Volti - john cassavetes il cinema di - Centro Sperimentale di Cinematografia

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Volti - john cassavetes il cinema di - Centro Sperimentale di Cinematografia
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        john
  cassavetes
Volti - john cassavetes il cinema di - Centro Sperimentale di Cinematografia
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il cinema di
john
cassavetes
Palazzo delle Esposizioni - Sala Cinema - Roma
13 febbraio > 14 marzo 2020
Volti - john cassavetes il cinema di - Centro Sperimentale di Cinematografia
the last show of
           an opening night
Sono trascorsi oltre trent’anni dalla morte     fecero sentire con maggiore forza – e che
di John Cassavetes, ma la distanza che          si fece cacciare dal Champlain College
separa il pubblico di oggi dal suo cinema       per una serie di voti del tutto insufficienti.
appare quasi siderale: la cirrosi epatica       Un avvenimento che non lo turbò in
che se lo portò via a neanche sessant’anni      maniera particolare, visto che approfittò
arrivò prima del crollo del Muro di Berlino,    della “vacanza” obbligata per girovagare
prima della caduta della fine della Guerra      in Florida sfruttando l’autostop. No, il
Fredda, prima delle proteste in piazza          modello di vita che l’America borghese
Tienanmen, prima della vittoria definitiva      agognava dopo il termine del conflitto
del “modello occidentale”, a sua volta figlio   mondiale non si addiceva al giovane
un po’ bastardo di quell’utopia borghese        Cassavetes, semmai più prossimo a
che era stata definita american way of life.    sposare l’irrequieto moto continuo della
Uno stile di vita che Cassavetes, figlio di     generazione “beat”, tra serate alcoliche
un immigrato greco e di una ellenico-a-         a ritmo di bebop e poesie improvvisate,
mericana, non sposò mai, lui che imparò         scaturite direttamente dagli abissi dell’e-
l’inglese solo a sette anni – pur essendo       mozione personale.
nato a New York, per garantirgli la citta-
dinanza attraverso lo ius soli, trascorse i     Per quanto sia scorretto, e del tutto
primi anni in Grecia, per tornare negli Stati   improvvido, parlare di Cassavetes come
Uniti quando i venti di guerra in Europa si     di un regista che si è mosso in direzione
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della poetica di Kerouac, Ginsberg,              (come pretende l’indie contemporaneo),
Corso e via discorrendo, non c’è dubbio          ma al contrario nella volontà di rigettare
che la sua esperienza sia così laterale,         i dogmi hollywoodiani, a partire dalla
orgogliosamente fuori dagli schemi               struttura narrativa per arrivare alla messa
preordinati dell’industria, da risultare a sua   in discussione addirittura dell’estetica e
volta battuta e beatificata. Un’esperienza       della sua apparente perfezione. Uscire dal
trentennale (l’esordio alla regia, Ombre,        cono d’ombra dell’immagine, tesa com’è
è del 1959, mentre l’ultimo film diretto,        a un naturale gigantismo, per riscoprire
Il grande imbroglio, è del 1986) che non         la fragilità dell’umano, la sua intrinseca
ha mai avuto tentennamenti, non ha mai           imperfezione, la sua quotidianità.
mostrato neanche il minimo cenno di
cedimento nei confronti dell’immaginario         Che senso hanno oggi termini come
egemone. Indipendente è diventato un             famigliare, scarno, improvvisazione? In
termine abusato, almeno a partire dagli          un’epoca in cui la mistificazione è a sua
anni Novanta del secolo scorso, quando           volta un momento del vero, come già
l’indie a stelle e strisce travalicò il valore   preconizzava inascoltato Guy Debord, il
                                                                        cinema si allontana
                                                                        ancora più dal reale
                                                                        ogni qual volta pretende
                                                                        di scontrarvisi con
                                                                        maggiore forza. Si fa a
                                                                        gara a restituire verità
                                                                        nel cinema d’autore,
                                                                        anche in quello statu-
                                                                        nitense, ma per farlo
                                                                        si ricorre sempre e
                                                                        comunque all’artificio,
                                                                        alla ricostruzione
                                                                        del vero. Il cinema di
                                                                        John Cassavetes è
                                                                        lì a ricordarci che la
                                                                        verità in scena non
                                                                        può essere frutto di
                                                                        una ricostruzione.
strettamente politico – oltre che poetico        Filmare non è per il regista statunitense un
– del termine per divenire la seconda voce       atto di riscrittura, ma serve a immortalare
dell’industria, quella più avvezza al canone     un momento, un istante. Nel cinema di
del “bizzarro”; è per questo che rischia         Cassavetes si possono contare i respiri
di essere fraintesa la portata innovativa,       degli interpreti, ci si può appoggiare
rivoluzionaria, a suo modo inimitabile, del      ai muri degli appartamenti perché quei
cinema di Cassavetes. Proprio in un’epoca        muri e quegli appartamenti sono veri, non
come quella attuale ha dunque ancora             ricostruiti in studio. Veri e dunque vissuti,
più valore riscoprire questa filmografia         e spesso vissuti dallo stesso Cassavetes e
composta di appena dodici movimenti,             dalla sua consorte/musa, la straordinaria
dodici istanti di libertà incuneati nel corpo    Gena Rowlands. Si può pensare che per
solo all’apparenza molle dell’industria dei      Cassavetes portare davanti alla macchina
mogul, dei tycoon, del “bigger than life”.       da presa la moglie, i migliori amici,
Il cinema per Cassavetes non è mai stato         persino la madre e la cognata – come
più grande della vita, ma è stato – sic et       accade in Minnie e Moskowitz – fosse
simpliciter – la vita stessa. La sua capacità    un vezzo, e nulla di più. Ma sarebbe un
innovativa non sta nella ricerca perpetua        errore. Il concetto di famiglia non è solo
e ossessiva del bislacco e dell’eccentrico       uno degli aspetti centrali della poetica
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cassavetesiana, ma è anche il simbolo di         per simili operazioni alla Lav Diaz”. Il
una resistenza al pensiero comune, allo          montaggio è un nemico perché costringe
status quo, ai dettami dell’industria. Il        l’immagine nel suo sviluppo improvvisato
cinema è una macchina produttiva che si          a procedere a un tempo definito, costruito
basa sulle professionalità? Cassavetes si        a posteriori: eppure così mirabile appaiono
rinchiude negli affetti più intimi, e scardina   quei tagli improvvisi, quelle chiose che
il cuore pulsante di un simile pensiero.         si considerano oramai impensabili, che
Ogni messa in scena di Cassavetes (si            caratterizzano il suo cinema e segneranno
può escludere da questo novero il solo           in profondità molti cineasti, a partire per
Gli esclusi, per il quale venne esautorato       esempio dal Woody Allen di Io e Annie.
dal montaggio per volere di Stanley              L’improvvisazione, come nel tanto amato
Kramer, e in parte Blues di mezzanotte           jazz, è l’attimo sublime in cui il singolo
e Il grande imbroglio) è il viaggio dentro       riesce a diventare parte del tutto, in un
una porzione di sé, delle proprie abitudini,     contrappunto mai velleitario. L’umano,
dei propri pensieri e desideri: con lui, in      centro nevralgico dell’agire artistico di
viaggio, ci sono la Rowlands, e poi i vari       Cassavetes, lo si può preservare solo
Seymour Cassel, Val Alery, Peter Falk,           tracciando coordinate armoniche,
Ben Gazzara. I temi? La solitudine, la crisi     melodiose nella capacità di organizzare
nei rapporti interpersonali, l’alcolismo,        il caos in una polifonia che non cerca lo
la riflessione sulla caducità della vita.        stridore dell’urlo, ma l’intimità in cui è
Quasi sempre a ritmo di jazz, Cassavetes         stato generato quell’urlo stesso. Prezioso e
danza, accanto e con i suoi protagonisti:        perduto, il cinema di Cassavetes ci mostra
da Ombre in poi il suo cinema è un’arte          ancora oggi come il fuoco d’artificio
molto più coreutica che narrativa, molto         sorprenda con un oh di meraviglia prima
più verbale che agita, molto più viva            di dissolversi nell’aria, dove anche solo un
negli interstizi di tempo morto che nei          primo piano sa mozzare il fiato, e lasciarlo
supposti – e mai reali – colpi di scena. Il      mozzo per lungo tempo.
vero nemico di Cassavetes è il montaggio,                                        Raffaele Meale
e come giustamente fa notare Giampiero
Raganelli in queste pagine parlando
di Volti “Ancora una volta il cinema di
Cassavetes è instabile, liquido, sformato.
E il film passa attraverso vari montaggi,
per approdare, da una versione di tre
ore a quella definitiva, fissata, di 130’. Ma
Cassavetes ne aveva anche concepita una
da otto ore. I tempi forse erano prematuri
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ombre
Opera prima di John Cassavetes, Ombre è il manifesto di un         Ombre (Shadows)
cinema indipendente e libero, costruito insieme agli attori        USA, 1958-1959
                                                                   regia: John Cassavetes
con il “metodo”, crocevia di beatnik, esistenzialismo e musica     sceneggiatura: John
 jazz nel contesto del fermento culturale dell’America sotto       Cassavetes
 Eisenhower, in una società ancora pervasa di razzismo contro      fotografia: Erich Kollmar
  gli afroamericani.                                               musica: Charles Mingus
                                                                   montaggio: Maurice
                                                                   McEndree
 Hugh, Leila e Ben sono tre fratelli afroamericani, due dei        interpreti: Ben
 quali di pelle chiara, che vivono insieme in una casa a New       Carruthers (Ben), Lelia
 York. Hugh, il più grande, l’unico palesemente di colore, è un    Goldoni (Lelia), Hugh
                                                                   Hurd (Hugh), Anthony
  cantante di nightclub in declino, Ben è un trombettista jazz     Ray (Tony, Dennis Sallas
  che passa il tempo nei bar con due compagni di sbronze,          (Dennis), Tom Reese
  Dennis e Tom. Leila, la più giovane, frequenta i circoli degli   (Tom), David Pokitillow
   esistenzialisti e ambisce a diventare scrittrice.               (David), Rupert Crosse
                                                                   (Rupert), David Jones
                                                                   (Davey)
   «The film you have just seen was an improvisation»: con         produttore: Maurice
   questa scritta si chiude Ombre (Shadows), primo film da         McEndree
   regista, per così dire, dell’attore di origine greca John       produzione: Lion
                                                                   International Film
    Cassavetes, realizzato nell’ambito dell’Actor’s Workshop,      distribuzione: Lion
    il laboratorio di recitazione da lui fondato, insieme a Burt   International Film
    Lane, basato sulla loro interpretazione del cosiddetto         durata: 78’ (prima
     “metodo”, alternativa a quella dell’Actors Studio di Lee      versione in 16mm),
                                                                   81’ (seconda versione
     Strasberg, che consideravano ormai sclerotizzato. Per         in 35mm)
      Cassavetes non si trattava più di recitare ma semplice-
      mente di vivere, di superare la concezione meramente
       introspettiva del Metodo a favore di una collettiva,
       costruita sulle interazioni tra gli attori, rifiutando al
        contempo le inutili discussioni di gruppo. Liberarsi da
        ogni maschera era il credo di Cassavetes e Lane e in
        Ombre, concepito come manifesto, molto più che un
         semplice saggio o lavoro di workshop, compaiono
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anche le statue, nel giardino del MoMa            insegne luminose e le loro vetrate sulla
e nella scena successiva al rapporto              strada, i locali di musica, tra alcol, juke
sessuale di Leila: manufatti di pietra,           box e risse, i salotti culturali, con il suo
immobili, antichi.                                fermento intellettuale, il suo meticciato
Il concetto di improvvisazione dell’Actors        culturale e la sua promiscuità e libertà
Studio è mantenuto e proprio su questo            sessuale nell’America di Eisenhower. Un
il film è stato costruito, basandosi su           film che guarda alle correnti letterarie,
un esile canovaccio narrativo in cui gli          citando i beatnik e l’esistenzialismo, alla
attori, ognuno dei quali conservando il           musica jazz, afroamericana per eccellen-
proprio nome nel film, hanno lavorato             za, e anche al rock’n’roll. E che idealmente
con processi di interazione, di analisi           si affaccia alla Nouvelle Vague d’oltreoce-
dei conflitti. L’improvvisazione diventa          ano, che fioriva in quegli stessi anni, che
il principio di una rappresentazione              pure non era ancora arrivata negli USA e
anti-brechtiana, dove anche al cinema             che quindi Cassavetes non conosceva, ma
si ragiona sul regista come capocomico,           che nasceva dalle stesse istanze artistiche.
come ai tempi di Shakespeare o di                 Nel film si cita invece, con una locandina
Pirandello, e non di un despota assoluto.         che evidenzia Brigitte Bardot, simbolo
Un regista, come nel caso di Cassavetes,          di libertà sessuale, il film Gli amanti del
che ci inserisce molto anche della sua            chiaro di luna di Roger Vadim. Come non
vita e della sua esperienza personale per         vedere un parallelo godardiano in quelle
lui, di origine greca, mettendo in scena          corse nel Central Park, come quella che
una storia in un ambiente melting pot di          fa Leila con entrambi i suoi spasimanti?
artisti. La questione razziale del film ha        E ancora Ombre si inserisce in quel
come fulcro la figura di Tony, che seduce         contesto florido americano, anche cine-
Leila e va a letto con lei, salvo accorgersi,     matografico. Girato in 16mm con l’attrez-
solo dopo, vedendo i fratelli, che lei è          zatura prestata da Shirley Clarke, amato
afroamericana, e provando così repul-             da Nikos Papatakis che ha contribuito alla
sione. Quella che finisce per diventare           seconda versione, programmato da Jonas
una condanna logica, prima ancora che             Mekas e Amos Vogel.
morale, del razzismo – si è considerati
neri anche se la pelle è bianca –, diventa        Cassavetes inaugura una forma di
anche una rispondenza tematica alla               rappresentazione spontanea, instabile,
concezione del film: tra l’attore e il suo        continuamente soggetta a discussioni e
personaggio non c’è una separazione               revisioni, in divenire, che non cerca una
netta, come tra il bianco e nero ci sono le       forma definitiva e ultima, quanto antepone
ombre, le tante sfumature di grigio. Così         il processo al prodotto. Così Cassavetes
come i personaggi sono sempre artisti,            dopo una prima versione decide di rigirare
musicisti, scrittori, come gli attori che         buona parte del film, tre quarti circa,
li interpretano. Cassavetes teorizza un           inserendo le nuove scene con un nuovo
cinema dove anche lo stile di ripresa eviti       montaggio. E Ombre ha avuto un tempo
ogni virtuosismo per seguire i personaggi.        di lavorazione finale di tre anni.
Un cinema di persone vere. Dove improv-
visata avrebbe dovuto essere – e lo è stata                              Giampiero Raganelli
solo in parte per le esigenze artistiche del
musicista – la colonna sonora commis-
sionata a Charles Mingus, molto più che
un semplice accompagnamento.
Ombre è un film che pulsa di libertà,
crocevia di forme d’arte e di avanguardie,
in una New York – come poi quella
di Woody Allen – con i suoi cenacoli
culturali e artistici, i ristoranti con le loro
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Opera seconda che fu funestata da vari problemi tra John               Blues di mezzanotte
Cassavetes e la Paramount, insuccesso commerciale e critico,           (Too Late Blues)
                                                                       USA, 1962
Blues di mezzanotte offre in realtà una pregnante metafora             regia: John Cassavetes
della dialettica tra creatività e industria che avrebbe attraversato   sceneggiatura: John
 tutta la carriera del regista.                                        Cassavetes, Richard Carr
                                                                       fotografia: Lionel Lindon
                                                                       musica: David Raskin
 Leader di una piccola band jazz, Ghost si attira le antipatie del     montaggio: Frank
 suo agente iniziando una relazione con la sua ex compagna,            Brache
  minando la stabilità del gruppo.                                     interpreti: Bobby
                                                                       Darin (John “Ghost”
                                                                       Wakefield), Stella
  Dopo il folgorante esordio di Ombre, la prova dell’opera             Stevens (Jess Polanski),
  seconda poneva per John Cassavetes più di un problema,               Everett Chambers
  estetico e produttivo. Il passaggio a uno studio hollywo-            (Benny Flowers), Nick
  odiano (qui la Paramount) arrivò presto, nella carriera di           Dennis (Nick), Vince
                                                                       Edwards (Tommy), Val
   Cassavetes, cogliendo probabilmente impreparato l’ancor             Avery (Frielobe), James
   (registicamente) giovane cineasta: Blues di mezzanotte,             Joyce (Reno), Rupert
   infatti, è opera molto più “pensata” e strutturata rispetto         Crosse (Baby Jackson),
    all’esordio, con una narrazione decisamente più armonica           Cliff Carnell (Charlie, il
                                                                       sassofonista), Seymour
    e meno episodica rispetto al film precedente. Un apparente         Cassel (Red, il bassista)
     assorbimento del regista nelle logiche del cinema indu-           produttore: John
     striale, che lo alienerà definitivamente dalle simpatie della     Cassavetes
     Scuola di New York – di cui pure era considerato epigono          produzione:
                                                                       Paramount Pictures
      – e segnerà l’inizio di un conflitto con gli ambienti            distribuzione:
      produttivi hollywoodiani che accompagnerà Cassavetes             Paramount Pictures
      per tutta la sua carriera. Di fatto, pur pensato in un’ottica    durata: 100’
       molto più classica e narrativamente strutturata rispetto
       al suo esordio, Blues di mezzanotte non è precisamente
        il film che Cassavetes avrebbe voluto: i compromessi
        mandati giù furono tanti, a partire dai due protagonisti
         (il regista avrebbe voluto Montgomery Clift e la moglie
         Gena Rowlands). Critica e pubblico non apprezzarono,

                                blues di
                               mezzanotte
Volti - john cassavetes il cinema di - Centro Sperimentale di Cinematografia
contribuendo al futuro relegamento del           pregnante, di un contesto all’insegna della
film al rango di opera minore.                   precarietà, esistenziale e sociale. Temi
Eppure, rivisto oggi, Blues di mezzanotte        che qui restano stretti nel microcosmo
(in originale un Too Late Blues decisamen-       di un gruppo di musicisti (e del contesto
te più calzante) offre più di uno spunto di      umano che a essi gravita intorno) legati
riflessione interessante, sia inquadrato nel     da una fragile amicizia; temi che tuttavia
contesto hollywoodiano dell’epoca, sia           successivamente, nella carriera del
alla luce dei futuri sviluppi della carriera     regista, si apriranno a un fuori di cui qui
del regista. La maggior compattezza              scorgiamo solo scorci (la nuova esistenza
della narrazione e l’organizzazione degli        del protagonista come protetto di una
eventi in un climax – pur al netto di            ricca borghese, la discesa della sua ex
una catarsi che, nel finale, appare solo         compagna nella prostituzione). Ma, per
accennata – non escludono il fatto che il        embrionale che sia la costruzione di
film restasse un corpo decisamente a sé          quel quotidiano (e delle sue nevrosi) che
nella Hollywood dell’epoca; un’industria         diventerà cifra stilistica del suo cinema,
che già aveva visto i germi di un rinnova-       Cassavetes informa la parabola del suo
mento tematico, figlio di una cultura che        protagonista di un dolente realismo,
aveva assorbito le suggestioni della Beat        costellandola di squarci di una tenera e
Generation ma che ancora doveva attra-           feroce love story, integrando al meglio il
versare la rivoluzione estetica e produttiva     tono agrodolce della storia con le tonalità
della New Hollywood. Così, Blues di              jazz della colonna sonora.
mezzanotte, con la sua rappresentazione
del quotidiano di musicisti spiantati, stretti   Il risultato di questo Blues di mezzanotte
tra le logiche di un’industria che vuole il      è un’opera che, pur nelle sue ellissi e in
suo pedaggio in termini di compromessi           qualche passaggio troppo meccanico,
e appiattimento della creatività, e la           ha l’unico, vero limite (in contraddizione
(post)adolescenziale intransigenza del           col suo titolo originale) di essere giunta
protagonista Ghost, risulta un film (imper-      forse troppo presto: in anticipo sui tempi
fettamente) in anticipo sui tempi: curato        – quelli della New Hollywood e quelli del
nella confezione quanto intransigente nei        successivo mix di minimalismo e teatralità
concetti veicolati, classico nella messa in      del cinema cassavetesiano – ma pur
scena eppure (volutamente) dimesso nella         sempre precisa fotografia di un contesto e
resa spettacolare.                               di una fase artistica. A ben vedere, tutt’al-
                                                 tro che un’opera minore.
È facile, col senno di poi, vedere in Blues
di mezzanotte una rappresentazione delle                                       Marco Minniti
stesse difficoltà affrontate dal regista nel
rapporto con gli studios, la dialettica tra
intransigenza e necessità di compromesso
che qui vengono incarnate dal rapporto
tra i due amici/rivali Ghost (nome non
scelto a caso) e Benny. La sovrapposizione
del tema del film con le vicissitudini che
la sua produzione attraversò, la coin-
cidenza tra le vicende occorse fuori e
dentro lo schermo, lo rendono in un
certo senso un’opera (inconsapevol-
mente) metacinematografica. Eppure,
anche preso a sé, il secondo film di
Cassavetes mantiene quel magnetismo
che gli deriva dalla sua rappresentazione
minuta, quotidiana eppure assolutamente
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gli esclusi
Sotto l’ala produttiva della United Artists e di Stanley Kramer,           Gli esclusi
Cassavetes nel 1962 realizza un’opera borderline come il suo               (A Child Is Waiting)
                                                                           USA, 1963
 protagonista, in bilico tra la Hollywood che fu e il cinema               regia: John Cassavetes
 americano che sarà.                                                       sceneggiatura: Abby
                                                                           Mann
 In un istituto per la cura di minori affetti da disfunzioni psico-        fotografia: Jospeh
                                                                           LaShelle
 motorie il direttore Clark (Burt Lancaster), e l’insegnante di            musica: Ernest Gold
  musica Jean Hansen (Judy Garland), hanno idee contrastanti:              montaggio: Gene Fowler
  più severo lui, più comprensiva lei. Ma l’insuccesso che la              jr., Robert C. Jones
  donna riporta nel caso di un piccolo ricoverato mina le sue              interpreti: Burt
                                                                           Lancaster (dottor
   certezze.                                                               Matthew Clark), Judy
                                                                           Garland (Jean Hansen),
   Il cinema è una questione di sguardo. Quello di un autore è             Gena Rowlands (Sophie
   riconoscibile sempre, in ogni opera, ancor di più in quelle             Widdicombe), Steven
                                                                           Hill (Ted Widdicombe),
    più tormentate, meno libere, di passaggio e di compro-                 Paul Stewart (Goodman),
     messo, dove lo sguardo per liberarsi e manifestarsi deve              Gloria McGehee (Mattie),
     aggirare ostacoli, ingaggiare ruvidi corpo a corpo con la             Lawrence Tierney
     visione produttiva, magari divergente rispetto alla propria.          (Douglas Benham),
                                                                           Bruce Ritchey (Reuben
      Tutto questo lavorìo è ben visibile in ogni sequenza de              Widdicombe), John
      Gli esclusi, terza regia firmata da John Cassavetes dopo             Marley (Holland), Bill
       l’esordio jazz di Ombre e la prima incursione nel sistema           Mumy (un paziente)
       produttivo hollywoodiano con Blues di mezzanotte, con la            produttore: Stanley
                                                                           Krames
        Paramount. Qui si passa alla United Artists e, soprattutto,        produzione:
        alla produzione di Stanley Kramer, che scelse il regista           Larcas Productions,
         adatto per un soggetto “scomodo”, opera di Abby Mann,             United Artists
         autore televisivo (sua l’idea per il celebre Kojak di Telly       distribuzione: United
                                                                           Artists
          Savalas) e sceneggiatore anche per il cinema (a lui si           durata: 102’
          deve, ad esempio, lo script di Vincitori e vinti diretto dallo
          stesso Kramer). Il quadro è chiaro, dunque: Kramer cerca
           lo sguardo aspro del giovane Cassavetes e lo avvolge
           con una sceneggiatura di fiducia, in un periodo di
transizione, gli anni Sessanta, che si chiu-       pietismo e sussiegosa condiscendenza.
deranno con la più grande crisi della storia       Come si spiega, allora, la sostanziale
di Hollywood e, insieme, la grandiosa (ri)         ricusazione del montaggio finale da parte
nascita della New Generation.                      di Cassavetes, non soddisfatto del risultato
                                                   e della longa manus di Stanley Kramer?
Girato in un reale istituto californiano, il       Proprio perché due grandi uomini di
film immerge due star assolute come Burt           cinema (Kramer lo è stato, senza dubbio
Lancaster e Judy Garland in un contesto            alcuno, basta scorrere la sua longeva
realistico, tra bimbi disabili fisici o mentali,   carriera) con approcci così differenti non
e personifica su di esse diversi metodi            potevano che arrivare al conflitto. Il film,
d’approccio: l’insegnante di musica                a tratti, è didascalico e troppo costruito,
Hansen/Garland, madre mancata che                  la progressione nella parte centrale perde
s’affeziona al piccolo Reuben, e il dottor         forza, per larghi tratti Garland sembra
Clark/Lancaster, pragmatico e impegnato            davvero calata sul set senza troppa
nel conciliare il suo approccio medico/            consapevolezza, con primi piani dedicati
educativo con la pletora di soggetti che si        che rappresentano un vero e proprio film
muovono intorno ai bambini, tra genitori           nel film. Ma, da questo conflitto, l’opera
inadeguati, insegnanti e pazienti coetanei.        ne guadagna. C’è Cassavetes, nelle pagine
Clark è un paladino dell’autodetermina-            di scabro realismo all’interno delle aule,
zione, della dignità della vita, impegnato         nella scelta del cast di contorno (fin
in una quotidiana battaglia contro la              troppo semplice citare Gena Rowlands,
sbrigativa e fuorviante definizione di             che interpreta la madre di Reuben), nella
“normalità”. Quella stessa normalità che           teatralità di alcuni passaggi, nella mobilità
porta a rigettare (in una mirabile sequenza        della macchina da presa. C’è anche
dove Reuben, scappato dall’istituto,               Kramer, però, nella rappresentazione
gioca a football con dei ragazzi in un             plastica del cinema a venire: due star
parco pubblico) chi non riesce ad essere           calate nel contemporaneo, Lancaster già
competitivo, feroce con l’avversario,              abituato, Garland che perde man mano la
impegnato nell’individualistica battaglia          sua aura, i fari dedicati, per rimboccarsi le
del primeggiare che è la vera base                 maniche ed arrivare lì dove il suo partner
fondante della società statunitense, che           era già dall’inizio, fuori da una macchina,
non riesce a trovar posto a chi si estranea        per convincere qualcuno a uscirne. In
da questa lotta, per indole, carattere o, è        un passaggio, si dice di Hansen/Garland:
bene non negarlo, mancanza di capacità             “In passato ha cantato in un cabaret, a
di restare al passo.                               Brooklyn”. Quello che farà sua figlia Liza
                                                   Minnelli, a dieci anni di distanza, tra Fosse
Cassavetes imbastisce sequenze da                  e Scorsese. Fato cinematografico, inelut-
ricordare, su tutte la rappresentazione            tabile e ineludibile.
teatrale finale (ecco un tòpos d’autore
ben presente, e in bella evidenza in                                             Donato D’Elia
una scena chiave) del primo Giorno
del Ringraziamento, con il candore
solidale dei piccoli, la loro sghemba
cantilena mentre, tutti insieme, coloni
e nativi, dividono l’improvvisato pasto.
È l’acme emotivo di un percorso che il
film espone senza fretta, ribadendo più
volte i concetti, specie con i vigorosi
monologhi di Lancaster a punteggiare il
racconto: lo sguardo sul “diverso”, a quel
punto, è talmente prossimo e complice da
annullare ogni distanza e resistenza, ogni
Quarto film di Cassavetes, Volti è concepito come un            Volti (Faces)
        ritorno alla concezione di Ombre, ma in un contesto             USA, 1968
                                                                        regia: John Cassavetes
        upper class, tra cinismo e incomunicabilità.                    sceneggiatura: John
                                                                        Cassavetes
        Richard e Maria sono una coppia ormai finita. Lui le dice       fotografia: Al Ruban,
        che vuole divorziare e passa la serata con uomini d’affari      Maurice McEndree
                                                                        musica: John Akerman
       e prostitute. Lei invece si vede con le amiche in un bar e       montaggio: Maurice
       conosce un playboy.                                              McEndree, Al Ruban
                                                                        interpreti: John Marley
          «Cassavetes non rappresenta la mia migliore esperienza        (Richard Frost), Gena
                                                                        Rowlands (Jeannie
          con un attore, se devo essere onesto. Il suo film, Volti, è   Rapp), Lynn Carlin (Maria
         uscito nello stesso anno di Rosemary’s Baby. A lui piaceva     Frost), Fred Draper
         improvvisare, a me no. Non si sentiva a suo agio nel ruolo.    (Freddie), Seymour
        […] È stato un supplizio. Non voleva nemmeno che le sarte       Cassel (Chet), Val Avery
                                                                        (Jim McCarthy), Dorothy
       lo vestissero: preferiva restare con le sneaker ai piedi. Gli    Gulliver (Florence),
       toglievi le sneaker e cominciavano i problemi di recitazio-      Joanne Moore Jordan
      ne». La collaborazione tra Polanski e Cassavetes è passata        (Louise Draper), Darlene
     alla storia come una delle più travagliate per un regista          Conley (Billy Mae), Gene
                                                                        Darfler (Joe Jackson)
     che vuole il controllo assoluto, bocciando ogni proposta           produttore: Maurice
    dell’attore. Una testimonianza che in negativo segna la             McEndree
    filosofia del cineasta di origine greca, il suo “anti-cinema”, il   produzione: Maurice
   suo rifiuto del cinema classico di regia. Con Volti (Faces) si       McEndree Production
                                                                        distribuzione:
  torna a un’operazione come quella di Ombre, costruito con             Walter Reade Inc.,
  l’improvvisazione degli attori partendo da un esile canovaccio        Faces International Films
  che, come quello del primo film, riguarda un momento                  durata: 220’ (prima
 post-coitale: cosa succede dopo la passione erotica di due             versione), 129’ (seconda
                                                                        versione)
 personaggi e cosa li ha portati a finire a letto. E in questo caso
 c’è la scoperta dell’amante da parte del marito, che lo mette in
fuga e si vede così avvantaggiato nei progetti di divorzio.

 L’America degli anni ‘60 di Cassavetes non è più quella del

                                                         volti
fermento artistico newyorkese di dieci anni prima, è l’America
di una upper class ipocrita e patriarcale,       dell’elezione di Nixon o del terremoto in
dominata dall’incomunicabilità, una              Perù, esibirsi in canzoncine in un generale
società decadente – come sottolineato            clima di noia e di incomunicabilità. Una
da uno dei titoli pensati per il film, The       drammaturgia dove distillare i momenti di
Dynosaurs – posto che questo è il nostro         tensione.
giudizio. Cassavetes non giudica mai i
suoi personaggi, con i quali empatizza:          Girato in 16mm, in bianco e nero sporco,
esprimono aspetti della sua personalità,         con piani sequenza anche molto lunghi,
come di quelle degli attori, buona parte         Volti dimostra l’insofferenza dell’autore
non professionisti o alle prime armi, presi      per la fotografia, per la composizione
dall’entourage del regista che lavorava          dell’immagine che veda i corpi degli attori
come in un home-movie tra amici. Al              in posizioni prestabilite. La mdp deve
set partecipò anche un giovane Steven            seguire gli attori, liberi, e non viceversa.
Spielberg come assistente che porta caffè        Cassavetes usava due operatori, uno per le
e sigarette ai membri della ristrettissima       scene principali e il secondo per i dettagli
crew. L’America di Volti è quella che vive       o altro. Magistrale in tal senso la staffetta
un uomo di mezza età, ormai trasferitosi a       tra l’occhio che segue Richard mentre
Hollywood dove lavora nello star system,         torna a casa ed entra in camera da letto
come pure la moglie Gena Rowlands.               e il punto di vista, sul tetto, che coglie la
E Volti comincia proprio con il cinema,          fuga dell’amante seminudo fin nel suo
con il protagonista che in una saletta           allontanarsi in campo lungo. E in questo
di proiezione mostra il film a persone           realismo Cassavetes riesce a concepire
della produzione che ragionano solo in           situazioni oniriche o realtà alternative,
termini di incassi. Un incipit che mostra        nella scena in cui il montaggio alterna un
la sfiducia di Cassavetes per il sistema e       Richard che gioca da solo a biliardo e un
sancisce il suo immedesimarsi in Richard,        Richard a letto con la moglie. Sappiamo,
dandogli l’incarico di regista. Segue il         dal contesto del film, che la seconda non
fascio primario della proiezione e i titoli di   può essere vera.
testa di Volti. Il cinema torna nelle tante
citazioni, tutte nel senso di una presa di       Ancora una volta il cinema di Cassavetes
distanza di un cinema altro. Da La dolce         è instabile, liquido, sformato. E il film passa
vita, menzionato nella saletta, a Bergman        attraverso vari montaggi, per approdare da
che Richard evita per non deprimersi, al         una versione di tre ore a quella definitiva
ritratto di Edgar G. Robinson in una delle       di 130’. Ma Cassavetes ne aveva anche
pareti riccamente decorate.                      concepita una da otto ore. I tempi forse
                                                 erano prematuri per operazioni alla
In una fase della scrittura, Cassavetes          Lav Diaz, ma lo spontaneismo estremo
aveva concepito Volti per il teatro. E           dell’autore indipendente americano non è
questo retaggio è palese nella struttura         così lontano dalla concezione di abbrac-
da Kammerspiel, dove la musica è solo            ciare il tempo propria dell’autore filippino.
diegetica, in un’atmosfera chiusa in due
interni e in locali da ballo, con la divisione                           Giampiero Raganelli
in due atti, il primo a predominanza
maschile, con la donna come ricettacolo
sessuale, il secondo in ruoli opposti.
Una drammaturgia piatta alla Čechov.
Se l’autore russo rappresentava gente
tutta intenta a «mangiare, bere, amare,
camminare, a portare la propria giacca»,
i personaggi di Cassavetes, i dinosauri,
passano il tempo a fumare, bere, raccon-
tare barzellette o filastrocche, a disquisire
mariti
         Privo di ogni freno inibitorio e pervicacemente incen-        Mariti (Husbands)
         trato su una totale perdita di controllo, Mariti di John      USA, 1970
                                                                       regia: John Cassavetes
        Cassavetes resta uno dei più alti saggi di recitazione e       sceneggiatura: John
        improvvisazione cinematografica, impossibile da imitare.       Cassavetes
                                                                       fotografia: Victor
        Archie, Gus e Harry vanno al funerale del loro amico           Kemper
                                                                       montaggio: Tom
       Stuart. Dopodiché sentono il bisogno di ubriacarsi. Da lì       Cornwall, Jack Woods,
      in poi, per qualche giorno, i tre amici perdono totalmente       Peter Tanner
      il controllo sulle loro vite fino a ritrovarsi a Londra. Poi     interpreti: Ben Gazzara
      però arriva il momento di tornare dalle loro donne e dai         (Harry), Peter Falk
                                                                       (Archie Black), John
     loro figli.                                                       Cassavetes (Gus
                                                                       Demetri), Jenny Runacre
       Un film come Mariti di John Cassavetes mantiene intatta a       (Mary Tynan), Jenny
       distanza di tanti anni – venne girato nel 1969 e distribuito    Lee Wright (Pearl
                                                                       Billingham), Noelle
      nel ’70 – la brutale potenza del buddy movie definitivo,         Kao (Julie), John Kuller
      insuperabile, segnalandosi al contempo come uno dei più          (Red), Meta Shaw
      alti saggi sulla recitazione (e sulla improvvisazione) cinema-   (Annie), Leòla Harlow
     tografica che siano mai stati realizzati.                         (Leòla), Delores Delmar
                                                                       (la contessa)
     Certo, praticamente di ogni film di Cassavetes si potrebbe        produttore: Al Ruban
     dire che è, al di là di ciò che racconta, un film sulla recita-   produzione: Faces Music
    zione; basti pensare a La sera della prima, dove la questione      distribuzione:
    viene tematizzata ed esplicitata. Eppure qui, in Mariti, si        Columbia Pictures
                                                                       durata: 154’ (prima
   raggiungono delle vette impressionanti, forse perché il tutto       versione), 142’ (versione
   è accompagnato dalla totale perdita di controllo di tutti e tre     definitiva)
  i protagonisti in scena: lo stesso Cassavetes (Gus), Peter Falk
  (Archie) e Harry (Ben Gazzara); e l’uno trasporta l’altro – e
 viceversa, scambiandosi di tanto in tanto i ruoli di diavoli
 tentatori – verso il trascinamento all’uscita-da-sé e dalla
maschera che rappresentano sia diegeticamente nel film, sia
al di fuori di esso, come attori.
E tutto è basato sull’estenuata ripetizione, sulla disperata
coazione a ripetere, a partire dalla             indimenticabili primi piani che arrivano
canzone che una anziana signora canta            improvvisamente a spezzare il cuore
in un bar all’inizio e viene costretta a         (il volto sotto la pioggia della giovane
ripeterla allo sfinimento ora da Gus, ora da     cinese, di cui a un tratto sembra inna-
Harry, ora da Archie, che arriva perfino a       morarsi Archie), fino ad arrivare a certi
spogliarsi pur di far capire alla donna che      strabilianti piani-sequenza. Strabilianti
non può e non deve cantare in maniera            anche perché “nascosti”, celati dalla
manierata, ma con sentimento, lasciando          fisicità degli attori in scena che chiamano
trasparire dell’umanità, del dolore, della       al movimento della macchina da presa,
verità. Ecco: il raggiungimento della            che guidano letteralmente la macchina e
verità performativa ottenuto tramite la          non viceversa, e che testimoniano – con
sofferenza e l’esaurimento delle forze           perfetta coerenza – come il cinema
mentali e fisiche, tramite la perdita totale     di Cassavetes sia forse il cinema più
del sé, fino a diventare qualcun altro,          umanista di sempre, perché mette sempre
oppure fino a diventare veramente se             l’uomo prima della macchina. Ebbene,
stessi. Su questo si gioca Mariti, e su          dei tanti piani-sequenza di Mariti ce n’è
questo volontario gioco al massacro di tre       forse uno che appare il più illuminante,
attori/personaggi/uomini sadomasochisti-         quello nella piccola stanza d’albergo dove
ci che fanno esplodere qualsiasi situazione      si muovono i tre protagonisti insieme alle
in cui si gettano a capofitto, senza paraca-     tre donne che hanno acconsentito ad
dute, senza freni inibitori.                     accompagnarli; qui la mdp è bassa, quasi
In quei pochi giorni in cui i tre si ritrovano   ad altezza letto, e i sei governano con i
a elaborare il lutto della morte di un           loro spostamenti un continuo e ipnotico
quarto di loro, Archie, Gus e Harry scom-        recadrage, sbalordendo a ogni momento
pigliano l’esistente, si abbandonano a un        per il gioco di armonie e disarmonie delle
carnascialesco rovesciamento del mondo           parti dell’inquadratura – tra chi è sdraiato
e delle rispettive identità, ben sapendo         e chi è in piedi, tra chi si alza e chi si
però che alla fine dovranno – forse –            siede – che conquistano di volta in volta
tornare a casa dalle loro famiglie. E in         la nostra attenzione.
questi giorni si amano e si odiano senza
speranza, come amano e odiano visce-             Tra tutti i “cinemi” scomparsi nel corso
ralmente la vita, come litigano e si riappa-     dei decenni e dei lustri, forse quello che
cificano senza motivi apparenti, come si         di tanto in tanto si ha la tentazione di
divertono e si annoiano e come ogni volta        rimpiangere più di tutti è proprio il cinema
rinascono e si suicidano, allo stesso modo       di Cassavetes, perché servirebbe – e,
di quel che combinano nei bagni del bar          nel rivedere i suoi film, ce ne rendiamo
di cui sopra in cui ruttano, scorreggiano,       disperatamente conto – a ricordarci che
vomitano, urlano e si abbracciano senza          abbiamo ancora tanto bisogno di sentirci
soluzione di continuità, attraverso un           umani, con le nostre debolezze, le nostre
ostinato ribaltamento e slittamento di           schizofrenie, i nostri attacchi di violenza
toni, dal demenziale alla cupa tragedia, dal     e di irrazionalità, le nostre inesauribili
grottesco al leggero, fino al melodramma         ambiguità.
e al comico più istintivo.
E che la verità sia sempre il frutto di                                   Alessandro Aniballi
una faticosissima ricostruzione Mariti lo
mostra in ogni suo momento, in ogni
suo delirio e in ogni sua scelta stilistica, a
partire dai calibratissimi e disordinati fuori
fuoco sui dettagli dei volti, passando per
quella meravigliosa camminata sfocata
in teleobiettivo dei tre per le strade di
New York, o passando ancora per degli
Ennesimo esempio di “filmare la vita” nel cinema di           Minnie and Moskowitz
         John Cassavetes, Minnie e Moskowitz si distingue per           USA, 1971
                                                                        regia: John Cassavetes
         la sua capacità di muoversi con la consueta libertà nel        sceneggiatura: John
        recinto – da molti considerato troppo stretto – della           Cassavetes
        commedia sentimentale.                                          fotografia: Arthur J.
                                                                        Ornitz, Alric Edens,
                                                                        Michael Marguiles
       Seymour Moskowitz è un posteggiatore di automobili               musica: Bob Harwood
      che si è trasferito a Los Angeles da New York. Nella città        montaggio: Fred
      californiana incontra Minnie Moore, impiegata in un               Knudtson
      museo: nonostante le notevoli diversità, e i non pochi            interpreti: Gena
                                                                        Rowlands (Minnie
      motivi di attrito, i due finiscono per innamorarsi.               Moore), Seymour Cassel
                                                                        (Seymour Moskowitz),
      La prima inquadratura di Minnie e Moskowitz, subito dopo          Elizabeth Deering (la
      il logo di Universal (che distribuì il film, prodotto invece in   ragazza), Elsie Ames
                                                                        (Florence), Lady
     modo indipendente dal fedele Al Ruban) è una soggettiva            Rowlands (Georgia
     all’interno di un’automobile che risale il percorso da un          Moore), Holly Near
     parcheggio sotterraneo verso la luce del sole. La guida            (l’irlandese), John
    Seymour Moskowitz, ma ovviamente non gli appartiene:                Cassavetes (Jim), Judith
                                                                        Roberts (la moglie di
    eccolo infatti diventare parte integrante della scena mentre        Jim), Jack Danskin (Dick
   saltella fuori dall’abitacolo, aggiusta il parabrezza e restitu-     Henderson), Eleanor Zee
   isce la vettura ai suoi legittimi proprietari, una coppia della      (Mrs. Grass)
   buona borghesia newyorchese. Anche l’automobile che                  produttore: Al Ruban
                                                                        produzione: Universal
  corre ad accendere, una bella decappottabile, non è sua.              distribuzione: Universal
  Seymour Moskowitz è un posteggiatore, non un possessore.              Pictures
  La sua classe sociale non gli consente la proprietà, prero-           durata: 114’
 gativa di chi detiene il potere. I primi venti minuti di Minnie
 e Moskowitz, prima che l’uomo decida di prendere armi e
 bagagli e trasferirsi sulla west coast, a Los Angeles, sono
un’unica lunga corsa a perdifiato dietro e con Moskowitz.
Cassavetes lo segue al cinema, dove fuma una sigaretta mentre
guarda estasiato Il mistero del falco di John Huston, quindi

   minnie e
         moskowitz
in un diner dove viene abbordato da un           Senza fuoriuscire un momento dalla
mitomane ciarliero che lo assilla con la         poetica, e dalla politica autoriale che lo
moglie morta e il suo lavoro sui grattacieli     contraddistingue, Cassavetes prende
cittadini da dove può sputare addosso            spunto dalla propria vita quotidiana,
alla gente senza che nessuno abbia da            pone di fronte alla macchina da presa i
ridire, e infine in un pub dove cerca di         suoi amici, sua moglie, perfino madre e
corteggiare una donna irlandese ma viene         cognata (nei rispettivi ruoli, ça va sans
cacciato in malo modo e picchiato nella          dire, delle genitrici di Seymour e Minnie);
notte. Moskowitz, fin dalle primissime           la casa della donna è quella in cui Gena
inquadrature, è irrequieto, irrefrenabile.       Rowlands vive con Cassavetes, per di più.
Non che il mondo sia meno stressato,             Questo sovrapporre vita e cinema non è
come testimonia la madre seduta accanto          un artificio intellettuale, ma l’unico modo
a lui in aereo che forza nervosamente            efficace per sovrascrivere i dogmi dell’in-
la figlioletta a mangiare. In California la      dustria, in un percorso di decentramento
vita scorre uguale a com’era dall’altra          dello sguardo che è sempre percepibile.
parte dell’America, tra un film di Bogart        La macchina da presa è indomita almeno
e l’altro, se non fosse che qui a recarsi        quanto i suoi personaggi, si agita attorno
in sala è Minnie Moore, impiegata in un          a loro, zooma, si getta nell’agone quasi
museo e invischiata in una storia con un         fosse lei stessa a dover sferrare un pugno
uomo sposato – che la picchia quando             o incassarlo. Sempre muovendosi fuori
la vede tornare a casa ubriaca, dopo che         dal canone – senza però denigrarlo,
ha passato la serata post-cinema con             come dimostrano i continui riferimenti
una sua amica. Forse per intercessione           all’età dell’oro di Hollywood –, Minnie e
divin-cinefila di Bogey, il primo incontro       Moskowitz crea uno stilema espressivo
tra Minnie e Seymour avviene con tanto           e narrativo che diventerà di prammatica
di scazzottata che impegna l’uomo con            negli anni a venire, anticipando di un
un buzzurro – come tutti logorroico e            lustro le nevrosi di coppia di Woody Allen,
incapace di tenere a freno la lingua – con       qui però proposte in una chiave proletaria
cui Minnie era andata a pranzo.                  che l’altro grande cineasta newyorchese
                                                 non approfondirà mai particolarmente. Ma
Cassavetes compie una scelta a dir poco          è tutta la commedia drammatica senti-
dirompente per una commedia sentimen-            mentale dei decenni successivi a vedere
tale, facendo scontrare i due protagonisti       in Cassavetes un punto di riferimento, a
solo dopo una cinquantina di minuti, quasi       partire da Tootsie di Sydney Pollack fino
che il loro innamoramento non fosse in           ad arrivare a Stregata dalla luna di Norman
realtà il centro nevralgico del film, ma solo    Jewison e Harry ti presento Sally di Rob
uno dei tanti possibili incidenti di percorso    Reiner.
della vita. Da lì in poi, dopo l’ardimentosa
fuga sul camioncino di Moskowitz, il film                                    Raffaele Meale
si svilupperà invece solo su loro due come
(im)possibile coppia; questa bizzarra
struttura tripartita – dapprima l’introduzio-
ne di Moskowitz, quindi quella di Minnie,
e solo nel “terzo tempo” la dialettica tra i
due – non fa che accentuare l’impressio-
ne di un film in grado di svilupparsi come
la vita stessa, quasi che la drammaturgia
non esistesse se non nella rappresenta-
zione naturale, quasi osmotica, del vero,
qualsiasi sia il valore effettivo attribuibile
a un simile aggettivo.
una moglie
      Chiusura dell’ideale tetralogia di Cassavetes sulla solitu-      Una moglie
      dine nella coppia e miracolosa performance di una Gena           (A Woman Under the
                                                                       Influence)
      Rowlands alienata e sospesa sul baratro fra frustrazio-          USA, 1974
     ne e follia, Una moglie rappresenta forse il punto più            regia: John Cassavetes
     alto nell’evoluzione del “saggio collettivo di recitazione        sceneggiatura: John
     e di regia”.                                                      Cassavetes
                                                                       fotografia: Mitch Breit,
                                                                       Al Ruban
     Mabel adora il marito Nick, operaio edile. Ma il troppo           musica: Bo Harwood
     lavoro di Nick lo riporta spesso a casa stanco e intratta-        montaggio: David
    bile, mentre la solitudine patita da Mabel la avvicina alla        Armstrong, Sheila
                                                                       Viseltear, Beth Bergeron
    bottiglia. Gli strani comportamenti che lei inizia a mostrare      interpreti: Gena
    preoccupano il marito che, convinto che sia diventata una          Rowlands (Mabel
    minaccia per se stessa e per gli altri, la fa ricoverare.          Longhetti), Peter
                                                                       Falk (Nick Longhetti),
                                                                       Fred Draper (George
      È tutto sommato semplice, oggi che Una moglie è da quasi         Mortensen), Lady
     mezzo secolo l’opera settima universalmente considerata           Rowlands (Martha
     fra le vette del cinema di John Cassavetes, soffermarsi           Mortensen), Katherine
    sull’estremo realismo more-than-life dei personaggi e della        Cassavetes (Mamma
                                                                       Longhetti), Matthew
    messa in scena, ragionare sulla straordinarietà emotiva delle      Laborteaux (Angelo
    performance ottenute con il metodo “collettivo” di lavoro,         Longhetti), Matthew
   oppure notare come qualche leggero errore di fuoco e il             Cassel (Tony Longhetti),
   microfono che una volta entra in campo anziché infastidire          Christina Grisanti (Maria
                                                                       Longhetti), O.G. Dunn
   contribuiscano ad aggiungere veridicità diretta e istantanea        (Garson Cross), Mario
  alla narrazione. È tutto sommato semplice, oggi, analizzare          Gallo (Haroki Jensen)
  la profondità di ogni sfumatura d’umore e le dinamiche               produttore: Sam Shaw
 delle interazioni familiari, matrimoniali, sessuali e sociali         produzione: Faces
                                                                       International Films
 che Cassavetes distrugge e costantemente ricostruisce nel             distribuzione: Faces
 progressivo sgretolarsi di un mondo, oppure tentare di studiare       International Films
(e sin troppo replicare) il continuo sovrapporsi di linguaggi          durata: 155’
fra la finzione e il documentario, fra la realtà e l’astrazione
dissociata, fra la struttura e l’improvvisazione controllata, fra il
grido e il silenzio, fra l’intimità stratificata   tuale negli impegni di lui e nel bisogno
dell’essere e la pressione sociale del dover       di attenzioni di lei, capace di bere e di
apparire. Nettamente meno semplice fu,             tradire, di sentirsi in colpa e di essere
per qualche tempo dopo la realizzazione,           tanto solare e disponibile da diventare
riuscire a vedere il film. Ma non per la           inopportuna con i colleghi di lui, di far
sua totale indipendenza produttiva: le             alzare la voce e di ritrovarsi in strada come
vere difficoltà (ma anche la vera gloria)          una matta senza orologio. Di coinvolgere
di Una moglie iniziarono dopo, quando              i figli in giochi potenzialmente pericolosi,
il film (realizzato con 500mila dollari            di tentare di esorcizzare il medico che
personali di Peter Falk e l’ipoteca su             la vuole curare, di prendere due schiaffi
casa Cassavetes-Rowlands) era già stato            di disperazione da Nick come unici reali
autoprodotto e terminato, con i ripetuti           snodi di trama nel far precipitare e poi
rifiuti di ogni distribuzione a farlo circui-      rientrare la situazione, e infine di sentirsi
tare. A Cassavetes non restò che mettersi          di nuovo messa all’angolo, anche dopo i
a telefonare agli esercenti accordandosi           sei mesi di ricovero ed elettroshock, dalla
per ogni singola sala, portando per la             necessità di mostrarsi “guarita” e “normale”
prima volta un film indipendente in tour           quando forse, al di là dell’esplodere
senza l’aiuto di distributori. Solo qualche        dei nervi, di “anormale” non c’era mai
mese dopo, anche grazie all’appassionato           stato nulla. Senza reali colpe, ma a volte
endorsement televisivo al Mike Douglas             immatura e incapace (come del resto si
Show dell’attore Richard Dreyfuss che il           dimostrerà anche Nick) di calcolare le
film lo aveva visto e amato da semplice            conseguenze delle proprie azioni perché
spettatore, la storia di Una moglie sarebbe        mossa da troppo amore. Fino alla sostan-
radicalmente cambiata fino alla notorietà,         ziale resurrezione, per molti versi dreye-
alla doppia candidatura all’Oscar per              riana, di chi ritrova all’improvviso se stessa,
attrice e regia, alla storia del cinema.           la serenità, la famiglia, il corpo, la parola
                                                   (o forse la Parola, ancora una volta quella
Nasce dal naturale imbarazzo di Peter              di Ordet). Con i figli da mettere amorevol-
Falk, Una moglie. Nasce dai silenzi,               mente a letto, prima di rassettare la casa
dalle atmosfere pesanti, dal nervosismo            e tornare alla felicità (?) coniugale. Realtà
crescente, dall’insostenibilità del tempo          o finzione? Di sicuro umanità, emozione,
morto. E ovviamente nasce da Gena                  un miracoloso squarcio di esistenza fra i
Rowlands. Da quella moglie, appunto,               più preziosi e profondi mai pensati, filmati,
collaboratrice e attrice feticcio, sulla           scritti, improvvisati, recitati, resi verità.
quale e con la quale costruire ogni gesto          Messi in scena e/o vissuti, che poi è per
e ogni sguardo della folleggiante quanto           molti versi la stessa cosa.
amorevole Mabel, sulla quale e con la
quale plasmare ogni emozione, ogni                                             Marco Romagna
silenzio, ogni cambio di registro, ogni
dissociazione bipolare e (forse) pazzia.
«She’s not crazy, she’s unusual», dirà del
suo personaggio alienato e costantemen-
te sospeso sul baratro il marito Nick (Peter
Falk), forse sottovalutando gli effetti della
sua frustrazione e della sua solitudine,
forse minimizzando le sue sempre più
palesi stranezze, o forse con la ragione
di chi è l’unico in grado di capirla con
uno sguardo. Il loro rapporto è fatto di
un’intesa apparentemente assoluta, tenero
e poi sempre più (o meno) problematico
con i figli, eppure silenziosamente conflit-
Gangster movie sui generis, L’assassinio di un allibratore cinese     L’assassinio di un
è una performance visiva disarticolata, nella quale Cassavetes        allibratore cinese (The
                                                                      Killing of a Chinese
cerca la verità di una prova attoriale, quella di Gazzara, che        Bookie)
 priva lo spettatore di ogni appiglio logico, di ogni giudizio        USA, 1976-1978
 morale sul suo personaggio.                                          regia: John Cassavetes
                                                                      sceneggiatura: John
                                                                      Cassavetes
 Proprietario di uno strip club, Cosmo Vittelli deve affrontare un    fotografia: Mitch Breit,
 gruppo di gangster per via della sua dipendenza dal gioco            Fred Elmes, Mike Ferris,
  d’azzardo.                                                          Al Ruban
                                                                      musica: Bo Harwood
                                                                      montaggio: Tom
  “Con i personaggi di John Cassavetes l’emozione è sempre            Cornwell
  in prima linea, è al tempo stesso la loro croce e la loro           interpreti: Ben Gazzara
   salvezza”. È così che Martin Scorsese presenta il regista          (Cosmo Vittelli),
   greco-americano, ma nato come lui a New York, in                   Timothy Carey (Flo),
                                                                      Seymour Cassel
    A Personal Journey with Martin Scorsese Through American          (Mort Weil), Robert
    Movies (1995-1998). L’emozione prima di tutto, dunque, ma         Phillips (Phil), Morgan
    anche il lavoro dell’attore e dell’autore per raggiungerla,       Woodward (John), Al
    sono al centro del cinema di Cassavetes, sempre intento           Ruban (Marty Reitz),
                                                                      Azizi Johari (Rachel),
     a scrutare volti e corpi dei suoi interpreti in cerca di quel    Virginia Carrington
     momento di estasi recitativa in cui si compie l’adesione al      (Betty), Meade Roberts
      personaggio, fino alla perdità di sé. Ed è proprio questo il    (Mr. Sophistication),
      percorso intrapreso dal Cosmo Vittelli di L’assassinio di un    Alice Fredlund (Sherry)
                                                                      produttore: Al Ruban
      allibratore cinese (The Killing of a Chinese Bookie, 1976),     produzione: Faces
       un gangster movie sui generis che è anche una acuta            Distributing Corporation
       riflessione sulla messinscena e sul sacrificio che richiede.   distribuzione: Faces
                                                                      Distributing Corporation
                                                                      durata: 135’ (prima
       Del film, nato proprio da una conversazione tra                versione), 108’ (seconda
       Cassavetes e Scorsese, esistono tre differenti versioni.       versione)
       Quella lunga, (135’), presentata al Palazzo delle
       Esposizioni e oggetto di questo scritto, uscì in sala nel
        1976, ma fu subito ritirata per scarso gradimento di

        l’assassinio di un
            allibratore cinese
pubblico e critica. Nel 1978, Cassavetes        da uno dei malavitosi che, parafrasando
firmò un nuovo montaggio, più breve             Marx, denuncia quale sia il vero oppio
(108’), con un incipit differente, l’editing    dei popoli: i soldi. Cosmo è diverso, non
diverso di alcune scene e qualche               lavora per arricchirsi, lui ogni singolo
aggiunta, come il fatto che Cosmo (Ben          dollaro lo reinveste nel suo locale, a
Gazzara) fosse un reduce della guerra           beneficio del suo gruppo di lavoro e dei
di Corea. Infine, c’è la versione italiana,     suoi spettatori. Risiede proprio in questo
ulteriormente scorciata (85’) dalla distri-     la forza del personaggio e il senso ultimo
buzione nostrana e con un doppiaggio            del suo martirio, nella totale dedizione,
che aggiunge, tramite voice off posticce,       anzi, devozione al proprio lavoro di
pruriginosi dettagli su sesso e droga.          metteur en scène. E in questo non è
                                                difficile riconoscere come Cassavetes miri
Può sembrare paradossale per un regista         a disvelare anche un discorso autobiogra-
che ha fatto della libertà la sua personale     fico. In tal senso, L’assassinio di un allibra-
“croce”, ma come sottolinea La Polla in         tore cinese propone una lettura multistra-
Sogno e realtà americana nel cinema             to: a un livello diegetico Cosmo Vittelli
di Hollywood è proprio in L’assassinio          è un imprenditore e regista il cui unico
di un allibratore cinese, dove l’autore si      scopo è la buona riuscita del suo lavoro e
confronta con un genere codificato come         di quello del suo staff, stessa pratica in cui,
il gangster movie, che emerge al meglio         a livello extradiegetico, ha sempre eccelso
la sua poetica umanista, il suo studio sul      Cassavetes. Pertanto la scena in cui i
personaggio/persona e sulla recitazione.        malavitosi ordinano a Cosmo di uccidere
Sanamente affetto da una sintassi               l’allibratore, con dovizia di indicazioni
sincopata, che nega ogni climax dram-           (attoriali) atte a guidare la messinscena del
matico o di azione vera e propria (si veda      crimine, assume anch’essa un significato
la sparatoria nel garage verso l’epilogo),      metaforico. Al “ruolo” che Cosmo si è
L’assassinio di un allibratore cinese è un      scelto se ne va a sovrapporre un altro,
film pieno di “sgrammaticature”, tra le         indesiderato, governato dal capitalismo
quali si annoverano l’assenza di contro-        “oppiaceo” dei gangster, che incarnano,
campi (il dialogo iniziale con lo strozzino     come lo stesso Cassavetes dichiarò,
al bar), improvvise ellissi, abbacinanti        proprio quei produttori hollywoodiani dai
controluce e lensflare, long shot in interni    quali, dopo le infelici esperienze di Blues
ed esterni, spesso in teleobiettivo, dove il    di mezzanotte e Gli esclusi, è caparbia-
fuoco si perde nella perpetua ricerca del       mente fuggito.
personaggio, del suo volto, delle sue mani.     E allora, il monologo finale di Cosmo/
Perché quello che conta è la verità della       Gazzara diventa un monito per attori e
prova attoriale di Gazzara.                     autori di ieri e di oggi: essere a proprio
                                                agio in un ruolo, questo è tutto. È da
Eppure, in questa regia disarticolata, e a      questa fondamentale onestà che nasce
differenza di altre sue opere, Cassavetes       l’emozione nei film di Cassavetes, il cui
fa emergere qui almeno due temi                 lascito risiede in una libertà creativa che
portanti, che rendono il film più coeso         lascia arrivare dritto in faccia allo spettato-
narrativamente e meno squisitamente             re l’amore per il proprio lavoro.
performativo: ovvero il discorso sul
denaro e quello dedicato proprio alla                                        Daria Pomponio
performance. Il primo serpeggia fin dal
principio, in quella rovinosa serata alla
bisca, quando si scopre cosa distingue
Cosmo dai gangster: la sua disinvoltura
verso il denaro, corroborata dall’afferma-
zione che si tratti solo di “pezzi di carta”.
Questa argomentazione è poi amplificata
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