San Bonaventura informa - Pontificia Facoltà Teologica "San Bonaventura"
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San Bonaventura ANNO IX - Nº 97 informa Editoriale In questo numero Diritti di religione e libertà di culto Fin dagli inizi della Chiesa, i cristiani sono stati pre- senti nella terra di Abramo, una terra che è parte del patrimonio comune di Ebraismo, Cristianesimo e Islam. Bisogna sperare che, in futuro, la società irachena sia caratterizzata da coesistenza pacifica, in sintonia con le aspirazioni di quanti sono radicati nella fede di Abra- mo. Sebbene i cristiani siano un’esigua minoranza della popolazione irachena, possono rendere un contributo prezioso alla ricostruzione e alla ripresa economica del Paese attraverso i loro apostolati educativi e sanita- ri, mentre il loro impegno nei progetti umanitari offre un’assistenza molto necessaria nell’edificare la società. […] La storia ha dimostrato che alcuni degli incentivi più potenti per superare la divisione derivano dall’e- sempio di quegli uomini e di quelle donne che, avendo scelto la via coraggiosa della testimonianza non violen- ta di valori più elevati, sono morti a causa di atti codardi di violenza. Quando i problemi attuali saranno ormai una cosa del passato, i nomi dell’Arcivescovo Paulos focus: papa francesco e l’iraq - p. 2 Faraj Rahho, Padre Ragheed Ganni e molti altri anco- l’intervista: il nuovo preside su missione ra vivranno come esempi luminosi dell’amore che li ha della facoltà e master “fratelli tutti” - p. 6 condotti a sacrificare la propria vita per gli altri. […] abitare la casa comune: francesco È della massima importanza per qualsiasi società sana d’assisi e la cura dell’ambiente - p. 9 che la dignità umana di ognuno dei suoi cittadini venga vita francescana: cardinali e vescovi rispettata sia nel diritto sia nella pratica, in altre parole che restano frati - p. 13 che i diritti fondamentali di tutti vengano riconosciuti, il padre nostro: rimetti, come anche noi tutelati e promossi. Soltanto in questo modo si può ser- rimettiamo - p. 16 vire veramente il bene comune, ovvero quelle condizio- santità francescana: jacopone da todi, cantore della croce - p. 20 ni sociali che permettono alle persone, sia a gruppi sia a singoli individui, di prosperare, di raggiungere la loro tra penultimo e ultimo: pensare sul confine - p. 23 piena statura morale e di contribuire al bene degli altri. Fra i diritti che devono essere pienamente rispettati se #tuttoèconnesso: come intendere economia e progresso - p. 27 il bene comune deve essere effettivamente promosso, i diritti di religione e di libertà di culto sono fondamentali con cuore di padre: ecosistema e coraggio creativo - p. 30 perché sono quelli che permettono ai cittadini di vive- la fraternità dei laici: la scrittrice mary re in conformità con la loro dignità trascendente, come elizabeth herbert - p. 33 persone fatte a immagine del loro divino Creatore. il tesoro dello scriba: lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte - p. 36 Benedetto XVI novità editoriali: consigli di lettura Dal discorso a Habbeb Mohammed Hadi Ali Al-Sadr, p. 38 ambasciatore Repubblica Iraq presso la Santa Sede francescanamente parlando: nomine al sacro (2 luglio 2010) convento e “in parole francescane” - p. 40 febbraio 2021 1
focus LA VISITA DI PAPA FRANCESCO IN IRAQ un gesto di vicinanza al popolo e a favore del dialogo di Nakia Matti Pauls* Il logo del viaggio apostolico di papa Francesco in Iraq reca, in alto, la dicitura “Voi siete tutti fratelli” (citazione dal Vangelo di Matteo 23,8), scritta al centro in aramaico, a destra in arabo e a sinistra in curdo, a forma di sole sorgente sull’Iraq, con i due fiumi, il Tigre e l’Eufrate, e le bandiere del Vaticano e dell’Iraq con il suo tricolore orizzontale rosso, bianco e nero e al centro la scritta “Dio è Grande”, sormontate da una colomba che porta nel becco un ramoscello di ulivo. Alla base una palma e Sua Santità in atto di benedire questa terra, martoriata e ferita da aggressioni e violenze. Papa Francesco intende, con questo viaggio desiderato da anni e voluto anche dal suo predecessore san Giovanni Paolo II (che aveva rinnovato senza sosta e con la massima chiarezza i suoi appelli alla pace nel 2003), portare il proprio amore paterno verso un popolo da anni sofferente, e trasmettere il significato della pace e del vivere in armonia e rispetto fraterno, seppur nelle differenze religiose, etniche, culturali, ecc..., perché l’amore e la misericordia di Dio sono più grandi di ogni differenza. Le immagini del logo simboleggiano per questo la pace, l’amore, l’unità, l’armonia e il rispetto. Il logo speciale del viaggio apostolico di papa Francesco in Iraq (nella pagina seguente) e, in particolare, a Baghdeda (Qaraqosh), è frutto della creatività del giovane Ragheed Nnwaia e della convinzione che “È un dovere usare i simboli storici ispirati alla storia di Baghdeda, e questo è ciò che abbiamo fatto”. L’arco a volta presente nel logo è uno dei più importanti simboli di Baghdeda, denominato “Qantarat Al-Ina”, o “Arcata della Famiglia di Ina”, ora non più presente, ma che resta scolpito tuttora nella memoria e nella coscienza di tutti gli abitanti del Paese. febbraio 2021 2
L’arco a volta fa da cornice all’immagine di papa Francesco, racchiudendola sotto di sè. Tale arco è stato, in passato e per lunghi secoli, un passaggio di accesso al centro di uno dei vicoli della città antica, prima della sua scomparsa, fino a diventare, durante tutti quei secoli, uno dei simboli identitari della città e dei suoi abitanti che l’hanno costruita con le proprie braccia. Al centro di questo arco vi è il Santo Padre nell’atto di benedire. L’arco delinea, nella sua forma generale, anche il profilo della Chiesa cattolica, simboleggiante la storia del Paese ma anche l’antico disegno delle porte lignee delle case di Baghdeda, a richiamare come il Papa entri nelle case di tutti gli abitanti dell’area, come segno del loro amore per Lui. Al centro dell’arco a volta è rappresentato il Santo Padre che porta sulle spalle una stola tradizionale ricamata a mano tipica di Baghdeda (tuttora indossata nelle festività), i cui disegni raffigurano la storia di questo popolo e del Paese, la profondità della sua civiltà e delle sue radici storiche. L’anziana donna vestita di nero, nell’angolo inferiore a destra, sta a significare la terra che dona con generosità, la madre Baghdeda, madre dei martiri di tutti i tempi e, pertanto, indossa un abito nero, come vuole la tradizione del lutto nel Paese. È rappresentata nell’atto di lavorare all’uncinetto, per sostentarsi e poter sopravvivere in assenza degli uomini, come madre che deve ricostruire la storia di Baghdeda, come dovesse “ricamare”, appunto, e ricostruire la storia stessa del Paese. Si fa riferimento anche al sangue dei martiri come seme di vita: il martirio è un atto normale per i Baghdedani, in quanto cristiani fin dall’origine. Si ricorda il martirio dei due sacerdoti di Baghdeda per mano degli Ottomani, la cui commemorazione cade il 29 giugno (festa dei santi Pietro e Paolo). Essi sono il simbolo di tutti martiri del Paese, compresi quelli della guerra con l’Iran, che ha strappato alla vita migliaia di giovani e, ultimamente, i martiri uccisi dalle bande terroristiche di Daesh/ISIS. Viene poi richiamata l’immagine dell’esodo e del ritorno, degli sfollati e degli esuli, fuggiti soprattutto nella metà del 2014, quando gli abitanti del Paese hanno dovuto lasciare le proprie case, le proprie Chiese e la propria storia, in una scena di vero e proprio esodo. Ma quali sono le aspettative del viaggio del Papa? Si tratta di un viaggio molto importante, una tappa motivata dalla fratellanza universale. “Fratelli tutti” è un messaggio molto forte e profondo, una prospettiva che fa abbracciare la civiltà antica con il presente massacrato dalla violenza, dalla crudeltà, dalle guerre e dalle sofferenze. Papa Francesco è il primo pontefice a visitare questa terra e il popolo iracheno che, provato dopo tanta sofferenza e distruzione, ha bisogno di questa visita con la quale il Papa porterà la pace, l’amore, la tenerezza di un Padre verso i suoi figli smarriti e sfiniti dagli eventi vissuti durante tutti questi anni. febbraio 2021 3
Il viaggio del Santo Padre significa tanto per un popolo che proviene dal diluvio, cosi sofferente e provato da lunghi anni di guerra, afflizioni, attacchi, aggressioni settarie e terrorismo, ed è un punto di partenza per intraprendere un dialogo interreligioso, un incontro tra tutte le religioni, rompere la catena del rancore, gli ostacoli e le barriere che si frappognono, al fine di suscitare il sentimento della fratellanza, della collaborazione costruttiva tra tutte le comunità del popolo iracheno, sia a livello religioso che politico, per creare e costruire uno Stato Iracheno moderno e forte, e ridare lo spirito di speranza a tutti gli iracheni e, soprattutto, ai giovani che attendono un futuro migliore. Il Papa aprirà per tutto il popolo iracheno una porta sul dialogo e il rispetto reciproco, come era una volta: un popolo che conviveva in maniera pacifica con tutti, prima che si intromettesero i nemici nel Paese; prima dell’azione divisiva di alcuni gruppi. Il dialogo e l’intesa tra i cristiani e i musulmani in Iraq non si erano mai interrotti: il Patriarca cristiano seguiva il Califfo musulmano quando questi cambiava la propria residenza, per continuare i loro incontri nell’ambito di un dialogo continuo. La presenza del Santo Padre rafforzerà i rapporti tra tutte le componenti del tessuto sociale iracheno, sia dal punto di vista religioso, grazie all’incontro tra rappresentanti cristiani, musulmani sunniti e sciiti, ebrei, mandei, yazidi, bahai, ecc ..., sia a livello politico: un evento straordinario, che ridisegnerà gli equilibri interni ed esterni del mondo islamico e cristiano. Questo viaggio sarà un incoraggiamento ad andare avanti e a restare attaccati alla terra dei propri antenati: alla Mesopotamia, terra del primo uomo Adamo, nel giardino di Eden; terra del padre delle genti Noè, e terra della prima rivelazione di Abramo, nato a Ur Foto:Vatican News dei Caldei; terra della prima legge di Hammurabi, re di Babele; culla dei profeti Ezechiele, Daniele, Naum e Giona (nella cui ricorrenza i cristiani ancora oggi osservano il digiuno tradizionale locale di tre giorni, chiamato digiuno di “Ba’uth Ninawa”, ovvero “Rinascita della gente di Ninive”). La presenza del Papa esorterà i profughi e gli esuli a tornare nella terra dei loro padri, dei loro nonni e dei loro avi. Il Cristianesimo in Iraq ha messo radici fin dal primo secolo dopo Cristo, per mezzo di san Tommaso apostolo. In passato, i cristiani dell’Iraq raggiungevano quasi 1,5 milioni di abitanti, ma dopo la comparsa di Daesh, si sono ridotti a circa 300-400 mila; nonostante ciò, l’elemento cristiano rimane una presenza meravigliosa e luminosa. A Mosul, nella Piana di Nineve, il Papa pregherà per tutte le vittime della guerra, nella Chiesa costruita dai Padri Domenicani italiani nel 1762, chiamata Chiesa dei Padri Domenicani; successivamente, vennero i padri domenicani francesi, i quali portarono con sé un grande orologio che fu innalzato su un torre nella piazza della Chiesa e, da allora, la Chiesa prese il nome di “Chiesa dell’Orologio”. febbraio 2021 4
A Qaraqosh, il Papa reciterà la preghiera dell’Angelus nella Chiesa dell’Immacolata (Al-Tahira), costruita nel XIII secolo; sin dall’avvento del Cristianesimo nel Paese, tale Chiesa prese il nome di “Chiesa della Madre di Dio” e, successivamente, “Chiesa della Vergine” (1129), mentre oggi viene chiamata “Chiesa dell’Immacolata” ed è, attualmente, un santuario afferente all’Ordine del Sacro Cuore di Gesù; accanto ad essa, venne costruita la nuova “Chiesa dell’Immacolata”, la cui prima pietra venne posta nel 1932, per essere, in seguito, costruita dagli stessi fedeli, mossi dal proprio zelo e collaborazione Fonte: Ansa reciproca. Le Chiese presenti a Qaraqosh, in ordine di antichità storica, sono la Chiesa dell’Immacolata (o Chiesa Vecchia dell’Immacolata, attualmente santuario dell’Ordine del Sacro Cuore di Gesù), Chiesa di Mar Zena, Chiesa di Sarkis e Bakos (Chiesa di Sergio e Bacco), Chiesa di Mart Bshmoni, Chiesa di Mar Korghis (Chiesa di San Giorgio), Chiesa di Mar Yuhana Al Ma’madan (Chiesa di San Giovanni Battista), Chiesa di Mar Yacob Al Muqatta’ (Chiesa di San Giacomo l’Interciso), Chiesa Nuova dell’Immacolata, Chiesa dei Martiri Bahnam e Sara (2008), Chiesa della Speranza, di cui è stata posta finora solo la prima pietra. Nell’area si trovano anche diversi santuari e conventi: Santuario e cappella della Regina del Rosario dei Padri Domenicani (Ordine di Mar Abd al-Ahd), Santuario e cappella dell’Ordine di Maria Vergine Concepita senza peccato, Santuario e Cappella dell’Ordine di Mar Polos (San Paolo), Convento di Mar Yohanna Al-Daylami o Muqertaya, Convento di Mar Qiryaqos, al cui interno è stato, di recente, costruito il “Convento della Croce”, Convento di Gesù Redentore, costruito nel 2009, afferente alla Comunità di Gesù Redentore dei Frati di Gesù Redentore. è anche interessante ricordare come Qaraqosh è una parola turca che significa “passero nero” e il Paese ha assunto questo nome durante l’occupazione ottomana; alcune leggende attribuiscono tale nome agli abiti neri che indossavano gli uomini e le donne del posto. Baghdeda è, invece, una parola persiana che significa “Casa di Dio”, o“Casa degli Dei”. È difficile parlare dell’identità e dell’antichità di Baghdeda, perché essa comprende molteplici etnie, data la sua funzione di ponte che ha visto il passaggio di moltissime generazioni e di diversi popoli. Si tramanda anche che il borgo di Baghdeda sia di origine aramaica, mentre, secondo altre versioni, sarebbe di origine araba; la lingua parlata è l’aramaico, nella sua versione dialettale locale. *Irachena, lavora all’Ambasciata della Repubblica dell’Iraq in Italia febbraio 2021 5
l’intervista formazione FRANCESCANa e servizio alla chiesa la missione del seraphicum e IL nuovo master “fratelli tutti” di Elisabetta Lo Iacono* Il cammino di una realtà accademica non è dato una volta per tutte ma richiede un continuo rinnovamento in termini di linguaggi, di organizzazione, di interpretazione della realtà, di risposte alle domande del tempo presente. Un percorso che richiede anche uno sguardo profetico per saper intercettare esigenze, desideri e sfide, così da garantire proposte formative che sappiano coniugare tradizione e innovazione. Un passo che la Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura”, fondata nel 1905 e retta dai Frati Minori Conventuali, sta cadenzando con ancor più determinazione in questo complesso periodo storico, per garantire una formazione francescana di alto livello e per offrire un sempre puntuale servizio alla Chiesa. Con fra Raffaele Di Muro - lo scorso 23 gennaio nominato Preside dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica della Santa Sede - affrontiamo qualche aspetto cruciale per la formazione, nelle aule della Facoltà ma anche al di fuori della stessa, come espressione di quella Chiesa in uscita raccomandata da papa Francesco. Fra Raffaele Di Muro, cosa ha significato per lei questa nomina nella Facoltà che lo ha visto per anni studente e docente? La nomina è stata una grande gioia perché per me il Seraphicum è famiglia, è casa, dato che lo frequento sin dal 1997: qui ho fatto gli studi di teologia conseguendo Foto:SBi i vari gradi accademici sino al dottorato. Qui ho iniziato l’insegnamento, da qui mi sono incamminato verso tante attività accademiche e di apostolato. Al Seraphicum ho ricoperto diversi incarichi, come economo, direttore della rivista e della casa editrice Miscellanea Francescana, direttore della Cattedra Kolbiana per citarne alcuni, quindi la nomina a Preside rappresenta un approdo significativo dopo un impegno di anni che mi ha permesso di conoscere a fondo questa realtà. febbraio 2021 6
La lunga frequentazione e un rapporto affettivo molto saldo mi rendono particolarmente felice e grato per questa nomina che sento di poter svolgere con la necessaria conoscenza e sicuramente con grande impegno ed entusiasmo. Una delle sfide, questa volta imposta dalla pandemia, è stata la riorganizzazione didattica tenendo conto dei lockdown e delle restrizioni che hanno rivoluzionato il tradizionale metodo dell’insegnamento in presenza. Ma c’è anche da dire che, proprio durante la pandemia, la Facoltà ha avviato un nuovo e importante progetto, ovvero la Scuola di Grafologia. Quale messaggio si può cogliere da questo anno tanto travagliato? Stiamo vivendo un periodo lungo e difficilissimo, per i mesi di blocco alle lezioni in presenza e alle diverse attività accademiche. Ma tra le tante difficoltà e incertezze è emersa con forza la fame di cultura, di sapere, di approfondire, di ampliare i propri orizzonti in ambiti già “frequentati” o in altri nuovi. Credo che tutto ciò sia anche frutto delle restrizioni che ci hanno lasciati più soli con noi stessi, spingendoci a utilizzare positivamente un periodo che presentava e presenta tante negatività. Si è trattato di una sfida inattesa, senza precedenti, che abbiamo voluto cogliere credendo pienamente all’importanza della cultura, anche e soprattutto come antidoto all’impoverimento relazionale e motivazionale causato dal Covid-19. In questo contesto e forti di questa convinzione ha preso avvio, proprio nei mesi scorsi, la Scuola di Grafologia Seraphicum che rappresenta la conferma di quanto sia importante nei momenti bui offrire Foto:SBi nuovi orizzonti di formazione e di speranza. C’è, oggi, una strada maestra per l’insegnamento della teologia? Quale il punto di equilibrio tra lezioni presenziali e on line? Quali strade intende percorrere la Facoltà nel prossimo futuro? La consuetudine delle lezioni frontali è insostituibile perché permette non solo la partecipazione diretta in aula ma anche alla vita quotidiana della Facoltà, attraverso un rapporto costante con i docenti e gli altri studenti, religiosi e laici, la frequentazione della nostra biblioteca e di tutti gli spazi messi a disposizione dal Seraphicum. Ciò non toglie che la modalità on line ha dimostrato, in questi mesi, tutta la sua valenza e potenzialità che intendiamo preservare anche per il futuro. L’incremento dell’on line, anche quando saremo tornati alla piena normalità, potrà consentire di soddisfare le richieste di quanti ci seguono a distanza, impossibilitati a seguire i tradizionali corsi in presenza. La pandemia ci ha obbligati a ricorrere a risorse divenute indispensabili per lo svolgimento delle attività che potranno, da ora in poi, rappresentare un ulteriore punto di forza per integrare le nostre offerte formative, lavorando così a una Facoltà in uscita. febbraio 2021 7
Abbiamo numerosi strumenti di divulgazione - dalle pubblicazioni al sito web sino ai diversi canali social - sui quali potremo sempre più puntare per una capillare diffusione delle nostre attività, in una piena condivisione con quanti vorranno seguirci, nei modi preferiti. Venendo nello specifico alla caratterizzazione della Facoltà, come realtà accademica dell’Ordine dei francescani conventuali, qual è l’apporto che può fornire al mondo francescano e alla Chiesa? Credo che l’apporto della Facoltà possa essere notevole, soprattutto se lavoriamo per coltivare il nostro passato non come qualcosa di nostalgico e cristallizzato ma facendone tesoro, per affrontare le odierne sfide della formazione culturale e dell’evangelizzazione. La nostra realtà accademica nasce oltre cento anni fa e basta sfogliare le cronache in archivio per comprenderne la ricchezza spirituale e culturale. Una nostra vocazione caratterizzante è di approfondire le tematiche che la Chiesa ha affrontato in ogni tempo. Oggi, quindi, vedo come un nostro impegno e responsabilità il trasmettere quanto papa Francesco sta offrendo a tutta la Chiesa e all’umanità. Abbiamo un papa che porta il nome del Santo di Assisi, che dà nomi francescani alle sue encicliche, che ha da subito riservato una grande attenzione ad Assisi, creando cardinale il custode del Sacro Convento (fra Mauro Gambetti, ndr), di recente nominato Vicario generale di Sua Santità per la Città del Vaticano, Arciprete della Basilica Papale di San Pietro e Presidente della Fabbrica di San Pietro. Ciò significa che esiste un Fonte: San Francesco legame molto forte con san Francesco, con il carisma e il mondo francescano, per questo credo che la Facoltà abbia oggi questa vocazione ancora più marcata di trasmettere il messaggio di un magistero attualissimo, molto concreto e attento a quanto sta accadendo. In che modo, quindi, la Facoltà può contribuire a questa “ventata francescana” portata da papa Bergoglio? Credo che sia importante lavorare sempre più a un approfondimento del magistero di papa Francesco, attraverso specifiche iniziative accademiche. Attività che siano capaci di trasmettere questo ricco pontificato attraverso una modalità che rispecchi il suo stile molto diretto, finalizzato a cogliere sempre l’essenziale. A questo proposito, abbiamo un’importante novità: a ottobre sarà attivato il master “Fratelli tutti” i cui dettagli verranno resi noti tra qualche settimana. E sarebbe bello inaugurare queste attività con una visita di papa Francesco alla Facoltà. Nella nostra storia abbiamo avuto la grazia di ricevere la visita di san Paolo VI nel 1974 e di san Giovanni Paolo II nel 1986. Potrebbe essere il momento propizio per accogliere di nuovo il “signor papa” come diceva Francesco d’Assisi, aggiungendo un altro importante anello di congiunzione tra il passato e il presente del Seraphicum. *Giornalista, docente di Mass media @eliloiacono febbraio 2021 8
abitare la casa comune Francesco e la cura dell’ambiente “Le sue viscere di misericordia” per le creature più deboli di Pietro Maranesi* Il Cantico delle creature di Francesco di Assisi è conosciuto non solo per la sua bellezza letteraria ma anche per l’opportunità che offre di conoscere l’animo ecologico del Santo, il quale, di fronte al mondo creato, assume un atteggiamento di lode dell’“Altissimo e onnipotente bon Signore” di cui tutte le creature “portano significazione”. Tuttavia il testo non ci permette di sapere quali effettive conseguenze questo sentimento di lode abbia prodotto nel modo di agire concreto di Francesco. Per essere aiutati in questo secondo versante della questione ecologica, cioè per gettare luce sul rapporto fattivo di Francesco con l’ambiente, possiamo appoggiarci alle narrazioni agiografiche. Tralasciando la problematicità di queste fonti, mi limiterò a un doppio episodio narrato con dovizia di particolari da Tommaso da Celano nella sua Vita del beato Francesco (opera conosciuta anche come Vita prima). In essa, ai numeri 77-79, l’agiografo, riprendendo in qualche modo quanto già detto sull’amore di Francesco verso le creature, ai numeri 58-61 e anticipando quanto riproporrà ai numeri 80-81, narra due episodi molto simili, avvenuti quando Francesco, accompagnato dal provinciale frate Paolo, era nella Marca di Ancona, dove intervenne in favore prima Fonte: Archivio SBi di una pecorella minacciata da altri caproni (77-78) e poi di due agnellini che venivano portati al mercato (79). Per avere la chiave di lettura delle due vicende occorre riascoltare innanzitutto la premessa con la quale Tommaso apre i racconti: “Ridondava di spirito di carità, assumendo viscere di misericordia non solo verso gli uomini provati dal bisogno, ma anche verso gli animali bruti senza favella, i rettili, gli uccelli e tutte le creature sensibili e insensibili” (1Cel 77: FF 455). febbraio 2021 9
Insomma, la premessa è chiara: la cura con cui intervenne a favore della pecorella e dei due agnellini era il frutto diretto delle “viscere di misericordia” che muoveva il Santo nei confronti dei più deboli e indifesi; e tra di essi gli agnelli occupavano una posizione speciale perché “nella Scrittura Gesù Cristo, per la sua umiltà, è paragonato spesso e a ragione all’agnello” (ivi). I due episodi, oltre a mostrare quanto concreto fosse in Francesco lo sguardo ecologico, evidenziano a mio avviso tre atteggiamenti essenziali che dovrebbe possedere ognuno animato da una seria responsabilità ecologica. Senza poter effettuare un’accura analisi dei racconti, ci limitiamo a sottolineare i tre aspetti della “cura e salvaguardia del creato” sentita e vissuta da Francesco come “fratello maggiore” a vantaggio dei suoi “fratelli minori”. Il presupposto di partenza delle due storie tocca la sensibilità umana di Francesco che “si accorge” delle situazioni a rischio che stavano correndo sia la pecorella, sola in mezzo ad un gregge di montoni, sia i due agnelli che, penzolanti da un palo, venivano portati al macello dal loro padrone. Le sue “viscere di misericordia” gli donavano occhi capaci di “vedere” le difficili situazioni ambientali vissute da quelle creature e “fermarsi” per prendersene cura. Nell’episodio della Fonte: San Francesco pecorella l’agiografo racconta che “appena la vide, il beato Francesco si fermò” (1Cel 77: FF 456). Altrettanto avvenne per i due agnellini: “all’udire quei belati, il beato Francesco, vivamente commosso si accostò accarezzandoli come suol fare una madre con i figlioletti” (1Cel 79: FF 457). Senza questa attenzione e compassione non sarebbero avvenute le due storie: le viscere di misericordia hanno dato a Francesco un cuore capace di lodare e cantare la bellezza del mondo ma anche di accorgersi e coinvolgersi con la sofferenza e l’ingiustizia che a volte è presente in esso. È interessante il fatto poi che, nel caso della pecorella posta tra i caproni, Francesco aiuta fra Paolo, il suo accompagnatore, ad entrare nella stessa coscienza ecologica, facendogli notare come essa si trovasse nella stessa situazione di Gesù tra i sacerdoti del tempio. Francesco divenne in questo modo educatore ecologico: infatti alle parole “di pietà” del Santo anche fra Paolo “cominciò a sentire commozione” (1Cel 78: FF 456). Se però questo sentimento di solidarietà non fosse diventato anche decisione operativa, si sarebbe trasformato in puro pietismo sentimentale. Il centro del racconto è occupato proprio da questo secondo aspetto della coscienza ecologica di Francesco, che interviene concretamente per riscattare quegli animali. Non può non colpire il fatto che quell’uomo che aveva scelto la povertà assoluta, non abbia avuto difficoltà a “maneggiare” denaro pur di salvare quelle creature in difficoltà. Per la pecorella, non avendo nulla da dare al proprietario, Francesco ebbe l’aiuto di un ricco mercante che “offrì loro il prezzo considerato” (1Cel 78: FF 456). febbraio 2021 10
Nel caso dei due agnellini, che venivano portati dal contadino “penzolanti e legati sulla spalla”, cede invece al proprietario il suo mantello che “l’aveva ricevuto in prestito da un uomo proprio quel giorno per ripararsi dal freddo” (1Cel 79: FF 457). Insomma la compassione non basta se non è accompagnata da un impegno fattivo e “costoso”, con il quale intervenire nella situazione, coinvolgendosi in prima persona e pagando di tasca propria. La liberazione degli animali non avvenne cioè grazie ad una predica fatta da Francesco, con la quale convincere i proprietari ad avere sentimenti di compassione nei confronti di quegli animali indifesi, ma attraverso un’operazione economica costosa e impegnativa, con la quale di fatto il Santo verificò quanto le sue “viscere di misericordia” fossero ben più che un sentimentalismo o un buonismo ecologico, ma una convinta e determinata disponibilità ad intervenire e cambiare la situazione. Il terzo elemento delle due narrazioni da mettere in evidenza è la loro conclusione, nella quale gli animali vennero consegnati alla cura di qualcuno: nel primo caso alle donne religiose che vivevano a Colpersito, un luogo accanto alla città di San Severino, e nel secondo allo stesso contadino. Partiamo da quanto narrato in questo secondo episodio. Le parole con cui Francesco affida allo stesso proprietario i due agnellini riscattati dalla loro sorte di morte, possono essere assunte come programma ecologista di cura amorosa per il creato: “Di mantenerli, nutrirli e custodirli con amore” (1Cel 79: FF 457). La conclusione dell’altra storia, Fonte: corriere.it quella della pecorella, pur essendo simile nell’affidamento finale, contiene qualcosa di ulteriore, relativamente ai frutti che sgorgano da quella consegna, accolta da qualcuno con amore e attenzione; infatti le sorelle, dopo aver ricevuto la pecorella come dono di Dio ne ebbero amorosa cura per lungo tempo, e poi con la sua lana tesserono una tonaca che mandarono al beato padre Francesco mentre teneva un capitolo alla Porziuncola. Il santo l’accolse con devozione e festosamente si stringeva la tonaca al cuore e la baciava, invitando tutti ad allietarsi con lui (1Cel 78: FF 458). La cura del creato, in particolare delle parti più fragili e vulnerabili, non deve essere mossa solo da un principio di rispetto e di giustizia da riconoscere al mondo creato, ma anche da un’altra consapevolezza: l’ecologia avvantaggia sia la qualità della vita di tutti che la quantità del prodotto economico. E così una scelta ecologista, pur chiedendo un impegno a volte gravoso, ripaga in qualità e quantità. febbraio 2021 11
Per concludere questa breve lettura dei due episodi, mi sembra possibile porre in parallelo le loro dinamiche narrative con i tre momenti che caratterizzarono la storia del buon samaritano, quando dopo essersi fermato per compassione presso il malcapitato, si coinvolge in prima persona pagando per soccorrere il povero, fino ad affidarlo alle cure dell’altro. Il malcapitato che giaceva ai margini della strada potrebbe essere identificato con la creazione e in particolare con gli animali, bastonati e derubati dalla cupidigia dei nostri interessi economici: noi, come dei ladroni, stiamo rubando e consumando ogni risorsa della natura, lasciandola abbandonata e mezza morta. Non si può andare oltre senza accorgerci della sua grave condizione, perché in questo caso si parteciperebbe a quell’atto di violenza anche se non ne siamo i diretti colpevoli. Occorre fermarsi e coinvolgersi in quel recupero, ognuno secondo le proprie possibilità e pagando di persona con scelte non solo di generosità Fonte: web ma anche di giustizia nei confronti del creato e degli animali; oltre tutto con la cura che avremo per sorella natura potremmo non solo guarire la sua condizione malata, ma anche rendere fraterno il rapporto con il mondo, facendone uno spazio di vita con una qualità più sostenibile e umana, e dunque con vantaggi duraturi per tutti. Ad ognuno di noi viene chiesto di avere “viscere di misericordia” per il nostro ambiente, diventando per esso non solo il samaritano che si accorge, si ferma e se ne prende carico, ma anche l’albergatore a cui fu detto: “prenditi cura di lui fino al mio ritorno”. Perché quando Lui ritornerà, ci chiederà conto di come abbiamo trattato le nostre sorelle creature: se cioè con viscere di misericordia o con un cuore predatorio attento solo al proprio guadagno. *OFMCap, docente di Teologia e Studi francescani febbraio 2021 12
vita francescana Cardinali e Vescovi che restano frati i religiosi al servizio della chiesa di Maurizio Di Paolo* L’ultimo concistoro, celebrato sobriamente lo scorso 29 novembre, ha visto l’elevazione di tre religiosi francescani e uno scalabriniano alla porpora cardinalizia. L’immagine che ha maggiormente suggestionato, è stata quella dell’abito cappuccino di p. Raniero Cantalamessa, coronato dal Santo Padre con la berretta cardinalizia nella tipica seta moiré color cremisi. Tuttavia non deve stupire che un frate cardinale indossi l’abito religioso proprio. Già il 7 gennaio 1566 il frate domenicano Antonio Ghisleri di Bosco Marengo (Alessandria), eletto al Soglio pontifico con il nome di Pio V, volle mantenere il suo abito bianco di domenicano, introducendo così la tradizione della veste bianca per i papi. Ancora oggi molti vescovi francescani indossano con piacere il proprio saio, soprattutto nelle visite ai conventi o chiese dell’Ordine, o nella vita quotidiana, quando la praticità dell’abito religioso è preferibile rispetto alla rigidità della talare clericale. Ciò è raffigurato anche nello stemma episcopale, nel cui scudo i vescovi Fonte:Wikipedia francescani, generalmente nella sommità, raffigurano lo stemma serafico delle due braccia di Cristo e di Francesco, unite dalla croce di colore rosso. Dunque un frate elevato alla porpora cardinalizia o all’episcopato, è ancora frate? Certamente si! Lo afferma inequivocabilmente il Codice di Diritto Canonico al can. 705. La storia recentissima dei nostri confratelli dimostra come la Santa Sede ha chiamato le singole persone proprio in quanto membri dell’Ordine. L’esperienza maturata da fra Mauro Gambetti, quale responsabile della Basilica Papale di San Francesco in Assisi, è un patrimonio che il Santo Padre ha messo a disposizione della Basilica di San Pietro. febbraio 2021 13
Le competenze, lo stile e le capacità sviluppate da fra Mauro (nella foto) sono garanzia del buon esito del suo incarico vaticano, nella organizzazione delle funzioni religiose, degli ecclesiastici, dei dipendenti e volontari che si alternano nel garantire la celebrazione e l’animazione liturgica, l’accoglienza ai pellegrini, la sicurezza, la pulizia e la manutenzione dell’edificio. La semplicità e la trasparenza richieste nell’Ordine francescano, saranno presupposti essenziali nella gestione del personale e soprattutto degli appalti per le opere di straordinaria manutenzione che interessano la Basilica vaticana. Anche la vicenda di fra Martin Kmetech, arcivescovo di Smirne, è espressione dell’impegno che l’Ordine ha profuso nella presenza di Turchia negli ultimi decenni, creando la Custodia di Oriente con frati provenienti da tutta Europa. Ancora più significativa la nomina di Fra Dominique Mathieu (in foto nella pagina seguente), quale arcivescovo in Iran, che partirà come vero e proprio missionario, per curare i pochi fedeli cattolici che risiedono nella nazione islamica. La sua esperienza “orientale”, iniziata in Libano anni Fonte:SBi orsono, continua nel complesso oriente islamico. La scelta, caduta su questi due confratelli, è frutto della stima che la Santa Sede ha per la nostra presenza francescana nella Custodia di Oriente, dove Francesco ha compiuto ottocento anni fa, il suo viaggio profetico. In tal senso è significativo quanto il cardinale Pietro Parolin ha affermato confidenzialmente, commentando la nomina dei Vescovi, rilevando che è un segno di buona salute dell’Ordine. Concretamente, come i presuli restano legati all’Ordine? Interroghiamo il Diritto. Il Codice si esprime anzitutto sul voto di obbedienza (can. 601): il frate elevato all’episcopato è soggetto solamente al Romano Pontefice (can. 705). Una antica distinzione definiva i superiori interni, ossia il ministro generale, provinciale e locale (can. 620), e i superiori esterni, ossia il Romano Pontefice e i suoi vicari. In questo senso il voto di obbedienza professato rimane valido, ma orientato esclusivamente al Papa, mentre verso i superiori dell’Ordine resta un vincolo di carità e collaborazione. Questo comporta che non eserciti nell’Ordine voce attiva e passiva, ossia la possibilità di partecipare con voto ai Capitoli, secondo quanto dichiarato nella Risposta della Pontificia commissione per l’interpretazione autentica del Codice del 29 aprile 1986, a poco più di tre anni dalla promulgazione del Codice. Non è solo una incompatibilità di uffici, ma un divieto che permane anche quando il religioso cessa dalle sue funzioni episcopali, e raggiunta la pensione e diventato emerito, sceglie di ritirarsi in convento. Il vescovo religioso è tenuto ad osservare il voto di povertà (can. 600) per cui ha effettivamente rinunciato ad avere la titolarità di beni (can. 668 §4)? febbraio 2021 14
Certamente sì, infatti il can. 706 spiega che il vescovo religioso ha l’uso, l’usufrutto e l’amministrazione dei beni, ma ne intesta la proprietà alla Diocesi in cui esercita il ministero o al suo Ordine. Cosa avviene quando un vescovo cessa dal suo ufficio? Arrivato all’età della pensione, il vescovo emerito può scegliere dove abitare, “anche fuori dalle case del proprio istituto” (can. 707 §1). Ciò suggerisce che il frate ritorni nel convento dove meglio si sente accolto, o dove ha vissuto gli anni più intensi della sua attività. Non meraviglia che diversi vescovi francescani abbiano fatto ritorno in convento, come attualmente è per p. Agostino Gardin a Padova e p. Paolo Atzei a Oristano. Il Codice stabilisce circa il sostentamento, che sia la Diocesi o la Santa Sede ad occuparsene in modo “conveniente e degno”, a meno che non se ne voglia occupare direttamente l’Ordine (can. 707 §2). Queste norme non sono superflue: venendo a cessare dal proprio ufficio episcopale, il frate è felice di tornare tra i suoi confratelli se con essi ha coltivato buone relazioni, nella generosità e nella discrezione: generosità di chi sa di poter dare ancora il suo contributo concreto all’Ordine, e discrezione di chi comprende che la sua autorevolezza potrebbe condizionare i suoi confratelli ed essere percepita come una interferenza più che come un parere o un consiglio. Nella vita quotidiana poi è chiaro che il vescovo che torna a vivere da frate dovrà trovare un nuovo equilibrio, non solo negli ambienti, ma anche nella semplicità dei rapporti umani che caratterizzano i nostri conventi. In ultima analisi, un frate elevato all’episcopato sa di dover attribuire non solo a se stesso, ma in buona parte all’Ordine, la sua formazione, le numerose opportunità di crescita e maturazione umana, professionale e soprattutto spirituale. Il frate sa anche che, chi lo chiama all’episcopato, si aspetta Fonte:Curia OFMConv da lui un servizio, uno stile e una spiritualità propri del suo carisma, sperimentato e vissuto in una fraternità, e capace di creare fraternità. Nessuno pensi che un frate diventato vescovo è “uno di meno”, anzi, è un frutto sano di un Ordine generoso, che sa obbedire alla Chiesa donando al suo servizio gli uomini migliori, sapendo che saranno utili alla edificazione del Regno di Dio, e sperando che continuino ad essere di giovamento all’Ordine, come esempi e come stimolo per nuove vocazioni e per il rinnovo della nostra vocazione. *OFMConv, Procuratore Generale dell’Ordine procurator@ofmconv.net febbraio 2021 15
il Padre nostro, dalla fine al principio R i m etti , co m e anc h e noi ri m ettia m o rispondere al comandamento dell’amore di Emanuele Rimoli* Cosa affermiamo quando diciamo «rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo a nostri debitori»? Prim’ancora che scatti la richiesta di perdono, ci riconosciamo tutti debitori, o peccatori se seguiamo la versione dell’evangelista Luca. Cioè tutti in una situazione di carenza – possiamo anche dire che ci riconosciamo poveri, giacché «è povero chi non può dare un contraccambio» [Epicoco] o saldare un debito. Ora, poiché si tratta della preghiera del Signore, dobbiamo ricordare che chi parla è proprio il Signore Gesù. Egli, infatti, è il povero per eccellenza a cui appartiene il regno dei cieli (Mt 5,3). Cosa comporta questa constatazione? Sul versante di Dio. Paolo lo spiega con parole potenti e disarmanti: «Gesù Cristo da ricco che era si è fatto povero per voi, perché Fonte:La Stampa voi diventaste ricchi della sua povertà» (2Cor 8,9), intuizione che san Francesco scopre nell’Eucaristia: «Perciò è lo spirito del Signore, che abita nei suoi fedeli, quello che riceve il santissimo corpo e sangue del Signore […]. Ecco, ogni giorno Egli si umilia, come quando dalle sedi regali scese nel grembo della Vergine; ogni giorno viene a noi in umili apparenze; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote. E, come ai santi apostoli apparve in vera carne, così ora a noi si mostra nel pane sacro» [Am I]. ]. In altre parole lo Spirito santo che è in noi, riceve il Figlio nel pane e vino eucaristico, e lo riceve nel suo movimento di umiliazione, di abbassamento verso l’umanità, nel suo impoverimento febbraio 2021 16
affinché noi ne possiamo ricavare ricchezza. Perciò si tratta di un dono di vivacità che ci abilita a vivere come Gesù godendo della sua obbedienza e intimità con il Padre, stando solidali con gli altri in ogni circostanza. È questa la ricchezza evangelica che ci viene dalla povertà di Cristo, questo è il regno dei cieli: relazioni radicate in Cristo, vissute alla maniera di Cristo e non mortificate. Questo dono di vivacità corrisponde al dono che Dio ha fatto di se stesso con l’invio del Figlio, dono che si manifesta come riconciliazione: «Perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato [= lett. “ha fatto grazia di sé”] a voi in Cristo» (Ef 4,32). Il dono di grazia che è Cristo, ha rivelato che Dio è così favorevole agli uomini da Fonte:Archivio SBi non trattenere nulla per sé, neppure se stesso. Questo consegnarsi indifeso agli uomini vince le durezze e le diffidenze dei cuori, tanto da attirarli a sé (cf. Gv 12,32) per riposare in lui e finalmente godere della dolcezza di quella bontà. Si spalanca un orizzonte: «Come il Dio inaccessibile si rivela a me attraverso la sua grazia, anche l’altro inaccessibile può rivelarsi a me, e anche questa è una grazia» [Clement]. Rapportarsi secondo misericordia, a partire dall’invocazione di essere perdonati, significa accedere a un tempo alla grazia della rivelazione di Dio a noi e alla grazia della rivelazione degli altri - è l’esperienza goduta della paternità di Dio nei rapporti di fraternità. In effetti “l’altro lato della medaglia” dell’invocazione del Padrenostro è l’unico e grande comandamento del vangelo: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto [te stesso] … e il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22,36-40). E “amare il prossimo come se stessi” vuol dire trattare gli altri secondo quel «rimetti a noi i nostri debiti», e chi non vorrebbe avere il suo debito condonato, essere perdonato, riscattato dai pesi che lo angustiano? Perciò perdoniamo agli altri perché venga perdonato a noi, anche da Dio - è la “furbizia” che Gregorio nisseno esprime così: «L’ordine dei valori in un certo modo viene cambiato: “Quello è il mio debitore, io sono il tuo; l’atteggiamento che ho avuto con lui mi ottenga presso di te lo stesso favore. Ho sciolto, sciogli; ho rimesso, rimetti; ho mostrato larga misericordia al mio prossimo, imita la benignità del tuo servo, o Signore!”» [Omelia V sul PN]. Sul versante dell’uomo. Il verbo “rimettere” è il greco aphíemi, ovvero “annullare, lasciare impagato”. Che cosa? I debiti o peccati. E perché chiediamo che restino impagati? Perché l’uomo non è in grado di saldare il proprio debito/peccato con Dio (vd. Mt 18,23-25). Allora la prima parte dell’invocazione suona come supplica fiduciosa: «Signore, vieni a me non come giustiziere ma, appunto, come Padre di misericordia; vieni con un verdetto di grazia verso chi ti ha voltato le spalle; vieni a ricostituirmi come figlio, non imputato» [Bruni]. Ciò che è in gioco è l’idea che abbiamo di Dio, l’immagine che di lui abbiamo ricevuto, coltivato, scoperto… Tutto si gioca appunto sulla fede, come dice Gregorio nisseno: «Cosa insegna la Parola di Dio? Anzitutto ad acquistare, attraverso le opere, il coraggio di mostrare la nostra fede e quindi febbraio 2021 17
a chiedere la remissione delle colpe» [Omelia V sul PN]. Gli farà eco Massimo il confessore nella conclusione del suo commento al Padrenostro: «Se vogliamo essere salvati dal maligno e non subire la tentazione, abbiamo fede in Dio e rimettiamo i debiti ai nostri debitori». Non è forse vero che ci fidiamo solo di chi non ha vergogna di noi, delle nostre contraddizioni, degli scheletri nascosti, delle brutture? Non è forse questo che desideriamo più di ogni altra cosa: cedere finalmente le armi e consegnarci ad uno sguardo benevolo? Su questo incontro disarmato poggia la seconda parte dell’invocazione, «come anche noi li rimettiamo». Sono stato perdonato, anch’io posso perdonare; ho gustato quella dolcezza, posso estenderla agli altri; sono entrato in quell’intimità, posso coinvolgervi altri. Per quanto però desiderabile constatiamo che non è così immediato godere di quella benignità coinvolgendo i vicini. Assomigliamo molto al servo insolvente (Mt 18, 23-25): attendiamo continuamente qualcosa dagli altri, pretendiamo al punto che non è tanto l’altro che ci interessa quanto la gratificazione che ci procura - preferiamo qualcosa invece che qualcuno, il dono Fonte:Archivio SBi piuttosto che il donatore, e questo non può che generare durezza o perfino violenza. E siccome gli altri costantemente ci deludono poiché non sono in grado di pagare i loro debiti, è facile rifugiarsi nel risentimento per “fargliela pagare” con raffinate vendette, vivendo di amarezza e nostalgia. La portata è tale che è in gioco la sincerità dell’invocazione «rimetti a noi i nostri debiti». Infatti: «Se presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24). Non si tratta tanto della capacità di perdonare o del volersi presentare a Dio con la coscienza a posto (chi può farlo?), ma della sincerità della richiesta di perdono: si può invocare benevolenza per sé senza farne parte agli altri? Si può trattenere per sé, come cosa propria e privata, l’amore di Dio che in verità è per tutti indistintamente? Più drammaticamente: si può godere di un amore senza essere disposti a donare? La parabola dell’amministratore disonesto (Lc 16,1-13) spiega definitivamente quanto stiamo dicendo. La scaltrezza lodata non è nell’impossibile tentativo di saldare il debito, ma nel condonare i debiti degli altri e trovare ancora favore presso il padrone. Appunto «procuratevi amici con la ricchezza disonesta», cioè con la misericordia: «La misericordia è il calcolo più intelligente che possiamo fare per noi e per gli altri. Se tu servirai il tuo Signore onorando il tuo fratello, qualora tu dovessi mancare in qualcosa rispetto al tuo Signore, l’onore dato al fratello richiamerà il favore del tuo Signore. Non solo, ma se il tuo fratello mancherà in qualcosa rispetto al suo Signore, l’onore che tu gli avrai portato funzionerà da intercessore per lui perché quell’onore è computato a merito» [Citterio]. febbraio 2021 18
La misericordia, non si dà semplicemente in relazione ai peccati nostri o altrui, ma poiché è la maniera d’agire propria di Dio, essa è la verifica delle nostre relazioni, poiché ne è l’anima, la ragion d’essere, la logica, l’obiettivo e il compimento, l’intimo segreto. Di cosa siamo debitori verso Dio? All’uomo Dio non ha dato solo il mondo e le sue cose, ma ha affidato Se stesso come “tu”. «Dio ha dato se stesso all’uomo e si aspetta che costui lo restituisca a se stesso […] come un “Dio amato”» [Guardini]. Verso Dio non siamo debitori di cose, ma della reciprocità nel rapporto, dimorando in quella intimità accessibile in Gesù e aperta a tutti gli uomini (Eb 6,19-20). Così, in punta di piedi, ci affacciamo su una questione solo accennata all’inizio: è Gesù che prega per primo le parole del Padre nostro esprimendo il suo rapporto speciale con il Padre e gli uomini. È Gesù che dice «Rimetti a noi…come noi rimettiamo» e si mette, ancora una volta - mendicante e povero - a domandare per noi, con noi e in noi (Gal 2,20; 4,6), perché sia colmata la separazione (Ef 2,14), sia abbattuta ogni accusa e accessibile il Regno (Ap 12,10). Di cosa gli altri ci sono debitori? Alias: di cosa siamo debitori gli uni gli altri (e quindi al mondo)? Siamo debitori proprio di questa conoscenza del Signore. Fin tanto che tutti non l’avranno conosciuto come “amore del Padre per il mondo” attraverso uno stile misericordioso, la nostra stessa conoscenza resterà limitata, poiché non sapremo come quell’amore saprà riversarsi su quei fratelli, con che puntuale provvidenza e creatività. Così è di Dio, infatti così è dell’amore: se è trattenuto e non è donato, come potrà svelare le sue molteplici e intelligenti sfaccettature, la densità delle parole, la profondità degli sguardi, l’umanità dei gesti, l’intimità dei silenzi, la benevolenza nell’attesa, la non dimenticanza dei volti? Tendere a questa manifestazione rende umili e riverenti verso tutti, fino ai nemici, e risponde al comandamento dell’amore (Gv 13,34-35). È quanto desiderava Francesco per i missionari: «non Fonte:Archivio SBi facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani» [RnB XVI]. *OFMConv, docente di Antropologia cristiana @fratemanu febbraio 2021 19
santità francescana Jacopone da Todi cantore della croce di Cristo di Raffaele Di Muro* Jacopone nasce da una famiglia aristocratica di Todi, lavora come notaio ed abbraccia la vita matrimoniale. Gli studi effettuati sul suo conto non permettono una datazione certa circa la sua nascita. Si ritiene, invece, che nel 1259 risulti già sposato. A quarantasette anni muore sua moglie e successivamente si dedica alla vita penitenziale. Sembra che decisivo sia l’evento della morte della consorte sul cui corpo si scopre un cilicio. Ciò che si può ritenere certo è il fatto che esercita la professione di procuratore legale e che si dedica alla poesia. Intraprende la vita di penitente, vestito con l’abito che i bizzoconi portavano in quel tempo. Entra successivamente tra i frati minori, tra i quali emetterebbe la professione come fratello religioso, irridendo egli il valore degli studi e dei gradi accademici nell’ambito della famiglia francescana. Aderisce, dunque, alla schiera dei cosiddetti spirituali perché desideroso di un miglioramento nei costumi della fraternità francescana soprattutto relativamente alla pratica rigorosa della povertà. Il suo è un carattere fervoroso. Si schiera tra gli oppositori di Bonifacio VIII, che ritenevano invalida la rinuncia di Celestino V, e per questo sperimenta il carcere, probabilmente nel convento di Todi. Questa esperienza lo prova e gli permette una notevole crescita interiore. Il ritorno tra i confratelli, avvenuto Fonte: Wikipedia probabilmente per volontà del nuovo papa Benedetto XI eletto nel 1301, lo riempie di gaudio e in questo contesto compone Le Laude, uno tra gli scritti mistici più ardenti della tradizione occidentale. Non è certo che abbia scritto il Tractatus utilissimus e i Dicta a lui spesso attribuiti pur se non si ha certezza assoluta circa la paternità di queste opere. L’amore verso Dio è il motivo dominante di questo componimento come di tutta la sua esperienza religiosa. È convinto assertore della contemplazione e della meditazione sui misteri di Cristo che rivelano la benevolenza divina a favore dell’umanità. Insegna che il cuore dell’uomo è grande solo se in esso domina l’amore, come lo stesso Francesco d’Assisi insegna. febbraio 2021 20
Muore nel 1306 nel monastero delle Clarisse di Collazzone in Umbria, probabilmente nel giorno di Natale. Nell’itinerario proposto da Jacopone da Todi, l’ascetica e la mistica sono complementari. La contemplazione trascendente è condanna della carne, alimenta l’ardore e crea utili steccati con le attrattive del mondo. Si parte dall’annullamento del proprio egoismo e della propria fragilità per proiettarsi nell’amore di Dio. La penitenza, il disprezzo del mondo, la pratica della virtù e la meditazione sul mistero della croce vanno intesi in chiave mistica. Centrale è, nella spiritualità proposta da questo personaggio, la contemplazione dell’umanità di Cristo, in pieno stile francescano. Ammira con particolare fervore l’andare di Gesù incontro alla passione ed alla morte per la salvezza dell’uomo. Tuttavia emerge, contrariamente a quanto si legge negli scritti di Francesco d’Assisi, una sfumatura di pessimismo sempre velatamente presente in quanto scrive soprattutto in merito al disprezzo della carne e del mondo. Il suo pensiero è, però, da definirsi autenticamente francescano nel senso che il percorso di rinuncia proposto da Jacopone ha quale finalità ultima il raggiungimento della comunione con Dio. Proponiamo un brano tratto dalle Laude nel quale è evidenziato l’amore per la croce del Signore, la tensione escatologica e la comunione con Dio: “L’Amore sta appiso, la Croce l’ha preso e non lo larga partire; vocce correndo e mo mme cci apendo, ched ei non pòzza esmarrire ca lo folgire farìame sparire ch’eo non forìa scripto enn Amore O Croce, eo m’appicco E a tténne m’aficoo Ch’eo gusti morendo la Vita! Ca tu n’è adornata Da morte Melata; tristo, ch’eo non t’aio sentita! O alma sì ardita d’aver so firita che ‘n more accorata d’Amore!” (JACOPONE DA TODI, Laude, X, 25-40) febbraio 2021 21
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