Vita Nostra - Nuova Citeaux
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16 Vita Nostra Rivista periodica dell’Associazione “Nuova Cîteaux” Anno IX - n. 1 - 2019 16 ISSN 2280-9805 Vita Nostra Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 2, DCB Firenze. In caso di mancato recapito inviare a Firenze CMP per la restituzione al mittente previo pagamento resi. Nerbini
Vita Nostra Vita Nostra In copertina: Rivista periodica semestrale La chiesa della beatificazione dell’Associazione “Nuova Cîteaux” dei martiri d’Algeria Abbazia delle Tre Fontane, Via Acque Salvie, 1 - Roma www.vitanostra-nuovaciteaux.it Indice Editoriale, Sr. Maria Francesca Righi 1 Autorizzazione del tribunale di Livorno n° 2/2012 del 15.3.2012 Formazione Direttore Responsabile: Padre Pierdomenico Volpi, OCist 1. L a liturgia centro della vita monastica, Dom Mauro-Giuseppe Lepori 2 Redazione: Suor Maria Francesca Righi, OCSO 2. Madre Cristiana Piccardo, Mons. Massimo Camisasca 13 3. Paternità filiale: alcuni aspetti del servizio di autorità, Md. Rosaria Spreafico 15 Co-redattori: Padre Zeno Motta, OCist; Prof. Mariella Carpinello 4. D iscernimento: una nuova sapienza per vivere giorni felici, P. Zeno Motta 26 Amministrazione: Suor Anne Guinard, OCSO 5. L o spirito di preghiera, P. Loris Tommassini 33 Sito web: a cura di Gilda Di Mitri 6. L etture laiche della Regola, Dom Giulio Meiattini 39 Direzione e Spedizione: bitare la tecnica: ideazione e desiderio, Prof. Francesco Botturi 7. A 52 Monastero Cistercense Valserena Via Prov. del Poggetto, 48 Carisma 56040 Guardistallo, Pisa, I 1. I Sermoni di san Bernardo per l’anno liturgico, Prof. Wim Verbaal 64 2. D om Christian de Chergé, o le quattro stagioni della vita di un monaco, Realizzazione editoriale: Edizioni Nerbini, Firenze missionario dell’amicizia, Sr. Marie-Benoît Bernard 83 Impaginazione e stampa: Prohemio Editoriale srl, Firenze 3. Beato Marie-Joseph Cassant: il potere degli umili, Sr. Gabriella Masturzo 99 Cronache Con approvazione ecclesiastica 1. D iscernere una vocazione monastica in un mondo individualizzato e frammezzato. Quali implicazioni nella formazione?, Fr. Amedeo Mantese 106 Donazione: registrato sull’indirizzario 30 Euro 2. A nnesso alla lettera di Natale del monastero di Midelt 111 sostenitore 60 Euro 3. Viaggio dell’Abate generale Dom Eamon in Italia, P. Simeon Leiva Merikakis 114 è possibile ricevere la rivista anche on-line Recensioni 121 Per cambio o nuovo indirizzo: Libri ricevuti 127 Suor Maria Francesca Righi tel. 0586/655072 e-mail: france.righi@monasterovalserena.191.it Conto Corrente Postale 1000364123 Intestato a “Nuova Cîteaux” c/o Monastero Cistercense Valserena, Via Prov. del Poggetto, 48, 56040 Guardistallo PI codice IBAN IT 60 P 07601 14000 001000364123 Finito di stampare nel mese di marzo 2019 LD Vita Nostra 16-2019 copertina.indd 2 26/02/19 10.23
Editoriale L ’anno 2019 si apre nella memoria di un documento giuridico e spirituale insieme che è come la carta di identità dei monasteri OCSO nel corso della storia, la Carta charitatis; questo primo numero però è ancora pieno del sapore della beatificazione dei fratelli di Tibhirine insieme agli altri martiri di Algeria: la foto di copertina, un articolo su padre Christian e un breve resoconto della beatificazione stanno a ricordare questo grande evento dell’8 dicembre 2018. La prima parte, dedicata alla formazione, riprende in un accordo a più voci le basi della Regola di Benedetto: la vita liturgica e la sua centralità (p. Mauro Lepori) la preghiera (p. Loris), il discernimento (p. Zeno), l’autorità paterna e filiale dell’Abate/Badessa (m. Rosaria), con la presenza discreta e forte della capostipite dei monasteri italiani, madre Cristiana (mons. Cami- sasca); abbiamo poi la presentazione, dal punto di vista filosofico, dell’homo tecnologicus dell’umanesimo postmoderno e, a servire da sintesi propositiva, il contributo di dom Giulio che raccoglie l’interesse polivalente che la Re- gola suscita oggi, proprio perché suscita una speranza, perché appare come un’ancora cui affidare con certezza la propria humanitas. Nella seconda parte, una presentazione dei sermoni liturgici di san Ber- nardo da parte del prof. Verbaal fa bene da pannello complementare all’at- tualità della vita liturgica esaminata nel primo contributo di dom Lepori. La liturgia è stato anche uno dei punti fondanti del lavoro dei vescovi al Sinodo, e il rinnovamento della vita della Chiesa in generale e della vita monastica in particolare poggia tanto sul rinnovamento della vita liturgica. La celebrazione eucaristica è generativa della vita della comunità e della si- nodalità della Chiesa. Essa è luogo di trasmissione della fede e di formazione alla missione, in cui si rende evidente che la comunità vive di grazia e non dell’opera delle proprie mani, afferma il documento finale del Sinodo spiegando la cen- tralità della vita liturgica e la sua importanza per l’identità cristiana. L’intero corpus letterario di Bernardo potrebbe essere interpretato come un tentativo di mettere in atto attraverso e nei suoi testi il sacramento liturgico dell’eucaristia, afferma il prof. Verbaal, collegando così vitalmente la lectio con la vita sacra- mentale, la letteratura con la teologia e la spiritualità, il rinnovamento e la tradizione, e proseguendo il lavoro di dom Leclercq che coniugava insieme l’Amour des lettres e il desiderio di Dio. Seguono le figure di due santi moderni: dom Christian, di cui conoscia- mo bene il testamento, e Joseph Cassant, un grande e un piccolo, accomu- nati dal dono della vita. Suor Maria Francesca Righi, OCSO 1
Formazione 1 La liturgia, centro della vita monastica Convegno a Lilienfeld: La liturgia nell’ordine cistercense, 27-30 settembre 2018 Dom Mauro-Giuseppe Lepori, Abate generale OCist Al centro di una realtà da non escludere S an Benedetto ci chiede di dare priorità alla liturgia comunitaria del mo- nastero: Nihil Operi Dei praeponatur – Non si preferisca nulla all’Opera di Dio (RB 43,3). È con queste parole che ci aiuta a capire cosa deve significare mettere la liturgia al centro della vita del monastero e della vita monastica. L’idea di «centro», come l’idea di «priorità» che l’espressione di Benedetto suggerisce, comporta un aspetto di assolutezza, ma non comporta l’esclusio- ne di tutto ciò che non è al centro o non è prioritario. Anzi, il centro ha bi- sogno di tutto ciò che gli sta attorno per essere veramente al centro, e la prio rità ha bisogno di tutto ciò che viene dopo per essere veramente prioritaria. Sembra superfluo evidenziare questo, eppure credo che sia importante oggi più che mai, e forse soprattutto nell’ambito della liturgia e della vita mo- nastica. Perché? Perché nel vivere un aspetto assoluto, centrale o prioritario, in ogni ambito dell’esperienza umana e soprattutto dell’esperienza religiosa, come nella liturgia e nella vita monastica, la grande tentazione è che ciò che mettiamo al centro escluda tutto ciò che sta intorno, che ciò che preferiamo escluda tutto ciò che vale di meno. E allora il centro, invece di essere un cuore che irradia sangue e vita, o invece di essere una luce che illumina tutto il resto, diventa una torre di avorio in cui isolarsi, un bunker nel quale rinchiudersi escludendo ogni contatto con l’esterno, escludendo ogni osmosi con l’ester- no. Anche la preferenza, quando diventa assoluta ed escludente, si trasforma in passione, in mania, che fa perdere il contatto con la realtà. Questo rischio, evidentemente, lo si corre con tutto, non solo con la litur- gia. Si può diventare maniaci del lavoro, della pulizia, dell’ordine, della pun- tualità, ecc. Certo, in una sala operatoria l’igiene è una priorità assoluta, ma se per questo non si lasciano entrare né il chirurgo, né i malati da operare, è evidente che questa priorità ha perso il contatto con la realtà. La puntualità 2
dei treni e degli aerei è pure un aspetto centrale, ma se per questo gli aerei e i treni partono senza passeggeri, anche qui si capisce che questo valore cen- trale perde il suo contatto con la realtà, e quindi il suo senso. Anche per parlare di liturgia nella vita monastica è allora importante met- tere in chiaro fin dall’inizio che il centro e la priorità hanno senso solo se non perdono il contatto con la realtà che li circonda o che ordinano nella gerarchia dei valori. Irradiare l’adorazione Quando san Benedetto dice di non anteporre nulla all’Opera di Dio, all’Ufficio divino, lo dice a conclusione della descrizione di una scena di vita monastica: Quando è l’ora dell’Ufficio divino, appena si udrà il segnale, si lasci tutto quanto si ha tra mano e si accorra con la massima sollecitudine, ma sempre con gravità, per non offrire occasione alla distrazione (RB 43,1-2). Non è difficile immaginarsi questa scena. Fossi il regista di un film, inizie- rei con un primo piano sul fratello che batte il segnale. Non c’erano ancora le campane, credo, ma si davano colpi su pezzi di legno, o di metallo, oppure, come ho visto ancora presso una chiesa nella campagna di Eritrea, su pietre sospese a delle corde che, battute con un sasso, erano molto sonore. Poi pas- serei a un’inquadratura dall’alto, in cui si vede tutto il monastero e i campi che lo circondano, e tutti i monaci che da ogni luogo e occupazione, lasciato lì l’utensile adoperato, si affrettano verso l’oratorio del monastero. Tutta la realtà che circonda l’oratorio non è abbandonata, data alle fiamme, ma rimane come in attesa del ritorno dei monaci dopo l’Ufficio, quando dall’o- ratorio si verificherà il movimento inverso. Dopo il movimento centripeto ci sarà l’irradiamento centrifugo. I monaci, dopo la liturgia comune, sono invitati nel capitolo 52 della Regola a uscire in silenzio, carichi però di senso della presenza di Dio: habeatur reverentia Deo – si mantenga un profondo rispetto per Dio (RB 52,2). Cosa vuol dire questo? Che la realtà della vita del monastero, le attività e tutto quello che si fa, hanno nell’Ufficio divino un centro irradiante, e che quello che si irradia è l’atteggiamento adorante della presenza di Dio che il monaco deve portare con sé e di cui deve impregnare ogni ambito e aspetto della vita. Ciò che irradia il centro della presenza di Dio, di cui la liturgia è il culto prioritario e centrale, è in fondo il fatto che la centralità e la priorità oggettiva coltivate nella chiesa del monastero e nelle liturgie comuni diven- tino centralità e priorità di Dio nel cuore del monaco, diventino adorazione che abita il monaco, e che con lui irradia in tutti i momenti e le attività della giornata monastica. 3
Convertirsi dalla leggerezza alla gravità Quando non si coltiva questo legame profondo fra il centro oggettivo del culto divino e il centro soggettivo, personale, che penetra la vita, la liturgia cessa di essere il centro della vita monastica e la vita monastica diventa una vita vuota, superficiale, dissipata, senza centro e senza gerarchia di valori. San Benedetto utilizza un termine interessante per esprimere il contrario della gravitas con cui chiede di muoversi in monastero: il termine scurrilitas (cf. RB 43,2). La scurrilitas, che san Benedetto condanna molto severamente anche nel capitolo 6 sul silenzio (RB 6,8) e contro la quale chiede di lottare durante la Quaresima (RB 49,7), è una dissipazione interiore, leggera e volgare, che, se non è contrastata da un’ascesi di silenzio e memoria di Dio, prima o poi deborda dalla persona e nei rapporti. È una buffoneria egocentrica, una giovialità senza amore, che, come scrive san Paolo, rattrista lo Spirito Santo (cf. Ef 4,30). Infatti, nel capitolo sulla Quaresima, san Benedetto ci dice che mortificandoci nella scurrilità ci è dato di attendere la Pasqua con la gioia del desiderio spirituale (49,7). Mi sembra importante la contrapposizione che san Benedetto suggerisce fra scurrilitas e gravitas, perché, se la scurrilitas è una leggerezza che non prende sul serio la vita e la realtà, la gravitas invece dà l’idea di qualcuno che si muove con i piedi per terra, che aderisce bene alla realtà, che procede lentamente e coscienziosamente ad ogni passo. La gravitas permette di non sorvolare la realtà, di non svolazzare su di essa come farfalle. Mi affascina sempre vedere l’incedere di un elefante, perché è grave e elegante ad un tempo. Ecco, i monaci e le monache dovrebbero muoversi così nella vita quotidiana. Certo, non si tratta di mangiare fino a pesare 200 chili, ma di avere un «peso» interiore, una densità di spirito, di memoria di Dio, di adorazione interiore, che permettano di aderire alla realtà, di essere attenti e intenti nel vivere ogni cosa, ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo, ogni incontro, persino ogni pensiero. Questa adesione alla realtà, san Benedetto vuole che la coltiviamo anche nella preghiera liturgica. Chiede per esempio che, quando si va all’Ufficio, lo si faccia con decisione, distinguendo bene l’azione liturgica dalle altre attività. Per questo, esige che l’oratorio sia quello che dice il suo nome e quindi in esso non si deve fare o depositare niente di estra- neo alla preghiera comune o personale (cf. RB 52,1). Anche chi non prega deve uscire dall’oratorio dopo l’Ufficio, e non restarci per chiacchierare o fare altro, disturbando chi è lì per pregare (cf. 52,2-5). Nello stesso tempo, san Benedetto è cosciente che i monaci rimangono uomini anche mentre pregano, per cui, per esempio, prevede che fra Vigilie e Lodi si faccia una pausa per le necessità naturali (RB 8,4). 4
Formazione 2 Madre Cristiana Piccardo Mons. Massimo Camisasca1 Alcune grandi figure femminili hanno se- gnato la storia della Chiesa del Novecen- to. Tra loro vorrei ricordare madre Teresa di Calcutta, Edith Stein, Chiara Lubich. Una donna a me è particolarmente cara, assieme a quelle che ho citato: si tratta di Cristiana Piccardo. Nata nel 1925 a Genova, partecipa dall’adolescenza alla vita dell’Azione cattolica, fino a diventare delegata nazionale delle Gio- vanissime. Chi legge oggi i racconti autobio- grafici della sua infanzia (per esempio in uno dei suoi libri più riusciti, Pedagogia viva, o i suoi articoli apparsi sui periodici dell’Azione cattolica di quegli anni), avver- te già una forza, un’intelligenza, una luce particolare. Cristiana, che fino all’ingresso nella vita monastica si chiamava Rita, a 33 anni entra nella trappa di Vitorchiano. Era l’anno 1958. Quel monastero, nato alle pendici dei monti Cimini, verso Viterbo, era l’ultima sede di una comunità trappista trasmigrata da Grottaferrata verso una casa rinnovata. Vitorchiano era l’ultimo fiore di una grande tradizione, segnata dall’impor- tantissima figura di madre Pia Gullini (1892-1959). Badessa di Grottaferra- ta, aveva dovuto pagare con l’esilio in Svizzera la sua fede ecumenica, ricom- pensata, però, dal sacrificio di una giovanissima suora sarda, morta offrendo la propria vita per l’unità dei cristiani e beatificata da Giovanni Paolo II nel 1983, suor Maria Gabriella Sagheddu. Madre Cristiana entra a Vitorchiano proprio quando il corpo di madre Gullini viene portato lì per l’estremo saluto. Quasi a segnare una continui tà che solo nel tempo potrà essere compresa. Diventata badessa nel 1964, 1 Riportiamo, con il permesso dell’autore che vivamente ringraziamo, questo articolo dal numero di maggio 2018 di Fraternità e Missione per la rubrica Volti e Incontri che rende conto di una figura del monachesimo italiano talmente nascosta che è attualmente nella fondazione di Humocaro in Venezuela, e talmente presente che, dal monastero dove ha governato per 24 anni, sono nate otto fondazioni, anzi più di otto, contando anche le «nipoti». 13
Formazione 3 Paternità filiale1: alcuni aspetti del servizio di autorità Madre Rosaria Spreafico, OCSO2 Introduzione I l tema del vostro Corso Superiori «Autorità e Obbedienza» ci situa in un punto drammatico di ogni vivere umano: autorità significa essere padri, madri, significa far crescere le persone a noi affidate e incarnare per loro la paternità e maternità di Dio stesso, o forse meglio – come ha già evidenziato il vostro Padre generale dom Mauro Lepori in un articolo su Collectanea3 - significa essere il riflesso della paternità di Gesù Cristo. E quindi significa vivere una paternità filiale. Questa intuizione è per me centrale, l’ho scelta come titolo, e vi ritornerò più volte, da vari punti di vista. Il primo punto di vista mi fa posare lo sguardo sulla condizione sociale e culturale di oggi: frantumazione del tessuto familiare e sociale, assenza di le- gami generativi, clima di violenza e insicurezza, ecc. In una parola, siamo alla fine della civiltà occidentale così come è andata formandosi – pur tra lotte e contraddizioni – nell’ultimo millennio. I poteri che governano il mondo non sono più politici, ma economici e tecnologici, più sottili, sfuggenti e pervasivi. Gli uomini che abitano questo nostro mondo, e quindi anche noi stessi e le anime a noi affidate, e particolarmente i giovani che bussano alla porta dei nostri monasteri, sono annebbiati e confusi proprio in quelle categorie elementari dell’umano che sono la relazione, il sacrificio, la storia e la tradizione, il lavoro, la percezione di sé come esseri ontologicamente distinti dalla natura (mondo e animali), l’eternità come orizzonte ultimo, e qui l’elenco potrebbe proseguire a lungo… La grande e disastrosa tempesta che ha investito le nostre società nel corso dell’ultimo secolo ha puntato diritto al cuore della Chiesa e del suo mistero: delegittimare il Padre, distruggere la coscienza di sé come figli. 1 Conferenza al Corso per i Superiori dell’Ordine Cistercense, al Collegio internazionale San Bernardo in Roma, 16-20 luglio 2018. 2 Badessa del monastero trappista di Vitorchiano. 3 M.G. Lepori, L’exercice du pouvoir dans la Famille cistercienne, in Collectanea Cisterciensia (2002), pp. 236-248. 15
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Formazione 4 Discernimento: una nuova sapienza per vivere giorni felici Padre Zeno Motta, OCist Prad’Mill L e comunità oranti «costituiscono una istanza di discernimento». Sono una segnalazione e la ricerca di un cammino di sapienza a servizio della Chiesa1. Questa sollecitazione trova sintonie profonde nello stile di san Be- nedetto. La sua dottrina ci può accompagnare in modo efficace nel cambia- mento d’epoca in corso. Fin dall’inizio della sua vicenda, si coglie in Benedetto un disagio e la ricerca di un’alternativa. Il rifiuto di proseguire gli studi a Roma per farsi «sapientemente incolto»2, dice la sua decisione di prendere distanza da una civiltà ormai in declino. L’Italia è intensamente coinvolta nel fenomeno del- la trasmigrazione dei popoli germanici – chiamati comunemente barbari. Decenni di guerra accompagnano l’arrivo dei Goti e dei Longobardi. Si può immaginare lo smarrimento di una classe sociale che vive del ricordo dell’an- tichità classica. Inoltre, il giovane nobile di Norcia decide di porsi ai margini anche della compagine ecclesiale e si rifugia nell’eremo di Subiaco. Se ci chiediamo cosa muove la ricerca di Benedetto, troviamo un indizio importante nel Prologo della sua Regola. All’interno di una lunga citazione della tradizione spirituale che lo precede, Benedetto inserisce un particolare originale: cinti i fianchi con la fede, procediamo sotto la guida del Vangelo3. Benedetto cerca una nuova sapienza, mentre la cultura in cui è cresciuto si mostra svuotata di senso. Cerca una vita secondo il Vangelo, mentre la dottrina e le pratiche della Chiesa del suo tempo sembrano inadeguate alle situazioni che cambiano4. Vogliamo provocare il monaco di Norcia a svelarci qualcuna delle sue in- tuizioni, per essere aiutati a nostra volta a trovare gli ingredienti del mestiere di vivere, nel tempo in cui la grazia di Dio ci ha posto. Vogliamo incrociarlo 1 Cf. la costituzione apostolica Vultum Dei quaerere, n. 4. Questo documento dedicato alla vita contemplativa femminile per molti aspetti è prezioso per la vita monastica nel suo insieme. 2 Cf. Gregorio Magno, Dialoghi II,1. 3 Cf. RB Prol. 21. 4 Cf. C. Passoni, «Perché l’anima trovi il suo ritmo». Provenienza e presenza della categoria del «discernimento degli spiriti», in La Scuola Cattolica (2018), n. 3. 26
su una questione concreta, perché ci sembra che il suo stile rifugga le teorie e le visioni generali. Fra le molti questioni che la Regola affronta, scegliamo il cap. 58 dedicato all’accoglienza dei nuovi fratelli. Si potevano scegliere altri aspetti: l’organizzazione della vita comune e dell’ascesi, la gestione delle tensioni e dei conflitti, la divisione delle responsabilità. Questo capitolo ci offre il vantaggio di essere molto ben strutturato e riassuntivo della visione di san Benedetto. Fra le righe della sua esposizione possiamo intuire sia il percorso di discernimento di Benedetto stesso, sia qualcosa sulla vita delle comunità monastiche di oggi. Veniamo al commento di qualche frase del cap. 58 della Regola. 1. Alla porta: domande e scoperte Qualora si presenti un nuovo aspirante alla vita monastica… Chi si presenta alla porta del monastero di Benedetto? Forse un povero o un pellegrino, forse un ricco un po’ prepotente, forse qualcuno con cui si sperimenta una sintonia nella fede o qualcuno dalla coscienza incerta e con- fusa5. A disposizione di tutti c’è chi è capace di prestare ascolto e di dare una risposta6. A ciascuno verrà data una risposta diversa. Nel caso di chi cerca la vita monastica, si ripropone la situazione degli inizi nei deserti dell’Egitto, quando qualcuno si è inoltrato nel deserto per chiedere a un anziano: «Cosa devo fare per essere salvo?». Il discernimento comincia accogliendo una do- manda. La risposta non potrà che essere concreta e quindi parziale. A chi cerca la vita monastica, si potrà proporre la vita monastica. Si offrirà una via, non una mèta. Perché la mèta è trovare giorni felici7. … Non si conceda con facilità l’ingresso […] ma come dice l’Apostolo: met- tete alla prova gli spiriti, se sono da Dio. Cosa si aspetta chi bussa alla porta? La prudenza è doverosa da parte di chi apre. Ma la domanda ritorna su chi ha bussato: «Perché sono venuto? Cosa cerco? Cosa immagino di trovare?». Non sarà l’ultima volta. Sempre ognuno dovrà rinnovare a se stesso la domanda «Perché sono venuto?». San Benedetto elabora un cammino strutturato per chiarire sempre di nuovo, a chi vive in monastero, le dinamiche dei suoi desideri, per vedere se vengono da Dio. Si intravvede questa preoccupazione leggendo il cap. 7 sull’umiltà. L’esito ultimo di questa indagine lo troviamo nella sintesi finale della Rego- 5 Cf. RB 53. 6 Cf. RB 66. 7 Cf. RB Prol. 15. 27
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Formazione 5 Lo spirito di preghiera Padre Loris Tommassini, OCSO1 Frattocchie L a teologia insegna che l’asse portante della vita cristiana gira intorno all’esercizio della fede-speranza-carità, come quello della vita intellettua- le gira intorno all’esercizio della memoria-intelletto-volontà. Insegna ancora che le virtù teologali crescono per mezzo dei sacramenti e si sviluppano e si esercitano fuori dai sacramenti, nella quotidianità, cioè nelle varie circostan- ze della vita. È risaputo che la vera prova del vigore della fede-speranza-carità non è, propriamente, all’interno dei sacramenti, quanto piuttosto nello scontro con le difficoltà, vicissitudini, contingenze quotidiane. Da un punto di vista cristiano la contemplazione non è altro che la fede- speranza-carità, diventate adulte. Queste tre virtù teologali, infuse in noi come dono nel battesimo, ci permettono di comunicare con Dio, entrare nel mondo di Dio, vivere di Dio, fare esperienza di Dio, conoscere Dio. Se que- ste virtù non vengono esercitate rimangono allo stato infantile, rischiando, in questo modo, di vivere una vita cristiana allo stadio infantile, una spiri- tualità infantile. Come avviene la loro crescita? Con i doni dello Spirito San- to, soprattutto con i tre doni chiamati «contemplativi» (intelletto, scienza, sapienza), i quali perfezionano la fede facendola diventare viva, la speranza facendola diventare forte e la carità facendola diventare ardente. Allora, più precisamente, dal punto di vista cristiano la contemplazione non è che la fede viva, la speranza forte e la carità ardente. Esse ci danno come risultato, la capacità di sentire-toccare-gustare Dio e tutti i misteri della fede. Nel campo dell’esperienza concreta che noi dobbiamo fare, la contemplazione comincia con la sensazione del sentire-toccare-gustare. Questa è la mèta spirituale cui dovremmo giungere, che almeno dovrem- mo desiderare. Per questo vorrei precisare che più che le preghiere (esercizi di pietà formale propriamente detti) è importante acquisire lo spirito di pre- ghiera, come ci insegna il concilio Vaticano II: 1 Conferenze ai sacerdoti della diocesi di Albano 2018. 33
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Formazione 6 Letture laiche della Regola Dom Giulio Meiattini, OSB1 D a più parti, e già da tempo, si guarda con inedito interesse a san Benedetto e alla sua Regola, intravedendo nella «via benedettina» un modello che può ispirare e orientare gli individui e le collettività in questo tempo di rapidi trapassi e radicali stravolgimenti. Questo ritorno di interesse per la Regola benedettina risponde al biso- gno di trovare, in una saggezza collaudata nei secoli, dei riferimenti che orientino nuovi cammini, che salvino l’umano che è in noi, in un momento in cui esso come non mai è messo a rischio. Da notare che, mentre la maggior parte del mondo benedettino, almeno italiano, distratto dal quotidiano arrabattarsi con quisquilie museali, non riesce a fare i conti con la gestione della sua morte spirituale e istituzionale, in ambito laico la Regola attrae e ispira idee e progetti originali. Il fenomeno del ritorno di interesse per san Benedetto, di cui parlo, non riguarda dunque quasi per nulla il mondo monastico, ma nasce per lo più al di fuori di esso. Si tratta di riletture contestuali della Regola fatte da laici o per laici. Da qui il titolo volutamente provocatorio di questa riflessione: da regola per monaci a regola per laici? Esporrò in modo estremamente sintetico alcune riletture della Regola che vanno in questa direzione e, a prescindere dalla loro pertinenza o effettiva realizzabilità, indicano delle convergenze degne di nota e che almeno non dovrebbero passare inosservate. 1 Giulio Meiattini è monaco dell’abbazia Madonna della Scala in Noci (Bari). Nel suo monastero attualmente è bibliotecario e direttore editoriale della rivista di spiritualità La Scala. Tiene corsi nel Pontificio Ateneo Sant’Anselmo (Roma) e nella Facoltà Teologica Pugliese (Molfetta). Tra le sue pubblicazioni: Monachesimo e teologia. La triplice prospettiva di H.U. von Balthasar (2012). Quella che pubblichiamo è una conferenza tenuta il 18 maggio 2018 a San Vito dei Normanni (Brindisi), presso la Biblioteca san Benedetto (gestita dalle Suore Oblate Benedettine di santa Scolastica). Il titolo originale era: Attualità di san Benedetto? Alcune considerazioni inattuali. 39
1. Dal monastero all’azienda Da circa vent’anni a questa parte hanno cominciato a diffondersi pubbli- cazioni di vario tipo, articoli su riviste e quotidiani, saggi e libri, che cercano di trovare nella Regola di san Benedetto delle indicazioni utili per la condu- zione di aziende e imprese2. Un fenomeno a prima vista abbastanza strano, quasi esotico se vogliamo, ma di cui, se si va a vedere in profondità, non si fa fatica a comprendere i motivi. Diversi manager o dirigenti aziendali sono alla ricerca di modelli e metodi alternativi, rispetto a quelli vigenti e univer- salmente praticati, perché anche nel mondo degli affari si avverte un senso di insoddisfazione diffuso, spesso sommerso, ma che produce non di rado frustrazione umana, oltre che inceppamenti sotto il profilo strettamente im- prenditoriale. Il cosiddetto management è un’attività per lo più stressante, che costringe a uniformare mentalità e comportamenti sugli standard alie- nanti del profitto e del rendimento. Come sotto il profilo ecologico diverse imprese si sono fatte sensibili alla questione della sostenibilità ambientale dei loro metodi produttivi, e anche del prodotto stesso, così esistono aziende, e anche agenzie formative per manager, che stanno scoprendo che la qualità dei rapporti umani e la cura dello stile di cooperazione influiscono non poco sia sul successo propriamente economico sia sul benessere complessivo dei lavoratori. Fra questi due aspetti – qualifi- cazione positiva dei rapporti umani e rendimento – si constata che esiste un circolo virtuoso. In altri termini, impostare all’interno dell’azienda relazioni che promuovano la persona, oltre che il professionista e il lavoratore, ripaga anche sul piano del rendimento. Col vantaggio che anche le persone sono più serene. I due aspetti forse non si collegano sempre in modo così immediato e automatico, tuttavia anche un profitto un po’ minore sembra essere preferibi- le, qualora vi corrisponda un maggiore appagamento sul piano umano. A vari osservatori ed esperti la Regula Benedicti è apparsa adatta a questo sco- po, tanto da ritenerla preferibile alle metodiche suggerite dalla PNL (Program- mazione neuro-linguistica) o da altre strategie comunicative analoghe, pensate su presupposti di carattere psicologico-comportamentale. In effetti, il mona- stero benedettino rappresenta un mondo circoscritto con analogie rispetto alla 2 Si vedano per esempio le seguenti opere, con impostazioni in parte diversificate: M. Fola- dor, L’organizzazione perfetta. La regola di san Benedetto. Una saggezza antica al servizio dell’im- presa moderna, Guerini e Associati, Milano, 2006; P. Bianchi, Ora et labora. La Regola benedet- tina applicata alla strategia d’impresa e al lavoro manageriale, Xenia, Milano, 2006; K. Dollard – A. Marrett-Crosby – T. Wright, Fare affari con san Benedetto, Scheiwiller, Milano, 2007 (orig. ingl. 2002); B. Simone, Elogio dell’autorevolezza. Percorsi formativi e funzionali per coman- danti e dirigenti, ispirati alla Regola di S. Benedetto, La Pieve Poligrafica, Verucchio, 2009. 40
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Formazione 7 Abitare la tecnica: ideazione e desiderio Conferenze sul transumanesimo Vitorchiano, giugno-luglio 2018 Prof. Francesco Botturi Tecnica e mondo L ’uomo è tecnico sin dall’origine. Prima di essere strumento la tecnica è espressione di umanità. Anche dal punto di vista paleontologico un segno certo di umanità è dato dai reperti circa i dispositivi tecnici utilizzati. L’umano di tali testimonianze sta nell’implicita componente di ideazione che il dispositivo tecnico porta in sé. L’artificio tecnico si distingue dal dato naturale per l’elemento di intelligenza intenzionale umana che lo rende pos- sibile; mentre l’intelligibile naturale (il dato bruto non esiste in assoluto) non dipende dall’iniziativa umana. Sia il tecnico sia il naturale sono portatori di intelligibilità, ma di diversa origine, umana e non umana. Doppia origine che ‒ vale la pena dirlo subito ‒ non è pensabile che possa venir meno, dal momento che la tecnica stessa ha bisogno della «materia» del mondo e delle sue leggi per esistere. Un mondo totalmente artificiale non sembra davvero pensabile. L’umanità della tecnica sta, dunque, nell’elemento di ideazione che dà luogo al dispositivo tecnico, nella forma della progettazione di procedure e operazioni, che evidenzia la dimensione di futuro che abita la tecnica as- sieme a quella della possibilità. Il dispositivo tecnico è così una mediazione sussistente tra uomo e natura in funzione del mondo umano e delle sue esigenze. La progettazione tecnica rompe l’immediatezza del dato presente e lo apre a ciò che ancora è assente e (ritenuto) conveniente. In questo senso la tecnica umana ha come una doppia appartenenza, all’ordine dello strumen- tale e a quello dell’espressivo: è strumento di mediazione efficiente/efficace tra uomo e natura, ma per la sua peculiare umanità è espressione essenziale dell’essere umano. La tecnica, dunque, è parte dell’aver-mondo da parte dell’uomo; come dire che la tecnica è un elemento della cultura umana, cioè del modo umano 52
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Carisma 1 I Sermoni di san Bernardo per l’anno liturgico Una liturgia letteraria Prof. Wim Verbaal O ggigiorno difficilmente ci si riesce a figurare l’influenza pervasiva che la liturgia esercitava sulla vita dell’uomo medievale. Specialmente dopo che il portato della riforma gregoriana si fu effettivamente concretizzato, la liturgia della Chiesa medioevale tese a diventare una specie di ‹‹basso con- tinuo›› che accompagnava tutte le azioni umane, con molte variazioni sullo stesso tema di base. Non può pertanto stupire che non ci siano espressioni del pensiero medioevale scevre da elementi liturgici, e che in quasi tutti i campi la liturgia offra un terreno propizio ai più diversi fenomeni culturali. L’importanza della liturgia per lo sviluppo del dramma, dell’architettura, delle arti plastiche e musicali è ben risaputa. Anche la sua influenza sulla na- scita e sulla crescita dei generi letterari è stata spesso notata. Si potrebbe, ad esempio, considerare l’origine liturgica delle canzoni d’amore di Guglielmo IX d’Aquitania, il primo trovatore, o l’importanza rivestita dal fattore litur- gico nel roman courtois di Chrétien de Troyes. Tuttavia l’iniziale processo di deritualizzazione che questo presupposto implica non ha ancora ricevuto l’attenzione che merita. Dal momento che la liturgia consiste in una sequenza più o meno fissa di atti rituali, ogni cambiamento, anche il minimo adattamento o prestito verso un contesto secolare, potrebbe essere considerato come un atto di sa- crilegio, che mette in pericolo la fragile dipendenza umana dalla clemenza divina. Benché la liturgia non possa essere ridotta a una sorta di rituale ma- gico che consente all’uomo di esercitare l’autorità sui poteri soprannaturali1, quest’aspetto, tuttavia, forse non era del tutto estraneo ai laici che frequen- tavano la messa. La derivazione popolare, sia essa reale o presunta, della for- 1 Cf. Introduzione generale in M. Righetti, Manuale di storia liturgica, 4 voll., Milano, Àncora, 1959-1969, I (1964), p. 5: Una concezione della liturgia, che non vedesse se non la veste esteriore, rischierebbe di degenerare in un ritualismo vuoto, fine a se stesso, che richiama e somiglia al formalismo magico delle religioni pagane. 64
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Carisma 2 Dom Christian de Chergé o le quattro stagioni della vita di un monaco, missionario dell’amicizia Suor Marie-Benoît Bernard, OCSO1 E cco una storia2, una bella storia sem- plice e vera che conoscete già. Vale la pena allora che la leggiate o la rileggiate? Credo di sì, perché nella mia storia, quel- la di padre Christian de Chergé e dei suoi compagni martiri, ho evidenziato il carisma di Tibhirine. Si è parlato molto (e si parla ancora) dello spirito di Tibhirine, mi sem- bra che possiamo anche menzionare il cari- sma di Tibhirine che è, secondo me, più di una condizione spirituale, perché il carisma è un dono dello Spirito (con una S maiuscola), quindi è una testimonianza di vita. Il carisma di Tibhirine è una vita missionaria dell’amicizia. È stato con padre Christian che questo carisma è nato, poi è cresciuto con la comunità di Tibhirine quando era sotto la sua autorità. Padre Christian, priore di Tibhirine, era in questo senso un monaco carismatico del XX secolo. Ma per diventarlo, per essere quest’uomo in ascolto dello Spirito, Christian ha dovuto attraversare il tempo, attraversare la vita e le sue prove. È il prezzo da pagare per essere trasformato dall’interno dalla grazia, per entrare in un percorso di trasformazione del cuore, in gioia e speranza. Ecco perché la mia piccola storia è divisa in quattro parti o quattro sta- gioni, ed è intitolata: Le quattro stagioni della vita di un monaco missionario dell’amicizia. Queste stagioni, cioè alcuni episodi della vita di padre Chri- stian, ci permetteranno di intravedere come questo monaco «come tutti gli altri» è diventato carismatico, un segno per il nostro tempo. 1 Suor Marie-Benoît Bernard (OCSO), è nata il 2 agosto 1969 a Strasburgo. Ha studiato Lettere moderne e cinema, per poi entrare nel monastero di Rivet il 7 ottobre 1999; è maestra delle novizie dal 2008. 2 Conferenza presentata ai superiori (OCSO) della REM (Regione mediterranea) riuniti all’abbazia del Rivet da mercoledì 5 settembre a mercoledì 12 settembre 2018. 83
1. Estate L’estate è la stagione che, si dice, abbaglia il cuore… È mercoledì, 20 agosto 1969. Christian de Chergé si pre- senta all’abbazia di Aigue- belle per diventare un mo- naco, o meglio: per essere in grado di vincere, un giorno, Nostra Signora dell’Atlas, a Tibhirine, l’unico monaste- ro di uomini contemplativi in Algeria la cui abbazia nella Drôme3 è la casa madre4. Questo giorno d’estate pieno di sole (lo si può immaginare) è un grande giorno nella vita di Christian, che ha 32 anni. Nell’ordine in cui entra, è un giorno di solennità in cui si celebra san Bernardo di Chiaravalle, una gran- de figura monastica non molto ordinaria dei primi tempi di Cîteaux: nel- lo stesso tempo monaco, predicatore di una crociata, scrittore, viaggiatore, fondatore, mistico, uomo di silenzio e dialogo, ma in tutto cercatore di Dio. La decisione di Christian di entrare all’abbazia di Aiguebelle non fu presa in un solo giorno e la sua attuazione non fu facile. Il desiderio di diventare monaco abita in Christian dal 1964, sicuramente! Anche se sin dall’infan- zia «qualcosa» di impreciso già lo tormentava dall’interno. Al termine dei suoi studi in seminario, Christian si era aperto con il suo vescovo5 su questa «chiamata nella chiamata». Questi gli aveva quindi chiesto di prestare cinque anni di servizio pastorale alla diocesi di Parigi prima di considerare la vita monastica per sempre. Dopo la sua ordinazione, Christian è nominato cap- pellano della basilica del Sacro Cuore di Montmartre. Inizia così per lui un 3 Il dipartimento della Drôme è un dipartimento francese della regione Alvernia-Rodano-Alpi. 4 Il monastero ND dell’Atlas è un’antica fattoria vinicola risalente alla metà del XIX secolo, situata a 6 km da Medea. Proviene dalla trappa di Staouéli, fondata dai monaci di Aiguebelle, 13 anni dopo la conquista dell’Algeria da parte della Francia, nel 1843, nella piana di Algeri; Staouéli fu chiuso nel 1904 per paura delle conseguenze della legge antireligiosa del 1901: l’as- senza di cistercensi in Algeria durerà 30 anni. La comunità contava fino a 100 monaci tra cui Charles de Foucauld, poi fr. Alberico. Nel 1934, su richiesta dei trappisti in fuga dalla Slovenia, Aiguebelle fondò un nuovo monastero in Algeria. Quattro monaci sloveni e sei volontari della trappa di Aiguebelle nella tenuta di Tibhirine il 7 marzo 1938. Nel 1947 ci sono 36 monaci. Da quest’anno, gli abitanti del villaggio della zona vengono a consultare fr. Luc, un medico. 5 Monseigneur Veuillot, vescovo coadiutore di Parigi. 84
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Carisma 3 Beato Marie-Joseph Cassant: il potere degli umili1 Abbaye Notre Dame Du Désert 16 giugno 2018 Suor Gabriella Masturzo, OCSO Buongiorno. Porgo i miei saluti a quanti oggi sono venuti a onorare il nostro beato Marie- Joseph Cassant, a 115 anni dalla sua morte, av- venuta il 17 giugno 1903. Di lui è stato scritto: È nello stile di vita del p. Cassant il non far par- lare di sé: discreto, riservato, nascosto, trascorse i nove anni della sua vita monastica all’ abbazia di Santa Maria del Deserto, passando quasi com- pletamente inosservato. Una biografia, dovuta alla penna di Robert Masson, s’intitola appunto Gli inosservati di Dio2. Eppure Marie-Joseph Cassant è uno di cui merita parlare, perché appartiene ai quei piccoli e quei semplici per cui Gesù rende grazie al Padre3. Molti di voi lo conoscono bene e gli si affidano nella preghiera quotidia- namente, altri forse sono qui per conoscerlo meglio. Per gli uni e per gli altri vogliamo ricordare la sua vita e la via di santità che essa ci indica, con una particolare sottolineatura di quella che forse è la sua virtù propria: l’umiltà, e con questa la mitezza. Non è una virtù di moda, ma estremamente efficace per affrontare le sfide quotidiane che la vita ci presenta, e può essere utile parlarne ripercorrendo la vita di un suo ottimo testimone. 1 Conferenza data il 16 giugno 2018, nella chiesa abbaziale di Notre-Dame Du Désert, in occasione dei 115 anni dalla morte di Marie-Joseph Cassant, avvenuta il 17 giugno 1903. 2 R. Masson, Joseph Cassant, les inaperçus de Dieu, Parole et Silence, Paris 2001. 3 M. Augusta Tescari, Padre Joseph Cassant: l’imbranato di Dio, in I Santi del quotidiano, Edizioni di Casamari, Frosinone 2005, p. 91. 99
Il beato Marie-Joseph Cassant nasce il 6 marzo 1878 a Casseneuil, da la- boriosi e devoti agricoltori. Dalla prima infanzia coltiva un’unica ambizione, che sarà la fonte della maggior parte delle ansie e delle gioie della sua breve vita: essere prete. Affascinato dalla liturgia, nei suoi giochi infantili riproduce i gesti che ha visto compiere dal celebrante nella chiesa parrocchiale, durante la messa della domenica. Moi veux être turé (cioè: curé), dirà, prima di sapersi esprimere in un appropriato francese. Questo suo desiderio era accompagnato da un’intensa vita di preghiera. Spesso portava con sé, anche a scuola, una statuetta in ceramica di Gesù e gli accadeva di ritirarsi per pregare anche durante momenti di festa fami- gliare. Pochi amici, e molto riservato, il suo stile di vita sin dall’infanzia fu nel motto: Tutto per Gesù. Frequenta per nove anni, come alunno esterno, il pensionato di San Giovanni Battista de la Salle: ha buona volontà, uno straordinario buon senso, ma i risultati scolastici sono mediocri. Le biografie sottolineano la mancanza di brillantezza e di memoria, era lento, ma non stupido, ricco di delicatezza e capace di intelligenza fine e profonda. A dodici anni fa la prima comunione. La sua infanzia, in una famiglia privilegiata e ricca di pietà, si snoda in un’estrema semplicità, senza alcun clamore, fra casa, scuola e chiesa. A quattordici anni scrive ingenuamente nel suo diario: Primo giorno dell’anno 1892… Signore, io un giorno andrò sugli al- tari, lo spero con la tua grazia… Signore, vengo a chiederti la grazia di arrivare sugli altari; e precisava subito dopo il senso esatto del suo desiderio: Dammi l’intelligenza e tutto ciò che sarà utile per essere un buon prete4. E il Signore esaudì, in un modo che il ragazzo non avrebbe mai neppure immaginato, quell’umile ma appassionata richiesta. Il parroco, i sacerdoti e fra Lusignan, direttore del pensionato, sono d’ac- cordo: la vocazione di Joseph è seria, ma il Seminario minore non può ac- cettarlo, ha troppe lacune negli studi. L’Abbé Jean Filhol, parroco di Cas- seneuil, decide di prenderlo con sé al presbiterio, incaricandosi della sua istruzione, assieme al coadiutore, don Monneins, che diviene professore di latino e di francese del ragazzo. Joseph, completamente a suo agio nella ca- nonica, aiuta nella pulizia della chiesa, gioca con i bambini del sagrestano, partecipa agli uffici e si dedica alla preghiera privata. Riguardo agli studi, però, i risultati sono insufficienti e non gli permettono l’ingresso nel Semi- nario minore. Inquieto per l’avvenire di una vocazione sacerdotale che egli giudica sicura, il buon parroco suggerisce al suo allievo di rinunciare al semi- 4 Dom. M.-É. Chenevière, L’attente dans le silence. Le Père Marie-Joseph Cassant, Desclée de Brouwer, Paris, 1981, p. 35. 100
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Cronache 1 Discernere una vocazione monastica in un mondo individualizzato e frammentato. Quali implicazioni nella formazione? Orval, ottobre 2018 Fratel Amedeo Mantese, Prad’Mill S i è tenuta quest’anno all’abbazia di Orval (Belgio), nel mese di ottobre, la tradizionale settimana di incontro per formatori germanofoni e franco- foni della famiglia cistercense. Il tema dell’incontro è stato: Discernere una vocazione monastica in un mondo individualizzato e frammentato. Quali im- plicazioni nella formazione?, animato da madre Hildegarde dell’abbazia di Marienstern-Gwiggen (OCist, Austria) e da padre Jacques dell’abbazia di Rougemont (OCist, Canada). La questione dibattuta il primo giorno è stata: La vocazione alla vita mona- stica è legata ad una determinata età? Constatando l’aumentare delle richieste da parte di persone adulte di entrare nella vita monastica, madre Hildegarde ha condotto una ricerca per raccogliere le motivazioni di fondo e le implica- zioni che le spingono in questa direzione, raccogliendo le testimonianze in un libro pubblicato fino a ora solo in tedesco. Il prolungamento del tempo di formazione fa sì che la questione sul senso della vita emerga ormai a un’età più avanzata; manca inoltre un tessuto familiare e sociale che possa stimolare tale domanda, e la persona se ne interessa quando subentra una crisi e una conse- guente conversione, o si imbatte in un’esperienza religiosa forte (movimenti, conversione). Ma ci sono pure persone la cui maturità di fede cresce pari- menti a quella umana, raggiungendo la consapevolezza di una vocazione nel momento in cui già si è sviluppata una personalità profondamente spirituale. In generale, i vantaggi di tali vocazioni sono la più grande esperienza di vita e le competenze professionali che la persona ha raggiunto, che d’altra parte richiedono alla comunità e ai formatori una maggiore capacità e di- sponibilità a dispiegare programmi di formazione adeguati alle esigenze di ciascuno. A confermare la possibilità di un risveglio religioso in età adulta (35-45 anni) ci sono varie testimonianze di santi, tra cui Teresa d’Avila, Ildegarda 106
Cronache 2 Annesso alla lettera di Natale del monastero di Midelt Breve racconto del nostro pellegrinaggio in Algeria, 6-10 dicembre 2018 L a comunità di Nostra Signora dell’Atlas ha avuto la grazia di poter andare alla beatificazione dei loro sette fratelli di Tibhirine, così come di altri 12 religiosi, tra cui mons. Pierre Claverie, vescovo di Orano, assassinati per la loro fede, tra l’8 maggio 1994 e il 1° agosto 1996. Il nostro pellegrinaggio è iniziato giovedì 6 dicembre con un viaggio in taxi collettivo da Midelt a Casablanca, dove i sacerdoti della parrocchia No- stra Signora di Lourdes ci hanno accolto fraternamente. Venerdì mattina era- vamo sei monaci, accompagnati dal nostro caro vescovo, padre Cristóbal, per volare a Orano. Arrivati verso le 14,00, un piccolo comitato di accoglienza ci ha accolto con gioia. Un autobus ci stava aspettando per portarci all’albergo dove ci siamo uniti a centinaia di amici e parenti dei 19 beati martiri. Dopo una buona cena, siamo andati insieme alla cattedrale di Orano per partecipare a una veglia di preghiera. Un momento ricco di emozioni e di testimonianze, tra cui quella del nostro padre Jean-Pierre e quella di suor Chantal, sopravvissuta all’attacco che ha ucciso suor Odette Prévost. La presenza di molti amici musulmani ci ha commosso molto, special- mente quella della madre del giovane Mohamed Bouchekhi, autista e amico di Pierre Claverie, che ha perso la vita in compagnia del vescovo di Orano, il 1° agosto 1996. Anche quella del figlio di un altro Mohamed, l’amico musulmano che ha dato la sua vita per proteggere quella del giovane ufficiale francese Christian de Chergé, alla fine degli anni ’50. Preghiere cristiane e musulmane hanno arricchito questo bellissimo incontro che è stato comple- tato da una processione presso la tomba del beato vescovo Pierre Claverie. Ciascuno dei partecipanti vi ha deposto una candela accesa, un segno della Vita più forte della morte. La mattina dopo, siamo stati accolti calorosamente dalla grande moschea Abdelhamid Ben Badis dalle autorità religiose locali e dal ministro algerino degli affari religiosi, Mohamed Aïssa. Questa visita faceva parte del tributo 111
algerino a 19 martiri reli- giosi cristiani e 114 imam assassinati durante il «de- cennio nero». All’arrivo, ogni parteci- pante ha ricevuto una rosa dalle mani di ragazze ve- stite con abiti tradizionali. Ci è stato offerto anche un opuscolo dal titolo : Gesù nel Sacro Corano. Seguen- do i discorsi dei rappresen- tanti delle due tradizioni religiose, abbiamo scoperto la bellezza di questo luogo di culto. La visita si è conclusa con un ricevimento, con tè e pasticcini. Poi siamo andati al Santuario di Nostra Signora di Santa Cruz. All’ap- puntamento c’erano il cielo blu e il sole, così la messa di beatificazione ha potuto svolgersi sulla spianata del tempio mariano dove erano radunate circa 1.400 persone. Monsignor Jean-Paul Vesco, vescovo di Orano, ha pronunciato le prime parole di benvenuto e, dopo aver letto il testamento spirituale di Mohamed Bouchekhi, è stato tenuto un minuto di silenzio in memoria delle migliaia di vittime innocenti della guerra civile algerina. Prima della celebrazione eucaristica, è stato letto un messaggio di papa Francesco. Per l’occasione, il Santo Padre è stato rappresentato dal cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione per le cause dei santi. Per la prima volta nella storia della Chiesa, un evento di questo genere è stato rea- lizzato in un paese musulmano. Il Vangelo, proclamato prima in francese, è stato poi cantato in arabo da un prete di Orano, padre Becker. L’intera cele- brazione è stata animata da un vivace e felice coro africano. Due punti salienti sono da segnalare: lo scambio di un gesto di pace tra il vescovo di Orano e gli imam pre- senti, e la discesa di un grande pannello con i volti e i nomi dei 19 be- 112
ati martiri che hanno suscitato gli ululati delle donne e gli applausi dell’as- semblea. Le tre ore della celebrazione sono passate come un alito leggero, in una grande serenità. Infine, il vescovo di Orano ha espresso la sua profonda gioia e immensa gratitudine a tutti i cristiani e musulmani che hanno reso possibile la realizzazione di questa festa in Algeria. Domenica 9 dicembre, un centinaio di pellegrini si sono imbarcati in un viaggio in autobus di otto ore per andare da Orano a Tibhirine. Al nostro arrivo, gli amici di Tibhirine ci stavano aspettando a braccia aperte davanti alla porta del monastero. Per il nostro padre Jean-Pierre, che ha vissuto a Tibhirine per 32 anni, è stato un ritorno a casa, venti anni dopo. Abbiamo assistito al commovente incontro del nostro anziano di 95 anni con coloro che hanno vissuto così tante cose con lui: Mohamed, il guardiano, Youssef, Benali, padre Robert, Samir, tra gli altri. Per ognuno di noi, la visita al mo- nastero è stata breve ma di grande intensità. Un pasto di benvenuto, la ce- lebrazione di una messa di ringraziamento, presieduta dal cardinale Becciu, la visita degli edifici e una preghiera silenziosa nel cimitero alla presenza dei nostri sette fratelli martiri benedetti e di altri monaci i cui corpi riposano in questo posto. La comunità Chemin Neuf, che attualmente vive sul posto, è stata felice di darci il benvenuto e condividere questo momento indimenti- cabile con familiari e amici. Le tombe dei fratelli 113
Cronache 3 Viaggio dell’Abate generale Dom Eamon in Italia1 Vitorchiano, Valserena, Boschi 12-21 marzo 2018 Padre Simeon Leiva Merikakis2 D al momento che dom Eamon vive già in Italia, è la sola cronaca che non relaziona un viaggio all’estero, e uno dei rarissimi viaggi che possiamo intraprendere da Roma con la nostra macchina. Potreste anche pensare che, poiché la casa generalizia è situata a Roma, i nostri monasteri italiani goda- no di uno statuto speciale quando si tratta di visite dell’Abate generale; ma, molto semplicemente, non è affatto così… Io sono al mio quarto anno come segretario di dom Eamon, ma fino a ora ho visitato quattro delle nostre cinque case in Italia soltanto per brevi soste, o, nel caso dell’abbazia delle Tre Fontane, perché sono vicinissimi a dove viviamo noi, a Roma. Di con- seguenza, personalmente, mi rallegro di questa escursione monastica verso tre delle nostre case italiane, per continuare a sviluppare la mia conoscenza dei fratelli e delle sorelle in Italia. Vitorchiano (12-16 marzo) Lunedì 12 marzo, ci vuole meno di un’ora e mezza per arrivare dalla casa generalizia al monastero di San Giuseppe di Vitorchiano, situato tra Viterbo e Orte, appena a nord di Roma. Come molti di noi sanno, Vitorchiano è la più grande casa di monache dell’Ordine, con circa 80 suore in loco, con un’età media di circa 54 anni. Sorprendentemente, questo numero è rimasto stabile negli ultimi decenni, anche se la comunità ha generato sette fonda- zioni in meno di quaranta anni anni (in Europa, Sud America e Asia) e si sta attualmente preparando per l’ottava fondazione in Portogallo nel 2019, con il titolo di «Madre della Chiesa». Con una comunità così importante, dom Eamon ha concesso cinque giorni interi per la nostra visita, così da poter par- 1 Traduzione italiana di suor Maria Francesca Righi di Valserena. 2 P. Simeon Leiva Merikakis, 1946, monaco dell’abbazia di Spencer (USA), è segretario dell’Abate generale dal 2015. Cf. www.vitanostra-nuovaciteaux.it/s-leiva-merikakis-omelia- per-s-giuseppe/ 114
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