La Copertina d'Artista - Dicembre 2016

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La Copertina d'Artista - Dicembre 2016
La Copertina d’Artista – Dicembre 2016

Raffaello Castellano (230)

Una donna androgina, ma estremamente sensuale ci osserva dalla
Copertina d’Artista di questo numero del nostro magazine. È una
strana figura di donna, ricorda, e molto, le prostitute dalla bellezza
cruda e livida dipinte da Egon Schiele. Ravvisiamo la stessa
poetica: donne intense, altere, sicure di sé, ritratti connotati da una
profonda indagine psicologica, un nudo asciutto e quasi tagliente.

Dappertutto aleggia un erotismo che pare sotteso, appena accennato, bisbigliato quasi, eppure
potente e travolgente nei suoi effetti. Non usciamo indenni dall’incontro con questa donna, il suo
guardarci, che pare diretto, in realtà ci attraversa, ci perfora; siamo attratti, avvinti e sedotti da
questa figura ed allo stesso tempo anche intimoriti da tanto crudo candore, da tanta spudorata
carnalità.

Ma quando ci riprendiamo dal primo incontro, così come avviene anche negli incontri della vita vera,
ed osserviamo più attentamente l’oggetto del nostro desiderio, pian-piano cogliamo altri particolari.
Uno fra tutti scopriamo che sul petto di questa donna, proprio quando comincia la curva del seno, si
trova un cuore palpitante. Questo particolare che dovrebbe conturbarci ancora di più,ed assestarci il
definitivo colpo di grazia, in realtà calma i nostri bollori e le nostre intemperanze riconciliandoci con
questa donna, questo incontro e noi stessi.
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Questa donna, Andrea è il suo nome, dalla sessualità disinibita, ma mai urlata, elegante, signorile,
cattura il nostro interesse e noi non possiamo fare altro che guardarla sperando che, prima o poi si
accorga di noi, e ci venga incontro. Opera quanto mai indovinata per il tema di questo mese del
nostro magazine che, come d’abitudine è “Simply the Best”. Andrea, passionale e altera allo stesso
tempo, coglie appieno lo spirito del tempo e la voglia di riscatto di tutte quelle donne che,
nonostante ingiustizie sociali, religiose e femminicidi, non smettono mai di ammaliare, sedurre e
amare questi esseri imperfetti chiamati uomini.

Non sappiamo, e come potremmo, quali sentimenti, quali ossessioni e quali inquietudini abbiano
accompagnato l’artista Domenico Ruccia mentre realizzava quest’opera, anzi mentre plasmava sulla
carta questa donna dal nome “Andrea”, l’unica cosa che possiamo fare è ringraziarlo per questa
sorta di “dissonanza armonica”, questa tensione erotica esistenziale, che riesce ad infondere nelle
sue opere, che smettono di essere solo belle per diventare esercizi di critica sociale.

Domenico Ruccia (classe 1986), nato a Terlizzi (BA), ha
studiato pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bari.
Nel 2016 svolge un periodo di studi all’estero in Croazia,
presso l’Accademia di Belle Arti di Zagabria, dove
l’incontro con la docente di Belle Arti, Ksenija Turčić, lo
sprona a sperimentare registri, tecniche e stili diversi.

La sua ricerca, partita dal figurativo, vive e attraversa, nell’ultimo periodo, fasi di profonda
sperimentazione. Il suo soggetto preferito è la natura umana e le sue molteplici sfaccettature, della
quale esplora fisicità, sentimenti, paure e ambizioni, così come sono percepite ed amplificate nel
nostro tempo.

Lavora come artista visuale ed illustratore, partecipando a diverse mostre ed eventi culturali in
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Italia ed all’estero; quest’anno le sue illustrazioni sono state esposte alla Brick Lane Gallery di
Londra.

Mostre recenti:

2016

“La pittura, ovunque”, Mostra di arte contemporanea dell’Accademia di belle arti di Bari, Convento
di Santa Chiara, Mola di Bari (Bari);

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“Works on paper”, Mostra di arte contemporanea, Brick Lane Gallery, Londra (Regno Unito);

“Esibizione annuale studentesca”, Mostra di arte contemporanea, Accademia di belle arti, Zagabria
(Croazia);

2015

“Distorsioni Visive”, Mostra di arte contemporanea, Palazzo de Mari, Acquaviva delle Fonti (Bari);

“Saperi & Sapori”, Mostra di arte contemporanea, Castello baronale di Valenzano (Bari);

2014

“Saperi & Sapori”, Mostra di arte contemporanea, Castello baronale di Valenzano (Bari).

Per informazioni e per contattare l’artista Domenico Ruccia:

domenicoruccia.com/it/

mail@domenicoruccia.com

Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile candidarsi
alla selezione della seconda edizione di questa interessante iniziativa scrivendo
La Copertina d'Artista - Dicembre 2016
alla nostra redazione: redazione@smarknews.it

Editoriale Dicembre 2016 – Ivan Zorico

Ivan Zorico (213)

  Anche quest’anno, puntuale come sempre, ecco arrivare la fine dell’anno.
  Il cosiddetto “tempo dei bilanci”. Come da consuetudine, in questo
  periodo, si sprecano articoli e servizi giornalistici che ci propongono il
  meglio ed il peggio dell’anno appena passato, in tutti i campi della vita
  sociale. E quindi giù con i servizi che raccontano l’anno politico: Brexit,
  l’elezione di Trump come Presidente USA, la caduta del governo Renzi, la
  morte di Fidel Castro; o che parlano di gossip, o, ancora, delle tante morti
  eccellenti del campo della musica e dell’arte. E chissà quanti ancora, per
  tutti i gusti. Noi, e non poteva essere altrimenti, vi proponiamo un viaggio
  tra social network che ci hanno fatto compagnia.

Ma, come scrissi un anno fa, noi tutti abbiamo due vite: una sociale ed una personale.
Se quindi tanto si sta dicendo sulla vita sociale, credo che in questo caso sia opportuno soffermarci
sull’altra. Quella più importante e che ci riguarda direttamente. La nostra di vita, in sostanza.
365 giorni sono tanti e, di cose, ne sono successe. Momenti felici e momenti tristi. Progetti
messi in cantiere, o accantonati in attesa di tempi migliori, e progetti portati a termine. Progetti che,
delle volte, prendono il nome di “desideri” e di “sogni”. Quelli che, in definitiva, ci regalano la gioia
di vivere.

Ma tutto ciò, salvo straordinarie eccezioni, non accade per caso. Per arrivare a vivere quel
singolo giorno chiamato “soddisfazione”, bisogna necessariamente passare dai tanti precedenti
chiamati, a seconda delle circostanze, “impegno”, “fatica” e “perseveranza”.
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E, come sappiamo, non è un percorso facile. Tante sono le distrazioni e gli impedimenti (di varia
natura) che, di volta in volta, si frappongono tra noi e ciò che desideriamo ottenere. A mio parere,
per raggiungere gli obiettivi che ci prefissiamo, o a cui semplicemente tendiamo, occorre avere tre
punti fermi: avere le idee chiare, essere determinati ed avere la capacità di vedersi e
proiettarsi nel futuro. I primi due ci servono per sapere sempre cosa vogliamo, mentre, il terzo
punto, ci serve per immaginare noi stessi a termine del percorso intrapreso. Avere ben
rappresentata nella nostra mente l’idea di un “se stesso” realizzato, ci darà la forza per continuare a
migliorarci e ad inseguire con entusiasmo i nostri sogni.

Come potrete vedere, vi ho parlato di futuro e non di passato. Di prospettive e non di
recriminazioni.
Questo è il mio augurio. Proiettiamoci nel nuovo anno con tutta la forza che abbiamo, impegnandoci
a fare davvero esperienza del nostro vissuto, non rinnegando niente, e puntando diritti alla nostra
felicità. Non una felicità uniformata, ma la nostra.

Buon anno a tutti e buona lettura.

                                                                                           Ivan Zorico

2016: il viaggio tra i social media che ci
hanno fatto compagnia

Cristina Skarabot (39)
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Sta per concludersi un anno davvero caldo dal punto
di vista della navigazione in Internet e utilizzo dei
social media, un anno che – come dimostrano i dati
del Report “Digital in 2016” – ha visto l’aumento
del 6% degli utenti attivi su internet e di ben 2
milioni degli utenti che accedono ai social media da
smartphone rispetto al 2015.

Per quanto riguarda la penetrazione dei social media in Italia, Facebook gioca ancora un ruolo da
padrone con una penetrazione del 33% ed è seguito da Whatsapp e Facebook Messanger – tutti e
tre parte del grande ecosistema social creato da Mark Zuckerberg). Passa dal 6 al 12% la
penetrazione di Instagram e stessi numeri registra Twitter, anche se ancora maggiormente
apprezzato oltreoceano.

Concludiamo la panoramica con alcuni dati legati all’acquisto online con il 56% degli utenti che
cerca in rete informazioni sui prodotti prima dell’acquisto e un 48% di persone che hanno fatto un
acquisto online negli ultimi 30 giorni (di cui il 23% da mobile).

Qualche dato a livello mondiale? Facebook si conferma come il canale social maggiormente
utilizzato, con ben 1,5 miliardi di utenti attivi seguito da Instagram che ne conta 400 milioni e
Twitter a quota 320 milioni. Cresce anche l’uso dell’instant messaging con Whatsapp che conta 1
miliardo di utenti attivi contro i 600 milioni di un anno fa e Facebook Messanger che è passato da
500 a 800 milioni. In crescita costante anche il più nuovo Snapchat che è passato da 100 a 200
milioni.

Una passione per i social media che sembra essere quindi globale e tutt’altro che destinata a
diminuire, ma esiste spazio per nuove piattaforme social in grado di competere con Facebook,
Twitter, Instagram? La risposta può sembrare banale ma è si in quanto non manca lo spazio, non
mancano le risorse, non mancano le idee. Quello che manca è forse la capacità degli utenti di
investire altro tempo quotidiano nella gestione di una ulteriore piattaforma.

Quello che si è notato negli ultimi anni piuttosto è stato che quando nel panorama dei social media si
presenta una grossa novità, come è accaduto nel 2016 con Snapchat, è ormai certo che presto o
tardi passerà nelle mani dei big player che ne diventeranno innovatori e promotori. Una tendenza
questa che concentra il dominio dei social media nelle mani dei soliti noti con maggiore
potenza economica a scapito della ricchezza mentale dei player più piccoli e innovativi.
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Sicuramente lo scenario dei social media non è mai definitivo e canali che hanno vissuto un
boom nei primi anni, parliamo quindi dal 2008, oggi sono scomparsi o hanno conosciuto dei
rallentamenti. Se nel 2011 l’ambiente era poco affollato e dominavano Pinterest e Google+ con pochi
social pensati nella versione mobile e Instagram alla prima release oggi dominano invece le
ChatApp come Snapchat, Whatsapp e Telegram. Inoltre i social del periodo 2008-2011 non erano
studiati per il business e non si parlava ancora di social media marketing, almeno in Italia.

Il 2016 che sta invece per concludersi ha visto
un’ulteriore crescita dei social media come reti
per il business con un aumento degli investimenti
delle aziende in campagne sponsorizzate su
Facebook, Linkedin, Twitter e Instagram. Oggi le
aziende sentono fortemente la necessità di essere
presenti su ogni canale, fornire all’utente
l’informazione che cerca e creare una relazione
continua.

Nessuna azienda è competitiva se non è sui social media e questa regola vale ormai per tutti, dal
libero professionista alla PMI alla grande multinazionale. Cosa ci riserverà l’anno che sta per
cominciare? Lo scopriremo mese per mese, perché quando si parla di social media si parla di un
mondo in costante fermento…

Professionisti del web…il settore che non
conosce disoccupazione!

Stefania Alvino (43)

  Esperti di digitale e nuovi ruoli aziendali sono il futuro delle opportunità lavorative
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Da grande vorrei fare il pompiere, l’astronauta, la
ballerina…

Mestieri normali, comuni che qualsiasi bambino a scuola indicava nel tema alle elementari. Ma poi si
cresce, i tempi cambiano e si scoprono lavori nuovi, sbocchi ed opportunità diverse e, quelle che ti
sembravano le professioni del futuro,una volta diventato grande sono, invece, meno affascinanti
delle tante nuove opportunità che cercando si possono trovare.

Questo 2016 si chiude con un segno meno per quanto riguarda l’occupazione, uno degli anni più
critici per il lavoro soprattutto per i giovani, definiti man mano generazione 1000 euro, bamboccioni,
disperati …

E’ vero, i tempi che viviamo non sono certo rosei, non sono quelli dell’ambito posto fisso delle
vecchie generazioni, ma per chi ha saputo vederci lungo e cavalcare l’onda, vi è l’imbarazzo della
scelta e delle nuove occasioni, perché la nuova frontiera digitale di spazio ne sta dando molto e la
vera difficoltà non è trovare un lavoro, ma essere preparati per svolgerlo.

F
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n
t
e
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U
p
grademe.

Digital Marketing Manager, Social Media Manager, E-commerce Manager, Digital Project Manager,
Digital PR, Multichannel Manager, Community Manager etc … la nuova avventura da intraprendere
per chi ha voglia di lavorare divertendosi, per chi conosce la rete, per chi ama “giocare” con il
digitale, essere all’avanguardia, cogliere le sfide, desideroso delle novità c’è, bisogna saper
coglierle!

Le chiamano professioni del web o 2.0 ma in realtà non sono null’altro che adattamenti di
professionalità con in più l’utilizzo di tecnologie e strumenti evoluti, così come è evoluto il tempo.

Ruoli strategici per team multifunzionali con obiettivi definiti allo scopo di portare innovazione per
creare e contribuire a potenziare le relazioni creando una comunicazione efficace anche virtuale;
progetti innovativi, idee originali, soluzioni di nicchia per un mercato sempre più esigente, servizi e
prodotti nati da menti creative, aperte verso l’orizzonte. Figure complesse che richiedono una
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formazione e conoscenze polivalenti abbracciando varie professionalità.Il digital marketing è un
settore in crescita che include molte competenze peraltro in continua evoluzione: SEO, Online
Advertising, Digital PR, Blogging, Social Media, Email Marketing, Content Marketing, Web Analytics
e per ciascuna di queste vi sono vere e proprie professionalità specialistiche che si stanno facendo
strada, ritagliandosi fette di mercato sempre più ampie.

L’Italia, certo, non è paragonabile agli USA o alla
vicina Inghilterra dove da dieci anni, ormai, si parla
digitale…Come in tutte le aree oltre oceano ed oltre
Manica arrivano gli spunti, si captano le possibilità e
con qualche anno di ritardo acquisiamo anche noi
capacità e conoscenze per metterle in pratica
brillantemente.

Il terreno, ormai, è spianato, le aziende sono pronte ad accogliere il cambiamento e molte di loro
si stanno già attrezzando. Non resta che sentirsi pronti ad affrontare una nuova sfida e crederci fino
in fondo, queste le prime due leve fondamentali per fare di questa passione una professione.

Il meglio e il peggio del cinema italiano
nel 2016
Il 2016, appena andato negli annali, è stato un anno
importante per il cinema italiano. Tanti film di
qualità, anche nel genere comico, in decisa ripresa.
Non mancano, però anche “cagate pazzesche”, per
citare e omaggiare Paolo Villaggio e i suoi
ottant’anni di vita compiuti proprio nel 2016. L’anno
era iniziato con l’exploit, annunciato, previsto, di
Checco Zalone e del suo Quo vado, campione di
incassi della scorsa stagione. Un film rispettabile,
per carità, perché l’attore pugliese è senza ombra di dubbio, un esteso fenomeno di massa e
rappresenta lo specchio dei tempi attuali, ma la qualità, anche comica, è un’altra cosa. La qualità è
quella di “Perfetti sconosciuti”, film di Paolo Genovese, vera rivelazione dell’annata. Una stupenda e
amara parabola sui falsi miti della società odierna, dipendente cronica degli smartphone, dei social e
di tutte le aberranti diavolerie elettroniche, che ci hanno resi degli automi e sui quali celiamo tutta
la nostra vita e i nostri segreti più intimi, anche quelli inconfessabili.
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E’ la grandezza di questo film, commedia all’italiana
che di più non si può, sorretto da un cast funzionale e
molto affiatato: Valerio Mastrandrea ( che è come il
vino, più passa il tempo e più migliora ), Edoardo
Leo, Marco Giallini, Kasia Smutniak, Anna Foglietta.
David di Donatello a maggio scorso, come miglior
film dell’annata 2015/2016, rimane una delle
pellicole chiave degli ultimi 5 anni, dalla quale non si
può prescindere per capire l’evoluzione del nostro
cinema. Miglior film dell’anno, votato dai membri del
Sindacato dei Critici cinematografici italiani, è risultato invece essere, “Fai bei sogni” di Marco
Bellocchio, tratto dall’omonimo romanzo autobiografico scritto dal giornalista Massimo Gramellini.
Storia di un’assenza, di un sorriso negato, di una nostalgia bruciante, come la perdita di una mamma
avvenuta in età infantile. Un peso, un lutto che ci si porta per tutta la vita, anche se si diventa
grandi, professionisti e affermati. Strepitoso Valerio Mastrandrea. Sarà un caso che i due migliori
film dell’anno siano interpretati entrambi da lui?

E’ questa la qualità che deve inseguire il cinema italiano, ancora e
sempre nell’ambito della commedia realista, che fa parte del
nostro Dna. Stakanovista dell’annata è stato invece, Vincenzo
Salemme, in sala con ben tre film: “Se mi lasci non vale”, “Prima
di lunedì” e “Non si ruba a casa dei ladri”. Nel primo è anche
regista, il secondo è francamente mediocre, il terzo rasenta la
perfezione. Lui comunque è un Maestro della commedia, e come
lui al giorno d’oggi, davvero ce ne sono pochi. Forse nessuno.
Questo è stato anche l’anno del docu-film girato a Lampedusa di
Gianfranco Rosi, Fuocoammare, pluriapprezzato a livello
internazionale e vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino e
dell’Oscar europeo come miglior film; e del ritorno al cinema di
Carlo Verdone e Antonio Albanese, “strana” coppia, tanto bizzarra
da funzionare, nel film “L’abbiamo fatta grossa”.

Due autentici leoni del nostro cinema, che piacere vederli insieme. Esattamente come Margherita
Buy e Claudia Gerini, buffa coppia nella commedia Nemiche per la pelle. Sopra ogni più rosea
previsione, nella scorsa annata spicca Lo chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti, superhero
movie classico, con la struttura, le finalità e l’impianto dei più fulgidi esempi indipendenti
statunitensi. Pensato come una “origin story” da fumetto americano degli anni ’60, girato come un
film d’azione moderno e contaminato da moltissima ironia che non intacca mai la serietà con cui il
genere è preso di petto, Lo chiamavano Jeeg Robot, si issa probabilmente come il miglior film
fantasy della storia del cinema italiano. Un genere, dobbiamo dire la verità, mai troppo a proprio
agio nel nostro cinema. In mezzo a tanti film riusciti, ce ne sono altri, che alla seconda, terza o
quarta visione acquistano spessore: è il caso di Assolo, di Laura Morante; La corrispondenza di
Giuseppe Tornatore; e Onda su onda, di Rocco Papaleo, con Alessandro Gassman e lo stesso Rocco
Papaleo, amaro rifacimento del Gaucho con Gassman padre.

Film non particolarmente apprezzati inizialmente, ma che si lasciano vedere e capire profondamente
nel loro significato intrinseco, con il passare del tempo. Pellicole che hanno bisogno di essere
elaborate, col tempo. E poi arriviamo alle noti dolenti: su tutti “Un Natale al Sud”, con Massimo
Boldi, Enzo Salvi, Biagio Izzo e una improponibile Anna Tatangelo attrice, il film più brutto e
insignificante della storia del cinema italiano. Boldi ormai è cotto, Enzo Salvi è fuori tempo massimo,
Biagio Izzo arranca non sorretto da un copione valido e Anna Tatangelo è bona, ma è meglio che
faccia solo la cantante. Di bassissimo livello anche i corali “Forever Young”, “Un paese quasi
perfetto” e “I babysitter”. Notevoli invece i film di Natale, i cosiddetti cinepanettoni, finalmente
gustosi e divertenti. Splendido “Poveri ma ricchi”, tratto dalla commedia francese “Les touche”, e
interpretato da Christian De Sica, Enrico Brignano e Lucia Ocone. La dimostrazione lampante che
quando Christian De Sica è utilizzato al meglio delle proprie potenzialità, è sempre il comico italiano
più grande degli ultimi 20/30 anni, per ritmo, per tempi comici, per vis comica dilagante. Riuscito
anche il classico cinepanettone della “Filmauro”, “Natale a Londra”, quello con Lillo & Greg. Forse
un po’ confusionario, ma la coppia ( che grandi ) vale il prezzo del biglietto.

Un piacere vedere anche il ritorno al cinema di Aldo,
Giovanni & Giacomo, mai dimenticati e sempre molto
apprezzati un po’ da tutti. Il loro Fuga da Reuma-
Park è un apologo amaro sulla vecchiaia che merita
ben più di una fugace occhiata. Concludiamo con
un’affettuosa menzione speciale al nostro Uccio De
Santis, che nell’annata 2016, ha finalmente ottenuto
la definitiva consacrazione cinematografica,
smentendo quelli che non credevano che lui potesse
mai diventare una faccia da cinematografo. A 50 anni
appena compiuti non solo è stato nelle sale con il suo
secondo lungometraggio da protagonista, Mi rifaccio il trullo, delicata pellicola con il cast storico del
Mudù; ma è stato co-protagonista anche ne La cena di Natale al fianco di Riccardo Scamarcio e
Laura Chiatti; e soprattutto nel cine-panettone natalizio “Natale a Londra”, con attori affermati come
Lillo & Greg, Nino Frassica, Paolo Ruffini e il “pasoliniano” Ninetto Davoli. E al loro cospetto non ha
affatto sfigurato.

Insomma l’annata appena conclusa ha segnato più luci che ombre, con un incremento di presenze al
cinematografo che ha segnato un 12% in più rispetto al 2015, che diventa del 19% se rapportato al
2014. Dati confortanti, interessanti, significativi, i quali fanno certamente bene al futuro del nostro
cinema, che dopo anni problematici sta andando verso la direzione giusta. Con qualità, idee
innovative e spirito di gruppo.
Non è Natale senza i film che da sempre ci
fanno sognare

I bambini da qualche anno a questa parte sono abituati a film d’animazione sempre più coinvolgenti
e realistici, così andare al cinema diventa per loro (ma anche per gli adulti) un’esperienza ancor più
avvincente. Guardare i protagonisti che presto diventeranno i loro eroi, i loro favoriti tra milioni di
nuovi personaggi è sempre più magico ed appassionante. La magia è sicuramente favorita dalle
tecniche di animazione che migliorano in maniera velocissima di anno in anno e che i registi,
ovviamente, sfruttano al meglio per catturare l’attenzione dei ragazzi ed incollarli agli schermi. I film
in 3D sono ormai i preferiti tra tutti i film d’animazione e di fantascienza proposti, per vivere al
meglio le emozioni che il grande schermo può regalare.

E quale momento migliore se non il Natale per condividere con tutta la famiglia un capolavoro di
effetti speciali formato gigante? Sicuramente non sono da condannare i prodigi della tecnologia, ma
“vuoi mettere i bei film di una volta?” (il tanto temuto momento “I remember” è arrivato). Sì, voglio
mettere i film di una volta, li voglio proprio mettere nel videoregistratore e vedere e rivedere a
ripetizione, dall’Immacolata all’Epifania. Il cinema natalizio dei bambini degli anni ’80/’90 parlava di
ragazzini abbandonati soli a casa per le feste, di sogni di riscatto sociale ed economico, di milionari
messi a fare i conti con la propria coscienza, insomma, parlava una lingua semplice, fatta di
emozioni, calata nella quotidianità e nella realtà, anche quando parlava di piccoli mostri ricevuti in
dono per Natale. Le feste natalizie degli anni ottanta e novanta sono, in maniera sacrosanta,
rappresentate da maratone televisive, che sempre ci porteremo nel cuore e che ancora oggi
bramosamente cerchiamo nel disperato palinsesto delle emittenti televisive.

Quando quest’ultime non ci vengono in aiuto, ci si attacca allo streaming o ai dvd, versione moderna
di quelle famose vhs registrate con maestria dalla tv, facendo meticolosamente attenzione a premere
STOP per non registrare le pubblicità e a ripremere subito REC quando ricominciava il film.
Insomma, qualunque siano i vostri mezzi, i film del Natale per eccellenza, duri a morire, partono dai
lontani anni sessanta. L’immancabile film trasmesso sempre la sera della vigilia di Natale è “Mary
Poppins”, classico del 1964 diretto da Robert Stevenson, la storia di una tata, scesa dal cielo in casa
Banks, interpretata da Julie Andrews che, tra bizzarie e canzoni diventate tormentoni
(“Supercalifragilistichespiralidoso” e “Un poco di zucchero”), riporterà in casa la serenità. Un film di
Natale che ha molto in comune con Mary Poppins è “Pomi d’ottone e manici di scopa” del 1971;
entrambi i film sono prodotti dalla Walt Disney, entrambi diretti dallo stesso regista e realizzati con
la stessa tecnica, la “tecnica mista”, che cinematograficamente indica la compresenza di attori reali
(live action) e personaggi animati.

Inoltre una delle attrici candidate ad interpretare il ruolo di Mary Poppins era Angela Lansbury (la
famosa Signora in giallo), diventata poi la protagonista di questo film, in cui interpreta Eglantine
Price, un’apprendista strega a cui vengono dati in custodia tre bambini, per proteggerli dai
bombardamenti tedeschi sulla città di Londra; ben presto la quasi strega e i suoi tre piccoli amici si
ritroveranno in viaggio per cercare un libro di formule magiche. Sempre del 1971 è il famosissimo
“Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato” del regista Mel Stuart (Tim Burton realizza il remake “La
fabbrica di cioccolato” nel 2005), storia di cinque fortunati ragazzini che hanno l’onore di entrare
nella fabbrica del re del cioccolato, il signor Wonka, ma solo l’umile (di rango e di animo) Charlie
arriverà intatto alla fine della visita e diverrà l’erede di Willy Wonka, intepretato magistralmente
dallo scomparso Gene Wilder.

Non è Natale senza il passaggio in tv di “Una poltrona per due”, esilarante commedia diretta da John
Landis nel 1983, con protagonisti due icone dei film anni ottanta, Eddie Murphy e Dan Aykroyd, la
cui identità viene scambiata per una scommessa, da due facoltosi fratelli, al fine di capire se sia
l’ambiente a determinare gli atteggiamenti di un uomo o la predisposizione genetica.

Tornando ai classici Disney, nel 1983 esce il cortometraggio animato “Canto di Natale di Topolino”,
del regista Burny Mattinson, ispirato al racconto “Canto di Natale” di Charles Dickens del 1843,
dove il ruolo del protagonista Ebenezer Scrooge è affidato a Paperon de’ Paperoni. Scrooge è un
avaro finanziere londinese senza cuore che disprezza il Natale, ma che dopo aver ricevuto la visita di
tre spiriti (spirito del Natale passato, presente e futuro), cambia il suo modo di vivere e di
rapportarsi con chi lo circonda. Questo particolare personaggio nato dalla penna di Dickens è stato
interpretato al cinema da numerosi attori, tra cui Bill Murray in “S.O.S. Fantasmi” (1988) e Jim
Carrey in “A Christmas Carol” (2009), film d’animazione in 3D. L’appena citato “S.O.S. Fantasmi”,
del regista Richard Donner, è anch’esso un cult del periodo natalizio, con un meraviglioso Bill
Murray, che interpreta un cinico direttore di un network televisivo, che cerca di raggiungere l’apice
della propria carriera preparando per la vigilia di Natale, un musical dedicato, appunto, al romanzo
breve “Canto di Natale”.

Del 1984 due film entrati per sempre nel cuore dei
bambini: “La storia infinita” e “Gremlins”. Il primo,
un fantasy del regista tedesco Wolfgang Petersen, è
la storia del piccolo Bastian che rivive, leggendola, la
favola “La storia infinita”, trovata per caso in una
libreria, identificandosi con il protagonista Atreyu,
giovane arciere in un mondo fantastico popolato da
strane creature; il secondo, del regista Joe Dante,
narra la storia di Billy, che per Natale riceve in dono un mogwai, un bizzarro innocuo animaletto,
con tre semplici regole da rispettare per allevarlo, regole che saranno tragicamente trasgredite,
dando vita agli orribili Gremlins.

In uno scenario di perfetto mix tra fantasy e horror non poteva mancare il re del cinema dark-
fiabesco (d’animazione e non), il regista Tim Burton, che nel 1990 ci regala la favola drammatica
“Edward mani di forbice”, film da cui parte il sodalizio storico con l’attore Johnny Depp. La pellicola,
ispirata al romanzo “Frankenstein” di Mary Shelley, è la storia di Edward, un essere umano
artificiale, creato da un inventore che non riuscì a completarlo, lasciandolo con delle forbici al posto
delle mani.

Per l’aspetto del protagonista il regista si è ispirato al cantante Robert Smith, leader dei Cure. Tre
anni dopo Burton produce e scrive il soggetto di “Nightmare before Christmas” (1993), diretto da
Henry Selick, realizzato in stop-motion, tecnica con cui vengono create le immagini muovendo a
mano dei pupazzi, realizzando un fotogramma alla volta. Il film racconta la storia di Jack Skeletron,
re del paese di Halloween, che, stufo di dover sempre spaventare i bambini, trova per caso l’ingresso
al regno di Babbo Natale, che decide di rapire per sostituirsi a lui nella consegna dei regali, che
ovviamente saranno mostruosi.

Un capolavoro del 1990 è indubbiamente “Mamma ho perso l’aereo”, commedia americana del
regista Chris Columbus, campione d’incassi fino al 2011. E’ un film che ad ogni passaggio televisivo
continua sempre a fare un grande numero di spettatori, considerato, quindi, un cult non solo
natalizio; è la storia del piccolo Kevin dimenticato a casa dai genitori durante le vacanze di Natale
(la vicenda si svolge dal 22 al 25 dicembre), alle prese con due ladri che cercherà in tutti i modi di
tenere lontano dalla sua casa. Visto il grande successo di pubblico, vengono girati ben quattro
sequel, ma l’unico che riprende la storia con gli stessi attori negli stessi ruoli è “Mamma ho riperso
l’aereo: mi sono smarrito a New York” (1992), dello stesso regista, sequel all’altezza del primo
episodio, che riscuote un enorme successo, ma senza raggiungere il primo film. Questa volta Kevin
sbaglia aereo e mentre la sua famiglia arriva a Miami per le vacanze di Natale, lui arriva a New
York, dove incontra gli stessi ladri che desiderano ancora vendicarsi di lui.

La lista sarebbe ancora lunga, e con questo non voglio dire che i film per bambini di oggi non siano
belli, emozionanti e con storie di sentimenti reali, ma la certezza che tra molti anni saranno ancora
così amati e visti, proprio non riesco ad averla. Sono certa però, che in questi freddi giorni di pranzi
e regali, ognuno di noi ha avuto il desiderio di rivedere almeno uno di questi film, ancora trasmessi,
anche dopo cinquant’anni.
Natale a Londra - Il Film

Domenico Palattella (94)

Ai “Nastri d’argento” del 2015 Lillo & Greg si aggiudicarono il
“Nastro d’argento speciale” intitolato a Nino Manfredi con la
seguente motivazione: “per le loro indubbie qualità comiche, in
grado di elevare il livello delle commedie brillanti della nuova
commedia all’italiana, un auspicio a continuare su questa strada
cinematografica per gli impegni futuri”. Si iniziò dunque a
comprendere, che l’intuizione di Dino De Laurentiis di affidare il
Natale cinematografico a quella coppia così sofisticata, surreale,
che sembrava inizialmente poco adatta al cinema, non fu poi così
bislacca. Già i primi tentativi del 2012 e del 2013, “Colpi di
fulmine” e “Colpi di fortuna” ebbero riscontri positivi presso la
critica specializzata, grazie all’apporto della funambolica comicità
di Lillo & Greg, diventata oggi la “nuova” grande coppia del
cinema italiano.

Quel “Nastro d’argento” vinto nel 2015, si basa sull’interpretazione del film “Un Natale
stupefacente”(2014), il primo film autonomo della coppia dopo l’abbandono di Christian De Sica. Al
primo colpo Lillo & Greg fanno centro, il loro primo film come protagonisti assoluti è anche il primo
cine-panettone in grado di vincere un importante premio a livello nazionale, merito della ventata di
novità portata dal loro stile comico, lontano dalle volgarità imperanti del periodo, e con una comicità
intelligente ed efficace. Si badi bene, anche la critica specializzata, vorrebbe non si parli più di
cinepanettone, “non se questo significa un prodotto scadente: il fatto che i film interpretati da Lillo
& Greg, escano proprio sotto Natale e che parte dei loro film siano ambientati durante il Natale non
basta a ridurre il loro prodotto al mero ruolo di cinepanettone.

Le loro sono commedie ben scritte, ben interpretate, ben girate e ben montate, sopra la media del
film comico nazionale”. Anche la loro fatica successiva, quella del Natale 2015, ovvero “Natale col
boss”, aveva soddisfatto tanto la critica, quanto il pubblico, che ha risposto entusiasta, affollando le
sale e decretando il meritato successo di una coppia che si è guadagnata il suo spazio
cinematografico. “Natale col boss”, ottenne un considerevole successo di pubblico: secondo posto
assoluto della stagione 2015, con oltre 7 milioni di euro di incassi. Rinvigorito da questo successo De
Laurentiis, dopo alcuni anni di sperimentazioni, ha capito, che con la coppia a disposizione si può
anche osare di più, e così insieme al suo fido regista Volfango De Biasi, ha progettato per il Natale
2016, quei trasferimenti all’estero, tanto cari almeno fino a 10 anni fa. La nuova commedia di Natale
targata “Filmauro” si svolge infatti a Londra e porta il titolo di “Natale a Londra-Dio salvi la regina”,
una sorta di “Ocean’s Eleven” in salsa italiana. Ritmo serrato, trama ambiziosa, comicità verbale e
slapstick, sono gli ingredienti di questo film, arricchito da un cast variegato e ben assortito, anche se
forse un po’ troppo affollato. La trama è presto detta, ed è quella di rapire i cani della regina
intrufolandosi dentro Buckingham Palace per pagare un debito con un noto boss londinese, un plot
degno dei migliori action comedy americani.

E infatti l’omaggio al genere action comedy americano funziona bene grazie a Lillo e Greg, Nino
Frassica, Ninetto Davoli, Uccio De Santis e Vincent Riotta, attori con la giusta verve per essere
divertenti tanto individualmente quanto nel quadro della parodia. Allo stesso modo Paolo
Ruffini e Eleonora Giovanardi interpretano gli opposti che si attraggono, lui uno sous chef senza
palle, lei una donna che non le manda a dire. Capofila dell’operazione rimangono però Lillo & Greg,
che come lo scorso anno sono anche autori del film, e non ci si sorprenda più di tanto, la loro è una
coppia abituata in teatro e in radio a scriversi i testi da sè. Il che dimostra come Lillo & Greg non
abbiano soltanto tempi comici perfetti, dato dal loro ventennale affiatamento, ma abbiano dietro di
sè solide basi comico-culturali, per innovare ed innervare finalmente il genere comico all’italiana con
stile ed eleganza…e tutto ciò con l’appoggio ( inusuale ) della critica contemporanea. “Natale a
Londra”, quindi, nonostante metta forse troppa carne al fuoco, regge l’impianto farsesco, e
soprattutto fa una cosa fondamentale, che lo eleva dalla mediocrità dilagante a buon film, non cede
mai alla tentazione dell’idiozia e assolve il suo compito: diverte senza volgarità spicciole e fini a se
stessi.
Del film rimangono anche alcune scene dal forte impatto comico: le gag visive di Lillo & Greg, la
guerra psicologica che vede coinvolto Greg dinanzi ad uno specchio, tra la parte onesta e naif di sé
con quella più scafata e criminale; i calembour verbali di Nino Frassica; e una nostalgica scazzottata,
omaggio tutt’altro che velato a Bud Spencer e Terence Hill. Mi si permetta, in conclusione, una
menzione piena di affetto per il “nostro” Uccio De Santis, che a 50 anni arriva finalmente al successo
cinematografico a carattere nazionale. E’ qui il tecnico dell’operazione furtiva, e diverte, trovando il
suo spazio, con alcune battute tipiche del repertorio comico pugliese, fatto di freddure repentine e
salaci giochi di parole.

Poveri ma ricchi - il Film

Domenico Palattella (94)
La classica sfida del Natale italiano quest’anno ha un netto
vincitore il quale risponde al nome di De Sica. Sì, proprio lui,
ancora e sempre Christian, da 30 anni uomo e attore del Natale
italico per eccellenza. “Poveri ma ricchi” è la dimostrazione,
oseremmo dire finalmente, che Christian De Sica quando è
utilizzato al meglio delle proprie potenzialità, è sempre il comico
italiano più grande degli ultimi 20/30 anni. Non ce n’è per
nessuno, ma deve avere un buon soggetto dietro di sé. E
quest’anno il solido soggetto dietro, c’è tutto. Il merito di questa
efficace struttura narrativa è dato dal film francese cui è tratta la
pellicola italiana, ovvero “Les touche”, enorme successo in terra di
Francia.

Ricorrendo agli estremi patrimoniali, Fausto Brizzi, il regista, mette in scena una commedia in cui i
poveri diventano ricchi, conoscono i ricchi veri e, anche se i soldi proprio schifo non fanno, forse era
meglio quando si stava peggio. L’adattamento italiano di Poveri ma ricchi mantiene il cognome dei
protagonisti italianizzato in Tucci e il look del capofamiglia interpretato da Christian De Sica. Al
fondo c’è la spocchia contro i provinciali della cintura romana, ma è una spocchia ben indirizzata a
scopo comico e molto meno greve del solito, ed è controbilanciata da una grande tenerezza nei
confronti di questi scombinati animati da buone intenzioni e da un affetto palpabile. Quel che più
conta, si ride tanto, a pioggia, ritrovando l’umorismo “etnico” della commedia all’italiana e
trapiantandolo in una contemporaneità di cui si raccontano i limiti più che le lusinghe. Forse perché
siamo tutti un po’ diventati come i Tucci, cioè privi di benessere ma desiderosi della nostra fetta di
felicità, possiamo riconoscerci in loro e allo stesso tempo sorridere della loro cafonaggine.

Più di tutto funziona la squadra di attori comici italiani finalmente serviti da una trama degna di
questo nome e da dialoghi veramente spiritosi e non del tutto scollati dalla realtà: dai cognati
Christian De Sica ed Enrico Brignano all’ottima Lucia Ocone e la divina Anna Mazzamauro, dal
mitico Bebo Storti allo spassoso Giobbe Covatta al commovente Ubaldo Pantani, maggiordomo che
rimanda all’adorabile Coleman di Una poltrona per due. Anche Poveri ma ricchi rischia di diventare
un cult natalizio, ma all’italiana e in quota cinepanettone: un panettone ben lievitato e zeppo di
canditi che lascia un buon sapore in bocca. Un sapore da commedia all’italiana, quasi d’altri tempi.
Infatti Brizzi parla di un’Italia in cui la ricchezza si tende a nasconderla perché in generale attira
sospetto, malevolenza e invidia. La denuncia sociale di quello che siamo, è questa la commedia
all’italiana che ritorna, dopo anni, forse decenni di oblìo. Il motivo principale della fuga dei Tucci,
che dalla provincia di Roma traslocano nella ricca Milano pensando di trovare il loro nuovo habitat, è
proprio la maldicenza e l’invidia della gente. L’anonimato non dura perché chi si arricchisce di
sdegno perisce. I veri ricchi guardano la cafonaggine di questi zoticoni con disgusto, anche perché
secondo il regista la moda attuale di chi può permettersi la bella vita è basso profilo e salutismo.

Poveri ma ricchi omaggia i tanti Vacanze di Natale degli anni 80 e 90, di cui negli anni 2000 lo
stesso Brizzi e il co-sceneggiatore Marco Martani presero in eredità scrivendone i copioni. Il film
riprende quella comicità fatta di situazioni, cliché e bravi interpreti. De Sica è sempre esilarante e
finalmente è un capo-famiglia con la testa sulle spalle, come lo è Brignano, ma a strappare applausi
è soprattutto Lucia Ocone la cui cafoneria è davvero di lusso. Netto vincitore del Natale 2016,
surclassata la concorrenza, con un prodotto meglio del solito, che Cinepanettone non è, bensì
commedia all’italiana a tutti gli effetti. Proprio come ha voluto sottolineare Christian De Sica, non a
torto, durante la conferenza stampa di presentazione del film.

Miss Peregrine - La casa dei ragazzi
speciali - Il Film

Simona De Bartolomeo (52)
Il romanzo “La casa per bambini speciali di Miss Peregrine” dello
scrittore americano Ransom Riggs, dopo la fortunata invasione
delle librerie, ispira l’ultimo film del regista Tim Burton “Miss
Peregrine – La casa dei ragazzi speciali”
(www.youtube.com/watch?v=2J2-2KAzK38), uscito nelle sale il 15
dicembre 2016. Non è la prima volta che il regista ci regala una
favola dark per le feste di Natale, ricordiamo “Edward mani di
forbice” nel 1990 e “Nightmare before Christmas” da lui scritto e
prodotto nel 1993, film diventati cult del periodo natalizio.

Nel cast di Miss Peregrine attori come Samuel L.Jackson, Judi Dench, Rupert Everett, Asa
Butterfield, appena diciannovenne, già protagonista di molte famose pellicole, tra cui “Hugo Cabret”
di Martin Scorsese e l’ipnotica Eva Green, alla sua seconda collaborazione con Tim Burton, dopo
“Dark Shadows” del 2012, che pare aver preso il posto di Johnny Depp, attore feticcio del regista
americano. La storia racconta del timido adolescente Jacob, che ha difficoltà a farsi degli amici e a
rapportarsi con i genitori, cresciuto col nonno Abraham, che riuscì a sfuggire alle persecuzioni
naziste e fu accolto in un orfanotrofio. Jacob vede in suo nonno un punto di riferimento e ascolta le
bizzarre storie sul suo passato e su una certa Miss Peregrine ed i suoi bambini speciali, dotati di
strane peculiarità. Alla misteriosa e improvvisa morte del nonno, Jacob sconvolto vuole indagare
sulle cause della sua scomparsa e cercare tracce di quella casa fantastica, che ospitava i ragazzi di
cui il nonno conservava vecchie fotografie al limite del credibile.

Parte con il padre per questo viaggio in un paesino del Galles e presto si accorge che tutti i racconti
del nonno erano reali, trova la casa di Miss Peregrine e tutti i bambini: Emma, una ragazza capace di
fluttuare nell’aria; Millard, un ragazzo invisibile; Fiona, con la capacità di comandare le piante;
Horace, con il dono dei sogni premonitori che proietta su uno schermo; i gemelli, completamente
coperti da un inquietante costume bianco; Bronwyn, una bambina con una forza mostruosa; Hugh,
un ragazzo con delle api che vivono dentro di lui; Olive, capace di controllare il fuoco; Claire, una
dolce bambina con un’enorme bocca dietro la testa ed infine Enoch, un ragazzo che sa donare la vita
ad ogni oggetto.
Miss Peregrine è una Ymbryne, creatura capace di governare il tempo e creare anelli temporali, per
proteggere gli “speciali”, che, infatti sono intrappolati in un’eterna giovinezza, nel giorno 3
settembre 1943, un giorno “tutto sommato” tranquillo. La ymbryne ha il compito di proteggere i
bambini da malvagie creature chiamate Vacui, capitanati da Mr.Barron, che vogliono impossessarsi
dei loro occhi. Rispetto al romanzo il regista, pur seguendo sempre la storia originale, ha apportato
numerose modifiche, tutte approvate dallo scrittore Riggs. Due tra tutte: i poteri delle speciali Emma
e Olive per il film sono state scambiate e il personaggio di Mr. Barron è stato creato appositamente
per il film, per creare una maggiore tensione e con la sua caccia spietata agli occhi dei bambini, ha
sottolineato ancor di più quel significato che l’immagine dell’occhio ha spesso richiamato in molti
film, il simbolo dello sguardo dello spettatore e della sua attenzione verso lo schermo (ricordiamo
“Un cane andaluso” di Luis Buñuel).

Il regista in questa pellicola cita spesso se stesso, non solo in un lontano richiamo alla trama di un
suo altro film “Big Fish – Le storie di una vita incredibile” (2003), ma anche nella scena nel giardino
di Miss Peregrine, dove c’è una siepe a forma di dinosauro, che cita le creazioni di “arte topiaria” di
Edward mani di forbice. Burton verso la fine del film appare anche in un cameo, nella scena del luna
park. Mi piace pensare, inoltre, che nella scena in cui Jacob aiuta Emma a non volare via tenendola
con una corda, ci sia una citazione al quadro “La passeggiata” del pittore Marc Chagall. Questa
pellicola non è stata accolta molto positivamente dalla critica e dal pubblico, che accusa Burton di
essersi abbassato al cinema commerciale, fatto solo di effetti speciali, di aver perso la magia dei suoi
capolavori passati e di aver lasciato da parte le emozioni.

Eppure in quella “spaventosa Mary Poppins” (così ha definito il regista il personaggio di Miss
Peregrine) e in quegli scenari dark e fiabeschi (una su tutte la scena sott’acqua), io ritrovo il Tim
Burton che abbiamo sempre amato, il regista che ha sempre saputo raccontare storie di creature al
limite della realtà, diversi agli occhi della società, speciali e particolari, ognuno a suo modo. La
sensazione di essere “particolare” Burton la conosce molto bene e riesce ad esprimerla con tutta la
poesia che lo caratterizza, proprio perché sin dall’infanzia ha vissuto questa condizione di bambino
un po’ diverso dagli altri, solo perché appassionato di film di mostri e non facilmente catalogabile
come gli altri ragazzi.
Il messaggio che il regista vuole comunicare con
quest’opera si evince dalle sue parole: “Per me era
importante che questi bambini speciali fossero
principalmente bambini con tutte le loro emozioni, il
loro disagio, i propri sogni e paure…Essere diversi
oggi è forse ancora più difficile perché chiunque può
dire quello che vuole contro di te: esiste un bullismo
senza nome e senza faccia che mi disturba moltissimo.
La tecnologia…ha limitato la possibilità di apprezzare
quello che viviamo…non godiamo il presente perché lo
viviamo mutuato da un telefono. I ragazzi di oggi
valutano se stessi dal numero di like che ottengono su
Facebook e questo è triste e allarmante”.

La frase promozionale del film è stata “Stay peculiar” e credo che da sola basti a cogliere tutto ciò
che c’è di “speciale” in questa storia.

Una poltrona per due: 5 curiosità!

  È il film per eccellenza della vigilia di Natale: “Una poltrona per due”.

“Trading Places”, questo il nome originale della commedia, è un film del 1983 di John Landis,
che ha come protagonisti Dan Aykroyd, Jamie Lee Curtis e, ovviamente, Eddie Murphy.

Per quei pochi che non la conoscessero, vediamo in breve la trama di “Una poltrona per due”.
Louis Winthorpe III (Dan Aykroyd) e Billie Ray Valentine (Eddie Murphy) sono due personaggi agli
antipodi: il primo ricco, bianco e facoltoso mentre, il secondo, povero, nero e vagabondo. I fratelli
Duke, proprietari della società in cui lavora Louis Winthorpe III, si accordano per fare in modo che i
due protagonisti scambino la loro condizione sociale per dimostrare la fondatezza di una teoria tanto
cara ad uno dei fratelli Duke, Mortimer per la precisione. Da questo momento, prendono vita tutta
una serie di eventi estremamente comici. Ma, appunto, probabilmente li conoscerete già.

Passiamo ora alle 5 curiosità di “Una poltrona per due”.

 #1
Billie Ray Valentine doveva essere interpretato da John Belushi. A causa della sua morte venne
interpretato da Eddie Murphy.
#2
Il numero di prigione dato a Louis (Dan Aykroyd) è il 7474505B, come quello dato a Jake (John
Belushi) in The Blues Brothers.

#3
I due fratelli Duke sono presenti come barboni nella commedia Il principe cerca moglie (di John
Landis, 1988).

#4
La rivista Premiere nel 2006 l’ha inserita nella classifica delle 50 migliori commedie di tutti i tempi.

#5
Dopo l’11 settembre del 2001, per solidarizzare con quanto successo, alcune emittenti televisive
decisero di tagliare la frase “Qui o uccidi o sei ucciso”, in riferimento alla borsa, pronunciata da
Witnhorpe/Aykroyd a Valentine sotto una delle due Torri Gemelle» del World Trade Center di New
York.

Non solo MPS, anche ALITALIA è in crisi

Ivan Zorico (213)

In questi giorni si sente tanto parlare dell’urgenza di trovare una soluzione che metta al sicuro i
conti della Banca più antica del Mondo – il Monte dei Paschi di Siena -. Proprio in queste ore, il
Parlamento sta mettendo a punto una manovra da 20 miliardi di euro (di debito) per supportare
le banche in difficoltà e scongiurare il cosiddetto rischio sistemico.

Ma, alle porte ci potrebbe essere anche un’altra crisi, dal nome ALITALIA.
Secondo indiscrezioni, le casse dell’ormai ex compagnia di bandiera italiana potrebbero registrare,
entro venerdì sera, un buco di oltre 50 milioni di euro. Il rischio è che, nel giro di pochi giorni, non ci
potrebbero essere risorse sufficienti per pagare carburante ed altri oneri.
Cosa è successo?

Sembrava che i soci avessero trovato un accordo ma, all’ultimo, le parti non hanno trovato un’intesa
sulla governance e quindi sul finanziamento del piano di rilancio della Compagnia. Da un lato Banca
Intesa ed Etihad si sarebbero dette pronte a finanziare la seconda fase del piano industriale,
mentre Unicredit, da far suo, temporeggerebbe ancora. Dall’altro lato, il Gruppo Generali, non
considerandosi socio, ma creditore, non ha nessun obbligo nei confronti di ALITALIA.

Ora, quindi, ALITALIA è davanti ad un bivio. O rilanciarsi attraverso un alleato europeo o un gruppo
di proprietà del Ministero dell’Economia o, in caso contrario, dichiarare fallimento. C’è da dire che
Etihad ha in qualche modo disatteso le aspettative dei soci italiani, non cogliendo l’obiettivo
prefissato; ossia pareggio operativo non minimamente colto e debito elevato.
Visto quanto detto, non è impensabile che proprio Etihad faccia un passo indietro, aprendo così uno
scenario nel quale il Governo prenda in mano il caso ALITALIA e lavori per ripianare la situazione.

Il tutto, comunque, dovrà trovare una soluzione nei prossimi giorni, se non proprio nelle prossime
ore. Staremo a vedere.

Bye bye comunicati stampa. La
comunicazione politica ed istituzionale è
social!

Ivan Zorico (213)
Ormai è fuor di dubbio che i social network hanno stravolto il modo in cui comunicano gli
uomini politici, le amministrazioni pubbliche e le aziende. Non si può forse ancora dire che i
classici e tanto utilizzati comunicati stampa siano morti, ma di certo si può dire che i social, in
qualche maniera, ne hanno depotenziato l’effetto e la loro stessa natura.

La possibilità di essere più immediati e diretti; capire, percepire e registrare quasi istantaneamente
le reazioni dell’opinione pubblica o dei clienti; e poter avere un confronto diretto con tutti gli attori
in campo, hanno fatto in modo che i social network (Facebook e Twitter su tutti) abbiano di gran
lunga superato in efficienza il comunicato stampa tradizionale. Spesso e volentieri, si utilizza Twitter
come mezzo per veicolare flusso sulle pagine profilo di Facebook, piattaforma, quest’ultima molto
più incline alla diffusione di messaggi più cospicui.

L’ultimo recentissimo caso si rifà al messaggio che il Sindaco di Milano – Beppe Sala – ha voluto
destinare ai propri cittadini (e non solo) attraverso il proprio profilo ufficiale di FB nel quale
spiegava le ragioni dell’autosospensione e del successivo auto reintegro alla guida di Palazzo
Marino.

Ma, ovviamente, non è l’unico caso.
Anche l’ormai dimissionario Presidente del Consiglio Matteo Renzi, proprio all’indomani delle sue
dimissioni, ha affidato ad un post su FB la divulgazione di un messaggio accorato e quasi “intimo”
per spiegare ai suoi follower, ed all’Italia intera, come stava vivendo quel passaggio ed infondere un
messaggio di speranza. Il tutto per impostare una sorta di strategia futura.

Si potrebbero fare moltissimi altri esempi a dimostrazione di come aziende, istituzioni e personaggi
pubblici, affrontino oggigiorno il tema della comunicazione esterna.
Il comunicato stampa magari resta ancora una freccia nell’arco degli addetti dell’informazione e
della comunicazione, ma ormai risulta imprescindibile avere una conoscenza, una presenza
ed una strategia comunicativa sui canali social. E soprattutto, monitorarli con attenzione.

La Grande Bellezza delle città italiane
nell’ultima campagna pubblicitaria
Ferrero Rocher, che imperversa su tv, web
e nei punti vendita.

Raffaello Castellano (230)
Un uomo con un blocco da disegni si aggira
incuriosito ed estasiato fra le vie ed i monumenti di
quattro città italiane, ritenute le più belle e
rappresentative della penisola.

Sulle note di una musica di accompagnamento, ad un certo punto una voce over recita: “Quando
abbiamo creato Ferrero Rocher, abbiamo cercato la bellezza assoluta. Sarà perché siamo italiani.
Abbiamo cercato la qualità negli ingredienti, un gusto inimitabile, una forma perfetta. E’ stato come
cercare l’oro. Ferrero Rocher, assapora la bellezza”.

 “Assapora l’assoluta bellezza” è proprio il claim che accompagna l’intensa campagna (in tv, sul web
e nei punti vendita), che da pochi mesi la Ferrero ha scelto per uno dei suoi prodotti di punta.

Lo spot, che strizza l’occhio alla Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, è stato girato in quattro
versioni, una per ogni città scelta: Roma, Napoli, Venezia e Firenze. Si chiama “The Artist”, lo spot
ideato dall’agenzia Pubbliregia, prodotto da Akita Film e diretto da Ago Panini (direzione della
fotografia di Sandro Bolzoni). La musica di accompagnamento è stata realizzata da Enrico Sabena.

Sono state scelte, come si è detto, le quattro città italiane ritenute più belle e apprezzate della
nostra penisola: Firenze e il suo centro storico, Napoli e la monumentale Piazza del Plebiscito, Roma
e il maestoso Colosseo, Venezia e i suoi meravigliosi canali.

La campagna integrata per Ferrero Rocher vuole celebrare l’italianità della pralina di cioccolato
della Ferrero (resa famosa al principio degli anni ’90 dalla campagna con protagonista il
maggiordomo Ambrogio) e prevede, oltre alla tv, il coinvolgimento dei punti vendita e del web con
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