Catalogo - FILM FESTIVAL POKLON VIZIJI OMAGGIO A UNA VISIONE - Comune di ...
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
FILM FESTIVAL POKLON VIZIJI OMAGGIO A UNA VISIONE GORICA / GORIZIA, IZOLA / ISOLA, NOVA GORICA, LJUBLJANA, SAN PIETRO AL NATISONE / ŠPETER, TRIESTE / TRST, UDINE catalogo
2 Introduzione Mateja Zorn 7 Motivazione 8 Biografia 9 Filmografia 10 Premi 12 »Apprezzo gli attori che sanno portare il silenzio« Patricija Maličev 32 Il regista che offre sempre un’alternativa ai personaggi Nicola Falcinella 36 Gli orfani di Srdan Golubović Cristina Battocletti 44 Film 52 Film per tutta la famiglia: pomeriggio al cinema 54 Giocare con il suono: laboratorio di sonorizzazione di un film 56 Sandlines, the Story of History 58 Incontro: Cinema come hub innovativi per le comunità locali 60 First Crossings 74 Spazi nello spazio 78 Sonorizzazione del film Il gabinetto del dottor Caligari 1
La realtà cinematografica goriziana, molto ricca e articolata, è caratterizzata in modo particolare dalla dimensione transfrontaliera. Sia a Gorizia che a Nova Gorica e dintorni sono attive numerose istituzioni che promuovono la cultura cinematografica attraverso proiezioni di film nelle sale cinematografiche, nei festival o in altre location. Inoltre il territorio vanta una tradizione di educazione alla cultura cinematografica che va dalle elementari fino al livello universitario e una ricca produzione cinematografica e audiovisiva. Intrecciando collaborazioni ben concepite fra tutti gli operatori coinvolti ci proponiamo di fare un passo avanti e di sviluppare nei prossimi anni un’offerta cinematografica transfrontaliera che sia riconoscibile ed unitaria e che possa attrarre un pubblico non solo locale ma anche internazionale, oltre che esperto. L’idea di sviluppare una città cinematografica transfrontaliera è realizzabile se diventa una sfida per tutti coloro che creano e offrono contenuti e per chi vede nel buon cinema un arricchimento culturale. In questa prospettiva il festival cinematografico transfrontaliero Omaggio a una visione, che già nel proprio nome rivela un interesse per una visione chiara e protesa verso il futuro, a sostegno di una concezione lungimirante sia dei singoli che della società, rimane uno dei soggetti centrali e uno dei leganti della nostra realtà cinematografica. Quest’anno sette location – Gorizia, 3
Nova Gorica, Trieste, Udine, San Pietro al Natisone, Isola e Lubiana – saranno teatro della nostra ricca selezione di opere cinematografiche, oltre 50 tra cortometraggi e lungometraggi che con il loro linguaggio particolare ci spingono a riflettere e a osservare la società in cui viviamo. Il cineasta serbo Srdan Golubović, vincitore di quest’edizione del premio Darko Bratina, con le sue opere ci invita in modo discreto a chiederci quale azione umana possiamo intraprendere sul piano individuale per raggiungere l’equilibrio e l’uguaglianza dei diritti dei singoli nella società, instaurando quell’empatia non sentimentale che sta lentamente scomparendo dalla coscienza collettiva. Questo tema è presente anche nel suo ultimo lungometraggio Father (Otac), coproduzione di minoranza slovena che verrà proiettato in prima visione in Slovenia, in collaborazione con il festival Liffe. Il centro culturale Mostovna ospiterà la sezione First Crossings (Primi Voli), concepita come piattaforma per lo sviluppo di nuovi linguaggi cinematografici, che oltre alla proiezione di cortometraggi comprenderà anche conferenze, workshop e la mostra Spazi nello spazio, nella quale verranno presentate opere degli studenti e delle studentesse dell’Accademia dell’Arte dell’Università di Nova Gorica. In programma anche un’ esperienza cinematografica particolare con la sonorizzazione dal vivo del film Il gabinetto del dottor Caligari, opera centenaria del regista Robert Wiene. L’analisi della modalità in cui il suono e la musica influiscono sulla nostra percezione delle figure in movimento è invece il filo rosso del progetto didattico del Kinoatelje Immaginare con i suoni, che offre anche ai più piccoli degli interessanti workshop annuali. Andare al cinema è un piacere per tutta la famiglia, perciò quest’anno il programma comprende un pomeriggio 4
all’insegna delle fantastiche immagini del film Sandlines con il suo protagonista, un bambino del villaggio di Mosul che ci accompagna attraverso la complessa storia dell’Iraq. L’incontro formativo di quest’anno, Cinema come hub innovativi per le comunità locali, sarà un’occasione per riflettere, insieme ad ospiti locali ed internazionali, sui metodi innovativi dell’esperienza cinematografica e sui contenuti didattici creativi di qualità, su come si modificano i modi di guardare i film e su come possiamo concepire le piattaforme di Video On Demand (VOD), dove la fruizione cinematografica non solo diventa più accessibile, ma si trasforma essa stessa in un’esperienza significativa. Sin dalla fase preparatoria dell’edizione del festival di quest’anno, nonostante le molte limitazioni e conseguenze negative della pandemia da coronavirus, eravamo coscienti della necessità di non cedere alla paura né permettere che ci bloccasse. È importante che la produzione e di conseguenza la fruizione di contenuti culturali non rallenti né tanto meno si fermi, perché un riavvio dal nulla richiederebbe molte più risorse e dedizione. Per questo motivo ringraziamo di cuore tutti voi che ci avete sostenuti e avete contribuito a realizzare la ventiduesima edizione del festival Omaggio a una visione. 5
Motivazione Srdan Golubović nei suoi film ritrae la realtà della post- transizione nella società serba, metafora di qualsiasi altra società, intrecciando con la sua caratteristica narrazione filmica storie sul potere corrotto dei sistemi economico-politici che distruggono non solo le vite dei singoli, ma anche gli ideali. Con il suo specifico linguaggio cinematografico, considerando le particolarità storiche e sociali, rivela come ai lembi estremi del contesto globale della vita moderna ci si confronti con rischi di dimensioni catastrofiche e incomparabili, che derivano dallo scontro tra gli obiettivi parziali e unilaterali del singolo e della comunità. Il modo in cui racconta le sue e le nostre storie ha un valore inestimabile. Anche per questo siamo molto felici che sia il vincitore del premio Darko Bratina di quest’anno. 7
Srdan Golubović – biografia Srdan Golubović è nato nel 1972 a Belgrado, figlio del regista cinematografico Predrag Golubović. Si è laureato in regia presso la facoltà di arte drammatica di Belgrado. Durante gli studi ha girato diversi cortometraggi, tra cui il più conosciuto è Trojka, per il quale ha ricevuto nel 1994 la medaglia d’oro della città di Belgrado per il miglior film esordiente al festival del film documentaristico e del cortometraggio. Nel 1995 ha diretto una parte del film collettivo Paket aranžman dal titolo Hertz minute. Nel 2001 ha girato il suo primo lungometraggio dal titolo Absolute 100 (Apsolutnih sto), con cui ha partecipato a oltre 30 festival internazionali del cinema vincendo diversi premi. Anche il suo secondo lungometraggio The Trap (Klopka), girato nel 2007 e presentato in anteprima mondiale alla Berlinale, ha ottenuto un buon successo. Il film è stato insignito di numerosi premi e si è piazzato nella rosa dei candidati per l’Oscar nella categoria miglior film straniero. Nel 2013 Golubović ha girato il lungometraggio Circles (Krugovi) e nel 2020 Father (Otac). Insieme alla moglie Jelena Mitrović dirige la casa di produzione Baš Čelik che produce film, performance e installazioni ma anche spot pubblicitari. È professore di regia presso la Facoltà di arti drammatiche dell’Università di Belgrado. 8
Filmografia scelta Apsolutnih sto, Srdan Golubović, Serbia, Montenegro, 2001, 93’ Klopka, Srdan Golubović, Bosnia ed Erzegovina, 2007, 106’ Krugovi, Srdan Golubović, Serbia, Slovenia, Germania, Croazia, 2013, 113’ Otac, Srdan Golubović, Serbia, 2020, 120’ Krugovi, Srdan Golubović, 2013 9
Premi • Art Film Festival • Sarajevo Film Festival 2007 premio Blue Angel per il miglior film The Trap (Klopka) 2013 premio del pubblico per il miglior film Circles (Krugovi) • Berlin International Film Festival 2013 premio della giuria ecumenica per il • Sofia International Film Festival film Circles (Krugovi) 2007 Grand Prixper per il film The Trap 2020 premio del pubblico e premio della (Klopka) giuria ecumenica per il film Father (Otac) 2013 premio del pubblico per il miglior • BIFEST – Bari International film Circles (Krugovi) Film Festival • Sundance Film Festival 2013 premio per la miglior regia per il film Circles (Krugovi) 2013 premio speciale della giuria per il film Circles (Krugovi) • Cinequest San Jose Film Festival 2008 Director’s Award per il film The Trap (Klopka) • Tallinn Black Nights Film Festival • Cottbus Film Festival of Young East European Cinema 2013 premio International Film Clubs – menzione speciale per il film Circles 2001 premio speciale, premio (Krugovi) FIPRESCI e menzione speciale della giuria ecumenica per il film Absolute 100 • Thessaloniki Film Festival (Apsolutnih sto) 2001 premio del pubblico per il film • FEST International Film Absolute 100 (Apsolutnih sto) Festival • Trieste Film Festival 2020 premio della giuria FEDORA per il miglior film, premio Stella Artois per il 2008 premio del pubblico per il miglior miglior film per Father (Otac) film The Trap (Klopka) • Golden Apricot Yerevan • Wiesbaden goEast International Film Festival 2007 premio per la miglior regia e premio 2013 grand Prix – Golden Apricot per il FIPRESCI per il film The Trap (Klopka) miglior film Circles (Krugovi) 2013 premio per la miglior regia per il film Circles (Krugovi) • Milano International Film Festival Awards (MIFF Awards) 2008 premio per la miglior regia per il film The Trap (Klopka) 10
» Non mi sono mai chiesto cosa farò da grande. Sapevo che sarei diventato regista cinematografico. Quando avevo quattro anni mi regalarono una Super 8. Sapevo che avrei frequentato l’accademia e che avrei girato dei film. A casa si parlava di tutto, ma più spesso e più volentieri di cinema. Mio padre è morto quando avevo 21 anni. Da quando avevo sedici o diciassette anni ho avuto con lui diversi brevi litigi, com’è normale a quell’età. Stavo cercando la mia identità. Perciò sono dispiaciuto di non aver potuto discutere con lui di determinate cose. Per tutta la vita sono fuggito dal suo influsso Srdan Golubović 11
»Apprezzo gli attori che sanno portare il silenzio« Colloquio con il regista serbo Srdan Golubović Intervista di Patricija Maličev 12
Correva l’anno 2002, era mattina nella piccola sala cinematografica del festival di Montona. Non eravamo in molti, credo che le previsioni del tempo non fossero buone, perciò non tutti erano venuti a quella che veniva chiamata “la Woodstock croata”, dove si andava soprattutto per fare festa. Avevamo visto Absolute 100. Wow! Per giorni non facevo che parlare del film e dello stile che ricordava Bresson, in un regista che non aveva ancora compiuto 28 anni. Nel cinema serbo di allora era raro vedere qualcosa di così coraggioso e crudamente nuovo. Quell’anno sia il film che gli attori vinsero un premio dietro l’altro nei festival di tutta Europa. Una cosa simile accadde anche agli altri tre lungometraggi di Golubović: The Trap (Klopka, 2007), Circles (Krugovi, 2013) e in particolare l’ultimo, Father (Otac, 2020), nonostante l’esplosione della pandemia di Covid19 proprio mentre stava ottenendo i primi riconoscimenti importanti. Nella seguente intervista, che si è svolta tra Belgrado, Lesina, Petrovac e Lubiana, ho parlato con Golubović dei suoi inizi, quando alle medie girava cortometraggi con Bata Živojinović come protagonista, dell’amore per la letteratura che nutre ancora oggi, dell’influsso di suo padre, dell’indipendenza creativa, dei contenuti delle sue produzioni e del futuro del cinema in questi tempi così insoliti. 13
Quest’anno a febbraio al Festival del cinema di Berlino il film Father, presentato nella sezione Panorama, ha vinto il premio della giuria ecumenica e il premio del pubblico. Cos’è accaduto da allora al film e a lei? È successo quello che negli ultimi cinque o sei mesi è successo a tutti i film e in generale all’ambito dell’arte e della cultura: niente. Si è bloccata la distribuzione del film, che era già iniziata in Serbia, e con essa le varie partecipazioni ai festival. Il film Father sta lentamente riprendendo vita, i cinema da noi hanno riaperto e attualmente il film è in programma. Vedremo con quale intensità potrà tornare tra gli spettatori. Nel frattempo, Father ha passato le selezioni per il premio dell’Accademia europea del cinema. Tengo molto a questo, in particolare per il fatto che i membri dell’Accademia sono produttori e registi prestigiosi ed è importante che il mio film venga visto da loro. Contemporaneamente ci siamo aggiudicati anche il premio del pubblico al Pola film festival e questo, oltre al premio del pubblico di Berlino, conferma che il film comunica molto bene con gli spettatori e trasmette un’emozione universale. Sono contento di questo. L’atmosfera di Father ricorda molto quella della sua opera prima, Absolute 100, infatti è un’opera senza compromessi, che non cerca di accattivarsi il pubblico. Mi fa piacere che lei la pensi così. Se nella realizzazione di Father il mio desiderio era quello di ispirarmi a qualcosa, dal punto di vista dell’atmosfera quella cosa è proprio il film Absolute 100, anche per la necessità di andare fino in fondo, nel processo e nell’idea, così come ho fatto nella mia opera prima. Ma ciò non significa che negli altri film io abbia fatto il calcolatore. Absolute 100 è così come si è presentato al pubblico, senza che me ne accorgessi: tutta questa rabbia non è stata programmata, evidentemente si è insidiata nel film attraverso me, attraverso la 14
mia esperienza di vita a Novi Beograd negli anni ‘90 e a cavallo dei due millenni. Non molto tempo fa uno dei miei studenti, futuro drammaturgo, mi disse: “Professore, nel suo film c’è molta rabbia.” Possiamo affermare che il primo film è il più difficile da girare? Non solo perché la sua preparazione spesso dura fin dagli anni giovanili, ma anche per le proprie attese che spesso sono difficili da soffocare. Intendo dire che l’opera prima può distruggere una vita. (sorride) Sono d’accordo. Ma contemporaneamente direi che è anche il più facile da girare. L’aspetto più difficile, in base alla mia esperienza, è il fatto che le opere prime determinano la direzione dell’autore, gli spianano la via, per cui ha solo due possibilità: avere successo oppure non averlo. È importante che durante la creazione dell’opera prima il regista sia sincero con sé stesso e che segua fino alla fine il proprio ritmo interiore. Per questo ci sono molte opere prime che abbiamo fatto nostre, non crede? Perché? Perché ci hanno mostrato il mondo come nessun altro prima di loro. Per esempio? Ehm, non so, ce ne sono molte… Ad esempio i film d’esordio di alcuni registi dell’ex Jugoslavia – da Do you remember Dolly Bell? di Kusturica fino a Man is not a bird di Makavejev, a Who’s singin’ over there di Slobodan Šijan a Special education di Goran Marković – hanno determinato in modo chiaro tutti gli autori citati. Potremmo dire che questi registi poi hanno semplicemente seguito le orme delle loro opere prime. Ognuno di loro si è preparato al proprio esordio a suo modo, Makavejev e Pavlović attraverso il Cine Club, Kusturica, Marković e Karanović tramite la scuola cinematografica di Praga. In ogni caso, la via che ha portato all’opera prima non si è manifestata di punto in bianco. Io mi sono formato grazie all’Accademia di arte drammatica di Belgrado ma ancora di più crescendo negli anni ‘90, realizzando 15
video musicali ma soprattutto per il desiderio di creare qualcosa nella vita. Ho dedicato cinque o sei anni alla preparazione della sceneggiatura. Lo sa come funziona con il primo film: con esso l’autore cerca di mostrare alla comunità della quale fa parte di essere diverso dagli altri. Ma in particolare ho voluto mostrare quanto la recitazione cinematografica potesse essere diversa da quello che eravamo abituati a vedere nei film serbi degli anni ‘90. Ho voluto girare un film nel quale gli attori fossero più vicino possibile alla realtà. In che senso? Così come nei film britannici: una recitazione ordinata che è allo stesso tempo tratta dalla vita quotidiana. Di solito, le opere prime smantellano le autorità all’ombra delle quali sono cresciuti gli autori. Con il film Absolute 100 ho cercato di demolire tutto ciò che fino ad allora significava di più per me: dall’Onda nera dei professori Karanović e Marković, fino a Kusturica, che ha influito parecchio su di me. Ho voluto girare qualcosa di completamente diverso da tutto ciò che hanno fatto loro. E mio padre. Quando aveva cinque anni suo padre le ha regalato una videocamera Super8 con la quale ha girato un cortometraggio con Bata Živojinović nel ruolo principale, in uno dei parchi di Pola, se ricordo bene… Sono cresciuto in una famiglia dove si mangiava film a colazione, pranzo e cena. Mio padre era regista e direttore dell’Istituto di cinematografia. Da piccolo sono stato infettato dal virus del cinema, da noi venivano ogni giorno attori e registi ed era chiaro che anch’io avrei seguito questa strada. Da bambino vedevo questo mondo come qualcosa di magico e ritenevo che la professione di regista fosse qualcosa di molto attraente. Sì, il mio primo film è stato girato proprio a Pola, una scena anche nell’arena, e in esso recita Bata Živojinović, che ci faceva visita alcune volte alla settimana. Da bambino ho girato con il Super8 diversi cortometraggi, più tardi anche con l’utilizzo di supporti più semplici. A scuola non 16
ero un alunno modello ma, a differenza di altri, leggevo molto. La letteratura era qualcosa che mi piaceva. Mio padre, comparativista e drammaturgo, non si arrabbiava per i miei brutti voti perché vedeva, capiva e sosteneva la mia passione per la letteratura. Aveva capito che essa era, oltre alla cinematografia, la mia unica passione. Certo, si aspettava che mi iscrivessi alla facoltà di letteratura. Quando mi sono iscritto al corso di regia volevo liberarmi dell’ascendente di mio padre, il che è normale, e allontanarmi da lui. Volevo trovare il più velocemente possibile la mia strada e il mio modo di fare cinema. In questa ricerca mi hanno aiutato i miei professori. Ho avuto il privilegio di avere tra i miei docenti Goran Marković, Srdan Karanović, Živojin Pavlović e Gordan Mihić. Da loro ho imparato cose estremamente interessanti… Cosa le è rimasto più impresso nella memoria di tutto quello che ha sentito durante le lezioni? Nella memoria sono rimaste impresse alcune frasi (sorride), il che a volte è sufficiente. Mi ricordo del leggendario Gordan Mihić, professore di sceneggiatura: non permetteva che incominciassimo a scrivere le sceneggiature senza aver prima potuto sintetizzare il contenuto del film in tre frasi. Certamente questo compito ci sembrava frustrante e senza senso. Ma allo stesso tempo – cosa che abbiamo capito solo più tardi – ci stavamo allenando a rappresentare sinteticamente la trama del film. Oggi credo profondamente alla sua intuizione, il che mi è stato confermato anche da Paul Schrader. Per un semestre abbiamo avuto come docente anche il regista Aleksandar Saša Petrović, che tra l’altro proiettava spezzoni tratti dai suoi film. Un giorno uno dei miei compagni di studio gli pose una domanda – anche se Saša non concedeva di porgli domande, alla fine di ogni proiezione prendeva in silenzio le sue cose e se ne andava, perciò tra di noi non c’era alcuna comunicazione. Gli fece notare che in uno dei suoi film c’è una scena con la polizia ed i rom e che la stessa scena si trova nel film di Kusturica Time of Gypsies e gli chiese se pensava che 17
Vuk Kostić e Srdan Žika Todorović in Absolutnih sto, Srdan Golubović, 2001
“Kusta” gliel’avesse rubata. Petrović, che già era dell’avviso che il collega gli avesse rubato la fama che secondo lui avrebbe dovuto essere sua, dopo due secondi di silenzio rispose: “No, Kusturica non ruba, ma spesso lo fanno gli zingari”. Tutti ci siamo messi a ridacchiare. Vede, si tratta delle frasi di cui mi ha chiesto, che non sono direttamente legate alla regia ma che dicono molto sul rapporto con la professione di regista e filmmaker. In Absolute 100 ha fatto i conti con la poetica di suo padre Predrag Golubović e dei suoi professori. Ma è interessante notare come nel suo ultimo film Father lei sia tornato al tema di suo padre, in particolare nell’ultimo quarto di questo film. Esatto, ma è successo senza accorgermene. Non per il titolo: gli ultimi dieci minuti sono un omaggio ai cortometraggi di mio padre, più esattamente al film U Predahu del 1978. Durante le riprese di Absolute 100 non ha dormito per una settimana, perché? Ero agitato, nervoso. Infine il direttore della produzione mi disse: “Ascolta, beviti una, due, tre bottiglie di birra e va’ a letto.” Così feci e poi mi addormentai. Durante quelle riprese ero molto incerto, per questo motivo ho inconsciamente scelto la location di Novi Beograd che conosco molto bene e che è stata casa mia. Allora già comprendevo il significato dei suoi motivi caratteristici: le vecchiette alle finestre. …e i giovani sui balconi, le visuali dai balconi sono prettamente opera sua… I balconi, sì (sorride), radicati nei miei ricordi hanno incominciato a ripresentarsi nella mia mente. In quanto professore, ai miei studenti del terzo anno – due sono di solito di Belgrado, gli altri di altre località – assegno il compito di andare a girare nelle proprie città e nei propri luoghi. Credo infatti che le esperienze acquisite nei propri luoghi siano importanti per il futuro lavoro anche a causa del legame intimo con essi. Si tratta 19
di una percezione diversa. Credo che l’opera prima debba essere personale e senza compromessi e che in essa debba esserci una parte del luogo nel quale è cresciuto l’autore. È vero che con il film The Trap (Klopka) ha incominciato la sua trilogia sulla figura del padre? Credo che tutti i miei film contengano il motivo del padre, anche il primo, nel quale il racconto poggia sulla sua assenza. Forse ciò è in qualche modo legato al fatto che io abbia perso mio padre da giovane, all’età di 21 anni. Quanto tempo dedica al contenuto di un film prima di scriverne la sceneggiatura? Molto (sorride). Qualche anno. La parte più lunga e difficile del processo è trovare una storia da raccontare. Da questo punto in poi tutto scorre velocemente. Per esempio, con Circles è stato diverso, mi sono dedicato molto alla forma e al modo di raccontare. Non sono convinto di esserci completamente riuscito. Credo che la scelta della storia sia simile al mal di denti: vuoi sapere da dove esattamente provenga il dolore e quanto sia profondo, perciò devi premere con la punta della lingua sul dente. Prima di ogni nuovo film premo con la lingua sui denti. Absolute 100 e The Trap sono stati girati ai tempi che per la Serbia sembravano molto più interessanti di oggi. Certamente, in particolar modo se parliamo del film Absolute 100, in quanto abbiamo iniziato le riprese nell’agosto del 2000 e a metà gennaio c’è stata la caduta di Milošević. Fino ad allora la Serbia è stata veramente chiusa. D’altra parte, in The Trap troviamo l’eco di quei tempi, sei anni dopo. Certo, da allora non abbiamo fatto chissà quanta strada. In Serbia abbiamo forse il privilegio che attorno a noi accadono cose molto interessanti, più che altro orribili. La verità è che la vita in Serbia è parecchio più emozionante dei film che vengono girati qui. A 20
«Con Nebojša Glogovac, che ci ha lasciati da poco, avevo un rapporto particolare sia dal punto di vista professionale sia da quello personale. Era un mix particolare, un attore estremamente intelligente.» Srdan Golubović Klopka, Srdan Golubović, 2007
differenza dei registi dell’Onda nera jugoslava che si ispiravano alla vita di allora e poi giravano film che erano molto più folli della realtà vissuta. Mi pare che ora stiamo rincorrendo la vita senza riuscire a raggiungerla. E così non è solo in Serbia. Tutto ciò che ci circonda e che ci accade è diventato qualcosa di incredibile… Guardi gli Stati Uniti d’America, la Russia… Forse nel mio paese tutto accade solo in un modo più estremo. In The Trap, il suo secondo film, il padre uccide per salvare il proprio figlio. Secondo le sue affermazioni questo film è una specie di Delitto e castigo balcanico. Allo stesso tempo, però, durante tutto il film scorre una metafora drammaturgica parallela: un rom all’incrocio che sotto la pioggia e la neve pulisce i vetri delle macchine e di cui nessuno si cura. Il semaforo è il punto centrale del film. Così come il mio primo film Absolute 100, anche The Trap lo vivo come un western. Nei western c’è sempre il posto per un duello, per questo motivo ho creato l’incrocio. Si tratta dell’incrocio Dorčul, nelle immediate vicinanze della mia abitazione e davanti al quale mi fermavo ogni mattina con la mia Opel Kadett del 1988. Una mattina si fermò davanti al semaforo vicino a me anche l’ultimo modello della Touareg, dietro di me invece un vecchio Maggiolino. Tra le nostre automobili si presentò un piccolo zingaro che puliva i vetri. La realtà di Belgrado sta nel fatto che tutti noi viviamo nello stesso istante e nello stesso luogo, mentre le nostre vite sono completamente diverse. Il semaforo e il piccolo zingaro presso il semaforo sono la metafora della quotidianità di Belgrado. Il rom è l’unica costante dell’intera situazione del film. Così come nei western c’è sempre un personaggio classico che non manca mai. Entrambi i film sono socialmente impegnati e critici. Cerco di evidenziare le anomalie nella nostra società. Absolute 100 è un film sulla rabbia che si manifesta quando ci accorgiamo di non poter più influire su niente e su nessuno. Si tratta di una cruda energia che ho impresso sulla pellicola a ventotto anni. The Trap è 22
nato quando avevo trentaquattro anni ed è per questo motivo un film molto più maturo, o almeno spero che sia così. Dal punto di vista critico e politico si tratta di una storia sulla delusione. Sette anni dopo il cinque di ottobre e dopo la caduta di Milošević non si viveva meglio di prima ma soprattutto non eravamo diventati persone migliori! Esteticamente, in entrambi i film ho insistito con la rozzezza, l’asprezza, con i tagli forti. Circles si basa su una storia vera, il gesto eroico del giovane Srđan Aleksić di Trebinje, che è stato picchiato a morte negli anni 90 del secolo scorso da membri dell’armata della Repubblica Serba perché cercava di difendere un suo concittadino, il bosniaco Alen Glavović. Ho saputo di questa storia nel 2007 e, se ben ricordo, durante uno dei nostri incontri alcuni anni fa le ho raccontato di Aleksić. Allora lei disse che devo assolutamente rappresentare questa storia e che la struttura della narrazione, come l’ho pensata, sembra molto intelligente. Si tratta del caso di un cittadino serbo, Aleksić, che intervenne nel pestaggio del suo amico e vicino Alen Glavović nella piazza cittadina di Trebinje nel 1993. Aleksić è stato pestato a morte da quelli che erano una volta i suoi commilitoni. Se non sbaglio voleva incontrarla anche uno degli assassini di Srđan. Sì, ma non ho acconsentito all’incontro. In ogni caso veniva sul set ogni giorno e ci provocava. Come? Commentava a voce alta ciò che facevamo. Oppure mi pedinava; andavo a prendere un caffè in un bar e sedeva al tavolino accanto e mi guardava. Questa pressione era continuamente presente durante le riprese, ma la vivevo come qualcosa di positivo. A dire il vero, proprio queste provocazioni mi hanno convinto ancor di più che ciò che stavo facendo fosse 23
qualcosa di giusto. Ho compreso che le nostre riprese stavano dividendo Trebinje in due: c’erano quelli che pensavano che ciò che stavamo facendo fosse giusto e c’erano quelli che avevano paura, erano arrabbiati. Volevano dimenticare quel fatto. Io invece volevo proprio il contrario – non volevo che la gente lo dimenticasse. Per tutti gli anni ‘90 e negli anni successivi, la società ci inculcava falsi eroi. Arkan, Mladić, Karadžić – questi non sono mai stati degli eroi per me. Sin dal primo giorno erano per me dei criminali. Aspettavo per tutto il tempo che si presentasse un eroe con il quale avrei potuto identificarmi. Quando mi è giunta all’orecchio la storia di Srđan Aleksić ho capito che avrei potuto identificarmi in lui. Ora posso dire di avere un mio eroe personale all’interno di tutta questa strage balcanica. Un uomo nella cui umanità ed eroismo credo veramente. Per questo motivo ho girato un film su di lui. E ho trovato anche un certo legame intimo parallelo: mio padre (il regista Predrag Golubović) una volta girò il cortometraggio Biografia di Josef Schulz. Si tratta di un film su un soldato tedesco della Vojvodina che non ubbidì al comando dei suoi superiori di sparare sui civili. Per questo motivo i suoi commilitoni lo uccisero insieme ai civili ai quali lui non volle sparare. Così mi sono in un certo modo collegato a mio padre – e allo stesso tempo ho trovato la maniera di raccontare la storia di Aleksić. Insieme agli sceneggiatori eravamo subito d’accordo sul fatto che non si stesse girando un film di guerra. Non abbiamo alcuna esperienza di guerra e questa tipologia di film non m’interessa. Volevamo girare un film sulle conseguenze di un certo atto di guerra, in quanto la guerra fa ancora parte della nostra vita. Anche se cerchiamo di uscire da questo cerchio, non ci riusciamo. Come fa un regista ad imparare a raccontare una storia con il linguaggio cinematografico? 24
Di solito si dice che i registi che sanno raccontare storie sono bravi artigiani, ossia conoscono il linguaggio cinematografico. Così come un calzolaio deve sapere come fare se vuole creare una scarpa. Bisogna amare i film, seguire la produzione internazionale, guardare i film. A me piace fare questo. Credo che il potere più grande di un film sia l’emozione che riesce ad imprimere nello spettatore. Lei come ci riesce? Con la costruzione di figure umane e delle loro sorti – questo è raccontare una storia. Questo è lo strumento principale di un regista. Quella di raccontare delle storie è una tradizione del film jugoslavo. Già dai tempi di Saša Petrović, Lordan Zafranović, Živojin Pavlović, Grlić, Marković, Karanović, Kusturica… Tutti questi registi hanno raccontato storie. I registi serbi, anzi, la Serbia stessa è caratterizzata dalla cultura del racconto. In Circles racconta tre storie, ciclicamente, in parallelo – mentre quella centrale si manifesta negli ultimi minuti. Cosa sono i Cerchi? Immagini di lanciare un sassolino nell’acqua e, mentre affonda, sulla superficie si formano dei cerchi concentrici. Questo sono i Cerchi. Succede qualcosa che influisce su molta gente, sulle loro sorti e sulle loro decisioni. Ha collaborato molte volte con l’attore Nebojša Glogovac che purtroppo ci ha lasciati. Sono convinto che sarei stato diverso se non avessi collaborato con Nebojša. È stato un uomo speciale e con questo non intendo il suo modo di recitare o di vivere… È stato uno dei pochi che osservava con estrema precisione il mondo. Un uomo della strada, ma allo stesso tempo figlio di un sacerdote ortodosso e per questo educato in maniera espressamente patriarcale. Riusciva a recepire le cose velocemente e con precisione. Ci siamo formati insieme e ci aiutavamo l’un l’altro, facevamo cose che erano, almeno per me, particolarmente emozionanti. 25
Per esempio? Quando gli diedi da leggere la sceneggiatura di Circles e gli dissi di scegliere un ruolo che volesse interpretare sapevo che avrebbe scelto il ruolo del medico. Dato che aveva già interpretato ogni altro ruolo di questo film sapevo che si sarebbe cimentato in qualcosa in cui non si era mai cimentato prima, qualcosa che non conosceva. Inoltre contavo anche sulla sua vanità, sul fatto che avrebbe scelto qualcosa di molto impegnativo: la figura del medico in Circles è quasi impossibile da sostenere, affronta i più grandi dilemmi interiori. Qual è stato il vostro metodo di collaborazione? Il medico rimane tutto il tempo in silenzio, riflette continuamente su qualcosa. A Nebojša suggerii di pensare ad una determinata cosa quando la sua figura rimane in silenzio durante le riprese, ma di non dirmi a cosa stesse pensando, né durante né dopo. Abbiamo mantenuto questo principio di recitazione fino alla fine delle riprese. Non mi ha mai detto quale film gli girasse in testa e nemmeno glielo chiesi mai. Questo era il nostro accordo. Un accordo spaventoso. Sì: anche se gli avessi chiesto a cosa stesse pensando, non me lo avrebbe mai detto. Ci siamo divertiti molto nel fare questo gioco, facevamo le cose in un modo insolito, indipendentemente dal fatto che ciò portasse a un obiettivo, ad un risultato relativamente classico. D’altronde funziona così: a un attore intelligente è necessario assegnare compiti intelligenti. Chi sono i suoi attori? Sicuramente si tratta di attori che sanno restare in silenzio. Che sanno portare il proprio peso in modo da non far sapere a noi spettatori di che peso si tratti. Mi piacciono gli attori che 26
Goran Bogdan ha ricevuto il premio come miglior attore per il ruolo di Nikola al Festival Internazionale del Cinema FEST di Belgrado e al Pola film festival nella sezione coproduzioni di minoranza. Otac, Srdan Golubović, 2020
sanno tenere un segreto. Con Nebojša eravamo molto vicini e, nonostante ciò, nessuno dei due è mai entrato nell’intimo dell’altro. Un simile rapporto ce l’ho anche con Goran Bogdan. Mi piacciono gli attori intelligenti che non hanno bisogno di essere sempre condotti da me. Mi piacciono quegli attori che non hanno paura della sfida – ed uno di questi è proprio Goran. Infatti, per me la parte più bella delle riprese è il lavoro insieme agli attori. La trama del film Father, che si basa su una storia vera, l’ha scoperta su un giornale. Quando ho letto per la prima volta di quel padre, lui stava già protestando davanti al Ministero del lavoro e chiedeva che gli venisse restituito il figlio che gli era stato tolto. Un giorno gli ho fatto visita e abbiamo iniziato a parlare, poi ho iniziato a fargli visita ogni giorno e gli ho offerto un aiuto. Diventava sempre più chiaro che si trattasse di una storia molto specifica, qualcosa che infonde ispirazione, qualcosa di cinematograficamente attraente, una sorta di Paris-Texas balcanico. Mi interessava questo atto di camminare del padre come simbolo di protesta, di libertà interiore. Capii che il camminare è la forma più pura di libertà, ma anche di rivolta e di perseveranza. Tutte le sue decisioni erano state prese istintivamente, senza razionalizzazione, voleva una cosa che più umana non si può: riavere il proprio figlio. Mentre scriveva la sceneggiatura, leggeva il diario di viaggio del regista Werner Herzog Vom Gehen im Eis. Nel gennaio del 1971 Herzog descrisse il suo cammino da Monaco a Parigi. Aveva percorso monti e valli, sotto la neve e la tempesta e con questo sacrificio sperava di poter allungare la vita alla sua amica, la critica cinematografica Lotte Eisner che era malata di cancro. Alla fine ebbe successo, in quanto Lotte visse per altri dieci anni. In Father c’è una scena con una lepre, una citazione letterale dal libro – un mio omaggio a Herzog. 28
Tornando a Bogdan, che è anche un ottimo attore teatrale, conosciuto al vasto pubblico per il ruolo di Jurij Gurka nella serie televisiva americana Fargo – come l’ha scelto per il ruolo di Nikola? Mentre scrivevo la sceneggiatura dapprima avevo pensato di assegnare il ruolo a Glogovac, ma poi si ammalò e ci lasciò troppo presto. Goran non accettò a cuor leggero il ruolo che era destinato al collega. Ma è davvero eccezionale. E tale era anche il nostro processo di lavoro, per me la parte più bella nella creazione di un film. Per due mesi abbiamo fatto cinque ore di prove al giorno: abbiamo sezionato ogni scena, delineato la mappa emozionale di Nikola, determinato ogni sua azione e gesto. Father è un film del silenzio, per questo motivo era di vitale importanza che le intenzioni del protagonista, espresse con il silenzio, fossero il più verosimili possibile. Eravamo d’accordo che avrebbe costruito il ruolo come un uomo di strada e non come un attore professionista, in modo da passare invisibilmente dall’aspetto documentario del ruolo all’interiorità di Nikola. I protagonisti dei suoi film si trovano sempre a dover fare delle scelte importanti, reagiscono sempre d’istinto. Ho riflettuto a lungo su questo. Nella lotta del singolo contro il sistema prima o poi ci si ritrova davanti a un muro e in quel frangente si reagisce istintivamente. Nikola non s’incammina dopo aver riflettuto. Le sue gambe iniziano a camminare da sole. Una cosa simile succede con il protagonista di Circles, che non ha tempo per riflettere se alzarsi o no e con il proprio corpo proteggere l’amico. M’interessano le persone che reagiscono d’istinto e che solamente dopo si accorgono cos’hanno fatto. Questo non significa che non analizziamo la vita, che non ci soffermiamo davanti ad essa. Ma alla fine prendiamo le decisioni in modo intuitivo, con il cuore. Di solito i motivi razionali ed oggettivi per non accettare certe scelte sono meno validi e, in determinati momenti, meno importanti per noi. Certamente questo si avvicina di più alla vita, come ha detto all’inizio, ma ancor di più all’integrità alla spontaneità 29
umana… Non è possibile soppesare tutto: 300 grammi di scelte sulla bilancia sono a favore, mentre 250 grammi sono contrari? Quando nel film Nikola viene a sapere che non gli riaffideranno i bambini, inizia a camminare, senza sapere come si svolgerà la lotta né come l’affronterà. Vi è una forza magnetica che spinge il singolo a realizzare i propri obiettivi che egli stesso non sa chiarire; e questo mi mette, da regista, nella posizione di non essere più intelligente del protagonista. Allo stesso tempo, ciò significa che nemmeno gli spettatori sanno come reagirà Nikola. Si tratta di qualcosa che mi piace moltissimo nella letteratura, veda Hamsun e Camus, per esempio: nelle loro opere non riusciamo a trovare la chiave che ci sveli il sistema di pensiero dei protagonisti. Non molto tempo fa lessi il romanzo di Handke La paura del portiere prima del calcio di rigore e ho rivissuto qualcosa di simile. Il suo staff tecnico è sempre lo stesso da un film all’altro, inclusi alcuni attori come per esempio Vuk Kostić, che recita in due film, e fino a poco tempo fa Nebojša Glogovac. Questo vale anche per alcuni coproduttori. Cos’è che vi lega? Mentre realizzavo il mio primo film volevo avere con me dei produttori prestigiosi. Poi diventava sempre più chiaro che non avrei potuto collaborare con loro, in quanto volevano influire sul contenuto, impormi la loro visione del mondo e di ciò che il pubblico si aspetta dal film. D’altronde è difficile per un esordiente spiegare ai produttori cosa desidera, almeno la mia esperienza è stata questa – con Absolute 100 si trattava di me, di vita o di morte. In ogni caso ho voluto darci un taglio. Più tardi si sono aggiunti i produttori Boris T. Matić e Danijel Hočevar, che capiscono sempre ciò che voglio e intendono il film esattamente come lo intendo io. Qualcosa di simile posso dire della produttrice Jelena Mitrović, mia moglie. È sempre prezioso avere degli amici come produttori. 30
A Gorizia, nell’ambito del festival Omaggio a una visione, riceverà il premio Darko Bratina, quindi seguirà l’anteprima del film Father in Slovenia. E poi? Dopo Berlino ero sicuro che Father potesse avere un buon successo, girare il mondo ed entrare in alcuni cinema nei quali gli altri miei film girati fino a oggi non sono entrati. Ciò purtroppo non è successo. Penso in particolare alla Francia, per la quale spero che dimostri maggior apertura. Vorrei una distribuzione a livello mondiale. Ma mi preoccupa la sorte delle sale cinematografiche, in quanto sembra che i festival prenderanno la maggior parte della distribuzione. Da una parte ciò è un buon segno, dall’altra parte sono rammaricato, poiché un film prende vita quando viene distribuito normalmente, quando gli spettatori non comprano i biglietti per un festival, ma per andare al cinema. Ho paura solo del fatto che nei prossimi anni le sale cinematografiche non torneranno ad essere quello che erano prima dell’epidemia da COVID-19. Otac, Srdan Golubović, 2020 31
Il regista che offre sempre un’alternativa ai personaggi Nicola Falcinella 32
Srdan Golubović, figlio del regista Predrag, è il cineasta più notevole emerso nel cinema serbo negli anni 2000 e uno dei maggiori nell’area dell’ex Jugoslavia. Autore di soli quattro lungometraggi, si è subito presentato come interprete attento e acuto del presente e del recente passato del suo Paese, capace sia di essere selezionato nei maggiori festival (è stato due volte candidato all’Oscar) sia di ottenere un significativo successo di pubblico. Golubović guarda al cinema internazionale, dai riferimenti a “Trainspotting” nell’esordio “Apsolutnih sto” al dramma sociale alla Ken Loach presente nel recente “Otac – Father”, e ha la capacità rara di ritrarre un’intera società seguendo delle persone ordinarie, determinate e quasi ossessionate nel perseguire un loro obiettivo. Il suo è un cinema classico e molto curato, dalla scrittura e la costruzione dei personaggi fino al montaggio sapiente e sorprendente sia che segue più personaggi in parallelo sia che sviluppi una storia in maniera lineare. Golubović scrive solitamente con un altro sceneggiatore (Srđan Koljević o Ognjen Sviličić nell’ultimo) e si circonda dello stesso gruppo di collaboratori (come il direttore della fotografia Aleksandar Ilić o il musicista Mario Schneider), oltre a chiamare spesso gli stessi attori Vuk Kostić, Bogdan Diklić, Boris Isaković o il compianto Nebojša Glogovac. Progetti meditati, tra un film e l’altro passano sei anni, sviluppati con persone conosciute e affidabili che portano a risultati precisi. Pellicole essenziali, tese fino alla fine, che non cercano scorciatoie e non fanno sconti a 33
nessuno. Golubović e la sua macchina da presa sono osservatori implacabili di una società segnata dalla guerra di Bosnia e ancora prigioniera delle conseguenze degli eventi degli anni ‘90. L’Igor di “Apsolutnih sto”, campione mondiale di tiro che ha visto in faccia le persone che ha ucciso nel conflitto, si è dato alla droga e trascina anche il fratello Saša » nella spirale, i protagonisti del corale “Krugovi – Circles” Golubović filma cercano di liberarsi dal cerchio del rancore (la struttura con una realtà dura con tre storie che si incrociano grande realismo ma sottolinea l’inestricabilità dei destini) per ricominciare sempre con umanità una nuova vita. Il Mladen di e tenerezza per i suoi “Klopka – La trappola” si trova solo con la moglie a lottare per personaggi. la salute del figlio e si ritrova nella trappola orchestrata dal Nicola Falcinella misterioso Kosta. Anche il Nikola di “Otac” è solo nella richiesta di riavere i propri figli e si decide a percorrere 300 km da Priboj a Belgrado a piedi per chiedere l’intervento del ministro. Colpisce la solitudine che accomuna i suoi personaggi, individui abbandonati a loro stessi che non vedono altra strada che farsi giustizia da sé o combattere con determinazione e forza della disperazione. Solo in “Krugovi”, il film più complesso come incastri e dai propositi più ottimisti, i personaggi hanno in qualche modo imparato qualcosa dai fatti del passato e sono forse disposti ad andare incontro agli altri. In “Otac” il padre, che non vuole lasciare niente di intentato contro i funzionari corrotti dei servizi sociali e una burocrazia sorda, diventa testimone della realtà del 34
Paese, si imbatte nel passaggio dei migranti, osserva le fabbriche e le stazioni di servizio abbandonate e incontra un’umanità non sempre ben disposta: se un uomo incontrato per strada gli porta del cibo, i vicini di casa non sono solidali e, anzi, gli riservano una brutta sorpresa. Golubović filma una realtà dura con grande realismo ma sempre con umanità e tenerezza per i suoi personaggi, non è un cineasta cinico ma un cineasta che cerca di capire le ragioni di chi non vede vie d’uscita alla propria situazione e prova a offrirgli un’alternativa. Krugovi, Srdan Golubović, 2013 35
Gli orfani di Srdan Golubović Cristina Battocletti 36
A una prima, superficiale lettura si potrebbe dire che la famiglia, poggiata su un ramo androgino, sia il centro della filmografia di Srdan Golubović. Le sue pellicole sono infatti raccontate da figure maschili sole, disperate, perseguitate dal destino e dalla brutalità sociale. I protagonisti sono orfani di donne autolesioniste, consumate da eccessi di privazioni: fame, guerra, buio del futuro. Sono donne laterali non per maschilismo, ma perché interrotte, preda di un’incomunicabilità ruvida, lontana da quella cerebrale di Antonioni. Su di loro il regista serbo, classe 1972, sospende il giudizio e stende un velo di compassione. Scavando nella filmografia si intuisce che il vero convitato di pietra nelle opere di Golubović è la profonda mancanza di un senso di patria, quella in cui è cresciuto nei primi vent’anni della sua vita, sotto il motto di Bratstvo i jedinstvo, Fratellanza e unità di Tito. Il regista non suggerisce mai nelle sue pellicole, che quella sia stata un’epoca ideale. Mostra semplicemente ciò che hanno lasciato dieci anni di guerra (1992-2002) agli uomini e alle donne nati e cresciuti nell’ex Iugoslavia: un’aggregazione di individui senza più un’identità collettiva, con un patrimonio di violenze subite, perpetrate o vissute de relato, troppo pesante da sopportare. Le città balcaniche non sono più teatro di stragi, le più efferate avvenute in Europa dal Dopoguerra, ci spiega 37
Golubović. Non sono più calpestate dai carri armati, colpite dai cecchini, ma sono in preda alla miseria morale e sociale, al capitalismo selvaggio che schiaccia gli umili e gli offesi, alla disumanizzazione dettata dall’avidità del profitto, che ha smontato l’industria locale nella logica del massimo rendimento da globalizzazione. I personaggi del regista cadono, delinquono o sono tentati dal farlo, ma in loro è roccioso e alla fine preponderante sempre un forte sentimento di dignità. E il regista è bravo in questo a liberarli dalla retorica, a non farne mai degli eroi, ma dei piccoli esseri che si aggrappano al loro unico punto fermo, l’umanità che conservano in loro come un lume. Miserabili, drogati, assassini sanno nel loro profondo di essere solo momentaneamente ostaggio della hybris del potentato di turno e dell’accanimento del destino e appena possono, e come possono, si rialzano. Basta trovare qualcuno che porga loro una spalla su cui appoggiarsi. Accade al ragazzino di Absolute hundred, potente esordio del 2001, subito accolto ai festival più importanti, da Toronto, a San Sebastian, da Pusan a Rotterdam, portandosi dietro una pletora di premi. Nell’incipit, una scritta spiega che, nel 1992, anno di inizio della guerra dei Balcani, la Iugoslavia vince tre medaglie alle Olimpiadi nella specialità del tiro a segno. Il prologo potrebbe essere lo spiraglio per parlare di guerra e invece no, c’è un salto temporale; siamo già nel dopoguerra, ma ogni cosa è carica delle conseguenze del conflitto. Igor Gordić (Srđan Todorović), che ha vinto la Medaglia d’oro, è partito volontario al fronte, è tornato vivo, ma eroinomane. Il giovane fratello Saša (Vuk Kostić) promettente nel tiro al bersaglio quanto Igor, si allena per le Olimpiadi ma è costretto a usare il fucile in un altro modo meno nobile. In The Trap (2007) un padre (Nebojša Glogovac) è roso dalla tentazione di diventare un killer per soldi, grazie a cui 38
salverebbe la vita del figlio malato. La madre (Nataša Ninković) tenta la strada della solidarietà, ma diventa facile preda della spettacolarizzazione, della falsa carità e dell’umiliazione. In Circle (2013) Golubović intreccia tre storie parallele » che si svolgono a Belgrado, in Germania e in Bosnia. Sono sforzi di superamento del passato, di richiesta di I protagonisti perdono, di annullamento sono i bambini, orfani delle barriere interetniche. Una tensione all’ottimismo negato al di donne autodistruttive protagonista di Father (2020), logorate da inesorabili Nikola (Goran Bogdan), cui deprivazioni: la fame, la vengono portati via i figli con la scusa della povertà, perché guerra, il futuro incerto. gli assistenti sociali possano intascare delle tangenti per ogni bambino affidato a una Cristina Battocletti comunità-famiglia. Il padre sceglie l’unica via morale, quella del diritto. Come un don Chisciotte cammina per giorni dal paesino rurale, in cui vive, fino a Belgrado per parlare con il ministro e rimane come l’ultimo dei derelitti davanti al palazzo, diventando un caso per la stampa. Golubović non ci dice se il padre otterrà giustizia, ma ci mostra che è ancora in piedi, rifiutando brutalità, compromessi, preservando la sua umanità. Figlio d’arte di Predrag, il regista serbo, fin dal primo film dimostra di avere grande dimestichezza con il cinema. Montaggio serrato, gusto geometrico dei campi lunghissimi per restituire l’architettura socialista modulare, con movimenti 39
morbidi e circolari della macchina da presa. In Otac e in The trap preferisce riprendere i suoi protagonisti con un piano medio, spiando le reazioni minime sul viso dei protagonisti, mentre chi parla non viene mai inquadrato. Sembrano interrogati, come in uno stato di polizia, reminiscenza della dittatura di Tito, in cui ogni vicino di casa era pronto a spiare l’altro. Amatissimo a Berlino, dove spesso vince il premio della giuria, nominato più volte agli Oscar, Golubović - con i suoi attori feticcio Vuk Kostić e Boris Isaković -, ha una forte capacità di racconto più per immagini che dialogica (ed è questa la forza del cinema) e di grande penetrazione del pubblico. Come Ken Loach oggi con i suoi disoccupati, Pier Paolo Pasolini ieri con i ragazzi di borgata, Golubović denuncia nel suo paese, l’ex Iugoslavia, la condizione degli ultimi, vittime di una politica, o meglio, della mancanza di una politica. Mostra l’enorme divario tra ricchi e poveri, in cui i nuovi ricchi non potranno, almeno per ora, trasformarsi in una classe borghese intellettuale riformista, perché il loro patrimonio è basato su affari loschi o su bottini di guerra scippati. Il prossimo passo di Golubović sarà forse quella rivoluzione sociale violenta che il cinema da un po’ di tempo ci suggerisce in maniera fantascientifica, tra i disperati di Joker di Todd Philips, il golpe di Nuevo Orden di Michel Franco, i Parasite di Bong Joon-ho. 40
Otac, Srdan Golubović, 2020
» Conosco Srdan da più di vent’anni, da quando debuttò con il suo primo film e insieme alla produttrice Jelena Mitrović furono ospiti del festival di Motovun, di cui all’epoca ero il direttore. Siamo diventati amici, in seguito ho fatto da testimone al loro matrimonio e abbiamo iniziato anche a lavorare insieme. Sono stato il co-produttore dei suoi film “Krugovi” (Cerchi) e “Father” (Padre), e la loro società di produzione Baš Čelik ha collaborato con noi in due delle nostre produzioni. Srdan è un uomo calmo e gentile che racconta grandi storie di piccole persone, è uno dei migliori registi in questa parte d’Europa. Informa regolarmente tutte le persone coinvolte nel processo di realizzazione del film di tutte le sue idee. Non lavora velocemente – Srdan è un autore meticoloso. Attendo con ansia la nostra cooperazione nel prossimo film. Boris T. Matić, produttore cinematografico, Propeler, Zagabria » Io e Srdan siamo legati da vent’anni, ho prodotto tutti i suoi film tranne il primo, dove ero invece la responsabile della post-produzione. Penso che sia la nostra collaborazione che il nostro matrimonio siano sopravvissuti anche grazie alla nostra sensibilità molto simile verso i contenuti, dei quali Srdan parla nei suoi film. Il suo mondo d’autore mi è molto vicino anche perché mette sempre al centro l’individuo che lotta per la sua dignità e libertà. Nonostante tutta la crudeltà del mondo, le circostanze sociali, le ingiustizie e la povertà che ci circondano, è proprio la catarsi che proviene dalle emozioni che proviamo durante la lotta del personaggio principale che mi dà una spinta nel mio lavoro di produttore e risveglia in me sempre una gioia quando lavoro con Srdan. Jelena Mitrović produttrice cinematografica, Baš Čelik, Belgrado 42
» La memoria è qualcosa di sfuggente e le persone ricordano gli stessi eventi in modo diverso. Credo di aver conosciuto Srdan circa due decenni fa al festival del cinema di Cottbus del 2001. Lì sono rimasto folgorato dal suo primo lungometraggio Absolute 100, ma non sono del tutto sicuro di aver incontrato Srdan proprio in quell’occasione o in qualche altro festival del cinema dove venivano presentati sia il suo film che Kruh in mleko di Jan Cvitkovič prodotto da me. In seguito ci siamo visti più spesso, anche se non sono stato tra i produttori del suo secondo lungometraggio, perché in quel periodo eravamo impegnati con altri film, sia nostri che in coproduzione, e non ho nemmeno provato a cercare fondi per The Trap in Slovenia. Però ho collaborato sia con lui che con Jelena al film Circles del 2013 e quest’anno al film Father. I temi trattati nei suoi film mi colpiscono sempre molto, come anche il modo in cui li presenta ai suoi collaboratori più stretti dopo lunghe riflessioni. Non c’è niente di narcisistico in tutto questo, ogni decisione è altamente ponderata e costantemente valutata nel dialogo con le persone di sua fiducia a cui chiede un parere. Infatti non è facile trasformare questi temi in film, il periodo di gestazione è lungo e per questo in circa due decenni ne ha realizzati solo quattro. Indipendentemente da ciò, in lui non c’è eccessiva impazienza né intolleranza, ma solo una chiara determinazione. Ed è proprio questo che mi piace di più in lui. Danijel Hočevar produttore cinematografico, Vertigo, Ljubljana 43
Puoi anche leggere