8 GENNAIO - UFFICIO STAMPA - Provincia Regionale di Ragusa

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8 GENNAIO
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8 GENNAIO 2019
Rassegna Stampa del LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI RAGUSA

                                LA SICILIA

                                 SEGUE
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ATTUALITA                                                                                                                8/1/2019

Il reportage
Attesa per il decreto

La febbre del reddito di cittadinanza “Addio ai
lavoretti, meglio l’assegno”
Sono tra 50 e 110mila i palermitani che contano sul sussidio in arrivo La badante, l’artigiano, il
negoziante: in tanti lasciano piccoli impieghi

SARA SCARAFIA

La città che aspetta il reddito di cittadinanza è fatta di disoccupati da una vita, di dipendenti e liberi professionisti travolti dalla
crisi.
Ma anche di tanti lavoratori, autonomi o dipendenti, che in queste settimane chiedono di essere licenziati, almeno sulla carta;
che stanno chiudendo le partita Iva; che stanno riconsegnando le licenze o meditano addirittura di chiudere piccole attività
commerciali che non fruttano quanto dovrebbero.
Ai Caf e ai patronati non è ancora assalto ma poco ci manca. Ogni giorno almeno in 30, italiani e stranieri, ma soprattutto
italiani, si presentano agli sportelli per chiedere informazioni. A Palermo il Comune stima una platea di interessati di circa 100-
110 mila persone, più di 20mila famiglie.
Mentre le stime del Centro per l’impiego sono di 50mila coinvolti. Ma entrambe le cifre non tengono conto dei tanti che un
lavoro ce l’hanno e preferiscono perderlo pur di assicurarsi il sussidio.
Il caso dell’artigiano
Giuseppe ha lavorato con la partita Iva per oltre vent’anni. Da un mese ha deciso di chiuderla.
Continua a fare lavoretti ma li fa in nero. Una decisione maturata dopo aver avuto la certezza che il governo non avrebbe fatto
retromarcia sul reddito di cittadinanza. «La fatturazione elettronica è la goccia che ha fatto traboccare il vaso — dice Giuseppe
— avrei dovuto affrontare costi in più. A fine anno ho chiuso in pareggio, senza guadagnare un euro. A questo punto preferisco
lavorare senza partita Iva e fare domanda per il reddito di cittadinanza». I requisiti, pare, saranno stringenti: l’Isee dovrà essere
inferiore ai 9.600 euro l’anno. Ma chi risulta nullafacente e non dichiara nulla accederà.
Dire addio al lavoro
Paolo ha vent’anni e da quasi un anno lavora come praticante per un’impresa di indoratori, guadagnando circa 750 euro al
mese. Non lo ha ancora detto ai titolari ma ha deciso di licenziarsi per provare a ottenere il reddito di cittadinanza, stimato in
circa 780 euro al mese: «Mi conviene».
Non è l’unico a pensarla così.
Catia, badante, ha chiesto alla sua datrice di lavoro di licenziarla: «Così potrò fare la domanda».
Mentre Concetta, che la badante la fa ma in nero, spera di sommare i soldi del reddito di cittadinanza ai 700 che già prende ogni
mese.
Francesco, ambulante con regolare licenza, ha deciso di riconsegnarla al Comune: «Non li guadagno, 780 euro al mese, e per di
più mi spacco la schiena». Ma c’è di più: gli impiegati di patronati e Caf raccontano che anche alcuni piccoli negozianti sono

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tentati di chiudere l’attività.
«Ho già ricevuto un barbiere, il proprietario di una salumeria di quartiere e un fruttivendolo — dice Salvo Imperiale,
consigliere della prima circoscrizione e titolare di un patronato — tutti dicono la stessa cosa: guadagnano così poco che tanto
vale chiudere e prendere il sussidio. Io ho sconsigliato di seguire questa strada: chi lo dice che il reddito arriverà sul serio? Ma
soprattutto chi sa davvero per quanto tempo sarà garantito? Da quello che vedo ai miei sportelli, la misura creerà tensione
sociale: chi si spacca la schiena per 700 euro al mese cosa penserà di chi invece li incassa senza fare nulla?».
I conti non tornano
«Temo che il reddito di cittadinanza alimenterà quella tendenza molto meridionale a pretendere l’aiuto dello Stato: sarebbe
stato meglio ampliare la platea del Reddito di inclusione che almeno prevede meccanismi personalizzati di inserimento nel
mondo del lavoro», dice l’assessore comunale alle Attività sociali, Giuseppe Mattina.
Secondo gli ultimi dati aggiornati, il Rei viene garantito a circa novemila famiglie, a fronte delle circa 18mila che ne avevano
fatto richiesta. «Per molti sarà utile. Ma ammesso che tutte le 18mila famiglie, circa 100 mila persone sulla base delle nostre
stime, possano ottenere il sussidio — continua Mattina — trovo difficile pensare che per tutti ci sia un’opportunità di lavoro.
Per questo credo che alla fine si alimenterà solo la logica assistenziale». «Ma almeno è qualcosa — dice padre Cosimo
Scordato, della chiesa di San Saverio dell’Albergheria — Se qualcuno ha qualcosa di meglio da proporre, lo faccia». Massimo
Castiglia, presidente della prima circoscrizione, lancia però l’allarme: «Reddito minimo e decreto sicurezza aumentano
l’illegalità: sono tanti quelli che lavoraranno in nero pur di poter chiedere il sussidio».
L’attesa di Andrea
Ma per qualcuno il reddito di cittadinanza è una luce nel buio: Andrea Brusca, 53 anni, ha consegnato l’ennesimo curriculum
ieri mattina in un cantiere edile vicino a casa. «“Le faremo sapere”, mi dicono così da mesi — racconta l’edile, senza lavoro dal
dicembre 2017 — Viviamo con la pensione di invalidità di mia moglie: 262 euro al mese. Io cerco di darmi da fare per
mantenere i miei due figli all’università. Uno adesso ha trovato lavoro in un hotel: 550 euro al mese. Già qualcosa. Il reddito di
cittadinanza per noi è necessario. Io davvero spero che mi serva per trovare un impiego.
Ho sempre lavorato, non mi piace stare con le mani in mano. Ma alla mia età non è facile».
La beffa di Giuseppe
Anche Giuseppe Schillaci, 66 anni, avrebbe tanto voluto poter accedere al sussidio. Ha lavorato per anni con la ditta Sis, prima
per il tram e poi per il passante. È stato licenziato e fino a dicembre ha percepito l’indennità di mobilità. Ma da questo mese
non prenderà più nemmeno un euro.
Per lui il reddito di cittadinanza, però, è un’opportunità irraggiungibile. «Non ci rientro perché l’ultimo Cud, quello dell’anno
scorso, supera i novemila euro — dice — mi mancano dodici mesi per la pensione. Non so come farò ad andare avanti per un
anno».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
In corsa
Un’immagine simbolo di piccole offerte di lavoro: in tanti adesso snobbano occupazioni non redditizie o lasciano impieghi
regolari poco remunerativi A sinistra, Giuseppe Mattina assessore comunale alle Attività sociali

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TROVALAVORO                                                                                                              8/1/2019

Il bando

Tirocini alla Regione ecco l’avviso Come
partecipare
Selezione per cento laureati che andranno a lavorare nei dipartimenti Retribuzione di 1.145 euro
lordi al mese, domande entro il 21 gennaio

Marta Occhipinti

Tirocini alla Regione per centodieci neolaureati negli atenei siciliani. Dopo l’accordo già annunciato lo scorso novembre tra il
governo Musumeci e le quattro università dell’Isola, è stato pubblicato dall’assessorato all’Istruzione il bando per l’inserimento
di giovani under35 in esperienze di formazione retribuite della durata di un anno nei diversi uffici dei dipartimenti regionali.
Oltre due milioni e mezzo di risorse europee messe a disposizione per migliorare le competenze sul campo dei neolaureati nelle
discipline scientifiche e giuridiche. Dagli esperti in marketing aziendale ai neo ingegneri, specializzati in ingegneria della
sicurezza, la Regione apre le porte anche ai giovani architetti e agli statisti con conoscenze in politiche economiche e laureati,
attualmente inoccupati, in Economia e Scienze giuridiche.
L’obiettivo, quello di formare nuovi professionisti nel campo della pubblica amministrazione e rinforzare il lavoro del
personale della Regione negli uffici ritenuti più carenti di risorse da parte dell’assessorato alla Funzione pubblica.
A detta del presidente della Regione Nello Musumeci, i mesi di tirocinio cercano di creare un bacino di competenze adeguate
alle necessità dell’apparato burocratico regionale, consentendo ai laureati ammessi di potere acquisire conoscenze trasversali,
dalla gestione amministrativa alle leggi pubbliche. I tirocini della durata di un anno prevedono una retribuzione di 1.145 euro
lordi al mese, destinati a cento laureati con titolo magistrale o con laurea specialistica, anche nel vecchio ordinamento, nei
dipartimenti di Economia, Giurisprudenza, Ingegneria e Architettura.
I tirocinanti inizieranno un corso di formazione a cura dei dipartimenti universitari di 90 ore per una retribuzione giornaliera di
10 euro, segue poi il tirocinio nei diversi uffici, secondo i piani formativi adeguati alla laurea. I laureati avranno la possibilità di
lavorare a stretto contatto con i dipendenti delle strutture regionali, dall’assessorato ai Beni culturali a quelli di Economia e
Infrastrutture e mobilità.
La corsa alle candidature è già partita. La scadenza delle domande di ammissione ai finanziamenti per i tirocini, inviate dai
quattro atenei di Palermo, Catania, Messina ed Enna, con tanto di piano finanziario per numero di studenti, è fissata per le ore
14 del 21 gennaio. Le richieste di partecipazione devono essere inviate tramite indirizzo pec, con firma digitale, alla mail
avvisifse1420@ legalmail. it del dipartimento di Istruzione e formazione, comprensive dei quattro allegati scaricabili dal sito
della Regione.
La commissione tecnica, istituita tra Regione e docenti delle università, valuterà i titoli e il voto di laurea dei candidati, non
inferiore ai 105/110. Potranno concorrere tutti i residenti in Sicilia da almeno un anno o stranieri con permesso di soggiorno per
attività lavorativa. Ma peseranno nel punteggio finale soprattutto i dottorati di ricerca e la conoscenza della lingua inglese.
Daranno maggiore punteggio i titoli post laurea, dottorato e master, ed è richiesta la conoscenza dell’inglese, comprovata
dall’avere sostenuto l’esame presso l’università dove si è conseguito il titolo di laurea o dal possesso di una certificazione

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almeno di livello A2.
«Avevamo già attivato in passato tirocini al consiglio di Giustizia amministrativa, ma questa è un’esperienza nuova che punta
alla qualità della formazione — dice Roberto Lagalla, assessore regionale all’Istruzione — vogliamo assicurare ai giovani di
potere concorrere con le proprie competenze innovative alla pubblica amministrazione e viceversa dare loro una conoscenza sul
campo insieme ai nostri tecnici».
I calcoli parlano di trecento tirocini da attivare in tre anni, questa la prima fase di avviamento per cento laureati che verranno
inseriti entro il primo trimestre dell’anno nei dipartimenti dell’amministrazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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POLITICA                                                                                                             8/1/2019

La protesta Oltralpe

Di Maio incita i gilet gialli Ira francese: " Non dia
lezioni"
Il movimento vuole trasformarsi in partito e il capo 5S offre sostegno e l’uso di Rousseau: " Non
mollate". Salvini cauto. Da Parigi replica la ministra Loiseau: fate pulizia a casa vostra

anais ginori,

Dalla nostra corrispondente
parigi
«Gilet gialli, non mollate!». In un messaggio postato su Facebook, il leader 5 Stelle Luigi Di Maio si schiera con i militanti che
manifestano contro il presidente Macron e propone un aiuto logistico per una costruzione politica del movimento. Poco dopo,
arriva anche il tweet dell’alleato leghista Matteo Salvini: «Sostegno ai cittadini perbene che protestano contro un presidente che
governa contro il suo popolo ma assoluta, ferma e totale condanna di ogni violenza». Si apre così un nuovo fronte con il
governo di Parigi dopo i vari scontri degli ultimi mesi, dall’immigrazione alla Tav. Immediata la replica. « La Francia si guarda
bene dal dare lezioni all’Italia. Salvini e Di Maio imparino a fare pulizia in casa loro » è il secco commento via Twitter della
ministra per gli Affari europei Nathalie Loiseau. L’ingerenza negli affari interni francesi da parte dei due vicepremier è
qualcosa di abbastanza inedito nelle relazioni tra i due Paesi, tanto più che la maggioranza pentastellata ha dimostrato in
passato di non gradire commenti da parte di altri governi europei.
In vista delle elezioni europee, l’onda di protesta che scuote la Francia è al centro di una concorrenza per appropriarsi del
movimento non solo Oltralpe. Di Maio punta a un futuro politico delle casacche gialle. È di ieri l’annuncio di un nuovo partito,
"Les Emergents", lanciato da Jacline Mouraud, portavoce dei "Gilets jaunes libres", l’ala cosiddetta moderata. Obiettivo della
futura formazione è una vasta riforma fiscale e il «ritorno del sociale » nell’agenda politica. L’esito di questo nuovo partito è
quantomai incerto, come quello di convergenze con altre forze in Europa. La pasionaria delle casacche gialle aveva
commentato con Repubblica qualche settimana fa: « Il movimento 5 Stelle? Non li conosco, mi dicono che siano di estrema
destra » . Altri rappresentanti dei Gilet Gialli hanno promesso di presentare liste in vista del voto delle europee. Secondo i primi
sondaggi, le varie ipotesi di candidature potrebbero sottrarre voti all’estrema sinistra di Jean- Luc Mélenchon e al
Rassemblement National di Marine Le Pen. La scommessa di Di Maio in chiave europea è quindi appoggiare una novità
politica francese che provocherebbe un danno diretto all’alleata storica di Salvini.
«Il Movimento 5 Stelle - assicura Di Maio - è pronto a darvi il sostegno di cui avete bisogno » . Quindi l’offerta di mettere a
disposizione dei Gilet Gialli alcuni strumenti della piattaforma Rousseau. L’endorsement arriva qualche ora dopo la
manifestazione di sabato in cui si sono registrati diversi episodi violenti nella capitale, dall’attacco di un pugile contro dei
gendarmi, diventato rapidamente un " eroe" del movimento, all’irruzione con ruspa nel ministero del portavoce del governo. La
contestazione sta diventando sempre più radicale. Si registrano episodi inquietanti come le foto di un gruppo di militanti che ha
fatto un gesto antisemita sulla scalinata del Sacro Cuore o le decine di messaggi minatori recapitati ai parlamentari della
maggioranza. La deputata Aurore Bergé ha postato su Twitter una delle tante lettere in cui viene minacciata di stupri e sevizie.

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Mentre ieri si celebrava l’anniversario dell’attentato di Charlie Hebdo, è scoppiato un nuovo caso di minacce di morte per un
disegnatore. Questa volta gli autori non sono fondamentalisti islamici ma alcuni gilet gialli. Nel mirino c’è il disegnatore Alex,
colpevole di aver firmato la caricatura di uno dei leader del movimento, il camionista Eric Drouet.
Una deriva che Salvini ha sottolineato nel suo cauto sostegno ma che non sembra invece preoccupare Di Maio. « Come voi –
commenta il vicepremier rivolgendosi ai Gilet Gialli - anche noi condanniamo con forza chi ha causato violenze durante le
manifestazioni, ma sappiamo bene che il vostro movimento è pacifico ». Tra i fedeli di Macron l’irritazione è palpabile. « Sono
dichiarazioni che s’inseriscono nella competizione tra Di Maio e Salvini per accreditarsi come rappresentanti del popolo nella
coalizione. I 5 Stelle, vampirizzati dalla Lega, cercano di riprendere la mano » dice a Repubblica il dirigente di En Marche,
Pieyre Alexandre Anglade. Che poi aggiunge: « Quel che mi stupisce è che un responsabile politico dica una frase come ‘ Non
mollate! » dopo le gravi violenze in piazza, contro gli eletti e le istituzioni della Repubblica francese".
© RIPRODUZIONE RISERVATA
AFP
Gilet arancioni a Bari
Trattori e gilet arancioni hanno invaso ieri il centro di Bari: gli agricoltori e olivicoltori pugliesi chiedono lo stato di calamità

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SPORT                                                                                                                  8/1/2019

Il vertice al Viminale

Razzismo e follie ultrà la linea di Salvini "No agli
stadi chiusi"
Il ministero dell’Interno diviso dalla Figc sulle misure contro la violenza: " Via il divieto di trasferta,
non si fermino partite per i cori"

matteo pinci

La chiusura degli stadi per i cori razzisti divide il governo e la Federcalcio. Il vertice alla Scuola superiore di polizia che
doveva servire per registrare soluzioni e nuove proposte contro la deriva razziste negli stadi di calcio e la violenza ultrà, in
realtà, ha prodotto posizioni distinte, nemmeno troppo conciliabili. Il proposito del presidente della Figc Gabriele Gravina era
di quelli stringenti: la proposta, in caso di cori di discriminazione razziale, prevedeva di interrompere la partita portando i
calciatori a centrocampo già al primo annuncio dell’altoparlante e al secondo rientrare negli spogliatoi, affidando la
responsabilità della decisione al delegato alla sicurezza. Ma al Ministro dell’Interno Matteo Salvini l’idea non è piaciuta: «Non
vorrei essere nei panni di chi deve capire se la partita va sospesa o no», la sua risposta a caldo. L’antipasto di un " no" più netto:
«È un tema scivoloso, chi li decide i termini di una discriminazione? Preferisco prevenire e responsabilizzare » . L’altra
chiusura drastica è arrivata sui divieti di trasferta e sulla rimozione degli striscioni offensivi: « Assolutamente contrario alla
chiusura di uno stadio, sarebbe la sconfitta dello Stato: non è giusto che paghi un club, un’intera tifoseria o una città. Bisogna
garantire che chi sbaglia da tifoso paghi, ma no a sanzioni collettive, e gli striscioni sono il colore del calcio » . Praticamente
una porta chiusa di fronte ai propositi della Federcalcio, che ha cercato un punto di incontro proponendo esimenti legate al
comportamento virtuoso dei tifosi: se gli ululati razzisti saranno soverchiati da applausi, la sanzione potrebbe essere cancellata
per valorizzare la parte sana del tifo.
Ma dalla sua Salvini ha sbandierato il crollo dei feriti (- 60%) nel periodo luglio-ottobre 2018 rispetto agli stessi mesi del 2017.
« Ci sono seimila teppisti, tutte persone sottoposte a Daspo, mentre il tifo è un fenomeno che coinvolge 12 milioni di
appassionati » , il manifesto del ministro, tornato a chiedere un contributo economico ai club: «Nel 2018 sono stati utilizzati
75mila agenti per garantire la sicurezza delle manifestazioni sportive. Quei 40 milioni di euro di costi non gravino sui cittadini
». Un primo punto a cui il ministro ne ha aggiunto uno persino più ambizioso: l’idea di una nuova legge sugli stadi per
agevolarne la realizzazione e poter quindi predisporre nei nuovi impianti «camere di sicurezza» . Vere e proprie celle sul
modello inglese. E poi, l’idea di reintrodurre le trasferte di gruppo, cancellate vent’anni fa dopo un drammatico incendio del
treno dei tifosi della Salernitana, «perché se mille tifosi arrivano tutti insieme sui treni speciali sono più controllabili » . In
fondo «il numero dei denunciati si è ridotto del 40%».
Proprio chi è sottoposto a un regime restrittivo però è spesso responsabile degli incidenti all’esterno degli impianti, come quelli
che a Milano hanno portato lo scorso 26 dicembre alla morte di Daniele Belardinelli, ultrà di estrema destra impegnato
nell’assalto di gruppi interisti contro i napoletani. Per questo nel proprio pacchetto di misure la Figc ha chiesto pure un
inasprimento dei daspo, con obbligo di firma o destinazione di chi è colpito ai servizi sociali durante le partite. E insieme
l’introduzione di Fan zone all’esterno degli stadi per radunare i tifosi, e un sistema di raccolta informazioni centralizzato

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attraverso un elaborato monitoraggio social e digitale (si chiama crowd monitoring) per prevenire casi sempre più frequenti ( a
Nizza, a Francoforte) in cui i gruppi di ultrà violenti si danno appuntamento via social. In più, il rafforzamento del ruolo degli
Slo.
Pure con la Serie A Salvini si è trovato a incrociare pareri opposti sugli orari dei match a rischio: avrebbe voluto il ministro,
sostenuto dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti, l’anticipo al pomeriggio di Genoa- Milan, partita storicamente agitata e in
programma il 21 gennaio alle 21. «Ma i diritti li abbiamo già venduti » , ha replicato al tavolo Gaetano Miccichè, presidente
della Lega di Serie A. La Lega dilettanti ha provato a sensibilizzare sul tema dei campetti locali: 600mila partite all’anno si
giocano senza lo straccio di una divisa a protezione e coinvolgono 13mila società e 1 milione e 100 mila tesserati. Numeri
sufficienti ad attirare l’attenzione del governo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Il governo del calcio ha chiesto inasprimento del Daspo e rafforzamento del ruolo degli
steward.
Nasceranno le Fan Zone
RICCARDO ANTIMIANI/ ANSA

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Il Fisco

Fattura elettronica, avvio in salita e si rischia
l’intoppo a febbraio
Ne sono state emesse 4,7 milioni e dal prossimo mese si estende l’obbligo ai ristoratori

rosaria amato,

roma
Qualche difficoltà, ma finora partenza lineare per la fatturazione elettronica. Alle 17 di ieri erano già state emesse 4,7 milioni di
fatture, comunica l’Agenzia delle Entrate, ma l’Associazione nazionale commercialisti lamenta gravi disservizi, contestazioni
in parte smentite o attenuate dalle associazioni imprenditoriali e dall’Ordine nazionale dei commercialisti.
Il vero banco di prova arriverà comunque nei primi 16 giorni di febbraio, quando tutte le fatture dovranno essere emesse sul
serio per chi ha optato per la liquidazione mensile dell’Iva. « Categorie come quella dei ristoratori e albergatori si trovano in
difficoltà, non sono riusciti ad avviare la fatturazione elettronica perché per loro presuppone anche l’acquisto dell’hardware, il
software non basta - spiega Maurizio Postal, consigliere dell’Ordine dei commercialisti -. Quindi al momento emettono le
cosiddette " fatture di cortesia", scrivendo a penna sul documento che la fattura elettronica seguirà nel tempi di legge. Significa
che però la " gobba" della fatturazione elettronica arriverà tra fine gennaio e 16 febbraio».
Neanche Confcommercio segnala al momento disservizi, ma chiede semplificazioni per gli imprenditori oberati dagli
adempimenti fiscali: «Non abbiamo ricevuto dalle nostre strutture locali alcuna segnalazione di inefficienze o blocchi - dice
Vincenzo De Luca, responsabile fiscale dell’associazione -. Però ricordiamo al governo che la fatturazione elettronica non deve
essere solo uno strumento di contrasto all’evasione, ma anche di semplificazione. Chiediamo dunque di abolire strumenti come
il meccanismo di reverse change, che a questo punto sono mere duplicazioni ». Neanche Confesercenti segnala disservizi, ma
comunica le difficoltà dei benzinai: « Il costo della fatturazione erode i loro margini, e fatturare elettronicamente in una pompa
di benzina è complicato: serve almeno un tablet».
Forti disservizi vengono invece segnalati dall’Associazione commercialisti: « La piattaforma fatture e corrispettivi
dell’Agenzia delle Entrate non funziona bene, un collega per esempio oggi ha atteso 45 minuti per il collegamento e ha finito
per rinunciare - dice il presidente, Marco Cuchel -. Molte fatture vengono respinte inoltre per le difficoltà di dialogo del sistema
centrale con i vari software utilizzati dai professionisti, è difficile capire le motivazioni, in molti casi si tratta di ragioni come la
presenza di un apostrofo o di una " e commerciale" nel testo. E comunque i veri problemi arriveranno dopo, mentre non sono
state ancora risolte le questioni legate alla tutela della privacy » . Il rinvio al mittente di molte delle fatture in effetti viene
riscontrato anche dall’Ordine dei commercialisti: « Non si tratta tanto di disservizi del Sistema d’Inter-scambio dell’Agenzia
delle Entrate - osserva però Postal - quanto del ritardo delle imprese e dei gestori dei software privati. Se le imprese non
comunicano i codici le fatture non possono essere recapitate».
Intanto parte in questi giorni anche il "saldo e stralcio", il condono parziale ( l’importo da pagare si riduce al 16, 20 o 35%) per
chi dimostra di essere in grave difficoltà economica. L’Agenzia delle Entrate ha infatti messo a punto il modulo per l’adesione.
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