25 MARZO 2018 - UFFICIO STAMPA - Provincia Regionale di Ragusa
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Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA 25 MARZO 2018 LA SICILIA
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POLITICA 25/3/2018 Il dossier Gli incarichi negli staff Parenti- consulenti la politica tiene famiglia Dalla “nuora” di Musumeci ai riciclati Ars e Regione arruolano molti nomi noti ANTONIO FRASCHILLA Anche i politici tengono famiglia, si sa. E nel grande sottobosco della Regione e dell’Assemblea regionale, ecco che la politica in carica tende una mano agli ex colleghi, in alcuni casi, e ai parenti anche eccellenti di politici. Puntuale come sempre all’indomani di ogni tornata elettorale scatta la corsa ad un incarico negli staff di presidente di Regione, assessori e deputati. E in questa corsa si distinguono cognomi che con la politica hanno da sempre a che fare, tutti piazzati con contratti di consulenza o di collaborazione grazie al collega di turno. Tutto legittimo, per carità, considerando che in molti casi si tratta di incarichi fiduciari. Ma a scorrere i nomi dei contrattualizzati tra Palazzo d’Orleans e Palazzo dei Normanni, i cognomi ricorrenti della politica di Sicilia sono davvero tanti, a decine. Un piccolo record si registra proprio all’Ars. I componenti del Consiglio di presidenza oltre ai classici portaborse possono nominare altri collaboratori grazie ad un budget ad hoc aggiuntivo. Il presidente Gianfranco Micciché, tra i suoi collaboratori, ha nominato Giuseppe D’Orsi, figlio dell’ex presidente della Provincia di Agrigento, con un compenso di 1.661 euro al mese, e Manuela Pellegrino, figlia dell’ex deputato Bartolo, con identico compenso. E, ancora, Marzia La Russa, figlia dell’ex deputato regionale Angelo e moglie dell’ex sindaco di Agrigento Marzo Zambuto. Tengo famiglia. Il deputato di Diventerà Bellissima nel Consiglio di presidenza Giorgio Assenza ha messo sotto contratto Francesca Firetto Carlino, compagna di Salvatore Musumeci, figlio del governatore e leader del movimento, Nello Musumeci. A LiveSicilia, che ha riportato la notizia, il presidente della Regione ha detto: «Non mi sono mai occupato e non mi occupo dei collaboratori scelti dai deputati. Per quanto mi riguarda, so solo che i miei figli sono ancora disoccupati, perché il papà non li ha mai raccomandati». Ma se non sono i parenti a volte sono direttamente i politici rimasti orfani di una poltrona nelle stanze del potere che rientrano dalla finestra grazie agli staff. In quello di Miccichè c’è ad esempio l’ex deputato Salvatore Lentini, mentre in quelli dei 5 stelle Giancarlo Cancelleri e Salvatore Siragusa ci sono gli ex deputati, non ricandidati perché coinvolti nel caso firme false a Palermo, Giorgio Ciaccio e Claudia La Rocca. Spostandosi di qualche passo verso la Regione, nello staff dell’assessore al Turismo Sandro Pappalardo, fra gli altri c’è l’ex assessore comunale al Turismo di Palermo e dirigente di Fratelli d’Italia Raoul Russo, mentre Toto Cordaro al Territorio ha indicato come suo segretario particolare il vicepresidente del Consiglio comunale di Bagheria, Maurizio Lo Galbo e nella segreteria particolare l’ex consigliere
comunale di Palermo Felice Bruscia. Marco Falcone alle Infrastrutture ha indicato come segretario Giuseppe Li Volti, ex sindaco di Vizzini, Enzo Marchingiglio, ex sindaco di Mirabella Imbaccari, e Maurizio Siragusa, vicesindaco di Mineo. L’assessore all’Agricoltura di Forza Italia, Edy Bandiera, ha scelto come capo di gabinetto vicario Nicola Caldarone: ex leader dei giovani di An, già nello staff dell’ex ministro Gianni Alemanno (dovette dimettersi dopo le polemiche per una vicenda di stupefacenti che lo sfiorò), oggi è coordinatore provinciale forzista a Palermo ed è stato appena nominato alla guida dell’Esa. In alcuni casi, il piede nel palazzo lo si mette attraverso magari una consulenza: a Palazzo d’Orleans ha un incarico Gaetana Pontrelli, candidata alle Politiche nelle liste di Fdi, e tra i consulenti regionali c’è anche il consigliere comunale di Catania Angelo Moschetto. Quanto sono belle le porte girevoli dei palazzi della politica di Sicilia. © RIPRODUZIONE RISERVATA
POLITICA 25/3/2018 Gli scenari Primarie o transizione? Il Pd apre il dopo-Raciti Giusi Spica Oggi direzione. Il segretario si presenta dimissionario Tre le ipotesi: i gazebo una reggenza o una cabina di regia fino alle Comunali La prima prova, il voto per scegliere i presidenti di Camera e Senato, è finita. Oggi per il deputato nazionale Fausto Raciti ci sarà la seconda davanti alla direzione regionale del Pd, dove rassegnerà le dimissioni da segretario. Il primo “ faccia a faccia” tra le anime del partito dopo la disfatta delle Politiche che hanno visto il Pd sotto la soglia del 12 per cento di consensi in Sicilia. Gli scenari sono tre: aspettare il prossimo congresso regionale e quindi le primarie per scegliere il successore ( è la linea di Raciti che intende agganciare questo passaggio all’assemblea nazionale di aprile), convocare subito l’assemblea regionale che elegga un segretario di transizione (ipotesi che piace ad alcuni deputati all’Ars) o creare una cabina di regia coordinata dal segretario dimissionario per superare le amministrative di giugno in 140 comuni e traghettare il partito fino al congresso in autunno. Un ruolo potrebbe giocarlo l’area che si sta riorganizzando intorno al deputato Antonello Cracolici, che aveva contestato la scelta dell’ex segretario Matteo Renzi e del suo alfiere siciliano Davide Faraone di candidare esponenti con trascorsi in altri partiti. Ieri, con Cracolici, all’incontro organizzato dalla sua associazione Demos, c’erano i suoi fedelissimi esclusi dalle liste, come Magda Culotta e Franco Ribaudo, e storici dem che si erano avvicinati a Liberi e uguali, come il sindaco di Caltavuturo Domenico Giannopolo, quello di Petralia Sottana Michele Neglia e il segretario della Camera del lavoro della Cgil Enzo Campo. Il messaggio di Cracolici è chiaro: « Basta con il partito- ascensore che vuole sostituire la sua classe dirigente con quella di altri partiti. La crisi del Pd è tale che non si può pensare di superarla solo con l’esercizio di democrazia ai gazebo per il segretario regionale». Prima di decidere, i 120 membri della direzione ascolteranno il discorso di Raciti sulle ragioni della sconfitta. « Si potrebbe creare una gestione più collegiale coordinata dal segretario dimissionario o scegliere un reggente che convochi l’assemblea per eleggere un segretario di transizione » , ipotizza il capogruppo all’Ars Giuseppe Lupo. I Partigiani dem guidati da Antonio Rubino hanno le idee chiare: « Rifiuteremo qualsiasi ipotesi di transizione che preveda accordi fatti dentro qualche stanza dell’Ars » . In questo quadro, l’unica certezza è che l’ala renziana che fa capo a Faraone sarà sotto attacco. © RIPRODUZIONE RISERVATA
ATTUALITA 25/3/2018 L’allarme Aeroporti, nell’Isola rischio trasferimento per 24 uomini radar Gioacchino Amato Le operazioni saranno gestite da Roma, Milano, Padova e Brindisi. Possibile cambio di sede per molti dipendenti di Punta Raisi e Comiso È stato approvato il 12 marzo e in poche ore ha messo in fibrillazione i 1.900 uomini radar che lavorano nelle 45 torri di controllo italiane compresi i 36 i servizio a Palermo e i nove di stanza a Comiso. È il piano industriale dell’Enav, l’Ente Nazionale Aviazione Civile che prevede una rivoluzione nella gestione del traffico nei cieli italiani e massicci trasferimenti di personale a partire dal Sud Italia. A rischio mobilità solo a Punta Raisi ci sarebbero da 12 a 15 persone, a Comiso successivamente dovrebbero andar via tutti i nove addetti. Con un grosso investimento tecnologico Enav cambierà l’attuale sistema che prevede quattro centri di controllo a Milano, Roma, Padova e Brindisi che assistono gli aerei durante la rotta e 45 torri di controllo che invece prendono in carico gli aerei per l’avvicinamento e poi per atterraggio, decollo e movimenti nelle piste. Nel giro di 5 anni molto cambierà. I due soli centri di Roma e Milano gestiranno non solo tutti gli aerei durante il volo ma anche gli avvicinamenti in quasi tutti i 45 scali italiani. Prima Brindisi e poi Padova saranno trasformati in due “hub” quasi da fantascienza da dove “in remoto” tramite sensori e controlli video saranno gestiti atterraggi e movimenti a terra di circa 26 aeroporti piccoli e medi da dove spariranno le torri di controllo come le conosciamo attualmente. Gli uomini radar di Palermo raccontano che il piano è già entrato nel vivo a Olbia dove da maggio l’avvicinamento allo scalo verrà gestito da Roma e l’addestramento alle nuove procedure è già in fase conclusiva. Ma soprattutto già sei persone hanno dovuto fare le valigie e trasferirsi altrove. A Palermo a gestire le procedure di avvicinamento una quindicina di addetti che lavorano già basandosi esclusivamente sugli strumenti da un centro di controllo senza visuale esterna. Presto però a gestire l’avvicinamento alle piste palermitane saranno gli uomini radar da Roma Ciampino. I sindacati non si sbilanciano ma confermano le perplessità su tempi e modi della “rivoluzione” e sulla mobilità. Ma al Falcone- Borsellino dove oltre ai 36 uomini radar lavorano sei osservatori meteo e 18 tecnici di Technosky, partecipata di Enav che si occupa di manutenzione, la preoccupazione è già alta. Mentre pare che Comiso sia nella lista ( fino ad ora top secret) degli aeroporti che saranno gestiti a distanza da Brindisi. In questo caso i nove controllori saranno trasferiti e nello scalo ibleo anche le piste saranno gestite dalla Puglia. Nulla cambierà per gli altri scali siciliani. A Catania gli avvicinamenti sono gestiti dall’aeronautica militare vista la vicinanza con Sigonella e la torre dell’aeroporto di Fontanarossa gestisce già soltanto decolli, atterraggi e movimenti a terra. Trapani è uno scalo militare aperto a voli civili e per questo nella torre ci sono uomini dell’aeronautica. Per Lampedusa e Pantelleria il problema sono i cablaggi per controllare tutto a distanza. I cavi sottomarini nei quali passano anche le linee internet non sarebbero abbastanza affidabili.
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POLITICA 25/3/2018 Il retroscena Gli accordi e gli ostacoli Avanti tutta sul governo insieme Il capo M5S: “ Berlusconi si ritiri” TOMMASO CIRIACO, ROMA C’è un ostacolo grande quanto Palazzo Grazioli lungo il cammino che porta al governo grillo-leghista, l’unico a cui lavorano per davvero Luigi Di Maio e Matteo Salvini. È l’eredità scomoda di Silvio Berlusconi, che esce devastato dalla morsa dei due giovani leader. Mai e poi mai i cinquestelle potranno traghettare direttamente il loro odiato “Caimano” nella nuova maggioranza. Mai riconoscergli un ruolo. Mai sedere allo stesso tavolo. «Il mio consiglio - si lascia sfuggire con alcuni colleghi alla Camera proprio Di Maio - è che Berlusconi lasci la vita politica...». Eccolo, il macigno che rallenta un’operazione altrimenti progettata fin nei dettagli. Ma c’è anche una via d’uscita, almeno sulla carta. È un’idea del numero uno del Carroccio, che ha subito allarmato il Cavaliere e i dirigenti a cui l’ha riferita. «Lascia il partito a un reggente è stato il suggerimento - Io rappresento il centrodestra e tratterò con i cinquestelle. Poi mi relazionerò con il vostro rappresentante. È l’unico modo, non hai altra scelta per restare in partita». Condizioni durissime, forse inaccettabili. Se dovesse rifiutare, però, partirebbe comunque un esecutivo con dentro il Movimento e la Lega. E tra i due nuovi alleati si consumerebbe l’ovvio braccio di ferro sulla premiership. Almeno su quest’ultimo aspetto, va detto, l’accordo ancora non c’è. E un duro scontro è già in atto. Salvini, rafforzato dal trionfo politico nel rebus delle presidenze delle Camere, ha ribadito anche ieri a Di Maio la proposta: un passo indietro di entrambi e un premier “terzo”, espressione del nuovo governo populista. Poi, certo, il capo della Lega pensa che l’identikit migliore sia quello di un suo fedelissimo, l’esperto Giancarlo Giorgetti. Ma il problema è a monte: il leader dei grillini non ha ancora garantito che si farà da parte. Anzi, tiene il punto e lo terrà ancora a lungo: «Io capo dell’esecutivo? Il Movimento ha ottenuto il 32% con un candidato premier - ripete - e spero si possa tener conto di questo risultato». Se proprio dovesse mollare, al termine di una battaglia senza quartiere, punterebbe comunque su un profilo il più vicino possibile alla galassia pentastellata. L’incastro, insomma, non è semplice. E tatticamente Di Maio esalterà in questi giorni le geometrie variabili, senza preclusioni verso un eventuale accordo di governo col Pd. Ma è un diversivo. La verità è che i due nuovi padroni degli equilibri parlamentari hanno voglia di governo. Magari non lunghissimo, magari di un anno. Ma con una bozza di programma già pronto. Eccolo, declinato dal politico di Pomigliano d’Arco: «Taglio delle tasse alle imprese, il superamento della legge Fornero, sostegni alle famiglie che fanno figli, uno strumento che aiuti a trovare lavoro ai giovani che lo perdono».
Quest’ultimo , in particolare, assomiglia a una versione ultra light del reddito di cittadinanza. Molto si capirà già sul Def, dove grillini e leghisti lavorano da settimane gomito a gomito. Ma il nodo più complicato da sciogliere, come detto, ha la forma e il peso politico di Berlusconi. L’idea di Salvini è quella di relegarlo ai margini estremi dell’arena. Quella di Di Maio è ovviamente più radicale e prevede un inderogabile pensionamento. Beppe Grillo è pronto a infierire sul Cavaliere, mentre con salvini è pronto a fare il governo in nome del “rinnovamento”. La verità è che entrambe le proposte sono difficilmente digeribili dal fondatore di Forza Italia. Con Gianni Letta, continua piuttosto a sognare un governo istituzionale, guidato dalla nuova Presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati. Ma l’incubo è che alla fine sarà proprio la morsa populista a indurlo allo strappo, avverando la “profezia” lanciata ieri da Matteo Renzi dopo il voto di Palazzo Madama: «Adesso all’opposizione ci siamo solo noi. Forse arriverà Berlusconi, assieme a un po’ dei suoi...». Un po’ dei suoi, perché la rottura nel centrodestra provocherebbe una sanguinosa scissione di Forza Italia a vantaggio del Carroccio. «Che Salvini e Di Maio facciano un governo insieme - ragiona Ignazio La Russa - lo do praticamente per scontato. Dobbiamo capire se lo farà anche con noi e Berlusconi. Impossibile? Dipende da come Silvio gestirà la nuova fase...». Anche in Fratelli d’Italia, d’altra parte, è in atto una riflessione lacerante. Entrare nell’esecutivo anche senza Berlusconi o restarne fuori? Per Fabio Rampelli, braccio destro di Giorgia Meloni, tutto è possibile: «Un governo leghista e grillino sarebbe una novità con cui necessariamente fare i conti». © RIPRODUZIONE RISERVATA Braccio di ferro su chi va a Palazzo Chigi e sul ruolo del Cavaliere. Salvini gli proporrà di lasciare Fi a un reggente. L’ipotesi di un premier “terzo” Il vertice decisivo del centrodestra Matteo Salvini all’arrivo a Palazzo Grazioli con Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti per l’incontro con Silvio Berlusconi
POLITICA 25/3/2018 Il Colle Gentiloni si dimette, consultazioni dal 3 aprile umberto rosso, roma Il presidente Mattarella lo ha molto ringraziato per « l’impegno profuso » in questo suo anno di governo. Il premier Gentiloni, riconsegnando il mandato, spiega che è stato «un onore» servire il suo paese, e che continuerà a farlo accogliendo l’invito del capo dello Stato a restare in carica “ per il disbrigo degli affari correnti”, fino alla formazione di un nuovo esecutivo. Come prassi costituzionale vuole, evocata dal segretario generale del Quirinale Ugo Zampetti che dà l’annuncio delle dimissioni dell’esecutivo, quando si insedia un nuovo Parlamento cala il sipario sul vecchio governo. Anche se il filo fra Mattarella e Gentiloni, in qualche modo, non si spezza. I tempi delle consultazioni, che cominceranno il 3 aprile, non si annunciano brevi. Ma si volta pagina rispetto alla squadra che si trova a Palazzo Chigi dal 12 dicembre 2016. Con un colloquio di una quarantina di minuti, alle sei del pomeriggio, nello studio del presidente della Repubblica, dove poco prima del premier era arrivati l’uno dopo l’altro in visita di cortesia la neo presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati e a seguire il neo presidente della Camera Roberto Fico. Con la prima, Mattarella ha consuetudine di rapporti in quanto ex componente del Csm, che il capo dello Stato presiede. Con l’esponente 5Stelle si è trattato invece di un primo colloquio. Incontri « cordialissimi » , filtra. Sul calendario del Colle resta segnato martedì 3 aprile come giornata d’avvio degli incontri per il nuovo esecutivo. Bisogna attendere ancora infatti la formazione dei gruppi parlamentari e l’elezione dei capigruppo, che poi andranno al Quirinale per le consultazioni. Quindi, l’elezione degli uffici di presidenze delle due Camere. E intanto, sarà arrivata Pasqua. Ma, soprattutto, Mattarella vuol far decantare il clima politico, arroventato dopo la spaccatura fra Berlusconi e Salvini ricucita in extremis con l’elezione dei presidenti delle Camere. Eletti con un asse centrodestra- M5S. Prove generali per un accordo di governo? Mattarella farà riferimento a questa maggioranza per risolvere il rebus dell’incarico? Una “consecutio” tutt’altro che automatica per il Colle. Anche perché, nello stesso documento della pax firmato ieri mattina dai tre capi del centrodestra si mette nero su bianco che l’intesa con i grillini sulle presidenze è partita diversa rispetto a quella per il governo. Spiegano che non si è trattato di un accordo «prodromico» a quello per Palazzo Chigi, e che i due percorsi istituzionali restano «del tutto distinti». Dopo i tanti contatti informali tenuti già all’indomani dl voto, la stella polare di Mattarella resta la Costituzione e il principio- chiave sancito dal Rosatellum che è sostanzialmente proporzionale: l’incarico va al leader che riesce a portargli il 51 per cento dei consensi in entrambe le Camere. Il che, davanti al quadro politico attuale, significa alleanze. Con un governo serio e un programma di lungo respiro. Non a tempo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il premier resta in carica per gli affari correnti. Mattarella lo ringrazia E lui: “È stato un onore” Le linee guida per l’esecutivo: incarico solo a chi dimostrerà di avere i numeri in Parlamento
POLITICA 25/3/2018 Il caso L’imbarazzo della truppa 5S Lezzi: “Mi sono turata il naso” Elettori sul blog: patti indegni I neo senatori: ubbidito per Fico. Casellati era nell’elenco dei candidati da infangare in campagna elettorale emanuele lauria « Ho votato la Casellati turandomi il naso. Sì, possiamo metterla così » . L’imbarazzo dei senatori di 5 Stelle che hanno spinto l’ultrà berlusconiana alla presidenza del Senato si può riassumere nelle parole di Barbara Lezzi: « Ho chiuso gli occhi e ho pensato che, poco lontano, stavamo mandando Roberto Fico alla guida della Camera » . La realpolitik copre tanto ma non proprio tutto, nel giorno in cui i grillini scendono a patti con i nemici di sempre. Se Lezzi, alla seconda legislatura, usa l’espressione coniata da Montanelli per la Dc, un neoeletto come Daniele Pesco non nega «il mal di pancia» in cabina elettorale: « Ma è politica... » . Già, è politica. Via gli steccati e le pregiudiziali pentastellate: «Non riuscirete a rovinarci la festa » , sibila Vincenzo Santangelo, che da capogruppo M5S annunciò la richiesta di impeachment nei confronti di Napolitano, « reo di avere controfirmato le leggi ad personam di Berlusconi e di avere permesso che un futuro condannato controllasse il Paese per anni». Le stesse leggi che Casellati, ex sottosegretaria alla Giustizia, ha promosso e difeso, definendo poi un “ golpe” l’esclusione del Cavaliere dal Senato. « Nessun impaccio nel votare la fedelissima di Berlusconi? Questo lo dice lei. Io dico che oggi siamo contenti per l’elezione di Fico » , ancora Santangelo. Ma Casellati sarà figura di garanzia? «Come lo è stata quella di Grasso », azzarda il senatore trapanese, in una ardua difesa del pactum sceleris che per primi additano sul web gli stessi elettori grillini. Pochi minuti dopo la proclamazione di Casellati, sui social si moltiplicano i video delle liti televisive fra Marco Travaglio e la nuova presidente del Senato che difende Berlusconi per la condanna Mediatrade e si inalbera quando le si ricorda il caso della figlia assunta al ministero. « Avete offeso milioni di italiani che hanno creduto che in chi diceva che con il condannato Berlusconi non si scendeva a patti » , scrive sul blog delle stelle Giuseppe Paris, in uno dei tanti post critici che vengono presto cancellati. «Siamo passati da un ex procuratore antimafia a una che protestava contro il processo Ruby», dice Franco Zanni sul profilo di Di Battista. «Ci stiamo inquinando » . « Così abbiamo già perso migliaia di elettori», il tenore di altri commenti. Il problema non esiste, per il senatore Mario Giarrusso: « Gli attacchi su Casellati? Ma quelli sono troll pagati dal Pd». Ah, ecco. Cambiano le coordinate, nel planisfero grillino. L’esponente forzista, solo due mesi fa, era nell’elenco degli avversari da infangare su Internet che in Veneto suscitò accese polemiche. Jacopo Berti, coordinatore della campagna elettorale M5S, giustificò così l’improvvida iniziativa: « È giusto far sapere chi sono gli impresentabili: candidati come Elisabetta Casellati che era sottosegretario alla Giustizia quando sono state depotenziate le procure intasate dai faldoni sul Mose e
sulle banche venete». Peccati d’un tratto diventati veniali, per i 5 Stelle che di Casellati hanno contribuito a fare ieri la seconda carica dello Stato. « Meglio lei che il condannato Romani » , taglia corto il capogruppo Danilo Toninelli. «E poi trovatelo voi uno non chiacchierato in Forza Italia», commenta divertito l’eurodeputato Ignazio Corrao. Segnando definitivamente il passaggio dal “vaffa” al sano, vecchio, pragmatismo di governo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
ECONOMIA 25/3/2018 La politica e i conti Sul governo che verrà pesa già la manovrina A Cernobbio Cottarelli prevede che l’Europa ci possa chiedere una correzione da 3 miliardi e mezzo in primavera E per il 2019 si profila un intervento che tra clausole di salvaguardia e spese indifferibili può sfiorare i 20 miliardi marco patucchi, Dal nostro inviato cernobbio « Una giornata che non dimenticheremo mai » . Comprensibile l’euforia twittata dal leader pentastellato, Luigi Di Maio, appena eletti i nuovi presidenti delle Camere. Ma verranno giorni meno memorabili, c’è da scommetterlo, e il murales del bacio con Matteo Salvini, pivot leghista del centrodestra, rischierà di sbiadire nella fotografia di un lontano fidanzamento. Bastava trovarsi a Cernobbio nelle stesse ore della conquista delle Camere a Roma, per farsi un’idea di cosa li attende se il fidanzamento Lega- Cinque Stelle ( con liaison forzista) sboccerà in un matrimonio vero e proprio. Quando bisognerà fare i conti con il bilancio familiare e con il mantenimento delle promesse elettorali. In riva al lago, nel fine settimana del forum di Confcommercio, numeri e riflessioni hanno messo in fila questa ineludibile contabilità, ben rappresentata dalle considerazioni di Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici della Cattolica: « Vediamo cosa succederà in primavera, ma non mi stupirei se l’Europa ci chiedesse di fare un adattamento, diciamo dello 0,2/ 0,3% sul Pil » . Quindi Bruxelles, che ha già puntato i suoi riflettori sul confuso palcoscenico italiano, ci potrebbe chiedere una manovra correttiva di circa 3,5 miliardi e nonostante il miglioramento delle stime del parametro del deficit-Pil, in riduzione secondo l’Istat dal 2,1 all’ 1,9%, le parole rassicuranti del premier in carica Paolo Gentiloni, qualche giorno fa dal Consiglio Ue, non convincono più di tanto. E proprio qui a Cernobbio sono emersi scenari statistici che fanno vacillare l’otti-mismo della volontà del premier uscente. A prescindere dalle intemerate anti-europee di Matteo Salvini, l’Italia è al momento ancora nell’Unione monetaria e certe cifre non rappresentano semplicemente un esercizio accademico. Anche perché toccherà proprio al nuovo governo varare ( presumibilmente) il Def entro aprile e (sicuramente) la nota di aggiornamento di settembre. Guardando al prossimo anno, si prefigura una manovra intorno ai 20 miliardi di euro: 12,4 per disinnescare le clausole di salvaguardia che altrimenti farebbero scattare dal primo gennaio gli aumenti dell’Iva (e almeno su questa misura c’è l’unanimità di intenti di tutte le forze politiche); 5 miliardi delle spese indifferibili, dal finanziamento delle missioni internazionali ai trasferimenti agli enti pubblici; circa 2 miliardi per il rinnovo del contratto del pubblico impiego, perché quello appena siglato copre il periodo 2016- 2018. È questo, appunto, il “ bilancio familiare” con il quale dovrà fare i conti un eventuale esecutivo a trazione populista, o qualsivoglia altro inquilino si insedierà a palazzo Chigi. Un libro contabile che
andrebbe poi rimpolpato con le misure che hanno fatto la fortuna dei vincitori: dalla flat tax al reddito di cittadinanza, dalla cancellazione della legge Fornero alla disarticolazione del Jobs Act. Promesse, evidentemente costose, che potrebbero incrociarsi con un quadro congiunturale meno roseo del previsto. Nel rapporto sulle economie territoriali - presentato da Confcommercio ai suoi iscritti che a Cernobbio guardavano le contemporanee evoluzioni parlamentari senza avvistare, per la prima volta, punti di riferimento precisi - c’è la fotografia di un’economia italiana capace di riprendersi, ma non di crescere. Minacciata, oltretutto, da una possibile frenata: « Il primo trimestre 2018 potrebbe mostrare una variazione tendenziale al di sotto dell’1,4%, l’apertura di una fase di raffreddamento dell’attività economica » . Con le distanze tra Nord e Sud che si ampliano ( « Molte regioni meridionali presentano livello di Pil per abitante sotto la metà di quello delle migliori regioni settentrionali » ) e con l’unico “ primato” del Mezzogiorno che è il rapporto occupati-popolazione, in crescita ma solo perché denatalità e migrazione interna abbattono il denominatore. Un blocco della mobilità sociale che spiegherebbe il « sentimento di rancore » determinante nell’esito del voto, con l’Italia spaccata in due tra il nord benestante e leghista che ora si attende la flat tax, e il sud pentastellato e sofferente che pretenderà il reddito di cittadinanza. Le due misure sulle quali Salvini e Di Maio hanno costruito un capolavoro elettorale, ma che potrebbero trasformarsi nel cappio delle loro ambizioni governative. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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