Film che ci aspettano nelle sale
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Finalmente si torna al cinema! 5 nuovi film che ci aspettano nelle sale Si torna finalmente nelle sale cinematografiche e noi non potremmo esserne più felici. Uno dei motori di questa ripartenza potrà essere proprio l’industria del cinema e a cavalcare l’onda di questa, speriamo duratura, ripresa, ci sono tante nuove produzioni, italiane ed internazionali. Ho scelto 5 novità che spaziano dalla fantascienza al drammatico, dalle sceneggiature originali alle trasposizioni dai romanzi. 1. DUNE Film del regista Denis Villeneuve, remake del film del 1984 di David Lynch, trasposizioni cinematografiche del romanzo omonimo fantascientifico dello scrittore Frank Herbert del 1965. Uscito in Italia il 16 settembre scorso, è uno dei film più attesi dagli amanti del genere, che inevitabilmente lo paragoneranno alla versione degli anni ottanta. “Dune” è ambientato in un futuro controllato da un impero interstellare, diviso in feudi ed ognuno di questi feudi è governato da una casa nobiliare. Il film di fantascienza dell’anno può contare su un cast “stellare”, composto da Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Zendaya e Jason Momoa; 2. TRE PIANI Il regista Nanni Moretti prende un meraviglioso romanzo, ambientato in Israele, e lo trasporta in Italia. Al suo fianco Margherita Buy, Riccardo Scamarcio, Adriano Giannini, Alba Rohrwacher, Elena Lietti, con cui al Festival di Cannes ha guadagnato undici minuti di applausi. Il romanzo omonimo, dello scrittore israeliano Eshkol Nevo, indaga tra le pieghe dell’animo umano senza giudizio e con tanta verità, anche quella più inaccettabile. Non sappiamo quanto il regista italiano abbia preso in prestito dall’opera letteraria, né come abbia affrontato questa operazione, essendo per lui la prima volta, sappiamo però che perdersi l’occasione di conoscere questa storia, anzi, queste tre storie, sarebbe un grande spreco; Scopri il nuovo numero: “#ripartItalia” La ripartenza è un tema quanto mai attuale. Dopo due anni di pandemia sentiamo il bisogno di lasciarci alle spalle questo lungo periodo complesso (tenendo quello che di buono c’è stato) e di affacciarci con ottimismo al tempo che verrà. 3. IL BUCO Il 23 settembre è uscito al cinema il film “Il buco”, del regista Michelangelo Frammartino, che dopo il suo “Le quattro volte”, torna sul grande schermo con lo stile che lo contraddistingue. Premiato al Festival di Venezia, il film racconta di alcuni membri del Gruppo Speleologico Piemontese che nell’estate del ’61 decidono di andare ad esplorare l’Abisso di Bifurto, una grotta di origine carsica, un buco lungo 683 metri nel Parco del Pollino. La critica parla di immagini e suoni che ci fanno
immergere totalmente nell’esperienza di questo viaggio al centro della terra, tra buio e profondo, respiri e silenzi; 4. IL MATERIALE EMOTIVO Sergio Castellitto torna al cinema il 7 ottobre con il film “Il materiale emotivo”, tratto dal soggetto del regista Ettore Scola “Un drago a forma di nuvola” e dalla sceneggiatura che aveva scritto con la figlia Silvia e Furio Scarpelli. L’opera poi è diventata una sceneggiatura della scrittrice Margaret Mazzantini e Sergio Castellitto, che è anche l’attore protagonista, insieme a Matilda De Angelis e Bérénice Bejo. E’ la storia di Vincenzo, un uomo schivo, sempre chiuso nella sua libreria di Parigi, e di sua figlia affetta da mutismo selettivo, ma la vita di Vincenzo cambierà quando arriverà l’attrice Yolande con il suo animo trascinante; 5) FREAKS OUT Il nuovo attesissimo film del regista romano Gabriele Mainetti, che dopo il clamoroso successo del suo primo lungometraggio “Lo chiamavano Jeeg Robot” del 2015, torna con un’opera storica e avventurosa. Un circo di freak di cui seguiamo le vicende, nella Roma del 1943, sconvolta dalla seconda guerra mondiale. Per questa opera corale, in uscita il 28 ottobre, l’attesa è davvero molto alta, infatti, si prospetta come uno dei film più visti di questa stagione, con un cast che promette altrettanto bene: Pietro Castellitto, Giorgio Tirabassi, Claudio Santamaria e molti altri. Vasta scelta in questo autunno cinematografico, non importa cosa sceglieremo ma torniamo al cinema, che le poltrone rosse, il buio in sala e il profumo dei popcorn ci attendono. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter
Il Cinema robotizzato: da Io e Caterina a Marcia nuziale C’è un film, del 1980, che affronta, prima di tutti, il ruolo che l’evoluzione della tecnologia può avere nella nostra società: da una parte è motore di cambiamento in grado di distruggere con la sua carica innovatrice i vecchi modelli sociali, dall’altra può essere usata proprio per rinforzare quei meccanismi di potere basati sulla disuguaglianza. Ebbene questo film, a tratti rivoluzionario è Io e Caterina, uno degli episodi più compiuti dell’Alberto Sordi regista. L’attore e autore romano affronta molti anni prima che diventasse argomento di dibattito, il ruolo centrale della tecnologia e delle intelligenze artificiali. Sordi lo fa dipingendo la questione di genere inserendola in un ambiente fantascientifico, originale nel contesto italiano. Esaspera in maniera caricaturale il suo personaggio, maschilista incallito incapace di relazionarsi con le donne se non in una dinamica oggettivante e che per questo sposa il futuro, incarnato nel robot, solo per poter guardare e rivivere un passato ormai anacronistico. Ne esce fuori una satira dell’esasperazione del maschilismo e del femminismo, aprendo un mondo su un argomento molto attuale oggi, a 40 anni di distanza. Ovvero, che un uso spropositato e mal gestito della tecnologia può portare effetti molto più negativi che positivi. A l b e r t o S o r d i e E d wige Fenech in una scena del film “Io e Caterina” del 1980. Un dialogo del film è molto esplicativo in tal senso. “Chi è Caterina?” “Quella che ha sostituito mia moglie e le cameriere. La casa la governa lei, è quella che voi in Italia chiamereste una donna tuttofare” con queste parole Arturo (Rossano Brazzi) confida all’amico imprenditore Enrico Melotti (interpretato da Alberto Sordi) il segreto della sua
rinnovata felicità. Agli occhi dei due maschi, Caterina è perfetta: lava, stira, cucina, prende nota degli appuntamenti, non discute mai, asseconda con gioia ogni desiderio del suo ‘padrone’, attende con ansia il ritorno dell’uomo, e vede nelle faccende domestiche la sua massima realizzazione. Caterina sembra una donna d’altri tempi estranea all’emancipazione femminile. È effige della donna ‘Carosello’, della moglie intesa come angelo del focolare, obbediente e passiva. Ma soprattutto, Caterina non è umana: è un androide, una macchina elettronica programmata per tutti i servizi domestici. Scopri il nuovo numero: “Orizzonte elettrico” Al pari di quella digitale, la rivoluzione elettrica è arrivata quasi sottovoce e sta prendendo letteralmente piede molto velocemente. E quando si parla di rivoluzione elettrica, tra le altre cose, non si può non parlare di mobilità. Lo stesso avviene anche ne La Fabbrica delle Mogli (The Stepford Wives), thriller del 1975 diretto da Bryan Forbes, ispirato all’omonimo romanzo di Ira Levin del 1972. Il film è incentrato su Joanna Eberhart (Katherine Ross) che spinta dal marito Walter (Peter Masterson) si trasferisce nel paesino di Stepford. “Non riesco a capire questa città. Si direbbe che le domestiche sono state dichiarate illegali e la massaia con la casa più lustra avrà in premio Robert Redford” dichiara Bobbie, un’altra nuova residente dalla cittadina che, insieme a Joanne, si discosta completamente dalle altre mogli, esemplari della casalinga perfetta.
I l m a n i f e s t o d e l f i l m “ L a F a b b r i ca delle Mogli” del 1975 diretto da Bryan Forbes. Alla ricerca del motivo alla base dell’abnegazione e dell’accondiscendenza verso i mariti di queste donne, Joanne scoprirà di trovarsi di fronte a delle repliche perfette delle loro reali mogli. Riadattata per il pubblico del 21esimo secolo, la pellicola è stata riportata sul grande schermo nel 2004 con il titolo La Donna Perfetta, con un cast d’eccellenza, tra cui troviamo Nicole Kidman, Glenn Close e Christopher Walken. Diretta da Frank Oz (La Piccola Bottega degli Orrori, Funeral Party), l’opera perde la caratteristica di giallo/horror per inserirsi nel filone dalla commedia. La prima versione cinematografica sembrava sottolineare l’impossibilità della duplicazione di esseri umani, trasformando la rivelazione finale nella materializzazione di un incubo grottesco e terrificante. Per contrasto, quella del 2004 è satura di riferimenti tecnologici sin dalle prime scene, quando ai coniugi Eberhart viene affidato quasi come accessorio extra di una casa high tech un cane robotico. Le due opere sono figlie dei loro tempi. Se la scoperta finale nel ’75 appariva così impensabile, la stessa scena nel 2004 sembra se non possibile, quantomeno ipotizzabile, complici gli sviluppi in campo della robotica che, sebbene siano lontani dall’effettiva replicazione di esseri umani, hanno
compiuto passi da giganti. Se la versione della robot domestica di Sordi non è sessualizzata, in quelle de La Fabbrica delle Mogli, la dimensione erotica è presente, soprattutto in quella del 2004. Ancora una volta non si tratta di un caso e testimonia la crescente tendenza nello sviluppo di sex dolls robotiche. Nel 2017 la Abyss Creations, nel business della costruzione di bambole realistiche da più di venti anni, ha mostrato al mondo il suo ultimo prodotto: il primo esemplare di un particolare chatbot che usa un software innovativo chiamato Harmony in grado, secondo la società di Matt McMullen, di portare in vita la loro linea di sex toy. I l r e g i s t a M a r c o F e r r e r i insieme a Ugo Tognazzi. Ancora prima di Alberto Sordi o di Bryan Forbes, ci aveva pensato il genio di Marco Ferreri a descriverci, con aberrante efficacia le distorsioni utopistiche della società italiana alla luce della modernizzazione portata dalla tecnologia. Siamo nel 1966 di Marcia nuziale, quando Ferreri, Azcona e Tognazzi realizzano uno strano “Blade Runner” farsesco, di incredibile efficacia visiva. Quello da evidenziare è l’ultimo dei 4 episodi, ambientato in un futuristico 1999. Tognazzi è viscidamente avvinghiato a una bambola di silicone, che assolve ad ogni funzione coniugale. L’arrivo di un altro uomo, con un modello femminile più sofisticato, lo getta in uno sconforto frustrato. La sua bambola sembra accorgersene, e lo fissa con orbite cave. Poi le sfugge una lacrima. Beffarda anticipazione avveniristica condita con un pizzico di surrealismo, Famiglia Felice è uno degli episodi più aberranti del cinema italiano, in puro stile Ferreri: crudele, amorale, disumano. Ma perciò una perla, un episodio che si fa vedere per la sua lucida critica all’istituto del matrimonio, ormai in decadenza e alla possibile deriva incontrollata, che il progresso tecnologico non controllato
adeguatamente, può portare con sé. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter “Edison - L'uomo che illuminò il mondo” ci parla della ‘guerra delle correnti’ che a fine ‘800 elettrizzò il mondo, ma, a ben guardare, ci descrive anche la rivoluzione elettrica dei nostri giorni Siamo su un treno che percorre una ferrovia in un’aperta campagna; dopo che esso si è fermato in una sperduta stazione, un gruppo di uomini scende dalla vettura e comincia a percorrere un fangoso sentiero. Sono una decina e dai vestiti capiamo che sono uomini benestanti, se non proprio ricchi; una scritta in sovraimpressione ci dice che siamo nel 1880. Giunti in un campo aperto, vengono fermati da una voce che nell’oscurità intima ai suoi collaboratori di “accendere” le luci per squarciare le tenebre. É così che fa la comparsa sullo schermo e nel film Thomas Alva Edison, il famoso inventore ed imprenditore statunitense, cui presta volto e corpo Benedict Cumberbatch, perfettamente a suo agio sia nei panni di personaggi storici come Edison o Alan Turing sia quando interpreta un eroe della Marvel o il grande Sherlock Holmes, ruolo quest’ultimo che lo ha reso celebre ed amato a livello mondiale.
M i c h a e l S h a n n o n a l i a s George Westinghouse e Benedict Cumberbatch alias Thomas Alva Edison in una scena del film. Molti di voi avranno capito che il film di cui sto parlando è “Edison – L’uomo che illuminò il mondo”, del regista statunitense, ma di origine messicane, Alfonso Gomez-Rejon, presentato in anteprima al Toronto International Film Festival nel 2017, ma uscito nelle sale solo nel luglio del 2019 a causa del caso Harvey Weinstein che colpì la The Weinstein Company, produttrice della pellicola. Il titolo originale del film, “The Current War” (La guerra delle correnti), come al solito, è molto più descrittivo della “trasposizione” italiana, perché definisce perfettamente il fatto e il periodo storico che sono alla base di questo interessante period drama. Perchè quella che vedremo è la trasposizione cinematografica di una vera e propria guerra che si combattè alla fine dell’ottocento fra due tecnologie elettriche, oltre che fra due diverse maniere di concepire la scienza e gli affari. Scopri il nuovo numero: “Orizzonte elettrico” Al pari di quella digitale, la rivoluzione elettrica è arrivata quasi sottovoce e sta prendendo letteralmente piede molto velocemente. E quando si parla di rivoluzione elettrica, tra le altre cose, non si può non parlare di mobilità. Da una parte abbiamo appunto Edison, fautore della più sicura, ma meno performante e più costosa, corrente continua, oltre che inventore, ma più corretto sarebbe dire innovatore, della lampadina a incandescenza, dall’altra l’ingegnere ed imprenditore dall’animo romantico George Westinghouse (magistralmente interpretato da un Michael Shannon in stato di grazia) e il geniale
inventore serbo Nikola Tesla (interpretato da Nicholas Hoult), fautori e promotori della corrente alternata, più economica e performante, ma con un voltaggio molto alto che la rende anche pericolosa. M i c h a e l S h a n n o n s t r a o r d inario interprete nei panni di George Westinghouse. Sarà Edison, inventore prolifico, risoluto uomo d’affari, nonché grande comunicatore mediatico, ad assestare i primi colpi in questa epica battaglia, grazie alla sua lampadina ad incandescenza, la prima (fra tutte le altre sviluppate nello stesso periodo da molti ricercatori sparsi per il mondo) a superare le 13 ore di funzionamento. Sarà l’illuminazione di un piccolo quartiere di Manhattan, appena 59 utenti, il 4 settembre 1882 a dare ad Edison, alla sua corrente continua e al mondo intero la prima significativa scossa di elettricità; da quel giorno il buio sarà squarciato da una nuova luce che illuminerà per sempre la strada verso il futuro. Ma sulla lunga distanza – è proprio il caso di dirlo – e come la storia che tutti noi conosciamo, sarà la corrente alternata di Westinghouse e Tesla a spuntarla, proprio in virtù di una maggiore economicità e dell’indubbio vantaggio di non perdere potenza all’aumentare della distanza di trasmissione dalla centrale di produzione a quella delle abitazioni. Questo period drama ha una storia ed una gestazione molto lunghe: nato in ambito scolastico e divenuto un musical piuttosto fortunato, lo script originale di quasi duecento pagine di Michael Mitnick (autore anche della sceneggiatura) ha visto oltre 60 stesure al fine di ridurlo ad un film, il che ne ha compromesso il ritmo e la tensione narrativa. Forse, visto il particolare periodo storico che stiamo vivendo, sceneggiatore, regista e produttore avrebbero fatto meglio a creare una serie
televisiva, e per essa, più che per un film, lo script aveva tutte le carte in regola. A tenere alto l’interesse per questo lungometraggio concorrono – a mio modo di vedere – tre fattori principali: il primo è l’attinenza storica ai fatti realmente accaduti, che ovviamente risentono della inevitabile spettacolarizzazione cinematografica, ma che sostanzialmente sono “quasi” tutti veri e verificabili; il secondo è la cura e la professionalità dello scenografo Jan Roelfs e del costumista Michael Wilkinson e dei loro collaboratori, che hanno ricreato davvero i luoghi, le atmosfere e lo stile di quegli anni alla fine dell’’800; infine, il terzo motivo è il ricco cast che anima questo film: oltre ai già citati Benedict Cumberbatch, Michael Shannon (il migliore di tutti) e Nicholas Hoult, vanno ricordati almeno Katherine Waterston (una frizzante ed intensa Marguerite Westinghouse), il sempre più bravo ed eclettico Tom Holland (nei panni Samuel Insull primo assistente di Edison) e Matthew Macfadyen (che interpreta un credibile J.P. Morgan, principale finanziatore di Edison). Per concludere, il film è un po’ lento, volutamente buio, come a voler marcare la crepuscolarità ed il livore di un’epoca illuminata a candele e lampade a gas, ed a tratti eccessivamente didascalico, ma la storia che racconta è vera ed affascinante, se non proprio appassionante, e ci permette non solo di ripassare un po’ di storia, da approfondire con la successiva lettura di qualche saggio sull’argomento, ma pure di fare qualche riflessione e parallelismo con l’epoca attuale, che vede la rivoluzione digitale – dopo circa 20 anni – raggiungere il suo zenit e l’affacciarsi della rivoluzione, o meglio, dell’orizzonte elettrico, che, come successe alla fine dell’800, cambieranno (ma già lo stanno facendo) per sempre e radicalmente le nostre vite. Prima di concludere, lasciatemi fare, da appassionato di storia del cinema quale sono, una considerazione sulla scena finale del film che vede Edison seduto in un cinema che se la ride sotto i baffi, sicuro che sarà questa l’invenzione che più di tutte lo consacrerà come genio a livello mondiale. Forse è questa la scena storicamente più falsa del film. Thomas Alva Edison fu certamente uno dei principali teorici e inventori del cinema: sua l’idea di forare la pellicola per un più facile avvolgimento sia in fase di ripresa che di proiezione, suo il primo film “brevettato” della storia, Lo starnuto di Fred Ott del 1894, suo il primo studio cinematografico, il famoso Black Maria inaugurato a West Orange (New Jersey) l’11 febbraio 1893; ma la sala e la fruizione cinematografica, così come le conosciamo oggi, si devono ai fratelli Lumière. Edison, con il suo “cinetoscopio”, aveva immaginato una visione diversa, individuale, più in linea con la sua personalità ed egocentrica visione delle cose che, alla fine, la storia destinerà a soccombere in favore di quel rito collettivo che noi tutti conosciamo. “Edison – L’uomo che illuminò il mondo” è il film ideale da vedere e/o riscoprire per accompagnare ed approfondire la lettura di tutti gli altri articoli di questo numero di Agosto 2021, che noi di Smart Marketing abbiamo intitolato “Orizzonte elettrico”. Quindi non mi resta che augurarvi buona visione e buona lettura. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.
Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Il film 365 e le accuse di misoginia, sessismo e violenza: quando il film può essere un vero test proiettivo. Il lavoro del critico, si sa, è quello di valutare la qualità di un’opera, in questo caso cinematografica, di interpretarne le dinamiche e/o di valutarne eventuali difetti o pregi, sia di forma che di contenuto. Ma il lavoro del critico è anche un lavoro piuttosto creativo: egli talvolta scorge nelle trame e nei personaggi dinamiche psicologiche di cui gli stessi sceneggiatori sono ignari ed attribuisce al regista, in alcune occasioni, intenzioni che lui non si sarebbe mai sognato di esprimere. Magari queste intenzioni erano inconsce, ma se addirittura Freud spesso forzava la mano attribuendo ai pazienti intenzioni dettate da pulsioni sessuali recondite, figuriamoci se questo errore non viene commesso da chi di mestiere non fa di certo lo psicoanalista! Lungi da me l’idea di mettere in discussione il creativo lavoro del critico, anzi la mia è quasi una lode a chi spesso è più creativo dell’oggetto stesso della sua critica, tuttavia ciò che voglio sottolineare è che in questo lavoro vengono spesso proiettate le proprie dinamiche psicologiche. Questo avviene in ognuno di noi mentre guardiamo un film e un critico, essendo prima di tutto uno spettatore, non è esente da questo meccanismo, per cui se parliamo di proiezioni psicologiche non stiamo parlando delle proiezioni del critico, ma dello spettatore in senso lato.
A n n a M a r i a S i e k lucka in una scena del film. Un film che ultimamente ha suscitato critiche polemiche, che sta dando alla luce il suo sequel e ispirato proiezioni psicologiche è uno degli ultimi arrivati sulla piattaforma Netflix, “365”, diretto dai registi Barbara Białowąs e Tomasz Mandes e interpretato da Michele Morrone e Anna Maria Sieklucka. Si tratta fondamentalmente della storia di un giovane boss mafioso che rapisce una donna, dalla quale è ossessionato, e le propone una sorta di dinamica perversa e “gentile” nello stesso tempo: se entro 365 giorni non si innamorerà di lui, la lascerà andare senza toccarla. Il resto è solo un contorno la cui funzione è quella di sostenere questa perversa dinamica. In sé già la presentazione dei personaggi la dice lunga su come evolverà la storia, poiché gli autori presentano immediatamente la complementarità dei due protagonisti. Lui un ossessivo dai tratti psicopatici che cerca l’amore della sua vita e ovvio, essendo un mafioso, non può mica cercarlo seducendo con il suo fascino una donna ad una festa di compleanno tra matricole universitarie, ma la costringe con la forza. Già questo fa storcere il naso ad alcuni critici che sembrano dimenticare che si parla, seppur in chiave erotica, di un personaggio di mafia e già questo mette lo spettatore in una condizione che lo allontana da pensieri di imitazione e/o esaltazione delle sue gesta. Lei invece è una donna frustrata sessualmente, trascurata dal suo fidanzato. Il regista ha già costruito i tasselli di due persone complementari destinate, nel bene o nel male, ad unirsi. Ma c’è chi, addirittura, ci ha visto un’istigazione al rapimento, alla violenza o addirittura un’esaltazione della misoginia. Insomma, signori, tutti sanno che un film deve avere “un conflitto” su cui far reggere la sceneggiatura ossia una dinamica insolita, fuori dal comune, qualcosa che nella vita normale è considerata sbagliata, proibita e, ovviamente, illegale. Se non fosse così, andrebbero censurati tutti i film in cui i rapinatori la fanno franca e vivono, come da cliché, su un’isola tropicale sorseggiando pina colata e godendosi i soldi della rapina dinanzi al mare. Ma in questo film il rapimento della donna e la proposta di farla innamorare entro 365 giorni senza toccarla se non sarà lei a decidere, non vuole affatto dare ad intendere che basti rapire una donna per farla innamorare, come alcuni critici hanno voluto sottolineare. Il rapimento è solo una scusa bella e
buona per creare una dinamica che veda insieme la classica vittima e il classico carnefice, dove è la vittima che decide, in realtà, come dirigere la relazione. Qualcosa gli autori dovevano inventarsela, no? Se in un film si vuole dar vita ad un carnefice (che poi non lo sarà più di tanto) bisogna creare un contesto adatto, e quello del rapimento è una delle strategie possibili per creare il conflitto. Chi dovesse davvero sentirsi istigato a commettere un atto del genere o ad imitare le gesta di questo mafioso, probabilmente, avrebbe seri problemi a rapportarsi con la realtà e avrebbe già tendenze criminali, senza necessitare dei suggerimenti di qualcun altro, addirittura di un film. E la misoginia per la quale il film è stato accusato? Da un punto di vista prettamente clinico, ho imparato che il misogino odia le donne e in questo film c’è tutt’altro. Possiamo parlare di possessione patologica, ossessione di sicuro, ma l’attrazione ossessiva che nutre il protagonista verso la protagonista può essere definita misogina solo da chi non ha idea del senso clinico del termine. U n a s c e n a d e l f i l m 3 6 5 con Michele Morrone e Anna Maria Sieklucka. Ma veniamo al “sessismo”, e anche qui c’è bisogno di qualche precisazione lessicale. In questo film non c’è alcuna discriminazione sessuale. Abbiamo una donna rapita che, come ovviamente accadrebbe nella realtà, si ribella, ma non si intravede alcuna forma di discriminazione, che sarebbe peraltro anche inutile sotto l’aspetto narratologico; l’unica cosa che spicca è che la vittima comincia un gioco sottilmente perverso. Il messaggio, oserei dire scontato, che è presente in tutti i film in cui c’è un gangster potente è che tutti i personaggi, uomini
e donne che siano (e quindi senza distinzioni di genere), fanno ciò che il boss comanda solo perché hanno paura e non perché la ritengano cosa giusta. Magari possono non piacere le perversioni o le scene di sesso, ma questa è un’altra storia nel merito della quale non mi interessa entrare. Un film ha una trama che può piacere o meno e l’unica cosa che si possa fare è decidere se vederlo oppure no. Quando in apertura ho parlato di proiezioni, evidenziavo come un essere umano possa vedere in un film dinamiche che appartengono al proprio immaginario, determinato dalla sua educazione, dalle sue esperienze, da credenze radicate nel tempo e, perché no, da qualche trauma. In quante occasioni, vedendo un film in cui apparivano dei criminali, alcuni si sono identificati nella parte del poliziotto e altri in quella del rapinatore? Ci siamo chiesti il perché di queste differenze dinanzi alla stessa pellicola? Alcuni, di sicuro, hanno scelto in base alla simpatia che suscitava in loro il protagonista. Molte volte abbiamo parteggiato per il cattivo solo perché interpretato dal nostro attore preferito, ma, in altre occasioni, il fatto di sostenere il poliziotto o il criminale è determinato da esperienze passate che ci hanno in qualche modo segnato. Ad esempio se una persona ha subito un torto da parte di un’istituzione che, magari per qualche errore, si è accanita contro di lei sotto l’aspetto giudiziario, facilmente conserverà un senso di rancore verso ogni forma di giustizia, come rappresentante di quella che tanto l’ha fatta soffrire, e più facilmente si identificherà nel criminale del film e parteggerà per lui. Di contro, chi ha subito una violenza, un furto ecc proverà rancore, e giustamente, verso i criminali ed ecco che, nello stesso film, vedrà con occhi diversi il rapporto tra la polizia “buona” e il criminale “cattivo”, sperando che quest’ultimo non la faccia franca. Ogni spettatore, compreso un critico, porta con sé le proprie esperienze, sono queste ad averlo forgiato, ad aver suscitato in lui convinzioni radicate e/o addirittura ideologie. In un film in cui il tema centrale è il sesso è improbabile che non emergano dinamiche psicologiche profonde in cui sentimenti di perversione, moralismo, pregiudizi facciano sentire la loro forza. Chi è attratto dalla perversione si concentrerà sulla relazione dei protagonisti, chi invece è un moralista si concentrerà sul contorno, allo scopo di vedere ancora più torbido il tutto e farne oggetto di critica.
L e 1 0 t a v o l e d e l t e s t d i Rorscahch. Proprio come avviene nei più popolari testi proiettivi, come il Test di Appercezione Tematica o come il famosissimo test di Rorscahch, nonostante gli sforzi del regista, ognuno vedrà quel che vuole e diventerà il co-regista di una storia completamente nuova la cui trama è scritta a quattro mani tra lo sceneggiatore animato da tecnica e creatività e lo spettatore animato dalle sue esperienze e convinzioni. Nel classico testo di Massimo Ammaniti e Daniel Stern “Rappresentazioni e narrazioni” è ben spiegata questa dinamica proiettiva dei lettori in ogni genere letterario. Perché ho scelto “365” come esempio? Perché è uno dei film più visti e controversi dell’ultima stagione, perché sta per uscire il suo sequel e che, di sicuro, porterà con sé le stesse polemiche e le stesse dinamiche proiettive, si perché è un film che ben si presta alle proiezione di cui parlavo e anche perché conosco personalmente il protagonista che mi ha dato una marcia in più per capire più da vicino il contenuto del film. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome
Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Festival del Cinema di Venezia 2021: 5 film italiani in concorso Tra poco più di un mese (1-11 settembre), inizierà la 78esima edizione di quello che è e sarà sempre il Festival del Cinema più antico e prestigioso del mondo, ovvero Venezia. Questa edizione, per il Cinema italiano, sarà un’edizione record. Avremo infatti, ben 5 pellicole nazionali in concorso, segno di una ritrovata vena produttiva, che fa ben sperare per il futuro. Tutti film d’autore, che siamo sicuri, incanteranno le sale della Mostra del Cinema: America Latina, thriller dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo con Elio Germano; Il buco di Michelangelo Frammartino che narra una straordinaria impresa italiana di speolologia; Freaks out di Gabriele Mainetti con Claudio Santamaria e Pietro Castellitto nel cast e Nicola Guaglianone, sceneggiatore che ne firma il soggetto originale; Qui rido io di Mario Martone con Toni Servillo nel ruolo di Eduardo Scarpetta; È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, in cui il regista premio Oscar, racconta la sua passione per il Napoli di Maradona e la scomparsa dei suoi genitori, quando aveva 16 anni, nel 1987. I titoli sono stati annunciati dal direttore artistico Alberto Barbera durante la presentazione del programma della kermesse, che si terrà in Laguna dall’1 all”11 settembre 2021. Numerosa anche la presenza del cinema italiano nei film fuori concorso o nella altre sezioni. Tra gli eventi più importanti la pellicola d’apertura di Pedro Almodovar con Madres Paralelas e l’anteprima mondiale di Dune di Denis Villeneuve. Nella Mostra, sarà forte anche la presenza femminile sia come registe che come storie. Già annunciate le misure di sicurezza che saranno quelle in vigore in tutta Italia con accesso in sala la cui capienza è dimezzata, con posti numerati e green pass.
A l b e r t o B a r b e r a , Direttore della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia. Ovviamente, i “soliti noti” hanno storto il naso: “troppo vasta la presenza italiana in concorso”. Ai detrattori, ha risposto il direttore artistico Alberto Barbera: “Non si tratta di sostenere a ogni costo il cinema italiano, credo che il settore sia in un momento di grazia e se ben 5 pellicole sono arrivate al rettilineo finale, è perché lo hanno ampiamente meritato. Abbiamo lavorato per tutto l’anno, senza sosta, nella selezione dei film – ha detto ancora Barbera -. Ci ha sorpreso la qualità media, che è complessivamente più alta del solito, come se la pandemia avesse stimolato la creatività di tutti. Sono ottimista sullo stato di salute del cinema italiano, nonostante le difficoltà dell’industria cinematografica”. Insomma, la Mostra del Cinema di Venezia, promette, come ogni anno, scintille, le solite polemiche, tante pellicole interessanti e tanti ospiti, pronti a calcare il red carpet, di quello che rimane il Festival dei Festival, 78enne, ma più giovane che mai. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email *
Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Il SIC e La Scelta della critica – Taranto Lo scorso 26 e 27 giugno lo Spazioporto di Taranto ha ospitato la 35° Settimana Internazionale della Critica, organizzata dal SNCCI in collaborazione con il Comune di Taranto e l’Apulia Film Commission. Noi di Smart Marketing eravamo partner dell’evento e, durante la due giorni, abbiamo incontrato altri operatori della comunicazione, fra cui i nuovi amici di InArt – Art Where You Are, Damian Killeen & Guglielmo Greco, che hanno intervistato il nostro direttore responsabile Raffaello Castellano, e dei quali pubblichiamo molto volentieri il loro contributo. Normalmente non si include Taranto nella lista degli eventi cinematografici significativi insieme a Venezia, Cannes, Edimburgo o Sundance negli Stati Uniti, ma forse questo sta per cambiare grazie anche all’energia imprenditoriale della critica cinematografica Gemma Lanzo, forte sostenitrice dello sviluppo culturale del Mezzogiorno. “Con il supporto dell’Apulia Film Commission e del Comune di Taranto, abbiamo presentato nell’arco di due giorni un programma di sette film, selezionati da una giuria del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici (SIC), che sono stati proiettati nella Settimana della Critica al Film Festival di Venezia“, sottolinea la critica. Spazioporto di Taranto, appare come location perfetta per questo evento, con la sua capacità tecnica di elevata qualità, atmosfera informale e un bar ben fornito. “Questa è stata l’unica proiezione di questo programma nel Sud Italia, al di fuori di Venezia e rappresenta un modello ispirante di come le eccellenze presentate nei grandi festival possano essere divulgate a un pubblico impossibilitato a partecipare all’evento principale”, dice Gemma Lanzo. Perché proprio Taranto può diventare un nuovo Cineporto? Raffaello Castellano di Smart Marketing magazine, media partner dell’evento, fissa un caposaldo piuttosto fondamentale a riguardo: “Per Taranto un evento di questo tipo è importante perché, anche se molti lo hanno dimenticato, questa città era, fino a una sessantina di anni fa, la cittadina pugliese del Meridione con il più alto numero di sale pro capite. Il legame dei tarantini con il cinema è sempre stato significativo, grazie anche alle basi navali che si erano insediate proprio qui”.
Secondo Massimo Causo che, insieme a Davide di Giorgio, è stato tra i due principali interlocutori del mini festival, il quale ha sperimentato la sua esperienza personale come selettore del SIC: ‘i critici sono quasi sempre alla ricerca di film di registi nuovi ed emergenti che portino una nuova prospettiva al mestiere di fare film e che hanno qualcosa di ben distinto da dire’. La sensazione generale di questa selezione era di realismo grintoso, piuttosto che di umorismo o intrattenimento popolare. Detto questo, la qualità era uniformemente alta e molti dei film meritavano sicuramente una distribuzione ben più ampia. Il momento clou dell’evento è stata la proiezione del vincitore della ‘35a edizione della Settimana della Critica’, “GHOSTS“, preceduta da un’intervista in streaming con la regista, Azra Derniz Okyay, che ha parlato direttamente delle sue esperienze in quel giorno di oppressione della polizia nelle strade di Istanbul durante una protesta contro l’oppressione delle comunità LGBTQ e trans in Turchia. Moderata da Gemma Lanzo, questa sessione ha visto anche i contributi di Beatrice Fiorentino, in rappresentanza della Settimana Internazionale della Critica (SIC) e di Simonetta Dellomonaco, Presidente dell’Apulia Film Commission. Dal nostro punto di vista, sono risultati eccezionali: “50-OR DUE WHALES MEET AT THE BEACH” del messicano Jorge Cuchi, una versione contemporanea di Romeo e Giulietta, con una conclusione più che straziante; ‘TOPSIDE‘ di Celine Held e Logan George, USA, in cui una bambina, la cui vita intera è stata vissuta nei labirinti sotterranei sotto New York, è costretta a confrontarsi con la realtà del mondo fuori terra e dei compromessi che sua madre ha dovuta fare per mantenerla; e il cattivissimo “SHORTA“, film danese di Anders Olholm e Frederik Louis Hviid, in cui un poliziotto rabbioso, i cui estremi di violenza a cui possono condurre il razzismo bianco e gli abusi di potere, saranno in seguito completamente esposti a effetti collaterali decisamente devastanti. Questi film, molto diversi, erano uniti dalla qualità della loro narrazione, dalle loro rappresentazioni inflessibili delle realtà contemporanee e da un barlume di luce nelle loro raffigurazioni della vecchia idea che “l’amore vince su tutto” e che la società umana potrebbe evolversi in qualcosa di meglio (forse…). Le tecniche cinematografiche sono state portate al limite in questi e in altri film in programma. ‘Porta Napoli’, quartiere che sta decisamente rinascendo si sta aprendo a più opportunità, un po’ come succede in alcune città del Nord Europa, in cui troviamo quartieri dedicati esclusivamente all’arte, alla cultura, a ritrovarsi per raccontare qualcosa’ spiega Sabrina Morea, pubbliche relazioni Spazioporto. Davide Di Giorgio, critico cinematografico, descrive un’altra significativa realtà: ‘Un evento del genere fa parte di un programma più ampio che la città sta conducendo per reinventarsi. Quindi, poter mettere in scena la presentazione esclusiva della scelta della critica, contribuisce sicuramente a ridisegnare il percorso culturale della città’. Taranto dovrebbe essere molto orgogliosa di questa aggiunta alla sua vita culturale in continua espansione, nell’impaziente attesa della sua prossima edizione a Spazioporto, trampolino di lancio dell’immaginazione a Porta Napoli, quartiere culturale emergente della città.
by Damian Killeen & Guglielmo Greco Piccolo – pics ©ourtesy InArt – Art Where You Are English version We don’t normally include Taranto on the list of significant film events along with Venice, Cannes, Edinburgh or Sundance in the US, but maybe that is about to change through the entrepreneurial energy of the film critic Gemma Lanzo, and a strong supporter of cultural development in the South. With the support of the Apulia Film Commission and the Comune of Taranto, Gemma presented over two days the programme of seven films, selected by a panel of the National Union of Film Critics (SIC), that were shown in the Critic’s week of the Venice Film Festival. The venue, the Spazioporto in Taranto, was perfect for this event, with its high quality technical capacity and its informal vibe and well stocked bar. ‘This was the only showing of this programme in South of Italy, outside of Venice and it serves as an inspiring model of how the excellence presented in major festivals can be disseminated to audiences unable to participate in the main events’, Gemma says. Why Taranto can become a new Cineporto? Raffaello Castellano from Smart Marketing Magazine, media partner event, highlights a relevant strong point about: ‘For Taranto an event like this is important because, even if many have forgotten, this city was, up to sixty years ago, the Apulian town in the South with the highest number of cinemas per capita. The connection of the Taranto people with the cinema has always been significant, thanks also to the naval bases here’. According to Massimo Causo who, along with Davide Di Giorgio, was a major interlocutor in the mini festival, and who has personal experience of being on the SIC selection panel, the critics are looking for films from new and emerging directors who bring a fresh perspective to the craft of film making and who have something distinctive to say. The overall feeling of this selection was one of gritty realism, rather than of humour or popular entertainment. That said, the quality was uniformly high and several of the films were definitely deserving of wider distribution. A highlight of the event was a showing of the winner of the ‘35th edition of the Critic’s Choice’, ‘Ghosts’, preceded by a live interview with the director, Azra Derniz Okyay, speaking directly about her experiences that day of police oppression in the streets of Istanbul during a protest against the oppression of the LGBTQ and trans communities in Turkey. Moderated by Gemma Lanzo, this session also included contributions from Beatrice Fiorentino, representing the International Critics’ Week (SIC) and from Simonetta Dellomonaco, President of the Apulia Film Commission. Outstanding for us were ’50-OR TWO WHALES MEET AT THE BEACH’ from Jorge Cuchi of Mexico, a contemporary take on Romeo and Juliet , with a harrowing conclusion; ‘TOPSIDE’ by Celine Held and Logan George, USA, in which a child, whose whole life has been experienced in the underground labyrinths beneath New York city, is forced to confront the realities of the above ground world and of the compromises her mother has had to make to maintain her; and ‘SHORTA’ a
Danish film by Anders Olholm and Frederik Louis Hviid, a bad cop good cop movie, in which the extremes of violence to which white racism and abuses of power can lead are fully exposed to devastating effect. These very different films were united by the quality of their storytelling, their unflinching representations of contemporary realities and by a glimmer of light in their representations of the old idea that ‘love conquers all’ and that human society might evolve into something better. Film techniques were stretched to the limits in these and other films in the programme. ‘Porta Napoli ‘, a neighborhood that is definitely being reborn, is opening up to more opportunities, as happens in some cities of Northern Europe, where we find neighborhoods dedicated exclusively to art and culture, for everyone with something to say’, explains Sabrina Morea, public relations Spaceport. Davide Di Giorgio, film critic, describes another significant reality: ‘Such an event is part of a broader program that the city is conducting to reinvent itself. Therefore, being able to stage the exclusive presentation of the Critics’ Choice certainly contributes to redesigning the cultural path of the city’. Taranto should be very proud of this addition to it’s expanding cultural life and we look forward to its next edition in Spazioporto, a launchpad of the imagination in Porto Napoli, Taranto’s emerging cultural quarter. by Damian Killeen & Guglielmo Greco Piccolo – pics ©ourtesy InArt – Art Where You Are Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter
"The Rossellinis", il docu-film di Alessandro Rossellini alla Settimana Internazionale della Critica a Taranto Si è da poco conclusa la 35esima Settimana Internazionale della Critica a Taranto, l’evento realizzato dall’Apulia Film Commission, Comune di Taranto e SNCCI e finanziato dalla Regione Puglia, che si è svolto il 26 e 27 giugno presso lo Spazioporto di Taranto, struttura dedicata al mondo del cinema, nata da pochi mesi nella cittadina jonica; media partner dell’evento il nostro magazine Smart Marketing. Due giorni di proiezioni, a cura del Critico Cinematografico SNCCI Gemma Lanzo, che si sono conclusi con l’intervento dei critici Massimo Causo e Davide Di Giorgio, che hanno anticipato la visione del docu-film “The Rossellinis”. U n m o m e n t o d e l l a p r o i e z i o ne del docu-film “The Rossellinis”, allo Spazioporto durante la SIC a Taranto. Il docu-film è diretto da Alessandro Rossellini, nipote del famoso regista Roberto Rossellini e il motivo che l’ha spinto a girare questo documentario è raccontare e raccontarsi la verità, quella verità che sta dietro il genio universalmente riconosciuto che ha girato il capolavoro “Roma città
aperta”, rendendolo uno dei film simbolo del neorealismo cinematografico italiano. Alessandro, nipote cresciuto dai nonni quasi come un figlio, cerca di ricostruire le vicende di tutta la famiglia partendo dal legame particolare che lo lega ad ogni componente della grande famiglia dei Rossellini. Il documentario inizia con il funerale di nonno Roberto, che diventa l’espediente per presentare tutti i protagonisti, insieme ai titoli di testa che mostrano una panoramica di foto di famiglia. Dopo quarant’anni il regista si ritrova nella cappella di famiglia con la zia Isabella e inizia il racconto della sua vita sfortunata, fatta di problemi con la droga e mancanza di denaro, condizioni in cui, visto il prestigio delle sue origini, mai si sarebbe aspettato di vivere. Tanti i conflitti nella sua grande famiglia e tanta l’ossessione per quel capofamiglia che amava avere tutti al suo cospetto, in sua adorazione, come fossero allo stesso livello dei tanti fan che aveva nel mondo. Il regista intervista dapprima suo padre Renzo, regista anche lui, e da lì inizia il tormentato racconto della madre, il cui allontanamento probabilmente è stato causato proprio dalla famiglia. Successivamente Alessandro va in visita alla residenza estiva di Ingrid Bergman dopo la separazione e incontra lo zio Roberto e tra i tanti racconti di famiglia il regista parla di questa ansia da prestazione che lo accompagna sin da piccolo, quando tutti prevedevano per lui un futuro meraviglioso. Svelando le sue fragilità e ripercorrendo la vita di tutta la famiglia, Alessandro cerca di persuadere tutti dell’esistenza di una vera e propria sindrome, una sorta di malattia che colpisce lui e tutti i suoi familiari, la “rossellinite”, un mix di sentimenti che fa sentire sempre inadatti, ma desiderosi di bellezza, di successo, una ricerca affannosa di quella perfezione che tanto rivede nella famiglia della zia Isabella. Isabella Rossellini, forse l’unica della famiglia ad aver raggiunto la notorietà del grande Roberto, bella, bellissima, attrice, modella, donna forte e vincente dalla luminosa carriera, ma anche piena di grande dolcezza ed umanità, quella stessa umanità che l’ha spinta in passato ad aiutare economicamente il nipote Alessandro, quando quest’ultimo le chiese denaro per difficoltà economiche, che poi utilizzò per un Rolex, per cercare di sentirsi anche lui, nel suo piccolo, un vincente. Il docu-film scorre tra video di famiglia, spezzoni di film, interviste dell’epoca e prosegue con l’intervista ai figli di Isabella e alla sorella gemella Isotta Ingrid, che racconta di aver vissuto tutta la vita con il peso del continuo paragone con la sorella, così diversa da lei e dalla bellezza così irraggiungibile.
U n a s c e n a d e l d c o u - f ilm The Rossellinis Uno dei momenti più toccanti è sicuramente l’incontro del regista con la madre che ora vive in una clinica e che non vedeva da otto anni: lei era una bellissima ballerina di colore e la conoscenza con Renzo fu nel segno di quella tanto ostentata inclusione di cui il nonno Roberto si faceva portavoce, ma nella sua famiglia allargata questa donna non ha mai meritato un posto, infatti, racconta di essere stata allontanata e di aver dovuto lasciare il figlio ancora piccolo. Ma le molteplici vite di Roberto Rossellini non finiscono qui, perché finiti i soldi e in crisi con il cinema, lui parte per l’India dove troverà l’ennesima moglie con cui formerà un’altra famiglia. Questo percorso storico e interiore si conclude con una grande riunione di famiglia in cui il regista dopo tanti anni metti insieme tutti i Rossellini e scopre che in realtà la “rossellinite” era tutta nella sua testa, perché davanti si ritrova sicuramente una famiglia non usuale, allargata e complessa, ma assolutamente piena di amore; si accorge che probabilmente lui, con la sua vita difficile, è stato il collante di questo ramificato albero genealogico. A fare da timbro a questa ritrovata unione familiare ci ha pensato la rivista Vogue Italia, che ha deciso di fotografare tutta la famiglia Rossellini, dai più grandi ai più piccoli, tutti con abiti firmati Dolce e Gabbana, a suggello di quella bellezza che li tocca inevitabilmente, grazie solo a quel cognome. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.
Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter “Oltre il giardino” è un film che ci illustra magistralmente alcune delle trappole e dei paradossi della comunicazione Può il contesto e la circostanza in cui avviene una comunicazione “condizionare” ed “influenzare” la comprensione di un messaggio, ma anche la nostra percezione della personalità del comunicatore? Ci sarebbero un’infinità di libri e saggi che attraverso le tesi in essi contenuti potrebbero rispondere al quesito di sopra, ma c’è un film che, in circa due ore, non solo risponde perfettamente a questa domanda, ma illustra magistralmente quanto la comunicazione umana sia sensibile al contesto ed alle circostanze in cui avviene. Il film in questione è “Oltre il giardino” del 1979, di Hal Ashby, con uno straordinario Peter Sellers come protagonista. Tutto comincia in una grande casa a Washington: è qui che lavora come giardiniere Chance, un uomo di mezza età ed analfabeta, che non è mai uscito da quella casa e che si esprime ed interagisce con gli altri copiando e ripetendo i gesti ed i modi di dire appresi dalla TV, il suo unico contatto, anzi la sua unica finestra sul modo esterno.
U n a s c e n a d e l f i l m c o n P e t e r Sellers e Melvyn Douglas. Un bel giorno il suo datore di lavoro muore e Chance è costretto a lasciare la casa ed affrontare il mondo esterno. Un piccolo ma fortunatissimo incidente (la ricca Eve Rand, una frizzante Shirley MacLaine, lo investirà con la sua limousine) lo porterà nella lussuosissima casa di un influentissimo personaggio, Benjamin Rand (lo straordinario Melvyn Douglas, che per questo ruolo vincerà l’Oscar come miglior attore non protagonista), consigliere del Presidente degli Stati Uniti, e vera eminenza grigia del potere. Chance è ben vestito, con abiti elegantissimi e fatti a mano, ma il guardaroba in realtà è quello dimesso del suo precedente datore di lavoro; inoltre il suo candore e la sua semplicità vengono, da subito e da tutti, scambiate per saggezza e riservatezza. Il primo incontro con l’anziano e malato Benjamin Rand è un capolavoro tutto giocato sui malintesi. Tutte le risposte di Chance, banali e riferite alla sua professione di giardiniere, vengono intese come profonde metafore sull’economia e la politica. L’impressione che suscita in Benjamin Rand è molto positiva, tanto che egli decide di farlo partecipare all’incontro che avrà, di là a qualche giorno, con il Presidente (un carismatico e sempre bravo Jack Warden).
L a l o c a n d i n a d e l f i l m . Anche l’incontro con il Presidente è un capolavoro di equivoci comunicativi: presentato dal suo amico e consigliere Rand come uomo schietto e profondo, il Presidente prende in grandissima considerazione tutte le banalità espresse da Chance, tanto che lo citerà durante una successiva riunione presso l’Istituto finanziario. Dopo essere stato citato dal Presidente degli Stati Uniti, il nome di Chance Giardiniere (anche questo un equivoco, la sua professione che diventa il suo cognome) fa il giro dei giornali e delle televisioni, che fanno a gara per accaparrarsi una dichiarazione e/o intervista. Scopri il nuovo numero: “Tutto è Comunicazione” Non esistono fatti, ma solo interpretazioni. La nostra vita, la società e il nostro mondo è permeato dalla comunicazione. Conoscerla ci aiuta a comprenderla e ad essere più consapevoli. In poco tempo e in modo totalmente inaspettato, Chance diventa un influente consigliere politico ed economico e con lo scorrere della storia addirittura probabile candidato alle prossime presidenziali.
Il film “Oltre il giardino”, affronta tematiche quali la comunicazione fra individui e classi sociali, oltre che il rapporto fra l’apparire e l’essere, alla luce del crescente strapotere mediatico della televisione (siamo alla fine degli anni ’70) di imporre all’attenzione del pubblico personaggi venuti dal nulla e dalla scarsissima consistenza come modelli fondamentali ed imprescindibili. U n a s c e n a d e l f i l m c on Peter Sellers e Shirley MacLaine. Questo potere di imporre all’attenzione mediatica personaggi inconsistenti è oggi ancora più marcato: il web, e soprattutto i social network, ancora più velocemente e pervasivamente di quanto riesca a fare la televisione, ci propongono ogni giorno un nuovo personaggio che non possiamo non conoscere. Rivedere questa garbata ed irriverente commedia ci permette di prendere coscienza di quanto i processi e le dinamiche comunicative siano spesso e volentieri “viziate” dalle nostre erronee aspettative e dai nostri pregiudizi. Chance non fa nulla di straordinario né tantomeno di calcolato per diventare amico e confidente di Benjamin Rand, o consigliere del presidente o probabile candidato presidenziale, anzi, egli sembra per tutto il film quasi inconsapevole di ciò che gli sta accadendo. Solo noi spettatori siamo consci degli equivoci che vediamo svilupparsi sullo schermo, ma comprendiamo che se fossimo nella storia saremmo probabili vittime di fraintendimenti comunicativi anche così paradossali. Il film è tratto dal romanzo Presenze dello scrittore polacco Jerzy Kosinski, che ha anche scritto la sceneggiatura. Sarà questo il penultimo film interpretato da Peter Sellers, che morirà prematuramente un anno dopo a causa di un infarto, ed è forse la sua interpretazione più intensa, che gli valse anche una candidatura al Premio Oscar e la vincita di un Golden Globe come miglior attore in un film commedia. Perché dovremmo rivedere questo film che ha più di 40 anni? I motivi sono essenzialmente due. Il primo è che è una commedia godibile, misurata e divertente, con un cast di attori davvero notevole, fra cui spiccano le interpretazioni di Peter Sellers, Shirley
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