Storie per chi non ha voglia di dormire - Raccolta di brevi racconti horror a cura della classe 2aC Scuola Secondaria di primo grado "A. Volta" ...

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Storie per chi non ha voglia di dormire - Raccolta di brevi racconti horror a cura della classe 2aC Scuola Secondaria di primo grado "A. Volta" ...
Storie per chi non ha
      voglia di dormire

           Raccolta di brevi racconti horror

                 a cura della classe 2aC
Scuola Secondaria di primo grado “A. Volta” – Robbiate
                      a.s. 2019-20
Storie per chi non ha voglia di dormire - Raccolta di brevi racconti horror a cura della classe 2aC Scuola Secondaria di primo grado "A. Volta" ...
Creare orrore equivale
a paralizzare un avversario con le arti marziali:
          si tratta di trovare i punti vulnerabili
                  e poi metterli sotto pressione.

                                    Stephen King

                                                     Storie per chi non ha voglia di dormire

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Indice

Introduzione                                                3
Greta Angeli, Era lì che mi fissava                         6
Imrane Azib, Il probabile ritorno                           8
Arianna Binacci, Ma era lui                                 10
Lorenzo Bonfanti, Lo spaventapasseri                        13
Matteo Ciaglia, Death note                                  16
Arianna Fabian, La mia vita è finita                        18
Giorgia Falzetta, Sempre davanti a me                       19
Beatrice Giustinelli, Il castello abbandonato               22
Samuele Iantorno, L’occhio di vetro                         24
Davide Mandelli, Il mistero di Westwood                     26
Ilenia Marinari, La mano ossuta                             28
Brayan Millan Huanca, Vuoi giocare con me?                  30
Simone Moioli, La trappola                                  32
Alice Pagani, Una vacanza da incubo                         33
Simone Pagnoncelli, Gli uomini posseduti                    35
Veronica Pierobon, Sentimmo il cancello scricchiolare       37
Gaia Ricchiuti, Una nonna dalla doppia identità             41
Matilde Rinaldi, Le marionette del lunapark                 42
Salvatore Tarantino, Halloween                              43
                                                                 Storie per chi non ha voglia di dormire

Ticozzi Gabriele, Il ricordo                                46
Francesco Valtolina, Scappiamo!                             48
Eva Vilardo, Anime dannate                                  50
Noi, la paura e l’horror: riflessioni sul percorso svolto   53
Bibliografia                                                55

                                                                                2
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Introduzione

Raccontare la paura
L’uomo, attraverso la letteratura e l’arte, ha cercato di indagare ed esprimere le molteplici
emozioni legate alla paura, con l’intento di conoscere i lati più oscuri di se stesso e di imparare a
governarli e dominarli. Il genere horror, che ha come tema la rappresentazione della paura, tanto
del singolo quanto della società nel suo insieme, offre al lettore un’occasione privilegiata per
esplorare i propri incubi e le proprie angosce attraverso il confronto con le molteplici
rappresentazioni letterarie o cinematografiche della paura. Il lettore o lo spettatore, senza
esporsi a vivere in prima persona situazioni estreme di pericolo e di terrore, mette comunque
alla prova se stesso attraverso i personaggi e le loro emozioni: affronta fantasmi, scende in bui
sotterranei che nascondono orribili segreti, incontra morti viventi, sfugge a bande criminali
assetate di violenza. In questo modo non si sente solo nell’esplorazione delle proprie paure e
trova la forza per affrontarle e vincerle, come ci suggerisce l’autore del testo che segue.

Il piacere della paura
La paura, nel cinema come nella letteratura, provoca piacere. Il lettore-narratore è attratto e
respinto nello stesso tempo: al cinema questa repulsione1 “controllata” è ben rappresentata dal
tentativo di non osservare le scene più sgradevoli, coprendosi la faccia e sbirciando tra le dita.
Come a guardare non visti. Quasi che quel gesto implicasse un allontanamento dalla scena stessa.
Uno straniamento2.
Ciò non impedisce allo spettatore di continuare la visione del film spaventevole3, né di godere di
quelle emozioni che il medium4 gli consente di provare indirettamente.
Perché la paura provochi reazioni “piacevoli” è necessario che gli avvenimenti che la scatenano
accadano ad altri, siano osservati in maniera oggettiva, imparziale, assolutamente non
coinvolgente. L’artiglio che si protende sullo schermo o il morso freddo del vampiro nel libro che
leggiamo, non sono per noi.
Sono reali di fronte alla nostra coscienza, li riteniamo attendibili (lo dimostra lo stesso tipo di
reazione di fronte a notizie giornalistiche la cui gravità supera la fantasia delle horror stories), ma
non ci travolgono5.
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Di qualsiasi cosa si tratti, saremo sempre di qua
dallo schermo, separati dalle pagine di un libro,
consapevoli della nostra qualità di testimoni
volontari6 degli avvenimenti.
Tutto ciò che possiamo fare è immedesimarci
nell’azione, proiettarci nei personaggi della
storia e provare le loro stesse emozioni, “come
se” le vivessimo veramente.

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Il piacere? Il piacere sta proprio nell’accettare il meccanismo della paura, nell’esperirlo7 in tutte
le sue fasi, pur senza lasciarci coinvolgere fino in fondo.
Lo straniamento, e quindi l’intima consapevolezza di non essere coinvolti né minacciati
direttamente da ciò a cui assistiamo come “testimoni emozionali8”, è ciò che differenzia lo
spettatore adulto dal bambino. Nei più piccoli tale capacità di separazione o straniamento non si
è ancora sviluppata, e l’avvenimento spaventevole viene vissuto come proprio, cioè pienamente
coinvolgente. Le reazioni dei bambini, lungi dall’essere piacevoli, vanno dunque dalla fuga (paura
primaria) allo shock (paura secondaria), con possibilità di conseguenze traumatiche anche
indelebili9.
Per ricondurre la paura letteraria o cinematografica nei binari del piacere (visto che anche il
bambino ne è attratto sensibilmente), è necessario operare vistose semplificazioni o
ritualizzazioni della storia, come nelle fiabe. La semplificazione dei termini della storia, la
                                                         stilizzazione dei personaggi, così come la
                                                         sua riduzione a puro rituale, in cui la
                                                         componente paurosa è inscindibile dagli
                                                         schemi       del       mondo       fantastico
                                                         rappresentato (venendo talvolta ridotta a
                                                         funzione umoristica, come nel cartone
                                                         animato), servono a rassicurare il bambino,
                                                         aiutandolo nel contempo a costruire le sue
                                                         difese individuali10. […] Forse sarà colpa di
                                                         Cappuccetto Rosso, di Alice nel Paese delle
                                                         Meraviglie, di Hansel e Gretel, degli orchi,
                                                         delle streghe o delle matrigne perverse che
          11
infestano con tanta rilevanza le fiabe della nostra infanzia, se il romanzo d’orrore trova così
facilmente proseliti12 in cui riprodurre, con meticolosa13 regolarità, gli antichi sintomi che ci
guidano sulle strade della paura: “quell’istituto che domina la vita e percorre la storia”.
                          Carlo Bordoni, La paura, il mistero, l’orrore dal romanzo gotico a Stephen King!, Solfanelli

1
  repulsione: avversione fisica o morale per qualcuno o qualcosa.
2
  straniamento: sentirsi estraneo, lontano da qualcosa.
3
  spaventevole: che suscita spavento.
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4
  medium: in questo caso il “mezzo” attraverso cui si comunica qualcosa è il cinema.
5
  dimostra… travolgono: l’autore fa riferimento all’atteggiamento di molte persone di fronte a reali casi di cronaca,
che vengono percepiti come un film giallo o dell’orrore, suscitando un interesse eccessivo e a volte morboso.
6
  testimoni volontari: chi assiste a un film o legge un libro è testimone delle storie raccontate perché lo ha scelto.
7
  esperirlo: provarlo.
8
  testimoni emozionali: nel senso che proviamo emozioni, ma solo come testimoni, non come protagonisti.
9
  indelebili: incancellabili.
10
   è… individuali: nelle fiabe il meccanismo della paura viene suscitato in modo semplice, seguendo regole fisse, che
il bambino riconosce di volta in volta. Accanto alla paura c’è anche l’elemento della rassicurazione, quindi, che
diverte il piccolo e lo aiuta a far proprie e ad accettare tutte le emozioni, anche quelle negative.
11
   infestano: sono presenti in veste di personaggi negativi.
12
   proseliti: appassionati.
13
   meticolosa: precisa.

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La fortuna del “nero”
Il racconto nero conosce un grande successo a livello letterario e cinematografico. Il grande
seguito che riscontra il genere horror ha varie motivazioni psicologiche che riguardano il controllo
della paura. Infatti, come dichiara Howard Phillips Lovecraft, autore di racconti horror, «il
sentimento più antico e profondo radicato nell’uomo è la paura, e il genere più antico e forte di
paura è la paura dell’ignoto, di ciò che non conosciamo o che non riusciamo a spiegare
razionalmente».

   •   La paura è una componente essenziale della natura umana; ha un significato di allarme
       che stimola tutte le funzioni dell’organismo.
   •   La paura fantastica esorcizza la paura reale; il lettore sa che la narrazione è una finzione;
       la paura immaginaria neutralizza paure più reali, quelle che appartengono alla vita di ogni
       giorno.
   •   Il senso di paura scarica la tensione; provare forti emozioni nel corso di una lettura, ci
       permette di liberarci in modo innocuo delle tensioni che la nostra mente accumula di
       fronte a varie situazioni di stress emotivo.
   •   La paura è un elemento di creatività; come ogni emozione, la paura stimola la fantasia.

La nascita della raccolta Storie per chi non ha voglia di dormire
A partire dal mese di ottobre la classe 2ᵃC si è dedicata allo studio del racconto horror: ne ha
indagato le caratteristiche narrative ed espressive, insieme ai motivi ricorrenti; ha ripercorso il
genere dalle origini ai giorni nostri; ha letto e recitato storie dell’orrore; ha condiviso riflessioni
sulla paura e sul piacere di provare questa emozione… e ha accolto con entusiasmo la mia
proposta di inventare racconti horror personali, capaci di generare atmosfere tese e inquietanti,
tali da suscitare nel lettore una reazione di paura.
Gli aspiranti Stephen King sono riusciti nell’impresa e le loro creazioni sono raccolte in questa
antologia. Si tratta di… Storie per chi non ha voglia di dormire.
Da parte nostra, buona lettura!

                                                                 Ragazze e ragazzi della classe 2ᵃC
                                                                         Prof.ssa Cristina Anghilieri
                                                                                                          Storie per chi non ha voglia di dormire

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Greta Angeli

                                ERA LÌ CHE MI FISSAVA

Mi ero subito accorta che dietro agli alberi c’era qualcosa che non andava, ma all’inizio
non prestai attenzione più di tanto.
Continuai a fare quello che stavo facendo, ossia compiti per scuola: ero a casa da sola e
volevo sbrigarmi a finire tutti i miei impegni per essere libera di guardare la TV.
A un certo punto però la paura prese il sopravvento, afferrai il telefono e digitai il numero
911.
Ricordo perfettamente quella chiamata.
Operatore: Sì, pronto, qui 911, chi parla?
Io: Aiutatemi, c’è qualcosa dietro agli alberi.
Operatore: Potrebbe essere un animale, magari un cervo oppure…
Io: No no, è lì fermo da più di un’ora!
Operatore: C’è qualcuno lì a casa con te?
Io: No, i miei genitori non torneranno prima di quattro ore dal lavoro.
Operatore: Un attimo… inoltro la segnalazione alle forze di polizia.
Io: Oddio!! Ho staccato per un momento lo sguardo, per poi tornare a puntare gli occhi
alla finestra… E… Qualunque cosa sia… Ora è più vicino!
Operatore: Riesci a vedere com’è fatta la cosa?
Io: Sì, abbastanza... Sembra un po’ deforme e... Ha due occhi gialli enormi! Sta lì ferma,
                                                                                                Storie per chi non ha voglia di dormire

non ha espressione.
Operatore: Cerca di mantenere la calma. Ho avvisato la polizia, arriverà da te il prima
possibile… Ci vorranno 30 minuti. Pensi di resistere?
Io: Non lo so, penso di sì.
Operatore: Come ti chiami?
Io: Edith.
Operatore: Bene Edith, continua a parlare con me. Che sta facendo ora quella cosa?

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Io: Aspetti, controllo.
Edith mette giù il telefono. L’operatore sente gridare.
Operatore: Edith! Che succede?!
Io: È alla finestra! Aiuto, per favore!
Operatore: 15 minuti e la polizia sarà da te. Ora chiuditi in bagno e non fare alcun rumore!
Io: …
Operatore: Edith, mi hai sentito?
Io: Sì, sì. Sto andando a chiudermi in bagno.
Si sente un vetro che si rompe, un urlo e una strana canzoncina.
Operatore: Che è successo?! Edith, Edith!!
La chiamata si interrompe.

Che fine ho fatto? Semplice, sono morta. E ora, guarda bene fuori dalla tua finestra, dietro
agli alberi: io sono lì e ti verrò a prendere.

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Imrane Azib

                               IL PROBABILE RITORNO

Una sera avevamo invitato degli amici a cena.
Rimasero fino a tardi, ci salutarono verso mezzanotte. Quando se ne andarono, io, le mie
sorelle e mia mamma fummo costretti a riordinare tutto. Avevamo fatto un bel lavoro.
Le donne di casa andarono a dormire; io, invece, volevo stare sveglio ancora una
mezz’oretta a guardare la prima puntata del “Collegio 3”. Si era già fatta l’una, quando
sentii bussare alla finestra. Rimasi pietrificato. Chiamai mia mamma, urlando, e lei si
svegliò di colpo e mi raggiunse: era preoccupata per me perché dal mio sguardo si capiva
che c’era qualcosa che non andava.
Non volevo vedere ma dovevo, quindi, con tanta paura ma anche con tanto coraggio,
insieme a lei aprii la finestra. Pensavo di sognare, ma era la realtà. Non c’era nessuno! In
un primo momento credetti di essere matto per davvero. Chiusi la finestra. Mia mamma
mi disse di andare a dormire e che era la mia immaginazione che mi giocava brutti scherzi.
Andai subito in camera, anche se non riuscivo a smettere di pensare a quel fatto.
Era passata quasi mezz’ora e non ero ancora riuscito ad addormentarmi. Volevo scoprire
cosa era successo, quindi mi alzai dal letto. Mi venne un infarto quando vidi una sagoma
bianca con gli occhi neri: era alta e aveva dei lunghi capelli scuri. Si stava dirigendo verso
la cucina e così colsi l’occasione per andare a svegliare, silenziosamente e nuovamente,
mia mamma. Stavolta anche lei decise di non tornare a dormire ma di restare in cucina.
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Si armò di un’asta di ferro lunga circa un metro.
Non credevo ai miei occhi: qualcuno aveva messo dell’acqua a bollire! E io sapevo chi era
stato e anche mia mamma.
D’improvviso si svegliarono anche le mie due sorelle perché si erano già fatte le sei. Era
domenica e avevano organizzato una gita in campagna. Forse quel giro mi avrebbe
distolto dalle allucinazioni notturne. Prima di uscire di casa, io e la mia famiglia trovammo
un bigliettino con un messaggio: “Mi chiamo Alex, sono un fantasma. Sono morta undici

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anni fa, all’età di 24 anni. Ero una ragazza docile e molto apprezzata da tutti. Ma il giorno
della mia morte la mia anima si trasformò nell’anima di una bestia feroce e per questo
motivo mi aggiro per i paesi, per spaventare e uccidere. Voi sarete le mie prossime
vittime. State tranquilli, tornerò!”.
Da quel giorno non tornò più ma io so che potrebbe ripresentarsi da un momento
all’altro!

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Arianna Binacci

                                      MA ERA LUI

Oggi è il 31 ottobre.

Io, Massimo, Luca e Gianni abbiamo programmato una fantastica serata tutti e quattro
assieme, ma prima dobbiamo trascorrere otto lunghissime ore a scuola.
La scuola non mi piace per niente, non sono assolutamente bravo. Le uniche ragioni per
                                               cui vado sono due. Mia mamma che mi
                                               obbliga e l’inquietante casa abbandonata
                                               che si trova di fronte al giardino
                                               dell’istituto.
                                               È spaventosa, ma allo stesso tempo molto
                                               intrigante.
                                               Come ogni casa stregata che si rispetti,
                                               anche la “nostra” ha mille leggende diverse
che portano ogni ragazzino a provare terrore al solo pensiero di entrarci.
Io e i miei tre migliori amici passiamo tutti gli intervalli a osservarla, cercando di
intravedere qualche fantasma o qualcosa di terrificante, ma invano, il che ci convince che
le leggende siano effettivamente tali e che nulla ci potrebbe accadere se mai vi
entrassimo.
                                                                                               Storie per chi non ha voglia di dormire

Una delle più famose leggende narra che, la notte di Halloween, il defunto proprietario di
quell’enorme villa torni in forma di spettro e faccia scomparire chiunque si aggiri per la
sua proprietà.
Questa sera, per dimostrare a tutti che quelle che si raccontano sono tutte fesserie, io e i
miei amici entreremo nella temutissima villetta.
Il nostro piano è quello di rimanere là dentro dalle dieci di sera fino a quando non
sentiremo i rintocchi della mezzanotte.

                                                                                               10
Ci muniremo di zaino, contenente quattro torce, una corda, un coltellino svizzero e, per
concludere, una telecamera con la quale documenteremo l’esperienza.

Sono le sette e mezza di sera e da un quarto d’ora stiamo pedalando per arrivare in
pizzeria dove, tutti insieme, mangeremo, prima che le leggende vengano smentite una
volta per tutte.

Otto e venti: sazi e con un’immensa voglia di entrare a visitare la villa, stiamo pedalando
e a quasi ogni casa ci fermiamo a fare la classica domanda “dolcetto o scherzetto?”

Puntuali come un orologio svizzero, alle nove e cinquanta eccoci davanti alla casa.
Come previsto, nessuno di noi ha paura di entrare perciò, senza tante parole, procediamo.
Appena varcata la soglia d’ ingresso, un odore cadaverico riempie l’ingresso della villa.
Non vogliamo lasciare inesplorato niente di questa casa, nemmeno un angolo, perciò
cerchiamo di visitare con accuratezza tutto il primo locale che incontriamo.
Non c’è nulla di spaventoso, tranne qualche ragnatela e alcuni sparuti ragnetti, ma tutti e
quattro siamo pervasi da un profondo senso di disagio. Ci sentiamo osservati, non
sappiamo perché, ma il solo pensiero che qualcuno ci stia guardando ci fa rabbrividire.
Decidiamo tuttavia di continuare, a passo lento, ma di continuare.

Sono le dieci e mezza e stiamo visitando il salone.
Massimo è troppo teso, decide di fermarsi, di tornare indietro.
                                                                                               Storie per chi non ha voglia di dormire

Gianni lo segue, vuole fargli cambiare idea.
Beh, contro ogni previsione, ci stiamo spaventando… All’improvviso un urlo echeggia nella
villa, Gianni corre indietro verso di me e Luca, occhi spalancati e volto cereo.
Tutti e tre, per la paura, scappiamo nella sala attigua allo studio e la porta si chiude con
fragore alle nostre spalle.
Svelto, prendo il coltellino e rimango fisso con gli occhi puntati verso la porta mentre
dietro ho Gianni e Luca che tremano dal terrore.

                                                                                               11
A quel punto si sente un coltello cadere e pochi secondi dopo io e Gianni ci mettiamo ad
urlare e a cercare di aprire la porta, ma senza alcun risultato. E intanto... La testa di Luca
rotola per la stanza colma di sangue.
Inizio a vedere tutto rosso e solo dopo qualche istante mi accorgo che Gianni, con la bocca
piena di sangue, ride, ride e non finisce più, in un modo che mi spaventa, che mi terrorizza.
Io resto seduto per terra a fissarlo, con in mano il coltellino svizzero.
Ha smesso di ridere, ora mi insegue.
Senza pensarci, apro la porta e provo a scappare senza badare a lui, che mi corre dietro.
Corro e corro fino a quando riesco ad arrivare all’ingresso, non so perché ma ora l’istinto
mi dice di fermarmi ad aspettare Gianni, che non arriva…
Allora, risalendo le scale, lo cerco e subito dopo sento qualcosa di viscido colarmi sulla
schiena, dipingendo di rosso il pavimento ai miei piedi, sento un coltello passarmi sulla
gola da un orecchio all’altro.
                                          Nell’ultimo attimo della mia esistenza riesco a
                                          vedere Gianni con un sorriso demoniaco, con gli
                                          occhi fuori dalle orbite venati di sangue...
                                          Come trasformato…
                                          Come se qualcuno si fosse impossessato di lui.
                                          Non è Gianni.
                                          Non può essere lui.
                                                                                                 Storie per chi non ha voglia di dormire

                                                                                                 12
Lorenzo Bonfanti

                                LO SPAVENTAPASSERI

15 Novembre 1853
CARO DIARIO, oggi è successo un fatto molto strano…
A Baskerville, il paese dove abito nel sud dell’Alabama, io, Michael, Andrew e Jack
stavamo giocando a pallone. La palla è finita nel campo di grano di una vecchia fattoria
disabitata da decenni.
Quel luogo era molto lugubre, ombroso e nessuno sapeva il motivo dell’abbandono
dell’edificio. Giravano da tempo strane leggende sulla fattoria, che si diceva fosse luogo
di ritrovo di strane creature. Ma noi non credevamo a quelle leggende e non avevamo
paura, anche se c’era qualcosa che mi diceva di averne. Una specie di sesto senso, come
si suol dire.
Fatto sta che Jack, il più coraggioso tra noi, si era offerto di andare a riprendere la palla.
Passarono cinque minuti, che diventarono poi dieci, venti, trenta… Passata un’ora, di Jack
neanche l’ombra.
                                               Andammo a chiamare i nostri genitori che, a
                                               loro volta, avvisarono la polizia. Tutto il
                                               campo fu perlustrato, ma del nostro amico
                                               nessuna traccia. Gli agenti ritrovarono il
                                               pallone e dissero che andavano prima
                                                                                                 Storie per chi non ha voglia di dormire

                                               eseguite ricerche più approfondite. Nel
                                               frattempo era stato rinvenuto anche un
                                               vecchio spaventapasseri. Era uno di quelli
                                               classici, imbottito di paglia e con due bastoni
                                               come braccia. Solo che, sulla testa di zucca,
                                               c’era una strana maschera. Sembrava molto
realistica, quasi sembrava fatta con vera pelle. Non si capiva però da dove provenisse

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quella strana maschera e nemmeno da quanto tempo fosse lì. Tutta la notte pensai alla
maschera e a dove potesse essere finito Jack.

17 Novembre 1853
CARO DIARIO, ieri ho passato tutto il giorno a fare ricerche su quella misteriosa fattoria.
Io, Michael e Andrew siamo andati in biblioteca a cercare informazioni su quel macabro
                        luogo. Abbiamo trovato pochissime informazioni inerenti alla
                        fattoria. L’ unico libro contenente informazioni utili si chiamava
                        “Baskerville: censimento dell’anno 1796’’ e indicava la via,
                        l’indirizzo e il numero civico di ogni casa della città.
                        I possessori di quei terreni erano i fratelli Cramberg: George,
                        Simon, Benjamin e Abraham. Niente di più eccitante quella
mattina. Ma nel pomeriggio riuscimmo a scovare un vecchio giornale negli archivi,
giornale in cui si diceva che nel 1802 un uomo era entrato in quel campo e da allora se ne
erano perse tutte le tracce. A quel punto, i fratelli Cramberg decisero di vendere la
proprietà ma, dal momento che nessuno intendeva acquistarla, per paura decisero di
andarsene con tutti i loro averi e di trasferirsi in Georgia. Condussero una vita tranquilla,
finché un giorno vennero tutti e quattro uccisi, lo stesso giorno, a distanza di pochi minuti
l’uno dall’altro.

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Dopo la lunga giornata di ricerche, praticamente inutili, decidemmo di chiarire NOI la
situazione. Quella sera ci recammo al campo e, verso la mezzanotte, ci inoltrammo in
quell’oscura e tetra distesa di grano. Girammo un po’ a zonzo, ma sempre uniti e con la
voglia di scoprire cosa fosse successo al povero Jack. Arrivammo all’unico punto di
riferimento visibile, cioè lo spaventapasseri, ma…

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18 Novembre 1853
CARO DIARIO, sto scrivendo queste righe molto velocemente, sperando che lui non mi
trovi. Ha preso i miei amici! Li ha squarciati con i suoi artigli. Ah già, la targa! Sullo
spaventapasseri era apparsa una targa con un nome. Questa…

        SONO STATO IO, IL DEMONE BAEL, UNO DEI SETTE PRÌNCIPI DELL’INFERNO
        VENUTO NEL VOSTRO MONDO TRAMITE QUESTO SPAVENTAPASSERI DA ME
        MALEDETTO, PER PLACARE LA MIA FAME DI MORTE E LA MIA SETE DI
        SANGUE UMANO. HO RUBATO QUESTO DIARIO AL RAGAZZINO CHE HO
        APPENA UCCISO. DA OGGI, CHIUNQUE LEGGERÀ QUESTO DIARIO DA ME
        MALEDETTO, ENTRERÒ NELLA SUA CASA E LO TORTURERO’ FINO ALLA
        MORTE.

                                                                                             Storie per chi non ha voglia di dormire

                                                                                             15
Matteo Ciaglia

                                    DEATH NOTE

Era il 9 giugno 1993 quando nello scantinato di casa mia
trovai uno strano diario.
Su questo diario c’era scritto solo “8 giugno, morte del
vecchio John”.
All’inizio non mi feci molte domande, anche se era
strano, perché il vecchio John era morto da pochissimo
e questo diario sembrava giacere tra gli scatoloni
impolverati della mia abitazione da almeno vent’anni.
Questo fatto mi ha inquietato un pochino, ma non al
punto tale da diventare un pensiero ossessivo…
Finché un giorno io e due miei amici, Mike e Mark, andammo alla fattoria del defunto
John e trovammo una macabra sorpresa: il corpo era ancora lì per terra e nell’aria c’era
odore di organico in decomposizione. Prendemmo il cadavere e lo portammo fuori nel
campo di grano. A questo punto sentii che il diario si muoveva nella mia tasca, lo
agguantai e mi accorsi che c’era scritto qualcosa di nuovo. Mentre stavo leggendo, Mike
e Mark presero un coltello e tagliarono il pollice del vecchio John. Non so per quale
motivo.
                                                                                           Storie per chi non ha voglia di dormire

Gli dissi di rimetterlo a posto, ma non mi ascoltarono. E tornammo a casa.

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Quella sera ci trovammo da Mark. Era circa mezzanotte, quando sentimmo il dodicesimo
rintocco della mezzanotte. In quel preciso istante saltò la corrente, si aprì la porta di
ingresso ed entrò qualcosa. Noi ragazzi ci dividemmo per cercare nelle diverse stanze il
contatore della luce. Sentii un forte odore di cadavere e di grano e scoprii che il diario era
sparito dalla mia tasca.
Non ebbi neanche il tempo di cercarlo che sentii una voce rauca gridare “Il mio pollice!”.
Cercai di avvertire Mike ma, quando lo trovai, notai con orrore che non c’era traccia della
sua testa; sentii poi gridare Mark, mi precipitai a soccorrerlo in bagno e vidi che aveva un
enorme morso di ragno sulla guancia destra.
Non riuscì a dirmi neanche una parola perché all’improvviso dalla sua guancia uscirono
un miliardo di ragni che banchettarono con la sua carne.
Io, terrorizzato, indietreggiai, scivolai su una macchia d’acqua e andai a sbattere contro la
porta, persi i sensi per qualche minuto.
Al mio risveglio percepii una presenza: davanti a me si stagliava il fantasma del vecchio
John che mi disse “Ti risparmierò perché hai trovato il mio diario e ora posso andarmene
in pace”.
Scomparve senza lasciare tracce di sé, se non i cadaveri di due giovani. I mie amici.

                                                                                                 Storie per chi non ha voglia di dormire

                                                                                                 17
Arianna Fabian

                                LA MIA VITA È FINITA

             Era inverno, quindi fece buio presto. Come ogni lunedì, andai in palestra per
             gli allenamenti di pallavolo. Dopo essermi cambiata nello spogliatoio, io e le
             mie compagne cominciammo il riscaldamento.
Ci accorgemmo che in alcuni punti della palestra l’acqua si era accumulata. A 10 minuti
dalla fine dell’allenamento, sentimmo da sopra il tetto della palestra un rumore di passi.
Erano particolarmente fragorosi. Tre mie compagne uscirono a controllare se tutto fosse
a posto: non notarono niente di anomalo fin quando, al momento di rientrare, furono
attaccate… da qualcuno o da qualcosa. Io e le amiche rimaste con me assistemmo alla
scena con orrore. Vedemmo le poverette, sanguinanti e menomate, essere trascinate via
nell’oscurità.
Terrorizzate, noi sopravvissute provammo a scappare ma non ci riuscimmo perché un lupo
mannaro con il suo branco ci aggredì e trasportò in un antro lugubre. Il silenzio era
assordante, rotto solo dagli ululati dei lupi mannari.
Provammo a cercare una via di fuga, invano: le mie amiche furono uccise davanti ai miei
occhi. Soltanto io riuscii a scappare, grazie a un vampiro di buon cuore. La situazione non
giocava a mio favore: ero sola, al freddo, al buio e in un bosco sconosciuto.
A un certo punto udii un rumore di legnetti spezzati, ma io ero immobile.
                                                    Qualcuno    era   dietro    di   me,   lo
                                                    percepivo. Aveva il fiato caldo e
                                                                                                Storie per chi non ha voglia di dormire

                                                    puzzava di cadavere. Mi girai e vidi due
                                                    famelici occhi rossi. Una belva mi aveva
                                                    seguita e chiaramente mi voleva. Prese
                                                    a ululare in modo assordante.
                                                    Io mi misi a correre, più forte che
potevo, ma inciampai e caddi. Provai ad alzarmi. La belva mi agguantò, mi strappò i capelli,
poi mi dilaniò.

                                                                                                18
Giorgia Falzetta

                             SEMPRE DAVANTI A ME

Io mi chiamo Cheryl, ho 11 anni, e da 6 anni vivo con mia nonna Wilma perché ho perso i
miei genitori in un incidente stradale. Nonna Wilma ha 47 anni e lavora come capo nel
ristorante più famoso di Rosewood. Mentre lei lavora, io sono a casa da sola e scrivo di
alcuni avvenimenti che hanno stravolto e continuano a stravolgere la mia vita, come
quello che sto per raccontare.

Durante la notte dormo poco perché ogni sera si ripete sempre la stessa storia: nonna mi
accompagna a letto, spegne la luce e va in camera sua, poi durante la notte ho come
l’impressione che un uomo appaia nel buio. Appare sempre davanti a me, precisamente
davanti all’armadio.

Mi sembra molto alto e con i capelli scuri. Non saprei come descriverlo meglio, ma sento
                                                                                           Storie per chi non ha voglia di dormire

che lui non è umano, forse perché compare nella mia stanza dal nulla o forse per la sua
altezza o per i suoi denti aguzzi che sembrano più piccoli del normale e molto numerosi.
Non mi faceva molta paura all’inizio, ma mi trasmetteva una sensazione inquietante. Ho
raccontato più volte alla nonna cosa succedeva la notte nella mia stanza, ma ovviamente
stentava a credermi.

                                                                                           19
Per il mio ultimo compleanno la nonna mi ha regalato una torcia così, a ogni apparizione
di quell’individuo, avrei potuto puntargli la luce contro.
Una sera l’uomo mi ha guardato e ha iniziato a battere i denti, come se stesse cercando
qualcosa da mordere o, ancora peggio, da sbranare. Ho deciso così di usare la torcia ma,
non appena l’ho fatto, l’uomo si è girato di scatto verso di me facendo un verso
inquietante, e subito si è nascosto sotto il mio letto. Ho usato raramente la torcia perché
la reazione di quell’essere mi ha fatto e mi fa ancora tanta paura. Ogni volta che uso la
torcia, dopo non riesco proprio a dormire, perché l’idea che lui sia nella mia stanza senza
che io possa vederlo mi inquieta, quindi sono sempre costretta a spegnere la luce.
Nel periodo estivo le cose peggiorano. Mi è capitato spesso di ritrovarmi in cortile nel
cuore della notte, con il pigiama e la torcia in mano, senza sapere come ci fossi arrivata.
Più volte mia nonna è stata costretta ad uscire e riportarmi dentro; mi ha trovata spesso
a fissare i rami degli alberi che si muovevano come se qualcuno li stesse spingendo con
grande forza. Mia nonna ha pensato che fossi sonnambula o cose del genere.

Un pomeriggio di pioggia, ho deciso di salire in soffitta a rovistare tra i vecchi scatoloni.
Ho trovato un giornale ingiallito, l’ho sfogliato e mi è caduto l’occhio su un articolo che
parlava di un uomo che, dopo essere stato derubato e torturato, era stato ucciso con un
colpo di pistola e lasciato in piedi con gli occhi aperti davanti a un armadio. Continuando
a leggere, ho scoperto che l’appartamento dove era stato compiuto l’atroce delitto era
proprio quello dove vivevo io. La polizia aveva rinvenuto il corpo solo dopo qualche mese
dall’uccisione ma immediatamente lo stesso era sparito nel nulla.
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Ho subito pensato all’uomo che vedevo tutte le notti.

Il 6 luglio è stata la notte più brutta della mia vita. Kimy, la mia migliore amica, è venuta
a dormire da me. Le volevo mostrare l’uomo. Ho acceso la luce e l’ho puntata in direzione
dell’armadio: il mostro ha prodotto il suo solito verso e il suo solito scatto. Io sono
sobbalzata, mentre Kimi mi ha chiesto che cosa stesse succedendo. A quel punto ho

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capito di essere l’unica in grado di vedere la figura misteriosa. Ho subito detto alla mia
amica: «Ci sei cascata! Era uno scherzo per spaventarti!». Ho preferito mentire perché
avrebbe potuto raccontare a scuola che inventavo storie oppure che ero una bugiarda o
cose del genere. E a me non stava bene e non volevo che mi rovinasse la reputazione.
Mentre Kimy dormiva, l’uomo si è spostato e messo vicino ai miei piedi. Per la prima volta
mi ha rivolto la parola: «Se solo provi a mostrarmi ancora a estranei, ti sbranerò… E lo
farò lentamente, così soffrirai di più!». Dopo qualche secondo, per dimostrarmi che non
scherzava, ha attaccato Kimy, le ha dato un morso talmente forte che le ha staccato un
braccio per poi ingoiarlo a pezzetti. Io ero terrorizzata e non ho provato a fermarlo per
paura di essere la prossima vittima. Se lo avessi fatto, ci sarei andata di mezzo.
Il giorno seguente, Kimy si è svegliata con il braccio (quello sbranato) al suo posto.
C’era però qualcosa che mi turbava ancora di più del braccio ricomparso, ossia il motivo
per cui potevo vedere il mostro e gli altri no. Adesso ho sempre il terrore che quello che
è successo a Kimy possa accadere anche a me.

Una sera stavo guardando un film horror con mia nonna e in una scena è spuntato un
uomo identico a quello che vedo io ogni sera. Volevo risposte anche se avevo paura di
parlare con quell’individuo orrendo. Alla fine ho trovato il coraggio e ho deciso di
affrontarlo.

La sera successiva ho aspettato che l’essere apparisse e, con autorevolezza ma anche
tanta paura, gli ho rivolto due domande. La prima: «Perché tu appari nel film che ho visto
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con la nonna ieri?». La seconda: «Perché solo io posso vederti?». Lui mi ha chiesto di
andare vicino allo specchio. Io l’ho fatto. La mia immagine non si rifletteva e la cosa mi ha
spaventato. Dopo qualche secondo, l’uomo mi ha detto di
appoggiare una mano allo specchio. Io, per avere risposte, ho
seguito la sua indicazione: la mia mano ha incredibilmente
attraversato lo specchio e lui ha sussurrato: «Gli spiriti si
possono vedere tra di loro».

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Beatrice Giustinelli

                            IL CASTELLO ABBANDONATO

Un giorno io e mio fratello eravamo in vacanza a casa della nonna e, mentre giocavamo
in giardino, notammo un castello sulla collina, non troppo distante.
Chiedemmo alla nonna se era abitato, lei rispose che non lo sapeva, ma che molto
probabilmente era abbandonato.
Dopo mangiato, domandammo alla nonna se potevamo uscire un po’, prima di andare a
letto; lei acconsentì, raccomandandoci però di non allontanarci troppo.
Il nostro obiettivo era quello di raggiungere quell’antica dimora.

Di corsa percorremmo tutta la strada in collina e, arrivati, suonammo il campanello.
Nessuno ci rispose.
Ad un tratto il cielo si oscurò, iniziò a soffiare un vento forte e freddo, la porta si aprì da
sola e io e Filip decidemmo di entrare, nonostante la paura.
C’ erano ragnatele ovunque, polvere e bicchieri rotti per terra, piatti sporchi ancora sul
tavolo e una tovaglia macchiata di rosso… sangue!
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Io e Filip tremavamo, e non solo per il freddo.
Ad un tratto si accese una candela che ci permise di
vedere: davanti a noi apparve una bambina con i
capelli neri, gli occhi verde intenso, agghiaccianti.
Non era molto alta e aveva una carnagione molto
chiara.
Era un po’ strana ma ci sorrideva.
Noi le chiedemmo se abitasse lì e lei rispose di sì.
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All’ inizio io e Filip avevamo paura ma poi diventammo amici di Anny: così si chiamava
l’abitante del castello.
Si era fatto tardi, quindi io e mio fratello salutammo la bambina, promettendole di tornare
il giorno seguente.
La mattina andammo a scuola, ma l’unica cosa a cui pensavamo era il castello di Anny.
All’uscita la nonna ci portò a prendere il gelato e a giocare al parco.
Tornati a casa, svolgemmo i compiti e mangiammo.
Poi, verso le venti, io e Filip uscimmo con la scusa di fare una passeggiata nei dintorni.
Arrivati al castello, Anny ci aprì subito e ci disse che i suoi genitori non erano ancora
rientrati dal lavoro.
Iniziammo a giocare e ci divertimmo così tanto da dimenticarci che la nonna ci stava
aspettando.
Quando si fece buio, ad un tratto Anny si trasformò in un essere orribile senza volto, con
mani che sembravano forbici. Spaventoso!
Io e Filip iniziammo a correre, aprimmo una finestra e scappammo.
La polizia, allertata dalla nonna, ci stava cercando: un agente ci trovò mentre stavamo
correndo come pazzi.
Anny era dietro di noi ma, appena vide i fari abbaglianti della polizia, tornò indietro di
corsa.
Tremanti e sconvolti, abbracciammo il poliziotto, lui ci chiese perché eravamo entrati nel
castello visto che era abbandonato.
Noi gli rispondemmo che si sbagliava, che ci abitava una ragazzina di nome Anny e la sua
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famiglia.
Il poliziotto rispose che la bambina era morta dieci anni prima e che i suoi genitori avevano
abbandonato il castello, per sempre.
Poi ci riconsegnò alla nonna e le raccontò tutto quello che era accaduto.
Infine ci svelò che nel giorno dell’anniversario della morte di Anny in paese la gente
giurava di sentire rumori strani provenire dal castello.

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Samuele Iantorno

                                  L’OCCHIO DI VETRO

La lezione fu interrotta dalla caduta di un gesso, il professor Smith si chinò per
raccoglierlo.
Mentre l’insegnante si rialzava, John vide sulla caviglia del professore dei lunghi peli.
John era un ragazzino con grande capacità di osservazione dei dettagli.
«Sta bene prof.?» chiese l’alunno e il professor Smith rispose in modo strano, come se
stesse pensando ad altro, mentre lo guardava con il suo occhio di vetro.

Il professore era un uomo alto e anziano, con i capelli bianchi e corti, ma ciò che più
impressionava John era proprio quell’occhio vitreo.
Lo stesso giorno, tornando a casa, il ragazzo si sentì seguito. Si girò indietro qualche volta,
poi, non vedendo nessuno, la sensazione sparì.
Arrivato a casa, John lasciò la cartella sulla porta e andò in cucina. Sul frigo c’era un
biglietto: “SIAMO ANDATI ALL’OPERA. LA CENA È NEL FRIGO, SE HAI BISOGNO CHIAMA.
MAMMA E PAPÀ”.
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John si sentì strano, come se un fantasma lo avesse attraversato e di nuovo avvertì quella
sensazione passata, la sensazione che qualcuno lo guardasse, che qualcuno lo seguisse.
Per un attimo restò immobile, poi prese la cartella, salì le scale e fece i compiti. Solo dopo
aver completato gli esercizi di matematica, John accese la TV.
Quando la spense, era buio, fece per andare in cucina, ma prima di arrivarci sentì dei
rumori provenire da fuori. «Procioni!» disse. Prese una scopa e andò ad aprire la porta.
Fu allora che lo vide: sembrava un cane sulle zampe posteriori, enorme.

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John non ci credeva e, vedendolo di profilo, credette di sognare. Forse erano gli alberi a
creare quella forma...
Così prese un sasso e lo lanciò contro il mostro. Esso si girò verso John, che lo vide in
faccia: era tutto coperto di peli, lunghi e neri, con denti aguzzi ed enormi, e con un
gigantesco occhio rosso come il sangue.
Si guardarono per qualche secondo, poi John chiuse la porta e scappò in camera sua,
prese il telefono e chiamò i genitori. Quando arrivarono, trovarono John sotto shock: con
fatica il ragazzo racconto l’accaduto. Qualche giorno dopo la polizia riferì di aver trovato
in giardino lunghi peli, grandi orme e delle tracce di artigli.
L’ispettore Slacks chiese a John: «Ragazzo, sai chi possa essere il mostro?».
«Il professor Smith», disse John senza pensarci.
«E perché?» continuò l’ispettore.
John non rispose.
Perché quella notte, nel bagliore della luna rossa, lui aveva visto qualcosa di scintillante
al posto del mancante occhio sinistro sulla faccia del mostro: l’occhio di vetro.

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Davide Mandelli

                            IL MISTERO DI WESTWOOD

Mi chiamo John, ho 12 anni e vivo nella verdeggiante campagna londinese.
Dopo tante insistenze sono finalmente riuscito a convincere i miei genitori a portare me
e mio fratello Paul al castello di Westwood.
In questo castello ogni anno, nella notte di Halloween, si svolge un evento
mostruosamente a tema. Mostri, Zombie, Spettri e Vampiri attendono gli ospiti nelle
prigioni sotterranee, nella torre delle torture e nel cimitero adiacente.

Io non ho paura: sono coraggioso e poi, si sa, è tutta una finzione e una ricostruzione, ma
                                                                                               Storie per chi non ha voglia di dormire

non è dello stesso parere mio fratello, un fifone di prim'ordine. Immagino già che rimarrà
attaccato a me tutto il tempo.
Finalmente è arrivato il 31 ottobre.
I miei genitori, come tutti i venerdì sera, sono venuti a prendermi dai nonni, poi, insieme,
ci siamo diretti al castello di Westwood. Dopo un viaggio in una folta foresta, in
lontananza, abbiamo scorto delle luci fioche. Raggiunto l'ingresso, abbiamo parcheggiato
la nostra macchina vicino al fossato paludoso che divide le mura dalla strada.
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Regna un silenzio inquietante, rotto solo da qualche sinistro verso di uccelli notturni.
Tante macchine parcheggiate, ma nessuna presenza umana.
Ci dirigiamo con passo incerto e sospettoso verso il portone di legno. Il portone si apre da
solo e ci ritroviamo in un atrio spazioso e spoglio. Un boia ci indica il percorso da seguire:
uno stretto, lungo, quasi infinito corridoio mal illuminato. Sulla sinistra una serie di
finestre affacciate sul cimitero, una visione spaventosa: dalle lapidi escono spettri, che
uno ad uno mi fissano.
I brividi stanno percorrendo tutto il mio corpo. Non sono certo rassicuranti le grida
provenienti dalla porta in fondo a destra; una voce stridula sta chiedendo aiuto.
Ci avviciniamo alla porta e delle scale ripide ci conducono ai sotterranei.
Gli aggettivi “tetro” e “spaventoso” si fanno sempre più adatti per descrivere quello che
sto vivendo. Ci sta aspettando proprio un vampiro. Dai suoi canini è facilmente visibile
una striscia rossa di sangue.
Mamma e Paul sono particolarmente pallidi, non che io sia tranquillo. Velocemente,
imbocchiamo la scala per salire alla torre.
Ci accoglie un ventriloquo che ci fa entrare in una stanza misteriosa: la stanza degli
specchi, un labirinto dove ci si può perdere.
Entriamo e scopriamo che negli specchi sono riflesse le nostre immagini; poi, però, ci
accorgiamo che c'è un immagine intrusa: una signora senza testa vestita di nero, con le
mani insanguinate.
L'unico obiettivo è fuggire dal castello e mettersi in salvo, pensando solo all’incolumità.
Un'improvvisa scia di vento ci conduce in un'altra camera e, quando sembra che la
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situazione sia più tranquilla, ci accorgiamo che manca Paul. Lo chiamiamo a squarciagola
ripercorrendo tutto il castello nel senso inverso, ma non lo troviamo.
Proviamo a cercare nel cimitero e ci cade l’occhio su una lapide su cui è inciso il suo nome:
PAUL WILSON.
A mezzanotte di ogni 31 ottobre, in tutto il castello, riecheggia la voce disperata di Paul.

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Ilenia Marinari

                                   LA MANO OSSUTA

Ero a casa da sola.
Guardai l’ora. Erano le cinque del pomeriggio e avrebbe potuto scoppiare un temporale
da un momento all’altro. Ancora un’ora e sarei uscita con le mie amiche per andare al
cinema. Dovevo solo finire i compiti per il giorno successivo. Ero seduta in camera mia,
alla scrivania, quando mi parve di sentire degli strani rumori provenire dal piano inferiore.
Credetti che si trattasse del mio criceto che stava correndo sulla ruota. Poi il rumore
cessò. Dopo un quarto d’ora circa, sentii dei TUM TUM TUM. Forse erano i figli dei vicini
che stavano giocando a palla o forse mi ero immaginata il rumore, siccome ero molto
stanca. Ma a un certo punto sentii TOC TOC. Qualcuno stava bussando alla porta. Questa
volta ero certa di non essermelo immaginata. Scesi di corsa ma, quando aprii, non vidi
nessuno. Notai, però, che il cancello era aperto e che davanti a esso era parcheggiata una
macchina      bianca.     Spaventata      ma
incuriosita, uscii di casa e andai prima in
giardino, poi più vicino alla macchina: non
c’era niente di strano o sospettoso. L’auto
aveva solo dei graffi sulla parte posteriore.
Quando arrivai alla porta per rientrare in
casa, mi accorsi che era spalancata, anche
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se io ero sicura di averla lasciata chiusa per
non far scappare il gatto.
Mentre la paura si impadroniva di me, feci
nuovamente il giro della casa per essere certa che non ci fosse nessuno dentro. Come
avevo sperato, non trovai niente e nessuno e allora, con la paura nel petto, tornai in
camera mia. Lì trovai tutto come lo avevo lasciato. O così pensavo, perché quando guardai
per terra vidi che c’erano della macchie rosse: sembrava sangue, ma non poteva essere!
Ancora più terrorizzata, mi misi a pulire.
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Quando fuori fece buio, io avevo finalmente finito tutto il lavoro che c’era da fare per il
giorno seguente ed ero pronta a rilassarmi fino all’arrivo delle mie amiche per uscire
insieme.
Ma in quel preciso momento squillò il telefono. Risposi pensando che fosse mia mamma,
invece nessuno parlò. Stavo per riattaccare quando qualcuno, con una voce profonda e
rauca, disse: «Ti vedo». Silenzio. Poi riprese: «So dove sei e so cosa stai facendo».
Le luci si spensero. Si sentì un urlo lacerante, poi un vetro infrangersi. Qualcuno era
entrato in casa e stava salendo le scale. Sentii che la porta di camera mia si stava aprendo.
Avrei voluto scappare o urlare, ma ero paralizzata dalla paura.
                                                         Sentivo che il rumore dei passi
                                                         stavano diventando sempre più
                                                         forti. Poi qualcuno mi afferrò la
                                                         spalla. Da come mi toccò, capii
                                                         che l’uomo era più alto di me.
                                                         La sua mano era ossuta, gelida,
                                                         spinosa ed era bagnata.
                                                         Iniziò a parlare e l’ultima parola
                                                         che sentii fu «Buh».
                                                         Poi la mano si spostò sul collo.
In quel momento capii che non avrei mai più rivisto la luce.
                                                                                                Storie per chi non ha voglia di dormire

                                                                                                29
Brayan Millan Huanca

                                VUOI GIOCARE CON ME?

Era una notte piena di lampi e tuoni, pioveva a dirotto e i miei genitori erano usciti. Mi
trovavo in casa da solo e di questo non mi lamentavo affatto: potevo vedere la TV come
e per quanto tempo desideravo.
Stavo seguendo un programma poco interessante, quando mi trovai a sbadigliare. Poi
sentii l’orologio segnare le 23. I miei ancora non erano ancora rientrati, quindi decisi di
andare in camera mia. A fatica riuscivo a tenere gli occhi svegli ma, non appena toccai il
letto, fui sorpreso da strani ticchettii. Un effetto dell’acqua piovana sulle persiane, pensai.
Poco dopo però avvertii un rumore, come di passi, e pareva avvicinarsi a camera mia.
TUM TUM TUM.
Ormai il sonno si era dileguato, per lasciare il posto allo spavento. Decisi di chiamare i
miei genitori. In una frazione di secondo afferrai il mio telefono. Niente, non
rispondevano. Poi, di nuovo...
TUM TUM TUM.
Ormai la paura si era impadronita di me. D’improvviso tutte le luci si spensero. Era stato
il temporale? Decisi di andare a controllare il quadro elettrico nel corridoio quando, ad
un tratto, vidi davanti a me una bambina. Aveva vestiti sporchi e laceri.
L’estranea mi chiese: «VUOI GIOCARE CON ME?».
Terrorizzato, io riuscii a biascicare un... «Come hai fatto ad entrare in casa?».
Ma lei non rispose alla mia domanda e ripeté: «VUOI GIOCARE CON ME?»
                                                                                                      Storie per chi non ha voglia di dormire

Decisi di accettare l’invito, per non suscitare in lei reazioni di stizza. Non feci in tempo a
dire «Sì»: lei era sparita! La cercai nel corridoio e in tutta la casa, poi decisi di tornare nella
mia stanza. Forse avevo sognato, forse mi ero lasciato suggestionare da uno dei miei
amati film horror... Sul cuscino del letto notai un foglio. Era una lettera.
“VUOI GIOCARE CON ME? CERCAMI. HAI TEMPO FINO A MEZZANOTTE PER TROVARMI.
DOPO I DODICI RINTOCCHI, SE NON MI AVRAI TROVATA; TI UCCIDERÒ”.

                                                                                                      30
Aiuto! Che voleva da me quella bambina? Era in carne e ossa o era uno spettro? Non c’era
tempo per le supposizioni. Dovevo trovarla!
Avvertii una risata sinistra. Guardai l’orologio: segnava le 23:40. Avevo a disposizione una
ventina di minuti... e la fronte bagnata di sudore. Presi a correre senza più ragionare in
ogni locale della casa, aprendo ante di armadi, scostando tende e controllando sotto
tavoli e letti. Nessuna traccia di quella bambina. Eppure sentivo la sua presenza. Vicina.
Sempre più vicina.
«VUOI GIOCARE CON ME?».
TUM TUM TUM.
TUM TUM TUM.
TUM TUM TUM.
«Brayaaannn! Vuoi aprirci? Io e papà siamo rimasti chiusi fuori casa!».
Ci misi qualche istante per capire che era la mamma che mi chiamava dal portone
d’ingresso, che era con papà, che avevano dimenticato le chiavi e che quella bambina
inquietante mi era apparsa in sogno. Almeno, di questo mi convinsi.

                                                                                               Storie per chi non ha voglia di dormire

                                                                                               31
Simone Moioli

                                     LA TRAPPOLA

Era una notte buia e tempestosa ed ero a casa da solo.
Stavo pranzando.
Appena finito di mangiare, sentii bussare alla porta, aprii e vidi un signore, basso e mal
vestito.
Gli chiesi il motivo della visita e lui mi disse che era venuto per conto di una persona molto
importante; aggiunse anche che quella persona voleva farmi una proposta.
La proposta consisteva nella donazione di sangue: sarei dovuto andare in ospedale e i
medici avrebbero preso la giusta dose di sangue e poi sarei ritornato a casa e tutto sarebbe
stato come prima.
Io accettai la proposta: sono sempre stato una persona altruista.
L’uomo, soddisfatto, mi lasciò con queste parole: «Tra due giorni verrò per portarla in
ospedale».
Mantenne la parola.
Passò a prendermi e mi accompagnò in ospedale.
Lì vidi persone che mi fissavano in uno strano modo: mi sentii molto a disagio.
Mi sdraiai sul lettino e, supino, vidi una massa di uomini venirmi incontro.
Erano strani, tutti avevano gli occhi rossi e la bocca insanguinata.
I due uomini che mi avevano fatto la proposta mi avevano teso una trappola: mi avevano
mandato in un covo di vampiri.
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Cercai di scappare ma inutilmente: era giunta la mia ora!

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Alice Pagani

                             UNA VACANZA DA INCUBO

«Allora, siete pronti? Vi muovete? Facciamo tardi! Rischiamo di perdere il treno!»
E loro rispondono: «Ok, Amy! Possiamo partire!».
Io e i miei amici, Billy e Lucy, trascorreremo le vacanze di Halloween, nel castello di
Fosdinovo. Da quando loro sono fidanzati, trascorriamo sempre le festività insieme.
Dopo aver fatto un lungo viaggio, finalmente arriviamo sul posto: non è per niente come
ce lo aspettavamo! La fortezza è tenuta male: le finestre hanno dei vetri rotti; l’erba è
cresciuta ovunque, anche sullo stradello; i fiori sono appassiti; ci sono vasi rotti sparsi nel
giardino e una macchina vecchissima, arrugginita e senza una portiera.
Ci ha accolto il Signor Wilson, il guardiano del castello. Non sembra molto contento di
vederci: senza salutarci, con aria seria e arrogante dice: «C’è solo una regola da
rispettare... È vietato andare nei seminterrati!».
Siamo molto spaventati e Billy sospira e dice: «Non ci dobbiamo preoccupare, tanto sarà
una finzione, visto che siamo venuti per festeggiare Halloween».
Entrati nel castello, le nostre idee non cambiano perché le luci sono quasi tutte spente, fa
tanto freddo forse a causa del fatto che il riscaldamento non è mai stato acceso.
Andiamo nelle nostre camere per sistemare i bagagli, poi, dopo aver cenato, ci sediamo
davanti al camino per condividere delle storie. Curiosi, chiediamo al signor Wilson di
raccontarcene una. Inizia dicendo: «Quella che vi sto per narrare è la leggenda di questo
castello. Tanto tempo fa, intorno al 1450, nel castello di Fosdinovo vivevano un re, una
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regina e una principessa di nome Aurora, che era innamorata di un servitore. Il re non
voleva che sua figlia si sposasse con il ragazzo, per cui, durante una notte, decise di
ucciderla e di nasconderla nei seminterrati…». E poi aggiunge: «Oggi sono tante le
persone che giurano di aver sentito le urla del fantasma della principessa».
Dopo la spaventosa leggenda, noi ragazzi ci rechiamo nelle stanze a dormire. Ad un certo
punto sentiamo una voce che grida: «Aiuto! Aiuto! Aiutatemi!».

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All’inizio pensiamo che sia il vento, ma poi sentiamo un’altra volta la voce: «Aiuto! Aiuto!
Aiutatemi!» e un’altra volta ancora. È una voce bisbigliante, flebile, sospetta.
Inizia a piovere, all’improvviso udiamo un tuono fortissimo e dal terrore saltiamo giù dal
letto tutti. È buio e non si accendono le luci. Io e Lucy iniziamo a cercare una candela,
invece Billy dei fiammiferi per accenderla. Alla fine, quando troviamo il necessario,
scendiamo dalle scale con molta paura e seguiamo la voce.
Prima di arrivare nei seminterrati, ci fermiamo un attimo, perché io e Lucy siamo molto
spaventate e non vogliamo scendere, allora ci diamo tutti la mano e proseguiamo. Fa
sempre più freddo, il buio s’intensifica e si odono rumori strani, penetranti. Ci sono tante
stanze e decidiamo di entrare nella prima… Siamo sorpresi da un vento gelido che fa
chiudere la porta dietro di noi. La candela si spegne, il buio è totale.
La voce terrificante è sempre più forte e sembra che i miei timpani stiano per esplodere,
ci appoggiamo alle pareti: sono umide, appiccicose. Avvertiamo un odore di sangue e
capiamo che c’è una macchia sulla parete. Il muro
cade e vediamo il cadavere della principessa. Provo
un dolore forte al cuore, ma poi mi passa.
Terrorizzati, iniziamo a cercare una via di fuga,
vediamo una porta, l’apriamo e ci troviamo nel
giardino. Poiché Billy è esperto di macchine, riesce a
far partire la vecchia auto posteggiata nel cortile e
con quella carcassa fuggiamo verso casa mia. Arrivati,
chiudo a chiave la porta e dico con tono malefico:
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«Sono la principessa Aurora! Mi sono impossessata della vostra amica Amy! Non la
rivedrete mai più! Adesso vi ucciderò tutti e due, perché nessuno deve essere felice!»
Loro, spaventati, iniziano a scappare per la casa, ma non sfuggono alle grinfie della
principessa.
Aurora ritorna al castello e nasconde i cadaveri in una stanza…. Insieme alle coppie che
aveva ucciso in passato.

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Simone Pagnoncelli

                                GLI UOMINI POSSEDUTI

I miei genitori erano in trasferta per lavoro. Per un’intera settimana sarei stato a casa da
solo. Mamma e papà si fidavano sia perché mi ritenevano un dodicenne responsabile sia
perché nella stessa via abitavano i nonni, pronti a intervenire in caso di bisogno.
La prima sera, mentre stavo guardando la televisione in salotto, sentii le finestre
scricchiolare. Avevo saputo che negli ultimi tempi si aggiravano dei ladri nei dintorni. Salii
in camera mia, scivolai nel mio letto per dormire, anche se un po' preoccupato.
La mattina seguente mi recai a scuola e, mentre entravo, notai la maestra Sonia piena di
collane: ci feci caso, ma non ne cercai una particolare ragione.
Quella sera, tornato a casa, decisi di andare a dormire dai nonni, che furono ben contenti
di ospitarmi. Loro abitavano poco distante da me. A un certo punto sentii suonare
l’allarme di casa mia: pensai che fossero rientrati i miei genitori.
                            Il giorno dopo, aprendo le porte della mia villetta, scoprii che
                            era stato rubato tutto: quadri, vasi e addirittura il lampadario.
                            La sera seguente decisi di restare sveglio.
                            Dopo un’ora suonò di nuovo l’allarme: qualcuno era entrato!
                            Ero molto spaventato ma non volevo avvisare i nonni e agitarli.
                            Decisi di raggiungere casa mia.
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Quelli che dovevano essere dei ladri erano saliti al piano di sopra. Mi accorsi che erano in
due e che erano armati. Io mi feci coraggio e gridai: «Fermi!». Quando quelli si girarono,
vidi che erano la mia maestra Sonia e il mio maestro, che io consideravo il migliore. Provai
a capire perché si fossero intrufolati a casa mia rivolgendo loro delle domande, ma
nessuno dei due rispondeva alle mie domande. Sembravano posseduti. Non li vedevo
bene ma avevano occhi rossi come il fuoco e sembrava ci fosse in loro un demone.
Per fortuna ero vicino alle scale, così mi misi a correre, inseguito da loro.

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