Rassegna stampa 05 ottobre 2016 - Anica

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Rassegna stampa
   05 ottobre 2016

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INDICE

ANICA - ANICA SCENARIO
   05/10/2016 Corriere della Sera - Nazionale                             5
   Sky stringe su Mediaset Ripartono i colloqui sulla pay-tv di Premium

   05/10/2016 Corriere della Sera - Nazionale                             6
   L'arte mentre sta nascendo: trenta film per raccontarla

   05/10/2016 Corriere della Sera - Nazionale                             7
   «Film borghese». E Mosca cambiò i dialoghi di Hitchcock

   05/10/2016 La Repubblica - Nazionale                                   8
   Fenomeni paranormali

   05/10/2016 La Stampa - Nazionale                                       10
   Un film per diventare grandi "Ora viviamo da sole, insieme"

   05/10/2016 La Stampa - Nazionale                                       12
   Fuocoammare, l'Italia scopre la voglia di realtà

   05/10/2016 La Stampa - Nazionale                                       14
   Visioni dal Mondo a Milano Il vero vince sul verosimile

   05/10/2016 Il Messaggero - Roma                                        15
   «Se l'amore è una lotta»

   05/10/2016 Il Messaggero - Roma                                        16
   Fuocoammare pieno d'ascolti e si lavora per gli Oscar

   05/10/2016 Il Messaggero - Umbria                                      17
   PerSo festival, 12 ore di film

   05/10/2016 Il Messaggero - Umbria                                      18
   Il Sogno di Francesco e quegli strafalcioni storico-ambientali

   05/10/2016 Il Fatto Quotidiano                                         20
   Stereotipi e macchiette: che razza di Cinema

   05/10/2016 Il Fatto Quotidiano                                         22
   Emanuela Orlandi: la storia che non c ' era adesso esiste

   05/10/2016 Il Tempo - Nazionale                                        24
   «Lumiere, scoperta del cinema» Un film che entra nella storia
05/10/2016 Il Tempo - Nazionale                                            25
  Wahlberg si confessa «Essere veri è gratificante»

  05/10/2016 Corriere del Mezzogiorno - Napoli                               26
  In tv dopo Gomorra Napoli è fantasy

ANICA WEB - ANICA WEB
  04/10/2016 youmovies.it 14:17                                              28
  Roma Lazio Film Commission annuncia il vincitore del concorso Movieland,
  dedicato alle web series

  03/10/2016 rbcasting.com 18:42                                             29
  Roma Web Fest 2016: "Romolo + Giuly" vince il concorso Movieland
ANICA - ANICA SCENARIO

16 articoli
05/10/2016                                                                                           diffusione:256969
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 Sky stringe su Mediaset Ripartono i colloqui sulla pay- tv di Premium
 La prossima settimana prima riunione tra gli staff «tecnici» L'incontro Incerto l'incontro a New York tra Silvio
 Berlusconi e Rupert Murdoch
 Federico De Rosa

 Milano La manovra di avvicinamento tra Mediaset e Sky è iniziata. Non ancora quella tra Silvio Berlusconi e
 Rupert Murdoch, di cui si parla da quando il patron di Fininvest la scorsa settimana è volato a New York per
 sottoporsi a dei controlli medici. Un viaggio anche di affari, secondo alcuni osservatori, e poiché gli affari di
 casa Berlusconi si chiamano Mediaset e Mediaset Premium, il collegamento con Sky è sembrato scontato.
 Non che l'ex premier sia andato a offrire a Murdoch la pay-tv di Cologno. Probabilmente i due non
 riusciranno nemmeno a incontrarsi, sebbene l'intenzione ci sarebbe, ma Murdoch in questi giorni non è a
 New York.
 Quello che sta avvenendo è un riavvicinamento, dopo i colloqui di due anni fa tramontati per il mancato
 accordo sul prezzo di Premium, che per il momento sono affidati alle diplomazie dei due gruppi. Diplomazie
 che si sono messe in moto a luglio, dopo l'improvviso voltafaccia di Vivendi, appreso dalle parti di Sky
 come uno sorta si scampato pericolo: una cosa è avere Mediaset concorrente sulla pay-tv, altro è avere
 contro un colosso come Vivendi. Prospettiva che non è del tutto sfumata ma che, visti anche i ricorsi
 depositati in Tribunale da Fininvest e Mediaset per la mancata esecuzione del contratto su Premium,
 appare difficile. La scorsa settimana il ceo di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine ha detto di essere «ottimista»
 sulla possibilità di trovare un nuovo accordo, rivelando che tra i due gruppi «i colloqui sono in corso».
 La società francese guidata da Vincent Bolloré aveva tempo fino al 30 settembre per dare esecuzione agli
 accordi, anche se la data non viene considerata vincolante. Ora che il termine è scaduto a Cologno si
 sentono tuttavia più liberi. Non del tutto, visto che comunque il contratto con Vivendi resta in piedi, ma
 questo non sta vietando agli uomini di Mediaset di esplorare nuove strade. Così, dopo i primi sondaggi
 avvenuti tramite i legali dei due gruppi, all'inizio della prossima settimana, secondo fonti vicine al dossier,
 dovrebbe iniziare il dialogo tra le strutture «tecniche» di Mediaset e Sky. Che si sono già parlate a lungo
 due anni fa, quando Cologno aveva incaricato Mediobanca di raccogliere manifestazioni di interesse per la
 pay-tv, decidendo poi di stringere su Sky. L'operazione, negoziata per diversi mesi, era poi sfumata per la
 distanza delle valutazioni: Sky aveva valutato Premium 600 milioni, contro il miliardo circa di Mediaset.
 Adesso, a sentire chi lavora sul dossier, le distanze potrebbero accorciarsi. Ci sarebbe la disponibilità a
 trattare un possibile accordo senza porre pregiudiziali sul prezzo. Anche perché Mediaset è piuttosto sicura
 delle proprie ragioni e dunque di vincere un eventuale battaglia legale con Vivendi, che potrebbe portare
 nelle casse di Cologno fino a 2 miliardi di euro di danni. Cento milioni in più o in meno, a quel punto
 farebbero poca differenza. Ma si tratta solo di ipotesi.
 Di certo c'è che in attesa che arrivi una nuova proposta di Vivendi, gli uomini di Berlusconi hanno ripreso in
 mano il dossier per esplorare alternative e che, di fatto, Sky è già seduta al tavolo. Se poi arrivasse un
 cenno da Murdoch la strada sarebbe spianata. E anche se non è questo il motivo principale del viaggio a
 New York di Berlusconi, certamente è un motivo in più per cercare di sistemare definitivamente una partita
 che ha dato non pochi grattacapi a Cologno.
  © RIPRODUZIONE RISERVATA

ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 05/10/2016 - 05/10/2016                                                     5
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 La rassegna cinematografica da oggi a Napoli
 L'arte mentre sta nascendo: trenta film per raccontarla
 Alessandro Beretta

 Trenta documentari per attraversare l'arte, l'architettura e la fotografia. È con questa formula che il festival
 Artecinema di Napoli, curato dalla gallerista Laura Trisorio, apre oggi al pubblico la sua XXI edizione
 inaugurando al Teatro San Carlo con la proiezione del cortometraggio Audioghost 68 di Giuseppe Lanno e
 Giancarlo Neri e con il lungometraggio Frame by Frame di Alexandria Bombach e Mo Scarpelli. Il primo è
 dedicato a una performance per mille attori, curata dallo stesso Neri e da Robert Del Naja dei Massive
 Attack, che si è tenuta nel Grande Cretto di Alberto Burri a Gibellina, mentre il secondo segue la vita di
 quattro fotogiornalisti afghani - tra cui Farzana Wahidy e Massoud Hossaini, premiati nel 2013 con il
 Pulitzer e presenti al Festival - che rischiarono la vita per la libertà di stampa durante il regime talebano.
 Il programma, che da oggi a domenica 9 animerà poi il Teatro Augusteo, è diviso in tre sezioni tematiche e
 gioca sull'importanza dei soggetti toccati. In «Arte e dintorni» si incontrano documentari su singoli artisti
 come Picasso, naissance de l'icône di Hopi Lebel e Stéphane Guégan, sulla figura pubblica di Picasso,
 Alberto Giacometti, sculpteur du regard di Charles Lartigue e Anselm Kiefer: Remembering the Future di
 Jack Cocker, letture inedite come quella di Chagall peintre de la musique di Mathilde Deschamps Lotthè,
 sul rapporto tra il pittore e la sua passione per la musica, e anteprime come Sull'orlo della gloria. La vita e
 le opere di Pino Pascali di Maurizio Sciarra, omaggio a un protagonista dell'arte povera. Non mancano,
 inoltre, film dedicati a momenti artistici di confine: da Les génies de la grotte Chauvet che racconta il
 cantiere con cui i dipinti paleolitici della grotta Chauvet in Ardèche sono stati riprodotti fedelmente a Pont
 D'Arc, a La Collection qui n'existait pas di Joachim Olender sulla collezione «concettuale» del belga
 Herman Daled, composta da opere immateriali.
 Se nella sezione «Architettura» si trovano titoli come Getting Frank Gehry di Sally Aitken dedicato al
 processo creativo di Gehry o La maison unal di Julien Donada sulla «casa scultura» concepita da Claude
 Häusermann-Costy, nella parte di programma dedicata alla «Fotografia» si toccano i lavori del canadese
 Jeff Wall in Jeff Wall - Art 21 di Pamela Mason Wagner e dell'italiano Paolo Ventura in Paolo Ventura.
 Vanishing Man di Erik van Empel.
 Il Festival, sostenuto dal Ministero dei Beni culturali, è un'occasione non solo di scoperta del mondo dei
 tanti artisti ritratti nei film, ma anche di incontro con chi li ha realizzati, registi che si sono messi in gioco per
 ricostruire una vita, un movimento, un'opera tra materiali d'archivio, interviste e testimoni.
 Oltre agli spettacoli per il pubblico, che l'anno scorso hanno raccolto settemila spettatori, si segnalano infine
 due proiezioni organizzate per i detenuti del carcere minorile di Nisida e per quelli della casa circondariale
 di Secondigliano: un'idea di programmazione civile da non sottovalutare.
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
 L'evento
 La XXI edizione del Festival Artecinema, a cura di Laura Trisorio (qui sotto), si tiene a Napoli da oggi a
 domenica 9 ottobre. La manifestazione raccoglie documentari internazionali che raccontano la vita di artisti,
 architetti, fotografi, movimenti artistici e le loro opere. Trenta sono i titoli selezionati tra lungo- e
 cortometraggi e dopo la serata inaugurale al Teatro San Carlo, le proiezioni gratuite si terranno da venerdì
 presso il Teatro Augusteo Nella foto: Markus Raetz di Iwan Schu-macher (Sviz-zera, 2007)

ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 05/10/2016 - 05/10/2016                                                          6
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 Ritrovato «Three Live Ghosts» del 1922
 « Film borghese». E Mosca cambiò i dialoghi di Hitchcock
 Paolo Mereghetti

 Ci sono i film e ci sono i loro «avatar». E quando i primi sono dati per dispersi, ecco che le «copie»
 doppiate in altre lingue diventano reperti preziosissimi, anche se il caso - o la volontà - trasformano questi
 film in qualcosa di completamente diverso.
 Ne abbiamo avuta una prova alle Giornate del cinema muto di Pordenone dove ieri è stato proiettato Three
 Live Ghosts ( Tre fantasmi viventi , 1922) di George Fitzmaurice, uno dei primissimi lavori dell'aspirante
 regista Alfred Hitchcock, incaricato di disegnare le didascalie. Un film che sembrava perso fino a che l'anno
 scorso non se n'è trovata una coppia con didascalie russe a Mosca. Ma completamente diversa
 dall'originale perché la censura sovietica giudicava il film inglese inadatto allo spirito rivoluzionario e lo
 modificò radicalmente.
 Così com'era stato immaginato (e com'era la pièce da cui prendeva spunto), il film raccontava il ritorno a
 Londra di tre soldati fuggiti da un campo di prigionia tedesco: un proletario inglese, un volontario americano
 e un nobile inglese, questo rimasto senza memoria per l'esplosione di una bomba. Il primo iniziava a lottare
 con la burocrazia per farsi riconoscere i suoi diritti, il secondo scopriva che l'accusa di omicidio che gli
 pendeva sulla testa era stata annullata (con relativo arrivo della fidanzata) e il terzo ritrovava la memoria e
 tornava nella sua principesca magione. Tutto troppo borghese per la censura sovietica, che scriveva
 testualmente: «Il film è estremamente nocivo e ha una posizione inaccettabile sulle conseguenze della
 prima guerra mondiale, oltre a promuove l'amicizia con il nemico di classe; è pertanto vietato».
 Così, per «purificare» il film, il montaggio venne modificato e le didascalie totalmente riscritte. I tre non sono
 più reduci ma poveracci senza dimora: l'americano diventa irlandese, il nobile un attore (sempre senza
 memoria però) e il proletario si ritrova una mamma lavoratrice sfruttata (leggiamo: «Ho le mani stanche... gli
 occhi mi si chiudono... ma devo cucine... CUCIRE...» e poi «... queste bellissime vesti leggere che
 sfioreranno così intimamente i frac degli uomini al frivolo ritmo del fox-trot»). E il palazzo in cui il nobile
 tornava dopo aver ritrovato la memoria diventa un teatro e tutti i suoi vestiti solo costumi di scena.
 Cancellando il lavoro di Hitchcock ma salvando il dogma della lotta di classe.
  © RIPRODUZIONE RISERVATA
 Foto: Bianco e nero Una scena di «Three Live Ghosts» (foto Paramount Pic-tures/Photofest)
 Genio
 Sir Alfred Hitchcock (1899 - 1980), regista, sceneggiatore e produttore, è conosciuto anche come «maestro
 del brivido»

ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 05/10/2016 - 05/10/2016                                                      7
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 R2 SPETTACOLI Citazioni anni Ottanta, giovani avventurosi, atmosfere da incubo e grandi misteri Incontro
 con ideatori e piccoli protagonisti della serie tv più amata degli ultimi anni
 Fenomeni paranormali
 "Stranger Things", indagine su un cult
 FILIPPO BRUNAMONTI

 «DI COSE strane è piena la serie: mostri demoniaci, poteri telecinetici, tornei con il gioco di ruolo Dungeons
 & Dragons. Ma la cosa più strana e bizzarra sono questi ragazzini». I gemelli Matt e Ross Duffer
 presentano così le piccole grandi mascotte della serie tv Stranger Things, lo show Netflix più visto dopo
 Orange is the new black e di ritorno, nel 2017, con una seconda stagione top secret, sempre scritta dai
 Duffer Brothers. Quando le incontriamo, le giovani star toccano appena il metro e cinquanta: sono già
 habitué sul divanetto di Jimmy Fallon, sui palchi di Broadway e alla cerimonia degli Emmy. I loro nomi sono
 finiti nell'abbecedario della pop culture anni Ottanta: Millie Bobby Brown, Caleb McLaughlin e Gaten
 Matarazzo hanno solo sentito parlare di E.T., Goonies, Alien o Poltergeist: «Gli anni Ottanta ci sembrano il
 mito di un'era lontana», sorride Finn Wolfhard, 13 anni, il quarto attore-bambino della gang. Ma ora che
 Stephen King, super-appassionato, vuole congratularsi con loro di persona, e una tonnellate di fan li usa
 come salvaschermo, per gli "stranger kids" il sogno è decollato.
  Merito degli omaggi alla fantascienza per teenager cara a Spielberg: Stranger Things sfuma dalla science
 fiction al fantasy, mettendo in scena lo sbarco di un mostro alieno in una tranquilla cittadina dell'Indiana, nel
 1983, e l'avventura di un gruppo di ragazzi alla ricerca dell'amico scomparso. La serie è diventata il caso
 dell'estate scoperchiando teorie complottiste, meme ironici, tuffi su eBay all'ultima asta (abiti vintage,
 giocattoli, mazzi di carte) e un culto per la colonna sonora.
  «E chi si aspettava tutto questo successo? Clamoroso», esclamano i Duffer. «Il nostro film di debutto,
 Hidden, è un thriller con Alexander Skarsgard che ha attirato l'attenzione di M. Night Shyamalan, regista del
 Sesto senso. Da quel momento siamo diventati consulenti e scrittori della sua serie per Fox, Wayward
 Pines, pensavamo di avere le porte aperte. La genesi di Stranger Things invece è stata rocambolesca.
 D'altronde, come spieghi ai finanziatori che vuoi dei bambini protagonisti di uno show destinato a un
 pubblico adulto?». Oltre mille ragazzini tra i nove e i quattordici anni sotto provino ogni giorno, poi il colpo di
 fulmine con Wolfhard (Mike), Matarazzo (Dustin), McLaughlin (Lucas) e Brown (Eleven, "Undici" in italiano).
 «Con un cast di quasi soli minori, fai centro o sei morto», aggiungono Matt e Ross. «I bambini devono
 lavorare meno ore degli adulti, non puoi sottoporli a venti ciak per scena e ci sono regole serrate con i
 sindacati. I veri "immaturi" però sembravamo noi mentre cercavamo di convincere grosse compagnie di
 streaming e video on demand come Netflix». I fratelli si presentavano a riunione con cartellette e adesivi
 dello Squalo, i Blues Brothers, Ritorno al Futuro e l'artiglio di Freddy Krueger. A proposito di tecnologia,
 interviene Gaten Matarazzo, 14 anni: «Meglio il mondo analogico rispetto a quello virtuale: negli anni
 Ottanta e Novanta l'amicizia era vera amicizia, avevi più tempo per coltivare i rapporti con gli altri, meno
 distrazioni...». Il suo film preferito, dice, è una classico: Stand By Me. «Lo guardo e lo riguardo. Su
 videocassetta, ovvio. Ho cominciato la mia carriera con i musical. Devo ringraziare mia sorella, attrice e
 cantante. Lei è una professionista seria, non come me che mi sono sempre detto che questo mestiere dura
 un giorno, poi chissà». Anche Caleb McLaughlin ha debuttato nel musical - era il piccolo Simba nel Re
 Leone a New York - dopo aver studiato danza alla Harlem School of the Arts: «Ero pronto a tutto ma non al
 boom della serie», ammette. «Ora su Twitter mi seguono brasiliani, italiani... Ciò che mi impressiona è la
 reazione del pubblico a seconda della nazione. C'è chi ama e chi odia Stranger Things, questo mi
 innervosisce un po'. A differenza di Gaten, io non saprei vivere senza tecnologia, e a dire il vero nemmeno
 lui perché, di nascosto, tra un ciak e l'altro, giochiamo insieme a Pokémon Go».

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  Pronta a cestinare il suo telefono e vivere negli anni Ottanta è la dodicenne Millie Bobby Brown, viso da
 elfo, accento inglese e appassionata di rap e Nicki Minaj: «Interpreto Eleven, il personaggio più misterioso
 di tutti, una fuggitiva del governo. Non è ancora confermata la mia presenza nella stagione 2 ma va bene
 così: che fortuna essere stata scelta! Prima di piccoli ruoli in serie come NCIS, Modern Family e Grey's
 Anatomy non avevo mai calcato il palcoscenico, nemmeno una recita parrocchiale o il presepe vivente. I
 miei fratelli fanno da manager su Instagram e YouTube». Il suo sogno? «Lavorare con Spielberg e avere
 Jodie Foster come regista di un episodio di Stranger Things. Con loro farei un salto indietro di trent'anni,
 dove il mondo era lo stesso ma si respirava più libertà, nelle arti e nella cultura. Oggi le persone hanno
 meno fiducia nel genere umano». I Duffer si sentono responsabili dei loro giovani attori, e per evitare di
 perderli, come accadde con Macaulay Culkin, «il trucco è trascorrere del tempo tutti assieme», fanno
 sapere: «Guardiamo Stand by me e leggiamo Stephen King: così i nostri piccoli eroi conoscono la fine del
 sogno americano, il comunismo, la Guerra Fredda e apprendono che il male si annida nella natura umana,
 non nel sovrannaturale».
 ISPIRAZIONI STAND BY ME Quattro dodicenni sono i protagonisti del film di culto di trent'anni fa diretto da
 Rob Reiner I GOONIES Avventure per teenager nel film del 1985 di Richard Donner prodotto da Steven
 Spielberg STEPHEN KING I Duffer si sono ispirati al racconto "Il corpo". Lo scrittore dice della serie:
 "Divertimento puro"
 Foto: PROTAGONISTI In alto, Millie Bobby Brown (Undici). Sopra Matarazzo, Wolfhard e McLaughlin A
 sinistra, i fratelli Duffer con Winona Ryder (Joyce Byers)

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 Un film per diventare grandi "Ora viviamo da sole, insieme"
 Le gemelle (non siamesi) Fontana, attrici rivelazione di "Indivisibili"
 ADRIANA MARMIROLI ROMA

 Del dopo -Venezia, Indivisibili di Edoardo De Angelis è stato lo strascico polemico: non selezionato e
 passato a margine, nelle Giornate degli autori, lo hanno voluto i festival di Toronto e Londra (dove passa
 oggi e domani). Mentre, secondo Paolo Sorrentino, sarebbe stato il film giusto per rappresentare l'Italia agli
 Oscar. Bella storia asciutta e dura di degrado, ribellione e crescita («Favola neogotica», secondo gli
 inglesi), realistica e metaforica nel contempo, Indivisibili deve tanto alle protagoniste, Angela e Marianna
 Fontana, diciottenni gemelle di Casapesenna ( Caserta): sono loro le indivisibili del film, le canterine sorelle
 siamesi Viola e Dasy. Interprete e personaggio quasi si confondono in una prova che è (anche) un tour de
 force. Le abbiamo t rovate che stavano per andare a prendere l'aereo per Londra: elettrizzate. Rispondono
 alle domande alternandosi in modo quasi automatico a seconda dell'argomento. Uguali eppure diverse.
 «Come i nostri lineamenti», dicono in simultanea. «Abbiamo una forte simbiosi mentale: le stesse passioni
 e sogni fin da piccole. Con qualche diversità, però, nel carattere e nei gusti». Studentesse al Conservatorio
 di Napoli, concordi nello scegliere una specializzazione insolita come il canto jazz, una ha poi preferito il
 piano come strumento facoltativo, l'altra la chitarra. «Il rapporto tra Viola e Dasy è ovviamente più
 esasperato, ma ci hanno fatto capire meglio quanto noi si abbia in comune. E ci ha unite maggiormente».
 Ma anche sottolineato i reciproci segni di diversità, che sono poi gli stessi dei personaggi. Tant'è: ai provini
 sono state loro a scegliere la sorella che avrebbero interpretato. «Perché un po' ci somigliano: io più decisa
 e impulsiva, chiacchierona come Dasy; Angela dolce, sensibile e riflessiva come Viola. Edoardo ha
 concordato». Non era la prima volta che incontravano il giovane regista: a 16 anni erano state provinate per
 un corto. Non erano state scelte, ma un ponte si era creato. In quell'occasione avevano anche avuto in
 dono una borsa di studio di recitazione. Così, quando De Angelis è tornato per Indivisibili, avevano tutto: la
 voce e la naturalezza sotto i riflettori. «Cantare è stata la cosa più semplice: abbiamo solo dovuto studiare
 lo stile e le movenze dei neomelodici. A Napoli chi non li conosc e, con quelle macchinone e le corti di
 ammiratori?». Più difficile imparare a muoversi in sincronia. «Anche nelle scene più difficili siamo noi.
 Nessuna controfigura. Nessun effetto digitale». Solo, nelle scene in cui si vede l'anca congiunta delle
 siamesi, un'imbracatura strettissima e cinque ore di trucco. «Dolorosa, ci aiutava a capire la loro
 sensazione di costrizione. Una cosa su cui abbiamo lavorato per mesi: per imparare a muoverci, correre,
 sederci insieme. Anche i movimenti più insignificanti diventano complessi». La scena più difficile? «Quella
 in motorino: anche perché Marianna non ne ha mai portato uno». La più scioccante? «Il tuffo dalla barca:
 nel mare vero, al buio». Senza mai un'esitazione. «Siamo testarde: quando decidiamo una cosa, non ci
 tiriamo indietro». La loro vita - raccontano - è stata quella di ogni adolescente amata e seguita dai genitori,
 e da loro sostenuta. Figlie di un imprenditore agricolo, Casapesenna è a pochi chilometri dal cuore nero
 della Campania camorrista e dalla terra dei fuochi, Castel Volturno (dove il film è ambientato) e Casal di
 Principe. «C'è tanta desolazione e abbandono, ma anche tanta voglia di cambiamento e riscatto», dice
 Marianna. Nei prossimi mesi, Conservatorio e cinema a parte (Angela, da sola, ha già girato un altro film, I
 due soldati di Marco Tullio Giordana), le aspetta un grande salto: andare a vivere da sole a Napoli. «È la
 filosofia di Edoardo e del film: ogni scelta di crescita comporta il taglio di un pezzo di sé. Nel nostro caso è il
 cordone con la famiglia. Noi siamo pronte». c
 MARIANNA (
 DASY) I ruoli li abbiamo scelti noi: io sono decisa e impulsiva come Dasy; Angela dolce, sensibile e
 riflessiva come Viola Da dove veniamo noi, come nel film, c'è desolazione e abbandono, ma anche tanta
 voglia di riscatto

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 Il rapporto tra Viola e Dasy è esasperato, ma ci hanno fatto capire quanto noi si abbia in comune La scena
 più difficile? Quella in motorino: anche perché Marianna non ne ha mai portato uno
 ANGELA (
 VIOLA)
 Foto: ANSA
 Foto: Angela (a sinistra) e Marianna cantanti neomelodiche in «Indivisibili»
 Foto: Le gemelle Fontana, diciottenni, vengono da Casapesenna (Caserta)
 Foto: Qui a fianco, una scena di «Indivisibili» di Edoardo De Angelis: il film, ora in sala, è stato presentato
 nei festival di Venezia , a Toronto e oggi è a Londra

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 il caso
 Fuocoammare, l'Italia scopre la voglia di realtà
 Dopo il successo in tv del documentario su Lampedusa: "Ci siamo svegliati dall'ipnosi televisiva"
 FULVIA CAPRARA ROMA

 L'isola dei migranti si misura con l'isola del Grande fratello Vip e la bella sorpresa è che la prima, a dispetto
 di tutte le più facili previsioni, viene fuori dal match a testa alta. È successo l'altra sera su Rai 3, dove il
 documentario Fuocoamma re di Gianfranco Rosi, Orso d'oro all'ultima Berlinale, designato a rappresentare
 l'Italia nella prossima corsa agli Oscar (nelle due categorie Miglior film in lingua non inglese e Miglior
 documentario), è stato visto da 2 milioni 273mila spettatori, con share dell'8,8% e con oltre 7 milioni di
 contatti. Non è vero che il pubblico vuole solo piatta evasione. Forse vuole soprattutto capire. Ed è proprio
 questa la grande forza dei documentari, per anni esiliati, soprattutto in Italia, nel limbo delle cose uggiose, e
 ora finalmente al centro di un vivace rilancio. Più che di finzione, dice Federica Di Giacomo, regista di
 Liberami, il film sul fenomeno dell'esorcismo premiato all'ultima Mostra di Venezia, il pubbli co av verte
 «estremo bisogno di realtà. È come se gli italiani, dopo 20 anni di ipnosi televisiva, si fossero svegliati, e si
 stessero chiedendo in che Paese vivono». Ma non solo: «Inondati da un fiume di immagini, sentiamo più
 forte la necessità di ragionare su come ci poniamo rispetto alla realtà». Domande cui i documentari
 possono rispondere molto meglio di tanti film: «Il cinema del reale vince perché è indipendente, libero di
 sperimentare, di aprirsi, con sguardo critico, su un panorama ampio e variegato». L'altra verità, a lungo
 trascurata, è che i documentari, proprio come i film di finzione, possono di verti re, emoziona re,
 commuovere: «Il pubblico non li trova affatto ostici - osserva Roberto Cicutto, presidente e ad di Istituto
 Luce Cinecittà ANSA che con Rai Cinema ha prodotto e distribuito Fuocoammare e che da tempo
 promuove lo sviluppo della produzione documentaristica - e gli autori hanno imparato a usare sempre
 meglio gli strumenti del cinema del reale». In Italia, concorda Di Giacomo, c'è «un vuoto formativo, c'è
 ancora chi pensa che, andando a vedere un documentario, sicuramente si annoierà». E poi c'è il problema
 più grave, la circolazione di questo tipo di prodotti, resa difficile dalla «miopia del sistema distributivo».
 Anche se dal 2013 al 2016 la tv di Stato, con Rai Cinema, ha dato impulso alla programmazione di
 documentari (950 passaggi, repliche comprese, su reti sperimentali e generaliste, per un totale di 60 milioni
 di telespettatori, mentre, nella stesso arco di tempo, i documentari coprodotti sono stati 160), resta
 inespugnata la zona proibita delle sale cinematografiche: «Manca il sostegno delle strutture distributive -
 dichiara Cicutto -, in questo le sale sono scandalose, non danno tempo per educare il pubblico, ignorando
 l'aumento esponenziale di interesse nei confronti del genere. Oggi è molto più facile che un giovane sia
 incuriosito da un documentario, anche rispetto a un film». Secondo Cicutto il cammino da fare è comunque
 ancora lungo: «In tv si rischia poco, questo tipo di opere viene relegato nelle reti tematiche. Eppure, contro
 la superficialità dell'informazione tv, il documentario è un modo attraente per approfondire e comprendere
 meglio la cronaca contemporanea». Venduto in 62 Paesi, il 21 ottobre in uscita in Usa, Fuocoammare ne è
 la prova schiacciante: «È stato prodotto sull'onda dell'afflato morale - dice Cicutto -, il cinema non poteva
 non occuparsi di un tema così importante, e rivendico, da vecchia volpe della distribuzione, la scelta di
 mandare il film alla Berlinale, nel cuore politico della questione». Il 24 gennaio Rosi saprà se sarà riuscito a
 entrare nella fatidica cinquina degli Oscar. Ma per i documentaristi italiani l'era vincente è già cominciata. c
 Esorcismi Qui a fianco, un'immagine di «Liberami», il documentario sugli esorcisti premiato all'ultima
 Mostra del cinema di venezia; a sinistra, la regista Federica Di Giacomo; in alto, una scena di
 «Fuocoammare»
 2,27
 62

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 950 milioni I telespettatori che lunedì sera hanno visto - in media «Fuocoammare» di Gianfranco Rosi su
 Rai 3 Paesi Sono quelli in cui verrà distribuito «Fuocoammare», che rappresenta l'Italia nella corsa agli
 Oscar passaggi Di documentari sulla Rai dal 2013 al 2016, per un totale di circa 60 milioni di spettatori

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 Da oggi il festival internazionale
 Visioni dal Mondo a Milano Il vero vince sul verosimile
 SARA RICOTTA VOZA MILANO

 La realtà vince sulla fiction, il vero sul verosimile. Il successo del documentario continua la sua cavalcata di
 festival in festival, da Berlino a Venezia fino a approdare ai prossimi Oscar per rappresentare l'Italia. È
 quindi in un momento specialissimo che si apre oggi a Milano il Festival Internazionale del Documentario,
 già alla sua seconda edizione. «Visioni dal Mondo, Immagini dalla Realtà», come da titolo, racconta il
 mondo contemporaneo attraverso un linguaggio originale e indipendente, che oggi sembra essere quello
 più moderno. Storie vere su temi che toccano tutti, dalla malattia alla migrazione, da web e privacy a
 legalità e giustizia. Si parte con Rupture: Living with my Broken Brain di Maryam d'Abo e Hugh Hudson, lei
 ex Bond Girl e lui regista di Momenti di gloria. Il documentario racconta la vita dell 'attri ce stessa dopo
 l'emorragia cerebrale che l'ha colpita anni fa. Non un «disease movie» fatto per commuovere ma storia in
 cui la rinascita è più importante della malattia, come quella di Life, Animated, altro documentario che vede
 protagonista il figlio del premio P ulitzer Ron Suskind, ragazzo autistico che trova un modo di comunicare
 attraverso i cartoni Disney e a cui la multinazionale ha messo a disposizione tutto quello di cui aveva
 bisogno. «Il documentario è un genere che in Italia sta riprendendo forza dopo la stagione d'oro degli anni
 60 e 70 di Rosi e Antonioni», ragiona F ran ces co Bizzarri, Di retto re gene rale del festival. «Credo che il
 motivo principale stia nella qualità e nel fatto che non si parla più di documentari che durano sei o re, vanno
 ai festi val e lì rimangono, ma di opere visibili anche al cinema e che possono essere distribuite». «La forza
 del documentario sta nel farti conoscere la realtà che non puoi vivere in prima persona» concorda Cristiana
 Capotondi, madrina del Festival che proprio l'anno scorso ha diretto un episodio del docufilm Milano2015.
 «Credo dovremmo ragionare su vero e verosimile, due categorie troppo a lungo invertite; oggi ci interessa
 la vita vera e non è quella dei social, che ti raccontano persone che si autorappresentano». Quattordici i
 titoli in concorso in anteprima assoluta, 9 quelli in anteprima italiana, 8 fuori concorso e 17 work in progress
 che al festival troveranno, si spera, un finanziatore e una fine. Le proiezioni si tengono all'UniCredit Pavilion
 e sono tutte g ratuit e, p rog ramma su www.visionidalmondo.it c
 14 titoli Sono quelli in concorso a «Visioni dal Mondo, Immagini dalla Realtà» in anteprima assoluta
 Foto: Ex Bond Girl Qui sopra, Maryam D'Abo nel film «Rupture»: l'attrice, ex Bond Girl, racconta la sua vita
 dopo l'emorragia cerebrale

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Pag. 33 Ed. Roma                                                                                       tiratura:170229

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 L'INTERVISTA
 «Se l'amore è una lotta»
 Il regista francese André Techiné racconta l'adolescenza senza retorica nel film "Quando hai 17 anni" in
 sala da domani. Applaudito a Berlino, è un successo in Francia: ha per protagonisti due ragazzi che dopo
 essersi insultati e picchiati scoprono un'attrazione omosessuale reciproca
 Gloria Satta

 toria d'amore, di scoperta, di formazione. In un cinema che insegue con ogni mezzo il pubblico più giovane
 puntando su commedie popolate di teen ager e supereroi, il maestro francese André Techiné, 73 (L'età
 acerba, Niente baci sulla bocca, I tempi che cambiano) racconta l'adolescenza senza retorica: il suo nuovo
 film "Quando hai 17 anni - scegli di essere te stesso", applaudito in concorso al festival di Berlino,
 interpretato da Sandrine Kiberlain, Kacey Mottet Klein, Corentin Fila, Alexis Loret, gran successo in
 Francia, uscirà da noi domani con la distribuzione Cinema di Valerio De Paolis. Protagonisti sono due
 ragazzi adolescenti che vivono in un villaggio incastrato tra le montagne innevate della Francia sud-
 occidentale. Studenti nella stessa scuola, non si sopportano: si fronteggiano, s'insultano, si picchiano. Fino
 a scoprire sentimenti inaspettati e avere il coraggio di accettare la propria identità sessuale. Da dove è
 partita l'idea di questa storia? «Dalla necessità di raccontare un aspetto poco illustrato dell'adolescenza: la
 violenza dei sentimenti e dei comportamenti. I protagonisti del film si respingono e lottano per nascondere
 l'attrazione reciproca. Ho sviluppato questo spunto con la collaborazione della sceneggiatrice e regista
 Céline Sciamma: è l'unica che, nei suoi film Tomboy e Diamante nero, ha dimostrato di avere uno sguardo
 non convenzionale sull'adolescenza». Il cinema, secondo lei, non rappresenta correttamente i
 giovanissimi? «I teen ager che vediamo sullo schermo il più delle volte fanno parte di gruppi, o agiscono in
 bande. Ma a me interessava descrivere dei personaggi introversi e portati ad isolarsi. L'adolescenza è uno
 dei temi più appassionanti e complessi che un regista possa affrontare». Il film nasce come una vicenda di
 inimicizia e diventa una storia d'amore omosessuale. È stato difficile coinvolgere i due giovani protagonisti
 ? «All'inizio erano un po' impauriti: non sapevano come affrontare l'omosessualità. Ma ho spiegato loro che
 le emozioni non si recitano, si esprimono. C'è una scena erotica forte. Ne avevamo parlato a lungo prima
 delle riprese. E dopo un primo momento di imbarazzo Corentin e Kacey si sono lanciati, l'hanno interpretata
 come una scena d'amore e basta puntando sulla complicità che si era stabilita tra loro». Un ruolo di primo
 piano spetta alla mamma iper-protettiva di uno dei due ragazzi. Perché per lei era così importante? «Volevo
 raccontare il binomio madre-figlio attraverso una figura materna energica e al tempo stesso non
 convenzionale, capace di stabilire una complicità con il figlio. Volevo mostrarli felici senza cadere nella
 sdolcinatezza che al cinema rappresenta sempre una tentazione». È già tornato sul set? «Sì, sto girando
 Nos années folles, un film ispirato alla storia vera di un soldato che durante la Prima Guerra mondiale, per
 non andare a combattere, e si traveste da donna con la compliciutà della moglie. I protagonisti sono Pierre
 Deladonchamps, Céline Sallette, Grégoire Leprince-Ringuet». La Francia è sempre il paradiso del cinema
 d'autore? «Sì, a condizione che questo cinema sia anche un successo economico e recuperi i soldi
 investiti. Con me i produttori vanno sul sicuro: i miei film costano poco e c'è sempre un pubblico pronto ad
 andarli a vedere».
 Foto: QUANDO HAI 17 ANNI Una scena del film del maestro francese André Techiné: protagonisti due
 ragazzi che vivono in un villaggio tra le montagne
 Foto: «AL CINEMA I TEEN AGER IL PIÙ DELLE VOLTE FANNO PARTE DI BANDE IO HO PREFERITO
 RACCONTARE I SENTIMENTI DI DUE TIPI SOLITARI»

ANICA - ANICA SCENARIO - Rassegna Stampa 05/10/2016 - 05/10/2016                                                   15
05/10/2016                                                                                            diffusione:123081
Pag. 33 Ed. Roma                                                                                         tiratura:170229

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 IL CASO
 Fuocoammare pieno d'ascolti e si lavora per gli Oscar

 Dopo l'Orso d'oro di febbraio a Berlino, la candidatura come film italiano per la selezione all'Oscar straniero,
 l'iscrizione per le nomination agli Oscar come miglior documentario prosegue la marcia trionfale di
 Fuocoammare , il film di Gianfranco Rosi che racconta la vita a Lampedusa tra noiosa quotidiana normalità
 e dolore immenso per i migranti morti in mare. Nella serata dominata da un reality come Grande Fratello
 Vip - con l'esclusione di Clemente Russo - oltre 2 milioni di spettatori - 2 milioni 273 mila pari a uno share
 dell'8.8% e con 7 milioni e più di contatti hanno seguito su Rai3 l'ostico documentario, partecipando
 idealmente e collettivamente alla Giornata in memoria delle vittime dell'Immigrazione e del ricordo del
 naufragio del 3 ottobre 2012 a largo di Lampedusa con la morte di 386 migranti. Un risultato straordinario
 per il documentario come hanno sottolineato il direttore generale della Rai Antonio Campo Dall'Orto e la
 direttrice di Rai3 Daria Bignardi che anche scritto su Facebook «siamo tutti migranti, il loro dolore è il
 nostro». Se Fuocoammare supererà il primo ostacolo, ossia entrerà nella rosa delle nomination, si saprà
 martedì 24 gennaio (la cerimonia di consegna degli Oscar si terrà domenica 26 febbraio), intanto in
 America è già campagna Oscar con la doppia possibilità come Miglior Film Straniero e Miglior
 Documentario. Il film sarà nelle sale Usa il 21 ottobre, forte di recensioni positive sin dall'Orso d'oro a
 Berlino - con l'endorsement di Meryl Streep «vorrei che arrivasse agli Oscar» - e ulteriormente arricchite
 ora che Fire at Sea fa il tutto esaurito al New York Film Festival per le 3 proiezioni del 7, 8 e 16 ottobre,
 definito dal Village Voice «il più bel film del New York Film Festival», così come Variety («è il film di più alto
 profilo emerso quest'anno dal circuito dei Festival»), mentre Sight & Sound definisce Rosi «uno dei grandi
 della nostra epoca».

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 PerSo festival , 12 ore di film

 L'EVENTO
 Dopo aver animato il cinema Méliès fino a ieri, il Perugia Social Film Festival si sposta oggi al cinema
 Zenith con proiezioni sin dalle 10.30 di mattina; tra i titoli da segnalare gli italiani Coming from, Caterina
 guarda Caterina, La voce di mio fratello, lo spagnolo Second skin, il russo Razgvor e il polacco Bracia.
 Presenti in sala gli autori delle singole opere, per dibattere con il pubblico al termine di ogni proiezione. A
 chiudere la giornata un classico della riflessione pedagogica inserito nella Rassegna Visioni di Scuola:
 Diario di un maestro di Vittorio De Seta (ore 22.30).
 Da giovedì in avanti ad ospitare opere in concorso, retrospettive e dibattiti sarà invece il cinema
 PostModernissimo, con proiezioni che anche in questo caso saranno tutte accompagnate dal commento
 dei registi. Dalle 10.30 in avanti ben 10 proiezioni consecutive, ad ingresso gratuito come gli altri
 appuntamenti della manifestazione. E' previsto anche un fuori concorso importante, 87 ore di Costanza
 Quatriglio: il film racconta il caso dell'insegnante elementare Francesco Mastrogiovanni sottoposto a TSO e
 morto 87 ore dopo esser stato rinchiuso nel reparto psichiatrico del Vallo della Lucania (ore 23.30). Sempre
 giovedì si terrà un convegno sulle nuove forme di finanziamento delle attività socio-culturali. Tra i relatori
 Chiara Fortuna della Direzione generale cinema del MiBACT, l'assessore regionale alla cultura Fernanda
 Cecchini, quello comunale Teresa Severini, il vice-direttore di Banca Popolare Etica Nazzareno Gabrielli,
 Angelo Rindone di Produzioni dal basso, il documentarista Daniele Cini e Jacopo Fo (al cinema Méliès
 dalle 9.15). Il programma è disponibile sul sito www.persofilmfestival.it Mi.Bel.

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 Il Sogno di Francesco e quegli strafalcioni storico-ambientali

 L'ELZEVIRO
 Senza preavviso, l'attacco liricizzante di paesaggi in campo lungo, belli ed (esteticamente) scontati, che
 nelle sequenze successive si specificano, per situazioni e gente, in una Umbria dell'attualità, confondono lo
 spettatore sul reale inizio del film, quasi inducendolo a supporre che sia quella la scelta degli autori, di
 ambientare San Francesco nella modernità, e di fargliela attraversare da forestiero e viandante (e se ne
 vedrebbero delle belle) come Totò con Ninetto Davoli in Uccellacci e Uccellini. Ma poi finalmente lo slogan
 incentrato sul sogno (il sogno dell'Umbria turisticamente trasfigurata), teso a risucchiare e infilarsi
 direttamente, senza soluzione di continuità, nel titolo de Il sogno di Francesco, chiarisce che di spot
 promozionale si tratta: dal quale il vero film che comincia dopo quel finto incipit si preserva in verità assai
 bene, grazie al lungo e sobrio scroll senza immagini dei titoli di testa, che si scrolla via ogni contiguità
 parassita. Fondata del resto sull'iterazione del collaudato schema di don Matteo, la spot/pillola prima della
 puntata. Ma don Matteo è don Matteo, e San Francesco San Francesco.
 Ben poche tracce d'Umbria turistica, vera o sognata, si trovano infatti ne L'ami (François d'Assise et ses
 frères) di Renaud Fely e Arnaud Louvet, che nella sponsorizzata versione italiana Il sogno di Francesco,
 presentata domenica scorsa in anteprima al Lyrick Theater di Assisi, approda il 6 ottobre nelle sale. Né
 potevano esserci, non soltanto perché il film, sostenuto logisticamente durante le riprese dalla Commission
 de Film della Regione Languedoc Roussillon, è stato in gran parte girato, prima che in Italia, nell'Hérault e
 nell'Aude (a Aumelas), nell'Abbazia di Fontfroide a Narbonne e a Rhône Alpes nel Drôme Provençale: ma
 perché, nella visione dei due autori, paesaggi e ambienti in cui si colloca la storia sono completamente
 secondari, hanno il valore di scabri e simbolici elementi di scena, chiamati a far da fondale (compreso un
 cielo stellato che è un matte painting, davanti al quale più volte conversano Francesco ed Elia) al dramma
 che vi si consuma. E dramma è il film, drame historique, voluto come tale dagli autori e realizzato senza
 concessioni, né al turismo né alle vaste platee cinematografiche, ormai inesorabilmente condizionate da
 altri ritmi di montaggio. Quasi una pièce teatrale costruita intorno ad un concetto forte, che non ha bisogno
 per attuarsi che di boschi e anonime radure di arbusti e sterpi, oltre che di qualche muro medievale. È un
 morality play, che attraverso il deuteragonismo di Francesco (Elio Germano) e Frate Elia da Cortona
 (Jérémie Renier), mette in scena, secondo Renaud Fely il conflitto fra l'ideale e il compromesso (o la
 compromissione col Potere).
 Certo, ci voleva coraggio per fare un film sul Potere, sui condizionamenti del Potere, sulla germinazione di
 movimenti spontanei duri e puri che vengono normalizzati dall'autorità e dal Sistema (in questo caso la
 Chiesa temporale, che espunge ogni concreto richiamo ai poveri e agli spossessati), utilizzando una figura
 come Francesco, santo gigantesco ormai impiegato come santino sulla base delle più diverse affinità
 mondane, da d'Annunzio a Cucinelli, tanto per dire dell'impossibilità di non chiamarci tutti francescani; e per
 cercare di ricondurre Francesco nuovamente alla radice, senza tema d'inesattezze storiche, col rischio (a
 tratti reale) di farne, più che Francesco, un estatico Gioacchino da Fiore perso nelle sue visioni e
 inconsciamente leopardizzato da Elio Germano (Gioachimiti e Francescani sono comunque legati).
 Spartano e puro come i suoi intenti, il film va avanti inesorabile sino alla fine, come un dramma di
 Strindberg, incurante di cupezze e lugubrezze. È comunque un film rigoroso, senza ammicchi, urticante
 anche per un francescano d'oggi, se Padre Enzo comunicatore del Sacro Convento arriva ad accusarlo
 addirittura di strafalcioni storici (strafalcioni) a proposito del rapporto del Santo con la Chiesa e del tentato
 suicidio di Elia (ma il morality play non si nutre di esattezza storica). I politici no, deglutiscono qualsiasi cosa
 appaia utile alla causa. Francesco testimonial? Testimone sia.

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 Ma davvero l'Umbria moderna è terra spirituale (nel senso del Terzo Avvento, quello dello Spirito Santo,
 dopo quello del Padre e del Figlio?), come vogliono gli spot? E se fosse (come pareva all'inizio, per colpa di
 spot) ambientato nell'oggi, il Francesco del film? inconsapevole richiamo vivo di uccellini sullo sfondo di
 capanni di frasche abusivi, e magari proponesse, in memoria sua, di abolire la caccia entro i confini natali?
 Rischierebbe di beccarsi una fucilata, di questa stagione.
 Lucio Biagioni

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 I " neri" sui nostri schermi tra banalità e pregiudizi BLAXPLOITALIAN
 Stereotipi e macchiette: che razza di Cinema
 IL DOCUMENTARIO Fred Kuwornu percorre cento anni di film italiani: il racconto della diversità della pelle
 e della cultura è fermo al dopoguerra
 SILVIA D'ONGHIA

 aranno pure " so white " - gli Oscar - ma almeno loro - gli Stati Uniti - un Denzel Washington ce l ' hanno. E
 Denzel Washington può fare tutto: l ' agente segreto, il padre di famiglia, il giornalista del Rapporto Pelican .
 È un grande attore, e anche se avesse la pelle gialla o bianca o rossa, anziché nera, resterebbe tale. Ma se
 invece di Mount Vernon - città dello Stato di New York - , la sua città natale fosse stata Napoli (o Trieste, o
 Palermo)? Probabilmente, a quest ' ora, Washington reciterebbe in una fiction di prima serata col ruolo del
 lavavetri, dell ' e x tr a c o m u n i t a r i o in cerca di integrazione o, peggio ancora, dello spacciatore. Altro
 che " so white " : il cinema italiano - oltre a essere altrettanto bianco - viaggia ancora per stereotipi. Per
 dimostrarlo, basta porre al lettore una domanda: quanti, dei 500 attori neri che dal 1915 a oggi hanno
 contribuito alla realizzazione delle nostre pellicole, sono rimasti nell ' immaginario collettivo come " quello è
 davvero straordinario " ? PROBABILMEN TE nessuno. Ed è da qui, da questa domanda, che ha preso le
 mosse il 45enne regista Fred Kuwornu, bolognese di nascita (da genitori ghanesi) e newyorchese d '
 adozione. A un certo punto del suo percorso professionale, Fred si è reso conto che la rappresentazione
 che il cinema italiano ha dato della diversità, in particolare quella legata al colore della pelle, è rimasta
 praticamente immutata negli anni. È così che è partito per girare B l a x p l o i t alian - Cento anni di
 afrostorie nel cinema italiano , un documentario che verrà presentato il 14 ottobre alla Casa del Cinema di
 Roma, nel contesto della Festa del Cinema. Dal Sa lamb ò di Domenico Gallo (1915) al soft core degli anni
 Settanta, dai soldati afroamericani di Senza pietà (Alberto Lattuada, 1948) alle moderne fiction, il " nero " o
 il " colorato " sono rimasti ancorati alle tematiche sociali, all ' eros (nel caso delle donne) o a figure più o
 meno mitologiche o magiche. Zeudy Araya , la miss eritrea naturalizzata italiana lanciata da Luigi Scattini
 nel 1972 come La ragazza dalla pelle di luna , è finita incastrata per anni nel ruolo della Venere " dalla pelle
 di luna " . Ines Pellegrini , che Pier Paolo Pasolini ribattezzò la " Mangano nera " facendola recitare ne Il
 fiore delle Mille e una notte e in Salò , è diventata poi Una bella governante di colore . Iris Peyn ad o , la
 meravigliosa Astriaja di Non ci resta che piang e r e (Benigni-Troisi, 1984), nel documentario racconta: " In
 quel periodo gli italiani non avevano ancora imparato a viaggiare " , per cui la presenza di stranieri nelle
 pellicole era sempre legato a un ' imma gine esotica. Harold Brad le y , arrivato in Italia nel 1959 con una
 laurea in Economia e una carriera da giocatore di football, è diventato Ma ciste (per quattro volte) o lo
 schiavo della lampada in Per amore o per magia di Duccio Tessari (1967). La parola B laxpl oitati on , da
 cui trae origine il titolo del lavoro di Kuwornu, è stata un neologismo introdotto negli Usa dei Settanta a
 indicare la crasi tra cinema nero e sfruttamento. Erano film a basso costo che incassavano molti soldi a
 Hollywood. In Italia più che di sfruttamento si può parlare di tipizzazione. " La tendenza è a cercarti per farti
 fare lo straniero, e non un medico qualsiasi - racconta al Fatto Jonis Bascir , attore di padre somalo e
 madre italiana, nato a Roma 56 anni fa e cresciuto mediaticamente con Un medico in famiglia - .È una
 battaglia che porto avanti da anni e che racconto nel mio monologo Beige : se cercate nel database di un
 casting un personaggio con le mie caratteristiche, la mia faccia non appare fino a quando non inserite la
 parola magica: arabo o sudamericano. Siamo uno stereotipo. Soltanto adesso comincio a raccogliere i frutti
 di tanti anni di battaglie, con il piccolo ruolo del bancario Angelucci in una fiction " . STESSA SORTE sta
 capitando a un altro attore italiano (di padre egiziano), Livio Beshir: " Ho una piccola parte in Al posto tuo di
 Max Croci, con Luca Argentero: per la prima volta indosso una giacca, sono una persona normale e non
 più un clandestino, non devo chiedere qualcosa a qualcuno. Le racconto un paradosso: lavoro spesso in tv
 come conduttore ( In viaggio con la zia con Syusy Bledi o numerosi programmi dai Festival cinematografici

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 di Venezia e Roma, ndr ) e in quel ruolo sono me stesso. Nel cinema e nella fiction, che avrebbero il
 compito di raccontare la realtà, invece siamo costretti a fare un passo indietro e a legare i nostri personaggi
 a un ' emergenza sociale. Quando ho visto la seconda locandina, poi ritirata, del Fertility Day della ministra
 Lorenzin, in cui un uomo di colore era associato ai ' cat tivi compagni ' , ho penato che c ' è ancora molto da
 fare " . " Al cuni anni fa - racconta ancora l ' attrice Tztà Abraham - mi chiesero di fare uno spot per i viaggi
 sicuri degli italiani al l ' estero: avrebbero voluto rappresentare un connazionale in un pentolone africano,
 con tanto di danza gitana intorno. Ovviamente mi rifiutai. Per fortuna qualche timido segnale di
 cambiamento c ' è " . PA RL ARN E non basta: per questo un centinaio di attori, registi, scrittori italiani di
 origine e appartenenza diverse hanno lanciato una campagna sui social, United Artists for Italy . Perché un
 domani, chissà, un Denzel Washington possa nascere anche da noi. R ica r ica L ' E V E N TO "
 Blaxploitalian " ve r r à presentato il 14 ottobre alle 11 alla Casa del Cinema di Roma, in conco m i t a n za
 con la Festa del Cinema. Alla proiezione parteciperanno gli artisti di " United artists for Italy " , che hanno
 realizzato, per promuovere l ' occasione, una campagna social
 Foto: Il regista e gli attori Il bolognese Fred Kuwornu e gli attori che hanno preso parte a " Blaxploitalian"

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