MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross
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MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross Come ogni anno, anche per questo 2019 è finalmente arrivata l’ora di MXGP 2019: il titolo Milestone per Pc, Xbox One e Ps4 dedicato all’adrenalinico mondo del motocross che arriva, con questa edizione, alla sua quinta apparizione sul mercato. MXGP 2019, differentemente da quello che i più potrebbero pensare, non è affatto un prodotto di nicchia: la grande cura dei dettagli che la software house milanese riversa in ogni sua produzione, specialmente in quelle più recenti, rende il titolo un qualcosa di godibile per ogni giocatore, dai casual gamers fino ai piloti più esperti. C’è da dire che già dal primo avvio del gioco è difficile non rimanere colpiti da ciò che si vede sullo schermo. Non c’è componente di MXGP 2019 che non abbia ricevuto limature consistenti, ed i frutti del lavoro di miglioramento si possono notare fin dal primo momento in cui ci si confronta con i menù, i tutorial, l’interfaccia e la colonna sonora, tutti protagonisti di un
evidente e notevole balzo qualitativo. Ciascun elemento appare curato fin da principio, e questa piccola attenzione tecnica si riflette nella caratterizzazione di tutte le moto e delle componenti, che siano le finiture in carbonio di una marmitta della Arrow o le saldature sul metallo dell’Akrapovich. La licenza ufficiale del campionato Motocross ha permesso, come è ovvio, di riprodurre fedelmente piloti, livree, sponsor e tracciati, per una modalità carriera che ricalca le sequenze della stagione in corso. Ad ogni modo, è possibile anche “saltare” l’ostacolo, almeno in termini di personalizzazione dell’esperienza, affidando le fortune del pilota virtuale, creabile attraverso un editor, ad uno sponsor piuttosto che ad un altro. Si tratta, è bene precisarlo, di un’opportunità prettamente estetica, che garantisce all’utente di gestire a proprio gusto i “colori” e lo stile di moto, abbigliamento e accessori. Il vero modificatore dell’esperienza risiede però nella scelta di approccio. In pratica, è possibile tanto affrontare la campagna in modalità Standard, per un gameplay evidentemente arcade, quanto giocare di “fino” e, quindi, in modalità Realismo, per una fisica, specie quella legata ai pesi di moto e pilota, ben più intransigente. Proprio per queste ragioni, come accennavamo prima, il titolo può essere giocato e apprezzato da qualsiasi tipo di gamer. Ovviamente trattandosi di un gioco di motocross in gara bisogna badare non certo solo alla velocità, ma alla gestione dei salti e, quindi, al posizionamento del bolide piuttosto che del pilota. Insomma, la conoscenza dei tracciati, ma anche la corretta lettura delle varie situazioni, tra piloti avversari e ostacoli presenti a bordo pista, è essenziale per il raggiungimento delle prime posizioni. Anche ai livelli di difficoltà più bassi. Oltre alla modalità Carriera MXGP 2019 offre anche un simpatico editor dei tracciati. Imparando a utilizzarlo è quindi possibile creare la pista dei propri sogni sfruttando una serie di strumenti e preset
estremamente semplici ed efficaci, ma il risultato finale corrisponde raramente alle aspettative, perché la totale assenza di dislivelli e piccoli “fronzoli” estetici finisce per disegnare piste eccessivamente piatte e prive di una reale varietà. Per testare la propria moto poi esiste l’area Playground dove è possibile correre in una zona collinare della Provenza. Qui non solo è possibile confrontarsi con una simpatica serie di challenge capaci di toccare la destrezza in sella, l’abilità nel trial e la pura velocità, ma addirittura creare piccole gare “waypoint” artigianali attraverso le quali sfidare altri membri della community. Insomma, il Playground si è rivelato quella tavolozza che mancava all’editor dei tracciati, e risulta particolarmente affascinante perché riesce a deviare efficacemente dall’esperienza tradizionale, consentendo di scalare il fianco delle colline o di lanciarsi a tutto gas in un downhill suicida. La ciliegina sulla torta, poi, sta nella presenza di una “modalità finale” destinata esclusivamente a coloro che riuscissero a completare ogni sfida presente fra boschi e laghetti. Oltre a quanto elencato fino a ora, sono presenti altre modalità: dalla classica prova a tempo alla gara veloce, dove si potrà decidere se utilizzare il proprio pilota o uno dei campionati MXGP e MXGP 2. Insomma, a livello di offerta ludica il titolo non delude. A livello
tecnico ed estetico, MXPG 2019 è il titolo di Milestone con la caratterizzazione del rider più convincente in assoluto, e le decine di piccoli movimenti pensati per accompagnare ciascun sobbalzo in gara fanno un ottimo servizio al realismo. Realismo che si ritrova nell’estetica dei circuiti, ormai divenuti visivamente impeccabili, impreziositi da un gradevole sistema d’illuminazione e da immancabili effetti particellari. Gli skybox e gli sfondi regalano un’identità ed una palette cromatica proprie a ciascuna location, dai monti di Pietramurata, passando per le sterpaglie della Turchia, per arrivare infine alle piccole superfici acquatiche che fanno capolino fra i dossi di Shangai ed in Lettonia. Anche gli elementi storicamente più spigolosi, come le comparse fra il pubblico ed i modelli scenografici, sono arrivate a presentarsi in forma smagliante. La fase di gara scorre discretamente liscia, e non solo per merito dell’ottimo comparto visivo; al di là degli spigoli, abbiamo particolarmente apprezzato la marcia indietro fatta sul reset istantaneo al momento dell’uscita dal tracciato, sistema che penalizzava l’immersione e che ha finito per essere sostituito da un pratico timer. Le tanto discusse collisioni, invece, sembrano aver trovato finalmente la quadra, e capita molto raramente di trovarsi con la faccia nel fango senza una ragione precisa. Tirando le somme, si può senza
dubbio affermare come MXGP 19, al netto di qualche imperfezione come un frame rate non sempre stabilissimo (unica vera pecca del gioco), risulti un titolo più che godibile figlio di anni e anni di esperienza da cui Milestone è riuscita a imparare dai propri errori. Lo specializzarsi in un genere perfezionandolo sempre di più è ciò che, da sempre distingue l’azienda milanese da molte altre presenti sul mercato. Grande varietà, possibilità di essere goduto sia dai casual gamers, ma anche da chi cerca un’esperienza realistica, un editor di mappe e la possibilità di affrontare sfide nel Playground fanno sì che questo MXGP 2019 sia un titolo da tenere da conto. Fango, salti, velocità e adrenalina vi aspettano. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 8,5 Gameplay: 8 Sonoro: 8 Longevità: 7,5 VOTO FINALE: 8 Francesco Pellegrino Lise
Galaxy Fold in arrivo a settembre, ma Samsung pensa già al successore Samsung è ormai in dirittura d’arrivo riguardo al rilancio ufficiale del suo primo smartphone pieghevole, ossia il Galaxy Fold che è stato inizialmente rinviato a causa di problemi di progettazione. Il dispositivo potrebbe debuttare sul mercato sudcoreano il 6 settembre, giorno di apertura dell’Ifa, la fiera tecnologica di Berlino. La notizia è stata riportata dal quotidiano coreano Yna, ma al momento non c’è una data della commercializzazione nei mercati internazionali. Il Galaxy Fold è stato presentato a febbraio e l’arrivo sui mercati era previsto ad aprile. Ma il lancio è stato
rinviato dopo le recensioni negative di alcuni esperti di tecnologia. Il colosso ha riposto molte speranze nel dispositivo pieghevole, con il quale punta ad arrivare fra le prime nel settore e imporsi. Il Galaxy Fold chiuso misura come uno smartphone da 4,6 pollici, mentre aperto è come un tablet da 7,3 pollici. Tra i cambiamenti apportati al dispositivo dopo la “bocciatura” degli esperti, uno in particolate riguarderebbe la pellicola protettiva dello schermo, ora inserita nelle cornici in modo da impedirne la rimozione. Stando alle ultime informazioni trapelate in rete e riportate da Bloomberg, Samsung sarebbe anche al lavoro su un nuovo pieghevole più piccolo e più sottile di Galaxy Fold: ci si aspetta infatti un pannello da 6,7″ ed uno spessore più contenuto. Questo lo renderebbe più maneggevole rispetto al primo pieghevole del produttore sudcoreano. Sempre secondo Bloomberg, il nuovo smartphone integrerebbe un sensore fotografico nella superficie interna, ovvero quella sulla quale si piega il device, e due sensori posti su quella esterna. Il design dello smartphone sarebbe caratterizzato da una forma quadrata, quando piegato, e Samsung l’avrebbe commissionato al noto designer Thom Browne. Al momento non è noto se il fatto che sia più “contenuto” rispetto a Galaxy Fold contribuirà a renderlo più economico.
F.P.L. Age of Wonders Planetfall, è tempo di colonizzare Cercate un titolo strategico ambientato nel futuro e che preveda la colonizzazione di nuovi pianeti? Volete un videogame in grado di offrire ore ed ore di divertimento fra combattimenti a turni, raccolta di risorse e la creazione di un pianeta governato come si desidera? Bene, allora Age of Wonders Planetfall è il prodotto che fa per voi, sia che siate giocatori Pc che Xbox One e PS4. Parlando di trama, pensate a una società evoluta tecnologicamente che ha avuto modo di espandersi per il cosmo colonizzando
centinaia di pianeti, un impero in grado ti mantenere pace ed ordine tra le numerose razze e fazioni diverse presenti nel cosmo. Ora immaginate che un misterioso cataclisma di proporzioni cosmiche faccia crollare tale impero, mandandolo in frantumi e rispedendo le civiltà che lo compongono centinaia di anni indietro dal punto di vista tecnologico. Ecco, questo è a grandissime linee il tetro in cui si svolgono le attività di Age of Wonders Planetfall. Nel gioco si vestiranno i panni di un comandante impegnato nella ricostruzione del proprio impero, facendolo risorgere dalle ceneri di ciò che era una volta l’Unione Stellare Intergalattica. Ma per raggiungere tale scopo bisognerà prendere con saggezza le proprie decisioni e valutare ogni mossa attentamente. Con la caduta dell’Unione, la galassia ha visto le sue principali razze organizzarsi in gruppi indipendenti, aventi come obiettivo quello di riportare la propria civilizzazione a prima del cataclisma. E qui inizia il gioco, infatti, ci sono ben sei fazioni selezionabili con cui intraprendere l’avventura, ognuna con caratteristiche uniche che ne determinano i punti di forza. Ci sono i Vanguard, la fazione umana, gli Assembly, una razza cibernetica votata alla ricerca della perfezione fisica attraverso il massiccio utilizzo di impianti biomeccanici, i Dvar, una specie nanica spaziale votata alla ricerca mineraria, i Kir’ko, uno sciame di insetti senzienti, il Sindacato, razza
dotata di poteri psionici e infine le Amazzoni, razza guerriera specializzata nell’uso di armi biologiche. Detto ciò è bene sottolineare che oltre che per il diverso background, queste fazioni si distinguono tra di loro in maniera evidente per una serie di caratteristiche che le rendono uniche, differenziando in modo molto marcato l’approccio in-game e tutta una serie di dinamiche fondamentali. Tale vastità di scelta nella giocabilità dona al titolo un alto tasso di rigiocabilità a patto però di avere la pazienza di seguire il tutorial (esclusivamente in inglese) e di non aver fretta. Age of Wonders Planetfall non è un gioco per casual gamers e per raggiungere risultati concreti è necessario applicarsi. Entrando nel vivo dell’azione, subito dopo l’atterraggio della nave-colonia sulla superficie del pianeta, si inizia a prendere confidenza le numerose dinamiche offerte dal titolo. L’interfaccia di gioco appare fin da subito chiara e permette di visualizzare sullo schermo le informazioni principali ma nonostante ciò lascia la maggior parte dello spazio libero per la visualizzazione della superficie del pianeta. Il mondo di gioco è diviso in una serie più o meno numerosa di settori, inizialmente oscurati e visibili solo nel momento in cui si invieranno degli scout in avanscoperta. Ciascuno di questi settori si differenzia dagli altri per morfologia, fertilità, clima o per la
presenza di strutture o variabili naturali che possono conferire allo stesso dei bonus o dei malus in quelli che sono i fattori chiave per lo sviluppo della colonia: ricerca, produzione agricola, industria. I piani di espansione del giocatore, infatti, dovranno tenere in considerazione molto attentamente queste variabili, in quanto i settori, una volta annessi ad una colonia, sono determinanti per lo sviluppo della stessa e la generazione delle diverse risorse fondamentali. Ogni colonia che si fonderà nasce con un determinato numero di coloni, numero che nel corso dei turni di gioco andrà a crescere permettendone la progressiva espansione: risulta importante gestire correttamente le risorse, per far sì che i coloni prosperino felici, e non incorrere in possibili sommosse dettate da un morale troppo. Il numero dei settori che ciascuna colonia può controllare dipende dalla dimensione della stessa: maggiore sarà il numero di abitanti in una città, maggiori settori potranno essere controllati, in una meccanica che lega a doppio filo colonie e settori. Oltre che allo sviluppo di questi settori, sarà necessario anche provvedere alla costruzione di strutture all’interno della colonia vera e propria: caserme e centri di addestramento avanzati sono essenziali per la costruzione di unità da guerra sempre più efficienti, torrette e difese perimetrali conferiranno alla colonia difese extra in caso di invasione, i centri
ricerca aumenteranno i punti generati sotto questa voce e così via. Ogni elemento che verrà aggiunto alla coda di costruzione ha un numero prestabilito di turni necessario al proprio completamento, turni che nel corso del gioco, con l’evoluzione tecnologica o l’emissione di determinati editti potrebbero venire ridotti, velocizzando considerevolmente la creazione di strutture o truppe. Insomma, l’attento sviluppo della colonia, le scoperte scientifiche, il numero di abitanti e le truppe militari, sono tutti fattori necessari per il controllo dei settori e del pianeta stesso. A questa complessa parte gestionale, che richiederà diverse ore per essere padroneggiata in maniera efficace, si aggiungono altri elementi altrettanto complessi tra i quali spicca la gestione delle truppe in battaglia. Sulla superficie del pianeta le truppe vengono mosse come pedine sulla mappa in base al loro numero di punti azione, che dipendono sia dalla tipologia di unità sia dalla conformazione del terreno su cui si stanno muovendo. Capiterà quindi durante gli spostamenti di imbattersi in gruppi di unità ostili non necessariamente legate a qualche altra fazione rivale, ma anche in gruppi di semplici banditi o più semplicemente creature selvagge che vedono le unità del giocatore come forze osili. Questi gruppi vengono evidenziati, sugli esagoni che compongono la mappa di gioco, con la riproduzione della loro unità principale, ma sono spesso composti da diverse tipologie di creature, fino ad un massimo di sei elementi per gruppo, discorso che vale naturalmente anche per le truppe del giocatore. Una volta venuti in contatto con le unità ostili starà a chi gioca gestire la situazione nel migliore dei modi: si potrà ad esempio decidere di attaccare con un singolo gruppo di unità,
piazzandolo sulla casella adiacente a quella occupata dagli avversari per poi fare partire lo scontro vero e proprio, oppure decidere, qualora si abbiano a disposizione più gruppi di soldati, di attaccare con unità multiple, posizionandole sul bordo di due o più lati dell’esagono del nemico. Ovviamente nel caso in cui si ritenga che lo scontro sia fuori dalla propria portata, è anche possibile scegliere di ritirarsi per fortificare le proprie unità e procedere in un secondo momento con l’attacco. Caricare sempre i nemici a testa bassa, infatti, non è mai la soluzione migliore. Una volta che si decide di ingaggiare i nemici, ha inizio la fase di combattimento vera e propria. In Age of Wonders Planetfall, prima di iniziare a scontrarsi sul campo di battaglia viene data la possibilità di scegliere se scendere in campo controllando direttamente le truppe oppure lasciare che sia la CPU a calcolare l’esito dello scontro sulla base della potenza totale degli schieramenti. La scelta più appagante rimane ovviamente la prima, perché permette di godere delle tantissime soluzioni tattiche messe a disposizione dal titolo. Nel caso in cui quindi si scelga di giocare la battaglia, le unità vengono disposte sul campo in base alla loro collocazione nella mappa principale, offrendo la possibilità di creare strategie complesse per tentare manovre a tenaglia o accerchiamenti. Ogni truppa al comando del giocatore ha un numero determinato di movimenti, che ne costituiscono il range di spostamento: il numero di spostamenti dipende dal tipo di unità, con le unità leggere più agili e quindi più mobili. Ogni unità può utilizzare i punti a propria disposizione per spostarsi ed attaccare oppure può spenderli tutti semplicemente in uno spostamento di maggior portata. Il terreno di scontro offre sempre punti di riparo o zone di particolare vantaggio, come aree sopraelevate, che conferiscono bonus aggiuntivi a precisione o difesa. Una volta raggiunta la posizione desiderata si potrà sferrare l’attacco che in base a svariati fattori avrà una percentuale diversa di successo, l’attacco va a buon segno l’avversario subisce un danno e può ricevere, in base all’armamento in possesso, anche
danni extra dovuti da status come avvelenamento, elettrocuzione, danni da esplosione o bruciatura. La vittoria va allo schieramento che elimina completamente gli avversari o li costringe alla resa. Age of Wonders Planetfall unisce quindi elementi strategico gestionali a una struttura di combattimento estremamente complessa ed appagante. I combattimenti, è bene sottolineare, non si riducono solo alla caccia di gruppetti sciolti di banditi o creature del luogo, infatti il gioco si fa molto più duro nel momento in cui si entrerà in contatto con un’altra fazione. Oltre che mostrando la propria superiorità bellica il giocatore avrà anche la possibilità di interagire con gli altri comandanti utilizzando la sottile arte della diplomazia, cercando di stringere accordi commerciali, patti di non aggressione o alleanze al fine di avere appoggio e maggior potenza di fuoco in caso di guerra contro un nemico comune, spendendo oculatamente i punti influenza che vengono guadagnati nel corso dei turni. Nel gioco potrà capitare di essere contattati da gruppi “neutrali” che chiederanno alla fazione del giocatore aiuto nel completamento di differenti compiti, grazie alle quali ricevere ricompense costituite da punti ricerca, energia o persino unità supplementari o armamenti migliori con i quali equipaggiare i propri comandanti. In Age of Wonders Planetfall, ovviamente, per potersi imporre sugli avversari è necessario dare ampio spazio al progresso scientifico e
tecnologico. Il titolo infatti presenta un albero tecnologico molto variegato; mano a mano che i punti ricerca generati dalle colonie aumentano si può accedere ad una vasta gamma di ricerche, che non si limitano a nuove unità o mod con cui potenziare le truppe, ma consentono anche di aumentare la produttività delle fabbriche, la resa delle colture, permettono di accedere ad attacchi missilistici di precisione, in grado di indebolire strutture o unità nemiche, di mettere in atto strategie di spionaggio e controspionaggio e via dicendo. Ovviamente più si avanza con la ricerca, maggiori sono i vantaggi offerti da questa, quindi è sempre bene dare una buona fetta di priorità a scienza e tecnologia. In Age of Wonders Planetfall oltre alla modalità Campagna, attraverso la quale è possibile seguire le vicende delle varie fazioni in un susseguirsi di mappe da completare raggiungendo obiettivi precisi, si potrà decidere di affrontare il gioco in modalità “scenario”, selezionando e personalizzando completamente uno dei pianeti disponibili stabilendo il numero di avversari (da un minimo di 2 a un massimo di 12) e stabilire se siano umani o controllati dalla CPU. Interessante la possibilità di giocare una partita in tale modalità sfidando o collaborando con un compagno umano sulla stessa console. Ed immancabile la modalità multiplayer, che consente di sfidare invece fino a 5 avversari online. Anche
questo aspetto incrementa la longevità del titolo e dà la possibilità di passare centinaia di ore gioco senza mai annoiarsi. Graficamente Age of Wonders Planetfall si attesta su un buon livello, anche se, parlando di un titolo strategico gestionale, la produzione non può essere paragonata a capolavori di altro genere. Unica grande pecca del gioco è la mancanza totale della lingua italiana. Tale assenza può risultare un ostacolo importante per chi non mastica l’inglese, infatti, comprendere le complesse dinamiche di gioco è pressoché impossibile senza una buona conoscenza dell’inglese. Tirando le somme, Age of Wonders Planetfall è attualmente uno dei migliori esponenti del genere, ma prima di procedere all’acquisto è necessario tenere a mente che il titolo non è un prodotto adatto a tutti. Chi ha fretta di fare le cose, i casual gamers e chi non apprezza tale tipo di giochi potrebbe trovarsi in grande difficoltà fin dalle prime battute. Per chi invece è alla ricerca di uno strategico gestionale che offra un buon livello di sfida, che offra tante cose da fare e che abbia un gameplay profondo, il prodotto di Paradox Interactive e Triumph Studios sarà un vero e proprio sogno. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 8 Sonoro: 8,5
Gameplay: 9 Longevità: 10 VOTO FINALE: 9 Francesco Pellegrino Lise Wolfenstein Youngblood, è il momento delle gemelle Blazcowicz In Wolfenstein Youngblood, spin-off della nota saga shooter che si rifà a sua volta al capolavoro degli anni ’90, il detto buon sangue non mente la fa da padrone. Nel nuovo titolo di Bethesda per Pc, Xbox One, Switch e
PS4, sviluppato a quattro mani da Machine Games, autori della serie principale e Arkane Studios, non si vestiranno più i panni del protagonista storico, B.J. Blazcowicz, ma delle sue due figlie: le gemelle Jessie e Sophia. Detto questo, a livello di trama, Wolfenstein: Youngblood trasporta i giocatori all’inizio degli anni ‘80 e li catapulta in un nuovo universo dove far stragi di nazisti sarà lo scopo principale. Ma che fine ha fatto Blazcowicz? Bene, dopo aver contribuito a gettare le basi per la Seconda Rivoluzione Americana ed essersi ritirato a vita privata insieme alla sua famiglia, il biondo protagonista della saga scompare nel nulla, o quasi. Jess e Soph, questi i diminutivi con i quali si fanno chiamare le gemelle, decidono quindi di mettersi sulle sue tracce partendo dall’ultima posizione nota: Neo Parigi, una delle roccaforti più importanti del Reich nel vecchio continente. Una volta giunte in città, le due gemelle si vedono “costrette” a collaborare con la resistenza locale per ritrovare il padre e a contribuire, più o meno volontariamente, alla liberazione della città attraverso una serie di missioni, suddivise tra principali e secondarie, capaci di tenere occupato il giocatore per almeno 15 ore con un intreccio narrativo semplice ma comunque godibile e perfettamente integrato con il resto della saga. Detto ciò, per gli appassionati della serie, questo Wolfenstein Youngblood avrà un’aria piuttosto familiare in quanto la struttura del
gioco ricalca in modo abbastanza evidente quella di The New Colossus, con un hub centrale che ricopre il ruolo di base operativa dal quale è possibile raggiungere le varie zone della città e da dove prendono il via quasi tutti gli incarichi. Questi ultimi non si discostano molto dagli standard del genere e prevedono la raccolta di specifici oggetti, l’attivazione di meccanismi, il salvataggio di alcuni personaggi e via discorrendo. A questo si sommano poi dei veri e propri “raid” ambientati negli edifici cardine del Reich, conosciuti come Brother, e alcune missioni generate casualmente durante l’esplorazione. E’ bene sottolineare poi che in questo Wolfenstein Youngblood, parlando con uno specifico NPC è inoltre possibile attivare alcune sfide, giornaliere e settimanali, o scegliere di rigiocare alcune delle missioni principali, così da ottenere ulteriori ricompense che possono poi essere spese, proprio come capitava nel precedente capitolo, per migliorare l’arsenale in possesso o per attivare dei bonus temporanei che consentono di incrementare per un una decina di minuti il tasso di raccolta delle munizioni o il livello massimo di salute e corazza. Nulla vieta inoltre ai giocatori di esplorare liberamente le varie zone di Neo Parigi per scaricare un po’ di proiettili sui nazisti che pattugliano le strade della capitale di Francia, per andare alla ricerca di
collezionabili o per sfruttare alcune armi speciali, ottenibili nel corso dell’avventura, per aprire nuovi passaggi e contenitori inaccessibili fino a quel momento. E’ bene sottolineare che Wolfenstein: Youngblood è prima di ogni cosa un esperimento in funzione del futuro terzo capitolo, volto ad accettare una totale integrazione dell’elemento cooperativo ed innumerevoli meccaniche ruolistiche. Infatti durante l’intera avventura i giocatori saranno accompagnati dalla sorella non selezionata, che può essere controllata sia dall’I.A., non particolarmente sviluppata ma comunque più che sufficiente, che da un compagno in carne ed ossa, che può essere reclutato tramite invito diretto o sfruttando il classico matchmaking. Nel secondo caso è inoltre fondamentale sottolineare che l’edizione Deluxe del gioco contiene il Buddy Pass, ossia un contenuto aggiuntivo per chi possiede il gioco completo che gli permette di invitare nella propria partita qualsiasi altro giocatore, senza che questi debba necessariamente acquistare il titolo. A livello di giocabilità Wolfenstein Youngblood garantisce lo stesso feeling dei suoi predecessori e permette nuovamente ai giocatori di decidere di volta in volta quale approccio utilizzare per superare una situazione, ma con qualche opzione in più. Si può scegliere infatti per un’incursione silenziosa, sfruttando le capacità di occultamento delle due protagoniste e la loro letalità negli scontri
ravvicinati, tentare di aggirare gli avversari trovando scorciatoie e passaggi alternativi, magari sfruttando il doppio salto acrobatico per raggiungere punti altrimenti inaccessibili, o passare alle maniere forti riversando quintali di proiettili sugli avversari, che come da tradizione si differenziano notevolmente gli uni dagli altri per livello di difficoltà, aspetto e punti deboli. Insomma, in Wolfenstein Youngblood le modalità di approccio, le cose da fare e le possibilità di scegliere come proseguire nell’avventura sono davvero tante. E’ importante sottolineare che la presenza di due protagoniste ha permesso agli sviluppatori di offrire due diversi stili di gioco, soprattutto nella prima parte della storia, quando le differenze fra le protagoniste sono più marcate. Prima di avviare una partita, infatti, si deve infatti decidere quale delle due sorelle impersonare e selezionare alcuni tratti distintivi, che andranno poi a influire sull’arma di base e sulle abilità speciali in possesso. C’è da dire però che armi e abilità peculiari non sono ad appannaggio esclusivo di una delle due sorelle e potranno comunque essere ottenute nel gioco o sbloccate attraverso un classico skill tree suddiviso in sezioni dove è possibile spendere i punti abilità accumulati completando le missioni o salendo di livello. La crescita del personaggio, oltre a garantire un incremento di alcune
caratteristiche base, è fondamentale quando si tratta di scegliere quali incarichi affrontare e va ad influire dinamicamente sugli avversari che le due sorelle Blazkowicz incontrano per le strade della città, così da garantire al giocatore il giusto livello di sfida in quasi tutte le situazioni. Dal punto di vista estetico questo Wolfenstein Youngblood si attesta su ottimi livelli, fluidità d’azione, esplosioni e resa grafica del mondo di gioco sono veramente resi bene e sono veramente appaganti. Il doppiaggio in italiano e l’avvincente colonna sonora poi rendono l’esperienza ludica estremamente godibile. Tirando le somme, l’ultima fatica di Bethesda è davvero un buon titolo, un gioco che diverte sia chi si avvicina all’universo della famiglia Blazcovicz per la prima volta, ma soprattutto che appassionerà i fan della serie. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 8,5 Sonoro: 8,5 Gameplay: 8,5 Longevità: 8 VOTO FINALE: 8,5 Francesco Pellegrino Lise
A.O.T. 2 Final Battle, la lotta contro i giganti continua Attack on Titan 2: Final Battle è finalmente disponibile su Xbox One, Playstation 4, Nintendo Switch e PC. La terza stagione dell’anime è appena finita e purtroppo bisognerà attendere ancora un anno per vederne uscire una quarta. Nel mentre però, ci si potrà consolare con questo videogame rivivendo in prima persona le battaglie più famose della serie animata giapponese. In Attack on Titan 2: Final Battle infatti vi sono delle missioni prese direttamente dalla terza stagione del manga, cinque nuovi personaggi giocabili e due grosse novità di cui vi parleremo fra poco. E’ bene sottolineare che il titolo si presenta come un’espansione di A.O.T. 2 (qui la
nostra recensione) quindi sarà possibile acquistarlo in forma completa (gioco base ed espansione) a prezzo pieno, oppure solo l’espansione a un prezzo inferiore. Final Battle, come vi dicevamo qualche riga più in alto, aggiunge due enormi contenuti di gioco, ovvero, la character mode e la modalità riconquista territorio. La prima di queste due è senz’altro quella più interessante. Selezionandola si potranno rivivere le avventure della terza stagione dell’anime attraverso gli occhi dei vari protagonisti. Strutturata ad episodi, non presenta quasi nessuna differenza a livello di gameplay rispetto alla modalità principale se non per quanto riguarda l’impossibilità di usare il proprio personaggio originale, di non poter esplorare le aree cittadine e la presenza di particolari restrizioni legate ad alcune missioni. Completando un capitolo si sbloccherà quello successivo che presenterà, o un nuovo pezzo di trama, o un nuovo scontro dell’anime. In più verranno dati degli oggetti bonus e dell’esperienza per il personaggio che si è scelto di utilizzare. In particolare, questa modalità, si rivela ulteriormente utile per il farming di materiali e per la possibilità di sbloccare, e quindi utilizzare, i nuovi personaggi aggiunti con questo DLC. Purtroppo l’intelligenza artificiale dei nemici non si comporta sempre in modo adeguato, finendo col bloccarsi completamente in certi punti dello scenario facendo quindi storcere il naso. Per quanto riguarda invece la modalità riconquista territorio offerta da A.O.T. 2 Final Battle, questa metterà il giocatore a capo di un esercito personale. All’inizio verrà chiesto quale, tra i personaggi, dovrà svolgere il ruolo di comandante. Una volta fatto ciò bisognerà decidere il nome del proprio esercito e il suo stendardo. Conclusa la fase iniziale ci si troverà nel proprio campo base. Questa parte, che ricorda la modalità storia classica, è al contempo molto differente. A capo dell’esercito bisognerà progressivamente recuperare i territori del Wall Maria e avanzando si otterranno dei punti utili ad espandere la base militare. La fase di espansione si rifà molto ai giochi
strategici e, spendendo punti guadagnati in precedenza, si potranno ingrandire o costruire nuovi quartieri per il campo base. Questi ultimi saranno utili anche per assumere nuovo personale, ottenere maggiori risorse e per ricevere diversi bonus in base all’assegnazione dei lavori. Parlando della nuova abilità che permette di trasformarsi in giganti, c’è da dire che questa non è una vera e propria novità, bensì un miglioramento di un’abilità già esistente. Infatti, se prima per poter disporre della trasformazione in gigante era necessario avere il personaggio con tale trasformazione come supporto, ora non è più necessario. Per fare ciò si dovrà avere attiva l’abilità e usare uno specifico oggetto di supporto che, al posto di potenziare il personaggio, lo trasformerà in un gigante. L’aggiunta più interessante di A.O.T. 2 Final Battle sono però le nuove armi, di cui una completamente nuova e le rimanenti versioni migliorate di altre armi. Partiamo parlando delle pistole. Equipaggiandole si potrà fare uso di un solo rampino, ma a differenza delle lame infliggeranno ingenti danni anche nella forma base grazie anche a diversi tipi di pallottole. Ogni proiettile ha un effetto differente, come paralizzare, avvelenare, rallentare o esplodere a contatto. Una volta compreso il funzionamento dei diversi proiettili si potranno eliminare velocemente, o almeno rallentare, anche i giganti più forti. Grazie alle pistole si potrà anche fare uso della prima arma speciale, ovvero il gatling, versione molto più potente delle bocche da fuoco base e capace di eliminare istantaneamente, o comunque in poco tempo, anche i giganti speciali. Anche le classiche lame hanno una loro versione speciale, senza dubbio meno potente di quella delle pistole ma nettamente più utile. Chiamate Thunder Spear, esse permettono di eliminare agevolmente interi gruppi di giganti grazie agli ingenti danni ad area che possono infliggere. Esse risultano particolarmente utili quando si dovrà uccidere un gigante anomalo speciale. Proprio per via del loro danno ad area, le Thunder Spear sono grado di colpire velocemente tutti i punti
deboli e successivamente di eliminarli con un altro paio di colpi. I comandi delle nuove armi all’inizio potranno sembrare scomodi ma, una volta che ci si sarà abituati, in particolare ad andare alla torretta di rifornimento ogni volta che si vuole passare cambiare da pistole a lame, regaleranno molte soddisfazioni. Tirando le somme l’espansione Final Battle non fa che migliorare ulteriormente A.O.T 2, le nuove armi e le nuove modalità risultano molto curate, il che arricchisce notevolmente il gameplay del titolo. Grazie a ciò, Final Battle, più che un DLC sembra un vero e proprio nuovo gioco della saga. In più, sia che siate fan della serie sia che non l’abbiate mai vista, questo titolo sarà capace di farvi vivere tutte le avventure narrate nelle prime tre stagioni dell’anime e, al contempo, sarà in grado di portarvi all’interno del mondo narrativo creato da Hajime Isayama. In ogni caso, se volete saperne di più sul gioco base, sulle dinamiche e su qualsiasi aspetto del titolo originale, che funge da scheletro per quest’espansione, vi invitiamo a leggere la nostra recensione cliccando qui. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 8,5 Sonoro: 9 Gameplay: 8,5 Longevità: 8,5 VOTO FINALE: 8,5 Francesco Pellegrino Lise
Nuovo ransomware minaccia Android I ricercatori di ESET hanno recentemente individuato la nuova famiglia di ransomware Android/Filecoder.C, che utilizza la lista di contatti della vittima per inviare SMS contenenti link malevoli. Android/Filecoder.C si è diffuso attraverso alcuni topic di Reddit con contenuti per adulti e, per un breve periodo di tempo, anche tramite forum della nota community di sviluppatori Android XDA. Android / Filecoder.C si distingue per il suo meccanismo di diffusione. Prima di iniziare a crittografare i file, il ransomware invia una serie di messaggi di testo a tutti gli indirizzi
nell’elenco dei contatti della vittima, inducendo i destinatari a fare clic su un collegamento dannoso che porta al file di installazione del ransomware. Secondo i ricercatori di ESET, in teoria, questo meccanismo potrebbe portare ad una grande diffusione di infezioni, tanto più che il malware ha 42 versioni linguistiche del messaggio dannoso. Fortunatamente, anche gli utenti meno attenti possono facilmente notare che i messaggi sono tradotti male e che alcune versioni non sembrano avere alcun senso. Oltre al suo meccanismo di diffusione non tradizionale, Android / Filecoder.C presenta diverse anomalie nella modalità di crittografia, escludendo i file di grandi dimensioni – superiori ai 50MB – e le immagini inferiori a 150KB. Nell’elenco di file da crittografare mancherebbero anche alcune delle estensioni tipiche per Android. Ci sono poi altri elementi che caratterizzano Android / Filecoder.C rispetto ai tipici ransomware per Android: Filecoder.C non impedisce infatti agli utenti di accedere ai propri dispositivi bloccando completamente lo schermo. Inoltre il riscatto non è preimpostato e la quantità di denaro chiesto dagli impostori viene generata dinamicamente usando l’UsdId assegnato dal ransomware alla vittima, con una richiesta unica per ogni utente, che varia tra 0,01 e 0,02 BTC. Questa scoperta dimostra che i ransomware rappresentano ancora una minaccia per l’ecosistema Android; per stare al sicuro i
ricercatori di ESET consigliano di mantenere aggiornati i dispositivi, utilizzare una buona soluzione di sicurezza mobile e scaricare le applicazioni solo dal Google Play Store o altri store affidabili. F. P. L. Redeemer Enhanced Edition arriva su console
Lanciato su Pc nel 2017 Redeemer si è dismostrato una vera e propria sorpresa nel campo degli indie games. Adesso il gioco è finalmente arrivato su PlayStation 4, Xbox One e Nintendo Switch con Redeemer:
Enhanced Edition, versione aggiornata e ampliata che permette anche al pubblico console di provare il titolo di Sobaka Studio. A livello di trama il software offre una storia semplice ma che funziona e introduce i giocatori in un universo in stile action movie anni ’80. Vasily è un ex soldato russo il quale ha partecipato a diverse operazioni militari, non del tutto legali che lo hanno reso estremamente forte ma al tempo stesso pazzo. Ma non finisce qui perché il proprio governo ha deciso che doveva subire delle modifiche fisiche, ricevendo degli innesti cibernetici che lo hanno reso una vera e propria macchina da guerra inarrestabile. Un giorno Vassily decide di abbandonare questa vita per sempre, e andare a vivere in un monastero tibetano seguendo la strada della meditazione e delle arti marziali. La pace però viene a mancare quando un gruppo di soldati entra all’interno del complesso, uccidendo chiunque gli si pari davanti. Dopo alcuni anni passati a meditare e creare la pace interiore, questa viene completamente interrotta risvegliando la feroce sete di sangue che il protagonista era riuscito a sopire. Da qui ha inizio una spietata battaglia che vedrà Vassily affrontare migliaia di spietati nemici. La trama di Redeemer risulta abbastanza interessante e questa viene raccontata tramite dei brevi filmati, distribuiti in maniera intelligente fra un capitolo e l’altro. Il
titolo è diviso in 20 livelli suddivisi in 3 macrocategorie per indicare l’inizio, la metà e la fine dell’avventura ed è un vero peccato perché per quanto sia bella l’avventura, essa non è ricca di contenuti e risulta nel breve periodo abbastanza monotona. A livello di gameplay la produzione ha svolto un ottimo lavoro offrendo azioni semplici, intuitive e piuttosto variegate. Grazie all’ausilio di un setup di comandi estremamente semplice, sarà possibile eliminare qualsiasi minaccia con una ferocia inaudita. Con lo stick sinistro del pad sarà possibile far muovere il personaggio in giro per le tante mappe presenti nel titolo. Quando si incontrano i nemici si avranno 3 comandi base da utilizzare ovvero pugni, calci e colpo critico, ma quest’ultimo può essere sfruttato solamente tramite degli oggetti sparsi per la mappa. La visuale isometrica permette di vedere tutta l’area di gioco, ma pigiato su un altro pulsante e spostando la levetta sinistra in alto o in basso, si potrà osservare al di là della telecamera fissa su Vassily. Una caratteristica interessante è data poi dalla possibilità di utilizzare delle armi, divise in armi bianche come manganelli, asce e picconi i quali dopo qualche colpo inflitto si distruggeranno; alle armi da fuoco come pistole e fucili d’assalto che dopo aver finito le munizioni verranno gettate via. In Redeemer c’è anche poi una buona varietà di antagonisti da affrontare: si
passa infatti dai poveri e inermi soldati semplici a versioni corazzate ben più pericolose, sfociando infine in mutanti nati da esperimenti genetici falliti che rappresentano una sfida più impegnativa, ma nulla che il nerboruto protagonista non possa ridurre in una poltiglia sanguinante. Il titolo non risparmia sulla violenza, e una delle caratteristiche principali è proprio il grande feedback dei colpi che faranno sentire tutta la potenza di Vasily, e permetteranno di massacrare i nemici in modo dannatamente divertente e appagante. Anche lo scenario gioca un ruolo importante, infatti si possono sfruttare muri, spuntoni e altri elementi per uccidere in modo “creativo” i malcapitati. Eliminando gli avversari inoltre si ottiene della preziosa salute ed esperienza per migliorare le proprie mosse e diventare ancora più letali. Una delle modifiche presenti in questa Enhanced Edition rispetto alla versione originale è la divisione delle abilità in Monaco per quanto riguarda tutto quello che rientra nel corpo a corpo (calci, pugni, armi da taglio) e Soldato per le varie armi da fuoco, così da rendere il sistema di progressione più intuitivo e fluido. Potenziando le proprie abilità si possono creare combo più lunghe, aumentare la salute derivante dalle uccisioni, aumentare il numero di colpi delle armi da fuoco, diminuire l’usura delle armi da taglio e altro ancora, inoltre esplorando l’ambiente si possono trovare delle pergamene e altri
collezionabili che aumentano i punti abilità a disposizione. La storia di Redeemer si può completare nel giro di circa 6/7 ore, ma un’altra novità di questa Enhanced Edition è la localizzazione in italiano, introduzione sicuramente gradita da chi non mastica bene l’inglese. Una caratteristica interessante del titolo è la modalità Arena, nella quale al momento sono disponibili solamente due mappe ambientate in zone viste nella modalità storia. In questa tipologia di gioco il compito del giocatore sarà quello di sopravvivere alle varie ondate di nemici. Quasi l’intero gioco si può giocare esclusivamente da soli, non c’è un vero e proprio bisogno di giocare in compagnia se non per puro divertimento. In ogni caso è bene sottolineare che è presente la modalità coop nella quale due giocatori possono unirsi nella stessa lobby, una feature interessante ma fine a se stessa. A livello tecnico Redeemer Enhanced Edition ha risolto i terribili problemi di frame-rate che affliggevano la versione PC originale, e durante la prova il gioco è sempre stato fluido con qualche piccolo calo in occasioni sporadiche, ma nulla che compromettesse l’esperienza come invece accaduto nella prima release. Tirando le somme quindi, se state cercando un gioco di facile comprensione, che dia la possibilità di affrontare centinaia di nemici e di sconfiggerli in maniera “creativa”, questo titolo è ciò che fa per voi.
GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 7 Sonoro: 7 Gameplay: 7,5 Longevità: 6,5 VOTO FINALE: 7 Francesco Pellegrino Lise Samsung, a settembre arriva il Galaxy Fold
Samsung lancerà il Galaxy Fold a settembre. Lo annuncia la società sud coreana, sottolineando di essere impegnata a condurre gli ultimi test e di aver migliorato il design dello smartphone pieghevole. Lo scorso mese di aprile Samsung aveva annunciato che avrebbe rimandato il lancio, inizialmente atteso il 26 aprile negli Stati Uniti a causa dei difetti riscontrati. Il colosso ha riposto molte speranze nel dispositivo pieghevole, con il quale punta ad arrivare fra le prime nel settore e imporsi. Il Galaxy Fold chiuso misura come uno smartphone da 4,6 pollici, mentre aperto è come un tablet da 7,3 pollici. Bloodstained Ritual of The Night, l’erede indiscusso di Castlevania
Bloodstained Ritual of The Night venne concepito nel 2014 quando il celebre producer Koji Igarashi, lasciato Konami, fu subissato di richieste di fan che chiedevano a gran voce un nuovo gioco in stile Castlevania. Non potendo usare però il brand, essendo di proprietà di Konami, Koji si ritrovò nella difficile situazione di dover trovare una maniera per reinventare il genere di cui per anni fu considerato il padre spirituale. Appoggiandosi quindi al crowfunding, e di fatto all’aiuto di quei fan che tanto volevano un degno successore dell’intramontabile Symphony Of The Night, Igarashi cominciò il lungo, e altri, travagliato, sviluppo di quello che a oggi possiamo considerare il gioco che in molti avrebbero desiderato da moltissimo tempo. Inutile dire che se si è fan accaniti dell’originale Symphony of The Night è obbligatoriogiocare al più presto alla nuova opera di Koji Igarashi perché Bloodstained Ritual of The Night. Vi diciamo questo in quanto il titolo, disponibile su Pc, Xboxc One, Ps4 e Switch, altro non è che la summa di tutto ciò che è stato il ciclo di Castlevania negli anni in cui Iga lo ha diretto. Quindi non ci si trova solo di fronte a un seguito spirituale ma a una vera e propria autocelebrazione di un genere per mano del suo stesso produttore, ritrovatosi orfano della sua creatura ma non per questo deciso a rifulgere il proprio, storico, passato o a voltare le spalle alla sua fanbase. Se, invece, si è tra
quella schiera di persone che non ha mai potuto o voluto affrontare l’immortale avventura di Alucard, potete prepararvi a comprendere l’arcana alchimia che permette a una produzione quale Bloodstained Ritual Of The Night, di risaltare in mezzo a un panorama ricolmo di titoli pregni di grafiche incredibili e narrazioni accattivanti, basandosi solo su un gameplay che dal 1997 a oggi ha caratterizzato un intero genere videoludico. Ma veniamo alla trama: alla fine del settecento, nel 1783 per la precisione, nel pieno della Rivoluzione Industriale, un gruppo di demoni attacca l’Inghilterra, compiendo dei terribili massacri. Per fermarli, una gilda di alchimisti crea gli shardbinder, ossia degli esseri umani con impiantati dei cristalli imbevuti di potere demoniaco. La gilda, in collaborazione con la chiesa, riesce a fermare i demoni, ma al prezzo di migliaia di vittime. Gli shardbinder infatti muoiono tutti nel rito di purificazione dei cancelli demoniaci. Solo due sono riusciti a sopravvivere: Gebel, uscito illeso dal rito, e Miriam, addormentatasi poco prima che questo iniziasse. Da allora sono passati dieci anni e i demoni sono tornati sotto la guida di Gebel, ormai quasi completamente cristallizzato. L’unica che può fermarlo è Miriam, perché capace di sfruttare i poteri dei cristalli demoniaci presenti nel suo corpo. Ad aiutarla il fido Johannes, un ex- alchimista redento, l’esorcista Dominique e il guerriero Zangetsu, il protagonista
di Bloodstained: Curse of Moon (spin-off stile NES della serie), utilizzabile anche in Ritual of the Night. Pad alla mano, sin dalle prime stanze si avverte tutta l’esperienza di Igarashi. I movimenti di Miriam sono molto simili alle movenze di Alucard (Il protagonista di Castevania Symphomy of the Night), c’è persino la scivolata tattica all’indietro e quella d’attacco in avanti. Il sistema di assorbimento dei cristalli è semplice ma intelligente: ogni volta che si incontra un nuovo nemico, dopo averlo sconfitto c’è una chance di ottenere un cristallo che si potrà assorbire acquisendo le sue abilità specifiche. Ci sono tanti tipi di cristalli, di attacco, di difesa, di supporto e via discorrendo. Essi vanno equipaggiati e hanno un consumo di MP variabile in base al tipo stesso al grado. Grado che aumenta in base al numero di cristalli dello stesso demone che verranno trovati, con un meccanismo simile a un incremento del livello delle abilità. Nelle prime aree di gioco c’è una grande sensazione di gratificazione, in quanto si potranno incontrare nemici quasi sempre diversi ogni due tre stanze e si potranno trovare tanti cristalli, in maniera tale da poter provare tutte le abilità ad essi connesse. Uccidendo i nemici si potranno trovare come loot anche tanti materiali e ingredienti che inizialmente non è chiaro come utilizzare, salvo poi capirne meglio i meccanismi dopo aver
incontrato compagni della Gilda e personaggi che si offrono di aiutare la protagonista nella missione, che spiegano come combinare gli oggetti e craftarne di nuovi. In Bloodstained Ritual of The Night, come anche accadeva in Castlevania SotN, consultare la mappa è sempre essenziale per capire dove bisogna andare, per comprendere la conformazione delle stanze alte e per trovare punti chiave e stanze segrete. Queste contengono quasi sempre equip potenti, oggetti per aumentare il cap di HP ed MP o anche NPC. Tra le diverse aree si trovano, come in ogni Castlevania che si rispetti, dei corridoi separatori, e ad ogni nuova area corrisponde anche un cambio di musica in background e set di nemici. Talvolta potrà capitare di poter accedere contemporaneamente a più aree diverse, e generalmente il modo migliore per capire se si è scelto la strada giusta è saggiare la forza dei nemici: se servono più di quattro o cinque attacchi per eliminarli, generalmente è meglio battere in ritirata in quanto è richiesto un livello di potere più alto e si andrebbe incontro a morte certa. Man mano che si andrà avanti nell’avventura ci si dovrà scontrare con mini-boss e boss di livello. Questi ultimi sono quasi sempre accompagnati da delle cut-scene e richiedono una buona dose di run ed eventuali morti per trovare la tecnica giusta per superarli. Il backtracking è presente in maniera preponderante, ma fortunatamente ci sono i ben noti
portali che permettono, una volta trovati e attivati, di viaggiare velocemente tra gli angoli più remoti della mappa. E quindi, ogni qualvolta si sblocca una nuova abilità che permette di eseguire nuove mosse, quasi sempre bisognerà tornare indietro per accedere alle parti della mappa inizialmente precluse. In Bloodstained Ritual of The Night però c’è anche spazio per qualche piccola novità. Infatti, strada facendo si potranno trovare diversi NPC che propongono tante missioni secondarie, come la vendetta del marito ucciso da un particolare tipo di demone, o la raccolta di ingredienti e oggetti specifici. Queste missioni aggiungono ulteriore backtracking e quando se ne accettano più di una sarà facile confondersi o perdere di vista gli obiettivi. Fortunatamente gli sviluppatori hanno inserito un sistema di tracking che viene in aiuto con dei segnalini da posizionare sulla mappa. Bloodstained Ritual of The Night offre poi la possibilità di eseguire tante abilità e mosse speciali legate al tipo di arma brandita. E di armi ne esistono di varie categorie: spade corte e lunghe, pugnali, fruste, pistole mazze chiodate e persino opzioni per il combattimento a mani nude; e strada facendo troveremo delle librerie che ci svelano mosse segrete che aggiungono profondità al combattimento. Tra le novità implementate è bene evidenziare anche un sistema di assegnazione veloce delle abilità legate ai
cristalli, che permette di cambiare rapidamente set di skill, pratica particolarmente utile nelle parti più avanzate del gioco quando i nemici si fanno più duri da abbattere e sfruttare le loro vulnerabilità diventa vitale. Da questo punto di vista il combattimento risulta più tattico e meno piatto rispetto al passato. C’è ampio margine anche nella customizzazione del personaggio, con armi, mantelli e accessori che hanno un impatto cosmetico ben visibile su Miriam. Inoltre, in un punto preciso del castello è presente anche un barbiere in grado di modificare l’acconciatura ed altri aspetti del look della protagonista. Come da tradizione poi, non manca nemmeno una vasta enciclopedia che abbraccia personaggi, luoghi e mostri che appagherà la sete di conoscenza dei puristi del genere. Immancabili inoltre gli shop di armi e oggetti ed il mitico barcaiolo in stile Caronte. In termini di esplorazione e progressione, Bloodstained: Ritual of The Night è costruito in modo molto simile ad alcuni dei titoli della serie Castlevania già citati: c’è un’unica grande mappa, di cui molte zone diventano accessibili solo dopo aver sbloccato alcuni poteri specifici o dopo aver ottenuto certi oggetti, come il già citato doppio salto. Paradossalmente più si esplora, più la mappa sembra ampliarsi. Igarashi e i suoi hanno ottenuto questo effetto aumentando le diramazioni in modo graduale: non si arriva mai a
sentirsi persi come accade in un Hollow Knight, ma in certi momenti non manca del sano disorientamento. Il tempo necessario per finire il gioco a livello Normal è noto, perché dichiarato dallo stesso Igarashi: una decina di ore. Si tratta in realtà di un abbaglio, nel senso che Bloodstained è costruito per essere esplorato in lungo e in largo e per essere finito più volte a diversi livelli di difficoltà. Parlando ora del comparto tecnico, il gioco ha fatto netti passi avanti durante il suo lungo sviluppo. Non poche erano le polemiche insorte per animazioni legnose, uno stile grafico vecchio ed effetti grafici non all’altezza della generazione attuale. Igarashi ha però saputo rispondere bene a queste critiche cambiando tutto a poche settimane dal lancio, presentando un cambiamento radicale quasi da notte a giorno per effetti e stile grafico. Alcune aree sono veramente belle a vedersi, con tanti effetti particellari e oggetti in movimento in background che danno decisamente vita e spessore allo stile 2.5D. La colonna sonora è chiaramente ispirata a quella dei precedenti Castlevania ed è sicuramente uno dei punti di forza dell’intera produzione. Unica nota veramente negativa è da associare alla traduzione in italiano, davvero di mediocre fattura. Sicuramente farà contenti tutti quei giocatori che non conoscono altre lingue, ma doversi andare a rileggere dei testi in inglese per capirli fino in fondo non è affatto una
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