Lettere di san Paolo Lettura continua - delle - Figlie di San Paolo

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Lettere di san Paolo Lettura continua - delle - Figlie di San Paolo
Lettura continua
            delle
Lettere di san Paolo
     Proposta individuale
Lettere di san Paolo Lettura continua - delle - Figlie di San Paolo
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LETTERA AI FILIPPESI

      Lettura continua

            delle

   Lettere di san Paolo

      Proposta individuale

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Presentazione

   Carissime,
   nell’Anno santo della Misericordia abbiamo letto e meditato
personalmente e comunitariamente la Lettera agli Efesini, per immergerci
nella «straordinaria ricchezza della sua grazia» (Ef 2,7). Quest’anno ci
soffermeremo sulla Lettera di san Paolo ai Filippesi.
   Forse, cammin facendo, potrebbe sorgere la domanda: «Ma perché
dobbiamo mettere tanto impegno a leggere le Lettere di san Paolo?».
Lasciamo che sia proprio il Beato Giacomo Alberione a rispondere:
«Tutte le anime che presero gusto nel leggere san Paolo, divennero anime
robuste. Chi legge san Paolo, chi si familiarizza con lui, viene ad
acquistare poco per volta, uno spirito simile al suo. La sola lettura degli
scritti paolini ottiene la grazia di divenire veri Paolini[e]»1. «Chiedere a
san Paolo la grazia di comprendere bene le sue Lettere: questa grazia egli
la ottiene volentieri»2. «Chiediamo al Signore la grazia di essere figli e
figlie di san Paolo! Degni del nome!»3.
    Non credo sia necessario aggiungere altro, se non ricordare con
gratitudine che nella Chiesa e nel mondo «il nostro nome esprime una
relazione fondamentale con san Paolo, l’Apostolo delle genti. Egli è il
padre della Congregazione, il modello del nostro vivere in Cristo,
l’ispiratore della nostra missione» (Cost.3). Conoscere, amare e
comunicare Cristo attraverso l’interpretazione dell’apostolo Paolo, per noi
Figlie di san Paolo diventa anche una questione vocazionale. Quanto più la
nostra identità paolina sarà chiara in termini di somiglianza con il mistico e
apostolo Paolo tanto più saremo contente e le giovani generazioni potranno
trovare una luce significativa nelle nostre comunità. Facciamo conoscere

   1 Prediche San Paolo, 265, Collezione FSP, Grottaferrata.
   2 Ibid. 283.
   3 Ibid. 313.

                                            2
san Paolo, diventiamo Paolo. La sua vita, il suo insegnamento, la sua
passione per Cristo formano la trama della nostra spiritualità e della nostra
missione. È in Paolo che troviamo la perfetta integrazione tra preghiera,
studio, apostolato e povertà. È in Paolo che la mistica diventa apostolica. È
in Paolo la nostra identità. Con san Paolo e con la Chiesa sentiamoci ogni
giorno debitrici del Vangelo che salva.
    Auguro a ogni comunità e a ogni singola sorella di «risplendere come
stelle nel mondo tenendo alta la Parola di vita» (cfr. Fil 2,15-16).
   Con affetto.

                                                          sr Dolores Melis
                                                       Superiora provinciale

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Note introduttive

    La Lettera ai Filippesi, da molti definita «la lettera della gioia», nasce
paradossalmente da una situazione di profonda sofferenza, di fatica, di
prigionia e di rischio di morte. Paolo apre ai Filippesi il suo cuore
raccontando delle sue catene, ma getta nel silenzio tutto ciò che riguarda
il luogo specifico della prigione. L’Apostolo delle genti non ha paura di
manifestare i suoi sentimenti e, forzatamente inattivo, si rallegra che il
Vangelo sia annunciato da altri, sotto qualsiasi forma ciò avvenga. La
prospettiva di una possibile morte non lo spaventa, tanto che sarà pronto
ad affermare: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil
1,21). Tutta la vita di Paolo è stata un lasciare per guadagnare Cristo
Gesù, suo Signore.

  Autore ed epoca di composizione. Oggi quasi tutti gli esegeti sono
concordi nel riconoscere l’autenticità paolina dello scritto. Ma se per
l’autore non ci sono grossi problemi, più complicato è stabilire la
datazione della lettera. Quando fu scritta? Da dove fu scritta? Tale
questione è chiaramente legata anche al luogo di composizione che
corrisponde a quello di detenzione di Paolo. Tre sono le ipotesi principali
sulle quali verte il dibattito degli studiosi: Roma, Efeso, Cesarea
Marittima. È chiaro che il problema ha delle conseguenze sulla datazione
della lettera: se è stata scritta da Roma la sua data si colloca tra il 60 e il
62 d.C.; se invece proviene da Cesarea allora la data si sposta tra il 59 e il
61; e se invece è stata scritta ad Efeso allora la datazione è tra il 53 e il
56. Efeso è comunque da preferire, anche perché il rapporto di scambio
sotteso alla lettera si concilia meglio con la distanza tra Filippi ed Efeso.
Oggi, infatti, la maggior parte degli studiosi propende per l’ipotesi
efesina.

  La città «romanizzata» di Filippi. La città di Filippi, situata a nord
della Grecia, a una quindicina di chilometri dal mar Egeo, rivestiva, ai

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tempi dell’apostolo Paolo, grande importanza per la sua posizione
strategica; ricca d’oro e d’argento nel sottosuolo, si trovava sulla famosa
Via Egnatia che collega Durazzo con Bisanzio. Conobbe un forte
sviluppo e ottenne anche lo ius italicum4 che le conferiva gli stessi diritti
di cui godevano le città in Italia. Filippi, a metà del primo secolo d.C.,
diventò una fiorente colonia della provincia romana della Macedonia,
passata sotto il senato dopo un periodo di dipendenza diretta
dall’imperatore. Proviamo a immaginare l’incontro tra l’Apostolo e la
città di Filippi. Giungendo da Oriente, Paolo entra proprio in un altro
mondo. Pur avendo visto colonie romane in Asia Minore, nessuna è così
«romana» come Filippi. La lingua ufficiale era il latino ma, nel
linguaggio parlato, la lingua predominante era il greco. Questa profonda
romanizzazione, poco diffusa nel mondo greco, era legata senza dubbio
alla presenza della Via Egnatia che attraversava la città.

   La comunità cristiana di Filippi. La lettera ci presenta il rapporto tra
Paolo e i Filippesi come caratterizzato da una calda amicizia. La
comunità fondata da Paolo a Filippi doveva essere composta sostan-
zialmente da pagano-cristiani, vista l’assenza di Ebrei nella città (secondo
la testimonianza di At 16,13 la preghiera avveniva lungo il fiume,
probabilmente non c’era neanche la sinagoga). Si tratta di una comunità
aperta ai valori umanistici della tradizione ellenistica. Il fatto che i
Filippesi sostengano con i loro proventi sia l’attività missionaria di Paolo,
sia la colletta per la Chiesa di Gerusalemme, è indizio del buon livello
sociale ed economico di almeno alcuni dei componenti della comunità. Il
contesto di vita della comunità di Filippi non doveva essere del tutto
pacifico, perché Paolo più volte insiste sul tema dell’unità e pone in
rilievo la minaccia costituita da oscuri avversari.

    4ius italicum (diritto italico): locuzione usata nell’antica Roma per designare privilegi
accordati a colonie romane fuori dall’Italia.

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   Lingua e stile. La lettera è scritta in greco con un carattere deci-
samente epistolare e un tono profondamente confidenziale. Non sono
trattati grandi temi né sono risolte particolari questioni. Paolo vuole
informare i Filippesi sulla sua situazione personale e ringraziarli per
l’attenzione dimostrata nei suoi confronti ed esortarli a proseguire sulla
via dell’amore evangelico.

   Lessico e contesto culturale. Il linguaggio utilizzato nello scritto è
testimone dell’influenza esercitata dallo sfondo culturale del I secolo d.C.
Certi termini della lettera provengono dall’organizzazione politica, alcuni
dalla filosofia di quel tempo, altri derivano dalla retorica greco-romana e
altri ancora dal mondo biblico.

  Composizione retorico-letteraria. Una prima caratteristica evidente
della lettera è l’alternanza tra sezioni di comunicazione epistolare e sezioni
esortative, che costituiscono la maggior parte dello scritto. Mancano invece
delle serrate argomentazioni teologiche caratterizzanti altri scritti paolini.
Uniche eccezioni potrebbero essere considerati due brani tra loro
significativamente paralleli:

                  Fil 2,6-11                                    Fil 3,4-11
            CRISTO e la sua kenosi5                        PAOLO e la sua kenosi

Questi due testi hanno la funzione di «fondare» l’esortazione rivolta alla
comunità.

  Articolazione del testo. Poiché la lettera combina assieme principal-
mente sezioni epistolari ed esortative, la sua strutturazione non è da
ricercare secondo i criteri e i metodi dell’antica retorica (che invece
saranno utili per altre lettere). La Lettera ai Filippesi ha una sua retorica
interna specifica e la si comprende soprattutto nello specifico intento
comunicativo e persuasivo. Lo scopo della lettera sarà soprattutto

    5   kenosis è una parola greca che letteralmente significa svuotamento o svuotarsi.

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esortativo. Paolo esorta i Filippesi a lasciarsi trasformare dal Vangelo per
assumere la forma Christi.

                              COMPOSIZIONE
     I.   Prescritto e ringraziamento                   Fil 1,1-11
     II. Corpus epistolare                              Fil 1,12 - 4,1
     III. Esortazioni conclusive e postscritto          Fil 4,2-23

   Linee teologiche fondamentali. Paolo scrive alla comunità di Filippi
impegnata ad affrontare nella storia sfide del tutto particolari, come la sfida
politica (contestazione del carrierismo tipicamente romano: cursus
honorum), la sfida etica (esempio vissuto e da comunicare), la sfida della
verità (conoscenza del bene da compiere), la sfida filosofica (discernere ciò
che è meglio per gli altri e per sé). A queste sfide Paolo risponde con la sua
forte comunicazione di fede vissuta tra le catene di un carcere. L’orizzonte
cristologico è centrale in Filippesi. Gesù Cristo riceve per l’unica volta
nelle lettere protopaoline il titolo di sōtēr cioè di «Salvatore». Ma è
l’importanza che il brano di Fil 2,6-11 assume nella lettera a indicare il
ruolo centrale di Cristo. Ma c’è un altro elemento che in Filippesi riveste
una particolare importanza: la comunione fraterna o comunitaria, elemento
particolarmente sotto-lineato da un punto di vista terminologico dal
sostantivo koinōnia (comunione, vita in comune, partecipazione,
condivisione: Fil 1,5; 2,1; 3,10) e da tutti suoi derivati. In Filippesi si pone
in luce la proposta di una vita cristiana nella somiglianza con Cristo.

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PROPOSTA DI LETTURA QUOTIDIANA

     Questo itinerario quando può essere utilizzato? Nei diversi periodi
dell’anno liturgico. Ciò che resta importante è la consapevolezza
dell’importanza di questa lettura quotidiana per scoprire sempre più le
meraviglie della vocazione paolina.

   ITINERARIO DI LETTURA QUOTIDIANA DELLA LETTERA AI FILIPPESI (*)
                         Prescritto e ringraziamento (1,1-11)
   Fil 1,1-2           Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù
   Fil 1,3-11          Vi amo con il cuore di Cristo Gesù
                             Corpus epistolare (1,12 - 4,1)

   Fil 1,12-18b        Le mie catene...
   Fil 1,18c-26        Il vivere di Paolo è Cristo
   Fil 1,27-30         La grazia di soffrire per Cristo
   Fil 2,1-4           Non fate nulla per rivalità o vanagloria
   Fil 2,5-11          La forma dell’amore: Cristo Gesù
   Fil 2,12-18         Brillate come stelle, tenendo alta la parola di vita
   Fil 2,19-24         Timoteo ha servito il Vangelo insieme con me
   Fil 2,25 - 3,1a     Epafrodìto mio collaboratore
   Fil 3,1b-16         Per Cristo ho lasciato tutte queste cose…
   Fil 3,17 - 4,1      Diventate come me
                     Esortazione conclusiva e postscritto (4,2-23)

   Fil 4,2-9           Gioite nel Signore sempre
   Fil 4,10-20         Gesù mi rende forte
   Fil 4,21-23         Salutate ciascuno… in Cristo Gesù
(*) Bibbia, testo traduzione CEI 2008.

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PRIMO GIORNO

                Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù
                                     Fil 1,1‐2

Invocazione allo Spirito
   Padre di tutti e Dio nostro,
   nel nome di Gesù,
   ti chiediamo umilmente
   il dono dello Spirito,
   affinchè possa aprire il nostro cuore
   all’ascolto profondo
   della lettera inviata da Paolo
   alla cara comunità di Filippi.
   Donaci di ritrovarci insieme,
   per scrutare nella fede le Scritture,
   e per diventare testimoni credibili dell’amore,
   alla scuola dell’Apostolo delle genti.
   Per Cristo nostro Signore. Amen.

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 1,1-2)
   1
    Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che
sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi:2 grazia a voi e pace da Dio, Padre
nostro, e dal Signore Gesù Cristo.

Ambientazione. La lettera si apre con il consueto modulo epistolare che
ritroviamo in tutte le lettere antiche, sia quelle letterarie sia quelle familiari.
Fil 1,1-2 costituisce il classico praescriptum. Il termine deriva dal latino
prae (prima) e scriptum (scritto) e indica l’indirizzo presente all’inizio
della lettera. Il praescriptum o prescritto è composto di tre elementi: il
nome del mittente, quello dei destinatari e una formula di saluto. In
Filippesi l’apertura della lettera appare così:

                                         9
Mittente        Paolo e Timoteo servi di Cristo      di Cristo Gesù
                  Gesù
  Destinatari     a tutti i santi in Cristo Gesù       in Cristo Gesù
                  che sono a Filippi
  Saluto          Grazia a voi e pace da Dio, Padre    dal Signore Gesù
                  nostro, e dal Signore Gesù Cristo    Cristo

In questo prescritto, la prima cosa che risulta evidente è la specificità
cristiana della lettera. Il nome Cristo Gesù appare per ben 3 volte,
caratterizzando il mittente, specificando il destinatario, determinando il
saluto. Tutto avviene in Cristo Gesù. Da ciò possiamo intuire il forte
carattere cristologico di tutta la Lettera ai Filippesi, che potremmo definire:
«Vangelo in forma di lettera».

Commento
Paolo e Timoteo. Questo significa che Paolo non è solo; dietro c’è un altro
fratello: Timoteo che, pur non essendo coautore, è coinvolto direttamente
con Paolo nella fondazione della comunità di Filippi (cfr. At 16,1-15).
L’annuncio del Vangelo non è basato sulla forza di determinate azioni, gesti
o competenze acquisite nel tempo. Il Vangelo è prima di tutto «relazione» e
come tale deve essere annunciato. La prima evangelizzazione è data da una
testimonianza relazionale di fraternità, comunione, amicizia e collaborazione:
«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni
amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).

Servi di Cristo Gesù. Paolo e Timoteo sono servi (in greco douloi, schiavi)
di Cristo Gesù che, per primo, svuotò se stesso prendendo forma di schiavo
(doulos). Già da queste prime parole possiamo intravedere da lontano
quello che sarà il cuore, il centro cristologico della Lettera ai Filippesi:
«Cristo Gesù svuotò se stesso assumendo una condizione di servo/schiavo»
(Fil 2,7). Certo che, in un ambiente come poteva essere quello della città
romana di Filippi, proporsi come schiavi di qualcuno era impensabile, una
follia! A Filippi, lo schiavo è colui che non ha proprietà, anzi lui stesso è
proprietà altrui, totalmente vincolato a un proprietario che ne dispone come
vuole, privo di personalità giuridica; che non può avere famiglia propria,

                                       10
poiché giuridicamente non ha capacità matrimoniali. Paolo e Timoteo si
presentano come schiavi e non come apostoli. I due mittenti della lettera
hanno legato la loro vita a qualcuno che ritengono loro esclusivo Signore,
così da non appartenere più né a se stessi né a nessun altro (cfr. Fil 3,7-8).
Ma chi è il servo nella mentalità ebraica e biblica di Paolo? È
«l’obbediente»: colui che ascolta e fa ciò che dice il Signore. Ma il servo è
anche «colui che non grida né alza il tono, non fa udire in piazza la sua voce,
non spezza una canna incrinata, non spegne uno stoppino dalla fiamma
smorta» (cfr. Is 42,2-3). Il servo entra decisamente in una dimensione di
amore e di mitezza e non dice mai: «Basta non c’è più niente da fare! Ormai
è inutile!» Ma va in cerca di quel poco di bene, di quel poco di vita, di quella
piccola scintilla che ancora può far ardere il cuore e salvare qualcuno.

a tutti i santi in Cristo Gesù. I destinatari sono chiamati «santi in Cristo
Gesù». Questo linguaggio getta luce su Paolo stesso che se da una parte
non conosce l’appellativo di cristiani (sostantivo riportato in epoca più
tardiva dal libro degli Atti degli Apostoli) per rivolgersi ai Filippesi,
dall’altra svela un originale concetto di santità. La santità non è prima una
conquista morale o ascetica ma è dono di grazia in Cristo, che nella sua
morte e risurrezione ci rende santi. Si tratta quindi di un concetto
evangelico di santità, intesa come «dono di Dio» che nel battesimo, e in
base alla fede, ci raggiunge e ci fa santi. Questo non significa escludere la
risposta al dono.

grazia a voi e pace da Dio. La formula di saluto richiama i due versanti
culturali certamente familiari a Paolo: quello greco e quello giudaico. Grazia
(charis) deriva dal saluto greco chaire (che significa: sta bene! oppure:
gioisci), implicando l’idea di benevolenza, gratuità e simpatia. Pace, invece,
richiama il saluto semitico-ebraico shalom. Pace/shalom ha delle sfumature
diverse dal saluto greco, infatti, mentre da una parte saluta, augurando
pienezza di salute, pace e prosperità, dall’altra offre disponibilità a che ciò
avvenga. In tutte le lettere paoline, e anche in Filippesi, questi saluti, auguri,
vengono agganciati a Dio padre nostro e a Gesù il Cristo. Essi ne sono gli
autori: è da loro che devono provenire.

                                        11
BEATO GIACOMO ALBERIONE

      «Timoteo era specialmente caro a san Paolo per la sua fedeltà:
       e per questo l’apostolo l’aveva il più del tempo vicino a sé,
                        come un padre suo figlio,
                 e l’ebbe compagno nelle predicazioni,
                       nei travagli, nella prigionia».
                  (L’Apostolo Paolo, ispiratore e modello, p. 31)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento
efficace per la mia vita e che desidero ricordare:

……………………………………………………………………………….………………………

………………………………………………………………………………………………………

VITA: la Parola mi apre alla preghiera
Noi ti ringraziamo,
Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
perché ci fai gratuitamente
ascoltare la tua Parola
che è all’origine della nostra fede,
della nostra vocazione,
della nostra missione nel mondo.
Ti chiediamo che questo cammino
di lettura, meditazione e preghiera,
sulle vie tracciate dalla Lettera di san Paolo ai Filippesi,
sia per noi un significativo ritorno all’essenziale,
un’occasione di verità e autenticità,
una riscoperta gioiosa dell’identità paolina.
Per Cristo nostro Signore. Amen.

                                        12
SECONDO GIORNO

                 Vi amo con il cuore di Cristo Gesù
                                   Fil 1,3‐11

Invocazione allo Spirito
   Signore Dio nostro,
   manda su di noi il tuo Spirito Santo,
   affinchè possa aprire la mente all’intelligenza della Parola,
   e la nostra vita comunitaria e apostolica
   alla tua volontà.
   Ci insegni ad amare le persone a noi affidate,
   a nutrire e coltivare relazioni di affetto in Cristo,
   e ci porti a pregare e a intercedere perché la comunità cristiana
   nel mondo cresca nell’amore, nel discernimento delle vie di Dio.
   Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. Amen.

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 1,3-11)
   3
     Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. 4Sempre,
quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia 5a motivo della vostra
cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente. 6Sono
persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a
compimento fino al giorno di Cristo Gesù. 7È giusto, del resto, che io provi
questi sentimenti per tutti voi, perché vi porto nel cuore, sia quando sono in
prigionia, sia quando difendo e confermo il Vangelo, voi che con me siete
tutti partecipi della grazia. 8Infatti, Dio mi è testimone del vivo desiderio che
nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. 9E perciò prego che la vostra
carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, 10perché
possiate distinguere ciò che è meglio ed essere integri e irreprensibili per il
giorno di Cristo, 11ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo
di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

                                       13
Ambientazione. Le lettere paoline cominciano sempre con un rendimento di
grazie e con un riferimento costante ai destinatari (unica eccezione è la
Lettera ai Galati). In questa pagina, di straordinaria bellezza, prevale il
campo semantico della «relazione» caratterizzata da affetto e reciprocità.
Rispetto ai ringraziamenti delle altre lettere, in Filippesi, Paolo insiste sulla
sincerità della sua attitudine per i destinatari. Fil 1,3-11 può essere diviso
in due parti:
      ringrazio il mio Dio: azione di grazie (Fil 1,3-8);
      prego per questo: preghiera d’intercessione (Fil 1,9-11).

Commento
Rendo grazie al mio Dio. Paolo vive la sofferenza del carcere nella luce
della gratitudine a Dio. Dopo i saluti del prescritto, il verbo ringraziare è la
prima parola della Lettera ai Filippesi. «Rendo grazie al mio Dio»: questa
frase rinvia al cuore della fede cristiana, alla dimensione eucaristica, non
nel senso rituale, ma esistenziale. Quando ringraziamo immettiamo tra noi
e le cose «uno spazio sacro» e sottraiamo ogni relazione al consumo,
orientando tutto alla comunione. Si tratta di assumere la «dimensione
eucaristica» come stile di vita: chi ringrazia Dio è umile, povero,
distaccato, gioioso.

ogni volta che mi ricordo di voi. Nel testo greco Paolo ringrazia Dio dicendo:
«per ogni ricordo di voi». Questa formulazione in effetti dà una doppia
possibilità di interpretazione. Di conseguenza, la domanda che sorge è questa:
«È Paolo che si ricorda dei Filippesi o sono i Filippesi che si ricordano di
Paolo?». Alcuni esegeti giungono a considerare quel «di voi» come soggetto e
non come oggetto. Paolo ringrazia il suo Signore, perché i Filippesi si
ricordano di lui in stato di prigionia.

del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù. Questa
frase, in una traduzione più letterale, corrisponderebbe a: «desidero tutti voi
con le viscere di Cristo Gesù». L’originale greco è molto forte, e sorprende
quando usa un campo semantico che riguarda sia il divino sia l’utero materno.
Il sostantivo «viscere» di Cristo e il relativo verbo sono impiegati per indicare

                                        14
un profondo sentimento di amore e di compassione, per esprimere la
misericordia di Dio che in Gesù ha mostrato pienamente il suo volto (cfr. Mt
9,36; Lc 15,20; 23,34). Amare i Filippesi, con le stesse viscere di Cristo, per
Paolo significa che prima e al di sopra del suo amore c’è sempre l’amore
misericordioso di Cristo che tutto e tutti avvolge e sostiene.

la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno
discernimento. Paolo prega perché la capacità di amare cresca «in
conoscenza e discernimento». Sotto questa preghiera si sente tutto
l’influsso del mondo biblico, sapienziale e profetico, e della filosofia del
primo secolo. L’amore cristiano deve quindi unirsi alla «consapevolezza»
(cfr. Fil 1,9) di dover perseguire e accogliere la volontà di Dio, come si
legge nella tradizione sapienziale: «Se tu ti impegnerai in una ricerca anche
faticosa della sapienza, allora comprenderai il timore del Signore e troverai
la conoscenza di Dio» (cfr. Pr 2,4-5).

per distinguere le cose migliori. Paolo prega perché la comunità cristiana
di Filippi sia sempre più in grado di «distinguere le cose migliori». Perché?
L’apostolo aveva appena affermato che l’amore è chiamato a discernere.
La costruzione logica-sintattica, con valore finale, impiega un verbo molto
caro a san Paolo: «distinguere». Distinguere le cose eccellenti, quelle
migliori (dokimazo è un verbo speciale perché implica un processo
impegnativo che si dispiega nel tempo e che avviene a tappe: a) esaminare;
b) valutare; c) approvare; d) accettare come sperimentato) che in Fil 1,10
indica la conseguenza diretta del discernimento. Questo versetto diventa
pienamente comprensibile alla luce di Rm 2,18 che usando le stesse parole
greche di Fil 1,10 le amplifica e le chiarisce: «Conosci ciò che Dio vuole e
istruito dalla Legge distingui le cose migliori (eccellenti, importanti,
migliori)». L’amore punta sempre al meglio e il meglio è possibile
conoscerlo attraverso un cammino fatto alla luce della Parola (Sal
119,105).

                                       15
BEATO GIACOMO ALBERIONE

                  È necessaria una grazia del tutto speciale
        per perseverare fino alla morte nella vocazione e nella santità:
                 questa perseveranza è il grande dono di Dio.
                               San Paolo scrive:
              «Colui che in voi cominciò l’opera della salvezza,
                      la condurrà a termine...» (Fil 1,6).
               (Brevi meditazioni per ogni giorno dell’anno, p. 145)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento
efficace per la mia vita e che desidero ricordare:

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VITA: la Parola mi apre alla preghiera
O Dio, noi ti ringraziamo,
perché la tua Parola
ci esorta e ci conferma,
ci sprona e ci consola.
Stabilisci i nostri cuori nella gioia,
rendici perseveranti fino alla fine.
Metti in noi l’amore per te
e per le nostre comunità,
accresci in noi la speranza per attendere
la venuta gloriosa di tuo Figlio, Gesù Cristo,
nella sapienza e nel discernimento,
crescendo nell’integrità
che tu ci domandi e che ci doni.
Sii benedetto ora e sempre. Amen.

                                         16
TERZO GIORNO

                                    Le mie catene…
                                         Fil 1,12‐18b

Invocazione allo Spirito
   Signore e Dio nostro,
   apri l’orecchio del nostro cuore,
   fa’ riposare in noi il tuo Spirito Santo
   e donaci di accogliere,
   comprendere e mettere in pratica
   il messaggio della tua Parola.
   Insegnaci, o Padre,
   che il vivere è Cristo,
   e che noi possiamo vivere il Vangelo in ogni situazione. Amen.

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 1,12-18b)
   12
     Desidero che sappiate, fratelli, come le mie vicende si siano volte
   piuttosto per il progresso del Vangelo, 13[cosicché le mie catene
   risplendono di Cristo in tutto il pretorio e fra tutti gli altri]6. 14In tal
   modo la maggior parte dei fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie
   catene, ancor più ardiscono annunciare senza timore la Parola. 15Alcuni,
   è vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, ma altri
   con buoni sentimenti. 16Questi lo fanno per amore, sapendo che io sono
   stato incaricato della difesa del Vangelo; 17quelli invece predicano Cristo
   con spirito di rivalità, con intenzioni non rette, pensando di accrescere
   dolore alle mie catene. 18Ma questo che importa? Purché in ogni
   maniera, per convenienza o per sincerità, Cristo venga annunciato, io me
   ne rallegro.

   6   La traduzione di Fil 1,13 è letterale e non proviene dalla traduzione CEI.

                                                17
Ambientazione. Con Fil 1,12-18b inizia il corpus della lettera. Dopo
l’esordio generale (Fil 1,3-11), Paolo si accinge a inviare informazioni sulla
propria situazione di prigionia che deve aver suscitato sicuramente
interrogativi angosciosi tra i cristiani, divisi se vedere in essa una smentita o
una conferma divina della missione di Paolo. Per questo egli afferma che la
sua condizione è paradossale, perché l’imprigionamento non impedisce la
diffusione del Vangelo, anzi la facilita. Siamo di fronte alla logica paolina
della forza nella debolezza (cfr. 2Cor 12,5-10). La forza divina opera proprio
nella fragilità del comunicatore, in contro-tendenza netta con l’esaltazione
dei grandi della città di Filippi e degli oratori che riuscivano a convincere
tutti con la loro bravura.

Commento
Desidero che sappiate, fratelli. Si apre uno squarcio sulla situazione
particolare dell’Apostolo. Paolo desidera comunicare alla comunità di
Filippi la sua situazione di prigioniero, probabilmente nel carcere di Efeso.
Si rivolge ai cristiani chiamandoli «fratelli» con un solenne incipit: «voglio
che sappiate». Paolo non decide di comunicare la sua vita in prigione per
fare la lista delle lamentele, dei pianti o delle sue sofferenze, magari anche
scagliandosi contro chi l’ha letteralmente sbattuto in prigione. Paolo sta
dando una lettura di fede della sua situazione personale o meglio legge la
sua prigionia alla luce del mistero pasquale di Cristo, solo questo gli
interessa comunicare.

come le mie vicende si siano volte piuttosto per il progresso del Vangelo.
Paolo legge il suo essere in catene a causa di Cristo come potente
evangelizzazione. Con estrema intelligenza spirituale arriva a dire che le
sue catene stanno evangelizzando, la sua situazione di incatenato a motivo
di Cristo è paradossalmente un forte annuncio evangelico.

le mie catene risplendono di Cristo in tutto il pretorio e fra tutti gli altri.
Paolo, servo di Cristo, qui non parla tanto di sé quanto piuttosto della sorte
del Vangelo, al cui servizio egli si è posto. Se Paolo è incatenato,
certamente non è incatenata la Parola. Bella la metafora delle catene che

                                       18
risplendono; esse, infatti, brillano di Cristo, cioè testimoniano lui,
lasciando passare la sua luce attraverso le prove a cui Paolo è sottoposto.

incoraggiati dalle mie catene, ancor più ardiscono annunciare senza
timore la Parola. L’esempio dell’Apostolo incoraggia indubbiamente tutti
i discepoli del Vangelo a non fermarsi, a non arrendersi di fronte alle
difficoltà. Quelle catene, cioè quella situazione di limite e di croce, non
fermano Paolo né la Parola. Questa è davvero una buona notizia per tutti.
Ogni situazione difficile, ogni sofferenza, ogni tipo di prigione, da quella
vera e propria a quella simbolica, se è vissuta in Cristo e nel suo mistero
pasquale, diventa luce e forza per il Vangelo.

per convenienza o per sincerità, Cristo venga annunciato. Questo quadro
di annuncio, sereno e positivo, cede subito il passo a un risvolto negativo
evocato da Paolo. Se da una parte c’è la buona volontà di chi s’impegna
per amore, ponendosi sulla stessa lunghezza d’onda dell’Apostolo,
dall’altra purtroppo c’è «invidia e spirito di contesa» proprio di chi agisce
con spirito di rivalità. La reazione di Paolo qui è davvero inaspettata. In altre
lettere egli assume un linguaggio polemico contro comportamenti del genere e
lo fa declassandoli, bollandoli, dichiarandoli intollerabili, e, a volte, assume
un tono addirittura sarcastico. Qui in modo del tutto nuovo, frutto
sicuramente di un cammino personale e di una notevole apertura del
cuore, Paolo si concentra totalmente sul Vangelo uscendo dalle strettoie
umane.

                        BEATO GIACOMO ALBERIONE

                  Neppure le catene lo (Paolo) fermavano,
                 gli rimaneva sempre qualcosa di possibile:
                  la preghiera e la sofferenza per le anime.
            (Prediche San Paolo, 288, Collezione FSP, Grottaferrata)

                                        19
VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento
efficace per la mia vita e che desidero ricordare:

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VITA: la Parola mi apre alla preghiera
Donaci,
Padre della consolazione e della misericordia,
di comprendere in profondità
l’evento «delle catene di Paolo».
Catene che ancora oggi
illuminano e sostengono
tutte le situazioni di sofferenza,
di limite, di fragilità, di fatica, di sconforto.
Catene che brillano nella notte del mondo
e raccontano che la vita vissuta per Cristo
è sempre degna di essere vissuta,
anche quando qualcosa o qualcuno
si pone come ostacolo alla libertà dell’annuncio.
Padre santo,
fa’ che le catene
vissute da Paolo per il Vangelo
sostengano la Chiesa di tutti i tempi
a comunicare con coraggio
 la parola che salva. Amen.

                                          20
QUARTO GIORNO

                        Il vivere di Paolo è Cristo
                                   Fil 1,18c‐26

Invocazione allo Spirito
   Spirito che aleggi sulle acque,
   calma in noi le dissonanze,
   i flutti inquieti, il rumore delle parole,
   i turbini di vanità,
   e fa’ sorgere nel silenzio
   la Parola che ci ricrea.
                 (Frère Pierre-Yves di Taizé)

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 1,18c-26)
   18c
      Continuerò a rallegrarmene. 19So, infatti, che questo servirà alla mia
salvezza, grazie alla vostra preghiera e all’aiuto dello Spirito di Gesù
Cristo, 20secondo la mia ardente attesa e la speranza che in nulla rimarrò
deluso; anzi nella piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà
glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia.
   21
      Per me, infatti, il vivere è Cristo e il morire un guadagno. 22Ma se il
vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa
scegliere. 23Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di
lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; 24ma
per voi è più necessario che io rimanga nel corpo. 25Persuaso di questo, so
che rimarrò e continuerò a rimanere in mezzo a tutti voi per il progresso e la
gioia della vostra fede, 26affinché il vostro vanto nei miei riguardi cresca
sempre più in Cristo Gesù, con il mio ritorno fra voi.

Ambientazione. Quasi in forma di soliloquio dal carcere, Paolo detta uno
dei paragrafi più intensi e toccanti del suo epistolario. La paradossale gioia
di Paolo in catene si proietta anche sul futuro, nella ferma fiducia che egli ce

                                        21
la farà a uscire dalla presente situazione di sofferenza. L’Apostolo non parla
più del passato e del presente ma del suo avvenire e giudica tutto in relazione
al Vangelo, anche la sua situazione futura manifestando il proprio
convincimento che essa, in ogni caso (anche di morte), risulterà a vantaggio
dell’annuncio con un positivo esito salvifico; di tutto questo egli continua a
rallegrarsi. In altre parole «tutto concorre al bene di coloro che amano Dio»
(Rm 8,28).

Commento
Continuerò a rallegrarmene. Alla gioia per la diffusione del Vangelo,
nonostante la sofferenza per la prigionia e le intenzioni non rette di alcuni,
si aggiunge quella per il futuro. Paolo sostiene che non solo gioisce nel
presente, ma continuerà a gioire anche in futuro, nonostante l’esito incerto
della sua prigionia.
so che questo servirà alla mia salvezza. Il v. 19 inizia con una forte
certezza: «so» che si protende verso il futuro. Nel corso della Lettera ai
Filippesi, questo «so» è ripetuto tre volte, quasi per focalizzare le certezze di
Paolo (Fil 1,19.25; 4.12).

Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia.
Paolo è convinto che Cristo sarà «magnificato nel suo corpo». Il glorificato
del testo è in realtà un magnificato. Si tratta del Magnificat di Paolo, visto
che per Maria il Vangelo secondo Luca userà lo stesso verbo. In questo caso
tocchiamo l’anima salmica di Paolo che da buon ebreo era abituato al
linguaggio e all’esperienza dei salmi: «Magnificate con me il Signore» (Sal
34,4). Davvero Paolo glorificherà Cristo nel suo «corpo». Prosegue così il
motivo del giusto perseguitato: Paolo, come Giobbe e il salmista, non perde
la fiducia nel Signore ma ne magnifica-glorifica il nome con la sua lode e il
suo comportamento, nonostante le avversità, fino alle estreme conseguenze.

Per me, infatti, il vivere è Cristo. La frase «il vivere è Cristo» non va vista in
parallelo con Gal 2,20, dove Paolo afferma: «Cristo vive in me». In effetti, il
nome di Cristo in Fil 1,21 non è soggetto della frase, cioè Paolo non sta
dicendo: «Cristo è la mia vita o vita interiore». Soggetto della frase è il verbo

                                       22
«vivere», sicché il senso è che la vita intera di Paolo è per Cristo. Allora è
importante distinguere: Gal 2,20 ha una portata mistica, Fil 1,21 ha una
dimensione apostolica. In altre parole Paolo vuol dire che tutta la sua esistenza
sul piano dell’impegno ha come scopo Gesù Cristo; cioè tutto ciò che egli fa
mediante l’annuncio del Vangelo e la cura delle sue comunità cristiane non
tende ad altro se non a promuovere Cristo.

                       BEATO GIACOMO ALBERIONE

                      Togliamo a san Paolo Gesù Cristo,
           e non avrà più ragione di essere né la sua conversione,
   né la sua vita, né il suo apostolato, né le sue catene, né il suo martirio.
                (L’Apostolo Paolo, ispiratore e modello, p. 145)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento
efficace per la mia vita e che desidero ricordare:

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VITA: la Parola mi apre alla preghiera
Signore Dio nostro,
noi ti ringraziamo,
perché con la tua Parola
ci hai ricordato la lotta necessaria
per vivere la vita cristiana.
Insegnaci a desiderare di essere con Cristo,
e a lavorare per i fratelli con sollecitudine e amore,
così la nostra stessa vita
sarà annuncio del Vangelo e testimonianza di Gesù Cristo
che con te e lo Spirito Santo
vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

                                       23
QUINTO GIORNO

                    La grazia di soffrire per Cristo
                                   Fil 1,27‐30

Invocazione allo Spirito
   Dio e Padre nostro,
   versa nei nostri cuori il tuo Spirito,
   affinché germini
   il seme della tua Parola
   e lo faccia crescere e fruttificare
   in opere di santità e di amore.
   Te lo chiediamo per Gesù Cristo,
   tuo figlio e nostro Signore,
   che con te e lo Spirito Santo
   vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 1,27-30)
   27
     [Solo] comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo
perché, sia che io venga e vi veda, sia che io rimanga lontano, abbia notizie
di voi: che state saldi in un solo spirito e che combattete unanimi per la fede
del Vangelo, 28senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari. Questo per
loro è segno di perdizione, per voi invece di salvezza, e ciò da parte di Dio
29
  perché, riguardo a Cristo, a voi è stata data la grazia non solo di credere
in lui, ma anche di soffrire per lui, 30sostenendo la stessa lotta che mi avete
visto sostenere e sapete che sostengo anche ora.

Ambientazione. Passando dalla sua situazione a quella dei Filippesi, Paolo
presenta per la prima volta un’esortazione. Secondo un originale punto di
vista, Paolo intende far prendere coscienza ai Filippesi che la difesa e il
progresso del Vangelo non sono esclusivi degli apostoli e dei loro
collaboratori, ma propri di ogni credente. Il brano di Fil 1,27-30 è costituito

                                        24
da un’unica proposizione in dipendenza da un imperativo iniziale al quale
si saldano altri verbi in una connessione a cascata. L’esortazione di 1,27-30
fa seguito alle notizie sulla prigionia di Paolo tirandone le pratiche
conseguenze: poiché la situazione dei credenti di Filippi è uguale alla sua,
egli indica loro come comportarsi in un contesto di persecuzione.

Commento
Solo comportatevi dunque in modo degno del Vangelo di Cristo. Il testo
originale dice: «solo in modo degno del buon annuncio di Cristo vivete da
cittadini». Nel testo originale l’imperativo «comportatevi» è reso con
«politeuesthe» cioè comportatevi da cittadini, verbo che ha come suo
originario significato quello di «condurre una vita politica» evocando la
vita del cittadino con i propri diritti e doveri nei confronti della città. Nel
greco ellenistico il verbo assumerà poi il significato generico di «vivere-
comportarsi». Paolo chiede ai Filippesi di tenere un comportamento tale
che vada a vantaggio del Vangelo e cioè un modo di vivere che esprima in
pienezza collaborazione, comunione e unità d’intenti, proprio come i
cittadini che vivono e abitano insieme in una mutua e corporativa
responsabilità per la città.

combattete unanimi per la fede del Vangelo. Partendo da Fil 1,27 Paolo
esorta in senso generale i Filippesi a comportarsi, tutti insieme, in maniera
conforme al Vangelo: nell’ambito della loro situazione è la sola cosa
importante da fare. Ciò richiede, a prescindere dalla presenza o assenza
dell’Apostolo tra loro, una forte unità interna della comunità, in
dipendenza dall’azione dello Spirito, ma anche una difesa e allo stesso
tempo una comunicazione del Vangelo in cui si crede. Un Vangelo che va
testimoniato nonostante il contesto ostile nel quale vivono i cristiani di
Filippi.

a voi è stata data la grazia non solo di credere in lui, ma anche di soffrire
per lui. L’affermazione paolina non costituisce un’esaltazione del dolore,
bensì tende a ricordare il valore di una coraggiosa testimonianza per il
Vangelo. Il patire per amore di Cristo è la vera prova di un’autentica sequela.

                                       25
Se Cristo è veramente il tutto del credente allora si sopporta serenamente
ogni difficoltà, ogni fatica, ogni ristrettezza. La sofferenza smaschera la
falsità e pone in luce solo ciò che è vero e autentico. Dietro l’affermazione
«a voi è stata data la grazia di soffrire per lui» si può intravedere la risposta
di Paolo alle difficoltà dei Filippesi, i quali dovevano trovare l’idea di patire
per Dio come radicalmente nuova (e strana), provenendo dalla religiosità
pagana.

                        BEATO GIACOMO ALBERIONE

       Importa non tanto dove si trova la persona, ma ciò che pensa.
                         San Paolo tra le catene scrive:
   «Il cuore mi trabocca di gioia in mezzo a tutte le nostre tribolazioni»;
         altri si disperano e maledicono Dio, gli uomini e se stessi.
                        (Carissimi in San Paolo, p. 1165)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento
efficace per la mia vita e che desidero ricordare:

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VITA: la Parola mi apre alla preghiera
O Dio, nostro Padre,
ricolmaci della tua grazia fortificante
affinché nell’amore sappiamo combattere
la buona battaglia della fede.
In mezzo all’umanità smarrita e angosciata
rendici persone di speranza,
forti nelle prove della vita,
gioiose nel cammino! Amen.

                                        26
SESTO GIORNO

              Non fate nulla per rivalità o vanagloria
                                    Fil 2,1‐4

Invocazione allo Spirito
   Donaci, o Padre,
   lo Spirito di verità
   affinché ci riveli
   l’essenza della vita e delle cose create.
   Lo Spirito
   renda attenta la nostra mente
   e ci renda docili
   alla Parola che è Cristo;
   ci conduca all’amore fraterno
   e ci aiuti ad agire sempre
   con retta intenzione,
   senza rivalità, competizione e vanagloria. Amen.

 VERITÀ: attenzione al testo (Fil 2,1-4)
   1
    Se dunque c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto,
   frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono
   sentimenti di amore e di compassione, 2rendete piena la mia gioia con un
   medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi.
   3
     Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta
   umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. 4Ciascuno non cerchi
   l’interesse proprio, ma anche quello degli altri.

Ambientazione. Dopo l’esortazione di Fil 1,27-30, con Fil 2 inizia una prima
serie di esortazioni legate alla vita comunitaria. Anche qui, in Filippesi, la
parenesi (cioè l’esortazione), come avviene anche nelle altre lettere di Paolo,
trova ragion d’essere nella profonda motivazione cristologica. In altre parole il

                                       27
comportamento da assumere sgorga sempre da Cristo Gesù. Solo guardando a
Cristo, il credente scopre il giusto modo di agire. Il capitolo 2 è formato da 5
parti, tutte legate all’esortazione anche se con diverse modalità. Le prime tre
parti sono incastonate in Fil 2,1-18 che forma un testo armonico con le sue
logiche interne: a) Fil 2,1-4 relazioni comunitarie: esortazione all’unità e
all’umiltà; b) Fil 2,5-11: l’elogio di Cristo Gesù; c) Fil 2,12-18: conseguente
esortazione comuni-taria e apostolica. Le altri due parti Fil 2,19-24 e Fil 2,25-
3,1 riguardano due testimoni concreti Timoteo ed Epafrodìto.

Commento
Se dunque c’è. Fil 2,1 presenta quattro proposizioni ipotetiche, introdot-te
dalla congiunzione greca ei (se), che devono essere intese in senso assertivo:
«se è vero, come è vero, che c’è […]». Queste frasi articolano l’unità di
pensiero. Se nel testo precedente il contesto semantico si riferiva alla lotta e
alla testimonianza pubblica del Vangelo, adesso l’attenzione si sposta
decisamente sulle relazioni comunitarie interne. È la testimonianza
comunitaria a rendere pieno di gioia il cuore di Paolo. Qui è presentata
l’ideale atmosfera comunitaria dei credenti in Cristo precisata da alcuni
elementi: consolazione in Cristo, conforto, carità, comunione di spirito,
sentimenti di amore e di compassione.

rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire. Tante volte l’Apostolo
ha parlato ai Filippesi della sua «gioia»: egli prega per loro con gioia; con
gioia vive nella fede la sua situazione di prigioniero per Cristo; con gioia
constata che l’annuncio del Vangelo si sta diffondendo. A questa gioia ora
aggiunge un altro aspetto molto importante: quello della comunione, di cui i
Filippesi possono fargli dono crescendo sempre più nella vita di vera
fraternità in Cristo. L’amore fraterno rende piena la gioia di Paolo pur nella
chiara consapevolezza che la vita fraterna comporta fatica. Paolo non si
immagina una vita di comunione senza difficoltà nei rapporti interpersonali,
ma augura che, allo spuntare delle quasi inevitabili contese, i cristiani
abbiano la capacità di comprendersi, di sostenersi vicendevolmente, di
continuare ad amarsi e a perdonarsi.

                                       28
non fate nulla per rivalità o vanagloria. In Fil 2,3 la lista delle virtù è
bruscamente interrotta da una preposizione disposta secondo un paral-
lelismo linguistico, in cui si contrappongono «rivalità e vanagloria» contro
«stima vicendevole e umiltà». Dove c’è rivalità: l’altro/a è un nemico non
un fratello o una sorella per cui Cristo è morto. Dove c’è vanagloria: c’è
l’apparire, l’esteriorità, il protagonismo e l’affermazione di sé. Questi
sono ostacoli veri e propri per la realizzazione di uno stile di vita
evangelica e fraterna. Paolo esorta tutti a coltivare l’umiltà e a ricercare il
bene degli altri piuttosto che l’interesse personale. Nell’umiltà non sorge la
rivalità, perché ciascuno pone l’altro prima di se stesso in una gara di
reciproca stima e di sincero affetto.

ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso.
La vita cristiana non è fatta solo di un sentire interiore, ma ancor più di un
esercizio concreto e costante che, eliminando ogni presunzione di
superiorità personale, consideri gli altri positivamente dal punto di vista del
loro valore. Si tratta di abbandonare con decisione ogni forma di
egocentrismo, sempre latente, che tende a considerare gli altri a proprio
servizio. Per arrivare a questo sarà necessario tenere lo sguardo fisso su
Gesù che si abbassa a lavare i piedi dei suoi discepoli (cfr. Gv 13,1-17) e
che si abbassa fino alla croce (cfr. Fil 2,5-11).

ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri.
L’esortazione a cercare l’interesse altrui comporta necessariamente l’idea di
promuovere l’altro, cioè il prossimo, proprio nella sua diversità, la quale può
perciò contribuire alla ricchezza dell’insieme.

                                       29
BEATO GIACOMO ALBERIONE

              «Considero e prego con le parole di san Paolo:
                  “Se vi è qualche consolazione in Cristo,
                     se qualche conforto nella carità…
                       rendete perfetto il mio gaudio:
                 abbiate un solo pensiero, un solo amore,
                    una sola anima, un solo sentimento.
              Nulla fate per spirito di parte né per vana gloria;
              ma con umiltà l’uno reputi l’altro dappiù di sé;
                 mirando ciascuno non ai propri interessi,
                               ma agli altrui”».
             (Brevi meditazioni per ogni giorno dell’anno II, p. 258)

VIA: spazio di riflessione personale. Assimilazione di un aspetto che sento
efficace per la mia vita e che desidero ricordare:

………………………………………………………………………………………………………

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VITA: la Parola mi apre alla preghiera
Donaci, o Padre,
di donare Gesù con la nostra vita,
affinché la nostra testimonianza
possa consolare la Chiesa locale e universale,
la nostra carità confortare i vicini e i lontani.
Donaci di costruire la nostra comunità
nell’umile ascolto quotidiano,
nel servizio perseverante,
nella parola edificante,
con il cuore libero da ogni vanagloria e rivalità,
cercando in tutto e sempre la gloria del Vangelo. Amen.

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SETTIMO GIORNO

                  La forma dell’amore: Cristo Gesù
                                   Fil 2,5‐11

Invocazione allo Spirito
   Vieni o Spirito Creatore, visita le nostre menti
   riempi della tua grazia i cuori che hai creato.
   Difendici dal nemico, reca in dono la pace,
   luce d’eterna sapienza, svelaci il grande mistero
   di Dio Padre e del Figlio uniti in un solo amore. Amen.

VERITÀ: attenzione al testo (Fil 2,5-11)
   5
    Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: 6egli, pur essendo
   nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, 7ma
   svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile
   agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, 8umiliò se stesso
   facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. 9Per questo
   Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10perché
   nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto
   terra, 11e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio
   Padre.

Ambientazione. Nel passato si era soliti definirlo come «inno cristo-logico»,
considerandolo una composizione liturgica utilizzata dalle prime comunità
cristiane e successivamente inserita da Paolo nel tessuto della lettera. Questa
prospettiva generale è oggi messa in discussione da molti esegeti, perché il
testo paolino non ha alcuna corrispondenza né con l’innodia semitica né con
l’innodia greco-romana; piuttosto è possibile trovare nel testo lo schema
«dell’elogio», in quanto si parla, con finalità laudativa, dell’origine di Cristo
(v. 6), degli atti virtuosi da lui compiuti (vv. 6-8) e della sua superiorità
rispetto a tutta la creazione (vv. 9-11).

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Commento

Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. «Abbiate lo stesso
pensiero»: il v. 5 fa proprio da ponte tra l’esortazione che precede e quella
che segue, cioè tra la comunità e Cristo, e lo fa attraverso un imperativo che
pone il pensare/il pensiero della comunità in ginocchio davanti al Kyrios che,
pur essendo Dio, si è fatto servo. La comunità si lascia guidare soprattutto
nel pensare. L’elogio più alto dato a Cristo parte dalla mente.
non ritenne un privilegio l’essere come Dio. La seconda parte del versetto 6
offre una descrizione essenziale del modo in cui Cristo Gesù ha vissuto il
suo status divino, il suo essere in condizione Dio. Cristo non ha approfittato,
non ha usato per se stesso la sua condizione divina.

ma svuotò se stesso. Il verbo svuotò è un famoso verbo greco che ha dato il
nome a tutto il processo di abbassamento del Cristo, visto come kenosi, che
secondo Fil 2,5-11 si snoda in due momenti decisivi della vita di Cristo:
l’incarnazione e la morte di croce.

Assumendo una condizione di servo diventando simile agli uomini.
«Prendendo forma di schiavo»: questa seconda parte del versetto 7 è da
leggere in piena contrapposizione al «pur essendo in forma Dio» del v. 6.
Queste poche parole ci aiutano a rispondere alla domanda: «In che modo
Cristo ha svuotato se stesso?». Assumendo la condizione di servo e
diventando simile agli uomini.

dall’aspetto riconosciuto come uomo. Gesù segnò per gli uomini una svolta:
prima d’allora la conoscenza e l’incontro con Dio erano un atto di fede nel
Dio di Israele mediante l’ascolto della Sacra Scrittura, a cui era ed è
necessario appoggiarsi. Ma con l’avvento di Gesù la relazione con Dio è un
incontro con una persona in carne e ossa.

umiliò se stesso. Il verbo utilizzato è un termine molto caro a Paolo, del
quale egli fa uso per spiegare la sua relazione con Dio e con gli altri. Nella
relazione con Dio in Cristo Gesù, Paolo contempla un abbassamento senza

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