Terminator Resistance, in guerra contro Skynet

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Terminator Resistance, in guerra contro Skynet
Terminator Resistance,                                   in
guerra contro Skynet
Terminator Resistance è uno shooter single player in prima
persona sviluppato da Teyon per Pc, Xbox One e Ps4. I diritti
del gioco si
basano esclusivamente sui primi due capitoli cinematografici
della serie,
proprio per tale motivo, almeno da un punto di vista
“potenziale”, il titolo è
tra le opere meglio riuscite nel proporre cosa è accaduto dopo
il famoso Giorno
del Giudizio. Il protagonista dell’avventura si chiama Jacob
Rivers, un soldato
della divisione Resistance Pacific. Nonostante Jacob sia solo
un modesto
soldato semplice, scoprirà presto di essere stato preso di
mira specificamente
da SKYNET, l’intelligenza artificiale nel pieno del suo
programma di sterminio
della razza umana. La trama di Terminator Resistance riesce a
farsi
discretamente apprezzare con molte soluzioni tipicamente
cinematografiche anche
per quanto riguarda il level design che invece in molti altri
punti però
risulta davvero essere poco curato per un titolo di attuale
Terminator Resistance, in guerra contro Skynet
generazione. Ma andiamo
ad esaminare la trama più da vicino. Come dicevamo: il mondo è
finito, è stato
tutto inutile, le testate nucleari hanno devastato le grandi
metropoli
riducendo la terra in un ammasso di rovine e di deserti
desolati. Il povero
John Connor, Sarah Connor e tutti coloro che si sono succeduti
dopo questi iconici
personaggi, non sono riusciti ad evitare la guerra tra uomini
e macchine
ribelli e i pochi sopravvissuti sono costretti a nascondersi
per evitare lo
sterminio totale. Anche in Terminator Resistance gli umani
sono raggruppati in
piccoli nuclei di resistenza e portano avanti una guerra che è
ambientata
esattamente trent’anni dopo Terminator 2: Il giorno del
giudizio. Skynet sembra
ormai avere il dominio assoluto, ma i leader della resistenza
non si arrendono,
e nelle loro fila abbiamo anche il protagonista Jacob Rivers.
Proprio come in
un film di Hollywood, Rivers è la recluta di turno che segue
il gruppo della
resistenza con un destino speciale tutto da scrivere. A
rendere ancora più
misterioso il cammino dell’eroe c’è poi l’Estraneo, un uomo
misterioso che guiderà
i giocaotori nella battaglia, rivelandosi uno scrigno di
sapere su tutto ciò
che riguarda la guerra scatenata dalle macchine. Nel corso
della storia, viene
data la possibilità di compiere delle scelte, che si limitano
ad essere piccoli
bivi narrativi che non fanno altro che sbloccare alcune scene
extra, ma che
Terminator Resistance, in guerra contro Skynet
fondamentalmente non cambiano l’evoluzione della storia. Uno
degli aspetti
implementati e coinvolti da queste scelte sono i rapporti con
i vari protagonisti
della storia e la conquista o meno della loro fiducia. Il
grado di fiducia
crescerà grazie al compimento di una serie di missioni
secondarie, quasi tutte
esonerate da specifici combattimenti, se non quelli emergenti
con i vari ragni
robot, o HK volanti o di terra, e volte alla ricerca di
rifornimento,
medicinali o informazioni sensibili.

A livello di gameplay Terminator: Resistance si presenta
come uno sparatutto in prima persona senza tanti fronzoli, ma
le dinamiche
messe in opera dal team Teyon, lo fanno assomigliare per certi
versi a un
action-stealth dalle dinamiche piuttosto scarne. Nonostante la
guerra scatenata
da Skynet e lo scenario apocalittico costellato di macerie,
infatti, sono rare
le scene particolarmente concitate degli scontri a fuoco.
Soprattutto nelle
fasi iniziali, dove non avendo la disponibilità di armi
sofisticate per
abbattere i robot, bisogna cercare di farsi notare il meno
possibile. Per fare
ciò basterà nascondersi dietro i rottami delle autovetture,
dietro dei muri,
insomma mettersi al riparo dietro a qualsiasi elemento
presente nello scenario
per non farsi scoprire dai robot. Ovviamente, laddove si
Terminator Resistance, in guerra contro Skynet
preferisca affrontare
le macchine in scontri diretti, è sempre possibile imbracciare
il fucile e
sparare, ma optare per questo tipo di approccio risulta sempre
essere
pericoloso e, a parere nostro, meno divertente. In Terminator
Resistance
purtroppo è presente un gameplay davvero scarsamente calibrato
in termini di
sfida: si passa da un approccio stealth praticamente obbligato
delle prime tre
ore di gioco, a uno sparatutto quasi di natura arcade dove chi
gioca è
praticamente invincibile grazie alla dotazione del fucile al
plasma.
L’intelligenza artificiale dei Terminator, inoltre, non fa
altro che rendere
tutto più facile,     poiché   oltre   a   non   individuare   il
protagonista nelle
immediate vicinanze quando si nasconde, la loro offensiva è
piuttosto bassa e
inconsistente rispetto a quella di Rivers. Tutto questo è
molto divertente
all’inizio, ma andando avanti nella storia il livello di sfida
è davvero molto
basso e purtroppo il titolo si riduce a un’avventura semplice
e dalle dinamiche
piuttosto elementari. A rendere le cose ancora meno
interessanti in questo Terminator
Resistance ci pensa lo schema ridondante delle missioni, che
mette in scena un
percorso da seguire attraverso gli indicatori da raggiungere
ingaggiando le
macchine che ostacolano il cammino dell’eroe. Le aree da
esplorare sono anche
piuttosto limitate a dispetto dello scenario proposto in modo
illusorio e
Terminator Resistance, in guerra contro Skynet
fortemente limitato da rottami che mascherano barriere
invisibili e in
definitiva percorsi predeterminati. Il gioco prova a
introdurre alcune
meccaniche vincenti come il crafting con i tessuti, le armi e
i pezzi di
memoria di Skynet che si possono trovare nel corso
dell’avventura. Questi
comp0onenti permettono di aumentare il livello di Jacob e
aumentare anche le
capacità di scassinamento delle porte o di hacking dei
dispositivi. Per quanto
riguarda il potenziamento delle armi, Rivers è protagonista di
un ulteriore
minigioco, dove dovrà far combaciare una serie di chip per
implementare la
potenza di fuoco o la precisione. Si tratta di espedienti
sicuramente non
originali, ma che almeno riescono a donare un pizzico di
varietà all’eccessiva
linearità delle missioni.

A livello grafico Terminator Resistance offre un comparto
sicuramente
gradevole, ma comunque sotto la media, con scenari ben
realizzati, ma con pochi
elementi e spesso troppo ripetuti. Inoltre, i modelli
utilizzati sembrano
rifarsi almeno alla scorsa generazione, troppo scarni di
particolari e
piuttosto rigidi nei movimenti. Inoltre i colpi sparati che
non si capisce bene
dove vadano a segno e una scarsa varietà dei nemici, rendono
l’esperienza di
Terminator Resistance, in guerra contro Skynet
gioco davvero poco soddisfacente. Dal punto di vista sonoro
fortunatamente le
cose sono decisamente migliori grazie a un buon doppiaggio in
italiano ed
effetti sonori per gli spari e le esplosioni di buon livello,
ma a rendere il
comparto audio davvero notevole ci pensano i motivi musicali,
che offrono alcuni
rimandi al tema originale del film. Tirando le somme, questo
Terminator
Resistance si presenta come un titolo che può essere
apprezzato solo dai veri
fan di Terminator o dai giocatori più giovani. Diciamo questo
in quanto l’estrema
facilità di gioco, la povertà di dettagli e particolari, l’IS
dei nemici veramente
ridicola e un gameplay davvero troppo elementare potrebbero
far storcere il
naso a chi si aspetta qualcosa davvero in grado di stupire. A
nostro avviso il
lavoro del team Teyon non rende giustizia al potenziale che il
brand racchiude.
Tutto (musiche a parte) poteva esser fatto meglio, ma
purtroppo il risultato
finale è un titolo poco coinvolgente e che sembra sviluppato
in tutta fretta. Il
nostro consiglio? Se proprio volete acquistarlo provatelo o
almeno
documentatevi su YouTube.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 6
Terminator Resistance, in guerra contro Skynet
Sonoro: 8,5

Gameplay: 6

Longevità: 6

VOTO FINALE: 6,5

Francesco Pellegrino Lise
Terminator Resistance, in guerra contro Skynet
WhatsApp,    una  funzione
nascosta svela con chi si
parla di più
Volete sapere con chi chiacchierate di più su WhatsApp? Bene,
per chi non lo sapesse, l’app della popolarissima piattaforma
di instant
messaging ha una funzione nascosta per mostrarlo, con tanto di
dettagli
relativi all’esatto numero di messaggi scambiati con uno
specifico contatto. La
funzionalità è molto semplice da trovare, ma non è ancora
molto utilizzata in
quanto è ben nascosta nelle impostazioni dell’applicazione.
Per visualizzarla è
necessario accedervi e selezionare la voce “Utilizzo dati e
archivio”. Da lì,
scegliendo l’ultima opzione della lista, vale a dire “Utilizzo
archivio”, si
aprirà una schermata contenente tutte le conversazioni
dell’utente su WhatsApp
ordinate dall’alto verso il basso in base allo spazio da esse
occupato. Se si
seleziona una specifica chat si potranno poi visualizzare
tutti i dettagli
dell’interazione. Con ciò si intende il numero totale di
messaggi scambiati
divisi in testi, gif, foto, video, registrazioni audio,
sticker e documenti.
Per ogni categoria viene poi fornita anche l’esatta porzione
di memoria che
occupa. Quest’ultima feature è molto utile in quanto grazie ad
essa è possibile
gestire al meglio l’applicazione per eliminare tutti quei
Terminator Resistance, in guerra contro Skynet
contenuti troppo
pesanti che occupano la memoria del dispositivo mobile. Va
sottolineato inoltre
che il fatto che una chat di WhatsApp occupi tanto spazio non
vuole
necessariamente dire che è quella con cui si hanno più
interazioni. Se infatti
i media inviati sono foto e video, la pesantezza aumenta.
Potrebbe dunque
accadere che una chat in cui si mandano molti messaggi di
testo risulti in una
posizione più bassa nella classifica perché questi occupano
meno spazio. Per lo
stesso motivo le conversazioni di gruppo peseranno di più
perché contengono
messaggi inviati da più utenti. In ogni caso, da oggi grazie a
questa
particolare funzione, gestire WhatsApp sarà sicuramente molto
più semplice, ma
soprattutto riuscire ad avere la memoria di archiviazione del
proprio
telefonino occupata in maniera non eccessiva è finalmente un
sogno facilmente
realizzabile.

F.P.L.
Terminator Resistance, in guerra contro Skynet
Just Dance 2020, ballare non
è mai stato così divertente
Just Dance 2020 (disponibile su PlayStation 4, Nintendo
Switch, Wii, Xbox One, Google Stadia) è il decimo capitolo del
franchise di Ubisoft, il cui primo capitolo debuttò nell’ormai
lontano 2009. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti,
anche se a conti fatti negli ultimi cinque anni la produzione
si è mostrata estremamente conservativa, e la software house
sembra essere particolarmente restia nell’introduzione di
novità sostanziali. In questa recensione cercheremo di capire
sia come è strutturato Just Dance 2020, sia quanto c’è di
nuovo nell’offerta principale per aiutarvi nella fatidica
scelta se acquistarlo o meno. Una volta avviato il titolo, i
fan della serie si troveranno subito a loro agio in quanto il
menù iniziale è identico in tutto e per tutto a quello dello
scorso capitolo: titoli di apertura, logo, si ricorda al
giocatore che per i propri figli c’è Just Dance Kids con nuove
proposte ecc… Fortunatamente però Just Dance 2020 individuerà
i dati di salvataggio di Just Dance 2019 già presenti sulla
console, dando così il bentornato ai players di vecchia data e
portando con sé una minima parte dei contenuti già sbloccati a
livello estetico. Il livello del giocatore ricomincia invece
da 1, per non rovinare il sistema di progressione. Anche a
livello di giocabilità Just Dance 2020 non offre sorprese,
infatti avviando la riproduzione dei primi brani presenti,
risulta evidente come il titolo non abbia modificato, neppure
parzialmente, il solito gameplay. Al giocatore tocca quindi
nuovamente mettersi a ballare imitando il più fedelmente
possibile i buffi personaggi e manichini in movimento sullo
sfondo, accumulando punti su punti e riempiendo così la barra
sul lato sinistro dello schermo.

È possibile ottenere da una a cinque stelle, e in casi di
notevole bravura anche la dicitura Superstar, con il massimo
dei punti
consentito. Ogni punteggio viene registrato in locale sulla
console, così che
tra diversi profili di diversi giocatori si possa mantenere
costante una sana
competizione. Insomma, la filosofia adottata da Ubisoft sembra
proprio essere
quella della “squadra che vince non si cambia”.
Purtroppo il rischio che si corre optando per una scelta
simile è che i
giocatori si trovino fra le mani un gioco troppo simile al
passato e non siano
spinti all’acquisto. Certo, parliamo sempre di un prodotto
destinato a un
pubblico di nicchia o a chi vuole utilizzare il titolo per
animare una festa,
ma in ogni caso, a nostro avviso, un prodotto fotocopia (dal
punto di vista del
gameplay) non è proprio il massimo. Per chi non lo sapesse, ci
teniamo a
sottolineare che per giocare a Just Dance 2020 si possono
utilizzare ancora una
volta più sistemi di controllo: i Joy-Con della vostra console
Nintendo, oppure
scaricare l’App per dispositivi mobile Android e iOS. La
Switch resta
probabilmente la piattaforma perfetta per questo tipo di
esperienza, sia per la
responsività e l’accuratezza nella registrazione del movimento
dei Joy-Con, sia
perché giocare con uno smartphone come controller dopo aver
scaricato l’app, non
risulta particolarmente eccitante. Davvero poco da segnalare
per quanto
riguarda il comparto grafico e tecnico di Just Dance 2020,
anche in questo caso
sostanzialmente immutato rispetto a Just Dance 2019. Abbiamo
notato tuttavia
una maggiore cura per i fondali e nei dettagli delle
coreografie: osservando
attentamente gli sfondi, questi ultimi appaiono più nitidi e
definitivi, e
generalmente soddisfano in modo maggiore il colpo d’occhio. Ma
è davvero
l’unica annotazione degna di nota che sia possibile fornire.

 Ovviamente la cosa
che cambia in Just Dance 2020 sono le canzoni offerte nel
pacchetto. La
tracklist a disposizione è infatti notevole e piuttosto
coraggiosa per varietà:
magari qualcuna delle tipiche “top 40” statunitensi è stata
sacrificata, ma a
guadagnarne è la multi-culturalità dell’offerta: molti sono i
pezzi che vengono
dagli altri continenti come Africa e Asia. Ovviamente non
manca il Sud America
con numerose versioni di balli latini. Ogni brano gode di una
personalità tutta
sua grazie alle coreografie studiate per ciascuno di esso,
molto colorate e ben
studiate sia nei costumi che negli sfondi: viene voglia di
guardarli anche
quando ormai si è sudati marci dopo essersi scatenati con
cinque o sei canzoni.
L’acquisto di Just Dance 2020        fornisce   per   un   mese
l’abbonamento Unlimited che,
oltre alle 43 canzoni base, offre più di cinquecento altri
brani tutti da
ballare da soli o in compagnia. Tirando le somme, grazie alla
sua immediatezza
e alla grande carica di divertimento, Just Dance 2020 non
aspetta altro che la
serata giusta con degli amici che hanno voglia di divertirsi.
Pezzi divertenti,
coreografie coloratissime e sorprendenti, e fino a 6 giocatori
in contemporanea
sono ingredienti che farebbero esplodere qualsiasi festa.
Anche in singolo il
titolo di Ubisoft riesce a divertire, unico rischio, ed è bene
che lo si
sappia, è che essendo un titolo dalla natura particolare, il
gioco venga scelto
raramente o solo in determinate occasioni. Quindi alla luce di
quanto detto, se
siete delle persone dall’anima festaiola o amanti del ballo,
Just Dance 2020 fa
al caso vostro. In caso contrario però, se state cercando un
party game dove
non sia necessario “sudare” o affaticarsi il nostro consiglio
è quello di
guardare altrove.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 8

Gameplay: 8

Longevità: 6,5

VOTO FINALE: 7,5

Francesco Pellegrino Lise
Plants Vs. Zombies torna con
La battaglia di Neighborville
Plants Vs. Zombies la Battaglia di Neighborville è il nuovo
videogame della serie di PopCap ed Electronic Arts già
disponibile per
Playstation 4, Xbox One e PC. Per chi non lo sapesse, vogliamo
ricordare che sono
passati ben dieci anni dall’uscita di Piante contro Zombi,
peculiare “tower
defence game” che, prima su PC e successivamente su
piattaforme mobile e
console, ha saputo guadagnarsi una fetta considerevole di
appassionati.
L’aspetto strategico nei tower defence è sicuramente di
prim’ordine e Piante vs
Zombie ha saputo coniugare a dovere l’aspetto “tattico” con
l’immediatezza di
gameplay, rendendo di fatto il gioco godibile sia dai grandi
che dai piccini.
La “genialata” dei PopCap Games di contrapporre due fazioni
così diverse e
assurde, ovvero le piante e gli zombie mangia cervelli, si è
dimostrata la
chiave vincente che ha portato questo brand al successo. Il
team di Seattle,
tuttavia, cinque anni fa decise di affiancare alla serie
principale,
esclusivamente tower defence, uno spin-off multiplayer, che
avrebbe sempre
visto contrapposte le due assurde fazioni, ma riproponendo lo
scontro con un
gameplay tipico degli sparatutto in terza persona. Plants vs.
Zombies: Garden
Warfare è stato infatti il primo “esperimento” di PopCap
Games, in congiunta
con Electronic Arts, capace di rivelarsi un successo sia di
critica che di
pubblico.

L’immediatezza di gameplay, unita ad uno stile grafico unico
e cartoonesco, spinsero il team a riproporre un sequel l’anno
successivo. A
circa tre anni di distanza dall’uscita di Plants vs. Zombies:
Garden Warfare 2,
ecco arrivare Plants Vs. Zombies Battle for Neighborville,
sequel spirituale
dei due precedenti spin-off, carico di novità in termini di
modalità e
meccaniche di gioco, ma sempre ricchissimo di spunti
intelligenti ed esilaranti.
Esaminando più da vicino il titolo possiamo dire che, questo
terzo capitolo
della serie in versione shooter riparte dalle ottime basi
gettate da Garden
Warfare 2 e prende tutto quello che c’era di buono per
elevarlo alla massima
potenza. Inoltre, sono riscontrabili alcuni graditi
miglioramenti che
sicuramente dipendono da un’attenta osservazione dei “rivali”
nell’ambito degli
shooter online. Ad esempio, la presenza di variazioni delle
classi è totalmente
scomparsa, rispetto alle precedenti iterazioni, lasciando
spazio ad alcuni
personaggi base, più alcuni unici da aggiungere al roster
principale, portando
il numero di personaggi giocabili a un totale di venti. Tra le
novità, in
termini di pg giocabili, per le piante sono presenti la
ghianda, mentre per gli
zombi un “pilota” spaziale in un minuscolo UFO circolare.
Entrambi abbastanza
agili sul campo, sono dotati di una potenza di fuoco
sostenuta, bilanciata però
da una difesa piuttosto fragile,       anche   se   forniti   di
un’abilità unica in grado
di ribaltare le sorti dello scontro: la ghianda, ad esempio,
potrà trasformarsi
in una quercia, mentre lo zombie spaziale potrà trasformarsi
in una fortezza
galleggiante, lenta ma devastante. Le cose diventano più
interessanti quando ci
sono più cadetti o ghiande in una squadra, perché più
giocatori possono saltare
su una controparte più grande, con tutti i vantaggi e le
complicazioni del
caso. Non è una novità per il genere di appartenenza, ma una
grande novità per
la serie di PopCap Games, capace di rendere gli scontri
multiplayer ancor più
variegati e divertenti rispetto al passato. Sul fronte
meccaniche, ogni eroe di
Plants Vs. Zombies Battle for Neighborville possiede un’arma
da fuoco e un set
di abilità unico. Di grande pregio, inoltre, la cura per i
dettagli riservata
ai diversi personaggi che compongono i due roster. Tale
attenzione per i
dettagli e la caratterizzazione dei singoli personaggi saranno
sicuramente
apprezzate dai giocatori. La quantità di nuovi contenuti da
cui si viene
accolti nel nuovo mondo hub è davvero sorprendente, l’opening
del gioco è
semplice ma efficace e la struttura di gioco a dir poco
entusiasmante. Una
volta lanciato il titolo ci si troverà subito catapultati in
un mondo vivo,
denso di attività e ricco di cose da fare. Nella modalità
single player ad
esempio sarà necessario correre, intraprendere missioni più
facili, cercare
tesori, sconfiggere nemici e molto altro ancora. Ovviamente,
questo da solo non
offre un motivo sufficiente per acquistare il gioco (è
richiesta una
connessione a Internet), ma siamo rimasti molto soddisfatti
dall’aggiunta della
modalità single player, soprattutto vista la varietà che offre
al gioco. Altra
modalità presente in game è Garden/Graveyard Ops, che è
fondamentalmente una
modalità orda in cui bisogna affrontare nemici sempre più
difficili
all’avanzare dell’esperienza. Poiché le classi del gioco sono
diverse e
variegate, si può facilmente cambiare le sorti in battaglia
semplicemente
cambiando personaggio, quindi è importante non focalizzarsi su
un solo tipo di “soldato”
ma sfruttare quello con le abilità più adatte al tipo di cosa
che si vuole fare.
Abbiamo anche apprezzato molto la modalità Arena Battaglia,
che mette in
competizione squadre di quattro persone in cui ogni giocatore
che ha una sola
vita, uno contro l’altro. Questa nuova modalità di Plants Vs.
Zombies Battle
for Neighborville ha aggiunto rapidamente un po’ di frenesia
all’esperienza ed
è stata più intensa di quanto pensassimo fosse possibile da un
gioco su piante
e zombi. Torna anche Turf War, modalità che consente di
collaborare con altri
giocatori per raggiungere obiettivi specifici comuni. Questa
modalità di gioco
è divertente, ma dal momento che non c’è molta strategia in
gioco quando si è
accoppiati con giocatori casuali che sembrano pensare che ogni
modalità sia un
deathmatch, purtroppo essa non raggiunge mai il suo pieno
potenziale.

Oltre alle modalità sopra citate, è ovviamente presente il
classico Deathmatch, che è sempre divertente. Decidere se
giocare al nuovo
Night Cap (un ninja furtivo di funghi), al brutale Kernel Corn
o al classico
Peashooter ha un impatto importante su ciò che accadrà nel
gioco e ci sono
anche obiettivi che incoraggiano a cambiare costantemente
personaggio, per
spingere il giocatore a provare la varietà che il gioco ha da
offrire. Proprio
come nelle precedenti iterazioni della serie, Plants
vs.Zombies, questo nuovo Battle
for Neighborville si concentra principalmente sullo sbloccare
oggetti cosmetici
come cappelli divertenti, pantofole consumate, combinazioni di
colori e molto
altro. Ogni attività presente in game, che sia legata ad
attività della storia
o partite competitive online, ricompenseranno i giocatori con
delle monete,
spendibili nell’apposita    slot   machine   presente     nell’hub
centrale, dove si verrà
premiati con componentistica estetiche in maniera randomica,
come ad esempio
costumi ed emote per il proprio personaggio. Per quanto
riguarda la nostra
prova, su Xbox OneX, ci sentiamo di elogiare il lavoro svolto
dagli
sviluppatori per quanto     concerne   la    cura   del   comparto
audiovisivo. Battle for
Neighborville gode di una serie di effetti grafici ancor più
avanzati rispetto
al passato, grazie all’utilizzo dell’ottimo Frostbite Engine
di Electronic Arts,
in grado di riempire lo schermo di coloratissime esplosioni.
La cura dei
dettagli e della composizione delle texture è quella di
sempre, ma la varietà è
nettamente aumentata, anche all’interno della medesima mappa.
Discreto il
comparto sonoro che, propone musiche divertenti, versi
“gutturali” e rumori,
rimanendo però ancora distaccato da un doppiaggio classico e
legato ai canonici
sottotitoli in italiano. Parlando di lati negativi, purtroppo
c’è da dire che nel
corso della nostra prova purtroppo abbiamo riscontrato una
presenza
fastidiosissima di freeze del gioco che ci ha costretto a
riiniziare attività
più e più volte rendendo l’esperienza complessiva piuttosto
frustrante. Speriamo
che gli sviluppatori riescano a risolvere questo problema in
tempi brevi con
una patch ad hoc. Tirando le somme, con Plants vs. Zombies:
Battle for
Neighborville annoiarsi è davvero impossibile in quanto è uno
shooter online
immediato e divertente, caratterizzato da toni leggeri e da un
comparto tecnico
colorato e convincente. La possibilità di affrontare le
modalità cooperative e
competitive in compagnia di amici, grazie all’utilizzo dello
split screen, è un
valore aggiunto in questa nuova produzione targata PopCap
Games. Problemi,
annosi, di bilanciamento a parte che ci auguriamo vengano
risolti con i
prossimi aggiornamenti, ci sentiamo di consigliare il titolo a
tutte le persone
che cercano uno shooter leggero, intuitivo, originale e senza
troppi fronzoli.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8
Sonoro: 8

Gameplay: 8

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise

WhatsApp, un file Mp4 mette a
rischio la sicurezza
Utenti di WhatsApp attenzione, un file Mp4 può mettere a
rischio la sicurezza della popolare applicazione di instant
messagging e
consentire a malintenzionati di prendere il controllo del
dispositivo. L’allarme
è stato lanciato dalla stessa società di proprietà di Mark
Zuckerberg che conta
oltre 1 miliardo e mezzo di utenti attivi ogni mese. Viene
consigliato agli
utenti di aggiornare l’app all’ultima versione in cui è stata
inserita una
correzione di sicurezza. Secondo il sito GbHackers, al momento
non ci sono prove
concrete del fatto che questa vulnerabilità sia stata
sfruttata, ma in ogni
caso è bene proteggere il proprio WhatsApp eseguendo l’update.
A fine ottobre
l’applicazione ha fatto causa alla società israeliana Nso,
accusandola di
essere responsabile di attacchi mirati a circa 1.400 suoi
utenti, utilizzando
uno spyware, cioè un software spia. Il problema è stato
classificato come
“critico”. Un   attacco   di   questo   tipo   avrebbe   permesso
all’hacker di
scaricare e installare sui dispositivi violati un malware, un
software maligno,
oltre a rendere accessibili e trasferibili i dati sensibili
contenuti nello
stesso. E tutto questo a insaputa dell’utente. Facebook ha
dichiarato di aver
preso in carico il problema, etichettando la vulnerabilità
come “CVE-2019-11931”.
“WhatsApp lavora costantemente per migliorare la sicurezza del
servizio.
Rendiamo pubblici i potenziali problemi che abbiamo,
risolvendoli con le
migliori pratiche del settore. In questo caso, non vi è motivo
di credere che
gli utenti siano stati colpiti”, ha spiegato un portavoce
della società. Sempre
secondo il sito GbHackers, le versioni interessate da questo
problema sono,
nello specifico, quelle precedenti alla 2.19.274 su Android e
alla 2.19.104 per
quanto concerne Whatsapp Business, alla 2.19.100 su iOS e alla
2.19.100 per
Business, e pari o inferiori alla 2.18.368 su Windows Phone.
Per mettersi al
sicuro gli utenti devono mantenere l’applicazione aggiornata e
non aprire file
o filmati, in     particolare   quelli   con   estensione   MP4,
provenienti da fonti non
conosciute. Eseguire costantemente gli update, ricordiamo, è
l’unico modo di
mantenere le applicazioni al cento per cento sicure e non
incappare in alcun
tipo di problemi. Non ignorate mai gli aggiornamenti.

F.P.L.
Planescape Torment e Icewind
Dale sbarcano su Xbox One,
Ps4 e Switch
Planescape Torment e Icewind Dale arrivano su Xbox One, Ps4 e
Nintendo Switch. Dopo la recente uscita di Baldurs Gate 1 e 2
(qui la nostra recensione), anche questi titoli vedono nuova
vita sulle console di attuale generazione e sono pronti a
farsi conoscere dalle nuove generazioni di gamers, ma anche a
fare la gioia di chi li ha giocati nello scorso millennio.
Planescape Torment e Icewind Dale rappresentano due modi
diversi, quasi opposti di vedere i giochi di ruolo. Torment è
un rpg a tutto tondo dove la storia la fa da padrone pur con
una certa dose di libertà. Una sceneggiatura degna di un
ottimo film, personaggi caratterizzati e ben definiti, e una
serie di sidequest splendide ne fanno un gioco di ruolo una
spanna sopra ai Baldur’s Gate. Icewind Dale invece, propone
un’avventura lineare, in certi versi simile ad una sessione
cartacea vera e propria di Dungeon’s and dragons, con missioni
a “moduli” e un party tutto da costruire, dove la storia è sì
importante, ma di contorno rispetto a strategia e
combattimento. Ma andiamo ad esaminare i tioli: Icewind Dale
si propone come una sorta di Baldur’s Gate più concentrato sul
sistema di combattimento. Certo, una storia è sempre presente,
e al giocatore è richiesto di affrontarla dalla propria
prospettiva: il che significa che risolvere determinate
situazioni in un modo o nell’altro spetta alla sensibilità del
giocatore, con tutte le conseguenze del caso. Per tutto il
resto, Icewind Dale è molto simile a Baldur’s Gate, ossia è un
classico gioco di ruolo con visuale isometrica, con sistema di
combattimento in “tempo reale” con la possibilità di poter
usare una pausa tattica per poter gestire al meglio le azioni
dei membri del party del giocatore. Il party, infatti, è una
delle prime differenze rispetto a Baldur’s Gate che saltano
all’occhio. Mentre in BG il giocatore deve costruire il suo
party mentre avanza nell’avventura selezionando i compagni man
mano che si avanza, in Icewind Dale si comincia immediatamente
con un party formato di tutto punto. Questo potrebbe allungare
decisamente i tempi della creazione dei personaggi, ma per
fortuna, il gioco mette a disposizione un party di base creato
precedentemente, facendo così risparmiare tempo al giocatore.
Inutile dire che l’editor di creazione è sempre lo stesso ed
offre, come al solito, un’elevatissima mole elevata di opzioni
di personalizzazione della propria squadra. D’altronde, si
parla sempre di una campagna di D&D, e Icewind Dale riesce a
catturare lo spirito pienamente, regalando centinaia di ore di
gioco. Parlando di Planescape Torment, invece, possiamo dire
che il titolo riprende le meccaniche dei giochi D&D precedenti
e le rielabora per presentare un tipo di esperienza unica nel
mondo dei giochi di ruolo. Infatti, a differenza degli altri
titoli di cui abbiamo parlato, Torment è quello che presenta
il livello di scrittura più alto, con uno stile che non
disdegna anche picchi di black humor.
Il giocatore veste i panni del Nameless One, e le
informazioni che il giocatore ha su di lui sono uguali a
quelle che il
personaggio stesso è a conoscenza: ovvero, niente. Tutto
quello che si sa è che
il protagonista è stato portato in un obitorio perché si
credeva fosse morto,
solo che all’improvviso si alza e cammina. Uno scheletro
fluttuante si avvicina
e interagisce con il protagonista, e decide di accompagnarlo
per scoprire cosa
gli è successo. Infatti, il personaggio principale soffre di
un’amnesia che non
gli consente di ricordare assolutamente nulla degli eventi che
lo hanno portato
a finire in un obitorio. Starà al giocatore guidarlo alla
ricerca della verità,
in un mondo incredibilmente complesso e tutto da scoprire.
Come già detto,
Planescape Torment ha un accento decisamente maggiore sulla
storia e su come il
giocatore la può navigare ed influenzare. I testi a schermo
sono tantissimi,
scritti in maniera davvero squisita. Nonostante la storia
abbia una trama
assolutamente straordinaria però resta comunque un gioco con
vent’anni alle sue
spalle. Infatti, chi sta dinanzi lo schermo non sa mai bene
quello che deve
fare, dove deve andare, e soprattutto come farlo. Tutto ciò è
lasciato al
giocatore stesso da scoprire; questo perché Torment richiede
un’immedesimazione
molto elevata, richiede di tuffarsi nel mondo di gioco con
grande attenzione e
concentrazione, senza lasciarsi sfuggire dettagli e cercando
di non tralasciare
nulla. Se si è in grado di superare gli ostacoli iniziali
dovuti all’età di
questo titolo, ci si ritroverà davanti uno degli esempi più
sopraffini di
narrativa videoludica e credeteci, vivere un’esperienza del
genere è davvero
fantastico. Adesso che abbiamo fatto un veloce excursus su ciò
che i due titoli
hanno da offrire, andiamo ad analizzare il comportamento di
Icewind Dale e Planescape
Torment su console. Come per Baldur’s Gate, il lato puramente
estetico non
rappresenta un problema, e anche lo zoom che va a “distorcere”
le texture, è
parte integrante di un compromesso impossibile da risolvere.
Non è possibile, a
meno di non ricreare completamente la grafica partendo da
texture ad alta
definizione, ma è una discussione prettamente accademica in
quanto questo tipo
di lavoro richiederebbe     una   mole   di   risorse   tale   da
scoraggiare qualsivoglia
progetto. E forse, soprattutto per i puristi, non sarebbe
nemmeno corretto.
Infatti, questi giochi vanno goduti per ciò che offrono in
termini di storia e
gameplay, non certo per l’aspetto estetico. Dal punto di vista
tecnico,
esattamente come con la collection di Baldur’s Gate, anche qui
Skybound Games e
Beamdog hanno fatto un lavoro molto ben riuscito. Il sistema
di controlli funziona
alla perfezione: anche se stiamo anni luce dalla precisione
che tastiera e
mouse, per cui questi giochi erano originariamente pensati, la
mappatura dei pulsanti
però è decisamente convincente. Certo, c’è bisogno di un primo
periodo di
apprendimento; ma dopo un po’, navigare il mondo di gioco e
fra le varie
finestre dei menu diventerà facile come bere un bicchiere
d’acqua, specialmente
per chi è abituato ad avere a che fare con i giochi di ruolo.
Tirando le somme,
possiamo dire che con Planescae Torment e Icewind Dale su
console, i giocatori
si trovano in mano due rpg indimenticabili. Strategia e
personalizzazione ai
massimi livelli faranno la gioia degli appassionati di D&D,
mentre le ambientazioni
da brividi, soprattutto quelle di Planescape Torment sono
quanto di meglio si
possa trovare in circolazione. Certo, ve lo ripetiamo, questi
titoli sono adatti
a utenti esperti, ma se si ha pazienza e costanza, anche un
giocatore di primo
pelo può imparare e apprezzare la maestosità di queste vere e
proprie opere
videoludiche.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 9

Gameplay: 9,5

Longevità: 9,5
VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise

Call of Duty Modern Warfare,
il reboot che rilancia la
saga
Call of Duty Modern Warfare è un reboot della saga che ha
rivoluzionato il concetto di sparatutto in prima persona ed è
disponibile su
Pc, Xbox One e Ps4. Per anni gli appassionati di questo
genere, dopo una prima
trilogia indimenticabile e diversi titoli futuristici che non
hanno avuto lo
stesso impatto della serie MW originale, hanno desiderato un
ritorno alle
origini, e quest’anno Activision e Infinity Ward hanno deciso
di accontentare i
fan. Il nuovo capitolo di Call of Duty, infatti, non è altro
che una rilettura
del titolo uscito nel 2007 che utilizza alcuni fra i
personaggi iconici del
brand e apre la strada verso un futuro che sembra essere
pronto a riscrivere
una delle storie più amate dal popolo dei gamers. Call of Duty
Modern Warfare
ripropone i tre pilastri storici del brand, ossia: la Campagna
single player,
una corposa componente multiplayer, vero fulcro del gioco per
milioni di
appassionati, e una componente cooperativa basata su orde di
nemici IA con le
Operazioni Speciali. Prima analizzare queste modalità, è però
doveroso parlare
di un’altra novità: dopo anni e anni di riciclo e ritocchi del
motore originale
della serie, lo studio stavolta ha introdotto un engine
grafico completamente
nuovo, pensato per gli hardware di prossima generazione che
anche sulle console
di attuale generazione si difende davvero bene con modelli
estremamente curati,
animazioni fluidissime ed effetti speciali hollywoodiani che
rendono tantissime
parti della campagna realistiche quasi quanto un film di
guerra.
Come già detto, per quanto riguarda la storia in singolo,
Infinity
Ward ha deciso di tornare ai suoi titoli più famosi, con un
vero e proprio
reboot che riprende personaggi e tematiche dei vecchi titoli,
inserendoli in un
nuovo contesto. La campagna, come detto dallo stesso studio di
sviluppo, vuole
essere uno spaccato sulla guerra moderna. Nel 2007 Call of
Duty 4: Modern
Warfare aveva lo stesso obiettivo, ma era figlio di un’altra
epoca; 12 anni fa,
erano ancora forti tematiche come la guerra in medio-oriente,
una guerra
diversa da quelle del passato, ma in cui ancora si potevano
vedere eserciti,
regolari e non, scontrarsi tra loro. Dodici anni sono passati
e con essi è
cambiato, almeno per il team di Infinity Ward, il significato
di “guerra
moderna”. Per questo Call of Duty: Modern Warfare non presenta
battaglie tra
eserciti di soldati, ma una guerra più subdola, che entra
nelle vite di tutti i
giorni. Per far comprendere pienamente i toni di questo gioco
e che cosa si intende
per “guerra moderna” ci basterà descrivere brevemente una
missione: in una di
quelle iniziali, infatti, il giocatore si trova a Picadilly,
una delle strade
più famose di Londra. La vita scorre come da norma per la
metropolitana: folle
di persone che sciamano lungo i marciapiedi, le strade
bloccate dal traffico,
le luci elettriche che illuminano la serata. Il giocatore,
però, nei panni di
un agente delle forze speciali, stiamo cercando di fermare una
cellula
terroristica che, a bordo di un veicolo, si lancia tra la
folla e facendosi
esplodere. La battaglia comincia così, tra le strade di
Londra, in mezzo ai
civili, in mezzo alle grida disperate. Le tematiche toccate
dal gioco sono
forti e riguardano argomenti davvero contemporanei, che non
sono affatto
semplici da trattare. Fortunatamente, Call of Duty: Modern
Warfare riesce anche
a evitare un approccio eccessivamente apodittico
all’argomento. Se in molte
missioni ci si trova nei panni di soldati occidentali, in
altre si vestono i
panni dei ribelli dell’Urzikstan, che hanno intenti simili
alle cellule
terroristiche di Al-Qatala, vale a dire la liberazione del
loro Paese. In
particolare, ci sono missioni ambientate nell’infanzia della
comandante dei
ribelli, Farah, che mostrano la violenza che è stata usata
contro il suo popolo
e che portano a capire tanto i suoi motivi quanto quelli delle
cellule
terroristiche, di cui Farah e i suoi ribelli non condividono i
metodi. In
questa situazione è difficile fare una divisione netta tra
buoni e cattivi. Ci
sono personaggi ambigui tra le forze occidentali, ma ve ne
sono anche negli
altri gruppi. Infiltrarsi nei covi dei terroristi significa
infiltrarsi in case
di persone che non sono dei veri soldati, persone che hanno
una famiglia,
mogli, mariti e figli. Sono queste missioni, più di altre, che
generano una
sensazione contrastante, gettando veri dubbi su quale sia la
cosa giusta da
fare in queste situazioni. La campagna di Call of Duty Modern
Warfare ha una
tenuta narrativa che la serie non vedeva dai tempi di Black
Ops 2, e che
sicuramente rientra tra le migliori offerte dalla serie fino
ad ora. Questo,
grazie anche ad un cast di personaggi che rimane impresso,
anche dopo
l’avventura. Le storie dei quattro protagonisti sono ben
delineate e, alla fine
della campagna, è chiaro che i loro volti sono destinati a
tornare presto, ma saranno
accompagnati da alcune vecchie conoscenze. Chi vivrà vedrà.
Volendo essere
puntigliosi e trovare un difetto per questa modalità, possiamo
dire che la
durata della campagna è piuttosto breve, intorno alle sei/7
ore, e ad essere
penalizzata è la parte finale. Il ritmo narrativo subisce
infatti un’improvvisa
accelerata verso la fine, che stona con il resto della storia.
La sensazione
che si ha una volta portata a termine la storia è infatti
quella che manchi
qualcosa per completare il tutto.

Lo step successivo alla Campagna in singolo è quello della
modalità cooperativa Operazioni Speciali, che è possibile
affrontare in locale
(fino a 2 giocatori) e online (fino a 4 persone). Tale
tipologia di gioco
permette ai giocatori di affrontare missioni top secret ad
alto tasso di
adrenalina contro orde di soldati IA sempre più equipaggiati e
letali. A
differenza della storia proposta da Call of Duty Modern
Warfare, però, questa
modalità sembra realizzata in maniera piuttosto frettolosa,
con poca cura per i
dettagli ed asset che sembrano quasi nati per altri utilizzi.
Una volta
lanciata una delle missioni disponibili, ci si trova infatti
in una gigantesca
mappa con strade, edifici e punti di interesse basati su mappe
storiche della
saga, divisa in aree accessibili a seconda delle operazioni,
che sembra
palesemente creata per una qualche modalità Battle Royale non
ancora rilasciata
(ma si mormora che arriverà ad inizio 2020). Qui le missioni
presentano
obiettivi piuttosto semplici come l’uccisione di determinati
nemici o la
conquista di alcune aree, il tutto mentre si affrontano orde
di soldati IA
sempre più forti, che vanno dai soldati semplici fino ai
temibili Juggernaut o
altri che utilizzano carri armati ed elicotteri, fino a
completare gli
obiettivi per poi essere estratti da un elicottero per
terminare la missione. Il
tutto sembra molto bello se non che, ad oggi, raggiungere
questo obiettivo è
praticamente impossibile: infatti i nemici respawnano di
continuo anche a pochi
metri dai giocatori o addirittura alle loro spalle, e grazie
al time-to-kill
bassissimo che accompagna ogni modalità del gioco, restare in
piedi è un’impresa
disperata vista anche la scarsità delle coperture in giro per
la mappa. L’unica
strategia che funziona al momento, ma solo in alcune aree,
sembra essere quella
di nascondere un giocatore in un punto irraggiungibile all’IA,
perché se
qualcuno resta in vita anche i compagni morti possono
rientrare dopo circa un
minuto di attesa. Insomma, le operazioni speciali di Call of
Duty Modern
Warfare a nostro avviso rappresentano una modalità sfruttata
male e che al
momento offre pochi motivi per essere giocata. Tale tipologia
di gioco necessiterà
di diversi aggiornamenti per diventare degna di attenzione o
quanto meno al
pari di quelle viste nel 2009 con CoD MW2. Peccato davvero.

Differentemente dalle operazioni speciali, le modalità online
di Call of Duty Modern Warfare raggiungono in pieno
l’obiettivo: una partita tira l’altra ed è un piacere
ritornare nelle mappe per un altro scontro. C’è da dire che
fortunatamente quest’anno il multiplayer ha subito più di una
rivoluzione soprattutto per quel che riguarda le modalità di
gioco, che guardano sia a giochi di guerra su grande scala
come Battlefield che a titoli che prediligono le lotte due
contro due. Ovviamente è presente anche il multiplayer
“classico”, dove due squadre di 5 o 6 giocatori si affrontano
in mappe medio-piccole nelle classiche modalità che ormai
famose della saga come il Deathmatch a Squadre, Cerca e
Distruggi ma anche lo spassoso Attacco Hacker che ricalca le
regole del CeD tranne che per il fatto che i compagni possono
essere rianimati, creando così dinamiche di ingaggio molto più
variegate con un 1v4 che può tranquillamente diventare 4v2 se
il giocatore rimasto è bravo ad aggirare i nemici. On Call of
Duty Modern Warfare anche le meccaniche di gioco hanno subito
alcuni cambiamenti: velocità di movimento ridotta, tempi di
mira allungati, possibilità di agganciarsi alle coperture per
sbirciare più al sicuro e ottenere una mira più precisa a
discapito della mobilità, mappe con tanta verticalità e dove
lo scavalcamento degli ostacoli risulta molto più immediato
rispetto a prima hanno portato a un approccio più cauto e meno
da “Rambo”. Da tutto questo e da livelli di salute molto più
bassi rispetto ai classici CoD ne deriva uno stile di gioco
più fluido ma anche più lento e ragionato, amplificato
dall’impressionante volume sonoro dei passi che rivelano
rapidamente la posizione ai nemici circostanti e dal ritorno
delle letali mine claymore. Ovviamente in Call of Duty Modern
Warfare c’è anche la possibilità di personalizzare le proprie
classi. Via il sistema Pick 10, si torna al sistema inventato
nel 2007 da Infinity Ward stessa nel primo Modern Warfare,
dove ogni slot ha un utilizzo specifico e vanno occupato per
forza partendo dall’arma principale fino ad arrivare alle
granate e ai perk. Tra questi si sottolinea la presenza di
ritorni eccellenti come Fantasma, che nasconde i giocatori ai
radar degli aerei spia, o un perk inedito che ricarica
automaticamente ogni 30 secondi granate, claymore, flashbang o
qualunque altro equipaggiamento in possesso del giocatore. La
chicca del multiplayer di Call of Duty Modern Warfare però è
l’Armeria, luogo dove è possibile creare migliaia di
combinazioni letali per personalizzare al meglio qualunque
arma, cambiandone anche drasticamente l’utilizzo. Insomma, in
questo nuovo capitolo della serie sparatutto più famosa del
mondo i contenuti non mancano di certo e non resta altro che
vedere come se la caverà poi Infinity Ward con il supporto
post-lancio. Al momento non ci sono neanche microtransazioni
(con gli sviluppatori che hanno dichiarato di rilasciare tutte
le mappe gratuitamente e di non introdurre meccaniche loot-
box), mentre diverse novità come il cross-play tra tutti i
sistemi e il supporto mouse e tastiera sono già delle novità
più che benvenute. Presente ovviamente anche la localizzazione
completa in italiano del titolo che rende l’avventura ancora
più bella da vivere e totalmente immersiva.

Come già accennato, grazie al nuovo motore grafico Call of
Duty: Modern Warfare porta la serie Activision verso nuovi
standard qualitativi. Chiaramente ciò va a incidere sulle
prestazioni del gioco in termini di frame rate e se vi state
domandando su quale piattaforma gira meglio il titolo? Bene
ecco il mostro responso riguardo la campagna: la maggiore
risoluzione utilizzata da Infinity Ward su Xbox One X rende
questa versione del gioco non sempre stabile e talvolta
soggetta a cali anche abbastanza vistosi, cosa che di contro
non accade su PS4 Pro dove la console Sony offre più stabilità
a scapito di una qualità grafica leggermente inferiore. Per
quanto concerne invece i modelli base, PS4 e Xbox One, la
situazione appare decisamente più problematica dove il target
dei 60 fps spesso e volentieri non viene raggiunto.
Ovviamente, quest’utima analisi di Call of Duty Modern Warfare
è mirata a evidenziare aspetti assolutamente non percettibili
da occhi inesperti. Il titolo offre un’ottima esperienza su
entrambe le console e ovviamente anche su Pc. Quindi, alla
luce di quanto detto, se siete alla ricerca di uno sparatutto
in prima persona che ricordi i CoD di fine decennio scorso, il
nuovo prodotto di Activision e Infinity Ward sarà una vera e
propria gioia. Con questo reboot della saga il brand sembra
finalmente aver trovato la via d’uscita dal tunnel di buio e
monotonia in cui era finita negli ultimi anni. Quindi, tirando
le somme, siamo assolutamente certi che la riedizione del
grande classico del 2007 sarà decisamente un prodotto
apprezzato dalle nuove generazioni di gamers, ma anche da chi
12 anni fa giocava al titolo originale.

GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 9

Gameplay: 9

Sonoro: 9

Longevità: 9,5

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise
TikTok dall’app di successo
al nuovo smartphone
Annunciato a gran voce come il TikTok Phone, in realtà il
“Jianguo
Pro 3” (questo il nome del dispositivo) è soltanto prodotto
dalla stessa
società dietro l’applicazione in testa a tutte le classifiche
di download del
momento, Bytedance. Ufficializzato per il mercato cinese, il
nuovo dispositivo
non dovrebbe avere molte possibilità di giungere fin da noi in
Europa ed è un
peccato dato che si tratta di uno smartphone dalle
caratteristiche davvero
niente male. Lo smartphone Targato TikTok arriva sul mercato
con un prezzo di
ingresso tutt’altro che economico (2.899 yuan, l’equivalente
di circa 410
dollari). Ovviamente fra i servizi preinstallati è presente
Douyin, la versione
di TikTok destinata agli utenti cinesi: basta passare il dito
sulla schermata
di blocco e immediatamente si applicano gli effetti e i filtri
dell’app ai
video in memoria. Definirlo lo smartphone di TikTok è però
forse improprio,
visto che proprio i portavoce di ByteDance hanno confermato
come questo
dispositivo sia di fatto la continuazione dei progetti già in
essere prima
dell’avvio della partnership con Smartisan, ma è certo che si
tratti di un
apparecchio con caratteristiche tecniche non banali. A livello
tecnico il “TikTok
Phone” si presenta con una dotazione da dispositivo di fascia
alta, a
cominciare dal processore Snapdragon 855 Plus, cui fa pendant
una batteria da
4.000 mAh, per finire con un comparto fotografico forte di
quattro camere
posizionate sul retro (un sensore principale da 48 Megapixel,
un obiettivo
ultra wide da 13 MP, un teleobiettivo da 8 MP e una camera
macro da 5 MP) e un
sensore 20 megapixel per i selfie sulla parte anteriore del
display, dove trova
posto anche il sensore per il riconoscimento delle impronte
digitali. Il
telefonino di TikTok si troverà nei colori verde, bianco e
nero, più che
probabile la sua disponibilità tramite il mercato grigio
d’importazione.

F.P.L.
Baldur’s Gate 1 e 2 arrivano
su console
Baldur’s Gate Enhanced Edition, pacchetto contenente
Baldur’s Gate 1 e Baldur’s Gate 2 più le relative espansioni è
finalmente
arrivato su Xbox One, Ps4 e Nintendo Switch. Questa
collezione, ci teniamo a
sottolineare, fa parte di una linea di uscite che ripropongono
i migliori gdr
ispirati a D&D, quindi: Planescape Torment, Icewind Dale e
Neverwinter.
Dopo questa doverosa premessa, torniamo a Baldur’s Gate.
L’importanza del brand
per il medium dei videogiochi è indiscussa. Il capolavoro
uscito nel lontano
1998 su Pc fu il primo esempio di come utilizzare le regole di
Dungeons &
Dragons in maniera credibile per sviluppare la struttura
ludica di un
videogioco. Ambientato nel mondo dei Forgotten Realms, il
giocatore si trova a
dover affrontare una vera e propria epopea disseminata di
eventi epici e
personaggi memorabili. A prescindere dalla console scelta per
godere di questa
storica Enhanced Edition – che pur conserva l’eccellente
impronta pixellosa
dell’originale – il lavoro del team di Beamdog è piuttosto
evidente, e va ad
impattare soprattutto sui controlli di gioco su Baldur’s Gate
II, che poggia
sull’ultima versione dell’Infinity Engine. In particolare,
sebbene sia sempre
possibile indirizzare il     party   verso   un   punto   preciso
attraverso la modalità
tattica, adesso è possibile guidare il gruppo autonomamente
utilizzando lo
stick sinistro per farlo camminare e lo stick destro per
direzionarlo, muovendo
al tempo stesso la telecamera. Il controllo “sui pollici” è un
chiaro requisito
da console, che si sposa perfettamente con ciascuna delle
piattaforme su cui
approda questa Enhanced Edition. Ciò detto, la modalità
tattica con il
puntamento preciso nell’area della location rimane la più
adatta quando non si
è in fase esplorativa; ad esempio, dovrete utilizzarla per
combattere o usare
magie puntuali. Ovviamente anche l’interfaccia grafica è stata
reinventata per
adeguarsi alla navigazione da pad, con menu radiali e non,
comandabili tramite
dorsali e grilletti. Ottima anche la telecamera intelligente
che, in modo
autonomo, va a puntare sia gli oggetti di interesse che i
personaggi,
facilitando un po’ i controlli durante l’esplorazione dei
dungeon e
svecchiando, di fatto, un sistema di gioco estremamente rigido
e complesso. La
difficoltà di fondo legata al sistema Advanced Dungeon &
Dragons rimane
tutta, il che ne fa un titolo adatto soprattutto a chi già ne
sa, perché un
neofita andrebbe incontro ad una curva d’apprendimento
estremamente rigida e
non paragonabile agli action RPG attualmente in commercio
sotto diversi punti
di vista. Tuttavia, chi deciderà di non gettare la spugna dopo
alcune ore, da
un certo momento in poi riuscirà a sentire la difficoltà più
dolce, complice
sia un party più forte che l’ottenimento di una maggiore
esperienza di gioco.
C’è, poi, tutta la gestione delle arti magiche e delle
caratteristiche dei
personaggi, che richiedono davvero tanto tempo da investire
per padroneggiare a
dovere ogni aspetto di ciascuna avventura. In Baldur’s Gate è
fondamentale non
correre: il tempo speso a leggere le informazioni di corredo e
a pianificare
ogni attacco risulta essenziale, tanto per non morire dopo
poche azioni, quanto
per arrivare a un livello di coinvolgimento e appagamento
post-vittoria che
forse non ha ancora eguali. La cosa veramente ammirevole di
questa coppia di
giochi importantissima è il sistema di controlli. Adattare un
gioco nato e
cresciuto con mouse e tastiera per essere giocato con un
controller non è
assolutamente un’operazione semplice. Skybound Games e Beamdog
hanno fatto un
lavoro decisamente pazzesco: la mappatura dei comandi è fatta
sulla falsariga
di Pillars of Eternity, ma in Baldur’s Gate sembra addirittura
funzionare
meglio. Certo, siamo ben lontani dalla precisione e
dall’accuratezza che mouse
e tastiera concedono, ma è incredibile pensare di poter
giocare in questo modo
un gioco per computer storico come Baldur’s Gate.

Il sistema di combattimento segue delle regole modificate
della seconda edizione di Dungeons & Dragons: per esempio, le
battaglie in
Baldur’s Gate sono molto più impegnative, e fanno molto più
affidamento sui “roll”,
esattamente come in una qualsiasi campagna di D&D. Non è raro
che,
soprattutto all’inizio, il party del giocatore cerchi di
sconfiggere un mostro
deboluccio impiegandoci una quantità di tempo forse pure un
po’ troppo
eccessiva: si vedono infatti i protagonisti mancare il nemico
più e più volte,
allungando la durata dello scontro. Infatti, nonostante la
bontà estrema di
questo sistema, è innegabile che sia Baldur’s Gate sia
Baldur’s Gate 2 mostrano
decisamente la loro provenienza da un’altra era videoludica.
Al giocatore è
Puoi anche leggere