La Copertina d'Artista - Moda in Italy - Smart Marketing

Pagina creata da Fabio Orsini
 
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La Copertina d'Artista - Moda in Italy - Smart Marketing
La Copertina d’Artista – Moda in Italy
Una Audrey Hepburn sbarazzina e seducente, fasciata in un vestito di Givenchy, con una splendida
collana di diamanti, mentre sorregge una lunga sigaretta con bocchino, ci osserva dalla copertina di
questo mese di Smart Marketing. L’immagine propostaci dall’artista, Pop Invader, è chiara e
celebre: si tratta infatti di una delle tante foto che ritraggono l’attrice nel ruolo di Holly Golightly nel
celebre film Colazione da Tiffany del 1961, del regista Blake Edwards, tratta dall’omonimo romanzo
di Truman Capote.

L’immagine elaborata da una fotografia è stata scomposta nei quattro colori tipici della stampa
tipografica (offset): Ciano, Magenta, Nero e Giallo, che sono state sovrapposte, anzi sfalsate, l’una
sull’altra, quasi a formare un difetto di stampa o meglio un disturbo video. Inevitabile e forse voluto
l’omaggio alle celebri serigrafie di stelle del cinema e politici degli anni ’60 e ’70, di Andy Warhol.

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il misterioso artista di questo numero.
La Copertina d'Artista - Moda in Italy - Smart Marketing
L’artista chiarisce ancor più i suoi intenti con il titolo scelto per quest’opera: “Audrey four seasons”,
che, attraverso un gioco di parole con il significato delle quattro stagioni, in riferimento all’ambito
della moda, e, come già detto, con il procedimento di stampa tipografico, ironizza con sagacia sul
fatto che la Audrey propostaci nelle sue varianti, come la moda, sia buona per tutte le stagioni.

Ma, se da un lato puramente artistico l’opera pare chiara e limpida, perfettamente a tema con
l’argomento mensile del nostro magazine che è “Moda in Italy”, completamente diverso è il discorso
che riguarda l’artista che si cela dietro lo pseudonimo di Pop Invader, che ha contattato la nostra
redazione attraverso un account email temporaneo e che ha fornito pochissime informazioni sulla
sua identità. Infatti non sappiamo né l’età, né il sesso, né le origini del nostro artista, che si è
limitato a fornirci un logo al posto di una sua fotografia (logo ispirato ad un celebre videogioco degli
anni ’80 del secolo scorso), una breve spiegazione dell’opera “Audrey four seasons” e un’ancora più
breve biografia, fornendoci come contatto solo una pagina Facebook.
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a copertina a questo numero di Smart Marketing.
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È la seconda volta che ci capita nella storia della nostra Copertina d’Artista, l’ultima era accaduta
nel marzo del 2017 con il lavoro “102 minutes” propostoci dall’artista Gemma Carta.

Sia come sia, noi rispettiamo il desiderio di anonimato del nostro artista ed ancora di più la sua
opera che, come spiegato nella breve descrizione acclusa, vuole essere un tentativo per costringerci
a riflettere sulle immagini che quotidianamente ci bombardano; l’artista, attraverso semplici, minime
ma ingegnose destrutturazioni ed alterazioni, ci invita, quasi ci costringe, a guardare con più
attenzione la realtà che ci circonda, perché troppo spesso, piuttosto che vedere il mondo, noi tutti lo
osserviamo distrattamente.

Pop Invader, attraverso vere e proprie incursioni in rete, recupera e saccheggia immagini, foto e
icone che tutti noi siamo convinti di conoscere e ci invita, attraverso le sue elaborazioni, a guardare
e vedere queste stesse immagini per la prima volta; come bambini, allora, le scopriamo, le
memorizziamo e le assimiliamo, facendole diventare patrimonio del nostro inconscio, personale e
collettivo, perché, come ha detto il grande romanziere Marcel Proust: “La vera scoperta non consiste
nello scoprire nuovi mondi, ma nel cambiare occhi”.
La Copertina d'Artista - Moda in Italy - Smart Marketing
Moda in Italy - L'editoriale di Ivan Zorico
“Oh, ma certo, ho capito: tu pensi che questo non abbia
nulla a che vedere con te. Tu apri il tuo armadio e scegli,
non lo so, quel maglioncino azzurro infeltrito per esempio,
perché vuoi gridare al mondo che ti prendi troppo sul serio
per curarti di cosa ti metti addosso, ma quello che non sai
è che quel maglioncino non è semplicemente azzurro, non
è turchese, non è lapis, è effettivamente ceruleo, e sei
anche allegramente inconsapevole del fatto che nel 2002
Oscar de la Renta ha realizzato una collezione di gonne
cerulee e poi è stato Yves Saint Laurent se non sbaglio a
proporre delle giacche militari color ceruleo. […] E poi il
ceruleo è rapidamente comparso nelle collezioni di otto
diversi stilisti. Dopodiché è arrivato a poco a poco nei
grandi magazzini e alla fine si è infiltrato in qualche
tragico angolo casual, dove tu evidentemente l’hai pescato
nel cesto delle occasioni. Tuttavia quell’azzurro rappresenta milioni di dollari e innumerevoli posti di
lavoro, e siamo al limite del comico quando penso che tu sia convinta di aver fatto una scelta fuori
dalle proposte della moda quindi in effetti indossi un golfino che è stato selezionato per te dalle
persone qui presenti… in mezzo a una pila di roba”.
(Dal film “Il diavolo veste Prada”)

Quella qui sopra proposta è forse una delle scene più note e citate de “Il diavolo veste Prada”; un
film del 2006, tratto dall’omonimo romanzo di Lauren Weisberger e diretto da David Frankel. In
questa scena e in questi dialoghi tra Miranda (Meryl Streep) e Andy (Anne Hathaway), prenda forma
quel retro pensiero che vede la moda accostata all’effimero ed al futile. Retro pensiero che
Miranda smonta, con tono risoluto, compiendo un esercizio di verità.

Senza nasconderci dietro ad un dito, a tutti sarà capitato almeno una volta di pensare che la moda,
in fin dei conti, sia qualcosa di a noi distante. Che, in fin dei conti, attiene al superfluo e che, la sua
rilevanza, sia oltremodo sopravvalutata.

Niente di più sbagliato.
Studiando la storia della moda, ad esempio, si possono meglio capire ed approfondire non solo
gli usi e costumi che hanno segnato una determinata epoca storica, ma anche dare maggiori
significati alle evoluzioni politiche, sociali ed economiche.

Parlando di economia, e quindi di numeri, di certo non possiamo, ancora una volta,
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avvallare l’idea che la moda sia qualcosa di poca importanza. E se guardiamo al solo comparto
della moda italiano, non possiamo che confermarlo.

              Scopri il nuovo numero: Moda in Italy
Nel 2017, il sistema moda italiano, presentava un fatturato di €70,4 mld, equivalente
all’1,3% del Pil nazionale; negli ultimi cinque anni sono aumentati il fatturato aggregato (+28,9%) e
l’occupazione (+19,7%), con una crescita media delle vendite che si attesta al +6,6% annuo. Nello
specifico l’abbigliamento rappresenta il 40,5% dei ricavi totali, seguito dal 20,9% della pelletteria e
dal 16,2% dell’occhialeria. Un forte impulso è dato dalla gioielleria, con un tasso di crescita media
annua pari al +13,3%. (Fonte dati: “Il Focus Moda” a cura dell’Area Studi di MedioBanca).

Come già ci ricordava Miranda, dietro la moda ci sono numeri che supportano la creazione di posti
di lavoro e investimenti. Sarebbe bene ricordarcene quando, magari con la medesima leggerezza
mostrata da Andy, saremo tentati di emettere un giudizio affrettato e critico sulla moda. Farlo,
sarebbe al limite del comico (cit.).

Buona lettura.

                                                                                           Ivan Zorico

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La Copertina d'Artista - Moda in Italy - Smart Marketing
Moda in Italy – L’editoriale Raffaello
Castellano
C’è una celebre scena del famoso film “Il Diavolo veste Prada”
di David Frankel del 2006, dove il boss della rivista “Runway”
Miranda Priestly (una strepitosa Meryl Streep), insieme ad
alcuni collaboratori, fra cui il fidato Nigel (uno Stanley Tucci
in stato di grazia) e la segretaria in prova Andrea Sachs (la
sempre brava Anne Hathaway), sta scegliendo i capi per un
servizio fotografico. Davanti alla scelta fra due cinture
pressoché identiche di colore “ceruleo”, Andrea Sachs si fa
scappare una risatina di scherno al che, infastidita dalla
ostentata supponenza dell’ingenua segretaria, Miranda attacca
un’invettiva che spiega con lucidità e cinismo l’importanza della
moda anche per quelle persone che, come ostentato da Andrea, sembrano non curarsi affatto del
proprio stile e della moda.

Una scena importante per lo svolgimento della trama del film ed anche per noi comuni mortali che,
come la protagonista della pellicola Andrea Sachs, siamo del tutto inconsapevoli dei capitali e dei
posti di lavoro che il settore della moda muove nel mondo.

Per sopperire a questa mancanza noi di Smart Marketing abbiamo voluto dedicare questo numero
estivo di agosto al settore della moda, cogliendo l’occasione dell’imminente Settimana della Moda
di Milano che, una volta tanto, anticiperemo con l’uscita del nostro magazine.

Dal 17 al 23 settembre 2019, infatti, tornerà la Milano Fashion Week che, come da copione,
porterà sulle passerelle le nuove tendenze per la primavera/estate del 2020.

              Scopri il nuovo numero: Moda in Italy
Istituita nel 1958, la settimana della moda milanese fa parte delle “Big Four”, ossia i quattro eventi
più importanti della moda tenuti nelle quattro capitali della moda mondiale: New York, Londra,
Parigi ed appunto Milano.

L’evento è organizzato dalla “Camera Nazionale della Moda Italiana”, un’associazione senza
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scopo di lucro che promuove e coordina tutti gli eventi legati al settore della moda in Italia.

Anche quest’anno l’evento di apertura della Settimana della Moda milanese sarà la conferenza
stampa sul Green Carpet Fashion Awards Italia 2019, che farà il punto sulle politiche ecologiche
e le buone pratiche in fatto di sostenibilità messe in campo da uno dei settori più inquinanti fra le
produzioni industriali.

Il premio Green Carpet Fashion Awards Italia 2019 sarà assegnato in una serata di gala che si terrà
Domenica 22 settembre al Teatro alla Scala.

Le tematiche ambientali e della sostenibilità fanno parte, oramai, delle agende di tutti gli eventi
politici, economici e di settore; sarà che è diventato difficile, anche a fronte di cambiamenti climatici
sempre più violenti e frequenti, ignorare, o peggio negare, l’impatto dell’uomo sull’ecosistema
terrestre, ma anche settori storicamente restii alle tematiche green come quelli dell’automobile, del
lusso e della moda, giusto per citare i più inquinanti, stanno invertendo decisamente rotta, cercando
di conciliare le loro produzioni ed i loro brand con politiche green e ecosostenibili.
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Alla fine, in fondo, si tratta sempre di operare delle scelte, scelte che spesso e volentieri
demandiamo ai nostri device elettronici o peggio a sedicenti algoritmi; non dimentichiamoci mai
però che in gran parte delle cose della nostra vita noi possiamo scegliere: la squadra di calcio, il
partner, lo schieramento politico e soprattutto ciò che compriamo.

Acquistando prodotti e servizi noi operiamo una scelta con il nostro portafoglio e non c’è scelta come
questa che, come singoli individui, abbia maggiori ripercussioni sul “sistema”. Una questione che
non dovremmo dimenticare soprattutto in questo periodo a cavallo fra fine agosto ed inizio
settembre, con i “Saldi” estivi ancora in corso in molte regioni e che rappresentano, per tanti di noi,
la possibilità di rinnovare il proprio guardaroba e, in una certa misura, di reinventare se stessi.

Perchè, come ha detto lo stilista John Galliano:

  “La moda è prima di tutto l’arte del cambiamento”.

Buona lettura a tutti.

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Il Diavolo veste Prada – Il Film
Andy Sachs è una brillante neolaureata un po’ trasandata in cerca di lavoro, appena giunta dalla
provincia a New York.

È ambiziosa e preparata e, da grande, vorrebbe fare la giornalista ma, nella Grande Mela, non
conosce nessuno e non ha i contatti giusti, così decide di presentarsi per il colloquio per l’ambito
ruolo di seconda assistente di Miranda Priestly, sacerdotessa e tirannica direttrice della rivista di
moda più importante ed influente: “Runway”.

Pur non possedendo nessuna inclinazione per il mondo della moda, ma anzi non nascondendo quel
senso di superiorità e sufficienza tipico degli intellettuali su questioni frivole come scarpe, vestiti e
passerelle, verrà assunta e da allora assisteremo alla sua lenta ma inesorabile discesa agli inferi (o
ascesa al paradiso a seconda dei punti di vista) che la porteranno a trasformare dapprima il suo look
e poi, inevitabilmente, la sua anima.

              Scopri il nuovo numero: Moda in Italy
Molti di voi avranno riconosciuto in queste poche righe l’incipit di uno dei film più celebri e di
successo sul mondo della moda degli ultimi tempi: stiamo parlando di “Il Diavolo veste Prada” del
2006, del regista David Frankel, lo stesso di molti episodi della celebre serie tv Sex and the City.

Nel ruolo della trasandata ed impegnata aspirante giornalista troviamo l’attrice Anne Hathaway che,
nonostante l’ottima performance, risulta, a causa di un fisico statuario, poco credibile nei panni di
quella che dovrebbe essere una sorta di goffa Bridget Jones della moda. Ad interpretare la gelida e
tirannica direttrice di Runway vediamo una strepitosa Meryl Streep, che tratteggia un personaggio
che ricorda quella Crudelia Demon de “La carica dei 101” in salsa fashion, velata di una nota
malinconica che solo una grandissima attrice come lei riesce a far trapelare. Il ruolo di Miranda
Priestly varrà all’attrice una candidatura all’Oscar più un’altra decina di nomination a vari premi
internazionali, nonché la conquista del Golden Globe nel 2007 come miglior attrice per un film di
commedia. Almeno altre due le interpretazioni degne di nota, quella del primo fidato consigliere di
Miranda, Nigel, uno Stanley Tucci ispirato ed in stato di grazia, e quella della prima assistente,
Emily Charlton, interpretata dalla sempre brava Emily Blunt.

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Streep e Emily Blunt in una scena del film.

Il film è tratto dall’omonimo romanzo autobiografico della giornalista e scrittrice Lauren
Weisberger, che aveva lavorato nella redazione newyorkese Vogue America, negli anni in cui la
più importante rivista di moda del mondo era il regno dalla celebre direttrice Anna Wintour, cui il
personaggio di Miranda Priestly è fortemente ispirato, tanto che sia all’uscita del romanzo nel 2003
che a quella del film nel 2006 vi fu più di qualche grattacapo per l’autrice e per il regista.

     Scopri il numero sul mondo del lusso: LUXURY
Una curiosità: l’autrice Lauren Weisberger fa una breve apparizione in un cameo come governante
delle gemelle di Miranda Priestly.

Il film è un prodotto solido e ben costruito, con gli attori e la storia che girano bene e divertono con
almeno tre elementi degni di nota: il primo è la splendida fotografia che immortala, oltre al mondo
della moda, anche una splendida città, quella New York glamour e chic che è la vera co-protagonista
della pellicola; il secondo il sontuoso guardaroba dell’intero cast, opera di Patricia Fields, estrosa
costumista anche della serie di Sex and the City; terzo, una colonna sonora straordinaria, opera di
Theodore Shapiro, in cui spiccano pezzi di Madonna, Jamiroquai, Moby, Alanis Morissette e
degli U2.
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to di scena del film.

Un film che pone sotto i riflettori l’universo della moda, illuminando i suoi lati più oscuri e che ci
permette attraverso una commedia divertente e solo apparentemente leggera di scoprire
l’importanza e la profondità di un mondo, spesso e volentieri criticato, di superficialità e frivolezza.

Un film lontano anni luce da “Colazione da Tiffany” di Blake Edwards, che consacrò come icona di
stile una meravigliosa Audrey Hepburn, ma anche da “Prêt-à-porter” di Robert Altman, del quale
risulta più critico, riflessivo e meno accondiscendente rispetto ad un mondo, quello della moda,
pieno sia di luci che di ombre. Una visione da recuperare per divertirsi per un’ora e mezza e magari
riflettere una mezza giornata.

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Influencer e moda: è la fine del marketing
tradizionale?
Launchmetrics ha pubblicato da poco il 5° report annuale sullo stato dell’Influencer
Marketing 2019, che mostra come le aziende stiano investendo in influencer al posto delle
tradizionali attività di marketing. Si tratta di un fenomeno in costante crescita, che riguarda
principalmente i settori della moda, del lusso e della cosmetica, come spiegano i professionisti di
marketing, comunicazione e PR intervistati.

Influencer marketing: perché non si tratta di un fenomeno passeggero

Da cinque anni Launchmetrics pubblica il report annuale sullo stato dell’influencer marketing e nel
corso del tempo la digitalizzazione ha portato a sempre nuove sfide e opportunità, dato che il
percorso di acquisto del consumatore è cambiato, costringendo i professionisti a dover trovare nuovi
strumenti per rivolgersi ai potenziali clienti.

A differenza di quanto si poteva pensare l’influencer marketing non è stato un fenomeno passeggero,
anzi è una delle principali strategie di marketing a disposizione delle aziende che lavorano nel
settore della moda, grazie al cosiddetto “fattore autenticità”.
Proprio il fatto che l’influencer marketing permetta alle aziende del settore della moda di
incrementare l’awareness e fidelizzare i clienti ha portato ad un aumento di questa tipologia di
campagne dell’80% solo questo anno, anche se la sfida è oggi adottare strategie omnichannel. Non
solo: oggi le aziende della moda puntano sempre di più su un target giovane e usano il potere
degli influencer per incrementare le vendite, orientandosi anche sui cosiddetti micro-
influencer, che possono contare su una maggiore autenticità. Un segnale del fatto che i brand
hanno compreso l’importanza di essere autentici.

Puntare ai giovani per generare vendite e migliorare la brand awareness

Oggi i brand della moda usano l’influencer marketing per cercare di raggiungere le generazioni più
giovani, sia la generazione Z sia i Millennials, dato che si tratta di un target piuttosto ampio. Proprio
i brand della moda di lusso e della cosmetica puntano alla generazione Z, usando proprio la tecnica
dell’influencer marketing per aumentare le vendite, come accade nel 76% dei casi. Eppure
molte aziende rispondono ancora come gli influencer siano essenziali soprattutto per aumentare la
brand awareness, anche se si riscontrano ancora difficoltà nella gestione del workflow (56% dei
casi).

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Questo dato mostra come gli intervistati facciano ancora fatica a gestire le collaborazioni con gli
influencer, soprattutto per la mancanza di strumenti scalabili per la creazione di contenuti e la
gestione dei contatti e dei pagamenti.
Influencer marketing: per misurarlo non bastano più le metriche social

Sembra paradossale, eppure l’83,4% dei professionisti di marketing si affida ancora oggi alle
metriche social per misurare le performance delle campagne di influencer marketing, come
emerge dal report di Launchmetrics.

Eppure, dato anche il fatto che le campagne stanno diventando sempre più omnichannel, queste
metriche non sono più sufficienti ad analizzare le prestazioni. Confrontando più canali, i brand
possono ottenere una visione completa degli insights e delle prestazioni della loro campagna di
marketing, oltre ad identificare la tipologia di influencer più adatta a raggiungere il pubblico di
riferimento.

Concludo questa breve analisi del 5° report annuale sullo Stato dell’Influencer Marketing
dicendo che, chi volesse leggere il contenuto completo, troverà anche al suo interno case studies di
influencer leader come Chiara Ferragni e Fendi e avrà così a disposizione alcuni modelli a cui
ispirarsi per le sue campagne di influencer marketing.

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Il Made In Italy riconosciuto in tutto il
mondo, idolatrato e sognato.
L’Italia è uno dei principali Paesi che a livello mondiale guida per quanto riguarda stile, mode e
trend. Siamo ancora il primo Paese del settore lusso con 24 aziende, i cui 2/3 operano nei segmenti
di abbigliamento e accessori*.

Il made in Italy cresce grazie soprattutto al lusso. I marchi italiani come Gucci, Prada, Armani e
Fendi si confermano in crescita nella consueta classifica BrandZ Top 30 Most Valuable Italian
Brands 2019 stilata da WPP e Kantar, società di consulenza e marketing data, sui marchi italiani
più forti. Dalla classifica emerge che è il lusso a trionfare con i brand del settore arrivati a crescere
del 14% negli ultimi 12 mesi raggiungendo quota 96,9 miliardi di dollari. In testa troviamo Gucci
tra i 30 maggiori marchi tricolore.**

              Scopri il nuovo numero: Moda in Italy
Gucci è uno dei marchi di lusso più conosciuti e influenti del mondo, autentico punto di
riferimento internazionale nel settore della moda, la Maison è nota per le sue creazioni eclettiche e
contemporanee espressione dell’eccellenza artigianale italiana, insuperabili in termini di qualità,
cura dei dettagli e design innovativo, creazioni esportate in tutto il mondo. C’è chi desidera il lusso
di avere un “Gucci” in ogni dove, una borsa o un foulard della nota casa di moda identificano spesso
uno status, al quale si vuole appartenere. Entrare in un Gucci Store è l’emblema della classe, della
ricchezza, della bellezza.
C’è, però, un negozio di Gucci al mondo davvero particolare, la ricchezza, la classe, la bellezza non è
nelle sue vetrine ma nelle sue persone. Non è il Gucci come noi “occidentali” lo conosciamo, non è il
grande brand tricolore ma un qualcosa di speciale. Ci si accede con i piedi nella sabbia, la sua
entrata è sul mare, non ha vetrine luccicanti ma vi è tanta bellezza. All’interno non puoi comprare
costosissime borse, scarpe o sciarpe, ma puoi trovare gioielli di perline e quadri colorati, la sua
porta è sempre aperta e il suo “padrone di casa” in un quasi perfetto italiano ti invita ad entrare, a
curiosare, ad acquistare: “Vieni a visitare il mio negozio, vieni da Gucci, ho tante cose belle, da me
puoi trovare di tutto. Sono il più Trendy della zona, come da Gucci non puoi comprare altrove”.

Una volta entrati nella sua capanna il mondo si ferma…si viene trasportati in un’altra dimensione
fatta di semplicità e di lusso e lo sfarzo del cartello del “negozio” scompaiono … e scompare tutto il
resto.

Ci si ritrova ad un certo punto a guardare il mare che nelle sue mille tonalità riflette il cielo, la bassa
marea mostra scenari unici, conchiglie, stelle marine, ricci di mare si mostrano all’occhio umano e
non puoi che apprezzare la natura nella sua immensa bellezza e spettacolarità. Sei in un paradiso di
un altro continente, sei in Africa, sei a Zanzibar e gli abitanti del posto parlano italiano e hanno
boutique sulla spiaggia con brand italiani e allora capisci che il Made in Italy è un’idea che piace, è
un’identità di un Paese che oltreoceano è amato, senza conoscerlo realmente, desiderato, idolatrato.

La lunga lingua di sabbia bianca sembra un “corso” magico dove passeggiare, sono diversi i “negozi”
che si alternano da Dolce e Gabbana, ai centri commerciali all’Esselunga, e l’invito è sempre quello
di entrare, curiosare, portare a casa un ricordo di un’Isola di colori, sapori, profumi e persone che
amano l’Italia e gli italiani.

Mentre li ascolti parlare, mentre ti chiedono parole nuove da imparare perché amano la tua lingua il
pensiero è uno e uno soltanto: sono più gli altri ad apprezzare la nostra terra che noi, è un dato di
fatto e fa tristezza.

* Fonte: Global powers of luxury goods, Deloitte
** Wall Street Italia

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La moda nel mondo digitalizzato:
emozioni, condivisioni e like.

Qual è la prima cosa che ci viene in mente sentendo la
parola moda?
Un tempo avremmo detto sfilata, passerella, stilista, rivista …oggi probabilmente aggiungeremmo
anche influencer, e-commerce, Instagram ecc… E’ il segno di un cambiamento, di un’evoluzione,
della capacità delle aziende di adattarsi ai tempi e alla società.

I brand della moda, ben lontani dall’essere dei semplici produttori di capi d’abbigliamento, hanno
saputo utilizzare a proprio vantaggio i canali comunicativi che si sono sviluppati negli ultimi anni.
D’altronde la moda è un fenomeno sociale e non può che andare di pari passo agli altri
fenomeni sociali che si impongono.

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Da Vogue a Instagram il passaggio è chiaramente un po’ traumatico, ma la presenza sui social media
oggi è imprescindibile per mantenere e rinforzare sia brand awareness che posizionamento sul
mercato. Ecco perchè anche i Top brand sono scesi in campo su Facebook, Instagram,
Twitter; insomma nei luoghi virtuali più frequentati che hanno, purtroppo, rimpiazzato spesso le
riviste che dettavano i trend o in cui si scoprivano le tendenze di stagione.

A ben pensarci tutte le aziende e tutti i settori si sono trovati, negli ultimi 10 anni, a dover
fronteggiare questo cambiamento, questo nuovo mondo digitale a cui adattarsi e adattare la propria
comunicazione. Non per tutti è semplice, non tutti i settori si sposano bene con il mondo dei
social media, ma quello della moda sembra nato per il digitale. Sono due fenomeni che hanno tanto
in comune.

Come già veniva evidenziato nel 1895 dal sociologo George Simmel, il fenomeno sociale della
moda nasce da due azioni apparentemente contraddittorie ma simultanee: l’imitazione e la
distinzione. Imitiamo perchè seguiamo dei trend, c’è una base di omologazione, ma allo stesso
tempo amiamo differenziarci, personalizzare i nostri look, creare dei segni distintivi. Se ci pensiamo
bene questo vale per la moda ma anche per il mondo dei social media, per le foto su Instagram con
vista su Santorini o altri luoghi super gettonati, per i look sfoggiati a mo’ di influencer. Insomma
anche i social media sono un mix di imitazione e distinzione; terreno molto fertile per il
settore della moda.

Quali sono i brand moda da tenere d’occhio sui social
media?
Parliamo di numeri ma non solo. Alcuni brand spiccano sui social per il numero di follower, altri per
le loro modalità di comunicazione. Eccone 4 esempi.

Gucci
Con oltre 18 mila fan su Facebook e 36 milioni di follower su Instagram è uno dei brand della moda
più seguiti in tutto il mondo. Sfilate in diretta, foto in tempo reale da eventi internazionali, scatti
decisamente vintage e pose da rivista da alta moda. La comunicazione sui social di Gucci sembra
non lasciare nulla al caso: è studiata, creata ad hoc e in puro stile da brand di alta moda.

Gucci è presente anche su Pinterest (con 289 mila follower) con diverse board dedicate a collezioni e
campagne e su Youtube (oltre 400 mila iscritti) con video di sfilate e spot.

Scorrere tra le immagini dei social di Gucci è a tratti destabilizzante: si è un po’ catapultati nel
passato e sembra quasi di sfogliare una rivista, ma non mancano i contenuti creativi realizzati con gli
stessi prodotti della collezione e sfruttando le potenzialità delle piattaforme.

Dolce & Gabbana
Non può vantare gli stessi numeri Dolce & Gabbana, ma ha una presenza capillare su numerosissimi
social media: Facebook, Twitter, Instagram, Youtube, Pinterest, Linkedin, Weibo, Youku, VKontakte
(VK), Livejournal, Ok.ru, Line … Quasi 22 milioni di follower su Instagram e 11 milioni di fan su
Facebook. Vengono anche in questo caso pubblicati contenuti relativi ad eventi, ma anche a momenti
di creazione dei vari capi, insistendo su concetti come il “fatto a mano”, l’attenzione ai dettagli. Post
e immagini rispecchiano il mood del brand, con colori come l’oro e il rosso e fantasie sempre
particolari e ricercate. Non mancano i riferimenti e le immagini della Sicilia, luogo del cuore e fonte
di ispirazione dei due stilisti, in cui hanno nel mese di Luglio organizzato una stupenda sfilata presso
la valle dei Templi di Agrigento. Tutte le iniziative vengono ampiamente documentate, e visitando i
canali social dell’azienda si respira pura aria “Dolce & Gabbana”.
Visualizza questo post su Instagram

  Un post condiviso da Dolce & Gabbana (@dolcegabbana) in data: 24 Ago 2019 alle ore 6:01 PDT

Diesel
Il marchio, fondato da Renzo Rosso, è conosciuto in tutto il mondo per i suoi jeans e per il suo mood
fuori dall’ordinario e creativo. Mood che si riscontra anche nella comunicazione online e nelle sue
iniziative, sempre rivolte per lo più ai giovani, ma non solo anagraficamente. I numeri non sono
quelli dei brand di alta moda, ma Diesel è molto seguito su Facebook (con 4,7 milioni di fans) e
abbastanza anche su Instagram (2,2 milioni). Spicca con le sue modalità di comunicazione e
iniziative fuori dal comune. Un buon esempio è l’iniziativa recente lanciata in contemporanea
all’uscita dell’attesissima nuova stagione della serie Netflix “La casa di carta”. Per l’occasione è
stata lanciata una speciale collezione di felpe e maglie con i nomi dei componenti della banda del
Professore: Tokyo, Rio, Berlino… In più l’opportunità di “unirsi alla banda” e di vincere addirittura
delle tute realmente indossate sul set. L’iniziativa è stata lanciata e comunicata sui social media e
con un sito apposito dedicato al contest, dimostrando ancora una volta quanto Diesel sia in grado di
comunicare e rivolgersi al target giusto e con le modalità giuste.

Chiara Ferragni Collection
Parlando di moda è impossibile ormai non citare anche Chiara Ferragni, influencer, founder del
famoso blog The Blond Salad e ormai, dal 2010, imprenditrice nel mondo della moda. Le modalità di
comunicazione hanno fatto la differenza e la sua fortuna. Da quando Chiara ha lanciato la sua linea
di calzature, abbigliamento e accessori, continua a comunicare in modo sempre giovane, fresco e
spesso glitterato: perfetto per il mondo dei social! Un milione di follower su Instagram per la pagina
Chiara Ferragni Collection (che si aggiungono ai 17 milioni del suo account personale) e solo 15.000
fan su Facebook, che viene utilizzato per scelta molto poco rispetto a Instagram, che è il social di
punta del brand, evidentemente preferito per la sua immediatezza e capacità di attrarre l’attenzione
con le immagini.

  Visualizza questo post su Instagram
  Un post condiviso da Chiara Ferragni Collection (@chiaraferragnicollection) in data: 22 Ago 2019 alle
  ore 3:11 PDT

Anche questa è una scelta interessante. Non sempre essere presenti ovunque è la soluzione giusta.
La scelta dei mezzi su cui comunicare è fondamentale e deve essere sempre ponderata e studiata in
base al target a cui ci si rivolge, al mood del brand e ai contenuti su cui si decide di puntare. Solo la
scelta di rimanere fuori dai social media, oggi, è quella sbagliata e controproducente.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo
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Instagram: la piattaforma ideale per la
Fashion Industry.
La moda, tutta, lo preferisce per il suo forte potenziale.
È difficile che un fashion brand non sia presente su questo social e, a suon di immagini e mini video,
presenti agli utenti più attenti i suoi prodotti e non solo. Ma a fare la differenza su questa
piattaforma sono le grandi marche che oltre ai semplici “cuori” ottengono numeri considerevoli di
interazioni.

Una presenza online costruita sull’assenza di relazioni reali con gli utenti è inutile. Ecco
perché la cosa più importante sui social media è l’interazione con gli utenti. Tutto il resto viene in un
secondo momento.
Per le aziende, le piattaforme di condivisione stanno diventando luoghi sempre più interessanti sui
quali sponsorizzare i loro prodotti, farsi conoscere, acquisire e fidelizzare i clienti e Instagram è la
piattaforma ideale per il settore fashion.

  Per approfondire:

  ■   Instagram e la promozione dei brand di lusso
  ■   Cosa rende Instagram così irresistibile? L’evoluzione di una piattaforma dal visual
      storytelling all’e-commerce.

Acquistato nel 2012 da Facebook, Instagram ha fatto registrare un aumento di utenti esponenziale di
circa 5 volte superiore rispetto alle altre piattaforme social arrivando ad avere all’attivo circa 1
miliardo di utenti unici al mese. Numeri sicuramente rilevanti per un social basato sulle immagini e
che, per questo motivo, si presta particolarmente bene ad essere strumento comunicativo di
eccellenza per il mondo del fashion. Un social utilizzato anche dagli uomini. 50.3% degli utenti
mondiali di Instagram si dichiara donna, il 49.7% uomo che appartengono alla fascia di età 18 – 35
anni.
Immediato ed evocativo
È racchiuso qui il successo di questa piattaforma fatta da immagini e da video. Non ha caso la
popolarità di Instagram è aumentata ancora con l’avvento delle stories e con il lancio di IGTV, il
canale video di Instagram. Non a caso i profili più seguiti dagli instagramers sono brand,
blogger e personaggi che parlano di moda o che ne sono icone; sicuramente per
l’immediatezza con la quale si può prendere spunto per creare outfit personalizzati e rimanere
sempre aggiornati sui trend del momento in termini fashion, ma anche perché viviamo un’epoca in
cui è più importante apparire e mostrarsi più che essere.

                 Scopri il nuovo numero: Moda in Italy
Ed è proprio in questo contesto che l’84% delle aziende operanti nel fashion è presente su
Instagram. Le ragioni sono molto semplici:

■   Gli utenti visitano la piattaforma più volte al giorno (rispetto ad altri social),
■   Il tasso di coinvolgimento degli utenti è il 4,21% (per altri social è del solo 0,1%),
■   Un instagramer su 3 ha acquistato dopo aver visto la foto sul social.

Le opportunità che Instagram offre ad un brand di moda sono molteplici e, se ben sfruttate,
possono influenzare la decisione di acquisto in modo significativo. É affidata ad Instagram la
scoperta di nuove aziende, di seguire brand consolidati e di prendere spunti per i propri look da vip
e social influencer che si mostrano agli altri. Per le aziende le persone diventano la loro “vetrina”.
Selfie con i proprio capi di abbigliamento appena acquistati o mentre si è in un camerino a provarli,
accessori e abbinamenti completi sono il modo migliore che un azienda di moda ha per far parlare di
sé. Tutto questo senza tralasciare i migliori amici di un brand e cioè gli hashtag. Sensibilizzando
all’utilizzo di quest’ultimi si viene a creare in maniera spontanea e del tutto naturale un catalogo
virtuale sempre aggiornato e soprattutto reale. Indossare capi condividendo immagini con tutti, non
solo crea engagement tra cliente e brand, ma converte anche su potenziali clienti grazie alle
discussioni, commenti e confronti che lo stesso post condiviso genera.

Un esempio di Instagram Marketing vincente è sicuramente quello di Micheal Kors, che tra
il gennaio e l’aprile 2016 ha ottenuto 19 milioni di interazioni, fermando il suo contatore di followers
a 7,7 milioni. Fattori premiati: contenuti ad alta qualità grafica.

A seguire Christian Louboutin con hashtag mirati e ben studiati ma soprattutto continuativi, come
ad esempio #louboutinworld e sull’utilizzo costante ed attento degli influencer.

Terzo posto per Jimmy Choo grazie alla pubblicazione di un video in cui celebrities maschili
indossavano le scarpe del brand. Da vedere a dir poco GENIALE!
Riuscire a fare brand awareness su Instagram, però, non è
così semplice.
Non basta coinvolgere gli influencers, nè postare belle foto e video emozionali del nostro prodotto
oppure sperare che i nostri clienti si scattino selfie indossandoli e condividendoli. Stabilire una
strategia di Social Media Marketing con esperti del settore è fondamentale per arrivare a
creare una community fidelizzata che vi permetta di raggiungere i vostri obiettivi.

Necessario, quindi, utilizzare hashtag, aggiornarsi di continuo, conoscere gli emoji, un’ottima
strategia di storytelling che attraverso le immagini ed i video mirino ad incrementare l’interazione
e la notorietà del brand.

  Una regola che vale per tutti i social e per tutte le aziende, non è importante esserci ma
  l’importante è essere in grado di convertire e fidelizzare i propri utenti.

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La moda raccontata da 5 brillanti
commedie internazionali
L’infinito, desiderato, criticato, amato, contraddittorio mondo della moda, un universo colorato e
intricato, a cui il cinema si è dedicato tanto. Dagli stereotipi sulle modelle, allo sfoggio di grandi
firme, dalle sleali strategie di concorrenza all’elogio della fine qualità tessile, gli argomenti trattati
sono tanti, ma i generi cinematografici che raccontano questo universo, non sono poi così numerosi
e se escludiamo biopic e docufilm, a fare da protagonista è sicuramente la commedia, quella
brillante, quasi esclusivamente americana. Cinque le commedie imperdibili che hanno mostrato la
moda con pungente ironia, cogliendone così, non solo il lato commerciale, ma anche quello più
umano, fino spesso a ridicolizzare o ridimensionare tutto ciò che compone questa ricca e sfarzosa
industria.

ZOOLANDER (USA, 2001)
https://www.youtube.com/watch?v=aXxw7OsmQ68

Esempio lampante l’esilarante commedia dell’attore e regista Ben Stiller, con protagonisti Owen
Wilson e il regista stesso nei panni del modello Derek Zoolander. Il supermodello, che ormai si è
allontanato dalle scene, viene ingaggiato, dopo un lavaggio del cervello, per uccidere il primo
ministro malese, scelta ricaduta su Derek proprio perché non spicca per la grande intelligenza. Film
demenziale, indimenticabile per il modo in cui prende in giro il mondo della moda e dei
supermodelli; presenza nel cast anche dell’icona di stile David Bowie. Nel 2016 Ben Stiller ha diretto
anche il sequel, “Zoolander 2”, con risultati meno brillanti.

IL DIAVOLO VESTE PRADA (USA, 2006)
https://www.youtube.com/watch?v=jovsLQVGc-k

Il film dei film sulla moda, la pietra miliare delle commedie ambientate in questo mondo patinato. La
pellicola del 2006, magistralmente interpretata da Anne Hathaway e Meryl Streep e diretta dal
regista David Frankel, è tratta dall’omonimo romanzo “The Devil Wears Prada” della scrittrice
Lauren Weisberger. La scrittrice americana per il personaggio della spietata Miranda Priestly, si è
ispirata alla direttrice di Vogue America, Anna Wintour, di cui è stata assistente. Il film vede
l’ingresso e l’ascesa della neolaureata impacciata Andrea nella rivista di moda più prestigiosa del
mondo. Grande successo al botteghino e incetta di nomination per i premi più ambiti.

SEX AND THE CITY (USA, 2008)
https://www.youtube.com/watch?v=T-oMbk3wnAU

Film diretto dal regista Michael Patrick King con protagonista Sarah Jessica Parker nei panni della
scrittrice Carrie Bradshaw, che cura la famosa rubrica chiamata “Sex and the City”. Le vicende
sentimentali e sessuali della protagonista e delle sue tre migliori amiche nascono e si evolvono
all’interno di una New York tutta moda e locali trendy, dove non mancano riferimenti ad icone dello
stile mondiale e apparizioni di personaggi famosi. Il film è il sequel della fortunatissima serie tv
statunitense, che a sua volta nasce dall’omonimo romanzo della scrittrice Candace Bushnell. Il
romanzo del 1997 appartiene al genere “chick lit”, genere letterario nato negli anni novanta, che si
rivolge ad un pubblico di giovani donne single e in carriera, proprio come le quattro protagoniste del
film, che nel 2010 ha avuto anche un sequel, “Sex and the City 2”.

I LOVE SHOPPING (USA, 2009)
https://www.youtube.com/watch?v=XqShzmucc7c

Divertente e leggera commedia del regista P. J. Hogan, tratta dai due romanzi di Sophie Kinsella “I
love shopping” e “I love shopping a New York”. Ritorna anche qui centrale il personaggio della
ragazza aspirante giornalista sprovveduta che punta in alto per realizzare i suoi sogni, ma anche per
avere più soldi da spendere. Parte così la storia di Rebecca Bloomwood, una “shopaholic” (maniaca
dello shopping) che si è indebitata fino al collo per comprare scarpe, borse e vestiti eccentrici, ma
nonostante ciò, da brava fashion victim, continua a far visita a negozi costosi rischiando di perdere
amici e amore.

THE DRESSMAKER (AUSTRALIA, 2015)
https://www.youtube.com/watch?v=8m7jPjDGIvY

“The Dressmaker – Il diavolo è tornato” è un film tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice
australiana Rosalie Ham, diretto dalla regista Jocelyn Moorhouse. Non è una vera e propria
commedia, utilizza, infatti, molti tratti drammatici ed una forte ironia per raccontare la storia di
Myrtle “Tilly” Dunnage, interpretata da una bellissima e intensa Kate Winslet. E’ la storia di un
ritorno a casa per vendetta, infatti, la stilista Tilly, dopo molti anni passati in Europa, nelle più
importanti case di moda, torna nel suo paesino nel bel mezzo del nulla, per ritrovare la madre e per
dare una lezione (anche di stile) ai suoi concittadini, che da bambina l’avevano cacciata.

Il connubio tra moda e giornalismo è un tema sempre presente nelle commedie che parlano di stile,
ossessioni e tendenze modaiole e la location protagonista è sempre New York. In Italia però, non
siamo certo da meno, anche noi abbiamo la nostra capitale della moda che sappiamo tutti essere
Milano, che tra pochi giorni, infatti, ospiterà la famosa Fashion Week, quindi, puntiamo lo sguardo
all’estero, ma non dimentichiamoci mai dello stile e della bellezza nostrana, che continuano a far
scuola in tutto il mondo.
Moda e Cinema: l’Italia della Dolce Vita
La moda è stata strettamente legata al cinema fin dal suo nascere, ingigantendosi con il fenomeno
dello star system hollywoodiano. La Hollywood italiana è stata la Cinecittà degli anni ‘50, quando il
cinema italiano ha cominciato ad affermarsi attraverso alcuni autentici capolavori (ed un’accorta
politica di sostegno statale). Fra le prime protagoniste della moda legate al fenomeno “cinema” è
Fernanda Gattinoni, creatrice, dal 1946, dell’omonima griffe (tuttora all’attivo) e protagonista
della moda per la “dolce vita” dell’aristocrazia romana. Formatasi a Londra da Molyneux ed ex
direttrice della premiata casa di moda Ventura, il suo primo abito “famoso” fu un paltò di velluto
verde per Clara Calamai. Vestì poi Ingrid Bergman, nella vita e nei film di Roberto Rossellini e, su
richiesta della costumista Maria de’ Matteis, Audrey Hepburn in Guerra e Pace (1956) di King Vidor.

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tana.

Cinecittà ha anche “prodotto” importanti e indimenticati divi italiani, come Silvana Mangano,
lanciata nel 1949 da Riso amaro di Giuseppe De Santis: ex indossatrice e già Miss Roma, mise in
luce la sua avvenenza “selvaggia e naturale” con un look fatto di calze nere, golfini attillati,
sottovesti e cappelli di paglia. Nel 1953 furoreggiò Gina Lollobrigida con Pane, amore e fantasia di
Luigi Comencini, al fianco del maestro Vittorio De Sica: quella “vestaglietta” sdrucita e aderente fu
un capo simbolo di una moda lanciata negli anni ‘50. E poi Sophia Loren de La donna del fiume
(1954), diretta da Mario Soldati nella celebre scena in cui balla il mambo, con la vita stretta dalla
cintura altissima; simile a quella che l’anno dopo la Loren ballerà insieme a Vittorio De Sica nello
sgargiante Eastmancolor di Pane,amore e… .

  LEGGI ANCHE:

  ■   Il cinema italiano e le vacanze: la moda del film turistico-balneare anni ‘50 e ‘60
  ■   L’Italia in mostra: quando la Roma cinematografica era il centro del mondo
■   Audrey e Marcello, icone di stile e di eleganza nel mondo
  ■   La Grande Abbuffata – Il Film

La stretta relazione fra moda e cinema è sancita anche nella sfilata all’hotel Excelsior, durante la
Mostra del Cinema di Venezia, nel 1949: per l’haute couture italiana presentarono i loro modelli
Biki, Carosa e le sorelle Fontana. L’alta moda era pronta a fare il suo ingresso nel cinema dando il
suo apporto alla costruzione di una tipologia divistica femminile. Negli anni ‘60 tale ingresso era già
un fatto compiuto ed il rapporto del cinema italiano con la moda si caratterizzava per l’opera del
grande sarto che vestiva il personaggio o i personaggi facendone delle icone di stile, come Irene
Galitzine con Claudia Cardinale in Vaghe stelle dell’Orsa.

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torio De Sica.

Cinecittà, che oltre a produrre film “in proprio”, ospitava fior fiori di mega-produzioni
hollywoodiane attratte, oltre che da rigurgiti da Grand Tour, dalle impareggiabili maestranze, tanto
dotate quanto a basso costo. In più, la rinata voga del periodo per il kolossal storico (da La caduta
dell’Impero romano, a Quo Vadis?, da Ben Hur a Anna Karenina e Guerra e pace), unì la storia della
moda a quella delle sartorie del costume, come la SAFAS, Umberto Tirelli, la Casa d’Arte Peruzzi,
d’origine fiorentina come la Casa d’arte Cerratelli. Oltre ad essere interpellate per gli abiti di scena,
le case di moda venivano in contatto con gli attori, i produttori, i giornalisti… tutti potenziali
acquirenti di nuovi modelli più o meno esclusivi: un indotto economico e di immagine di tutto
rispetto, come hanno dimostrato le Sorelle Fontana e Schubert per primi.
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E poi c’è Vacanze romane (1953), con Audrey Hepburn e Gregory Peck, un film che diventa
subito leggenda, imponendo una moda. Quella di Audrey Hepburn, l’attrice, la diva che più di ogni
altra ha segnato un’icona di stile e di eleganza nel mondo. Modello di vita per tutte le donne che
facciano del glamour e dell’eleganza uno stile, Audrey impose fin da subito il suo charme fuori dagli
schemi, la sua bellezza moderna, e conquistò le riviste di moda; si pensi che le ballerine indossate da
lei diventarono più seducenti dei tacchi a spillo. Elegante, semplice e affascinante. Sorrideva sempre
ai fotografi che le puntavano contro l’obiettivo. E non la si incontrava mai per strada sciatta e
trasandata. Fu proprio il cinema a consegnarle i ruoli della vita e a farla diventare la “diva delle
dive” internazionale. E lo diventò proprio a Roma, pronta a diventare il centro mondiale del glamour,
dell’eleganza, della moda e del cinema.

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Gregory Peck.

La strada alla “Dolce Vita” era aperta e si poteva tentare “Il sorpasso”. I due omonimi film, il primo
di Fellini (Mastroianni-Ekberg) del 1960, il secondo del 1962 di Dino Risi (Gassman-Trintignant), ci
mettono in guardia sulle contraddizioni generate dal miracolo economico nostrale: la moda si
costruisce sulle imprese del lusso, che basano il mercato sui sogni del pubblico di un’immagine
migliore o comunque diversa della realtà e il cinema aiuta all’illusione, o alla riflessione.

  PER APPROFONDIRE:

  ■   Scopri la nostra rubrica dedicata al Cinema

Nel 1968 Pasolini chiede a Roberto Capucci di vestire Terence Stamp e Silvana Mangano per il suo
Teorema. A quel momento il sarto artista aveva già deciso di porsi fuori dal meccanismo tritatutto
commercial-mondano della moda (alla Dior per intenderci), rifiutando il nascente regime del prêt à
porter e optando per la sperimentazione di materiali inconsueti e la ricerca artistica. Due anni prima
Mary Quant, nell’Inghilterra della Rational Dress Society, era stata nominata Cavaliere della Corona
(giusto un anno dopo i Beatles).

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nni ed Anita Ekberg nella Fontana di Trevi, nella famosa scena del film “La dolce
vita” di Federico Fellini.

Nessuno fino ad allora aveva tanto considerato le nuove generazioni come potenziali acquirenti. Sarà
questa in fondo la più grande rivoluzione della moda, in ogni sua sfaccettatura: dall’entrata in scena
delle top model-teen agers (con la mitica Twiggy), alla querelle di Courrège sul copyright della
minigonna (nel ’64 aveva presentato abito corti e linee a trapezio) e a cui la stilista inglese aveva
indirettamente risposto: ”Le vere creatrici della mini sono le ragazze, le stesse che si vedono per la
strada”. E con loro, da qui in poi, anche l’alta moda dovrà fare i conti, soprattutto dopo il “fatidico
‘68”.

[Italiani all’estero] Lavorare per la
scienza: intervista a Walter Tizzano.
Quello della fuga (dei cervelli) all’estero è probabilmente un fenomeno che è sempre esistito, ma
quasi certamente il numero degli italiani che decidono di trasferirsi fuori dall’Italia per avere
maggiori o migliori opportunità lavorative è cresciuto di gran lunga negli ultimi anni. Questo
fenomeno non abbraccia solo persone con un alto livello di istruzione (come si è soliti
pensare) ma anche e soprattutto chi ha un livello di scolarizzazione non elevato ed è mosso dalla
voglia di cercare di costruirsi un futuro che, nel proprio paese, gli è inibito. Quest’ultimi sono
maggiormente occupati nel settore della ristorazione (es. camerieri o cuochi), della vendita al
dettaglio (es. commessi) o nell’edilizia.

I laureati, che sono poco più del 30% secondo i dati Eurostat, sono spinti dalla voglia di trovare un
lavoro che corrisponda alle proprie aspirazioni e capace di dare delle reali opportunità di crescita.
La fuga dei cervelli rappresenta anche una perdita economica per il nostro paese: 164 mila
euro per ogni laureato e 228 mila euro per ogni dottore di ricerca, secondo i dati dell’Ocse.
Ciò che unisce trasversalmente gli e gl’altri è la voglia di avere un presente ed un futuro migliore.

Sin qui numeri e statistiche. Ma dietro ai numeri ed alle
statistiche ci sono persone e storie.
Quella che raccontiamo in questo articolo è quella di un ragazzo – Walter Tizzano – che per seguire
la sua passione è arrivato sino ad Oxford (UK). Laurea con lode in Ingegneria meccanica alla
Federico II di Napoli, un periodo di lavoro in Italia e poi la scelta di partire per poter avere
opportunità e stabilità che per molti giovani italiani appaiono come miraggi.

D. Ciao Walter, raccontaci brevemente la tua storia.

R. Fin da adolescente ho sempre avuto voglia di vedere altri paesi (non solo da turista) e mi sono
sempre sentito fortunato di essere cittadino europeo, visto che l’UE rende facilissimo oltrepassare i
confini nazionali per studiare o lavorare in altri paesi dell’Unione. Mi considero parte della
cosiddetta “generazione Erasmus”: dopo aver avuto l’opportunità di studiare in Danimarca per un
anno, tornato in Italia ho deciso che non mi andava di vivere tutta la vita nello stesso paese, e quindi
una volta laureatomi ho cominciato a cercare lavoro in altri paesi europei. Qua ho trovato fin da
subito un lavoro a condizioni decisamente migliori di quelle che avrei avuto in Italia (contratto a
tempo indeterminato, benefit vari, eccetera), ed Oxford è una cittadina davvero piacevole: a misura
d’uomo, aperta, multiculturale e con un’architettura medievale molto suggestiva, nonché un’offerta
culturale molto soddisfacente.

D. Ci hai detto che lavori in un sincrotrone: puoi spiegarci cosa fa e quali sono le possibili
applicazioni?

R. Un sincrotrone è un tipo di acceleratore di particelle nel quale vengono accelerati elettroni fino a
velocità molto prossime a quelle della luce. Tali particelle emettono una radiazione elettromagnetica
molto brillante, coerente e collimata, definita “luce di sincrotrone”, che viene convogliata in dei
laboratori chiamati “linee di luce” dove viene usata per esperimenti molto diversi tra di loro sia per il
tipo di tecnica utilizzata che per il settore scientifico. Ad esempio, si possono studiare virus o batteri
oppure materiali innovativi per pannelli solari o batterie, o anche reperti archeologici oppure opere
d’arte. Tra i campioni studiati di recente ricordo alcune rocce lunari raccolte durante le missioni
Apollo, e dei detriti dal disastro di Fukushima, analizzati a scopo forense.

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                   “Spazio: ultima frontiera”
D. Come vedi la situazione del nostro paese e quali consigli ti sentiresti di dare ad un
giovane che non sa cosa fare nel prossimo futuro?

R. L’Italia è un paese dalle enormi potenzialità, molto spesso purtroppo inespresse. Purtroppo, da
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