Tolo Tolo: gli Italiani davanti allo specchio.
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Tolo Tolo: gli Italiani davanti allo specchio. Nelle sale dal 1° gennaio 2020, l’ultimo film di Checco Zalone (del quale, per la prima volta, il noto attore comico è anche regista) è il campione indiscusso del Box Office, con un totale di € 39.193.464 di incasso e 5.587.955 presenze registrate all’11 gennaio. Ancora più significativo il successo se guardiamo al primo giorno di programmazione: infatti a Capodanno il film di Zalone è stato visto da 1.174.285 persone, incassando € 8.668.926 e diventando il maggior incasso di sempre nella storia del cinema nelle prime 24 ore. Frainteso, discusso e criticato ancora prima di uscire nelle sale, complice un videoclip promozionale sibilino, “Tolo Tolo” spadroneggia anche sui social: su Twitter l’hashtag #ToloTolo è uno di quelli che fa più tendenza, mentre su Instagram e Facebook si sprecano i post che commentano, criticano od esaltano il film. https://youtu.be/we1sS9EJt8w Noi di Smart Marketing, da sempre appassionati di cinema, vogliamo dire la nostra su quello che al di là delle opinioni che ciascuno di noi si può (e si deve) fare rimane il fenomeno, non solo cinematografico, di quest’inizio decennio. Per farvi sapere cosa ne pensiamo, dopo averlo visto (cosa che non tutti i commentatori hanno fatto), abbiamo scelto, in luogo della più classica recensione, la formula dei 5 buoni motivi per vedere Tolo Tolo. Ed allora cominciamo 1) La storia (soggetto e sceneggiatura) La sceneggiatura è nata dal sodalizio fra Checco Zalone e Paolo Virzì, che anzi, secondo indiscrezioni, ebbe l’idea iniziale del film e contattò il comico pugliese per lavorare insieme al soggetto. Lo script finale risente di entrambe le mani dei due autori, con i toni caustici ed irriverenti propri dello Zalone e con la poesia e lievità che contraddistinguono invece la cifra di Virzì. Il film parla della parabola discendente e del successivo riscatto di Pierfrancesco Zalone, strampalato imprenditore pugliese che dopo il fallimento del suo improbabile ristorante giapponese “Murgia&Sushi”, perseguitato da creditori e famigliari ridotti sul lastrico, scappa in Africa a lavorare in un lussuoso villaggio turistico in Kenya. Qui varie vicissitudini lo porteranno ad affrontare un viaggio a ritroso per tornare in occidente, durante il quale conoscerà la tragedia dei
uoum nn to risapso fem o rla msc,ig he rarà n,ti e .o rim gli )2 L e l o c a t i o n Il film Tolo Tolo è girato in diverse e suggestive location sparse principalmente fra la Puglia e l’Africa. Le location italiane, con l’eccezione di Roma, Trieste e Latina, sono tutte Pugliesi, cominciando da Spinazzola (dove è ambientato la primissima parte del film), Acquaviva delle Fonti, Bari, Gravina di Puglia, Minervino Murge, Monopoli, Poggiorsini e Torre Guaceto. Per quanto concerne le location africane gran parte delle riprese si sono svolte in Kenya e in Marocco. Il film fa della celebrazione del paesaggio naturale ed architettonico uno dei punti salienti della narrazione, infatti tutta la storia si svolge on the road: la strada, ma anche il mare, diventano il percorso lungo il quale matura la consapevolezza del personaggio di Zalone. Ma lungo questo percorso anche il budget è lievitato, il film, infatti, è costato oltre 20 milioni di euro.3) Il cast lg( i a t t o r i , i c a m m e i e le comparse)
Benché il film ruoti intorno alla figura di Zalone, il cast di cui si circonda l’attore/regista gira a meraviglia. Le scene in Africa sono sempre corali, girate in autentici villaggi, con gli attori presi per la maggior parte fra gli abitanti degli stessi. Fra i personaggi principali vanno ricordate le interpretazioni di Souleymane Sylla, che interpreta Oumar, l’amico di colore del protagonista appassionato di cinema e cultura italiana, quella di Manda Touré, la bellissima Idjaba, cameriera del resort dove lavora anche Zalone che ha perso la testa per lei, quella del piccolo Doudou, il giovanissimo Nassor Said Birya, molto naturale e a suo agio nelle riprese. Ma, oltre a queste vanno ricordate almeno altre due interpretazioni, quella dell’Avvocato Russo, impersonato dal sempre bravo Nicola Nocella, e quella di Luigi Gramegna, interpretato dal talentuoso Gianni D’Addario, che già avevamo apprezzato nel precedente film di Zalone “Quo Vado” e nel “Viva la sposa” di Ascanio Celestini, entrambi del 2015. Ma la vera chicca sono i cammei di alcuni volti noti e di vecchie glorie sia del piccolo che del grande schermo. Prima fra tutte la splendida Barbara Bouchet, che con i suoi 77 anni suonati è ancora un modello di stile ed eleganza, poi ci sono i due giornalisti Massimo Giletti e Enrico Mentana, nella parte di loro stessi in collegamento rispettivamente dagli studi di “Non è l’Arena” e del “TG La7”. Inoltre c’è il mitico Nicola Di Bari che interpreta l’arzillo Zio Nicola. Ma senza dubbio il più riuscito cammeo è quello di Nichi Vendola, che interpreta se stesso in un gustosissimo siparietto che non vi vogliamo svelare. 4 ) L ’ I r o n i a Diciamolo subito: dimenticatevi le grasse, e un po’ becere, risate a cui Zalone ci ha abituato con i suoi precedenti film. Certo, si ride, ma a denti stretti, e sempre con un misto di disagio e imbarazzo. Il film è pieno di trovate geniali, che prendono in giro tutto il costume dell’Italia di oggi. Dalla mania
per i ristoranti fusion, alla fissazione per i marchi dell’alta moda, fino all’ossessione per i prodotti di bellezza (la ricerca di una crema per le rughe sarà il vero tormentone del film). Ancora una volta siamo posti di fronte ad uno specchio e mentre intorno a noi imperversa una crisi umanitaria, la fame, addirittura la guerra, il personaggio di Zalone è preso da faccende futili e superficiali, la sua felicità come la nostra è dettata da ciò che possiede, da ciò che indossa o da ciò che usa per idratare la sua pelle. Il contrasto con le popolazioni locali è molto forte e stridente, i poveri migranti non hanno nulla di tutto questo, eppure durante il viaggio e nelle peggiori situazioni non perdono il sorriso, la voglia di cantare e di divertirsi.
5 ) C h e c c o Z a l o n e ( l ’ a t t o r e e i l r e g i s t a ) Ancora una volta Luca Medici (questo il vero nome di Checco Zalone) prende in giro i peggiori vizi italiani, in questo caso il razzismo, la mancanza di legalità, il non rispetto delle regole, l’esterofilia, ma pure l’ignoranza e l’atteggiamento radical chic. Molti commentatori hanno scomodato addirittura mostri sacri come Totò a cui paragonare il Zalone di quest’ultimo film. Ma, al di là di certi improbabili paragoni, il percorso cinematografico intrapreso dall’attore pugliese, prima con il regista Gennaro Nunziante e adesso da solo, ricorda, per molti versi e con tutti i giusti distinguo, il percorso di un altro gigante del nostro cinema, tale Alberto Sordi, soprattutto se ci
focalizziamo sui film girati dall’Albertone nazionale dopo il 1960. Lo so, il paragone è azzardato, ma nel comico pugliese rivedo lo stesso cinismo un po’ gigione, la stessa irriverente ironia sugli italici vizi, la prepotente presa in giro dell’ignoranza con cui Alberto Sordi ha tratteggiato i suoi personaggi più celebri ed indimenticabili. Ricordo molto bene tutte le polemiche intorno all’italiano medio interpretato da Sordi, che fu poco amato dalla critica e dagli intellettuali quando era in vita, a differenza del pubblico che invece lo adorava. Ebbene, lo ripeto ancora una volta, con tutte le differenze del caso, anche la parabola cinematografica di Checco Zalone mi pare stia subendo la stessa sorte. Fintanto che Zalone ha fatto il comico tutto andava bene, ma da quando ha deciso di cimentarsi con il cinema molti critici e commentatori hanno cominciato a storcere il naso, eppure nulla è cambiato nella ironia feroce o nelle imitazioni irriverenti con le quali il comico si era fatto conoscere, prima ancora che a Zelig, nei programmi comici di Telenorba (la stessa emittente, per dire, che ha lanciato le carriere di Toti e Tata, ovverosia Emilio Solfrizzi e Antonio Stornaiolo). Quindi in conclusione, cosa altro dirvi? A noi di Smart Marketing il film “Tolo Tolo” è piaciuto e vi consigliamo di andarlo a vedere, e se non vi sono bastati i 5 motivi sopra elencati ve ne diamo un altro, l’ultimo. Il film di Checco Zalone va visto perché l’italiano che mette in scena attraverso le vicissitudini del protagonista rappresenta la nostra cartina tornasole, il nostro specchio segreto, il nostro lato oscuro (ma non troppo). Durante il film ridiamo poco, perché il protagonista Pierfrancesco Zalone ci somiglia troppo, con la sua mania per le griffe, il suo finto buonismo, la sua smania di seguire i trend del momento, il suo fascismo di ritorno e la sua incapacità di apprezzare la tradizione, la semplicità e la bellezza. Checco Zalone sono io, sei tu, siamo noi, ed è per questo che quando usciamo dal cinema ci rendiamo conto che abbiamo riso meno di quanto pensavamo, che avvertiamo un certo disagio, quasi un fastidio, e che non possiamo fare a meno di dire la nostra opinione sul film, quasi a voler esorcizzare il momento catartico che stiamo vivendo. Un film, un buon film, prima ancora che intrattenerci, divertirci ed appassionarci, dovrebbe farci
riflettere, e in questo senso il film Tolo Tolo centra perfettamente l’obbiettivo. È impossibile infatti uscire dalla sala senza quella sensazione di amaro in bocca, le idee un po’ confuse e la voglia di capire perché il film inneschi questi strani effetti. La Copertina d’Artista – Simply the best 2019 Il busto di un uomo riempie totalmente lo spazio visivo della Copertina d’Artista di questo dicembre. È una strana prospettiva quella che ci offre l’artista di questo mese, DES, al secolo Giuseppe De Simone (classe 1968), volutamente ci nasconde la testa e quindi la faccia dell’uomo, quasi a voler impedire una qualsivoglia identificazione o riconoscimento. Ma, d’altra parte, l’artista ci offre una grande quantità di indizi per provare ad azzardare qualche ipotesi, se non sull’identità del nostro
protagonista, quantomeno sulla sua nazionalità. Per aiutarci, o forse confonderci, o entrambe le cose, DES utilizza la tecnica dell’assemblage,
componendo la sua opera con vari materiali, per lo più recuperati. Anche la scelta dei materiali non sembra casuale, il corpo del nostro soggetto è fatto di cartoni o carta pacco riciclata ed incollata su un supporto, riciclato anch’esso. Il colore e la consistenza del materiale scelto danno un effetto simile ad un collage, o meglio ad un “patchwork”. Il tutto alla fine sembra il corpo asciutto di un immigrato segnato dalla fatica, dalla fame e dalle cicatrici. L ’ a r t i s t a d i q u esto numero: DES, Giuseppe De Simone. Ma, ancora più emblematici, anche se non chiarificatori, sono gli altri elementi che l’artista inserisce sul suo assemblage, primo fra tutti il grande cuore di pezza letteralmente graffettato sul corpo del nostro protagonista, che, non tanto per forma, ma per tipologia e materiali, ricorda in maniera impressionante le stelle gialle di pezza che i nazisti cucivano sui pigiami degli Ebrei nei campi di concentramento. In alto, sulla sinistra del cuore (a destra per chi guarda l’opera), è attaccata la silhouette di un angioletto, un amorino forse, che suona la tromba; ed anche qui la scelta operata dall’artista è interpretabile in maniere differenti, l’angioletto può essere portatore di buone novelle, ma può anche essere l’angelo dell’apocalisse che suona la sua tromba e preannuncia la fine del Mondo. Sul collo del soggetto è collocata una collana, anche questa fatta con materiali poveri: il ciondolo sembra una sorta di esca sintetica per la pesca e la collanina sembra quella dei tappi dei lavandini. Infine, il supporto usato dal nostro artista è una tavola sul cui sfondo risaltano i simboli internazionali del riciclo, con un omino stilizzato che butta i rifiuti ed il n° 6 all’interno di un triangolo di frecce. La domanda, allora, come sempre, è: cosa vuole dirci l’artista??? Forse vuole dirci che non importa la nazionalità del nostro protagonista, non conta la sua identità, conta solamente la sua condizione, la sua umanità, conta solo l’amore con cui noi spettatori guardiamo quest’immagine. Sì, forse la risposta al significato dell’opera è l’amore, quell’amore universale ed incondizionato che dobbiamo ad ogni nostro simile, ad ogni essere umano. Sì, forse la risposta, l’unica possibile, alla domanda posta sopra è l’amore, quello con la “A” maiuscola, l’Amore
Supremo che è anche il titolo scelto per l’opera da DES. Forse, azzardando ancora di più la nostra interpretazione, l’opera di Giuseppe De Simone è uno specchio, o meglio uno di quei pupazzi di cartone o plastica che si trovano nei parchi divertimenti, quelli usati per farsi le fotografie e che sono il corpo di questo o quel personaggio dei cartoni animati o dei fumetti, ma senza testa, in maniera che chiunque voglia farsi una foto possa mettere la sua faccia al posto di quella del pupazzo stesso. Scopri il nuovo numero > Simply the best Allora chissà, il messaggio ultimo che l’opera “Amore Supremo” di DES vuole darci è che l’altro, chiunque sia, l’altro sono io, sei tu, l’altro siamo noi. M a d e i n i t a l y , 2 0 1 5 . DES, Giuseppe De Simone nasce a Cosenza nel 1968, ma vive e opera a Taranto. Artista autodidatta dotato di un potente talento visionario, si interessa fin da giovanissimo all’arte, di cui esplora tutti gli stili, le tecniche ed i linguaggi, passando agevolmente dalla scultura alla pittura e all’assemblage. Le sue opere manifestano il suo eclettico girovagare fra stili e forme, la sua ricerca è una sintesi armoniosa di contrasti, le sue opere che richiamano sia la Pop art, sia il Dada, sia l’Arte povera, sono filosofiche dichiarazioni dell’ambivalenza insita nell’uomo: profondità ed elevazione, luce ed ombra, movimento e immobilità, bene e male.
Per informazioni e per contattare l’artista DES – Giuseppe De Simone: redazione@smarknews.itemail umanodisumano68@gmail.com FACEBOOK facebook.com/giuseppe de simone uomo luce Ricordiamo agli artisti interessati che è possibile candidarsi alla Copertina d’Artista scrivendo alla nostra redazione: redazione@smarknews.it Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Simply the best – L’editoriale di Raffaello Castellano Cosa rimarrà di questo secondo decennio del nuovo secolo?
Quali sono le parole che nel 2019, e negli ultimi anni, sono diventate il bagaglio o il fardello di noi viaggiatori del terzo millennio? Sono diverse le parole che ci hanno accompagnato, rintronato e confuso nei secondi anni ‘10 del 2000. Fra le tante: immigrazione, terrorismo, Brexit, Trump, ecosistema, riscaldamento climatico, antropocene, violenza di genere, fake news, pseudoscienza, innovazione, intelligenza artificiale, Marte, etc., etc.. Per ognuna di esse c’è una definizione, ma innumerevoli spiegazioni o cause, molte delle quali controverse e ancora dibattute. Secondo me sono almeno tre le parole a cui prestare più attenzione: fake news, riscaldamento climatico e intelligenza artificiale; state pur certi che intorno a questi tre concetti si giocheranno le sorti del nostro futuro sia come individui che come specie. A ben vedere tutte e tre queste parole sono legate al progresso e all’innovazione tecnologica che negli ultimi 20 anni ha fatto passi da gigante, correndo all’impazzata e lasciandoci spesso indietro ad arrancare. Inoltre, ognuno dei termini che ho scelto è collegato a molti altri della lista e di altre liste; prendete ad esempio “riscaldamento climatico”: da essa derivano parole come terrorismo, immigrazione ed ecosistema. F o t o d i F r e e - P h o t o s d a Pixabay Insomma il prossimo anno ed il prossimo decennio che si stanno per aprire rappresenteranno per tutti noi abitanti della terra sia un problema che un’opportunità. Dovremo, come in ogni aspetto della vita, operare delle scelte dalle quali dipenderanno e deriveranno conseguenze più o meno gravi e profonde che adesso possiamo solo immaginare.
Scopri il nuovo numero > Simply the best Molte di queste parole sono state l’argomento delle nostre uscite mensili, infatti dal maggio del 2014, cioè da quasi 6 anni, il nostro magazine è on line ogni fine mese con un argomento sempre diverso, che pesca sia dalle tematiche della nostra mission, come comunicazione, marketing, social media, economia, innovazione, nuove tecnologie, sia da quelle di più stringente attualità. Permettetemi di dire che, in un mercato editoriale dove la maggior parte dei giornali chiude, anche sul web, il fatto che da 5 anni e mezzo, dopo 68 numeri e più di 1000 articoli pubblicati (all’uscita di questo numero) noi altri si guardi al futuro con speranza e coraggio è un fatto non solo positivo ma estremamente raro. Quest’anno, insieme all’amico e collega Ivan Zorico ed ad un manipolo di irriducibili collaboratori vogliamo non solo continuare a fare le cose già fatte, e che i nostri lettori hanno dimostrato di apprezzare, ma vogliamo lanciarci in nuove sfide e cogliere altre opportunità. F o t o d i A r e k S o c h a da Pixabay Abbiamo cominciato già da qualche mese con la prima delle novità, la rubrica video “Il sonno della Ragione”, che vede impegnati da una parte il sottoscritto e il nostro storico collaboratore Armando De Vincentiis, dall’altra lo stesso Ivan Zorico che si occupa di tutti gli aspetti legati alla postproduzione, alla grafica e al montaggio. La nuova rubrica rappresenta l’occasione per il nostro magazine di intercettare nuovi “lettori” sul canale You Tube e, soprattutto, di gettare uno sguardo fresco, nuovo e sopratutto rigoroso su tutto quel mondo che va sotto il nome di “pseudoscienza”. Ancora più impegnativa sarà la sfida che ci accingiamo a intraprendere nei prossimi mesi: dopo 5 anni e mezzo di storia il nostro magazine e l’Associazione Culturale Smart Media che lo edita hanno deciso di aprire il “settore formazione”, promuovendo attraverso il know-how dei suoi collaboratori una serie di corsi sulle tematiche più attinenti alla nostra filosofia. Insomma, per tornare al principio di questo editoriale e per chiudere il cerchio delle mie considerazioni, cosa ci dobbiamo aspettare dal nuovo decennio?
F o t o d i G e r d A l t m a n n d a Pixabay Credo che il futuro, il nostro “comune futuro” sia, nonostante i pericoli e le insidie, pieno di possibilità ed opportunità, credo che il nostro futuro sia quanto mai aperto, come ci ha ricordato già il secolo scorso il filosofo austriaco Karl Raimund Popper: “Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte.” Buona lettura, buon anno e buona vita a tutti voi. Raffaello Castellano Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome
Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Gli imperdibili: i 5 film di Natale che dovete assolutamente vedere Come molti sanno il Natale è il periodo più importante per l’industria cinematografica: tutta la filiera è in fermento, dai produttori ai distributori, dagli esercenti fino agli spettatori finali. Infatti le uscite e le anteprime più importanti, sia italiane che mondiali, vengono programmate proprio in questo magico periodo. Anche i network televisivi ripropongono grandi classici e prime visioni a tema natalizio da metà novembre ai primi di gennaio; i dati di ascolto infatti hanno un’impennata proprio in questo periodo, in virtù del fatto che il freddo e la voglia di riunirsi con la famiglia e/o gli amici per serate di gioco e cene porta molta gente a rimanere a casa, dove i televisori rimangono sempre accesi. Negli anni molte pellicole sono diventate degli autentici tormentoni natalizi, e risulta alquanto difficile stilare una lista dei migliori 5 film da vedere assolutamente, nondimeno vogliamo provarci lo stesso, spaziando fra quelli che a noi di Smart Marketing sono rimasti nel cuore e cercando di prendere in considerazione quanti più generi possibili, nonostante sia la commedia a farla da padrona. Cominciamo allora! 1°) Una poltrona per due (di John Landis, USA, 1983) Per chi ha tra i trenta è i quarantacinque anni è senza dubbio questo il film natalizio più famoso e atteso di sempre. Il film narra le vicende di due personaggi agli antipodi nell’America reaganiana, il ricco agente di borsa Louis Winthorpe III, dai modi altezzosi, e Billie Ray Valentine, un senzatetto, imbroglione ed insolente, che a seguito di una scommessa dei fratelli Mortimer e Randolph Duke (datori di lavoro di Winthorpe) si vedranno scambiate le loro vite con risvolti, come si può intuire, davvero esilaranti. Nei ruoli dei due protagonisti troviamo i due brillanti attori Dan Aykroyd (Louis Winthorpe III) e Eddie Murphy (Billie Ray Valentine) perfettamente calati nelle parti e in piena sintonia.
In principio i due protagonisti dovevano essere rispettivamente Gene Wilder e Richard Pryor, con quest’ultimo che dovette rifiutare per un serio incidente. Fu allora che gli sceneggiatori e il regista presero in considerazione l’astro nascente Eddie Murphy che, ottenuta la parte, fece pressione affinché il ruolo di Winthorpe fosse dato ad un altro attore per non essere considerato il rimpiazzo di Pryor, in quel sodalizio artistico che si andava consolidando fra la coppia Wilder-Pryor. Si ride molto, ma il film è in controluce una critica abbastanza caustica, per non dire feroce, all’America degli yuppies, arrivista, cinica e spietata sotto la presidenza di Ronald Reagan. Il film è diventato un classico natalizio soprattutto in Italia, complice sia l’ambientazione della pellicola stessa, sia soprattutto a causa della consuetudine di inserire il film nei palinsesti delle feste natalizie fin dal 1989. Dal 1997 “Una poltrona per due”, viene trasmesso regolarmente su Italia1 la sera della vigilia. Se volete sapere altre curiosità qui trovate la nostra recensione. 2) The Family Man (di Brett Ratner, USA, 2000) Il film racconta le vicende di Jack Campbell, uno squalo di Wall Street che vive in un attico a New York, frequenta bellissime modelle e guida una Ferrari. Il giorno di Natale, dopo aver sventato una sorta di rapina in un negozio di alimentari la sera della vigilia, a Jack viene offerta la possibilità di vedere cosa sarebbe stata la sua vita se, 13 anni prima, invece di andare a studiare economia a Londra fosse rimasto con la sua fidanzata Kate Reynolds. Il 25 dicembre, in effetti, Jack Campbell si risveglia nel letto, in una casa della periferia nel New Jersey, con affianco la moglie Kate e due figli. Jack scoprirà che il suo gesto altruistico della vigilia gli ha permesso di dare un’occhiatina a come sarebbe stata la sua vita se non avesse sacrificato tutto per il successo ed il potere. Il film da una parte rilegge e riscrive il classico “Canto di Natale” di Charles Dickens e dall’altra si ispira per atmosfere e tematica di fondo al superclassico “La vita è meravigliosa” di Frank Capra, che dal 1946 è il vero capostipite dei tormentoni di Natale. Perfetti i due attori protagonisti, con un Nicolas Cage che interpreta un Jack Campbell prima cinico e poi stralunato e un po’ goffo e la splendida Téa Leoni che interpreta una Kate Reynolds forte ed appassionata. Sì, il film è una favola un po’ melensa e buonista, ma in realtà parla di seconde occasioni e dei bivi che incontriamo sul percorso delle nostre vite. Seconde occasioni e strade che non sempre cogliamo e percorriamo, e allora ben venga un film come questo, che a Natale ci ricorda che una famiglia è meglio di una Ferrari e che l’amore è l’unico traguardo a cui dovremmo ambire. Se volete sapere altre curiosità qui trovate la nostra recensione. 3) La Vita è meravigliosa (di Frank Capra, USA, 1946) Lo abbiamo appena citato, ed eccolo qui il più classico fra i classici di Natale: La Vita è meravigliosa racconta di George Bailey, un uomo generoso ed altruista, che per aiutare gli altri, famigliari, amici e comunità, ha rinunciato ai suoi sogni e che la sera della vigilia di Natale, in previsione del fallimento della sua piccola società per debiti non onorati, decide di farla finita gettandosi da un ponte. Nevica copiosamente, fa molto freddo e George è ubriaco e disperato, ma proprio mentre si sta per gettare nel fiume un uomo, un certo Clarence, si butta in acqua prima di lui, costringendo il nostro protagonista a gettarsi a sua volta per salvarlo. Una volta scampato il pericolo si scoprirà che Clarence è un angelo custode di 2° classe (ancora senza ali) che è stato
inviato sulla terra per impedire a George di suicidarsi e mostragli che cosa sarebbe stata la vita delle persone a lui care se lui non fosse mai esistito. Insomma, Clarence offre a George una sbirciatina in un mondo alternativo, dove il nostro protagonista scopre come le sue innumerevoli buone azioni e i suoi sacrifici per gli altri hanno plasmato la vita delle persone a lui care, rendendole esseri umani migliori. Insomma, si rende conto di come tutti e tutto siano collegati ed interdipendenti e quanto la sua vita sia stata significativa. Il film è diretto da uno dei massimi registi della Hollywood dei tempi d’oro, Frank Capra, che con i suoi film ispiratori ha plasmato, più di qualunque altro regista, quell’american way of life fatto di ottimismo, fiducia, speranza e voglia di riscatto, in un periodo fra gli anni ’30 e ’40 del secolo scorso in cui l’America cercava di riprendersi dalla grande depressione. I protagonisti sono una delle coppie d’oro del cinema classico, James Stewart (nei panni di George Bailey) e Donna Reed (nei panni di Mary Hatch Bailey), con l’angelo di seconda classe Clarence interpretato da un Henry Travers, neanche a dirlo, in stato di grazia. Il film riceverà 5 candidature agli Oscar e il suo impatto culturale sarà immenso. Due esempi fra i tanti possibili: l’Enciclopedia Britannica ha inserito questo film fra i sinonimi della parola Natale; nel 1987 un giudice della Florida ordinò la visione del film, come parte della pena, ad un imputato che aveva ucciso la moglie gravemente malata e aveva tentato poi il suicidio. Un film da vedere e rivedere, che pone al centro del suo sguardo la sacralità dell’individuo. 4) Babbo bastardo (di Terry Zwigoff, USA-Germania, 2003) Qui siamo di fronte ad un film sul Natale sui generis e politicamente scorretto. La pellicola narra della coppia di ladri specializzati nel derubare centri commerciali il giorno di Natale, facendosi assumere come Babbo Natale ed elfo. Marcus (l’attore Tony Cox) è affetto da nanismo ed è il basista della squadra e naturalmente l’elfo; Willie (uno straordinario Billy Bob Thornton) invece interpreta un Babbo Natale con gravi problemi di alcolismo. Decisi a svaligiare l’ennesimo centro commerciale, i due balordi, fattisi assumere, cominciano a studiare planimetrie, orari e abitudini degli altri impiegati. Le cose prendono una piega diversa quando un giorno, fra i bambini venuti ad incontrare Babbo Natale, arriva Thurman Merman (l’attore Brett Kelly), ingenuo, credulone e con problemi di obesità, che instaurerà con Babbo Natale (credendolo vero) un rapporto che piano piano diverrà autentico e trasformerà, in meglio, entrambi i protagonisti. Il film dapprima prende in giro il buonismo tipicamente natalizio, ma poi mette in scena la trasformazione, anzi l’evoluzione dei due protagonisti, che imparano ad affrontare le sfide della vita o i propri demoni interiori attraverso una vera amicizia. All’inizio il ruolo di Babbo Natale doveva essere affidato a Bill Murray, che non poté accettare perché aveva firmato il contratto per Lost in Translation. Il ruolo da protagonista fu poi offerto a Jack Nicholson che, benché interessato, dovette rifiutare sempre per problemi di lavoro. Billy Bob Thornton regalerà al personaggio un carattere cinico, disincantato e perfido al punto giusto, che farà la fortuna del film e darà una decisa impennata alla sua carriera. Il lungometraggio merita una visione proprio in virtù della sua originalità, una commedia nera che rappresenta quasi un unicum nel settore delle pellicole natalizie: si ride tanto e si riflette abbastanza, cosa volere di più da un film?
5) Nightmare Before Christmas (di Henry Selick e Tim Burton, USA, 1993) Anche qui siamo di fronte ad un grande classico. Questo film di animazione in stop motion è nato dalla mente geniale di Tim Burton quando ancora lavorava come animatore per la Disney. Burton disse che l’idea per il soggetto gli venne un giorno, quando vide un negoziante, all’approssimarsi delle festività natalizie, che rimuoveva le decorazioni di Halloween per fare spazio a quelle di Natale. Fu in quel momento che prese forma il soggetto di un film che combinasse entrambe le festività. All’inizio la storia divenne una poesia illustrata che l’autore propose alla Disney, che la rifiutò a causa dei temi e dei toni decisamente dark che non si ritennero adatti ad un pubblico di bambini. Dopo il successo di pellicole come Edward mani di forbice (1990) e Batman – Il ritorno (1992), Burton rimise mani al progetto di Nightmare Before Christmas, affidando la regia al suo amico e socio Henry Selick, che girò il film con l’intento di realizzare un classico di Natale. La storia narrata è quella del paese immaginario di Halloween, dove risiedono tutti i mostri della festività. Questo paese è governato dal re delle zucche, Jack Skeletron, uno scheletro alto due metri con la testa a forma di zucca trapuntata, il cui compito principale è organizzare ogni anno la festa di Halloween. Negli ultimi tempi però Jack è stanco ed annoiato di organizzare sempre la stessa festa e di seguire lo stesso copione ed un giorno si imbatte per caso in un portale che lo trasporta in un altro mondo, il nostro, dove vede gli esseri umani intenti ai preparativi per le feste di Natale. Jack rimane folgorato dal clima e dallo spirito natalizio e, tornato nel suo mondo, decide di organizzare insieme a tutti i suoi abitanti la prima festa di Natale nel paese di Halloween. Ovviamente i risultati saranno comici e del tutto imprevedibili. Il film fu un ottimo successo di botteghino sia nel mercato statunitense che nel resto del mondo e, da allora, è diventato un classico dei palinsesti natalizi, registrando sempre ottimi indici d’ascolto ad ogni passaggio televisivo. Il film merita di essere visto perché miscela grottesco e poesia, toni dark e buoni sentimenti, in perfetto stile burtoniano. Questi 5 sono secondo noi i film natalizi che dovete assolutamente vedere: certo nella lista mancano tanti altri classici del Natale, ma, si sa, ogni lista è, per forza di cose, una sintesi e qualche volta rimangono fuori grandi capolavori. Noi di Smart Marketing vi abbiamo proposto un elenco che contiene: l’immancabile tormentone (Una poltrona per due); la storia natalizia che mette in scena il dualismo avere o essere (The Family Man); il classico di Natale per antonomasia (La vita è meravigliosa); la storia più politicamente scorretta e sui generis sul Natale (Babbo bastardo); uno dei più originali e magici film di animazione a tema natalizio (Nightmare Before Christmas).
E voi? Quale è la vostra top 5? Quale è il film di Natale che vi ha fatto sognare, tornare bambini e divertito? Fatecelo sapere. Il Natale che verrà – L’editoriale di Raffaello Castellano Con il 29 novembre, e l’arrivo del Black Friday, possiamo dire anche noi che il Natale 2019 è veramente iniziato. Anche se, a dire il vero, sono settimane che, sulla scia delle grandi compagnie di e-commerce, molte catene di supermercati, abbigliamento, elettronica, etc., ci bombardano con campagne promozionali incentrate sul Black Friday. Insomma, una ricorrenza tutta americana, che segue il Giorno del Ringraziamento (l’ultimo giovedì di novembre), che ha attecchito nel nostro paese da poco più di 10 anni ed è diventata popolare da meno di 4, sta trasformando la ricorrenza del Natale in un appuntamento sempre più connotato dal consumismo più sfrenato. Il tutto a scapito di quella ricerca di spiritualità, vicinanza, comunione, condivisione e amore che il Natale dovrebbe innescare e favorire in tutti noi. Allora, cosa vuol dire? Che la nostra vita è oramai segnata, che anche queste feste natalizie 2019 saranno l’occasione per riempire le nostre pance senza ritegno, stordirci con brindisi pantagruelici, svuotare i nostri portafogli e riempire i conti in banca delle solite multinazionali? Purtroppo ho paura di si! E credo, onestamente, che a nulla serviranno i consigli alla moderazione, gli inviti ad uno stile di vita più austero o gli appelli alla ricerca di spiritualità, comunione e condivisione. Infatti, se volete vedere la vittoria più schiacciante che il consumismo più sfrenato ottiene sui valori più autentici dell’uomo, allora dovete volgere lo sguardo proprio al periodo natalizio.
F o t o d i В и к т о р и я Б о р о д инова da Pixabay Mai come in questo periodo dell’anno la pubblicità, i negozi, i brand, le vetrine, le luci e tutto il resto della scenografia operano per dimostraci che la “felicità” non sia qualcosa che vada ricercato, attratto, scoperto o costruito; no, la felicità è qualcosa che posso acquistare alla modica cifra che le mie finanze mi possono consentire. La felicità un tanto al chilo insomma, più o meno cara, a seconda delle mie disponibilità finanziarie, una felicità prêt à porter, d’alta gamma o super lusso, tutto comodamente a portata del mio smartphone e del mio conto in banca. Inutile dire che questa felicità è effimera, illusoria e, quando non è amara, quantomeno di sicuro è salatissima. Ma chi mi conosce sa bene quanto sia testardo, quindi io non mi arrendo e, benché sia consapevole che i miei consigli rimarranno per lo più inascoltati, ve li voglio dare lo stesso. Saranno pochi e semplici, ma come tutte le cose semplici saranno i più difficili da mettere in pratica. Consiglio n°1: approfittate del Natale per riunirvi con la vostra famiglia, quella di sangue, quella nucleare, quella allargata, quella degli amici o quella della vostra comunità, non importa, ma circondatevi delle persone che amate, sono loro il regalo più grande che farete quest’anno e il più grande che riceverete. Consiglio n°2: fate i vostri regali con il cuore, non con i vostri portafogli, cercate di ricordare quanto era bello quando eravate bambini e confezionavate i regali per la mamma e il papà a scuola con le maestre. Si, sto parlando di quegli orribili centrotavola o svuota tasche fatti con le mollette o le stecche dei gelati.
Erano bruttini, ma per i vostri genitori, e per voi, erano la misura più grande che il vostro amore poteva colmare, erano strutture fragili, ma contenevano tutto il vostro cuore. F o t o d i A l e x a s _ F o t os da Pixabay Consiglio n° 3: se proprio dovete acquistare degli oggetti, fatelo con attenzione, non comprate d’impulso ma con la testa, ricordate che il vostro cervello contiene, con buona pace di Google, ancora l’algoritmo più complesso del Mondo. E soprattutto ricordate che le commesse ed i commessi dei negozi sono esseri umani come voi, rispettateli e trattateli con gentilezza; questo mese di shopping sfrenato esaurisce non solo i vostri conti ma anche la loro pazienza. Consiglio n°4: approfittate delle feste per miglioravi umanamente, fate esperienze nuove, la settimana bianca è out, impegnatevi in una qualche opera sociale: servire il pasto ad una mensa dei poveri potrebbe essere l’esperienza più significativa e trascendentale della vostra vita. Insomma, se donerete voi stessi quello sì che sarà un regalo vero ed originale. Consiglio n°5: in ultimo, le feste natalizie possono essere l’occasione per accrescere i propri orizzonti culturali, approfittate di film, libri, teatro e musica a più non posso, e osate, non battete sempre gli stessi sentieri, non abbiate paura, il viaggio di scoperta, quello vero, comincia quando vi siete persi e cercate la strada per tornare a casa. Perché ciò che in definitiva vi fa crescere, maturare, migliorare ed evolvere è il viaggio stesso. Cosa altro dirvi, se non augurarvi buona lettura con i nostri articoli e Buone Feste di vero cuore? Raffaello Castellano
Good Bye, Lenin! Lo straordinario film di Wolfgang Becker torna al cinema per il 30ennale della caduta del Muro di Berlino grazie alla Satine Film Ci sono film che segnano indelebilmente il nostro immaginario, si fissano nella nostra memoria come i ricordi, quelli dolorosi, che anche volendo non riusciamo a scordare, diventando veri e propri tatuaggi emotivi che incidono la nostra viva carne e raccontano di amori passati, perduti e, qualche volta, ritrovati. “Good Bye, Lenin!”, lo straordinario film di Wolfgang Becker del 2003, è uno di questi. La storia di amore fra una madre e un figlio che racconta è senza tempo, il momento storico in cui è ambientato è unico ed irripetibile (la Germania divisa alla vigilia della caduta del Muro il 9 novembre
1989), il cast magistrale e perfettamente calato nei rispettivi ruoli. Un film indimenticabile, almeno per chi scrive, che, come molte chicche, ha scoperto qualche anno fa, per caso, durante la programmazione di una terza serata televisiva, in una notte dalle ore piccole
ma dalle grandi emozioni. La storia del film è originalissima e parla di Christiane Krener (la brava ed intensa Katrin Sass), fervente sostenitrice ed attivista del socialismo e della DDR (Repubblica Democratica Tedesca), e di suo figlio Alex (il bravissimo ed ispirato Daniel Brϋhl), che invece appartiene a quella maggioranza della popolazione, composta soprattutto da giovani, che è ormai insofferente verso il logoro regime che tiene le redini del Paese fin dal 2° dopoguerra. Tutto si complica quando la sera del 7 ottobre 1989, due giorni prima della caduta del Muro, mentre Christiane si reca in auto ad un ricevimento ufficiale in occasione dei festeggiamenti per i quarant’anni della DDR, la sua vettura viene costretta a fermarsi da un corteo di dimostranti contro il regime, fra cui c’è anche Alex. La vista del figlio fra i manifestati procura a Christiane un infarto e un conseguente coma che la farà risvegliare 8 mesi dopo, in un Paese profondamente cambiato. La sua salute è cagionevole e qualunque stress può causarle un altro infarto, questa volta fatale, spiega ad Alex e a sua sorella Ariane (l’attrice Maria Simon) un solerte dottore, quindi una lunga degenza a letto e la mancanza di forti emozioni sono le uniche cose che possono prolungare la vita della madre. È a questo punto che Alex ha l’idea di ricostruire nella stanza da letto della madre un pezzo della Repubblica Democratica Tedesca, ricreando arredi, comprando prodotti ed addirittura filmando finti telegiornali della Germania dell’Est, coinvolgendo in questa grande pantomima dapprima la sorella e un suo giovane collega di lavoro ed appassionato di cinema, Denis (l’attore Florian Lukas), ma poi sempre più vicini ed amici, tutto per non far conoscere la verità alla madre, che probabilmente ne morirebbe. Fin qui la trama, della quale non vogliamo raccontarvi più niente per non togliervi il gusto di vedere il film. E non recuperando il dvd, che per altro in italiano non c’è, perché il film è tornato nelle sale
italiane dai primi giorni di novembre. Questa voglia di revival non riguarda solo questo film ed è legato all’anniversario per i 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino, e nei cinema stanno tornando molte pellicole che parlano della Germania divisa in due blocchi contrapposti, cult veri e propri come: “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders, “Le vite degli altri” di Florian Henckel von Donnersmarck e appunto “Good Bye, Lenin!”, quest’ultimo grazie all’italiana Satine Film di Claudia Bedogni. La titolare della Satine Film fu l’artefice, nel 2003, quando lavorava per Levi film, della prima distribuzione nelle sale italiane di “Good Bye, Lenin!”, che aveva visto al Festival di Berlino di quell’anno. Raggiunta al telefono, Claudia Bedogni ci ha raccontato dell’amore per questa pellicola e della volontà, dopo 30 anni, di riproporre il film nelle sale in una versione rimasterizzata in digitale, ma ci ha anche raccontato della sua delusione per il mancato interessamento da parte delle televisioni e di una parte degli esercenti dei cinema, soprattutto del sud Italia: in Puglia, ad esempio, il film è disponibile solo in pochissime sale, fra cui Bari, Santeramo in Colle ed Ostuni (a Taranto e
provincia, nessuna sala proietterà questo film). “Good Bye, Lenin!” è tuttora uno dei maggiori successi della cinematografia tedesca: costato 4 800 000 euro, il film ha incassato nel mondo 75 320 680 dollari, oltre ad aver ricevuto diversi riconoscimenti, tra cui 3 European Film Awards, il Premio l’Angelo Azzurro del Festival del cinema di Berlino, il Premio César come Miglior film dell’Unione Europea, il Premio Goya come Miglior film europeo, oltre a numerose altre nomination in Festival e Concorsi internazionali. Cosa altro dire di questo film che, se proiettato nella vostra città (qui trovate la lista aggiornata), vi consigliamo vivamente di andare a vedere? Almeno tre cose: La prima, il film è pieno di citazioni di grandi capolavori del cinema che non vi sveliamo e vi sfidiamo a scovare. La seconda, la colonna sonora del film è opera del talentuoso compositore francese Yann Tiersen (già autore delle musiche de “Il favoloso mondo di Amélie”), tra cui spicca la struggente “Summer
‘78”, tema del film stesso. La terza, il film è una delle più belle e riuscite rappresentazioni dell’Ostalgie, il fenomeno sviluppatosi nei primi anni ’90 e che indica il sentimento nostalgico che colpì i cittadini della Germania Orientale a seguito della scomparsa della DDR. Fatevi un regalo, concedetevi questa visione, ne varrà la pena, sarà una maniera originale di celebrare il 30ennale della Caduta del Muro di Berlino e, ci scommetto, una dei più bei film che vedrete in questa ricca stagione. Generazione Z – L’editoriale di Raffaello Castellano
Li abbiamo dispregiati in tutti i modi chiamandoli fanulloni, ignoranti e più recentemente webeti e gretini. Ma se i giovanissimi, i nativi digitali, la Generazione Z, quelli nati dal 1995 al 2010 fossero non solo una risorsa fondamentale ma, addirittura l’unica speranza per la sopravvivenza dell’umanità? Forse vi sembro troppo apocalittico, ma sono sicuro che questa generazione rappresenti la sola ed unica possibilità di svolta che ci resta. I giovanissimi di oggi saranno entro il 2025-2030 non solo il più vasto gruppo di consumatori, ma anche il 30% della forza lavoro del mondo e basta sentirli parlare fra loro per rendersi conto di quanto questa generazione sia ben consapevole della realtà che la circonda. Sono nati in un mondo iperconnesso, utilizzano in media 5 dispositivi elettronici, sono molto sensibili verso le problematiche ambientali (vedi il fenomeno innescato da Greta Thunberg), estremamente mobili e pronti a spostarsi in altre nazioni sia per studio che lavoro, sono estremamente aperti verso le questioni di genere, hanno uno spiccato spirito imprenditoriale, sono consumatori attenti ed informati, ed hanno dimestichezza naturale verso tutte le nuove tecnologie. F o t o d i c h e r y l t 2 3 d a P i xabay
Insomma, sono tutto ciò che noi 40-45enni, nati fra il 1960 ed il 1980, la cosiddetta Generazione X, non siamo: razzisti, omofobi, attaccati al posto fisso, pantofolai, un po’ mammoni, poco avvezzi alle nuove tecnologie, patologicamente legati alla nostra terra di origine, con uno scarsissimo rispetto dell’ambiente e dei beni comuni. Eppure, quando si decide la nuova linea politica di un paese, di una regione, di una nazione, siamo noi 45enni e la generazione precedente, i baby boomer, gente che per intenderci ha più di 65 anni, a decidere le elezioni e la linea politica. Prendiamo il caso dell’Italia, uno dei Paesi più vecchi d’Europa: ebbene, oggi il peso politico degli elettori italiani ultra 65enni rappresenta più del 26% e incentiva politiche a breve termine, che penalizzano i Millennials e la Generazione Z. Allora, una delle prime cose che questo governo giallo/rosso dovrebbe fare è quello di abbassare l’età per votare, consentendo anche ai 16enni di farlo. La proposta è stata formulata a fine settembre, dall’ ex premier, oggi professore dell’Istituto di Studi politici di Parigi, Enrico Letta, e riportata e commentata dai principali quotidiani ed organi d’informazione. F o t o d i S a s i n T i p c h a i d a Pixabay Insomma, la nostra visione corta e appannata, le nostre politiche dal fiato corto, il nostro incespicare incerto e la nostra apatia sono solamente i sintomi dell’età, lasciare davvero spazio ai giovani, lasciandoli votare a 16 anni, può essere un primo passo concreto verso un ricambio generazionale che serve al nostro Paese in primis, ma anche all’Europa ed al Mondo. Scopri il nuovo numero > Generazione Z Il gap fra le generazioni è sempre esistito e continuerà anche in futuro, ma un contrasto può essere costruttivo e fecondo per tutti gli attori coinvolti, vecchi, giovani e giovanissimi.
Tutto quello che oggi diamo per assodato e culturalmente accettato, il rock, il punk, l’hip-hop, il graffitismo, l’arte pop, la minigonna, i capelli rasta, etc. etc. prima di diventare mainstream erano controcultura, erano il gesto di ribellione, alle volte anche violento, delle nuove generazioni per andare contro il sistema, i valori e la cultura dei propri padri e inventare nuove rotte, nuovi percorsi, nuove coordinate, per scoprire l’isola che non c’è, ma che si sapeva esisteva. F o t o d i S a s i n T i p c h a i d a Pixabay L’utopia non appartiene alle vecchie generazioni, ma alle nuove, saranno le nuove generazioni Millennials e Generazione Z quelle che inventeranno, edificheranno ed abiteranno il futuro, al quale noi potremo contribuire al massimo con la nostra saggezza ed esperienza, le uniche cose che possiamo e dobbiamo condividere con i nostri figli e nipoti. Buona lettura. Raffaello Castellano Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Stai tranquillo, anche noi odiamo lo spam!
Da noi riceverai SOLO UNA EMAIL AL MESE, in concomitanza con l’uscita del nuovo numero del mensile. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Il documentario “Tony Driver” di Ascanio Petrini chiude la Settimana Internazionale della Critica al Teatro Fusco di Taranto Ultima giornata di proiezioni al Teatro Fusco di Taranto della SIC – Settimana Internazionale della Critica, curata da Gemma Lanzo. Sette giorni che hanno permesso ad un pubblico, che è cresciuto di serata in serata (e che, durante la giornata conclusiva, contava oltre 100 presenze), di ritrovare voglia di esplorare, attraverso filmografie diverse ed alternative, le nuove rotte dell’immaginario e le nuove geografie cinematografiche mondiali. Il film di chiusura è stato l’irriverente ed amaro documentario “Tony Driver” del talentuoso regista barese Ascanio Petrini, che racconta le idiosincrasie e i paradossi dell’America di Donald Trump. Attraverso la vera vicenda umana di un deportato al contrario, Pasquale Donatone, americano di origine italiana, tassista di giorno e trasportatore di migranti messicani di notte, che viene arrestato
e per evitare la galera viene estradato in Italia, finendo a vivere in una grotta a Polignano a Mare. Il film parla di radici recise e di innesti che non sempre attecchiscono: Pasquale Donatone, che si fa chiamare Tony Driver, non riesce a farsi una vita in Italia, patria che non sente propria, e cerca disperatamente di tornare in America, per riabbracciare una ex moglie e due figli. Attraverso un rocambolesco piano che prevede di scavalcare il muro fra Messico e Stati Uniti, percorrendo un vasto deserto, assistiamo all’epopea di un antieroe, fra il Trevis Bickle di Taxi driver e il Willy Coyote dei Looney Tunes, che non si arrende mai al suo destino e con il quale non possiamo fare a meno di empatizzare. In collegamento telefonico, il regista ha raccontato come il film sia evoluto da semplice documentario quando ha conosciuto il protagonista, Pasquale Donatone, e la sua storia, che è poi diventata centrale nella struttura del racconto. Nei giorni di programmazione che abbiamo seguito, noi di Smart Marketing abbiamo assistito alla proiezione di 6 lungometraggi e 5 cortometraggi, tutti a loro modo sorprendenti e esemplari di cinematografie geograficamente, sentimentalmente o idealmente lontane dalla nostra, e proprio per questo ancora più interessanti e stimolanti per tutti quegli spettatori curiosi e affamati di estendere il proprio orizzonte visuale, emozionale e immaginativo. Vi riproponiamo il titoli che abbiamo visto e che vi consigliamo di recuperare e vedere. Lungometraggi (tutti in lingua originale sottotitolati in italiano): Rare Beasts (Regno Unito) l’esordio alla regia della cantante britannica Billie Piper, che mette in scena la vita frizzante ma complicata di una moderna casalinga disperata sullo stile dei film di Almodovar, con un gruppo di interpreti effervescenti e perfettamente calati nei loro ruoli.
R a r e B e a s t s ( © A r o n - K l ein) El Principe (Cile, Argentina, Belgio) di Sebastian Muñoz (presente a Taranto). Un film cupo ed ossessivo, a tratti disturbante, che mette in scena le dinamiche all’interno di un carcere maschile all’arrivo di un giovane e affascinate detenuto. Il film accende i riflettori sull’amore omosessuale all’interno di un perimetro ben definito come il carcere, con una fotografia magistrale ed una scenografia che citano i quadri di Caravaggio e un gruppo di attori superlativo. E l P r i n c i p e Saydat Al Bahr | Scales (Emirati Arabi uniti, Iraq, Arabia Saudita), di Shahad Ameen. Una storia di emancipazione femminile raccontata attraverso il mito ancestrale delle sirene. Girato in un bianco e
nero slavato molto evocativo, alle volte quasi espressionista, il film ha la sua forza nella sceneggiatura e nella protagonista Hayat, che cerca in ogni modo di sfuggire al suo destino deciso da una società profondamente maschilista. S a y d a t A l B a h r | S c a l e s Sanctorum (Messico, Qatar, Repubblica Dominicana) di Joshua Gil. Un film che racconta la vita di poveri contadini sfruttati dai cartelli della droga che li costringono a coltivare la Cannabis e vessati dall’esercito regolare che cerca di porre un freno al traffico di droga. Su tutti e tutto però sopraggiunge il castigo apocalittico di una natura lussureggiante e vendicativa. Il film è caratterizzato da un contrappunto sonoro e musicale potente e da una fotografia superlativa.
S a n c t o r u m Bombay Rose (Regno Unito, India, Francia, Qatar) di Gitanjali Rao. La storia di amore fra una ragazza indù e un giovane mussulmano sullo sfondo di una Bombay divisa fra il rispetto delle tradizioni e il desiderio di modernità. La forza del film risiede nella tecnica di animazione 2D utilizzata con colori molto saturi e vividi, che richiamano sia i film di Bollywood che l’arte pop, tecnica molto complessa che ha richiesto 6 anni di lavorazione. B o m b a y R o s e Tony Driver (Italia, Messico) di Ascanio Petrini. Un documentario che racconta la storia vera di Pasquale Donatone, cittadino americano di origine italiana che sperimenta una deportazione al contrario quando viene cacciato dagli Stati Uniti per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Amaro ed irriverente atto d’accusa all’America di Donald Trump girato come un road movie fra la
Puglia ed il confine messicano. Cortometraggi (tutti in lingua italiana): Fosca di Maria Chiara Venturini. Una favola nera che racconta la vita di una giovane cenerentola immergendola in uno scenario preso di forza da un film di Tim Burton. La giovane protagonista vive con il padre e i due fratelli che la vessano e maltrattano, ma la sua vendetta sarà cruda e spietata e permetterà alla ragazza di affrancarsi dalla sua misera condizione. Una storia di emancipazione femminile raccontata con gusto dell’orrido ed originalità. F o s c a Monologue di Lorenzo Landi e Michelangelo Mellony. La storia drammatica di un cacciatore di suoni e musicista che dopo il tradimento del suo migliore amico, piano, piano diviene sordo da un orecchio. L’handicap trasformerà per sempre la sua percezione e la sua vita, che diventano mutilate come il suo udito. Il film, inutile dirlo, presenta una interessantissima colonna sonora ed è girato in uno stile che amalgama videoclip, documentario e cinema sperimentale.
M o n o l o g u e Destino di Bonifacio Angius. La storia di un dimesso e fallito borgataro, probabilmente vittima del malocchio. La sua vita diviene sempre più sciatta, fino al giorno in cui addirittura perde la propria nipote che aveva portato a spasso in passeggino. Una storia di periferie ed individui al margine raccontata con uno stile quasi neorealista che strizza l’occhio a Pasolini. D e s t i n o Il nostro tempo di Veronica Spedicati. Una storia lieve e delicata che racconta una famiglia del sud Italia, concentrandosi sul rapporto fra un padre ed una figlia di 10 anni. Girato in Puglia, il film celebra la bellezza struggente del paesaggio e ha la sua forza in un cast di attori che gira a meraviglia, con la sorprendente interpretazione della giovanissima protagonista Emanuela Minno, al suo esordio.
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