Film che ci aspettano nelle sale

Pagina creata da Matilde Fantini
 
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Film che ci aspettano nelle sale
Finalmente si torna al cinema! 5 nuovi
film che ci aspettano nelle sale
Si torna finalmente nelle sale cinematografiche e noi non potremmo esserne più felici. Uno dei motori
di questa ripartenza potrà essere proprio l’industria del cinema e a cavalcare l’onda di questa,
speriamo duratura, ripresa, ci sono tante nuove produzioni, italiane ed internazionali.

Ho scelto 5 novità che spaziano dalla fantascienza al drammatico, dalle
sceneggiature originali alle trasposizioni dai romanzi.
1. DUNE

Film del regista Denis Villeneuve, remake del film del 1984 di David Lynch, trasposizioni
cinematografiche del romanzo omonimo fantascientifico dello scrittore Frank Herbert del 1965. Uscito
in Italia il 16 settembre scorso, è uno dei film più attesi dagli amanti del genere, che inevitabilmente
lo paragoneranno alla versione degli anni ottanta. “Dune” è ambientato in un futuro controllato da un
impero interstellare, diviso in feudi ed ognuno di questi feudi è governato da una casa nobiliare. Il film
di fantascienza dell’anno può contare su un cast “stellare”, composto da Timothée
Chalamet, Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Zendaya e Jason Momoa;

2. TRE PIANI

Il regista Nanni Moretti prende un meraviglioso romanzo, ambientato in Israele, e lo trasporta in Italia.
Al suo fianco Margherita Buy, Riccardo Scamarcio, Adriano Giannini, Alba Rohrwacher, Elena Lietti,
con cui al Festival di Cannes ha guadagnato undici minuti di applausi. Il romanzo omonimo, dello
scrittore israeliano Eshkol Nevo, indaga tra le pieghe dell’animo umano senza giudizio e con tanta
verità, anche quella più inaccettabile. Non sappiamo quanto il regista italiano abbia preso in prestito
dall’opera letteraria, né come abbia affrontato questa operazione, essendo per lui la prima volta,
sappiamo però che perdersi l’occasione di conoscere questa storia, anzi, queste tre storie, sarebbe un
grande spreco;

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     La ripartenza è un tema quanto mai attuale. Dopo due anni di pandemia sentiamo il bisogno di
    lasciarci alle spalle questo lungo periodo complesso (tenendo quello che di buono c’è stato) e di
                               affacciarci con ottimismo al tempo che verrà.

3. IL BUCO

Il 23 settembre è uscito al cinema il film “Il buco”, del regista Michelangelo Frammartino, che dopo
il suo “Le quattro volte”, torna sul grande schermo con lo stile che lo contraddistingue. Premiato al
Festival di Venezia, il film racconta di alcuni membri del Gruppo Speleologico Piemontese che
nell’estate del ’61 decidono di andare ad esplorare l’Abisso di Bifurto, una grotta di origine carsica,
un buco lungo 683 metri nel Parco del Pollino. La critica parla di immagini e suoni che ci fanno
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immergere totalmente nell’esperienza di questo viaggio al centro della terra, tra buio e profondo,
respiri e silenzi;

4. IL MATERIALE EMOTIVO

Sergio Castellitto torna al cinema il 7 ottobre con il film “Il materiale emotivo”, tratto dal soggetto del
regista Ettore Scola “Un drago a forma di nuvola” e dalla sceneggiatura che aveva scritto con la figlia
Silvia e Furio Scarpelli. L’opera poi è diventata una sceneggiatura della scrittrice Margaret Mazzantini
e Sergio Castellitto, che è anche l’attore protagonista, insieme a Matilda De Angelis e Bérénice Bejo.
E’ la storia di Vincenzo, un uomo schivo, sempre chiuso nella sua libreria di Parigi, e di sua figlia
affetta da mutismo selettivo, ma la vita di Vincenzo cambierà quando arriverà l’attrice Yolande con il
suo animo trascinante;

5) FREAKS OUT

Il nuovo attesissimo film del regista romano Gabriele Mainetti, che dopo il clamoroso successo del suo
primo lungometraggio “Lo chiamavano Jeeg Robot” del 2015, torna con un’opera storica e
avventurosa. Un circo di freak di cui seguiamo le vicende, nella Roma del 1943, sconvolta dalla
seconda guerra mondiale. Per questa opera corale, in uscita il 28 ottobre, l’attesa è davvero molto
alta, infatti, si prospetta come uno dei film più visti di questa stagione, con un cast che promette
altrettanto bene: Pietro Castellitto, Giorgio Tirabassi, Claudio Santamaria e molti altri.

Vasta scelta in questo autunno cinematografico, non importa cosa sceglieremo ma torniamo al
cinema, che le poltrone rosse, il buio in sala e il profumo dei popcorn ci attendono.

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Film che ci aspettano nelle sale
Il Cinema robotizzato: da Io e Caterina a
Marcia nuziale
C’è un film, del 1980, che affronta, prima di tutti, il ruolo che l’evoluzione della tecnologia può avere
nella nostra società: da una parte è motore di cambiamento in grado di distruggere con la sua carica
innovatrice i vecchi modelli sociali, dall’altra può essere usata proprio per rinforzare quei
meccanismi di potere basati sulla disuguaglianza. Ebbene questo film, a tratti rivoluzionario è Io e
Caterina, uno degli episodi più compiuti dell’Alberto Sordi regista.

L’attore e autore romano affronta molti anni prima che diventasse argomento di dibattito, il ruolo
centrale della tecnologia e delle intelligenze artificiali. Sordi lo fa dipingendo la questione di genere
inserendola in un ambiente fantascientifico, originale nel contesto italiano. Esaspera in maniera
caricaturale il suo personaggio, maschilista incallito incapace di relazionarsi con le donne se non in
una dinamica oggettivante e che per questo sposa il futuro, incarnato nel robot, solo per poter
guardare e rivivere un passato ormai anacronistico. Ne esce fuori una satira dell’esasperazione del
maschilismo e del femminismo, aprendo un mondo su un argomento molto attuale oggi, a 40 anni di
distanza. Ovvero, che un uso spropositato e mal gestito della tecnologia può portare effetti molto più
negativi che positivi.

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wige Fenech in una scena del film “Io e Caterina” del 1980.

Un dialogo del film è molto esplicativo in tal senso.
“Chi è Caterina?” “Quella che ha sostituito mia moglie e le cameriere. La casa la governa lei, è
quella che voi in Italia chiamereste una donna tuttofare” con queste parole Arturo (Rossano Brazzi)
confida all’amico imprenditore Enrico Melotti (interpretato da Alberto Sordi) il segreto della sua
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rinnovata felicità. Agli occhi dei due maschi, Caterina è perfetta: lava, stira, cucina, prende nota
degli appuntamenti, non discute mai, asseconda con gioia ogni desiderio del suo ‘padrone’, attende
con ansia il ritorno dell’uomo, e vede nelle faccende domestiche la sua massima realizzazione.
Caterina sembra una donna d’altri tempi estranea all’emancipazione femminile. È effige della donna
‘Carosello’, della moglie intesa come angelo del focolare, obbediente e passiva. Ma soprattutto,
Caterina non è umana: è un androide, una macchina elettronica programmata per tutti i servizi
domestici.

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      Al pari di quella digitale, la rivoluzione elettrica è arrivata quasi sottovoce e sta prendendo
  letteralmente piede molto velocemente. E quando si parla di rivoluzione elettrica, tra le altre cose,
                                      non si può non parlare di mobilità.

Lo stesso avviene anche ne La Fabbrica delle Mogli (The Stepford Wives), thriller del 1975 diretto
da Bryan Forbes, ispirato all’omonimo romanzo di Ira Levin del 1972. Il film è incentrato su Joanna
Eberhart (Katherine Ross) che spinta dal marito Walter (Peter Masterson) si trasferisce nel paesino
di Stepford. “Non riesco a capire questa città. Si direbbe che le domestiche sono state dichiarate
illegali e la massaia con la casa più lustra avrà in premio Robert Redford” dichiara Bobbie, un’altra
nuova residente dalla cittadina che, insieme a Joanne, si discosta completamente dalle altre mogli,
esemplari della casalinga perfetta.
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ca delle Mogli” del 1975 diretto da Bryan Forbes.

Alla ricerca del motivo alla base dell’abnegazione e dell’accondiscendenza verso i mariti di queste
donne, Joanne scoprirà di trovarsi di fronte a delle repliche perfette delle loro reali mogli. Riadattata
per il pubblico del 21esimo secolo, la pellicola è stata riportata sul grande schermo nel 2004 con il
titolo La Donna Perfetta, con un cast d’eccellenza, tra cui troviamo Nicole Kidman, Glenn Close e
Christopher Walken. Diretta da Frank Oz (La Piccola Bottega degli Orrori, Funeral Party), l’opera
perde la caratteristica di giallo/horror per inserirsi nel filone dalla commedia.

La prima versione cinematografica sembrava sottolineare l’impossibilità della duplicazione di esseri
umani, trasformando la rivelazione finale nella materializzazione di un incubo grottesco e
terrificante. Per contrasto, quella del 2004 è satura di riferimenti tecnologici sin dalle prime scene,
quando ai coniugi Eberhart viene affidato quasi come accessorio extra di una casa high tech un cane
robotico.

Le due opere sono figlie dei loro tempi. Se la scoperta finale nel ’75 appariva così impensabile, la
stessa scena nel 2004 sembra se non possibile, quantomeno ipotizzabile, complici gli sviluppi in
campo della robotica che, sebbene siano lontani dall’effettiva replicazione di esseri umani, hanno
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compiuto passi da giganti.

Se la versione della robot domestica di Sordi non è sessualizzata, in quelle de La Fabbrica delle
Mogli, la dimensione erotica è presente, soprattutto in quella del 2004. Ancora una volta non si
tratta di un caso e testimonia la crescente tendenza nello sviluppo di sex dolls robotiche. Nel 2017 la
Abyss Creations, nel business della costruzione di bambole realistiche da più di venti anni, ha
mostrato al mondo il suo ultimo prodotto: il primo esemplare di un particolare chatbot che usa un
software innovativo chiamato Harmony in grado, secondo la società di Matt McMullen, di portare in
vita la loro linea di sex toy.

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insieme a Ugo Tognazzi.

Ancora prima di Alberto Sordi o di Bryan Forbes, ci aveva pensato il genio di Marco Ferreri a
descriverci, con aberrante efficacia le distorsioni utopistiche della società italiana alla luce della
modernizzazione portata dalla tecnologia. Siamo nel 1966 di Marcia nuziale, quando Ferreri,
Azcona e Tognazzi realizzano uno strano “Blade Runner” farsesco, di incredibile efficacia visiva.
Quello da evidenziare è l’ultimo dei 4 episodi, ambientato in un futuristico 1999. Tognazzi è
viscidamente avvinghiato a una bambola di silicone, che assolve ad ogni funzione coniugale. L’arrivo
di un altro uomo, con un modello femminile più sofisticato, lo getta in uno sconforto frustrato. La sua
bambola sembra accorgersene, e lo fissa con orbite cave. Poi le sfugge una lacrima. Beffarda
anticipazione avveniristica condita con un pizzico di surrealismo, Famiglia Felice è uno degli
episodi più aberranti del cinema italiano, in puro stile Ferreri: crudele, amorale, disumano. Ma
perciò una perla, un episodio che si fa vedere per la sua lucida critica all’istituto del matrimonio,
ormai in decadenza e alla possibile deriva incontrollata, che il progresso tecnologico non controllato
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adeguatamente, può portare con sé.

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“Edison - L'uomo che illuminò il mondo” ci
parla della ‘guerra delle correnti’ che a
fine ‘800 elettrizzò il mondo, ma, a ben
guardare, ci descrive anche la rivoluzione
elettrica dei nostri giorni
Siamo su un treno che percorre una ferrovia in un’aperta campagna; dopo che esso si è fermato in
una sperduta stazione, un gruppo di uomini scende dalla vettura e comincia a percorrere un fangoso
sentiero. Sono una decina e dai vestiti capiamo che sono uomini benestanti, se non proprio ricchi;
una scritta in sovraimpressione ci dice che siamo nel 1880. Giunti in un campo aperto, vengono
fermati da una voce che nell’oscurità intima ai suoi collaboratori di “accendere” le luci per
squarciare le tenebre.

É così che fa la comparsa sullo schermo e nel film Thomas Alva Edison, il famoso inventore ed
imprenditore statunitense, cui presta volto e corpo Benedict Cumberbatch, perfettamente a suo
agio sia nei panni di personaggi storici come Edison o Alan Turing sia quando interpreta un eroe
della Marvel o il grande Sherlock Holmes, ruolo quest’ultimo che lo ha reso celebre ed amato a
livello mondiale.
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s George Westinghouse e Benedict Cumberbatch alias Thomas Alva Edison in una scena
del film.

Molti di voi avranno capito che il film di cui sto parlando è “Edison – L’uomo che illuminò il
mondo”, del regista statunitense, ma di origine messicane, Alfonso Gomez-Rejon, presentato in
anteprima al Toronto International Film Festival nel 2017, ma uscito nelle sale solo nel luglio del
2019 a causa del caso Harvey Weinstein che colpì la The Weinstein Company, produttrice della
pellicola.

Il titolo originale del film, “The Current War” (La guerra delle correnti), come al solito, è molto più
descrittivo della “trasposizione” italiana, perché definisce perfettamente il fatto e il periodo storico
che sono alla base di questo interessante period drama.

Perchè quella che vedremo è la trasposizione cinematografica di una vera e propria guerra che si
combattè alla fine dell’ottocento fra due tecnologie elettriche, oltre che fra due diverse maniere di
concepire la scienza e gli affari.

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  Al pari di quella digitale, la rivoluzione elettrica è arrivata quasi sottovoce e sta prendendo
  letteralmente piede molto velocemente. E quando si parla di rivoluzione elettrica, tra le altre cose,
  non si può non parlare di mobilità.

Da una parte abbiamo appunto Edison, fautore della più sicura, ma meno performante e più
costosa, corrente continua, oltre che inventore, ma più corretto sarebbe dire innovatore, della
lampadina a incandescenza, dall’altra l’ingegnere ed imprenditore dall’animo romantico George
Westinghouse (magistralmente interpretato da un Michael Shannon in stato di grazia) e il geniale
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inventore serbo Nikola Tesla (interpretato da Nicholas Hoult), fautori e promotori della corrente
alternata, più economica e performante, ma con un voltaggio molto alto che la rende anche
pericolosa.

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inario interprete nei panni di George Westinghouse.

Sarà Edison, inventore prolifico, risoluto uomo d’affari, nonché grande comunicatore mediatico, ad
assestare i primi colpi in questa epica battaglia, grazie alla sua lampadina ad incandescenza, la
prima (fra tutte le altre sviluppate nello stesso periodo da molti ricercatori sparsi per il mondo) a
superare le 13 ore di funzionamento. Sarà l’illuminazione di un piccolo quartiere di Manhattan,
appena 59 utenti, il 4 settembre 1882 a dare ad Edison, alla sua corrente continua e al mondo
intero la prima significativa scossa di elettricità; da quel giorno il buio sarà squarciato da una nuova
luce che illuminerà per sempre la strada verso il futuro.

Ma sulla lunga distanza – è proprio il caso di dirlo – e come la storia che tutti noi conosciamo, sarà
la corrente alternata di Westinghouse e Tesla a spuntarla, proprio in virtù di una maggiore
economicità e dell’indubbio vantaggio di non perdere potenza all’aumentare della distanza di
trasmissione dalla centrale di produzione a quella delle abitazioni.

Questo period drama ha una storia ed una gestazione molto lunghe: nato in ambito scolastico e
divenuto un musical piuttosto fortunato, lo script originale di quasi duecento pagine di Michael
Mitnick (autore anche della sceneggiatura) ha visto oltre 60 stesure al fine di ridurlo ad un film, il
che ne ha compromesso il ritmo e la tensione narrativa. Forse, visto il particolare periodo storico che
stiamo vivendo, sceneggiatore, regista e produttore avrebbero fatto meglio a creare una serie
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televisiva, e per essa, più che per un film, lo script aveva tutte le carte in regola.

A tenere alto l’interesse per questo lungometraggio concorrono – a mio modo di vedere – tre fattori
principali: il primo è l’attinenza storica ai fatti realmente accaduti, che ovviamente risentono della
inevitabile spettacolarizzazione cinematografica, ma che sostanzialmente sono “quasi” tutti veri e
verificabili; il secondo è la cura e la professionalità dello scenografo Jan Roelfs e del costumista
Michael Wilkinson e dei loro collaboratori, che hanno ricreato davvero i luoghi, le atmosfere e lo
stile di quegli anni alla fine dell’’800; infine, il terzo motivo è il ricco cast che anima questo film:
oltre ai già citati Benedict Cumberbatch, Michael Shannon (il migliore di tutti) e Nicholas
Hoult, vanno ricordati almeno Katherine Waterston (una frizzante ed intensa Marguerite
Westinghouse), il sempre più bravo ed eclettico Tom Holland (nei panni Samuel Insull primo
assistente di Edison) e Matthew Macfadyen (che interpreta un credibile J.P. Morgan, principale
finanziatore di Edison).

Per concludere, il film è un po’ lento, volutamente buio, come a voler marcare la crepuscolarità ed il
livore di un’epoca illuminata a candele e lampade a gas, ed a tratti eccessivamente didascalico, ma
la storia che racconta è vera ed affascinante, se non proprio appassionante, e ci permette non solo di
ripassare un po’ di storia, da approfondire con la successiva lettura di qualche saggio
sull’argomento, ma pure di fare qualche riflessione e parallelismo con l’epoca attuale, che vede la
rivoluzione digitale – dopo circa 20 anni – raggiungere il suo zenit e l’affacciarsi della rivoluzione, o
meglio, dell’orizzonte elettrico, che, come successe alla fine dell’800, cambieranno (ma già lo stanno
facendo) per sempre e radicalmente le nostre vite.

  Prima di concludere, lasciatemi fare, da appassionato di storia del cinema quale sono, una
  considerazione sulla scena finale del film che vede Edison seduto in un cinema che se la ride sotto
  i baffi, sicuro che sarà questa l’invenzione che più di tutte lo consacrerà come genio a livello
  mondiale. Forse è questa la scena storicamente più falsa del film. Thomas Alva Edison fu
  certamente uno dei principali teorici e inventori del cinema: sua l’idea di forare la pellicola per un
  più facile avvolgimento sia in fase di ripresa che di proiezione, suo il primo film “brevettato” della
  storia, Lo starnuto di Fred Ott del 1894, suo il primo studio cinematografico, il famoso Black
  Maria inaugurato a West Orange (New Jersey) l’11 febbraio 1893; ma la sala e la fruizione
  cinematografica, così come le conosciamo oggi, si devono ai fratelli Lumière. Edison, con il suo
  “cinetoscopio”, aveva immaginato una visione diversa, individuale, più in linea con la sua
  personalità ed egocentrica visione delle cose che, alla fine, la storia destinerà a soccombere in
  favore di quel rito collettivo che noi tutti conosciamo.

“Edison – L’uomo che illuminò il mondo” è il film ideale da vedere e/o riscoprire per
accompagnare ed approfondire la lettura di tutti gli altri articoli di questo numero di Agosto 2021,
che noi di Smart Marketing abbiamo intitolato “Orizzonte elettrico”.

Quindi non mi resta che augurarvi buona visione e buona lettura.

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Il film 365 e le accuse di misoginia,
sessismo e violenza: quando il film può
essere un vero test proiettivo.
Il lavoro del critico, si sa, è quello di valutare la qualità di un’opera, in questo caso cinematografica,
di interpretarne le dinamiche e/o di valutarne eventuali difetti o pregi, sia di forma che di
contenuto. Ma il lavoro del critico è anche un lavoro piuttosto creativo: egli talvolta scorge
nelle trame e nei personaggi dinamiche psicologiche di cui gli stessi sceneggiatori sono ignari ed
attribuisce al regista, in alcune occasioni, intenzioni che lui non si sarebbe mai sognato di esprimere.
Magari queste intenzioni erano inconsce, ma se addirittura Freud spesso forzava la mano
attribuendo ai pazienti intenzioni dettate da pulsioni sessuali recondite, figuriamoci se questo errore
non viene commesso da chi di mestiere non fa di certo lo psicoanalista!

Lungi da me l’idea di mettere in discussione il creativo lavoro del critico, anzi la mia è quasi una lode
a chi spesso è più creativo dell’oggetto stesso della sua critica, tuttavia ciò che voglio sottolineare
è che in questo lavoro vengono spesso proiettate le proprie dinamiche psicologiche. Questo
avviene in ognuno di noi mentre guardiamo un film e un critico, essendo prima di tutto uno
spettatore, non è esente da questo meccanismo, per cui se parliamo di proiezioni psicologiche non
stiamo parlando delle proiezioni del critico, ma dello spettatore in senso lato.
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lucka in una scena del film.

Un film che ultimamente ha suscitato critiche polemiche, che sta dando alla luce il suo sequel e
ispirato proiezioni psicologiche è uno degli ultimi arrivati sulla piattaforma Netflix, “365”, diretto
dai registi Barbara Białowąs e Tomasz Mandes e interpretato da Michele Morrone e Anna
Maria Sieklucka. Si tratta fondamentalmente della storia di un giovane boss mafioso che rapisce
una donna, dalla quale è ossessionato, e le propone una sorta di dinamica perversa e “gentile” nello
stesso tempo: se entro 365 giorni non si innamorerà di lui, la lascerà andare senza toccarla.

Il resto è solo un contorno la cui funzione è quella di
sostenere questa perversa dinamica.
In sé già la presentazione dei personaggi la dice lunga su come evolverà la storia, poiché gli autori
presentano immediatamente la complementarità dei due protagonisti. Lui un ossessivo dai tratti
psicopatici che cerca l’amore della sua vita e ovvio, essendo un mafioso, non può mica cercarlo
seducendo con il suo fascino una donna ad una festa di compleanno tra matricole universitarie, ma
la costringe con la forza. Già questo fa storcere il naso ad alcuni critici che sembrano dimenticare
che si parla, seppur in chiave erotica, di un personaggio di mafia e già questo mette lo spettatore in
una condizione che lo allontana da pensieri di imitazione e/o esaltazione delle sue gesta. Lei invece
è una donna frustrata sessualmente, trascurata dal suo fidanzato. Il regista ha già costruito i
tasselli di due persone complementari destinate, nel bene o nel male, ad unirsi. Ma c’è chi,
addirittura, ci ha visto un’istigazione al rapimento, alla violenza o addirittura un’esaltazione
della misoginia.

Insomma, signori, tutti sanno che un film deve avere “un conflitto” su cui far reggere la
sceneggiatura ossia una dinamica insolita, fuori dal comune, qualcosa che nella vita normale è
considerata sbagliata, proibita e, ovviamente, illegale. Se non fosse così, andrebbero censurati
tutti i film in cui i rapinatori la fanno franca e vivono, come da cliché, su un’isola tropicale
sorseggiando pina colata e godendosi i soldi della rapina dinanzi al mare. Ma in questo film il
rapimento della donna e la proposta di farla innamorare entro 365 giorni senza toccarla se non
sarà lei a decidere, non vuole affatto dare ad intendere che basti rapire una donna per farla
innamorare, come alcuni critici hanno voluto sottolineare. Il rapimento è solo una scusa bella e
buona per creare una dinamica che veda insieme la classica vittima e il classico carnefice,
dove è la vittima che decide, in realtà, come dirigere la relazione.

Qualcosa gli autori dovevano inventarsela, no?
Se in un film si vuole dar vita ad un carnefice (che poi non lo sarà più di tanto) bisogna creare un
contesto adatto, e quello del rapimento è una delle strategie possibili per creare il conflitto.
Chi dovesse davvero sentirsi istigato a commettere un atto del genere o ad imitare le gesta
di questo mafioso, probabilmente, avrebbe seri problemi a rapportarsi con la realtà e
avrebbe già tendenze criminali, senza necessitare dei suggerimenti di qualcun altro, addirittura di
un film.

E la misoginia per la quale il film è stato accusato?
Da un punto di vista prettamente clinico, ho imparato che il misogino odia le donne e in questo film
c’è tutt’altro. Possiamo parlare di possessione patologica, ossessione di sicuro, ma l’attrazione
ossessiva che nutre il protagonista verso la protagonista può essere definita misogina solo da chi non
ha idea del senso clinico del termine.

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6
5 con Michele Morrone e Anna Maria Sieklucka.

Ma veniamo al “sessismo”, e anche qui c’è bisogno di
qualche precisazione lessicale.
In questo film non c’è alcuna discriminazione sessuale. Abbiamo una donna rapita che, come
ovviamente accadrebbe nella realtà, si ribella, ma non si intravede alcuna forma di
discriminazione, che sarebbe peraltro anche inutile sotto l’aspetto narratologico; l’unica
cosa che spicca è che la vittima comincia un gioco sottilmente perverso. Il messaggio, oserei dire
scontato, che è presente in tutti i film in cui c’è un gangster potente è che tutti i personaggi, uomini
e donne che siano (e quindi senza distinzioni di genere), fanno ciò che il boss comanda solo perché
hanno paura e non perché la ritengano cosa giusta. Magari possono non piacere le perversioni o le
scene di sesso, ma questa è un’altra storia nel merito della quale non mi interessa entrare. Un film
ha una trama che può piacere o meno e l’unica cosa che si possa fare è decidere se vederlo
oppure no.

Quando in apertura ho parlato di proiezioni, evidenziavo come un essere
umano possa vedere in un film dinamiche che appartengono al proprio
immaginario, determinato dalla sua educazione, dalle sue esperienze, da
credenze radicate nel tempo e, perché no, da qualche trauma.
In quante occasioni, vedendo un film in cui apparivano dei criminali, alcuni si sono identificati nella
parte del poliziotto e altri in quella del rapinatore? Ci siamo chiesti il perché di queste differenze
dinanzi alla stessa pellicola? Alcuni, di sicuro, hanno scelto in base alla simpatia che suscitava in loro
il protagonista. Molte volte abbiamo parteggiato per il cattivo solo perché interpretato dal nostro
attore preferito, ma, in altre occasioni, il fatto di sostenere il poliziotto o il criminale è determinato
da esperienze passate che ci hanno in qualche modo segnato.

Ad esempio se una persona ha subito un torto da parte di un’istituzione che, magari per qualche
errore, si è accanita contro di lei sotto l’aspetto giudiziario, facilmente conserverà un senso di
rancore verso ogni forma di giustizia, come rappresentante di quella che tanto l’ha fatta soffrire, e
più facilmente si identificherà nel criminale del film e parteggerà per lui. Di contro, chi ha subito
una violenza, un furto ecc proverà rancore, e giustamente, verso i criminali ed ecco che, nello stesso
film, vedrà con occhi diversi il rapporto tra la polizia “buona” e il criminale “cattivo”, sperando che
quest’ultimo non la faccia franca. Ogni spettatore, compreso un critico, porta con sé le proprie
esperienze, sono queste ad averlo forgiato, ad aver suscitato in lui convinzioni radicate e/o
addirittura ideologie. In un film in cui il tema centrale è il sesso è improbabile che non emergano
dinamiche psicologiche profonde in cui sentimenti di perversione, moralismo, pregiudizi facciano
sentire la loro forza. Chi è attratto dalla perversione si concentrerà sulla relazione dei
protagonisti, chi invece è un moralista si concentrerà sul contorno, allo scopo di vedere
ancora più torbido il tutto e farne oggetto di critica.
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i Rorscahch.

Proprio come avviene nei più popolari testi proiettivi, come il Test di Appercezione Tematica o come
il famosissimo test di Rorscahch, nonostante gli sforzi del regista, ognuno vedrà quel che vuole e
diventerà il co-regista di una storia completamente nuova la cui trama è scritta a quattro mani tra lo
sceneggiatore animato da tecnica e creatività e lo spettatore animato dalle sue esperienze e
convinzioni. Nel classico testo di Massimo Ammaniti e Daniel Stern “Rappresentazioni e
narrazioni” è ben spiegata questa dinamica proiettiva dei lettori in ogni genere letterario.

Perché ho scelto “365” come esempio?
Perché è uno dei film più visti e controversi dell’ultima stagione, perché sta per uscire il suo sequel e
che, di sicuro, porterà con sé le stesse polemiche e le stesse dinamiche proiettive, si perché è un film
che ben si presta alle proiezione di cui parlavo e anche perché conosco personalmente il
protagonista che mi ha dato una marcia in più per capire più da vicino il contenuto del film.

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Festival del Cinema di Venezia 2021: 5
film italiani in concorso
Tra poco più di un mese (1-11 settembre), inizierà la 78esima edizione di quello che è e sarà
sempre il Festival del Cinema più antico e prestigioso del mondo, ovvero Venezia. Questa
edizione, per il Cinema italiano, sarà un’edizione record. Avremo infatti, ben 5 pellicole nazionali
in concorso, segno di una ritrovata vena produttiva, che fa ben sperare per il futuro.

Tutti film d’autore, che siamo sicuri, incanteranno le sale della Mostra del Cinema: America Latina,
thriller dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo con Elio Germano; Il buco di Michelangelo
Frammartino che narra una straordinaria impresa italiana di speolologia; Freaks out di Gabriele
Mainetti con Claudio Santamaria e Pietro Castellitto nel cast e Nicola Guaglianone, sceneggiatore
che ne firma il soggetto originale; Qui rido io di Mario Martone con Toni Servillo nel ruolo di
Eduardo Scarpetta; È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, in cui il regista premio Oscar,
racconta la sua passione per il Napoli di Maradona e la scomparsa dei suoi genitori, quando aveva
16 anni, nel 1987.

I titoli sono stati annunciati dal direttore artistico Alberto Barbera durante la presentazione del
programma della kermesse, che si terrà in Laguna dall’1 all”11 settembre 2021. Numerosa anche la
presenza del cinema italiano nei film fuori concorso o nella altre sezioni. Tra gli eventi più
importanti la pellicola d’apertura di Pedro Almodovar con Madres Paralelas e l’anteprima
mondiale di Dune di Denis Villeneuve. Nella Mostra, sarà forte anche la presenza femminile sia
come registe che come storie. Già annunciate le misure di sicurezza che saranno quelle in vigore in
tutta Italia con accesso in sala la cui capienza è dimezzata, con posti numerati e green pass.
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Direttore della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia.

Ovviamente, i “soliti noti” hanno storto il naso: “troppo vasta la presenza italiana in concorso”. Ai
detrattori, ha risposto il direttore artistico Alberto Barbera: “Non si tratta di sostenere a ogni costo
il cinema italiano, credo che il settore sia in un momento di grazia e se ben 5 pellicole sono arrivate
al rettilineo finale, è perché lo hanno ampiamente meritato. Abbiamo lavorato per tutto l’anno, senza
sosta, nella selezione dei film – ha detto ancora Barbera -. Ci ha sorpreso la qualità media, che è
complessivamente più alta del solito, come se la pandemia avesse stimolato la creatività di tutti.
Sono ottimista sullo stato di salute del cinema italiano, nonostante le difficoltà dell’industria
cinematografica”.

Insomma, la Mostra del Cinema di Venezia, promette, come ogni anno, scintille, le solite
polemiche, tante pellicole interessanti e tanti ospiti, pronti a calcare il red carpet, di quello che
rimane il Festival dei Festival, 78enne, ma più giovane che mai.

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Il SIC e La Scelta della critica – Taranto
  Lo scorso 26 e 27 giugno lo Spazioporto di Taranto ha ospitato la 35° Settimana Internazionale
  della Critica, organizzata dal SNCCI in collaborazione con il Comune di Taranto e l’Apulia Film
  Commission. Noi di Smart Marketing eravamo partner dell’evento e, durante la due giorni,
  abbiamo incontrato altri operatori della comunicazione, fra cui i nuovi amici di InArt – Art
  Where You Are, Damian Killeen & Guglielmo Greco, che hanno intervistato il nostro direttore
  responsabile Raffaello Castellano, e dei quali pubblichiamo molto volentieri il loro contributo.

Normalmente non si include Taranto nella lista degli eventi cinematografici significativi insieme a
Venezia, Cannes, Edimburgo o Sundance negli Stati Uniti, ma forse questo sta per cambiare grazie
anche all’energia imprenditoriale della critica cinematografica Gemma Lanzo, forte sostenitrice
dello sviluppo culturale del Mezzogiorno.

“Con il supporto dell’Apulia Film Commission e del Comune di Taranto, abbiamo presentato nell’arco
di due giorni un programma di sette film, selezionati da una giuria del Sindacato Nazionale Critici
Cinematografici (SIC), che sono stati proiettati nella Settimana della Critica al Film Festival di
Venezia“, sottolinea la critica.

Spazioporto di Taranto, appare come location perfetta per questo evento, con la sua capacità
tecnica di elevata qualità, atmosfera informale e un bar ben fornito.

“Questa è stata l’unica proiezione di questo programma nel Sud Italia, al di fuori di Venezia e
rappresenta un modello ispirante di come le eccellenze presentate nei grandi festival possano essere
divulgate a un pubblico impossibilitato a partecipare all’evento principale”, dice Gemma Lanzo.

Perché proprio Taranto può diventare un nuovo Cineporto?

Raffaello Castellano di Smart Marketing magazine, media partner dell’evento, fissa un caposaldo
piuttosto fondamentale a riguardo: “Per Taranto un evento di questo tipo è importante perché,
anche se molti lo hanno dimenticato, questa città era, fino a una sessantina di anni fa, la cittadina
pugliese del Meridione con il più alto numero di sale pro capite. Il legame dei tarantini con il cinema
è sempre stato significativo, grazie anche alle basi navali che si erano insediate proprio qui”.
Secondo Massimo Causo che, insieme a Davide di Giorgio, è stato tra i due principali
interlocutori del mini festival, il quale ha sperimentato la sua esperienza personale come selettore
del SIC: ‘i critici sono quasi sempre alla ricerca di film di registi nuovi ed emergenti che portino una
nuova prospettiva al mestiere di fare film e che hanno qualcosa di ben distinto da dire’. La
sensazione generale di questa selezione era di realismo grintoso, piuttosto che di umorismo o
intrattenimento popolare. Detto questo, la qualità era uniformemente alta e molti dei film
meritavano sicuramente una distribuzione ben più ampia.

Il momento clou dell’evento è stata la proiezione del vincitore della ‘35a edizione della Settimana
della Critica’, “GHOSTS“, preceduta da un’intervista in streaming con la regista, Azra Derniz
Okyay, che ha parlato direttamente delle sue esperienze in quel giorno di oppressione della polizia
nelle strade di Istanbul durante una protesta contro l’oppressione delle comunità LGBTQ e trans in
Turchia. Moderata da Gemma Lanzo, questa sessione ha visto anche i contributi di Beatrice
Fiorentino, in rappresentanza della Settimana Internazionale della Critica (SIC) e di Simonetta
Dellomonaco, Presidente dell’Apulia Film Commission.

Dal nostro punto di vista, sono risultati eccezionali: “50-OR DUE WHALES MEET AT THE
BEACH” del messicano Jorge Cuchi, una versione contemporanea di Romeo e Giulietta, con una
conclusione più che straziante; ‘TOPSIDE‘ di Celine Held e Logan George, USA, in cui una
bambina, la cui vita intera è stata vissuta nei labirinti sotterranei sotto New York, è costretta a
confrontarsi con la realtà del mondo fuori terra e dei compromessi che sua madre ha dovuta fare per
mantenerla; e il cattivissimo “SHORTA“, film danese di Anders Olholm e Frederik Louis Hviid, in
cui un poliziotto rabbioso, i cui estremi di violenza a cui possono condurre il razzismo bianco e gli
abusi di potere, saranno in seguito completamente esposti a effetti collaterali decisamente
devastanti.

Questi film, molto diversi, erano uniti dalla qualità della loro narrazione, dalle loro rappresentazioni
inflessibili delle realtà contemporanee e da un barlume di luce nelle loro raffigurazioni della vecchia
idea che “l’amore vince su tutto” e che la società umana potrebbe evolversi in qualcosa di meglio
(forse…). Le tecniche cinematografiche sono state portate al limite in questi e in altri film in
programma.

‘Porta Napoli’, quartiere che sta decisamente rinascendo si sta aprendo a più opportunità, un po’
come succede in alcune città del Nord Europa, in cui troviamo quartieri dedicati esclusivamente
all’arte, alla cultura, a ritrovarsi per raccontare qualcosa’ spiega Sabrina Morea, pubbliche
relazioni Spazioporto.

Davide Di Giorgio, critico cinematografico, descrive un’altra significativa realtà: ‘Un evento del
genere fa parte di un programma più ampio che la città sta conducendo per reinventarsi. Quindi,
poter mettere in scena la presentazione esclusiva della scelta della critica, contribuisce sicuramente
a ridisegnare il percorso culturale della città’.

Taranto dovrebbe essere molto orgogliosa di questa aggiunta alla sua vita culturale in continua
espansione, nell’impaziente attesa della sua prossima edizione a Spazioporto, trampolino di lancio
dell’immaginazione a Porta Napoli, quartiere culturale emergente della città.
by Damian Killeen & Guglielmo Greco Piccolo – pics ©ourtesy InArt – Art Where
You Are

English version
We don’t normally include Taranto on the list of significant film events along with Venice, Cannes,
Edinburgh or Sundance in the US, but maybe that is about to change through the entrepreneurial
energy of the film critic Gemma Lanzo, and a strong supporter of cultural development in the South.

With the support of the Apulia Film Commission and the Comune of Taranto, Gemma presented
over two days the programme of seven films, selected by a panel of the National Union of Film
Critics (SIC), that were shown in the Critic’s week of the Venice Film Festival. The venue, the
Spazioporto in Taranto, was perfect for this event, with its high quality technical capacity and its
informal vibe and well stocked bar. ‘This was the only showing of this programme in South of Italy,
outside of Venice and it serves as an inspiring model of how the excellence presented in major
festivals can be disseminated to audiences unable to participate in the main events’, Gemma says.

Why Taranto can become a new Cineporto?

Raffaello Castellano from Smart Marketing Magazine, media partner event, highlights a relevant
strong point about: ‘For Taranto an event like this is important because, even if many have
forgotten, this city was, up to sixty years ago, the Apulian town in the South with the highest number
of cinemas per capita. The connection of the Taranto people with the cinema has always been
significant, thanks also to the naval bases here’.

According to Massimo Causo who, along with Davide Di Giorgio, was a major interlocutor in the
mini festival, and who has personal experience of being on the SIC selection panel, the critics are
looking for films from new and emerging directors who bring a fresh perspective to the craft of film
making and who have something distinctive to say. The overall feeling of this selection was one of
gritty realism, rather than of humour or popular entertainment. That said, the quality was uniformly
high and several of the films were definitely deserving of wider distribution.

A highlight of the event was a showing of the winner of the ‘35th edition of the Critic’s Choice’,
‘Ghosts’, preceded by a live interview with the director, Azra Derniz Okyay, speaking directly
about her experiences that day of police oppression in the streets of Istanbul during a protest
against the oppression of the LGBTQ and trans communities in Turkey. Moderated by Gemma Lanzo,
this session also included contributions from Beatrice Fiorentino, representing the International
Critics’ Week (SIC) and from Simonetta Dellomonaco, President of the Apulia Film Commission.

Outstanding for us were ’50-OR TWO WHALES MEET AT THE BEACH’ from Jorge Cuchi of
Mexico, a contemporary take on Romeo and Juliet , with a harrowing conclusion; ‘TOPSIDE’ by
Celine Held and Logan George, USA, in which a child, whose whole life has been experienced in
the underground labyrinths beneath New York city, is forced to confront the realities of the above
ground world and of the compromises her mother has had to make to maintain her; and ‘SHORTA’ a
Danish film by Anders Olholm and Frederik Louis Hviid, a bad cop good cop movie, in which the
extremes of violence to which white racism and abuses of power can lead are fully exposed to
devastating effect.

These very different films were united by the quality of their storytelling, their unflinching
representations of contemporary realities and by a glimmer of light in their representations of the
old idea that ‘love conquers all’ and that human society might evolve into something better. Film
techniques were stretched to the limits in these and other films in the programme.

‘Porta Napoli ‘, a neighborhood that is definitely being reborn, is opening up to more opportunities,
as happens in some cities of Northern Europe, where we find neighborhoods dedicated exclusively to
art and culture, for everyone with something to say’, explains Sabrina Morea, public relations
Spaceport.

Davide Di Giorgio, film critic, describes another significant reality: ‘Such an event is part of a
broader program that the city is conducting to reinvent itself. Therefore, being able to stage the
exclusive presentation of the Critics’ Choice certainly contributes to redesigning the cultural path of
the city’.

Taranto should be very proud of this addition to it’s expanding cultural life and we look forward to
its next edition in Spazioporto, a launchpad of the imagination in Porto Napoli, Taranto’s emerging
cultural quarter.

by Damian Killeen & Guglielmo Greco Piccolo – pics ©ourtesy InArt – Art Where
You Are

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"The Rossellinis", il docu-film di
Alessandro Rossellini alla Settimana
Internazionale della Critica a Taranto
Si è da poco conclusa la 35esima Settimana Internazionale della Critica a Taranto, l’evento
realizzato dall’Apulia Film Commission, Comune di Taranto e SNCCI e finanziato dalla Regione
Puglia, che si è svolto il 26 e 27 giugno presso lo Spazioporto di Taranto, struttura dedicata al
mondo del cinema, nata da pochi mesi nella cittadina jonica; media partner dell’evento il nostro
magazine Smart Marketing.

Due giorni di proiezioni, a cura del Critico Cinematografico SNCCI Gemma Lanzo, che si sono
conclusi con l’intervento dei critici Massimo Causo e Davide Di Giorgio, che hanno anticipato la
visione del docu-film “The Rossellinis”.

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ne del docu-film “The Rossellinis”, allo Spazioporto durante la SIC a Taranto.

Il docu-film è diretto da Alessandro Rossellini, nipote del famoso regista Roberto Rossellini e il
motivo che l’ha spinto a girare questo documentario è raccontare e raccontarsi la verità, quella
verità che sta dietro il genio universalmente riconosciuto che ha girato il capolavoro “Roma città
aperta”, rendendolo uno dei film simbolo del neorealismo cinematografico italiano.

Alessandro, nipote cresciuto dai nonni quasi come un figlio, cerca di ricostruire le vicende di tutta la
famiglia partendo dal legame particolare che lo lega ad ogni componente della grande famiglia dei
Rossellini.

Il documentario inizia con il funerale di nonno Roberto, che diventa l’espediente per presentare tutti
i protagonisti, insieme ai titoli di testa che mostrano una panoramica di foto di famiglia. Dopo
quarant’anni il regista si ritrova nella cappella di famiglia con la zia Isabella e inizia il racconto della
sua vita sfortunata, fatta di problemi con la droga e mancanza di denaro, condizioni in cui, visto il
prestigio delle sue origini, mai si sarebbe aspettato di vivere.

Tanti i conflitti nella sua grande famiglia e tanta l’ossessione per quel capofamiglia che amava avere
tutti al suo cospetto, in sua adorazione, come fossero allo stesso livello dei tanti fan che aveva nel
mondo.

Il regista intervista dapprima suo padre Renzo, regista anche lui, e da lì inizia il tormentato racconto
della madre, il cui allontanamento probabilmente è stato causato proprio dalla famiglia.
Successivamente Alessandro va in visita alla residenza estiva di Ingrid Bergman dopo la separazione
e incontra lo zio Roberto e tra i tanti racconti di famiglia il regista parla di questa ansia da
prestazione che lo accompagna sin da piccolo, quando tutti prevedevano per lui un futuro
meraviglioso.

Svelando le sue fragilità e ripercorrendo la vita di tutta la famiglia, Alessandro cerca di persuadere
tutti dell’esistenza di una vera e propria sindrome, una sorta di malattia che colpisce lui e tutti i suoi
familiari, la “rossellinite”, un mix di sentimenti che fa sentire sempre inadatti, ma desiderosi di
bellezza, di successo, una ricerca affannosa di quella perfezione che tanto rivede nella famiglia della
zia Isabella. Isabella Rossellini, forse l’unica della famiglia ad aver raggiunto la notorietà del grande
Roberto, bella, bellissima, attrice, modella, donna forte e vincente dalla luminosa carriera, ma anche
piena di grande dolcezza ed umanità, quella stessa umanità che l’ha spinta in passato ad aiutare
economicamente il nipote Alessandro, quando quest’ultimo le chiese denaro per difficoltà
economiche, che poi utilizzò per un Rolex, per cercare di sentirsi anche lui, nel suo piccolo, un
vincente.

Il docu-film scorre tra video di famiglia, spezzoni di film, interviste dell’epoca e prosegue con
l’intervista ai figli di Isabella e alla sorella gemella Isotta Ingrid, che racconta di aver vissuto tutta la
vita con il peso del continuo paragone con la sorella, così diversa da lei e dalla bellezza così
irraggiungibile.
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ilm The Rossellinis

Uno dei momenti più toccanti è sicuramente l’incontro del regista con la madre che ora vive in una
clinica e che non vedeva da otto anni: lei era una bellissima ballerina di colore e la conoscenza con
Renzo fu nel segno di quella tanto ostentata inclusione di cui il nonno Roberto si faceva portavoce,
ma nella sua famiglia allargata questa donna non ha mai meritato un posto, infatti, racconta di
essere stata allontanata e di aver dovuto lasciare il figlio ancora piccolo.

Ma le molteplici vite di Roberto Rossellini non finiscono qui, perché finiti i soldi e in crisi con il
cinema, lui parte per l’India dove troverà l’ennesima moglie con cui formerà un’altra famiglia.

Questo percorso storico e interiore si conclude con una grande riunione di famiglia in cui il regista
dopo tanti anni metti insieme tutti i Rossellini e scopre che in realtà la “rossellinite” era tutta nella
sua testa, perché davanti si ritrova sicuramente una famiglia non usuale, allargata e complessa, ma
assolutamente piena di amore; si accorge che probabilmente lui, con la sua vita difficile, è stato il
collante di questo ramificato albero genealogico.

A fare da timbro a questa ritrovata unione familiare ci ha pensato la rivista Vogue Italia, che ha
deciso di fotografare tutta la famiglia Rossellini, dai più grandi ai più piccoli, tutti con abiti firmati
Dolce e Gabbana, a suggello di quella bellezza che li tocca inevitabilmente, grazie solo a quel
cognome.

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“Oltre il giardino” è un film che ci illustra
magistralmente alcune delle trappole e dei
paradossi della comunicazione

Può il contesto e la circostanza in cui avviene una comunicazione
“condizionare” ed “influenzare” la comprensione di un messaggio, ma
anche la nostra percezione della personalità del comunicatore?
Ci sarebbero un’infinità di libri e saggi che attraverso le tesi in essi contenuti potrebbero rispondere
al quesito di sopra, ma c’è un film che, in circa due ore, non solo risponde perfettamente a questa
domanda, ma illustra magistralmente quanto la comunicazione umana sia sensibile al contesto ed
alle circostanze in cui avviene.

Il film in questione è “Oltre il giardino” del 1979, di Hal Ashby, con uno straordinario Peter
Sellers come protagonista.

Tutto comincia in una grande casa a Washington: è qui che lavora come giardiniere Chance, un
uomo di mezza età ed analfabeta, che non è mai uscito da quella casa e che si esprime ed interagisce
con gli altri copiando e ripetendo i gesti ed i modi di dire appresi dalla TV, il suo unico contatto, anzi
la sua unica finestra sul modo esterno.
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Sellers e Melvyn Douglas.

Un bel giorno il suo datore di lavoro muore e Chance è costretto a lasciare la casa ed affrontare il
mondo esterno.

Un piccolo ma fortunatissimo incidente (la ricca Eve Rand, una frizzante Shirley MacLaine, lo
investirà con la sua limousine) lo porterà nella lussuosissima casa di un influentissimo personaggio,
Benjamin Rand (lo straordinario Melvyn Douglas, che per questo ruolo vincerà l’Oscar come
miglior attore non protagonista), consigliere del Presidente degli Stati Uniti, e vera eminenza grigia
del potere.

Chance è ben vestito, con abiti elegantissimi e fatti a mano, ma il guardaroba in realtà è quello
dimesso del suo precedente datore di lavoro; inoltre il suo candore e la sua semplicità vengono, da
subito e da tutti, scambiate per saggezza e riservatezza. Il primo incontro con l’anziano e malato
Benjamin Rand è un capolavoro tutto giocato sui malintesi.

Tutte le risposte di Chance, banali e riferite alla sua professione di giardiniere, vengono intese come
profonde metafore sull’economia e la politica. L’impressione che suscita in Benjamin Rand è molto
positiva, tanto che egli decide di farlo partecipare all’incontro che avrà, di là a qualche giorno, con il
Presidente (un carismatico e sempre bravo Jack Warden).
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Anche l’incontro con il Presidente è un capolavoro di equivoci comunicativi: presentato dal suo
amico e consigliere Rand come uomo schietto e profondo, il Presidente prende in grandissima
considerazione tutte le banalità espresse da Chance, tanto che lo citerà durante una successiva
riunione presso l’Istituto finanziario.

Dopo essere stato citato dal Presidente degli Stati Uniti, il nome di Chance Giardiniere (anche
questo un equivoco, la sua professione che diventa il suo cognome) fa il giro dei giornali e delle
televisioni, che fanno a gara per accaparrarsi una dichiarazione e/o intervista.

           Scopri il nuovo numero: “Tutto è Comunicazione”
    Non esistono fatti, ma solo interpretazioni. La nostra vita, la società e il nostro mondo è permeato
         dalla comunicazione. Conoscerla ci aiuta a comprenderla e ad essere più consapevoli.

In poco tempo e in modo totalmente inaspettato, Chance diventa un influente consigliere politico ed
economico e con lo scorrere della storia addirittura probabile candidato alle prossime presidenziali.
Il film “Oltre il giardino”, affronta tematiche quali la comunicazione fra individui e classi sociali,
oltre che il rapporto fra l’apparire e l’essere, alla luce del crescente strapotere mediatico della
televisione (siamo alla fine degli anni ’70) di imporre all’attenzione del pubblico personaggi venuti
dal nulla e dalla scarsissima consistenza come modelli fondamentali ed imprescindibili.

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on Peter Sellers e Shirley MacLaine.

Questo potere di imporre all’attenzione mediatica personaggi inconsistenti è oggi ancora più
marcato: il web, e soprattutto i social network, ancora più velocemente e pervasivamente di quanto
riesca a fare la televisione, ci propongono ogni giorno un nuovo personaggio che non possiamo non
conoscere. Rivedere questa garbata ed irriverente commedia ci permette di prendere coscienza di
quanto i processi e le dinamiche comunicative siano spesso e volentieri “viziate” dalle nostre erronee
aspettative e dai nostri pregiudizi.

Chance non fa nulla di straordinario né tantomeno di calcolato per diventare amico e confidente di
Benjamin Rand, o consigliere del presidente o probabile candidato presidenziale, anzi, egli sembra
per tutto il film quasi inconsapevole di ciò che gli sta accadendo. Solo noi spettatori siamo consci
degli equivoci che vediamo svilupparsi sullo schermo, ma comprendiamo che se fossimo nella storia
saremmo probabili vittime di fraintendimenti comunicativi anche così paradossali.

Il film è tratto dal romanzo Presenze dello scrittore polacco Jerzy Kosinski, che ha anche scritto la
sceneggiatura. Sarà questo il penultimo film interpretato da Peter Sellers, che morirà
prematuramente un anno dopo a causa di un infarto, ed è forse la sua interpretazione più intensa,
che gli valse anche una candidatura al Premio Oscar e la vincita di un Golden Globe come miglior
attore in un film commedia.

Perché dovremmo rivedere questo film che ha più di 40 anni?
I motivi sono essenzialmente due. Il primo è che è una commedia godibile, misurata e divertente,
con un cast di attori davvero notevole, fra cui spiccano le interpretazioni di Peter Sellers, Shirley
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