicamente) giovane cineasta: Blues di mezzanotte, Joyce (Reno), Rupert infatti, è opera molto più “pensata” e strutturata rispetto Crosse (Baby Jackson), all’esordio, con una narrazione decisamente più armonica Cliff Carnell (Charlie, il sassofonista), Seymour e meno episodica rispetto al film precedente. Un apparente Cassel (Red, il bassista) assorbimento del regista nelle logiche del cinema indu- produttore: John striale, che lo alienerà definitivamente dalle simpatie della Cassavetes Scuola di New York – di cui pure era considerato epigono produzione: Paramount Pictures – e segnerà l’inizio di un conflitto con gli ambienti distribuzione: produttivi hollywoodiani che accompagnerà Cassavetes Paramount Pictures per tutta la sua carriera. Di fatto, pur pensato in un’ottica durata: 100’ molto più classica e narrativamente strutturata rispetto al suo esordio, Blues di mezzanotte non è precisamente il film che Cassavetes avrebbe voluto: i compromessi mandati giù furono tanti, a partire dai due protagonisti (il regista avrebbe voluto Montgomery Clift e la moglie Gena Rowlands). Critica e pubblico non apprezzarono, blues di mezzanotte
contribuendo al futuro relegamento del pregnante, di un contesto all’insegna della film al rango di opera minore. precarietà, esistenziale e sociale. Temi Eppure, rivisto oggi, Blues di mezzanotte che qui restano stretti nel microcosmo (in originale un Too Late Blues decisamen- di un gruppo di musicisti (e del contesto te più calzante) offre più di uno spunto di umano che a essi gravita intorno) legati riflessione interessante, sia inquadrato nel da una fragile amicizia; temi che tuttavia contesto hollywoodiano dell’epoca, sia successivamente, nella carriera del alla luce dei futuri sviluppi della carriera regista, si apriranno a un fuori di cui qui del regista. La maggior compattezza scorgiamo solo scorci (la nuova esistenza della narrazione e l’organizzazione degli del protagonista come protetto di una eventi in un climax – pur al netto di ricca borghese, la discesa della sua ex una catarsi che, nel finale, appare solo compagna nella prostituzione). Ma, per accennata – non escludono il fatto che il embrionale che sia la costruzione di film restasse un corpo decisamente a sé quel quotidiano (e delle sue nevrosi) che nella Hollywood dell’epoca; un’industria diventerà cifra stilistica del suo cinema, che già aveva visto i germi di un rinnova- Cassavetes informa la parabola del suo mento tematico, figlio di una cultura che protagonista di un dolente realismo, aveva assorbito le suggestioni della Beat costellandola di squarci di una tenera e Generation ma che ancora doveva attra- feroce love story, integrando al meglio il versare la rivoluzione estetica e produttiva tono agrodolce della storia con le tonalità della New Hollywood. Così, Blues di jazz della colonna sonora. mezzanotte, con la sua rappresentazione del quotidiano di musicisti spiantati, stretti Il risultato di questo Blues di mezzanotte tra le logiche di un’industria che vuole il è un’opera che, pur nelle sue ellissi e in suo pedaggio in termini di compromessi qualche passaggio troppo meccanico, e appiattimento della creatività, e la ha l’unico, vero limite (in contraddizione (post)adolescenziale intransigenza del col suo titolo originale) di essere giunta protagonista Ghost, risulta un film (imper- forse troppo presto: in anticipo sui tempi fettamente) in anticipo sui tempi: curato – quelli della New Hollywood e quelli del nella confezione quanto intransigente nei successivo mix di minimalismo e teatralità concetti veicolati, classico nella messa in del cinema cassavetesiano – ma pur scena eppure (volutamente) dimesso nella sempre precisa fotografia di un contesto e resa spettacolare. di una fase artistica. A ben vedere, tutt’al- tro che un’opera minore. È facile, col senno di poi, vedere in Blues di mezzanotte una rappresentazione delle Marco Minniti stesse difficoltà affrontate dal regista nel rapporto con gli studios, la dialettica tra intransigenza e necessità di compromesso che qui vengono incarnate dal rapporto tra i due amici/rivali Ghost (nome non scelto a caso) e Benny. La sovrapposizione del tema del film con le vicissitudini che la sua produzione attraversò, la coin- cidenza tra le vicende occorse fuori e dentro lo schermo, lo rendono in un certo senso un’opera (inconsapevol- mente) metacinematografica. Eppure, anche preso a sé, il secondo film di Cassavetes mantiene quel magnetismo che gli deriva dalla sua rappresentazione minuta, quotidiana eppure assolutamente
gli esclusi Sotto l’ala produttiva della United Artists e di Stanley Kramer, Gli esclusi Cassavetes nel 1962 realizza un’opera borderline come il suo (A Child Is Waiting) USA, 1963 protagonista, in bilico tra la Hollywood che fu e il cinema regia: John Cassavetes americano che sarà. sceneggiatura: Abby Mann In un istituto per la cura di minori affetti da disfunzioni psico- fotografia: Jospeh LaShelle motorie il direttore Clark (Burt Lancaster), e l’insegnante di musica: Ernest Gold musica Jean Hansen (Judy Garland), hanno idee contrastanti: montaggio: Gene Fowler più severo lui, più comprensiva lei. Ma l’insuccesso che la jr., Robert C. Jones donna riporta nel caso di un piccolo ricoverato mina le sue interpreti: Burt Lancaster (dottor certezze. Matthew Clark), Judy Garland (Jean Hansen), Il cinema è una questione di sguardo. Quello di un autore è Gena Rowlands (Sophie riconoscibile sempre, in ogni opera, ancor di più in quelle Widdicombe), Steven Hill (Ted Widdicombe), più tormentate, meno libere, di passaggio e di compro- Paul Stewart (Goodman), messo, dove lo sguardo per liberarsi e manifestarsi deve Gloria McGehee (Mattie), aggirare ostacoli, ingaggiare ruvidi corpo a corpo con la Lawrence Tierney visione produttiva, magari divergente rispetto alla propria. (Douglas Benham), Bruce Ritchey (Reuben Tutto questo lavorìo è ben visibile in ogni sequenza de Widdicombe), John Gli esclusi, terza regia firmata da John Cassavetes dopo Marley (Holland), Bill l’esordio jazz di Ombre e la prima incursione nel sistema Mumy (un paziente) produttivo hollywoodiano con Blues di mezzanotte, con la produttore: Stanley Krames Paramount. Qui si passa alla United Artists e, soprattutto, produzione: alla produzione di Stanley Kramer, che scelse il regista Larcas Productions, adatto per un soggetto “scomodo”, opera di Abby Mann, United Artists autore televisivo (sua l’idea per il celebre Kojak di Telly distribuzione: United Artists Savalas) e sceneggiatore anche per il cinema (a lui si durata: 102’ deve, ad esempio, lo script di Vincitori e vinti diretto dallo stesso Kramer). Il quadro è chiaro, dunque: Kramer cerca lo sguardo aspro del giovane Cassavetes e lo avvolge con una sceneggiatura di fiducia, in un periodo di
transizione, gli anni Sessanta, che si chiu- pietismo e sussiegosa condiscendenza. deranno con la più grande crisi della storia Come si spiega, allora, la sostanziale di Hollywood e, insieme, la grandiosa (ri) ricusazione del montaggio finale da parte nascita della New Generation. di Cassavetes, non soddisfatto del risultato e della longa manus di Stanley Kramer? Girato in un reale istituto californiano, il Proprio perché due grandi uomini di film immerge due star assolute come Burt cinema (Kramer lo è stato, senza dubbio Lancaster e Judy Garland in un contesto alcuno, basta scorrere la sua longeva realistico, tra bimbi disabili fisici o mentali, carriera) con approcci così differenti non e personifica su di esse diversi metodi potevano che arrivare al conflitto. Il film, d’approccio: l’insegnante di musica a tratti, è didascalico e troppo costruito, Hansen/Garland, madre mancata che la progressione nella parte centrale perde s’affeziona al piccolo Reuben, e il dottor forza, per larghi tratti Garland sembra Clark/Lancaster, pragmatico e impegnato davvero calata sul set senza troppa nel conciliare il suo approccio medico/ consapevolezza, con primi piani dedicati educativo con la pletora di soggetti che si che rappresentano un vero e proprio film muovono intorno ai bambini, tra genitori nel film. Ma, da questo conflitto, l’opera inadeguati, insegnanti e pazienti coetanei. ne guadagna. C’è Cassavetes, nelle pagine Clark è un paladino dell’autodetermina- di scabro realismo all’interno delle aule, zione, della dignità della vita, impegnato nella scelta del cast di contorno (fin in una quotidiana battaglia contro la troppo semplice citare Gena Rowlands, sbrigativa e fuorviante definizione di che interpreta la madre di Reuben), nella “normalità”. Quella stessa normalità che teatralità di alcuni passaggi, nella mobilità porta a rigettare (in una mirabile sequenza della macchina da presa. C’è anche dove Reuben, scappato dall’istituto, Kramer, però, nella rappresentazione gioca a football con dei ragazzi in un plastica del cinema a venire: due star parco pubblico) chi non riesce ad essere calate nel contemporaneo, Lancaster già competitivo, feroce con l’avversario, abituato, Garland che perde man mano la impegnato nell’individualistica battaglia sua aura, i fari dedicati, per rimboccarsi le del primeggiare che è la vera base maniche ed arrivare lì dove il suo partner fondante della società statunitense, che era già dall’inizio, fuori da una macchina, non riesce a trovar posto a chi si estranea per convincere qualcuno a uscirne. In da questa lotta, per indole, carattere o, è un passaggio, si dice di Hansen/Garland: bene non negarlo, mancanza di capacità “In passato ha cantato in un cabaret, a di restare al passo. Brooklyn”. Quello che farà sua figlia Liza Minnelli, a dieci anni di distanza, tra Fosse Cassavetes imbastisce sequenze da e Scorsese. Fato cinematografico, inelut- ricordare, su tutte la rappresentazione tabile e ineludibile. teatrale finale (ecco un tòpos d’autore ben presente, e in bella evidenza in Donato D’Elia una scena chiave) del primo Giorno del Ringraziamento, con il candore solidale dei piccoli, la loro sghemba cantilena mentre, tutti insieme, coloni e nativi, dividono l’improvvisato pasto. È l’acme emotivo di un percorso che il film espone senza fretta, ribadendo più volte i concetti, specie con i vigorosi monologhi di Lancaster a punteggiare il racconto: lo sguardo sul “diverso”, a quel punto, è talmente prossimo e complice da annullare ogni distanza e resistenza, ogni
Quarto film di Cassavetes, Volti è concepito come un Volti (Faces) ritorno alla concezione di Ombre, ma in un contesto USA, 1968 regia: John Cassavetes upper class, tra cinismo e incomunicabilità. sceneggiatura: John Cassavetes Richard e Maria sono una coppia ormai finita. Lui le dice fotografia: Al Ruban, che vuole divorziare e passa la serata con uomini d’affari Maurice McEndree musica: John Akerman e prostitute. Lei invece si vede con le amiche in un bar e montaggio: Maurice conosce un playboy. McEndree, Al Ruban interpreti: John Marley «Cassavetes non rappresenta la mia migliore esperienza (Richard Frost), Gena Rowlands (Jeannie con un attore, se devo essere onesto. Il suo film, Volti, è Rapp), Lynn Carlin (Maria uscito nello stesso anno di Rosemary’s Baby. A lui piaceva Frost), Fred Draper improvvisare, a me no. Non si sentiva a suo agio nel ruolo. (Freddie), Seymour […] È stato un supplizio. Non voleva nemmeno che le sarte Cassel (Chet), Val Avery (Jim McCarthy), Dorothy lo vestissero: preferiva restare con le sneaker ai piedi. Gli Gulliver (Florence), toglievi le sneaker e cominciavano i problemi di recitazio- Joanne Moore Jordan ne». La collaborazione tra Polanski e Cassavetes è passata (Louise Draper), Darlene alla storia come una delle più travagliate per un regista Conley (Billy Mae), Gene Darfler (Joe Jackson) che vuole il controllo assoluto, bocciando ogni proposta produttore: Maurice dell’attore. Una testimonianza che in negativo segna la McEndree filosofia del cineasta di origine greca, il suo “anti-cinema”, il produzione: Maurice suo rifiuto del cinema classico di regia. Con Volti (Faces) si McEndree Production distribuzione: torna a un’operazione come quella di Ombre, costruito con Walter Reade Inc., l’improvvisazione degli attori partendo da un esile canovaccio Faces International Films che, come quello del primo film, riguarda un momento durata: 220’ (prima post-coitale: cosa succede dopo la passione erotica di due versione), 129’ (seconda versione) personaggi e cosa li ha portati a finire a letto. E in questo caso c’è la scoperta dell’amante da parte del marito, che lo mette in fuga e si vede così avvantaggiato nei progetti di divorzio. L’America degli anni ‘60 di Cassavetes non è più quella del volti fermento artistico newyorkese di dieci anni prima, è l’America
di una upper class ipocrita e patriarcale, dell’elezione di Nixon o del terremoto in dominata dall’incomunicabilità, una Perù, esibirsi in canzoncine in un generale società decadente – come sottolineato clima di noia e di incomunicabilità. Una da uno dei titoli pensati per il film, The drammaturgia dove distillare i momenti di Dynosaurs – posto che questo è il nostro tensione. giudizio. Cassavetes non giudica mai i suoi personaggi, con i quali empatizza: Girato in 16mm, in bianco e nero sporco, esprimono aspetti della sua personalità, con piani sequenza anche molto lunghi, come di quelle degli attori, buona parte Volti dimostra l’insofferenza dell’autore non professionisti o alle prime armi, presi per la fotografia, per la composizione dall’entourage del regista che lavorava dell’immagine che veda i corpi degli attori come in un home-movie tra amici. Al in posizioni prestabilite. La mdp deve set partecipò anche un giovane Steven seguire gli attori, liberi, e non viceversa. Spielberg come assistente che porta caffè Cassavetes usava due operatori, uno per le e sigarette ai membri della ristrettissima scene principali e il secondo per i dettagli crew. L’America di Volti è quella che vive o altro. Magistrale in tal senso la staffetta un uomo di mezza età, ormai trasferitosi a tra l’occhio che segue Richard mentre Hollywood dove lavora nello star system, torna a casa ed entra in camera da letto come pure la moglie Gena Rowlands. e il punto di vista, sul tetto, che coglie la E Volti comincia proprio con il cinema, fuga dell’amante seminudo fin nel suo con il protagonista che in una saletta allontanarsi in campo lungo. E in questo di proiezione mostra il film a persone realismo Cassavetes riesce a concepire della produzione che ragionano solo in situazioni oniriche o realtà alternative, termini di incassi. Un incipit che mostra nella scena in cui il montaggio alterna un la sfiducia di Cassavetes per il sistema e Richard che gioca da solo a biliardo e un sancisce il suo immedesimarsi in Richard, Richard a letto con la moglie. Sappiamo, dandogli l’incarico di regista. Segue il dal contesto del film, che la seconda non fascio primario della proiezione e i titoli di può essere vera. testa di Volti. Il cinema torna nelle tante citazioni, tutte nel senso di una presa di Ancora una volta il cinema di Cassavetes distanza di un cinema altro. Da La dolce è instabile, liquido, sformato. E il film passa vita, menzionato nella saletta, a Bergman attraverso vari montaggi, per approdare da che Richard evita per non deprimersi, al una versione di tre ore a quella definitiva ritratto di Edgar G. Robinson in una delle di 130’. Ma Cassavetes ne aveva anche pareti riccamente decorate. concepita una da otto ore. I tempi forse erano prematuri per operazioni alla In una fase della scrittura, Cassavetes Lav Diaz, ma lo spontaneismo estremo aveva concepito Volti per il teatro. E dell’autore indipendente americano non è questo retaggio è palese nella struttura così lontano dalla concezione di abbrac- da Kammerspiel, dove la musica è solo ciare il tempo propria dell’autore filippino. diegetica, in un’atmosfera chiusa in due interni e in locali da ballo, con la divisione Giampiero Raganelli in due atti, il primo a predominanza maschile, con la donna come ricettacolo sessuale, il secondo in ruoli opposti. Una drammaturgia piatta alla Čechov. Se l’autore russo rappresentava gente tutta intenta a «mangiare, bere, amare, camminare, a portare la propria giacca», i personaggi di Cassavetes, i dinosauri, passano il tempo a fumare, bere, raccon- tare barzellette o filastrocche, a disquisire
mariti Privo di ogni freno inibitorio e pervicacemente incen- Mariti (Husbands) trato su una totale perdita di controllo, Mariti di John USA, 1970 regia: John Cassavetes Cassavetes resta uno dei più alti saggi di recitazione e sceneggiatura: John improvvisazione cinematografica, impossibile da imitare. Cassavetes fotografia: Victor Archie, Gus e Harry vanno al funerale del loro amico Kemper montaggio: Tom Stuart. Dopodiché sentono il bisogno di ubriacarsi. Da lì Cornwall, Jack Woods, in poi, per qualche giorno, i tre amici perdono totalmente Peter Tanner il controllo sulle loro vite fino a ritrovarsi a Londra. Poi interpreti: Ben Gazzara però arriva il momento di tornare dalle loro donne e dai (Harry), Peter Falk (Archie Black), John loro figli. Cassavetes (Gus Demetri), Jenny Runacre Un film come Mariti di John Cassavetes mantiene intatta a (Mary Tynan), Jenny distanza di tanti anni – venne girato nel 1969 e distribuito Lee Wright (Pearl Billingham), Noelle nel ’70 – la brutale potenza del buddy movie definitivo, Kao (Julie), John Kuller insuperabile, segnalandosi al contempo come uno dei più (Red), Meta Shaw alti saggi sulla recitazione (e sulla improvvisazione) cinema- (Annie), Leòla Harlow tografica che siano mai stati realizzati. (Leòla), Delores Delmar (la contessa) Certo, praticamente di ogni film di Cassavetes si potrebbe produttore: Al Ruban dire che è, al di là di ciò che racconta, un film sulla recita- produzione: Faces Music zione; basti pensare a La sera della prima, dove la questione distribuzione: viene tematizzata ed esplicitata. Eppure qui, in Mariti, si Columbia Pictures durata: 154’ (prima raggiungono delle vette impressionanti, forse perché il tutto versione), 142’ (versione è accompagnato dalla totale perdita di controllo di tutti e tre definitiva) i protagonisti in scena: lo stesso Cassavetes (Gus), Peter Falk (Archie) e Harry (Ben Gazzara); e l’uno trasporta l’altro – e viceversa, scambiandosi di tanto in tanto i ruoli di diavoli tentatori – verso il trascinamento all’uscita-da-sé e dalla maschera che rappresentano sia diegeticamente nel film, sia al di fuori di esso, come attori. E tutto è basato sull’estenuata ripetizione, sulla disperata
coazione a ripetere, a partire dalla indimenticabili primi piani che arrivano canzone che una anziana signora canta improvvisamente a spezzare il cuore in un bar all’inizio e viene costretta a (il volto sotto la pioggia della giovane ripeterla allo sfinimento ora da Gus, ora da cinese, di cui a un tratto sembra inna- Harry, ora da Archie, che arriva perfino a morarsi Archie), fino ad arrivare a certi spogliarsi pur di far capire alla donna che strabilianti piani-sequenza. Strabilianti non può e non deve cantare in maniera anche perché “nascosti”, celati dalla manierata, ma con sentimento, lasciando fisicità degli attori in scena che chiamano trasparire dell’umanità, del dolore, della al movimento della macchina da presa, verità. Ecco: il raggiungimento della che guidano letteralmente la macchina e verità performativa ottenuto tramite la non viceversa, e che testimoniano – con sofferenza e l’esaurimento delle forze perfetta coerenza – come il cinema mentali e fisiche, tramite la perdita totale di Cassavetes sia forse il cinema più del sé, fino a diventare qualcun altro, umanista di sempre, perché mette sempre oppure fino a diventare veramente se l’uomo prima della macchina. Ebbene, stessi. Su questo si gioca Mariti, e su dei tanti piani-sequenza di Mariti ce n’è questo volontario gioco al massacro di tre forse uno che appare il più illuminante, attori/personaggi/uomini sadomasochisti- quello nella piccola stanza d’albergo dove ci che fanno esplodere qualsiasi situazione si muovono i tre protagonisti insieme alle in cui si gettano a capofitto, senza paraca- tre donne che hanno acconsentito ad dute, senza freni inibitori. accompagnarli; qui la mdp è bassa, quasi In quei pochi giorni in cui i tre si ritrovano ad altezza letto, e i sei governano con i a elaborare il lutto della morte di un loro spostamenti un continuo e ipnotico quarto di loro, Archie, Gus e Harry scom- recadrage, sbalordendo a ogni momento pigliano l’esistente, si abbandonano a un per il gioco di armonie e disarmonie delle carnascialesco rovesciamento del mondo parti dell’inquadratura – tra chi è sdraiato e delle rispettive identità, ben sapendo e chi è in piedi, tra chi si alza e chi si però che alla fine dovranno – forse – siede – che conquistano di volta in volta tornare a casa dalle loro famiglie. E in la nostra attenzione. questi giorni si amano e si odiano senza speranza, come amano e odiano visce- Tra tutti i “cinemi” scomparsi nel corso ralmente la vita, come litigano e si riappa- dei decenni e dei lustri, forse quello che cificano senza motivi apparenti, come si di tanto in tanto si ha la tentazione di divertono e si annoiano e come ogni volta rimpiangere più di tutti è proprio il cinema rinascono e si suicidano, allo stesso modo di Cassavetes, perché servirebbe – e, di quel che combinano nei bagni del bar nel rivedere i suoi film, ce ne rendiamo di cui sopra in cui ruttano, scorreggiano, disperatamente conto – a ricordarci che vomitano, urlano e si abbracciano senza abbiamo ancora tanto bisogno di sentirci soluzione di continuità, attraverso un umani, con le nostre debolezze, le nostre ostinato ribaltamento e slittamento di schizofrenie, i nostri attacchi di violenza toni, dal demenziale alla cupa tragedia, dal e di irrazionalità, le nostre inesauribili grottesco al leggero, fino al melodramma ambiguità. e al comico più istintivo. E che la verità sia sempre il frutto di Alessandro Aniballi una faticosissima ricostruzione Mariti lo mostra in ogni suo momento, in ogni suo delirio e in ogni sua scelta stilistica, a partire dai calibratissimi e disordinati fuori fuoco sui dettagli dei volti, passando per quella meravigliosa camminata sfocata in teleobiettivo dei tre per le strade di New York, o passando ancora per degli
Ennesimo esempio di “filmare la vita” nel cinema di Minnie and Moskowitz John Cassavetes, Minnie e Moskowitz si distingue per USA, 1971 regia: John Cassavetes la sua capacità di muoversi con la consueta libertà nel sceneggiatura: John recinto – da molti considerato troppo stretto – della Cassavetes commedia sentimentale. fotografia: Arthur J. Ornitz, Alric Edens, Michael Marguiles Seymour Moskowitz è un posteggiatore di automobili musica: Bob Harwood che si è trasferito a Los Angeles da New York. Nella città montaggio: Fred californiana incontra Minnie Moore, impiegata in un Knudtson museo: nonostante le notevoli diversità, e i non pochi interpreti: Gena Rowlands (Minnie motivi di attrito, i due finiscono per innamorarsi. Moore), Seymour Cassel (Seymour Moskowitz), La prima inquadratura di Minnie e Moskowitz, subito dopo Elizabeth Deering (la il logo di Universal (che distribuì il film, prodotto invece in ragazza), Elsie Ames (Florence), Lady modo indipendente dal fedele Al Ruban) è una soggettiva Rowlands (Georgia all’interno di un’automobile che risale il percorso da un Moore), Holly Near parcheggio sotterraneo verso la luce del sole. La guida (l’irlandese), John Seymour Moskowitz, ma ovviamente non gli appartiene: Cassavetes (Jim), Judith Roberts (la moglie di eccolo infatti diventare parte integrante della scena mentre Jim), Jack Danskin (Dick saltella fuori dall’abitacolo, aggiusta il parabrezza e restitu- Henderson), Eleanor Zee isce la vettura ai suoi legittimi proprietari, una coppia della (Mrs. Grass) buona borghesia newyorchese. Anche l’automobile che produttore: Al Ruban produzione: Universal corre ad accendere, una bella decappottabile, non è sua. distribuzione: Universal Seymour Moskowitz è un posteggiatore, non un possessore. Pictures La sua classe sociale non gli consente la proprietà, prero- durata: 114’ gativa di chi detiene il potere. I primi venti minuti di Minnie e Moskowitz, prima che l’uomo decida di prendere armi e bagagli e trasferirsi sulla west coast, a Los Angeles, sono un’unica lunga corsa a perdifiato dietro e con Moskowitz. Cassavetes lo segue al cinema, dove fuma una sigaretta mentre guarda estasiato Il mistero del falco di John Huston, quindi minnie e moskowitz
in un diner dove viene abbordato da un Senza fuoriuscire un momento dalla mitomane ciarliero che lo assilla con la poetica, e dalla politica autoriale che lo moglie morta e il suo lavoro sui grattacieli contraddistingue, Cassavetes prende cittadini da dove può sputare addosso spunto dalla propria vita quotidiana, alla gente senza che nessuno abbia da pone di fronte alla macchina da presa i ridire, e infine in un pub dove cerca di suoi amici, sua moglie, perfino madre e corteggiare una donna irlandese ma viene cognata (nei rispettivi ruoli, ça va sans cacciato in malo modo e picchiato nella dire, delle genitrici di Seymour e Minnie); notte. Moskowitz, fin dalle primissime la casa della donna è quella in cui Gena inquadrature, è irrequieto, irrefrenabile. Rowlands vive con Cassavetes, per di più. Non che il mondo sia meno stressato, Questo sovrapporre vita e cinema non è come testimonia la madre seduta accanto un artificio intellettuale, ma l’unico modo a lui in aereo che forza nervosamente efficace per sovrascrivere i dogmi dell’in- la figlioletta a mangiare. In California la dustria, in un percorso di decentramento vita scorre uguale a com’era dall’altra dello sguardo che è sempre percepibile. parte dell’America, tra un film di Bogart La macchina da presa è indomita almeno e l’altro, se non fosse che qui a recarsi quanto i suoi personaggi, si agita attorno in sala è Minnie Moore, impiegata in un a loro, zooma, si getta nell’agone quasi museo e invischiata in una storia con un fosse lei stessa a dover sferrare un pugno uomo sposato – che la picchia quando o incassarlo. Sempre muovendosi fuori la vede tornare a casa ubriaca, dopo che dal canone – senza però denigrarlo, ha passato la serata post-cinema con come dimostrano i continui riferimenti una sua amica. Forse per intercessione all’età dell’oro di Hollywood –, Minnie e divin-cinefila di Bogey, il primo incontro Moskowitz crea uno stilema espressivo tra Minnie e Seymour avviene con tanto e narrativo che diventerà di prammatica di scazzottata che impegna l’uomo con negli anni a venire, anticipando di un un buzzurro – come tutti logorroico e lustro le nevrosi di coppia di Woody Allen, incapace di tenere a freno la lingua – con qui però proposte in una chiave proletaria cui Minnie era andata a pranzo. che l’altro grande cineasta newyorchese non approfondirà mai particolarmente. Ma Cassavetes compie una scelta a dir poco è tutta la commedia drammatica senti- dirompente per una commedia sentimen- mentale dei decenni successivi a vedere tale, facendo scontrare i due protagonisti in Cassavetes un punto di riferimento, a solo dopo una cinquantina di minuti, quasi partire da Tootsie di Sydney Pollack fino che il loro innamoramento non fosse in ad arrivare a Stregata dalla luna di Norman realtà il centro nevralgico del film, ma solo Jewison e Harry ti presento Sally di Rob uno dei tanti possibili incidenti di percorso Reiner. della vita. Da lì in poi, dopo l’ardimentosa fuga sul camioncino di Moskowitz, il film Raffaele Meale si svilupperà invece solo su loro due come (im)possibile coppia; questa bizzarra struttura tripartita – dapprima l’introduzio- ne di Moskowitz, quindi quella di Minnie, e solo nel “terzo tempo” la dialettica tra i due – non fa che accentuare l’impressio- ne di un film in grado di svilupparsi come la vita stessa, quasi che la drammaturgia non esistesse se non nella rappresenta- zione naturale, quasi osmotica, del vero, qualsiasi sia il valore effettivo attribuibile a un simile aggettivo.
una moglie Chiusura dell’ideale tetralogia di Cassavetes sulla solitu- Una moglie dine nella coppia e miracolosa performance di una Gena (A Woman Under the Influence) Rowlands alienata e sospesa sul baratro fra frustrazio- USA, 1974 ne e follia, Una moglie rappresenta forse il punto più regia: John Cassavetes alto nell’evoluzione del “saggio collettivo di recitazione sceneggiatura: John e di regia”. Cassavetes fotografia: Mitch Breit, Al Ruban Mabel adora il marito Nick, operaio edile. Ma il troppo musica: Bo Harwood lavoro di Nick lo riporta spesso a casa stanco e intratta- montaggio: David bile, mentre la solitudine patita da Mabel la avvicina alla Armstrong, Sheila Viseltear, Beth Bergeron bottiglia. Gli strani comportamenti che lei inizia a mostrare interpreti: Gena preoccupano il marito che, convinto che sia diventata una Rowlands (Mabel minaccia per se stessa e per gli altri, la fa ricoverare. Longhetti), Peter Falk (Nick Longhetti), Fred Draper (George È tutto sommato semplice, oggi che Una moglie è da quasi Mortensen), Lady mezzo secolo l’opera settima universalmente considerata Rowlands (Martha fra le vette del cinema di John Cassavetes, soffermarsi Mortensen), Katherine sull’estremo realismo more-than-life dei personaggi e della Cassavetes (Mamma Longhetti), Matthew messa in scena, ragionare sulla straordinarietà emotiva delle Laborteaux (Angelo performance ottenute con il metodo “collettivo” di lavoro, Longhetti), Matthew oppure notare come qualche leggero errore di fuoco e il Cassel (Tony Longhetti), microfono che una volta entra in campo anziché infastidire Christina Grisanti (Maria Longhetti), O.G. Dunn contribuiscano ad aggiungere veridicità diretta e istantanea (Garson Cross), Mario alla narrazione. È tutto sommato semplice, oggi, analizzare Gallo (Haroki Jensen) la profondità di ogni sfumatura d’umore e le dinamiche produttore: Sam Shaw delle interazioni familiari, matrimoniali, sessuali e sociali produzione: Faces International Films che Cassavetes distrugge e costantemente ricostruisce nel distribuzione: Faces progressivo sgretolarsi di un mondo, oppure tentare di studiare International Films (e sin troppo replicare) il continuo sovrapporsi di linguaggi durata: 155’ fra la finzione e il documentario, fra la realtà e l’astrazione dissociata, fra la struttura e l’improvvisazione controllata, fra il
grido e il silenzio, fra l’intimità stratificata tuale negli impegni di lui e nel bisogno dell’essere e la pressione sociale del dover di attenzioni di lei, capace di bere e di apparire. Nettamente meno semplice fu, tradire, di sentirsi in colpa e di essere per qualche tempo dopo la realizzazione, tanto solare e disponibile da diventare riuscire a vedere il film. Ma non per la inopportuna con i colleghi di lui, di far sua totale indipendenza produttiva: le alzare la voce e di ritrovarsi in strada come vere difficoltà (ma anche la vera gloria) una matta senza orologio. Di coinvolgere di Una moglie iniziarono dopo, quando i figli in giochi potenzialmente pericolosi, il film (realizzato con 500mila dollari di tentare di esorcizzare il medico che personali di Peter Falk e l’ipoteca su la vuole curare, di prendere due schiaffi casa Cassavetes-Rowlands) era già stato di disperazione da Nick come unici reali autoprodotto e terminato, con i ripetuti snodi di trama nel far precipitare e poi rifiuti di ogni distribuzione a farlo circui- rientrare la situazione, e infine di sentirsi tare. A Cassavetes non restò che mettersi di nuovo messa all’angolo, anche dopo i a telefonare agli esercenti accordandosi sei mesi di ricovero ed elettroshock, dalla per ogni singola sala, portando per la necessità di mostrarsi “guarita” e “normale” prima volta un film indipendente in tour quando forse, al di là dell’esplodere senza l’aiuto di distributori. Solo qualche dei nervi, di “anormale” non c’era mai mese dopo, anche grazie all’appassionato stato nulla. Senza reali colpe, ma a volte endorsement televisivo al Mike Douglas immatura e incapace (come del resto si Show dell’attore Richard Dreyfuss che il dimostrerà anche Nick) di calcolare le film lo aveva visto e amato da semplice conseguenze delle proprie azioni perché spettatore, la storia di Una moglie sarebbe mossa da troppo amore. Fino alla sostan- radicalmente cambiata fino alla notorietà, ziale resurrezione, per molti versi dreye- alla doppia candidatura all’Oscar per riana, di chi ritrova all’improvviso se stessa, attrice e regia, alla storia del cinema. la serenità, la famiglia, il corpo, la parola (o forse la Parola, ancora una volta quella Nasce dal naturale imbarazzo di Peter di Ordet). Con i figli da mettere amorevol- Falk, Una moglie. Nasce dai silenzi, mente a letto, prima di rassettare la casa dalle atmosfere pesanti, dal nervosismo e tornare alla felicità (?) coniugale. Realtà crescente, dall’insostenibilità del tempo o finzione? Di sicuro umanità, emozione, morto. E ovviamente nasce da Gena un miracoloso squarcio di esistenza fra i Rowlands. Da quella moglie, appunto, più preziosi e profondi mai pensati, filmati, collaboratrice e attrice feticcio, sulla scritti, improvvisati, recitati, resi verità. quale e con la quale costruire ogni gesto Messi in scena e/o vissuti, che poi è per e ogni sguardo della folleggiante quanto molti versi la stessa cosa. amorevole Mabel, sulla quale e con la quale plasmare ogni emozione, ogni Marco Romagna silenzio, ogni cambio di registro, ogni dissociazione bipolare e (forse) pazzia. «She’s not crazy, she’s unusual», dirà del suo personaggio alienato e costantemen- te sospeso sul baratro il marito Nick (Peter Falk), forse sottovalutando gli effetti della sua frustrazione e della sua solitudine, forse minimizzando le sue sempre più palesi stranezze, o forse con la ragione di chi è l’unico in grado di capirla con uno sguardo. Il loro rapporto è fatto di un’intesa apparentemente assoluta, tenero e poi sempre più (o meno) problematico con i figli, eppure silenziosamente conflit-
Gangster movie sui generis, L’assassinio di un allibratore cinese L’assassinio di un è una performance visiva disarticolata, nella quale Cassavetes allibratore cinese (The Killing of a Chinese cerca la verità di una prova attoriale, quella di Gazzara, che Bookie) priva lo spettatore di ogni appiglio logico, di ogni giudizio USA, 1976-1978 morale sul suo personaggio. regia: John Cassavetes sceneggiatura: John Cassavetes Proprietario di uno strip club, Cosmo Vittelli deve affrontare un fotografia: Mitch Breit, gruppo di gangster per via della sua dipendenza dal gioco Fred Elmes, Mike Ferris, d’azzardo. Al Ruban musica: Bo Harwood montaggio: Tom “Con i personaggi di John Cassavetes l’emozione è sempre Cornwell in prima linea, è al tempo stesso la loro croce e la loro interpreti: Ben Gazzara salvezza”. È così che Martin Scorsese presenta il regista (Cosmo Vittelli), greco-americano, ma nato come lui a New York, in Timothy Carey (Flo), Seymour Cassel A Personal Journey with Martin Scorsese Through American (Mort Weil), Robert Movies (1995-1998). L’emozione prima di tutto, dunque, ma Phillips (Phil), Morgan anche il lavoro dell’attore e dell’autore per raggiungerla, Woodward (John), Al sono al centro del cinema di Cassavetes, sempre intento Ruban (Marty Reitz), Azizi Johari (Rachel), a scrutare volti e corpi dei suoi interpreti in cerca di quel Virginia Carrington momento di estasi recitativa in cui si compie l’adesione al (Betty), Meade Roberts personaggio, fino alla perdità di sé. Ed è proprio questo il (Mr. Sophistication), percorso intrapreso dal Cosmo Vittelli di L’assassinio di un Alice Fredlund (Sherry) produttore: Al Ruban allibratore cinese (The Killing of a Chinese Bookie, 1976), produzione: Faces un gangster movie sui generis che è anche una acuta Distributing Corporation riflessione sulla messinscena e sul sacrificio che richiede. distribuzione: Faces Distributing Corporation durata: 135’ (prima Del film, nato proprio da una conversazione tra versione), 108’ (seconda Cassavetes e Scorsese, esistono tre differenti versioni. versione) Quella lunga, (135’), presentata al Palazzo delle Esposizioni e oggetto di questo scritto, uscì in sala nel 1976, ma fu subito ritirata per scarso gradimento di l’assassinio di un allibratore cinese
pubblico e critica. Nel 1978, Cassavetes da uno dei malavitosi che, parafrasando firmò un nuovo montaggio, più breve Marx, denuncia quale sia il vero oppio (108’), con un incipit differente, l’editing dei popoli: i soldi. Cosmo è diverso, non diverso di alcune scene e qualche lavora per arricchirsi, lui ogni singolo aggiunta, come il fatto che Cosmo (Ben dollaro lo reinveste nel suo locale, a Gazzara) fosse un reduce della guerra beneficio del suo gruppo di lavoro e dei di Corea. Infine, c’è la versione italiana, suoi spettatori. Risiede proprio in questo ulteriormente scorciata (85’) dalla distri- la forza del personaggio e il senso ultimo buzione nostrana e con un doppiaggio del suo martirio, nella totale dedizione, che aggiunge, tramite voice off posticce, anzi, devozione al proprio lavoro di pruriginosi dettagli su sesso e droga. metteur en scène. E in questo non è difficile riconoscere come Cassavetes miri Può sembrare paradossale per un regista a disvelare anche un discorso autobiogra- che ha fatto della libertà la sua personale fico. In tal senso, L’assassinio di un allibra- “croce”, ma come sottolinea La Polla in tore cinese propone una lettura multistra- Sogno e realtà americana nel cinema to: a un livello diegetico Cosmo Vittelli di Hollywood è proprio in L’assassinio è un imprenditore e regista il cui unico di un allibratore cinese, dove l’autore si scopo è la buona riuscita del suo lavoro e confronta con un genere codificato come di quello del suo staff, stessa pratica in cui, il gangster movie, che emerge al meglio a livello extradiegetico, ha sempre eccelso la sua poetica umanista, il suo studio sul Cassavetes. Pertanto la scena in cui i personaggio/persona e sulla recitazione. malavitosi ordinano a Cosmo di uccidere Sanamente affetto da una sintassi l’allibratore, con dovizia di indicazioni sincopata, che nega ogni climax dram- (attoriali) atte a guidare la messinscena del matico o di azione vera e propria (si veda crimine, assume anch’essa un significato la sparatoria nel garage verso l’epilogo), metaforico. Al “ruolo” che Cosmo si è L’assassinio di un allibratore cinese è un scelto se ne va a sovrapporre un altro, film pieno di “sgrammaticature”, tra le indesiderato, governato dal capitalismo quali si annoverano l’assenza di contro- “oppiaceo” dei gangster, che incarnano, campi (il dialogo iniziale con lo strozzino come lo stesso Cassavetes dichiarò, al bar), improvvise ellissi, abbacinanti proprio quei produttori hollywoodiani dai controluce e lensflare, long shot in interni quali, dopo le infelici esperienze di Blues ed esterni, spesso in teleobiettivo, dove il di mezzanotte e Gli esclusi, è caparbia- fuoco si perde nella perpetua ricerca del mente fuggito. personaggio, del suo volto, delle sue mani. E allora, il monologo finale di Cosmo/ Perché quello che conta è la verità della Gazzara diventa un monito per attori e prova attoriale di Gazzara. autori di ieri e di oggi: essere a proprio agio in un ruolo, questo è tutto. È da Eppure, in questa regia disarticolata, e a questa fondamentale onestà che nasce differenza di altre sue opere, Cassavetes l’emozione nei film di Cassavetes, il cui fa emergere qui almeno due temi lascito risiede in una libertà creativa che portanti, che rendono il film più coeso lascia arrivare dritto in faccia allo spettato- narrativamente e meno squisitamente re l’amore per il proprio lavoro. performativo: ovvero il discorso sul denaro e quello dedicato proprio alla Daria Pomponio performance. Il primo serpeggia fin dal principio, in quella rovinosa serata alla bisca, quando si scopre cosa distingue Cosmo dai gangster: la sua disinvoltura verso il denaro, corroborata dall’afferma- zione che si tratti solo di “pezzi di carta”. Questa argomentazione è poi amplificata
Puoi anche leggere