22 MARZO 2018 - UFFICIO STAMPA - Provincia Regionale di Ragusa

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UFFICIO STAMPA

22 MARZO 2018
22 MARZO 2018 - UFFICIO STAMPA - Provincia Regionale di Ragusa
LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA

                      già Provincia Regionale di Ragusa

                                   Ufficio Stampa

Comunicato n. 033 del 21.03.18
Giornata Mondiale dell’Acqua 2018. Domani focus ‘verso un contratto di fiume
e di costa degli iblei”

La celebrazione della Giornata Mondiale dell’Acqua 2018 sarà celebrata domani,
giovedì 22 marzo 2018 (inizio ore 9,30) con un’iniziativa pubblica nella Sala Giunta
del Palazzo della Provincia. Si terrà infatti il 5° Tavolo dell’Acqua indetto da Svimed
e Ati Idrico Ragusa, con il coinvolgimento del Libero Consorzio di Ragusa.
La Giornata Mondiale dell’Acqua è una ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite nel
1992 e il 22 Marzo di ogni anno, gli Stati dell’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite sono invitati a promuovere eventi ed attività in coerenza con il tema dell’anno.
L’evento di Ragusa è stato registrato tra gli eventi ufficiali del World Water Day
2018 dell’UN-Water, l’Agenzia dell’ONU che si occupa delle problematiche delle
risorse idriche nel mondo.
Quest’anno la “Giornata” affronta il tema “Natura per l’acqua”, ovvero esplorare le
soluzioni basate sulla natura per affrontare le sfide del XXI secolo, relative alle
risorse idriche, alla loro tutela, all’accesso all’acqua, fonte di vita.
Questo tema sarà affrontato con i rappresentanti degli enti provinciali che
sovrintendono al controllo ed alla gestione delle risorse idriche nel territorio ibleo
attraverso il focus sul contratto di fiume e di costa della Provincia di Ragusa, quale
strumento per adottare un sistema di regole in cui i criteri di utilità pubblica,
rendimento economico, valore sociale, sostenibilità ambientale intervengono in modo
paritario nella ricerca di soluzioni efficaci per la riqualificazione e la sicurezza
idrogeologica, sia dei bacini fluviali che dei litorali costieri.
I lavori saranno aperti dal Commissario straordinario del Libero Consorzio di Ragusa
Salvatore Piazza e dal presidente dell’Ati Idrico Bartolo Giaquinta. A moderare i
lavori del ‘Tavolo’ sarà Giovanni Iacono, presidente Svimed.

(gianni molè)
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Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA   22 MARZO 2018

                          LA SICILIA – MODICA
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                                LA SICILIA
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                                LA SICILIA

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                          LA SICILIA – VITTORIA
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                                LA SICILIA
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                               LA SICILIA
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                               LA SICILIA
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Il caso

Cantone all’Ars: “ Fuori gli stipendi”
L’Anticorruzione striglia Palazzo dei Normanni per la scarsa trasparenza. Ed ecco i
maxicompensi dei dirigenti

antonio fraschilla

Raffaele Cantone va alla guerra contro l’Assemblea regionale siciliana. Tema dello scontro, la scarsa trasparenza. A
cominciare dalla mancata pubblicazione sul sito di tutti gli atti e i compensi di chi lavora a Palazzo dei Normanni, dai
deputati ai portaborse, dai dipendenti dei gruppi ai superburocrati. E, ancora, la mancata pubblicazione degli appalti
diretti e su gara varati dall’Ars, delle delibere del Consiglio di presidenza e delle verifiche sulle performance dei
dipendenti. Dopo un durissimo botta e risposta di carte bollate, con i vertici dell’Assemblea che ribattevano a Cantone
di «avere già applicato in autonomia le norme sulla trasparenza su moltissimi punti » e sostenevano che comunque il
Parlamento « è autonomo e non soggetto al controllo dell’Anac», il presidente dell’Autorità la scorsa settimana ha
firmato una delibera nella quale si dice che « l’Ars, pur nella sua autonomia, deve rispettare in toto la legge del 2013
sulla trasparenza in tutte le sue linee guida ed è soggetta al controllo dell’Anac ».
Secondo Cantone, nonostante l’applicazione in autonomia, non c’è trasparenza sugli appalti diretti, sui dipendenti a
tempo determinato ( cioè sugli assunti nei gruppi), sui curriculum dei deputati e sugli atti dell’Ars, comprese le delibere
del Consiglio di presidenza che il presidente Gianfranco Miccichè ha annunciato più volte di «non voler rendere
pubbliche» anche se si tratta di provvedimenti di spesa. Uno scontro che va avanti da tempo, quello tra l’Anac e
Palazzo dei Normanni, e che adesso è arrivato all’epilogo con la delibera dello scorso 8 marzo dall’Autorità
anticorruzione.
Nel frattempo, però, in parte Palazzo dei Normanni si è adeguato e per la prima volta ha pubblicato, ad esempio, gli
stipendi veri ( e non solo i tetti generici) dei superdirigenti, in tutto dodici: con nome, cognome e compenso individuale.
Una rivoluzione, considerando che i predecessori del segretario generale Fabrizio Scimè non avevano mai reso noti
questi dati. Ed ecco gli stipendi dei superdirettori, con il tetto a 240 mila euro: Scimè 240mila euro, come i vice
segretari Salvatore Pecoraro e Mario Di Piazza. Tra i direttori, Maria Ingarao, responsabile ufficio stampa e relazioni
con il pubblico, ha uno stipendio di 214mila euro lordi all’anno, Angela Murana, responsabile rendicontazione gruppi
parlamentari, 209mila euro, Filippo Palmeri, direttore dei servizi delle commissioni, 232mila euro, Fabio Scalia, direttore
del servizio personale, 213mila euro. Tra i direttori arrivano a quota 240mila euro Riccardo Anselmo, Patrizia Perino,
Laura Salamone e Antonio Tomasello. « Inoltre sul sito abbiamo pubblicato tutti i dati sugli stipendi dei deputati e sui
rendiconti dei gruppi. Per il resto Cantone ci chiede di pubblicare documenti che non abbiamo, come la valutazione
delle performance dei dipendenti », dicono da Palazzo dei Normanni, sottolineando « come l’Assemblea abbia oggi uno
dei siti con più documenti accessibili rispetto ad altri consiglieri regionali».
«In ogni caso, noi siamo autonomi e non soggetti al controllo dell’Anac » , ribadiscono i vertici del Parlamento
regionale. Ma Cantone insiste e chiede che venga rispettato alla lettera lo schema, che « vale per tutto il territorio
nazionale » , sui dati da pubblicare nei siti per garantire la trasparenza. In particolare, l’Anac contesta all’Ars «carenti
informazioni riferite al personale » e la mancanza di dati sul personale a tempo determinato, cioè ad esempio quelli dei
gruppi parlamentari, con annesso compenso. Per Cantone « risultano poi carenti e non aggiornate» le informazioni sui
« provvedimenti riferiti agli organi di indirizzo politico- dirigenziale » . Ad esempio, manca la voce sulle delibere del
Consiglio di presidenza e anche sui decreti dei direttori. Inoltre, risultano « frammentarie e carenti » le informazioni
relative ai bandi di gara e sono assenti, in particolare, le delibere nell’ipotesi di procedura negoziata senza pubblicazione
dei bandi di gara: in sintesi, gli affidamenti diretti. « L’Assemblea regionale — scrive Cantone nell’ultima delibera
pubblicata la scorsa settimana — è tenuta al rispetto degli obblighi di trasparenza ed è sottoposta alla vigilanza
dell’Autorità nazionale anticorruzione » . Tradotto: per Cantone l’Anac potrebbe infliggere anche sanzioni ai vertici,
politici e burocratici dell’Ars, in caso di mancato rispetto in toto della norma. Lo scontro continua.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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                                 G.D.S.

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Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA   22 MARZO 2018
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POLITICA                                                                                                   22/3/2018

Le presidenze di Camera e Senato

M5S-destra, il patto traballa Berlusconi a Di
Maio: vediamoci
No dei 5Stelle a Romani (“non votiamo condannati”) ma Forza Italia insiste: lui a Palazzo
Madama. L’ira di Salvini in difesa dell’asse con i grillini, che a Montecitorio lanciano Fico

carmelo lopapa,

roma
Silvio Berlusconi lancia la candidatura di Paolo Romani alla presidenza del Senato, col sostegno formale di tutto il
centrodestra. Primo passo verso un’intesa che dovrebbe portare all’elezione del grillino Roberto Fico alla Camera. Ma
trascorrono poche ore dal vertice di Palazzo Grazioli con Salvini e Meloni e il M5S ribadisce il veto con cui già sabato
scorso Luigi Di Maio aveva stoppato la corsa del capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama. «Non veniamo meno ai
nostri principi, non voteremo persone condannate o sotto processo » , confermano i loro capigruppo Giulia Grillo e
Danilo Toninelli, senza citare Romani ma alludendo alla condanna non definitiva per peculato per una vecchia storia
legata all’uso di un cellulare di servizio. E tanto basta per complicare il quadro, ma soprattutto per alimentare i sospetti
del Cavaliere sulla reale partita che starebbe giocando l’alleato-leader Salvini.
Tra i due il clima si fa teso quando, al termine dell’ennesimo summit a Grazioli in serata, stavolta tra Berlusconi e lo
stato maggiore forzista, non solo viene confermato che si va avanti su Romani, ma viene pubblicata una nota con cui
l’ex premier invoca « un incontro congiunto con la partecipazione dei leader di tutte le forze politiche, unici che
possano garantire il rispetto di ogni accordo per le candidature di Camera e Senato » . È la conferma che il Cavaliere
vuole trattare in prima persona con Di Maio, non si fida del dialogo esclusivo di Matteo col grillino. Pretende la stretta
di mano. Che non avrà mai, perché il candidato premier del Movimento ha già fatto sapere indirettamente a Gianni Letta
che preferisce trattare coi capigruppo, non col fondatore di Fi.
Il centrodestra, che vanta oltre 130 senatori, dalla quarta votazione in programma sabato (col ballottaggio tra i primi
due più votati) avrebbe i numeri per eleggere Romani. In realtà, spiegano dal quartier generale forzista, cercheranno di
capire in queste ore se il « non possiamo votare» dei grillini implichi un sostanziale « votatevelo voi » , magari con
l’astensione del M5S, senza ulteriori clamori. Diverso sarà il discorso se contro quella candidatura inizierà una
campagna aggressiva che alla fine costringa Berlusconi e i suoi al ritiro di Romani. La blindatura del nome era avvenuta
in mattinata, prima del vertice di centrodestra, quando a Grazioli si è ritrovato lo stato maggiore con Gianni Letta,
Niccolò Ghedini, Renato Brunetta e lo stesso candidato. Via libera telefonico anche di Fedele Confalonieri nei confronti
dell’uomo da sempre vicino all’universo Mediaset e Fininvest. Nel successivo pranzo con gli alleati, il Cavaliere ha
spiegato che sarà lui il candidato di Fi, al quale subordinerà il sostegno al M5S alla Camera e l’eventuale, successivo
accordo su un « governo di programma ». Al tavolo di Grazioli il padrone di casa ha fatto anche gli altri due nomi che
compongono la rosa. Quello di Anna Maria Bernini e di Elisabetta Alberti Casellati, l’ex sottosegretaria alla Giustizia (
2008- 2011) ai tempi del Guardasigilli Alfano e membro del Csm in quota Fi.
A fine giornata la terza telefonata in pochi giorni tra Salvini e Di Maio, a conferma di un asse che resta ben saldo. I due
leader giocano di sponda. Il leghista ( che ha sentito anche Martina a Grasso) gli conferma quel che ha detto nel
pomeriggio alla prima assemblea dei suoi senatori: « Devono esserci nomi e cognomi condivisi da tutti » . Che ha tutto
il sapore di uno stop a Romani. Anche se ufficialmente la Lega non rompe, per ora, con Fi. All’aspirante premier non
conviene, se vuole ottenere davvero l’incarico del Colle e guidare il centrodestra a un’intesa col M5S, come ha spiegato
al pranzo di Grazioli.
Questa mattina un nuovo vertice di centrodestra, gestito però dai capigruppo, per cercare di uscire dalla palude a 24
ore dall’inizio delle votazioni. Si fa strada l’ipotesi che una rosa di nomi avanzata da Fi per il Senato e dal M5S per la
Camera ( anziché candidature secche) possa sciogliere i nodi. Le ultime ore per trattare, poi si apre il rodeo. « Spero
non ci sia da parte del candidato premier del M5S alcuna preclusione a incontrare il nostro presidente, dato che da
parte nostra non ve n’è alcuna nel vedere Di Maio», ragionava in buvette a Palazzo Madama Paolo Romani nel
pomeriggio, andando al cuore del problema. Di Maio potrebbe vedersi già oggi con Salvini, ma non con Berlusconi,
salvo ripensamenti e colpi di scena.
Scena occupata per ora dai parlamentari che si registrano prima dell’insediamento. Niccolò Ghedini incontra a Palazzo
Madama la neo leghista Giulia Bongiorno. « I miei sono parecchio organizzati. Militareschi, direi, ma ci sta eh » , dice
l’avvocatessa. E il collega ride: « Figurati.. Da noi c’è l’anarchia totale, ognuno fa il cazzo che vuole».
© RIPRODUZIONE RISERVATA I candidati
Ex capogruppo e ex Vigilanza Rai
Paolo Romani è il candidato di Forza Italia alla presidenza del Senato, dove ha guidato il gruppo. Roberto Fico è la
scelta del M5S per il vertice della Camera
Vertice a Palazzo Grazioli
In alto, Silvio Berlusconi arriva nella residenza-ufficio di Roma dove si sono riuniti i leader di centrodestra
BENVEGNU’ E GUAITOLI/ IMAGOECONOMICA
POLITICA                                                                                                     22/3/2018

Il Movimento
Strategie di vertice e rabbia dei militanti

Elettori grillini in rivolta per le intese con Fi “Di
Battista, fermali tu”
EMANUELE LAURIA MATTEO PUCCIARELLI

Sconcerto e smarrimento: i più acerrimi nemici di Silvio Berlusconi, nati sull’onda lunga dell’antiberlusconismo, che si
spartiscono le Camere con l’ex Cavaliere? L’opzione è sul piatto e la base del M5S è in ebollizione. La rivolta degli
attivisti, dietro il silenzio ufficiale dei neoeletti, esplode sul web: no sdegnati, appelli, minacce di non votare più per il
movimento animano il “blog delle stelle” e i profili Facebook dei big. In questo clima i vertici di M5S tentano di
chiudere il patto con gli odiati “partiti tradizionali”. Oggi ci sarà il via libera dei gruppi parlamentari del Movimento a
Roberto Fico presidente della Camera. Ma c’è da capire cosa fare per il Senato. Occorre una exit strategy per
convalidare la divisione delle più alte cariche dello Stato: tipo votare scheda bianca, oppure uscire dall’aula, se il
centrodestra dovesse proporre ufficialmente il forzista Paolo Romani. Nome invotabile per i capigruppo del M5S, Giulia
Grillo e Danilo Toninelli, fermi sulla linea “mani pulite” impressa da Luigi Di Maio: «Non veniamo meno ai nostri
principi, per cui non voteremo persone sotto processo o condannate». E Romani ha a suo carico una sentenza
definitiva per un caso di peculato che riguarda l’uso di un telefonino quand’era assessore a Monza. Romani, al di là
della condanna, viene considerato l’emblema della vecchia guardia berlusconiana. Insomma, va bene la real politik, ma
di spingersi così avanti il M5S non se la sente. La soluzione potrebbe essere quindi il compromesso del “non voto non
ostile”. Anche perché poi il passaggio delle due Camere, se andasse in porto il favore istituzionale tra centrodestra e
Cinque Stelle, potrebbe fare da anticamera per la formazione di un governo. E qui si ritorna al punto: davvero si può
allearsi con Berlusconi? «Con lui mai — le parole di Paola Taverna a Repubblica Tv — ma lui in Parlamento non c’è
più...». E con i berlusconiani? Nessuna risposta, solo un sorriso di chi non può negare una concreta possibilità.
«Finora la rotta l’abbiamo impressa noi e il centrodestra è stato costretto a inseguirci», rassicura un esponente di
spicco del movimento. Su due punti il M5S non cede: Di Maio deve essere il premier. Con lui alla guida, a quel punto si
potrebbe accettare un appoggio non solo della Lega ma anche di Fi. E poi, come spiegato da Beppe Grillo sul suo blog,
il reddito universale come «unica rotta».
Resta da fronteggiare lo sgomento degli attivisti. Sentimento appena attenuato dallo stop, ieri sera, a Romani: questo
infatti non esclude di concedere comunque a Berlusconi la chance di spendere un altro nome per il Senato. Sul “blog
delle stelle” è una sfilza di elettori contrari. Antonio Longobucco verga cinque “no”: «No agli uomini di B., se si accetta
come presidente del Senato una persona di Forza Italia è finito tutto prima ancora di cominciare». «Come fa il partito
dei corrotti a volere fare leggi con chi vuole tolleranza zero per i politici condannati?», chiede Pietro Antalcini, che
lancia un appello pubblico dal titolo «Nessun accordo con il galeotto».
Gli allerta dei militanti riempiono il profilo Facebook di Di Maio: «Con il pregiudicato cacciato dal parlamento e con
Salvini non si tratta. Non avrete più il mio voto», scrive Giuseppe Gugliotta.
«Vogliamo facce nuove e un governo nuovo: Forza Italia fuori», intima Tony Pullara. Serafino Ciarrocchi si rivolge ad
Alessandro Di Battista: «Fai un video e chiedi coerenza a tutti i pentastellati che vogliono fare un’alleanza con i ladri».
Anche Taverna, sempre su Fb, diventa bersaglio delle critiche: «La Camera a M5S e il Senato a persona qualificata
fuori dalle logiche dei vecchi partiti», è la ricetta di Giuseppe Curti. «No a un accordo con Berlusconi e la sua cricca.
Magari solo con la Lega, altrimenti perderemo voti», ammonisce Desolina Lazzati. E c’è chi, come Stefano Mariani,
infierisce postando sul profilo del capo politico M5S l’immortale inno forzista: «Presidente siamo con te, meno male
che Silvio c’è...».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Di Maio tiene aperta anche l’ipotesi del governo con il centrodestra purché il premier sia lui
Il post di Grillo
“Siamo tutti sulla stessa barca”
Sul suo blog Beppe Grillo cita il film “In the same boat” di Rudy Gnutti per invitare a riflettere che “siamo tutti sulla
stessa barca” e che “possiamo cambiare rotta”
POLITICA                                                                                                      22/3/2018

Il popolo del Carroccio
La mobilitazione

L’orgoglio nordista dei leghisti “Mai con i
5Stelle”
La base in fibrillazione avvisa Salvini “No all’assistenzialismo. Vai da solo”

ROBERTO RHO,

MILANO
Una candidatura a furor di popolo (leghista).
“Fedriga presidente” era scritto a caratteri cubitali sui trattori che hanno accolto Matteo Salvini in Friuli lunedì sera.
“Fedriga presidente” hanno rivendicato a gran voce le centinaia di leghisti radunati al Palamostre di Udine.
“Fedriga presidente” hanno chiesto, poche ore prima, i segretari provinciali e i dirigenti locali a Reana.
Salvini era arrivato in Friuli Venezia Giulia con in tasca l’accordo già scritto con Forza Italia per ricandidare Renzo
Tondo, l’ex governatore forzista battuto da Debora Serracchiani cinque anni orsono. E che il Friuli toccasse a Forza
Italia era assodato fin dal tavolo al quale la Lega aveva imposto Attilio Fontana in Lombardia, dopo la rinuncia
inaspettata di Roberto Maroni.
Salvini, forse sorpreso dalla rivolta della base leghista friulana e giuliana, ha preso «qualche ora di tempo per decidere».
E ieri a Palazzo Grazioli si è giocato il nome di Fedriga come pedina di scambio con Forza Italia nella trattativa ben più
complessa sulla presidenza delle Camere (e forse anche qualcosa di più).
Se Fedriga vincerà - visti i risultati delle politiche solo un miracolo potrebbe portare a piazza dell’Unità d’Italia, dove ha
sede la giunta regionale, il suo avversario del Pd, Sergio Bolzonello - la Lega avrà completato la sua Opa sul Nord Italia.
Da fine aprile governerà da Milano a Trieste (con un amico del cuore a Genova, Giovanni Toti). Tutto bene, tutti
soddisfatti. Ma la vicenda della travagliatissima candidatura imposta a Salvini dai friulani è il primo segnale evidente
delle turbolenze che attraversano il più grande serbatoio elettorale leghista, cioè il Nord Est. Il punto è che la questione
settentrionale, abilmente occultata da Salvini durante la campagna elettorale “nazionale”, nelle valli bergamasche e
bresciane, in Veneto come in Friuli Venezia Giulia, è tutt’altro che superata. I leghisti, che si sono spesi in una
campagna massacrante e che dalle urne hanno visto spuntare percentuali mai viste prima del 4 marzo, si sentono
vincitori.
Vogliono governare, a Trieste come a Roma, e vogliono incassare ciò che Salvini ha ossessivamente promesso: la flat
tax, la distruzione delle cartelle esattoriali, il drastico taglio della burocrazia, il compimento del percorso per l’autonomia
avviato da Zaia e Maroni. In Friuli, dove hanno oltre il 25%, non hanno accettato di cedere la poltrona di governatore a
Forza Italia, più che doppiata nei voti delle politiche.
Per il governo nazionale vogliono un’alleanza compatibile con gli obiettivi per i quali si sono battuti.
Ed è per questo che, soprattutto in Veneto (dove hanno il 30%), l’ipotesi di un accordo con i Cinque Stelle è tollerata
come il fumo negli occhi. Gianantonio Da Re, il segretario della Liga veneta, lo dice senza troppi giri di parole: «Con i
grillini ci sono anche punti di contatto, ma il reddito di cittadinanza è un mattone che i veneti farebbero molta fatica a
digerire». Difficile spiegare ai commercianti, agli artigiani, ai piccolissimi imprenditori, alle partite Iva che l’hanno
votata in massa che la Lega farà un governo con chi promuove una misura assistenziale a favore dei disoccupati del
Mezzogiorno. E infatti sui social network, in mezzo alle centinaia di osanna per il leader vittorioso, aumentano giorno
dopo giorno i post dei leghisti che chiedono a «Matteo» di non allearsi con il Movimento Cinque Stelle. «Vai avanti da
solo, lascia perdere i Cinque Stelle che sono sempre meno credibili» (Andrea Bianchi). «Te lo dico con il cuore perché
sono fiera di essere leghista: mi chiedo come due partiti diametralmente opposti come Lega e M5S possano governare
assieme» (Alessandra Giuliani). «Lega più 5S = suicidio politico e fine della Lega» (Lavinia Marie). «Se ti allei con i 5S,
cosa che hai sempre negato, non avrai più la mia fiducia» (Vito Groppi).
Una lunga serie di leghisti preoccupati, cui nelle ultime ore (dopo che il M5S ha messo l’abolizione della caccia in cima
alle sue priorità di governo) si sono aggiunti i leghisti cacciatori: «Mai con i Cinque Stelle. Quattro milioni di cacciatori
ti hanno votato per governare non con chi vuole abolire la caccia».
A meno di venti giorni dal successo elettorale la contraddizione latente tra la svolta nazionale sovranista di Salvini e gli
interessi del suo più grande bacino elettorale comincia a salire in superficie dal ventre dei sostenitori della Lega.
All’opposizione frontale di Gianni Fava (avversario di Salvini all’ultimo congresso), a quella più morbida ma altrettanto
esplicita di Roberto Maroni (che si è pubblicamente espresso a favore di un governo di larghe intese che scongiuri
l’alleanza Lega-M5S), ai silenzi eloquenti di Luca Zaia che evita accuratamente di pronunciarsi su questioni di politica
nazionale, si aggiungono i maldipancia dei militanti sul territorio. All’orizzonte non ci sono soltanto le regionali in Friuli
(29 aprile). Un mese più tardi si voterà per le amministrative in molti Comuni del Nord Est, e ci sono da decidere
decine e decine di candidature. Due leghisti sono in lizza a Udine (Pietro Fontanini) e a Treviso (Mario Conte). Ma
restano da scegliere i candidati sindaci di Brescia (la forzista Paola Vilardi è favorita), Vicenza (dove Forza Italia litiga)
e grandi Comuni come San Donà di Piave, Villafranca, Piove di Sacco, Adria, Martellago. Complessivamente,
torneranno alle urne gli elettori di 103 Comuni della Lombardia, 19 del Friuli Venezia Giulia e 47 del Veneto. Qui la Lega
si presenterà «con il simbolo storico Lega Nord Liga Veneta», annuncia il segretario Da Re. Dopo il colpo di spugna
nelle politiche, torna la parola Nord nel simbolo della Lega. E non è soltanto amore per la tradizione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA In Friuli Venezia Giulia centinaia di iscritti con tanto di trattori hanno imposto al
leader di candidare Fedriga Il Veneto annuncia che alle amministrative riporterà nel simbolo la parola Nord cancellata
alle politiche
PETRUSSI
I trattori “schierati” per Fedriga presidente all’arrivo a Udine di Matteo Salvini Qui sopra, il segretario della Liga Veneta
Gianantonio Da Re
POLITICA                                                                                                 22/3/2018

Il Parlamento

L’incredibile flipper dei seggi Il caos eletti a 24
ore dall’avvio
SILVIO BUZZANCA,

Ripescaggi, posti vacanti o contesi, ricorsi in arrivo Per effetto del Rosatellum e degli errori umani la composizione
delle Camere è un cantiere aperto
ROMA
Le aule di Camera e Senato apriranno domani mattina per dare il via alla XVIII legislatura. Ma i funzionari non sono
ancora in grado di indicare la composizione delle nuove Camere e lo potranno fare solo quando tutti i proclamati si
presenteranno per prendere possesso del loro posto. All’appello mancherebbero ancora una decina di nomi. Al netto di
ricorsi e diatribe ancora in corso e dei probabili ricorsi alla Giunta per le elezioni. Un piccolo terremoto dovuto ai
complicati meccanismi del Rosatellum, dell’incrocio fra uninominale e proporzionale, dell’effetto “ flipper” e di errori
umani nel trascrivere i numeri.
Problemi che hanno innescato una sorta di valzer del seggio iniziato il 16 marzo. La Corte di Appello di Catanzaro
riconta i voti del collegio Calabria Sud e comunica che il seggio, attribuito in un primo momento alla forzista Maria
Tripodi, deve essere invece appannaggio di Fausto Orsomarso, consigliere regionale di Fratelli d’Italia. Orsomarso
festeggia, si fa un bel selfie a Montecitorio, ringrazia a destra e a manca, cita Mandela: « A volte un vincitore è
semplicemente un sognatore che non ha mai mollato » . A turbare i sogni ci pensano però i forzisti che a perdere quel
seggio non ci stanno. L’ufficio della Cassazione riconta i voti è scopre un errore di 4 mila voti a favore di FdI. Quindi
Orsomarso resta a casa e a Montecitorio va la Tripodi. Da qui parte una valanga che coinvolge mezza Italia.
Perché, spiega la Cassazione, il computo finale dei seggi a livello nazionale non cambia. Dunque, Fratelli d’Italia ha
diritto a una compensazione. Che cercando cercando si trova in Veneto dove si parla di “ miracolo calabro”: viene
ripescato, a rischio di infarto, il meloniano Luca De Carlo rimasto fuori al primo giro. Il seggio però lo perde la Lega
che ha diritto alla sua compensazione in Trentino Alto Adige. Ne fa le spese la forzista Michaela Biancofiore: deve
lasciare lo scranno alla leghista Stefania Segnana. La giostra infernale non si ferma. La Biancofiore aveva un paracadute
proporzionale in Emilia Romagna. E quindi si riprende il seggio a scapito della compagna di partito Francesca
Gambarini.
In Campania Peppe De Cristofaro, Leu, lamenta macroscopici errori nelle trascrizioni dei voti che lo hanno lasciato a
terra a favore della forzista Giosy Romano. Problemi anche a Torino, collegio Le Vallette, dove la dem Paola
Bragantini, deputata uscente, ha perso per soli 159 voti lo scontro uninominale con Augusta Montaruli di Fratelli
d’Italia. In Sicilia i grillini hanno fatto man bassa di seggi. Ma, visto che la legge prevede liste corte, non hanno 25
nomi per coprire i seggi conquistati. Si fermano a 24 e gli manca un senatore. Subito hanno proposto di andarlo a
cercare in altre regioni. Ma Forza Italia si oppone: rivendica il posto per il loro candidato Bruno Alicata.
Non è finita. Orsomarso, infatti, come detto, è consigliere regionale calabrese. E al momento della sua “falsa” elezione
a deputato aveva lasciato il posto a Giacomo Mancini junior, balzato all’onore delle cronache per essersi candidato con
il centrodestra alle regionali e con il Pd alle politiche. Dove è stato bocciato. Il rientro di Orsomarso, adesso lo lascia
fuori anche dal Consiglio regionale.
Infine, la Corte di Appello di Roma, a quasi tre settimane dal voto, non ha ancora proclamato gli eletti e i radicali di +
Europa sono pronti a presentare un ricorso. Contestano i criteri di assegnazione dei 10 seggi riservati alla lista vincente.
Sarebbero 9 per il Pd: loro dicono che sono 6 e che un seggio spetta a loro.
VALERIO PORTELLI/ IMAGOECONOMICA
Luigi Di Maio, capo politico del Movimento 5 Stelle, entra a Montecitorio dove è ancora in corso la registrazione dei
deputati della XVIII legislatura
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