La Copertina d'Artista - Street marketing

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La Copertina d'Artista - Street marketing
La Copertina d’Artista - Street marketing
Un mosaico di immagini variegate e colorate fa bella mostra di sé sulla Copertina d’Artista di
Ottobre 2021 del nostro magazine.

Sedice caselle, ognuna contenente un’opera, di altrettanti artisti, anzi di street artist, che da
settembre ad ottobre di quest’anno hanno cambiato con la loro sensibilità, il loro estro e la loro arte
il volto di Taranto, una città che ha deciso di rinascere attraverso la bellezza.

Tutto questo si chiama Progetto T.R.U.St., un acronimo che sta per Taranto Regeneration Urban
and Street, che in sostanza si struttura come un festival permanente di arte urbana, con il fine di
promuovere le arti contemporanee e di riqualificare, valorizzare e sviluppare inedite potenzialità
territoriali.

Il Progetto T.R.U.St. è stato ideato e realizzato dall’APS Rublanum e dall’Associazione
Mangrovie in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Taranto (Assessorato allo
Sviluppo Economico, Turismo e Marketing Territoriale) e con il sostegno della Regione
Puglia, che ha portato a Taranto 16 street artist di fama internazionale che hanno realizzato
altrettante opere monumentali in diversi quartieri e zone della città: Salinella (6 opere),
Tramontone (3), Paolo VI (4), Taranto Centro (1), Sottopassaggio Via Ancona (1) e Isola
Madre (1).

La direzione artistica del progetto è stata di Giacomo Marinaro (Gulìa Urbana e APS
Rublanum), mentre quella organizzativa ha visto lo stesso Giacomo Marinaro insieme a Matteo
Falbo e Andrea Falbo dell’APS Rublanum e Mario Pagnottella dell’Associazione Mangrovie.

Un progetto di rigenerazione urbana, quello del T.R.U.St., giunto alla 2° edizione dopo la prima del
2020, ma che mai, fino ad ora, aveva visto un numero così alto di artisti internazionali (ben 16), vere
stelle della street art, invitati tutti insieme a realizzare i loro progetti.
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keting con le 16 opere degli street artist invitati al Progetto T.R.U.St. 2021.
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Gli street artist invitati sono: Tony Gallo, Stereal, Slim Safont, Psiko, Nico Skolp, Marta
Lapeña, Lidia Cao, Kraser, Jorit, Helen Bur, Elisa Capdevila, Carlitops, Mr. Blob, Belin,
Attorrep e 3ttman.

Noi di Smart Marketing vi proponiamo un veloce tour per le vie cittadine, partendo dal quartiere
Tramontone per giungere alla Salinella e fino a Paolo VI, passando per la Città Vecchia per poi
tornare nel centro umbertino di Taranto.

Quella che vedrete, dalla vostra vettura, è una vera galleria a cielo aperto, monumentale, diffusa,
meravigliosa e gratuita.

Cominciamo: una delle prime opere ad essere realizzate è stata “Giorgio” di Jorit, che nel suo
inconfondibile stile, a Tramontone, su di una grande facciata nei pressi dell’ASL locale, raffigura il
volto di Giorgio Di Ponzio, vittima di un tumore a soli 15 anni, la cui storia è tragicamente legata
allo stabilimento siderurgico ex Ilva. Un volto, con i tipici graffi dell’artista, che ci osserva con aria
serena, ma che pure sembra interrogarci sul nostro senso civico e sulle nostre responsabilità.

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    pubblicitari, lo street marketing può esprimere tutto il suo valore e dare ai brand una visibilità
                          inaspettata, anche per mezzo delle piattaforme social.

Sempre a Tramontone, Belin si ispira ad una de “Le Bagnanti” di Picasso, reinterpretandola
secondo i dettami del post-neocubismo nel quale l’artista spagnolo è particolarmente a suo agio.

Poco distante troviamo il giardino, magico e coloratissimo, realizzato da 3ttman, che mescola con
grande maestria le foreste solo immaginate da Henri Rousseau con quelle viste e stravolte da Henri
Matisse.

Attraversando il sottopasso di via Ancona, affrescato con le geometriche partiture di colori primari di
Carlitops, che echeggiano l’astrattismo più puro, veniamo in contatto con l’opera più estesa del
Progetto T.R.U.St., che attraverso un paesaggio tropicale contornato di palme e forme esotiche ci
trasporta nel quartiere Salinella, dove ci attendono ben 6 opere.

Quartiere Tramontone e Sottopasso via Ancona
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Jorit, TRUSt 2021, ph Cosimo
Calabrese.

Belin, TRUSt 2021, ph Cosimo
Calabrese.
La Copertina d'Artista - Street marketing
3ttman, TRUSt 2021, ph Cosimo
Calabrese.

Carlitops,
TRUSt 2021,
ph Cosimo
Calabrese.

Le prime che vediamo sono 3 ed affrescano le tre pareti adiacenti di altrettanti palazzi.

Per prima scorgiamo la natura morta con gatto dipinta da Elisa Capdevila, che con lievità e poesia
ritrae in delicati toni e semitoni pastello un altro degli abitanti più diffusi della zona.

Subito a fianco, Attorrep ci presenta il suo ragazzo che apre le tende di una finestra dischiusa su un
nuovo futuro, un futuro astratto e ancora indefinito nella forma, ma che sembra splendere pieno di
La Copertina d'Artista - Street marketing
speranza e bellezza.

A chiudere la fila troviamo la rappresentazione moderna della favola di cappuccetto rosso: Lidia
Cao ritrae con uno stile quasi fumettistico una ragazzina che con gli occhi chiusi pare voglia
allontanare i demoni della sua vita, ma i toni tenui, i delicati pastelli e l’assenza del rosso non devono
trarci in inganno, perché, anche se il sole sembra baciare il volto di questa giovane, alle sue spalle
l’ombra assume i contorni di un poco rassicurante lupo.

Girando per il quartiere Salinella ci imbattiamo nella bellissima parete realizzata da Tony Gallo, che
con la sua opera “Evaluna e l’elefante” ci racconta una favola moderna, solo all’apparenza
semplice e delicata. Nel suo paesaggio da fiaba, l’artista ritrae una scena di gioco su di una
giostrina; tutto sembrerebbe facile, eppure alcuni elementi stridono, la bambina sull’altalena solleva
l’enorme elefante di fronte a lei che pare indossare una tuta NBC ed una maschera antigas.
Insomma, il messaggio pare essere che il futuro è dei bambini, che devono imparare a sollevare i
grossi pesi (leggi problemi) che affliggono la città.

Poco lontano su una grande parete troviamo la splendida natura morta con specchio di Marta
Lapeña, che ci regala un’opera dai tratti iperrealisti: la sua alzatina ricolma di limoni ed arance che
si riflette in uno specchio come nei celebri dipinti olandesi del ‘600 è realizzata con grande maestria
e certosino perfezionismo.

D’un tratto, prima di lasciare il quartiere Salinella, siamo catapultati nel bosco incantato dell’artista
tarantino Mr. Blob. L’opera ambientalista pare omaggiare sia la terra di mezzo di tolkieniana
memoria sia i giardini lisergici di Hieronymus Bosch. L’artista ci racconta la storia di un’ape
intrappolata che cerca di sfuggire alla sua prigione attraverso l’aiuto di altri animali, il tutto
racchiuso in una forma a cuore che forse rappresenta l’amore della natura e la speranza per il
domani.

Quartiere Salinella
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Elisa Capdevila, TRUSt 2021, ph
Cosimo Calabrese.

Attorrep, TRUSt 2021, ph Cosimo
Calabrese.
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Tony Gallo, TRUSt 2021, ph
Cosimo Calabrese.
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Marta Lapeña, TRUSt 2021, ph
Cosimo Calabrese.

Mr. Blob, TRUSt 2021, ph Cosimo
Calabrese.

Arrivati nella Città Vecchia, dobbiamo sapere dove andare per cercare l’unica opera orizzontale e
calpestabile del Progetto T.R.U.St., infatti nel cortile della Chiesa Rettoriana San Giuseppe, sul
pavimento del campo da basket, ci accolgono le geometrie astratte di Nico Skolp, che pare essersi
ispirato al De Stijl di Piet Mondrian, Theo van Doesburg e Hans Richter, realizzando un’opera dal
grande equilibrio formale e dall’impatto leggero che pare un’ideale e coloratissima passerella fra la
terra ed il mare.
La Copertina d'Artista - Street marketing
Un altro quartiere cittadino dove il Progetto T.R.U.St. ha realizzato diversi interventi è Paolo VI, a
poco meno di 10 km da Taranto: qui sono 4 gli artisti che hanno operato.

Per primo ci accoglie il maestoso murale di Slim Safont, che ritrae un soggetto semplice ed
immediatamente riconoscibile, un pescatore sulla sua barca, mestiere antico e profondamente
radicato nell’identità e cultura della città dei due mari. L’opera, realizzata con un notevole gusto
impressionista, ricorda a tutti, compreso il quartiere Paolo VI, che forse la via del mare può essere,
ancora oggi, una delle alternative possibili all’industria siderurgica.

Poco distante troviamo l’interessante lavoro dell’artista Helen Bur, che ritrae una ragazza
accovacciata che gioca con la vernice rossa di un barattolo. L’opera è un omaggio dalla doppia
natura: da una parte è dedicata dall’artista alla sua collega Elisa Capdevilla, di cui riprende le
fattezze, dall’altra le mani sporche di vernice rossa non possono che ricordare il sangue delle tante
vittime di tumore di questo quartiere ferito a morte dalla fabbrica poco distante.

Ancora scioccati per l’opera di Helen Bur, arriviamo alla parete dipinta da Stereal, che con la
dolcezza del suo soggetto ci riconcilia con la vita e l’amore. L’artista ha infatti ritratto una giovane
mamma che allatta il suo bambino (un abitante del quartiere); la madre è realizzata senza testa,
affinché qualunque donna possa rispecchiarsi in essa, ed il bambino, unico elemento colorato in
un’opera in bianco e nero, è dipinto in rosso e blu, i colori ufficiali di Taranto. Chissà, forse l’artista
ha voluto rappresentare una Taranto neonata che viene allattata dalla bellezza e dall’amore
dell’arte.

Ma è su di un’altra parte del quartiere che troviamo una delle opere più interessanti del Progetto
T.R.U.St.: l’artista torinese Psiko realizza quello che a tutti gli effetti sembra lo schermo di un
televisore o di un computer, l’effetto “black mirror” è accentuato dalla cornice nera che delimita
tutto il dipinto. Nel suo riconoscibile stile decostruzionista l’artista ci mostra diverse figure che si
sovrappongono ed amalgamano in seguito ad un breve ed improvviso glitch, uno sbalzo elettrico che
impedisce di sintonizzarsi al meglio con i programmi, metafora elettronica perfetta per auspicare il
riavvio di tutto il sistema o, quantomeno, un provvidenziale switch.

Tornando in città, passato il ponte girevole, ci accoglie la Taranto Umbertina e l’ultima e controversa
(ma poi perchè?) opera del Progetto T.R.U.St., il gigantesco Nettuno, realizzato dall’artista
Kraser, la più “alta” opera al mondo con affaccio sul mare. La ricerca dell’artista, spagnolo di
nascita ma milanese di adozione, ha voluto omaggiare le origini fondanti della città di Taranto, con
quel Taras figlio di Nettuno che rappresenta il padre spirituale della città dei due mari. Dicevamo
“opera controversa”, per realizzarla infatti Kraser si è ispirato alla statua bronzea del Giambologna
che campeggia sulla omonima fontana della città di Bologna, e secondo alcuni detrattori l’artista
avrebbe potuto prendere spunto da riferimenti più autoctoni.

Città vecchia, Quartiere Paolo VI e Borgo Umbertino.
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Nico Skolp, TRUSt 2021, ph
Cosimo Calabrese.

Slim Safont, TRUSt 2021, ph
Cosimo Calabrese.
Helen Bur, TRUSt 2021, ph Cosimo
Calabrese.

Stereal, TRUSt 2021, ph Cosimo
Calabrese.
Psiko, TRUSt 2021, ph Cosimo
Calabrese.

Kraser, TRUSt
2021,      ph
Cosimo
Calabrese.

A me personalmente piace ricordare che la libertà e la creatività dell’arte e degli artisti sono
sacrosante e che l’essere troppo didascalici non ha mai premiato l’arte, né ieri e ancora di meno
oggi.
In ultimo noi di Smart Marketing vogliamo ringraziare altri due artisti che hanno
  contribuito alla realizzazione della Copertina d’Artista di questo numero, che è stata
  possibile grazie alle splendide fotografie di Cosimo Calabrese e all’impeccabile grafica di
  Iacopo Munno.

Insomma, e per concludere, noi di Smart Marketing siamo rimasti così profondamente colpiti dal
Progetto T.R.U.St. e dalla eco mediatica nazionale ed internazionale che ha suscitato che abbiamo
deciso di ispirarci per l’uscita di ottobre del nostro magazine proprio alla street art e abbiamo
intitolato il 90° numero della nostra rivista “Street marketing”, cercando, come piace a noi, di
trovare connessioni non lineari fra arte, marketing, rigenerazione urbana e street marketing.

Quindi abbiamo dedicato l’intero numero al Progetto T.R.U.St. ed alla street art in generale, non
solo con questo articolo, ma anche con quelli dei nostri contributor, con una bella video intervista a
Giacomo Marinaro e con il mio editoriale.

Vi invitiamo a sfogliare virtualmente le nostre pagine e, se ne avrete la possibilità, a venire a
scoprire il Progetto T.R.U.St. dal vivo con i vostri occhi. Siamo sicuri che rimarrete conquistati dal
nuovo e coloratissimo skyline di Taranto.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

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Street marketing - L’editoriale di Raffaello
Castellano

  Che mese è stato questo di ottobre che, quando
  leggerete queste parole, sarà appena terminato???

  Ovviamente intendo che mese sia stato dal punto di vista dei social, del web marketing e delle
  nuove tecnologie, tre dei focus principali su cui si concentra il nostro magazine.

  A farla da padrone, nel bene e nel male, sono sempre Facebook e Mark Zuckerberg, che in
  questo mese hanno dovuto affrontare diverse e delicate problematiche; ad inizio mese, il 4
  ottobre la multinazionale di Menlo Park ha dovuto affrontare un down globale che ha fatto
  letteralmente sparire l’intera galassia di Facebook; non è andato offline solo un pezzo del gruppo
  fondato da Zuckerberg, ma tutta l’infrastruttura, comprese le sue molteplici piattaforme:
  Whatsapp, Instagram, Messenger e Oculus. Il tutto per per oltre 7 ore che, secondo
  Bloomberg, sono costate a Zuckerberg 160 milioni di dollari per ogni ora di interruzione della
  connessione digitale, senza contare che il titolo è crollato in borsa, facendo perdere altri soldi.

Come se non bastasse, mentre accadeva tutto questo Facebook stava facendo i conti con le
dichiarazioni rilasciate la sera prima del crash dalla loro ex dipendente e computer scientist
Frances Haugen, nella seguitissima trasmissione televisiva “60 Minutes” della CBS. La Haugen
ha fatto dichiarazioni al vetriolo per quanto concerne la politica dell’azienda, in fatto di tutela della
privacy e soprattutto per il fenomeno dell’odio in rete e dello hate speech, ufficialmente condannati
dall’azienda, ma subdolamente, secondo la Haugen, facilitati dagli algoritmi delle stesse piattaforme
social.

E dopo aver aperto ottobre con due faccende mica da poco come queste, Mark Zuckerberg si è
ripreso la scena, a fine mese, il 28, durante l’evento Facebook Connect, dichiarando che la
Facebook Inc. cambierà nome e logo diventando Meta e che il vecchio nome resterà solo ad
indicare l’applicazione del social network e non più dell’azienda madre.

“In questo momento, il nostro brand è così strettamente legato a un prodotto che non può
assolutamente rappresentare tutto ciò che stiamo facendo oggi, figuriamoci in futuro, – ha spiegato
Zuckerberg annunciando il cambio di nome dell’azienda – nel corso del tempo, spero che saremo
visti come un’azienda del metaverso e voglio che il nostro lavoro e la nostra identità siano ancorati a
ciò che stiamo costruendo. Il metaverso è la prossima frontiera. D’ora in poi, saremo al primo posto
nel metaverso, non in Facebook”.

Insomma, vedremo cosa succederà nel futuro di “Meta” e nel nostro, ma intanto, siccome il mondo,
checché ne dica Zuckerberg, non è solo virtuale, HD od a realtà aumentata, noi di Smart
Marketing, coraggiosamente controcorrente, vogliamo parlarvi di una storia non globale, come
quella di sopra, ma locale, anzi localissima, sicuri che, come ci diceva Balzac (o forse Tolstoj) “se
vuoi essere veramente universale parla del tuo villaggio”. Noi vogliamo raccontarvi di un
progetto di rigenerazione urbana e street art che ha cambiato il volto di una città come Taranto e
che ha fatto parlare della città dei due mari, per una volta in chiave positiva, le televisioni, le riviste
ed i blog di mezzo mondo.

Si chiama T.R.U.St. il progetto realizzato dal collettivo Rublanum dal Comune di
Taranto Assessorato allo Sviluppo Economico, Turismo e Marketing Territoriale, in collaborazione
con l’Associazione Mangrovie e con il sostegno della Regione Puglia, che ha portato a Taranto
16 street artist di fama internazionale che hanno realizzato altrettante opere monumentali in
diversi quartieri e zone della città: Salinella, Tramontone, Paolo VI, Taranto Centro, Sottopassaggio
Via Ancona e Isola Madre.

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Noi abbiamo colto al volo l’occasione e abbiamo deciso di parlare in questo numero di Street
Marketing, ma pure di guerrilla marketing e marketing non convenzionale, e del debito che queste
forme di marketing hanno nei confronti della street art e del graffitismo.

Nelle pagine che seguono troverete come al solito articoli verticali dedicati alle nostre direttrici
principali (comunicazione, marketing, social media) ma pure, e soprattutto, articoli trasversali che
ci faranno comprendere meglio l’origine di temi e termini che pensavamo di conoscere.

Mai come in questo numero, partiremo da vie traverse per giungere a destinazione, e le nostre
rubriche più trasversali, come quella di cinema, musica, libri e della Copertina d’Artista, saranno
indispensabili per comprendere meglio sia ciò che è successo a Taranto, che il nostro complesso
mondo contemporaneo.

D’accordo con l’amico Ivan Zorico, abbiamo dedicato la Copertina d’Artista (e l’articolo correlato,
e non poteva essere altrimenti) al Progetto T.R.U.St. con un mosaico delle 16 opere realizzate,
e una bella video intervista al direttore artistico e curatore della rassegna di street art, Giacomo
Marinaro, che abbiamo scoperto essere anche un project manager ed esperto di marketing e che vi
invitiamo a vedere.

Non mi resta che augurarvi buona lettura e buona visione, e magari invitarvi a venire a visitare
Taranto, perchè il metaverso di Zuckerberg sarà pure una figata, o forse no, vedremo, ma è sicuro
che, come piaceva ripetere a Fëdor Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”.

Buona lettura e, mai come questa volta, buona visione!

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Street art, rigenerazione urbana e
marketing territoriale, queste le anime del
Progetto T.R.U.St. a Taranto. Intervista a
Giacomo Marinaro.
Durante tutto il mese di settembre e i primi giorni di ottobre 2021, a Taranto, la città dei due mari
che si affaccia sullo Jonio, si è svolto uno dei progetti di rigenerazione urbana più importanti
d’Europa, che ha fatto parlare di sé la stampa e le televisioni internazionali.

Il progetto T.R.U.St., acronimo che sta per Taranto Regeneration Urban and Street, è un
festival permanente di arte urbana, che ha il fine di promuovere le arti contemporanee e di
riqualificare, valorizzare e sviluppare inedite potenzialità territoriali.

Il Progetto T.R.U.St. è stato ideato e realizzato dall’APS Rublanum e dall’Associazione
Mangrovie in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Taranto (Assessorato allo
Sviluppo Economico, Turismo e Marketing Territoriale) e con il sostegno della Regione
Puglia. La direzione artistica del progetto è stata di Giacomo Marinaro (Gulìa Urbana e APS
Rublanum), mentre quella organizzativa ha visto lo stesso Giacomo Marinaro insieme a Matteo
Falbo e Andrea Falbo dell’APS Rublanum e Mario Pagnottella dell’Associazione Mangrovie.

L’idea degli organizzatori è stata quella di invitare 16 artisti, anzi street artist, per realizzare
altrettante opere che, dislocate nei diversi quartieri della città (Salinella, Tramontone, Paolo VI,
Taranto Centro, Sottopassaggio Via Ancona, Isola Madre) potessero cambiarne lo skyline.

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Gli artisti invitati sono di levatura internazionale, tutti attivi da diversi anni e con alle spalle già
collaborazioni di alto livello con altre realtà territoriali europee.

Ognuno di loro ha interpretato il territorio di Taranto attraverso la sua millenaria storia e
soprattutto dialogando e interagendo con gli abitanti stessi dei luoghi in cui avrebbero realizzato le
proprie opere.

Ne è nato un museo a cielo aperto di cui è possibile fruire gratuitamente ogni volta che si vuole e
che, vista l’eco mediatica che ha suscitato, sicuramente diventerà nei prossimi anni un fortissimo
attrattore turistico.

Niente male per una città, Taranto, che negli ultimi 20-30 anni ha fatto parlare di sé soprattutto per
le faccende di inquinamento ed emergenza sanitaria e lavorativa legate alla grande acciaieria dell’ex
ILVA, oggi ArcelorMittal.

I 16 artisti invitati a partecipare al Progetto T.R.U.St. sono Tony Gallo, Stereal, Slim Safont,
Psiko, Nico Skolp, Marta Lapeña, Lidia Cao, Kraser, Jorit, Helen Bur, Elisa Capdevila,
Carlitops, Mr. Blob, Belin, Attorrep e 3ttman, e rappresentano un vero e proprio plotone di
guerriglieri dell’arte contemporanea, autentici alfieri della bellezza, che hanno dimostrato con la
loro sensibilità e profondità artistica che aveva ragione Dostoevskij quando diceva che “la bellezza
salverà il mondo”.

Come abbiamo scritto in altre parti di questo magazine, noi di Smart Marketing ci siamo ispirati
per questo 90° numero proprio al Progetto T.R.U.St., ed abbiamo deciso di parlare di Street
Marketing e del debito di quest’ultimo nei confronti della street art e del graffitismo, dedicando
grande spazio proprio al progetto di rigenerazione urbana tarantino.

Abbiamo cominciato dalla Copertina d’Artista dedicata alle 16 opere realizzate, ne abbiamo
parlato nei nostri editoriali, e concludiamo con questa video intervista con il Direttore artistico del
progetto Giacomo Marinaro, con il quale abbiamo chiacchierato di arte, bellezza, ma pure di
rigenerazione urbana e marketing territoriale.

Noi vi invitiamo a vedere l’intervista, a sfogliare le nostre pagine virtuali e, più di ogni altra cosa, a
fare una capatina a Taranto, magari la prossima estate, per ammirare le monumentali opere di
street art e attraverso l’arte scoprire una città diversa, forse nuova, che guarda al futuro con
ritrovato ottimismo.

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Nel saggio “La macchina dei memi. Perché
i geni non bastano” Susan Blackmore
espone la teoria dei “memi” molto prima
che il fenomeno esplodesse sul web,
spiegandoci un mondo che pensavamo
sbrigativamente di conoscere
  Quest’anno vi propongo un libro al mese, forse due, per raccontare chi siamo, da dove veniamo,
  dove vorremmo andare e come ci vogliamo arrivare. Perché la lettura può essere svago,
  intrattenimento, ma anche un valido esercizio per imparare a pensare e sviluppare una certa idea
  del mondo.

  Un libro al mese, in piccole schede, in poche battute, per decidere se vale la pena comprarlo e
  soprattutto leggerlo. Perché la lettura, come diceva Woody Allen, è anche un esercizio di legittima
  difesa.

Nel 1976, negli ultimi capitoli del suo celeberrimo libro “Il gene egoista”, Richard Dawkins
definisce, fra i primi al mondo, il concetto di “meme”, dedicando a questo nuovo tipo di replicatore
uno spazio esiguo.

Ma tant’è: visto il successo planetario del saggio, il “meme” salta al centro del dibattito scientifico
fra detrattori e promotori, tracciando una via molto feconda di studi, esperimenti e pubblicazioni,
non solo accademiche.

“La macchina dei memi. Perché i geni non bastano”, pubblicato nel 1999 dalla psicologa
britannica Susan Blackmore, è forse il testo che ha avuto più successo, non solo tra gli specialisti,
e che ha generato il più ampio dibattito scientifico.

La Blackmore tenta di costituire una vera e propria scienza della memetica, discutendo il suo
potenziale empirico e analitico, così come alcuni importanti problemi che riguardano la memetica.
La prima metà del libro cerca di fare maggiore chiarezza sulla definizione del meme, mentre
l’ultima metà del libro, forse la più interessante e divulgativa, consiste in una serie di possibili
spiegazioni memetiche per problemi diversi, come l’origine della lingua, l’origine del cervello
umano, i fenomeni sessuali, l’origine delle religioni, internet e la stessa nozione di sé.

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L’autrice vede il meme come un replicatore universale, di cui il gene è un’altro esempio, piuttosto
che considerare il meme uguale al gene. I replicatori universali, secondo la Blackmore, per essere
tali devono avere tre caratteristiche fondamentali: replicazione ad alta fedeltà, alti livelli di
fecondità (e quindi molte copie di sé stessi), e longevità.

L’esistenza dei memi è accettata da gran parte della comunità scientifica, anche se essi sono visti,
principalmente, come entità subordinata ai geni. La Blackmore suggerisce che questo non è vero, e
che i memi sono replicatori indipendenti e che addirittura in alcuni casi possono guidare l’evoluzione
genetica, ed essere, inoltre, la causa delle dimensioni insolitamente grandi del cervello dell’Homo
Sapiens.

                  La macchina dei memi

                                     Perché i geni non bastano

  Autore: Susan Blackmore

  Editore: Instar Libri

  Anno: gennaio 2001

  Pagine: 480

  Isbn: 9788846100436

  Prezzo: € 18,60

L’autrice scrive che il cervello umano ha iniziato ad espandersi di dimensioni nello stesso periodo in
cui abbiamo iniziato a fabbricare ed usare degli strumenti e suggerisce che, una volta che gli
individui hanno cominciato a imitarsi l’un l’altro, la pressione selettiva ha favorito coloro che
potevano fare buone scelte su cosa imitare, e coloro che sapevano imitare in modo intelligente. Il
nostro grande cervello in pratica si è sviluppato per “imitare” e “diffondere” memi e in ultima
istanza è l’imitazione e non il linguaggio che davvero ci distingue dagli altri animali.

Perché dovremmo leggere “La macchina dei memi. Perché i geni non bastano”?

Va chiarito che la Blackmore parla dei “memi analogici” e non di quelli “digitali” a cui siamo
abituati noi e che da una decina d’anni spopolano sul web ed i social network, per cui non dovete
aspettarvi un manuale che illustri i memi, soprattutto fotografici, più celebri e virali. Il saggio in
questione, però, è un compendio indispensabile per comprendere la natura profonda e l’evoluzione
dei memi, siano essi analogici o digitali, e quindi risulta una lettura interessante e, come mi piace
dire, indispensabile per il social media manager, il copywriter, il content creator e in definitiva per
chiunque si occupi di comunicazione sul web.

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#martyisdead è la pluripremiata miniserie
ceca che racconta con crudo e affilato
realismo il cyberbullismo e le conseguenze
che può avere sugli adolescenti e che
dovete assolutamente vedere

  É finalmente arrivata anche in Italia l’attesissima e pluripremiata serie ceca
  sul cyberbullismo, #martyisdead, dal 19 ottobre su Italia 1 in terza serata e
  sempre disponibile su Mediaset Infinity.

Tutto comincia, come in un racconto di Agatha Christie, con la morte del protagonista che dà il
nome alla serie, il giovane Marty Biederman (interpretato da Jakub Nemčok), un ragazzo 15enne
che frequenta la terza media, appassionato di videogiochi e che sembra non dare particolari
preoccupazioni alla sua famiglia. Un giorno, però, Marty viene investito da un corriere mentre sta
attraversando la strada e muore.

Da questo plot narrativo si dipana una trama che piano piano svelerà retroscena macabri e la doppia
vita di Marty. Da una parte le indagini del padre Petr (cui dà volto e sostanza Jan Grundman), che
non si rassegna alla morte del figlio, si richiude nella sua cameretta e per caso scopre alcune
inquietanti chat di messenger e video sul suo computer, dall’altra una serie di flashback permettono
a noi spettatori di scivolare gradualmente nel buco nero del web e scoprirne il volto più violento e
diabolico.

Il padre, e noi spettatori insieme a lui, scopriamo che il figlio era infatti ricattato da una certa Eliska
che gli ordinava di compiere azioni via via più estreme ed autolesioniste, per non mettere on line un
suo video hot privato. Ma chi si nasconde dietro a questa Eliska? Un uomo o una donna? Un amico o
uno sconosciuto?

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serie #martyisdead, il giovane Marty Biederman, interpretato dal talentuoso Jakub
Nemčok.

Girato con grande gusto della messa in scena, la fotografia spazia da campi lunghi ad interni angusti
a primi piani drammatici, prediligendo, quasi sempre, una scelta cromatica fredda, che accentua il
disagio e il senso di smarrimento del protagonista ed anche di noi spettatori.

Solo nella stanza di Marty, davanti al suo pc, le luci diventano calde, come se solo quel luogo potesse
contenere un afflato di vita, di amore e di socialità. Ma, come scoprono le zanzare attratte dalle
lanterne zanzaricide, Marty (e noi con lui), apprenderà che le luci scintillanti spesso possono essere
insidiose, pericolose e traditrici.

#martyisdead è stata diretta da Pavel Soukup, che ha spiegato come l’idea di realizzare una serie
come questa sia nata alla fine del 2018 dal diffondersi del fenomeno delle sfide autolesioniste che
circolano nel dark web ma non solo, inviti a superare i propri limiti attraverso presunti riti di
iniziazione. Esempi celebri in tal senso sono la Blue Whale Challenge, che potrebbe aver spinto
alcuni ragazzi al suicidio, nata nel 2016, oppure la più recente Blackout Challenge di Tik Tok, che
invita i partecipanti a stringersi una corda intorno al collo.

Come ha dichiarato lo stesso regista: “Questa storia è nata sulla base di vicende realmente accadute.
Circa tre anni fa, i media russi hanno parlato di un fenomeno che ha portato alcuni adolescenti a
compiere gesti pericolosi, come l’autolesionismo. A quel punto ci siamo chiesti: chi c’è dietro tutto
questo e perché? Abbiamo approfondito l’argomento e sono emersi racconti spaventosi su internet,
situazioni che comportavano sfide estreme”.

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e di Marty, interpretato Jan Grundman.
La serie, del 2019, è stata realizzata in Repubblica Ceca, dove è stata pubblicata sul sito della rete
Mall.Tv, in otto brevi episodi (della durata di quindici minuti ciascuno), proprio per favorirne la
fruizione da parte delle nuove generazioni, spettatori ideali di questo prodotto e destinatari ultimi
degli importanti messaggi che veicola.

Tutto quello che si vede in Marty is Dead è infatti frutto di vicende realmente accadute, che gli
sceneggiatori hanno messo nero su bianco aiutati da un pool di esperti di cyberbullismo, cyber
sicurezza ed dark web. Il risultato è questa miniserie cruda, affilata, disturbante che va dritto al
punto e che anche grazie al suo formato mira proprio ad arrivare al pubblico più giovane,
catturandolo come se stesse raccontando un thriller, senza però mai perdere la coscienza della
realtà circostante.

#martyisdead, che ha conquistato pubblico e critica in mezzo mondo, è la prima produzione ceca
ad aver vinto un Emmy Award nella categoria Miglior Short-Form Series, e ad aggiudicarsi altri
importanti riconoscimenti internazionali, fra cui il primo premio al Festival Internazionale Serial
Killer, il miglior progetto televisivo al Festival Finale Plzeň 2020 nella categoria Serial production
e il Leone Ceco per i risultati ottenuti nel campo dell’audiovisivo.

Non è l’unico lavoro che parla di Blue Whale Challenge e simili; la scorsa estate noi di Smart
Marketing vi avevamo parlato del bellissimo e disperato film “50 o Dos Ballenas se Encuentran
en la Playa” (Messico 2020), del regista Jorge Cuchi, proiettato durante la Settimana
Internazionale della Critica in trasferta a Taranto, ma in quel caso si trattava di un film di due
ore, mentre in questo si tratta di una miniserie di 8 episodi di 15 minuti ciascuno, molto più in
sintonia con i risicati tempi di attenzione della generazione dei Millennials e ancor più della
Generazione Z; sorprende, non poco, a questo punto la scelta di Mediaset di programmare la messa
in onda del programma in terza serata, alle 00:30, dopo la lunga maratona televisiva delle Iene.

Perchè puntare su un prodotto pensato per i giovani, rivolto ai giovani e
strutturato per i giovani e poi relegare questa bella e importante serie
abbondantemente dopo la mezzanotte???
Non è dato sapere il perchè di questa scelta così singolare e discutibile, non sembra che
#martyisdead abbia ricevuto particolari veti sull’età dei fruitori, ma, anche se fosse, la
programmazione almeno in seconda serata avrebbe consentito la fruizione della serie da parte di
genitori e figli adolescenti, assicurandosi che i più piccoli fossero già a letto.

Peccato, perchè il battage pubblicitario sulla serie è stato importante e quindi anche l’aspettativa,
mortificare il tutto programmando questa serie dopo le 00:30 sembra la stessa strategia adottata
dalla Rai una ventina di anni fa con il palinsesto culturale.

Prima della rivoluzione digitale televisiva, infatti, che ha assegnato canali specifici anche ai
palinsesti culturali, Rai Cultura cominciava dopo la mezzanotte e più che educare un pubblico
generalista e/o accontentare un piccolo ma “ristretto” pubblico di appassionati sembrava avere
l’unico scopo di garantire che la quota parte di programmazione culturale giornaliera “obbligatoria”
fosse assolta, per mantenere quell’aura di “servizio pubblico” cui la stessa Rai sembrava e forse
sembra non credere più.
É inutile nasconderlo, la prima e la seconda serata sono ancora oggi, in un mondo di spettatori
sempre più diversificato e sfarinato, che fruisce dei contenuti video e dei programmi su diversi
device, da diverse applicazioni e negli orari più disparati, le due fasce più viste e commentate della
televisione e forse #martyisdead avrebbe meritato un po’ più di coraggio.

  L’appuntamento con i prossimi episodi di #martyisdead è per martedì
  prossimo 26 ottobre dalle 00:30 circa, dopo le Iene, su Italia1, intanto chi si
  fosse perso i primi 3 episodi può recuperarli gratuitamente sul sito di
  Mediaset – Infinity.

Buona visione!

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Il lunedì nero di Facebook: il “down”
globale di 7 ore è costato a Mark
Zuckerberg 6 miliardi di dollari
La tempesta perfetta che si è abbattuta ieri sull’intera infrastruttura digitale della “galassia
Zuckerberg” dalle 17:30 a oltre la mezzanotte (orario italiano) dimostra, tra le altre cose, e per
l’ennesima volta, quanto le nostre vite sociali, di relazione e lavorative, siano dipendenti dai social
network e quanto i monopoli tecnologici, come quello della multinazionale di Menlo Park, siano
ancora più pericolosi, quando concentrano non uno ma addirittura tre dei social network più
utilizzati del pianeta.

É successo, come sembra dalle poche informazioni e dalle tante indiscrezioni trapelate, che alla base
del “down” ci sia stato un serio problema ai server dell’azienda. Un problema di rete causato da un
errore nella configurazione di una componente essenziale del sistema, il BGP (Border Gateway
Protocol).

Tutto è cominciato in California alle 8:40 del mattino , le 5:40 del pomeriggio in Italia, quando molto
rapidamente l’intero sistema di Facebook è letteralmente sparito nel nulla. Non è andato offline solo
un pezzo del gruppo fondato da Zuckerberg, ma tutta l’infrastruttura, comprese tutte le sue
molteplici piattaforme: Whatsapp, Instagram, Messenger e Oculus.

  Le segnalazioni degli utenti indicano che Facebook sta avendo problemi da 5:44 PM CEST.
  https://t.co/YNGPVYgR8b Retweet se anche tu riscontri problemi #problemiFacebook

  — Downdetector Italia (@downdetectorIT) October 4, 2021

Questo “down”, anzi questo autentico buco nero è di una gravità e di un’amppiezza senza
precedenti ed ha avuto ripercussioni sociali, politiche ed economiche pesanti ovunque nel mondo.

  L’agenzia Bloomberg ha stimato che la perdita economica a livello
  mondiale sia stata di 160 milioni di dollari per ogni ora di interruzione
  della connessione digitale.

È facile comprenderlo, imprese di tutto il mondo, abituate a ricevere gli ordinativi e a fare le
consegne comunicando attraverso Facebook, Instagram e sopratutto WhatsApp si sono
improvvisamente bloccate. Le conseguenze sono state le più diverse e vanno molto al di là di quelle
puramente commerciali: molti utenti dotati di apparecchi smart attivati attraverso connessioni
Facebook si sono trovati all’improvviso e per molte ore a non poter accendere la tv, attivare un
termostato, entrare in un sito di shopping online, o, peggio, a non poter aprire la porta di casa.

Stessa cosa, quest’ultima, successa anche al personale di Facebook che non è riuscito a entrare nei
suoi uffici perché il «buco nero» che ha colpito il gruppo ha fatto svanire anche i meccanismi di
sicurezza interna, compresi quelli di riconoscimento dei badge dei dipendenti.

All’inizio si è pensato ad un attacco hacker ben architettato, ma poi, pian piano che le informazioni
trapelavano, si è capito che si trattava di un problema tecnico alla rete dell’azienda stessa. Mentre
l’azienda ammetteva di avere un problema che stava cercando di risolvere e si scusava con gli utenti
per i disagi attraverso il suo profilo ufficiale di Twitter (cosa che ha divertito e scatenato gli utenti
del social dei cinguettii), sono piano piano emersi i contorni di un incidente tanto banale quanto
catastrofico, diretta conseguenza di problemi logistici e organizzativi prima ancora che degli
infortuni tecnologici che, pure, ci sono sicuramente stati.
To the huge community of people and businesses around the world who depend on us: we’re
  sorry. We’ve been working hard to restore access to our apps and services and are happy to
  report they are coming back online now. Thank you for bearing with us. — Facebook (@Facebook)
  October 4, 2021

Problemi ingigantiti da due fattori principali: da una parte il timore di sabotaggi che ormai spinge
tutte le aziende tecnologiche a darsi procedure di sistema segrete, affidate a pochissime persone
molto fidate e preparate; dall’altra il Covid, che ha portato quasi tutti i tecnici, come molti altri
specialisti, a lavorare in remoto da casa.

Ma il crash alla rete di Facebook di ieri ha reso necessario che, coi sistemi totalmente paralizzati,
bisognasse andare a intervenire “manualmente sui server”, e ci si è resi conto solo allora che chi
era in grado di farlo era fisicamente lontano, mentre chi era già in azienda non aveva le competenze
necessarie.

  Anche per questo ci sono volute quasi 7 ore prima di poter
  ricominciare ad attivare, in modo molto graduale, le piattaforme del
  gruppo.

Era già successa una cosa simile nel 2019, quando Facebook aveva vissuto una crisi durata quasi 24
ore per un errore di configurazione dei server. Ma quella volta era stata colpita solo una parte del
sistema, mentre stavolta Facebook ha dovuto fronteggiare quella che verrà ricordata come una vera
“tempesta perfetta”.

  Una crisi che ha provocato una flessione del titolo Facebook in Borsa,
  facendo in poche ore perdere a Zuckerberg 6 miliardi di dollari.

Il tutto in una giornata che già era cominciata molto male per il gruppo, quando un’ex dipendente, la
computer scientist Frances Haugen, poche ore prima, in una seguitissima trasmissione televisiva
della CBS, aveva denunciato una serie di scelte riprovevoli della società in merito alle politiche
adottate riguardo al fenomeno dell’odio in rete e dello hate speech, ufficialmente condannati
dall’azienda, ma subdolamente, secondo la Haugen, facilitati dagli algoritmi delle stesse
piattaforme social.

Insomma, un Lunedì nero per Facebook e Zuckerberg, ma anche per molti di noi che si sono
riversati in massa su piattaforme alternative come Twitter, Telegram, che ha avuto un’impennata di
iscrizioni, e che hanno riscoperto il valore degli sms e delle telefonate, autentici dinosauri
tecnologici, che però hanno funzionato.

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La copertina d’artista - #ripartItalia 2021
Un velocista è sui blocchi di partenza, forse della gara regina delle Olimpiadi, i 100 metri; ma questo
atleta ha qualcosa di più. La sua tuta tecnica è di un azzurro scintillante, striata in più punti da fasce
tricolori che richiamano la bandiera italiana e, a ben vedere, la stessa tuta ha un qualcosa che
richiama un’armatura, una versione nostrana della mitica armatura di Iron Man, quella progettata
ed indossata da Tony Stark.

E forse il riferimento all’uomo d’acciaio, questa la traduzione letterale del nome dell’eroe
marveliano, non è affatto casuale, sono stati uomini e donne d’acciaio quelli che hanno tinto d’oro,
argento e bronzo la lunga estate italiana, fra europei di calcio e campionati di pallavolo maschile e
femminile, passando per le medaglie ed i primati delle Olimpiadi e Paralimpiadi, culminate con la
vittoria dei 100 metri di Marcell Jacobs, primo italiano nella storia, alle Olimpiadi di Tokyo con il
tempo di 9’ e 80”, lo scorso 1°agosto 2021.
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da Domenico Velletri.
Le vittorie ed i successi sportivi del Paese hanno favorito la ritrovata voglia di patriottismo e
desiderio di rivalsa degli Italiani, dopo un 2020 segnato da una pandemia che ha scompaginato i
programmi e le agende dei singoli, così come delle istituzioni e delle nazioni.

Le Olimpiadi di Tokyo, incerte fino all’ultimo, hanno rappresentato i migliori valori dello sport, e
quel desiderio, mai sopito, di vittoria umana che si staglia contro un male globale che sembrava aver
vinto definitivamente. Gli atleti, le vittorie e lo sport più in generale hanno rappresentato il miglior
vaccino per le nostre coscienze infiacchite dalle restrizioni, il miglior farmaco contro quella
strisciante ed ormai endogena depressione che aveva ghermito più o meno tutti noi.

Le sfide, i sacrifici e le vittorie che lo sport regala a chi è disposto a misurarsi prima con se stesso e
poi con gli altri sono la perfetta metafora di questa ripartenza post pandemica, di questa ripartenza
post vacanze, di qualsiasi ripartenza esistenziale, lavorativa, o di relazione.

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e Gente, per le sue ironiche mascherine disegnate, perfette per non perdere la “faccia”.
Nonostante siano più di 20 anni che scrivo, parlo ed organizzo eventi artistici, mi sorprendo ancora
come un bambino quando vedo la capacità di sintesi di cui sono capaci gli artisti.

Prendete Domenico Velletri (già autore della Copertina d’Artista del novembre 2019), il
graphic designer di questa copertina di settembre: è riuscito a condensare in una singola immagine
molteplici significati, tutti legati dal filo rosso che richiama la voglia di superare i propri limiti tipica
degli esseri umani, quel fuoco che arde in ciascuno di noi e che ci spinge a provarci e riprovarci, ad
allenarci fino allo stremo, finchè non riusciamo a sconfiggere i nostri avversari e soprattutto noi
stessi, perché, alla fine, come disse Friedrich Nietzsche: “Nessun vincitore crede al caso”.

                    Scopri il nuovo numero: “#ripartItalia”
     La ripartenza è un tema quanto mai attuale. Dopo due anni di pandemia sentiamo il bisogno di
    lasciarci alle spalle questo lungo periodo complesso (tenendo quello che di buono c’è stato) e di
                               affacciarci con ottimismo al tempo che verrà.

Insomma, l’eroe velocista della copertina di settembre che aspetta il colpo di pistola per scattare dai
blocchi è la rappresentazione plastica, filosofica, ma soprattutto ideale della voglia di ripartenza di
noi Italiani, che nella nostra scintillante armatura con i colori nazionali vogliamo tagliare i traguardi
del nostro successo.

Non dimenticando, però, che il successo individuale è poca cosa se non contempla, favorisce od
almeno ispira il successo collettivo, perché, come ebbe a dire Don Carlo Gnocchi:

  La vittoria è sempre nel pugno di pochi. Provare a preparare questa pattuglia di eroi è il segreto
  di ogni vittoria.

Quindi lasciamoci ispirare dalla bella Copertina d’Artista di Domenico Velletri e, più in generale,
dagli articoli dei nostri contributor che compongono questo 89° numero del nostro magazine dal
titolo #ripartItalia.
Domenico Velletri, artista eclettico, spazia dalla pittura alla
  scultura, dalle tecniche digitali all’illustrazione, dall’animazione
  alla realizzazione di cartoon e videoclip.

  Diverse le sue opere presenti in varie città italiane, come la scultura in pietra della Regina Elena
  del Montenegro a Roma o l’opera scultorea di S. Maria Clotilde di Borbone a Napoli. Autore, fra
  l’altro, di numerose opere nel territorio biscegliese, come l’altorilievo bronzeo in onore a
  Giuseppe Di Vittorio in piazza Vittorio Emanuele II, il bassorilievo bronzeo di Aldo Moro, in via
  Aldo Moro e il bassorilievo in terracotta, nel ricordo del centenario della storica apertura, del
  Rettifilo, sempre in via Aldo Moro. Diverse sculture sacre come il Crocifisso ligneo nella chiesa di
  S. M. di Costantinopoli, la scultura lignea della Madonna dell’Immacolata per la chiesa di S.
  Andrea e il dipinto absidale di Santa Caterina da Siena.

  Esordisce al cinema con la realizzazione della parte animata nel film “Cobra non è” (qui trovate
  la nostra recensione), di Mauro Russo, prodotto da Giallo Limone Movie e distribuito da 102
  Distribution, in collaborazione con Rai Cinema. Fra le due ultime collaborazioni il suo lavoro per
  il cantante Fabio Rovazzi con la realizzazione dell’intro in motion comics per il videoclip “La mia
  felicità”.

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#ripartItalia 2021 - L’editoriale Raffaello
Castellano

  Scrivere l’editoriale di settembre, che, come sanno i
  nostri lettori, fin dalla nascita del nostro magazine si
  intitola #ripartItalia, diventa sempre più complesso.

  Di cosa parlare?

  Su quale argomento, fra i tanti possibili, concentrare l’attenzione?

  Per quale focus propendere?

  Capite che, dopo 8 anni ed altrettanti editoriali settembrini, il rischio di ripetersi è
  molto alto, sia perché a scrivere gli articoli è sempre la stessa persona, con le sue
  preferenze ed i suoi pregiudizi, sia perché, diciamocelo, i problemi, non solo digitali, del
  nostro Paese sono quasi sempre i medesimi: instabilità politica, eccessiva burocrazia,
  lavoro, formazione ed istruzione, ecologia ed ambiente, digital divide, alfabetizzazione
  informatica, inverno demografico, ricambio generazionale, etc., etc..

Certo la cronaca ci aiuta (o forse no), soprattutto qui in Italia, dove spesso, in tema di innovazione, si
fa un passo in avanti e due-tre indietro o nella migliore delle ipotesi due di lato come i gamberi,
come già ci aveva avvertito il grande e compianto Umberto Eco in un suo saggio di qualche anno fa.

Probabilmente è di questo tipo la notizia, salutata con un generale ed entusiastico consenso (chissà
perchè poi), che ha visto protagonista il Ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta,
che ha parlato della “fine dello smart working” per tutti i 3,2 milioni di dipendenti delle 30
mila amministrazioni pubbliche a partire dal 15 ottobre, buttando, come spesso si fa in Italia,
l’acqua sporca con tutto il bambino.

                   Scopri il nuovo numero: “#ripartItalia”
     La ripartenza è un tema quanto mai attuale. Dopo due anni di pandemia sentiamo il bisogno di
    lasciarci alle spalle questo lungo periodo complesso (tenendo quello che di buono c’è stato) e di
                               affacciarci con ottimismo al tempo che verrà.

Ancora più significativo e drammatico della marcia indietro sul lavoro agile, è il fenomeno delle
morti bianche (eufemismo quanto mai fuorviante), che ha visto negli ultimi due giorni, 28 e 29
settembre, 11 vittime! Un vero bollettino di guerra, per un problema iscrivibile a diversi fattori,
ma che vede nella mancanza di controlli e nella scarsa, se non assente, cultura aziendale quelli
principali. Un bilancio da incubo: 3 morti ogni giorno sul lavoro, per un totale di 677 vittime nei
primi sette mesi dell’anno, secondo gli ultimi dati sulle denunce presentate all’Inail. Forse anche
questo dato è uno di quelli da cui dover ripartire per rendere davvero il nostro Paese moderno ed
evoluto.

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Poi ci sarebbero le solite “beghe” politiche fomentate dalle imminenti elezioni amministrative, con
tutto il loro variopinto corollario di “urgenti questioni da affrontare subito” ed il sorprendente
(ma per chi poi?) risultato del Referendum per la liberalizzazione della Cannabis, che ha
raggiunto (mentre scrivo questo editoriale 30 settembre) le 650.000 firme con tutto il mese di
ottobre ancora valido per aderire. Un risultato ancora più importante in un paese dove il
“consumatore” è profondamente colpevolizzato da un sistema legislativo e giudiziario che lo
equipara ai criminali.

Insomma di cose da cui ripartire ce ne sarebbero, ma noi di Smart Marketing non saremmo noi se
non prendessimo ispirazione dal meglio che accade nella nostra Italia. Su tutto il resto si staglia
l’Italia sportiva, che da giugno non smette di sorprenderci con le vittorie ed i primati mondiali che
gli atleti normodotati e paralimpici hanno portato a casa. Dagli Europei di calcio, ai Campionati
europei di pallavolo maschile e femminile, passando per le medaglie ed i primati delle Olimpiadi e
Paralimpiadi, con la vittoria dei 100 metri di Marcell Jacobs (primo italiano nella storia, alle
Olimpiadi di Tokyo con il tempo di 9” e 80 centesimi lo scorso 1°agosto 2021), a rappresentare la
ciliegina sulla torta. Un primato, quello dei 100 metri, che ha ispirato anche l’arista di questo
numero, Domenico Velletri, che ha realizzato la bellissima copertina di questo “#ripartItalia
2021”.
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da Domenico Velletri.
Una vittoria, quest’ultima, ma anche dello sport in generale, che deve essere sprone per tutti noi
affinché, come i valori dello sport ci insegnano, dobbiamo perennemente superare i nostri limiti e
alzare le asticelle dei primati raggiunti, perché solo superando le prove “difficili” capiamo di che
pasta siamo fatti e miglioriamo noi stessi, come ebbe a dire il poeta Rainer Maria Rilke:

  Sappiamo poco, ma che il difficile è il nostro compito è una certezza che non ci deve abbandonare
                                                   mai.

Quindi non mi resta che augurarvi buona lettura e tante “prove difficili” e tanto coraggio
nell’affrontarle, sicuri che dopo sarete atleti migliori, professionisti più preparati ed uomini più
consapevoli, maturi ed evoluti: una versione 3.0 di voi stessi, cosa volere di più?

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

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