MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross

Pagina creata da Andrea Giordano
 
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MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross
MXGP   2019, Milestone  fa
felici gli appassionati di
motocross

Come ogni anno, anche per questo 2019 è finalmente arrivata
l’ora di MXGP 2019: il titolo Milestone per Pc, Xbox One e Ps4
dedicato all’adrenalinico mondo del motocross che arriva, con
questa edizione, alla sua quinta apparizione sul mercato. MXGP
2019, differentemente da quello che i più potrebbero pensare,
non è affatto un prodotto di nicchia: la grande cura dei
dettagli che la software house milanese riversa in ogni sua
produzione, specialmente in quelle più recenti, rende il
titolo un qualcosa di godibile per ogni giocatore, dai casual
gamers fino ai piloti più esperti. C’è da dire che già dal
primo avvio del gioco è difficile non rimanere colpiti da ciò
che si vede sullo schermo. Non c’è componente di MXGP 2019 che
non abbia ricevuto limature consistenti, ed i frutti del
lavoro di miglioramento si possono notare fin dal primo
momento in cui ci si confronta con i menù, i tutorial,
l’interfaccia e la colonna sonora, tutti protagonisti di un
MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross
evidente e notevole balzo qualitativo. Ciascun elemento appare
curato fin da principio, e questa piccola attenzione tecnica
si riflette nella caratterizzazione di tutte le moto e delle
componenti, che siano le finiture in carbonio di una marmitta
della Arrow o le saldature sul metallo dell’Akrapovich. La
licenza ufficiale del campionato Motocross ha permesso, come è
ovvio, di riprodurre fedelmente piloti, livree, sponsor e
tracciati, per una modalità carriera che ricalca le sequenze
della stagione in corso. Ad ogni modo, è possibile anche
“saltare” l’ostacolo, almeno in termini di personalizzazione
dell’esperienza, affidando le fortune del pilota virtuale,
creabile attraverso un editor, ad uno sponsor piuttosto che ad
un altro. Si tratta, è bene precisarlo, di un’opportunità
prettamente estetica, che garantisce all’utente di gestire a
proprio gusto i “colori” e lo stile di moto, abbigliamento e
accessori. Il vero modificatore dell’esperienza risiede però
nella scelta di approccio. In pratica, è possibile tanto
affrontare la campagna in modalità Standard, per un gameplay
evidentemente arcade, quanto giocare di “fino” e, quindi, in
modalità Realismo, per una fisica, specie quella legata ai
pesi di moto e pilota, ben più intransigente. Proprio per
queste ragioni, come accennavamo prima, il titolo può essere
giocato e apprezzato da qualsiasi tipo di gamer. Ovviamente
trattandosi di un gioco di motocross in gara bisogna badare
non certo solo alla velocità, ma alla gestione dei salti e,
quindi, al posizionamento del bolide piuttosto che del pilota.
Insomma, la conoscenza dei tracciati, ma anche la corretta
lettura delle varie situazioni, tra piloti avversari e
ostacoli presenti a bordo pista, è essenziale per il
raggiungimento delle prime posizioni. Anche ai livelli di
difficoltà più bassi.

Oltre alla modalità Carriera MXGP 2019 offre anche un
simpatico editor dei tracciati. Imparando a utilizzarlo è
quindi possibile
creare la pista dei propri sogni sfruttando una serie di
strumenti e preset
MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross
estremamente semplici ed efficaci, ma il risultato finale
corrisponde raramente
alle aspettative, perché la totale assenza di dislivelli e
piccoli
“fronzoli” estetici finisce per disegnare piste eccessivamente
piatte
e prive di una reale varietà. Per testare la propria moto poi
esiste l’area
Playground dove è possibile correre in una zona collinare
della Provenza. Qui non
solo è possibile confrontarsi con una simpatica serie di
challenge capaci di
toccare la destrezza in sella, l’abilità nel trial e la pura
velocità, ma
addirittura creare piccole gare “waypoint” artigianali
attraverso le quali
sfidare altri membri della community. Insomma, il Playground
si è rivelato
quella tavolozza che mancava all’editor dei tracciati, e
risulta
particolarmente   affascinante    perché   riesce   a   deviare
efficacemente
dall’esperienza tradizionale, consentendo di scalare il fianco
delle colline o
di lanciarsi a tutto gas in un downhill suicida. La ciliegina
sulla torta, poi,
sta nella presenza di una “modalità finale” destinata
esclusivamente
a coloro che riuscissero a completare ogni sfida presente fra
boschi e
laghetti. Oltre a quanto elencato fino a ora, sono presenti
altre modalità:
dalla classica prova a tempo alla gara veloce, dove si potrà
decidere se
utilizzare il proprio pilota o uno dei campionati MXGP e MXGP
2. Insomma, a
livello di offerta ludica il titolo non delude. A livello
MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross
tecnico ed estetico,
MXPG 2019 è il titolo di Milestone con la caratterizzazione
del rider più
convincente in assoluto, e le decine di piccoli movimenti
pensati per
accompagnare ciascun sobbalzo in gara fanno un ottimo servizio
al realismo. Realismo
che si ritrova nell’estetica dei circuiti, ormai divenuti
visivamente
impeccabili, impreziositi da un gradevole sistema
d’illuminazione e da
immancabili effetti particellari. Gli skybox e gli sfondi
regalano un’identità
ed una palette cromatica proprie a ciascuna location, dai
monti di
Pietramurata, passando per le sterpaglie della Turchia, per
arrivare infine
alle piccole superfici acquatiche che fanno capolino fra i
dossi di Shangai ed
in Lettonia. Anche gli elementi storicamente più spigolosi,
come le comparse
fra il pubblico ed i modelli scenografici, sono arrivate a
presentarsi in forma
smagliante. La fase di gara scorre discretamente liscia, e non
solo per merito
dell’ottimo comparto visivo; al di là degli spigoli, abbiamo
particolarmente
apprezzato la marcia indietro fatta sul reset istantaneo al
momento dell’uscita
dal tracciato, sistema che penalizzava l’immersione e che ha
finito per essere
sostituito da un pratico timer. Le tanto discusse collisioni,
invece, sembrano aver
trovato finalmente la quadra, e capita molto raramente di
trovarsi con la
faccia nel fango senza una ragione precisa. Tirando le somme,
si può senza
MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross
dubbio affermare come MXGP 19, al netto di qualche
imperfezione come un frame
rate non sempre stabilissimo (unica vera pecca del gioco),
risulti un titolo
più che godibile figlio di anni e anni di esperienza da cui
Milestone è
riuscita a imparare dai propri errori. Lo specializzarsi in un
genere
perfezionandolo sempre di più è ciò che, da sempre distingue
l’azienda milanese
da molte altre presenti sul mercato. Grande varietà,
possibilità di essere
goduto sia dai casual gamers, ma anche da chi cerca
un’esperienza realistica,
un editor di mappe e la possibilità di affrontare sfide nel
Playground fanno sì
che questo MXGP 2019 sia un titolo da tenere da conto. Fango,
salti, velocità e
adrenalina vi aspettano.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Gameplay: 8

Sonoro: 8

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise
MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross
Galaxy Fold in arrivo a
settembre, ma Samsung pensa
già al successore

Samsung è ormai in dirittura d’arrivo riguardo al rilancio
ufficiale del suo primo smartphone pieghevole, ossia il Galaxy
Fold che è stato
inizialmente rinviato a causa di problemi di progettazione. Il
dispositivo potrebbe
debuttare sul mercato sudcoreano il 6 settembre, giorno di
apertura dell’Ifa,
la fiera tecnologica di Berlino. La notizia è stata riportata
dal quotidiano
coreano Yna, ma al momento non c’è una data della
commercializzazione nei
mercati internazionali. Il Galaxy Fold è stato presentato a
febbraio e l’arrivo
sui mercati era previsto ad aprile. Ma il lancio è stato
MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross
rinviato dopo le
recensioni negative di alcuni esperti di tecnologia. Il
colosso ha riposto
molte speranze nel dispositivo pieghevole, con il quale punta
ad arrivare fra
le prime nel settore e imporsi. Il Galaxy Fold chiuso misura
come uno
smartphone da 4,6 pollici, mentre aperto è come un tablet da
7,3 pollici. Tra i
cambiamenti apportati al dispositivo dopo la “bocciatura”
degli esperti, uno in
particolate riguarderebbe la pellicola protettiva dello
schermo, ora inserita
nelle cornici in modo da impedirne la rimozione. Stando alle
ultime
informazioni trapelate in rete e riportate da Bloomberg,
Samsung sarebbe anche
al lavoro su un nuovo pieghevole più piccolo e più sottile di
Galaxy Fold: ci
si aspetta infatti un pannello da 6,7″ ed uno spessore più
contenuto. Questo lo
renderebbe più maneggevole rispetto al primo pieghevole del
produttore
sudcoreano. Sempre secondo Bloomberg, il nuovo smartphone
integrerebbe un
sensore fotografico nella superficie interna, ovvero quella
sulla quale si
piega il device, e due sensori posti su quella esterna. Il
design dello
smartphone sarebbe caratterizzato da una forma quadrata,
quando piegato, e
Samsung l’avrebbe commissionato al noto designer Thom Browne.
Al momento non è
noto se il fatto che sia più “contenuto” rispetto a Galaxy
Fold contribuirà a
renderlo più economico.
MXGP 2019, Milestone fa felici gli appassionati di motocross
F.P.L.

Age of Wonders Planetfall, è
tempo di colonizzare

Cercate un titolo strategico ambientato nel futuro e che
preveda la colonizzazione di nuovi pianeti? Volete un
videogame in grado di
offrire ore ed ore di divertimento fra combattimenti a turni,
raccolta di
risorse e la creazione di un pianeta governato come si
desidera? Bene, allora
Age of Wonders Planetfall è il prodotto che fa per voi, sia
che siate giocatori
Pc che Xbox One e PS4. Parlando di trama, pensate a una
società evoluta
tecnologicamente che ha avuto modo di espandersi per il cosmo
colonizzando
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centinaia di pianeti, un impero in grado ti mantenere pace ed
ordine tra le
numerose razze e fazioni diverse presenti nel cosmo. Ora
immaginate che un
misterioso cataclisma di proporzioni cosmiche faccia crollare
tale impero,
mandandolo in frantumi e rispedendo le civiltà che lo
compongono centinaia di
anni indietro dal punto di vista tecnologico. Ecco, questo è a
grandissime
linee il tetro in cui si svolgono le attività di Age of
Wonders Planetfall. Nel
gioco si vestiranno i panni di un comandante impegnato nella
ricostruzione del
proprio impero, facendolo risorgere dalle ceneri di ciò che
era una volta
l’Unione Stellare Intergalattica. Ma per raggiungere tale
scopo bisognerà
prendere con saggezza le proprie decisioni e valutare ogni
mossa attentamente. Con
la caduta dell’Unione, la galassia ha visto le sue principali
razze
organizzarsi in gruppi indipendenti, aventi come obiettivo
quello di riportare
la propria civilizzazione a prima del cataclisma. E qui inizia
il gioco,
infatti, ci sono ben sei fazioni selezionabili con cui
intraprendere l’avventura,
ognuna con caratteristiche uniche che ne determinano i punti
di forza. Ci sono
i Vanguard, la fazione umana, gli Assembly, una razza
cibernetica votata alla
ricerca della perfezione fisica attraverso il massiccio
utilizzo di impianti
biomeccanici, i Dvar, una specie nanica spaziale votata alla
ricerca mineraria,
i Kir’ko, uno sciame di insetti senzienti, il Sindacato, razza
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dotata di poteri
psionici e infine le Amazzoni, razza guerriera specializzata
nell’uso di armi
biologiche. Detto ciò è bene sottolineare che oltre che per il
diverso
background, queste fazioni si distinguono tra di loro in
maniera evidente per
una serie di caratteristiche che le rendono uniche,
differenziando in modo
molto marcato l’approccio in-game e tutta una serie di
dinamiche fondamentali.
Tale vastità di scelta nella giocabilità dona al titolo un
alto tasso di rigiocabilità
a patto però di avere la pazienza di seguire il tutorial
(esclusivamente in
inglese) e di non aver fretta. Age of Wonders Planetfall non è
un gioco per
casual gamers e per raggiungere          risultati    concreti   è
necessario applicarsi.

Entrando nel vivo dell’azione, subito dopo l’atterraggio
della nave-colonia sulla superficie del pianeta, si inizia a
prendere
confidenza   le   numerose   dinamiche   offerte     dal   titolo.
L’interfaccia di gioco appare
fin da subito chiara e permette di visualizzare sullo schermo
le informazioni
principali ma nonostante ciò lascia la maggior parte dello
spazio libero per la
visualizzazione della superficie del pianeta. Il mondo di
gioco è diviso in una
serie più o meno numerosa di settori, inizialmente oscurati e
visibili solo nel
momento in cui si invieranno degli scout in avanscoperta.
Ciascuno di questi
settori si differenzia dagli altri per morfologia, fertilità,
clima o per la
presenza di strutture o variabili naturali che possono
conferire allo stesso
dei bonus o dei malus in quelli che sono i fattori chiave per
lo sviluppo della
colonia: ricerca, produzione agricola, industria. I piani di
espansione del
giocatore, infatti, dovranno tenere in considerazione molto
attentamente queste
variabili, in quanto i settori, una volta annessi ad una
colonia, sono
determinanti per lo sviluppo della stessa e la generazione
delle diverse
risorse fondamentali. Ogni colonia che si fonderà nasce con un
determinato
numero di coloni, numero che nel corso dei turni di gioco
andrà a crescere
permettendone la progressiva espansione: risulta importante
gestire
correttamente le risorse, per far sì che i coloni prosperino
felici, e non incorrere
in possibili sommosse dettate da un morale troppo. Il numero
dei settori che
ciascuna colonia può controllare dipende dalla dimensione
della stessa:
maggiore sarà il numero di abitanti in una città, maggiori
settori potranno
essere controllati, in una meccanica che lega a doppio filo
colonie e settori.
Oltre che allo sviluppo di questi settori, sarà necessario
anche provvedere
alla costruzione di strutture all’interno della colonia vera e
propria: caserme
e centri di addestramento avanzati sono essenziali per la
costruzione di unità
da guerra sempre più efficienti, torrette e difese perimetrali
conferiranno
alla colonia difese extra in caso di invasione, i centri
ricerca aumenteranno i
punti generati sotto questa voce e così via. Ogni elemento che
verrà aggiunto
alla coda di costruzione ha un numero prestabilito di turni
necessario al
proprio completamento, turni che nel corso del gioco, con
l’evoluzione
tecnologica o l’emissione di determinati editti potrebbero
venire ridotti,
velocizzando considerevolmente la creazione di strutture o
truppe. Insomma, l’attento
sviluppo della colonia, le scoperte scientifiche, il numero di
abitanti e le truppe
militari, sono tutti fattori necessari per il controllo dei
settori e del
pianeta stesso.

A questa complessa parte gestionale, che richiederà diverse
ore per essere padroneggiata in maniera efficace, si
aggiungono altri elementi altrettanto complessi tra i quali
spicca la gestione delle truppe in battaglia. Sulla superficie
del pianeta le truppe vengono mosse come pedine sulla mappa in
base al loro numero di punti azione, che dipendono sia dalla
tipologia di unità sia dalla conformazione del terreno su cui
si stanno muovendo. Capiterà quindi durante gli spostamenti di
imbattersi in gruppi di unità ostili non necessariamente
legate a qualche altra fazione rivale, ma anche in gruppi di
semplici banditi o più semplicemente creature selvagge che
vedono le unità del giocatore come forze osili. Questi gruppi
vengono evidenziati, sugli esagoni che compongono la mappa di
gioco, con la riproduzione della loro unità principale, ma
sono spesso composti da diverse tipologie di creature, fino ad
un massimo di sei elementi per gruppo, discorso che vale
naturalmente anche per le truppe del giocatore. Una volta
venuti in contatto con le unità ostili starà a chi gioca
gestire la situazione nel migliore dei modi: si potrà ad
esempio decidere di attaccare con un singolo gruppo di unità,
piazzandolo sulla casella adiacente a quella occupata dagli
avversari per poi fare partire lo scontro vero e proprio,
oppure decidere, qualora si abbiano a disposizione più gruppi
di soldati, di attaccare con unità multiple, posizionandole
sul bordo di due o più lati dell’esagono del nemico.
Ovviamente nel caso in cui si ritenga che lo scontro sia fuori
dalla propria portata, è anche possibile scegliere di
ritirarsi per fortificare le proprie unità e procedere in un
secondo momento con l’attacco. Caricare sempre i nemici a
testa bassa, infatti, non è mai la soluzione migliore. Una
volta che si decide di ingaggiare i nemici, ha inizio la fase
di combattimento vera e propria. In Age of Wonders Planetfall,
prima di iniziare a scontrarsi sul campo di battaglia viene
data la possibilità di scegliere se scendere in campo
controllando direttamente le truppe oppure lasciare che sia la
CPU a calcolare l’esito dello scontro sulla base della potenza
totale degli schieramenti. La scelta più appagante rimane
ovviamente la prima, perché permette di godere delle
tantissime soluzioni tattiche messe a disposizione dal titolo.
Nel caso in cui quindi si scelga di giocare la battaglia, le
unità vengono disposte sul campo in base alla loro
collocazione nella mappa principale, offrendo la possibilità
di creare strategie complesse per tentare manovre a tenaglia o
accerchiamenti. Ogni truppa al comando del giocatore ha un
numero determinato di movimenti, che ne costituiscono il range
di spostamento: il numero di spostamenti dipende dal tipo di
unità, con le unità leggere più agili e quindi più mobili.
Ogni unità può utilizzare i punti a propria disposizione per
spostarsi ed attaccare oppure può spenderli tutti
semplicemente in uno spostamento di maggior portata. Il
terreno di scontro offre sempre punti di riparo o zone di
particolare vantaggio, come aree sopraelevate, che
conferiscono bonus aggiuntivi a precisione o difesa. Una volta
raggiunta la posizione desiderata si potrà sferrare l’attacco
che in base a svariati fattori avrà una percentuale diversa di
successo, l’attacco va a buon segno l’avversario subisce un
danno e può ricevere, in base all’armamento in possesso, anche
danni extra dovuti da status come avvelenamento,
elettrocuzione, danni da esplosione o bruciatura. La vittoria
va allo schieramento che elimina completamente
gli avversari o li costringe alla resa. Age of Wonders
Planetfall unisce quindi
elementi strategico gestionali a una struttura di
combattimento estremamente
complessa ed appagante.

I combattimenti, è bene sottolineare, non si riducono solo
alla caccia di gruppetti sciolti di banditi o creature del
luogo, infatti il
gioco si fa molto più duro nel momento in cui si entrerà in
contatto con
un’altra fazione. Oltre che mostrando la propria superiorità
bellica il
giocatore avrà anche la possibilità di interagire con gli
altri comandanti utilizzando
la sottile arte della diplomazia, cercando di stringere
accordi commerciali,
patti di non aggressione o alleanze al fine di avere appoggio
e maggior potenza
di fuoco in caso di guerra contro un nemico comune, spendendo
oculatamente i
punti influenza che vengono guadagnati nel corso dei turni.
Nel gioco potrà
capitare di essere contattati da gruppi “neutrali” che
chiederanno alla fazione
del giocatore aiuto nel completamento di differenti compiti,
grazie alle quali
ricevere ricompense costituite da punti ricerca, energia o
persino unità
supplementari o armamenti migliori con i quali equipaggiare i
propri comandanti.
In Age of Wonders Planetfall, ovviamente, per potersi imporre
sugli avversari è
necessario dare ampio spazio al progresso scientifico e
tecnologico. Il titolo
infatti presenta un albero tecnologico molto variegato; mano a
mano che i punti
ricerca generati dalle colonie aumentano si può accedere ad
una vasta gamma di
ricerche, che non si limitano a nuove unità o mod con cui
potenziare le truppe,
ma consentono anche di aumentare la produttività delle
fabbriche, la resa delle
colture, permettono di accedere ad attacchi missilistici di
precisione, in
grado di indebolire strutture o unità nemiche, di mettere in
atto strategie di
spionaggio e controspionaggio e via dicendo. Ovviamente più si
avanza con la
ricerca, maggiori sono i vantaggi offerti da questa, quindi è
sempre bene dare
una buona fetta di priorità a scienza e tecnologia. In Age of
Wonders
Planetfall oltre alla modalità Campagna, attraverso la quale è
possibile
seguire le vicende delle varie fazioni in un susseguirsi di
mappe da completare
raggiungendo obiettivi     precisi,   si   potrà   decidere   di
affrontare il gioco in
modalità “scenario”, selezionando e personalizzando
completamente uno dei
pianeti disponibili stabilendo il numero di avversari (da un
minimo di 2 a un
massimo di 12) e stabilire se siano umani o controllati dalla
CPU. Interessante
la possibilità di giocare una partita in tale modalità
sfidando o collaborando
con un compagno umano sulla stessa console. Ed immancabile la
modalità
multiplayer, che consente di sfidare invece fino a 5 avversari
online. Anche
questo aspetto incrementa la longevità del titolo e dà la
possibilità di
passare centinaia di ore gioco senza mai annoiarsi.
Graficamente Age of Wonders
Planetfall si attesta su un buon livello, anche se, parlando
di un titolo
strategico gestionale, la produzione non può essere paragonata
a capolavori di
altro genere. Unica grande pecca del gioco è la mancanza
totale della lingua
italiana. Tale assenza può risultare un ostacolo importante
per chi non mastica
l’inglese, infatti, comprendere le complesse dinamiche di
gioco è pressoché
impossibile senza una buona conoscenza dell’inglese. Tirando
le somme, Age of
Wonders Planetfall è attualmente uno dei migliori esponenti
del genere, ma
prima di procedere all’acquisto è necessario tenere a mente
che il titolo non è
un prodotto adatto a tutti. Chi ha fretta di fare le cose, i
casual gamers e
chi non apprezza tale tipo di giochi potrebbe trovarsi in
grande difficoltà fin
dalle prime battute. Per chi invece è alla ricerca di uno
strategico gestionale
che offra un buon livello di sfida, che offra tante cose da
fare e che abbia un
gameplay profondo, il prodotto di Paradox Interactive e
Triumph Studios sarà un
vero e proprio sogno.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8

Sonoro: 8,5
Gameplay: 9

Longevità: 10

VOTO FINALE: 9

Francesco Pellegrino Lise

Wolfenstein Youngblood, è il
momento     delle    gemelle
Blazcowicz

In Wolfenstein Youngblood, spin-off della nota saga shooter
che si rifà a sua volta al capolavoro degli anni ’90, il detto
buon sangue non
mente la fa da padrone. Nel nuovo titolo di Bethesda per Pc,
Xbox One, Switch e
PS4, sviluppato a quattro mani da Machine Games, autori della
serie principale
e Arkane Studios, non si vestiranno più i panni del
protagonista storico, B.J.
Blazcowicz, ma delle sue due figlie: le gemelle Jessie e
Sophia. Detto questo,
a livello di trama, Wolfenstein: Youngblood trasporta i
giocatori all’inizio
degli anni ‘80 e li catapulta in un nuovo universo dove far
stragi di nazisti
sarà lo scopo principale. Ma che fine ha fatto Blazcowicz?
Bene, dopo aver
contribuito a gettare le basi per la Seconda Rivoluzione
Americana ed essersi
ritirato a vita privata insieme alla sua famiglia, il biondo
protagonista della
saga scompare nel nulla, o quasi. Jess e Soph, questi i
diminutivi con i quali
si fanno chiamare le gemelle, decidono quindi di mettersi
sulle sue tracce
partendo dall’ultima posizione nota: Neo Parigi, una delle
roccaforti più
importanti del Reich nel vecchio continente. Una volta giunte
in città, le due gemelle
si vedono “costrette” a collaborare con la resistenza locale
per ritrovare il
padre e a contribuire, più o meno volontariamente, alla
liberazione della città
attraverso una serie di missioni, suddivise tra principali e
secondarie, capaci
di tenere occupato il giocatore per almeno 15 ore con un
intreccio narrativo
semplice ma comunque godibile e perfettamente integrato con il
resto della
saga. Detto ciò, per gli appassionati della serie, questo
Wolfenstein Youngblood
avrà un’aria piuttosto familiare in quanto la struttura del
gioco ricalca in
modo abbastanza evidente quella di The New Colossus, con un
hub centrale che
ricopre il ruolo di base operativa dal quale è possibile
raggiungere le varie
zone della città e da dove prendono il via quasi tutti gli
incarichi.

Questi ultimi non si discostano molto dagli standard del
genere e prevedono la raccolta di specifici oggetti,
l’attivazione di meccanismi,
il salvataggio di alcuni personaggi e via discorrendo. A
questo si sommano poi
dei veri e propri “raid” ambientati negli edifici cardine del
Reich, conosciuti
come Brother, e alcune missioni generate casualmente durante
l’esplorazione. E’
bene sottolineare poi che in questo Wolfenstein Youngblood,
parlando con uno
specifico NPC è inoltre possibile attivare alcune sfide,
giornaliere e
settimanali, o scegliere di rigiocare alcune delle missioni
principali, così da
ottenere ulteriori ricompense che possono poi essere spese,
proprio come
capitava nel precedente capitolo, per migliorare l’arsenale in
possesso o per
attivare dei bonus temporanei che consentono di incrementare
per un una decina
di minuti il tasso di raccolta delle munizioni o il livello
massimo di salute e
corazza. Nulla vieta inoltre ai giocatori di esplorare
liberamente le varie
zone di Neo Parigi per scaricare un po’ di proiettili sui
nazisti che
pattugliano le strade della capitale di Francia, per andare
alla ricerca di
collezionabili o per sfruttare alcune armi speciali,
ottenibili nel corso
dell’avventura, per aprire nuovi passaggi e contenitori
inaccessibili fino a
quel momento. E’ bene sottolineare che Wolfenstein: Youngblood
è prima di ogni
cosa un esperimento in funzione del futuro terzo capitolo,
volto ad accettare
una totale integrazione dell’elemento cooperativo ed
innumerevoli meccaniche
ruolistiche. Infatti durante l’intera avventura i giocatori
saranno
accompagnati dalla sorella non selezionata, che può essere
controllata sia
dall’I.A., non particolarmente sviluppata ma comunque più che
sufficiente, che
da un compagno in carne ed ossa, che può essere reclutato
tramite invito
diretto o sfruttando il classico matchmaking. Nel secondo caso
è inoltre
fondamentale sottolineare che l’edizione Deluxe del gioco
contiene il Buddy
Pass, ossia un contenuto aggiuntivo per chi possiede il gioco
completo che gli
permette di invitare nella propria partita qualsiasi altro
giocatore, senza che
questi debba necessariamente acquistare il titolo. A livello
di giocabilità
Wolfenstein Youngblood garantisce lo stesso feeling dei suoi
predecessori e
permette nuovamente ai giocatori di decidere di volta in volta
quale approccio
utilizzare per superare una situazione, ma con qualche opzione
in più. Si può scegliere
infatti per un’incursione silenziosa, sfruttando le capacità
di occultamento
delle due protagoniste e la loro letalità negli scontri
ravvicinati, tentare di
aggirare gli avversari trovando scorciatoie e passaggi
alternativi, magari
sfruttando il doppio salto acrobatico per raggiungere punti
altrimenti
inaccessibili, o passare alle maniere forti riversando
quintali di proiettili
sugli avversari, che come da tradizione si differenziano
notevolmente gli uni
dagli altri per livello di difficoltà, aspetto e punti deboli.

 Insomma, in
Wolfenstein Youngblood le modalità di approccio, le cose da
fare e le
possibilità di scegliere come proseguire nell’avventura sono
davvero tante. E’
importante sottolineare che la presenza di due protagoniste ha
permesso agli
sviluppatori di offrire      due   diversi   stili   di   gioco,
soprattutto nella prima
parte della storia, quando le differenze fra le protagoniste
sono più marcate.
Prima di avviare una partita, infatti, si deve infatti
decidere quale delle due
sorelle impersonare e selezionare alcuni tratti distintivi,
che andranno poi a influire
sull’arma di base e sulle abilità speciali in possesso. C’è da
dire però che armi
e abilità peculiari non sono ad appannaggio esclusivo di una
delle due sorelle
e potranno comunque essere ottenute nel gioco o sbloccate
attraverso un
classico skill tree suddiviso in sezioni dove è possibile
spendere i punti
abilità accumulati completando le missioni o salendo di
livello. La crescita
del personaggio, oltre a garantire un incremento di alcune
caratteristiche
base, è fondamentale quando si tratta di scegliere quali
incarichi affrontare e
va ad influire dinamicamente sugli avversari che le due
sorelle Blazkowicz
incontrano per le strade della città, così da garantire al
giocatore il giusto
livello di sfida in quasi tutte le situazioni. Dal punto di
vista estetico
questo Wolfenstein Youngblood si attesta su ottimi livelli,
fluidità d’azione,
esplosioni e resa grafica del mondo di gioco sono veramente
resi bene e sono
veramente appaganti. Il doppiaggio in italiano e l’avvincente
colonna sonora
poi rendono l’esperienza ludica estremamente godibile. Tirando
le somme, l’ultima
fatica di Bethesda è davvero un buon titolo, un gioco che
diverte sia chi si
avvicina all’universo della famiglia Blazcovicz per la prima
volta, ma
soprattutto che appassionerà i fan della serie.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5

Gameplay: 8,5

Longevità: 8

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise
A.O.T. 2 Final Battle, la
lotta   contro i  giganti
continua

Attack on Titan 2: Final Battle è finalmente disponibile su
Xbox One, Playstation 4, Nintendo Switch e PC. La terza
stagione dell’anime è appena finita e purtroppo bisognerà
attendere ancora un anno per vederne uscire una quarta. Nel
mentre però, ci si potrà consolare con questo videogame
rivivendo in prima persona le battaglie più famose della serie
animata giapponese. In Attack on Titan 2: Final Battle infatti
vi sono delle missioni prese direttamente dalla terza stagione
del manga, cinque nuovi personaggi giocabili e due grosse
novità di cui vi parleremo fra poco. E’ bene sottolineare che
il titolo si presenta come un’espansione di A.O.T. 2 (qui la
nostra recensione) quindi sarà possibile acquistarlo in forma
completa (gioco base ed espansione) a prezzo pieno, oppure
solo l’espansione a un prezzo inferiore. Final Battle, come vi
dicevamo qualche riga più in alto, aggiunge due enormi
contenuti di gioco, ovvero, la character mode e la modalità
riconquista territorio. La prima di queste due è senz’altro
quella più interessante. Selezionandola si potranno rivivere
le avventure della terza stagione dell’anime attraverso gli
occhi dei vari protagonisti. Strutturata ad episodi, non
presenta quasi nessuna differenza a livello di gameplay
rispetto alla modalità principale se non per quanto riguarda
l’impossibilità di usare il proprio personaggio originale, di
non poter esplorare le aree cittadine e la presenza di
particolari restrizioni legate ad alcune missioni. Completando
un capitolo si sbloccherà quello successivo che presenterà, o
un nuovo pezzo di trama, o un nuovo scontro dell’anime. In più
verranno dati degli oggetti bonus e dell’esperienza per il
personaggio che si è scelto di utilizzare. In particolare,
questa modalità, si rivela ulteriormente utile per il farming
di materiali e per la possibilità di sbloccare, e quindi
utilizzare, i nuovi personaggi aggiunti con questo DLC.

 Purtroppo l’intelligenza artificiale dei nemici non si
comporta sempre in modo adeguato, finendo col bloccarsi
completamente in certi punti dello scenario facendo quindi
storcere il naso. Per quanto riguarda invece la modalità
riconquista territorio offerta da A.O.T. 2 Final Battle,
questa metterà il giocatore a capo di un esercito personale.
All’inizio verrà chiesto quale, tra i personaggi, dovrà
svolgere il ruolo di comandante. Una volta fatto ciò bisognerà
decidere il nome del proprio esercito e il suo stendardo.
Conclusa la fase iniziale ci si troverà nel proprio campo
base. Questa parte, che ricorda la modalità storia classica, è
al contempo molto differente. A capo dell’esercito bisognerà
progressivamente recuperare i territori del Wall Maria e
avanzando si otterranno dei punti utili ad espandere la base
militare. La fase di espansione si rifà molto ai giochi
strategici e, spendendo punti guadagnati in precedenza, si
potranno ingrandire o costruire nuovi quartieri per il campo
base. Questi ultimi saranno utili anche per assumere nuovo
personale, ottenere maggiori risorse e per ricevere diversi
bonus in base all’assegnazione dei lavori. Parlando della
nuova abilità che permette di trasformarsi in giganti, c’è da
dire che questa non è una vera e propria novità, bensì un
miglioramento di un’abilità già esistente. Infatti, se prima
per poter disporre della trasformazione in gigante era
necessario avere il personaggio con tale trasformazione come
supporto, ora non è più necessario. Per fare ciò si dovrà
avere attiva l’abilità e usare uno specifico oggetto di
supporto che, al posto di potenziare il personaggio, lo
trasformerà in un gigante. L’aggiunta più interessante di
A.O.T. 2 Final Battle sono però le nuove armi, di cui una
completamente nuova e le rimanenti versioni migliorate di
altre armi. Partiamo parlando delle pistole.

Equipaggiandole si potrà fare uso di un solo rampino, ma a
differenza delle lame infliggeranno ingenti danni anche nella
forma base grazie anche a diversi tipi di pallottole. Ogni
proiettile ha un effetto differente, come paralizzare,
avvelenare, rallentare o esplodere a contatto. Una volta
compreso il funzionamento dei diversi proiettili si potranno
eliminare velocemente, o almeno rallentare, anche i giganti
più forti. Grazie alle pistole si potrà anche fare uso della
prima arma speciale, ovvero il gatling, versione molto più
potente delle bocche da fuoco base e capace di eliminare
istantaneamente, o comunque in poco tempo, anche i giganti
speciali. Anche le classiche lame hanno una loro versione
speciale, senza dubbio meno potente di quella delle pistole ma
nettamente più utile. Chiamate Thunder Spear, esse permettono
di eliminare agevolmente interi gruppi di giganti grazie agli
ingenti danni ad area che possono infliggere. Esse risultano
particolarmente utili quando si dovrà uccidere un gigante
anomalo speciale. Proprio per via del loro danno ad area, le
Thunder Spear sono grado di colpire velocemente tutti i punti
deboli e successivamente di eliminarli con un altro paio di
colpi. I comandi delle nuove armi all’inizio potranno sembrare
scomodi ma, una volta che ci si sarà abituati, in particolare
ad andare alla torretta di rifornimento ogni volta che si
vuole passare cambiare da pistole a lame, regaleranno molte
soddisfazioni. Tirando le somme l’espansione Final Battle non
fa che migliorare ulteriormente A.O.T 2, le nuove armi e le
nuove modalità risultano molto curate, il che arricchisce
notevolmente il gameplay del titolo. Grazie a ciò, Final
Battle, più che un DLC sembra un vero e proprio nuovo gioco
della saga. In più, sia che siate fan della serie sia che non
l’abbiate mai vista, questo titolo sarà capace di farvi vivere
tutte le avventure narrate nelle prime tre stagioni dell’anime
e, al contempo, sarà in grado di portarvi all’interno del
mondo narrativo creato da Hajime Isayama. In ogni caso, se
volete saperne di più sul gioco base, sulle dinamiche e su
qualsiasi aspetto del titolo originale, che funge da scheletro
per quest’espansione, vi invitiamo a leggere la nostra
recensione cliccando qui.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 9

Gameplay: 8,5

Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise
Nuovo ransomware                           minaccia
Android

I ricercatori di ESET hanno recentemente individuato la
nuova famiglia di ransomware Android/Filecoder.C, che utilizza
la lista di
contatti della vittima per inviare SMS contenenti link
malevoli. Android/Filecoder.C
si è diffuso attraverso alcuni topic di Reddit con contenuti
per adulti e, per
un breve periodo di tempo, anche tramite forum della nota
community di
sviluppatori Android XDA. Android / Filecoder.C si distingue
per il suo
meccanismo di diffusione. Prima di iniziare a crittografare i
file, il
ransomware invia una serie di messaggi di testo a tutti gli
indirizzi
nell’elenco dei contatti della vittima, inducendo i
destinatari a fare clic su
un collegamento dannoso che porta al file di installazione del
ransomware. Secondo
i ricercatori di ESET, in teoria, questo meccanismo potrebbe
portare ad una
grande diffusione di infezioni, tanto più che il malware ha 42
versioni
linguistiche del messaggio dannoso. Fortunatamente, anche gli
utenti meno attenti
possono facilmente notare che i messaggi sono tradotti male e
che alcune
versioni non sembrano avere alcun senso. Oltre al suo
meccanismo di diffusione
non tradizionale, Android / Filecoder.C presenta diverse
anomalie nella
modalità di crittografia,      escludendo   i   file   di   grandi
dimensioni – superiori ai
50MB – e le immagini inferiori a 150KB. Nell’elenco di file da
crittografare
mancherebbero anche alcune delle estensioni tipiche per
Android.   Ci
sono poi   altri   elementi   che   caratterizzano     Android   /
Filecoder.C rispetto ai
tipici ransomware per Android: Filecoder.C non impedisce
infatti agli utenti di
accedere ai propri dispositivi bloccando completamente lo
schermo. Inoltre il
riscatto non è preimpostato e la quantità di denaro chiesto
dagli impostori
viene generata dinamicamente usando l’UsdId assegnato dal
ransomware alla
vittima, con una richiesta unica per ogni utente, che varia
tra 0,01 e 0,02
BTC. Questa scoperta dimostra che i ransomware rappresentano
ancora una
minaccia per l’ecosistema Android; per stare al sicuro i
ricercatori di ESET
consigliano di mantenere aggiornati i dispositivi, utilizzare
una buona
soluzione di sicurezza mobile e scaricare le applicazioni solo
dal Google Play
Store o altri store affidabili.

F. P. L.

Redeemer Enhanced                            Edition
arriva su console
Lanciato su Pc nel 2017 Redeemer si è dismostrato una vera e
propria sorpresa nel campo degli indie games. Adesso il gioco
è finalmente arrivato
su PlayStation 4, Xbox One e Nintendo Switch con Redeemer:
Enhanced Edition,
versione aggiornata e ampliata che permette anche al pubblico
console di
provare il titolo di Sobaka Studio. A livello di trama il
software offre una
storia semplice ma che funziona e introduce i giocatori in un
universo in stile
action movie anni ’80. Vasily è un ex soldato russo il quale
ha partecipato a
diverse operazioni militari, non del tutto legali che lo hanno
reso
estremamente forte ma al tempo stesso pazzo. Ma non finisce
qui perché il
proprio governo ha deciso che doveva subire delle modifiche
fisiche, ricevendo
degli innesti cibernetici che lo hanno reso una vera e propria
macchina da
guerra inarrestabile. Un giorno Vassily decide di abbandonare
questa vita per
sempre, e andare a vivere in un monastero tibetano seguendo la
strada della
meditazione e delle arti marziali. La pace però viene a
mancare quando un
gruppo di soldati entra all’interno del complesso, uccidendo
chiunque gli si
pari davanti. Dopo alcuni anni passati a meditare e creare la
pace interiore,
questa viene completamente interrotta risvegliando la feroce
sete di sangue che
il protagonista era riuscito a sopire. Da qui ha inizio una
spietata battaglia
che vedrà Vassily affrontare migliaia di spietati nemici. La
trama di Redeemer
risulta abbastanza interessante e questa viene raccontata
tramite dei brevi
filmati, distribuiti in maniera intelligente fra un capitolo e
l’altro. Il
titolo è diviso in 20 livelli suddivisi in 3 macrocategorie
per indicare
l’inizio, la metà e la fine dell’avventura ed è un vero
peccato perché per
quanto sia bella l’avventura, essa non è ricca di contenuti e
risulta nel breve
periodo abbastanza monotona. A livello di gameplay la
produzione ha svolto un
ottimo lavoro offrendo azioni semplici, intuitive e piuttosto
variegate. Grazie
all’ausilio di un setup di comandi estremamente semplice, sarà
possibile
eliminare qualsiasi minaccia con una ferocia inaudita.

Con lo stick sinistro del pad sarà possibile far muovere il
personaggio in giro per le tante mappe presenti nel titolo.
Quando si
incontrano i nemici si avranno 3 comandi base da utilizzare
ovvero pugni, calci
e colpo critico, ma     quest’ultimo   può   essere   sfruttato
solamente tramite degli
oggetti sparsi per la mappa. La visuale isometrica permette di
vedere tutta
l’area di gioco, ma pigiato su un altro pulsante e spostando
la levetta
sinistra in alto o in basso, si potrà osservare al di là della
telecamera fissa
su Vassily. Una caratteristica interessante è data poi dalla
possibilità di
utilizzare delle armi, divise in armi bianche come manganelli,
asce e picconi i
quali dopo qualche colpo inflitto si distruggeranno; alle armi
da fuoco come
pistole e fucili d’assalto che dopo aver finito le munizioni
verranno gettate
via. In Redeemer c’è anche poi una buona varietà di
antagonisti da affrontare: si
passa infatti dai poveri e inermi soldati semplici a versioni
corazzate ben più
pericolose, sfociando infine in mutanti nati da esperimenti
genetici falliti
che rappresentano una sfida più impegnativa, ma nulla che il
nerboruto protagonista
non possa ridurre in una poltiglia sanguinante. Il titolo non
risparmia sulla
violenza, e una delle caratteristiche principali è proprio il
grande feedback
dei colpi che faranno sentire tutta la potenza di Vasily, e
permetteranno di massacrare
i nemici in modo dannatamente divertente e appagante. Anche lo
scenario gioca
un ruolo importante, infatti si possono sfruttare muri,
spuntoni e altri
elementi per uccidere in modo “creativo” i malcapitati.
Eliminando gli
avversari inoltre   si   ottiene   della   preziosa   salute   ed
esperienza per migliorare
le proprie mosse e diventare ancora più letali. Una delle
modifiche presenti in
questa Enhanced Edition rispetto alla versione originale è la
divisione delle
abilità in Monaco per quanto riguarda tutto quello che rientra
nel corpo a
corpo (calci, pugni, armi da taglio) e Soldato per le varie
armi da fuoco, così
da rendere il sistema di progressione più intuitivo e fluido.
Potenziando le
proprie abilità si possono creare combo più lunghe, aumentare
la salute
derivante dalle uccisioni, aumentare il numero di colpi delle
armi da fuoco,
diminuire l’usura delle armi da taglio e altro ancora, inoltre
esplorando
l’ambiente si possono trovare delle pergamene e altri
collezionabili che
aumentano i punti abilità a disposizione.

La storia di Redeemer si può completare nel giro di circa
6/7 ore, ma un’altra novità di questa Enhanced Edition è la
localizzazione in
italiano, introduzione sicuramente gradita da chi non mastica
bene l’inglese. Una
caratteristica interessante del titolo è la modalità Arena,
nella quale al
momento sono disponibili solamente due mappe ambientate in
zone viste nella
modalità storia. In questa tipologia di gioco il compito del
giocatore sarà
quello di sopravvivere alle varie ondate di nemici. Quasi
l’intero gioco si può
giocare esclusivamente da soli, non c’è un vero e proprio
bisogno di giocare in
compagnia se non per puro divertimento. In ogni caso è bene
sottolineare che è
presente la modalità coop nella quale due giocatori possono
unirsi nella stessa
lobby, una feature interessante ma fine a se stessa. A livello
tecnico Redeemer
Enhanced Edition ha risolto i terribili problemi di frame-rate
che affliggevano
la versione PC originale, e durante la prova il gioco è sempre
stato fluido con
qualche piccolo calo in occasioni sporadiche, ma nulla che
compromettesse
l’esperienza come invece accaduto nella prima release. Tirando
le somme quindi,
se state cercando un gioco di facile comprensione, che dia la
possibilità di
affrontare centinaia di nemici e di sconfiggerli in maniera
“creativa”, questo
titolo è ciò che fa per voi.
GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7

Sonoro: 7

Gameplay: 7,5

Longevità: 6,5

VOTO FINALE: 7

Francesco Pellegrino Lise

Samsung, a settembre arriva
il Galaxy Fold
Samsung lancerà il Galaxy Fold a settembre. Lo annuncia la
società sud coreana, sottolineando di essere impegnata a
condurre gli ultimi test e di aver migliorato il design dello
smartphone pieghevole.

Lo scorso mese di aprile Samsung aveva annunciato che avrebbe
rimandato il lancio, inizialmente atteso il 26 aprile negli
Stati Uniti a causa dei difetti riscontrati. Il colosso ha
riposto molte speranze nel dispositivo pieghevole, con il
quale punta ad arrivare fra le prime nel settore e imporsi. Il
Galaxy Fold chiuso misura come uno smartphone da 4,6 pollici,
mentre aperto è come un tablet da 7,3 pollici.

Bloodstained Ritual of The
Night, l’erede indiscusso di
Castlevania
Bloodstained Ritual of The Night venne concepito nel 2014
quando il celebre producer Koji Igarashi, lasciato Konami, fu
subissato di
richieste di fan che chiedevano a gran voce un nuovo gioco in
stile Castlevania.
Non potendo usare però il brand, essendo di proprietà di
Konami, Koji si
ritrovò nella difficile situazione di dover trovare una
maniera per reinventare
il genere di cui per anni fu considerato il padre spirituale.
Appoggiandosi
quindi al crowfunding, e di fatto all’aiuto di quei fan che
tanto volevano un
degno successore dell’intramontabile Symphony Of The Night,
Igarashi cominciò
il lungo, e altri, travagliato, sviluppo di quello che a oggi
possiamo
considerare il gioco che in molti avrebbero desiderato da
moltissimo tempo.
Inutile dire che se si è fan accaniti dell’originale Symphony
of The Night è
obbligatoriogiocare al più presto alla nuova opera di Koji
Igarashi perché
Bloodstained Ritual of The Night. Vi diciamo questo in quanto
il titolo,
disponibile su Pc, Xboxc One, Ps4 e Switch, altro non è che la
summa di tutto
ciò che è stato il ciclo di Castlevania negli anni in cui Iga
lo ha diretto. Quindi
non ci si trova solo di fronte a un seguito spirituale ma a
una vera e propria
autocelebrazione di un genere per mano del suo stesso
produttore, ritrovatosi
orfano della sua creatura ma non per questo deciso a rifulgere
il proprio,
storico, passato o a voltare le spalle alla sua fanbase. Se,
invece, si è tra
quella schiera di persone che non ha mai potuto o voluto
affrontare l’immortale
avventura di Alucard, potete prepararvi a comprendere l’arcana
alchimia che
permette a una produzione quale Bloodstained Ritual Of The
Night, di risaltare
in mezzo a un panorama ricolmo di titoli pregni di grafiche
incredibili e
narrazioni accattivanti, basandosi solo su un gameplay che dal
1997 a oggi ha caratterizzato
un intero genere videoludico. Ma veniamo alla trama: alla fine
del settecento,
nel 1783 per la precisione, nel pieno della Rivoluzione
Industriale, un gruppo
di demoni attacca l’Inghilterra, compiendo dei terribili
massacri. Per
fermarli, una gilda di alchimisti crea gli shardbinder, ossia
degli esseri
umani con impiantati    dei   cristalli   imbevuti   di   potere
demoniaco. La gilda, in
collaborazione con la chiesa, riesce a fermare i demoni, ma al
prezzo di
migliaia di vittime. Gli shardbinder infatti muoiono tutti nel
rito di
purificazione dei cancelli demoniaci. Solo due sono riusciti a
sopravvivere:
Gebel, uscito illeso dal rito, e Miriam, addormentatasi poco
prima che questo
iniziasse. Da allora sono passati dieci anni e i demoni sono
tornati sotto la
guida di Gebel, ormai quasi completamente cristallizzato.
L’unica che può
fermarlo è Miriam, perché capace di sfruttare i poteri dei
cristalli demoniaci
presenti nel suo corpo. Ad aiutarla il fido Johannes, un ex-
alchimista redento,
l’esorcista Dominique e il guerriero Zangetsu, il protagonista
di Bloodstained:
Curse of Moon (spin-off stile NES della serie), utilizzabile
anche in Ritual of
the Night.

Pad alla mano, sin dalle prime stanze si avverte tutta
l’esperienza di Igarashi. I movimenti di Miriam sono molto
simili alle movenze
di Alucard (Il protagonista di Castevania Symphomy of the
Night), c’è persino
la scivolata tattica all’indietro e quella d’attacco in
avanti. Il sistema di
assorbimento dei cristalli è semplice ma intelligente: ogni
volta che si incontra
un nuovo nemico, dopo averlo sconfitto c’è una chance di
ottenere un cristallo
che si potrà assorbire acquisendo le sue abilità specifiche.
Ci sono tanti tipi
di cristalli, di attacco, di difesa, di supporto e via
discorrendo. Essi vanno
equipaggiati e hanno un consumo di MP variabile in base al
tipo stesso al
grado. Grado che aumenta in base al numero di cristalli dello
stesso demone che
verranno trovati, con un meccanismo simile a un incremento del
livello delle
abilità. Nelle prime aree di gioco c’è una grande sensazione
di gratificazione,
in quanto si potranno incontrare nemici quasi sempre diversi
ogni due tre
stanze e si potranno trovare tanti cristalli, in maniera tale
da poter provare
tutte le abilità ad essi connesse. Uccidendo i nemici si
potranno trovare come
loot anche tanti materiali e ingredienti che inizialmente non
è chiaro come
utilizzare, salvo poi capirne meglio i meccanismi dopo aver
incontrato compagni
della Gilda e personaggi che si offrono di aiutare la
protagonista nella missione,
che spiegano come combinare gli oggetti e craftarne di nuovi.
In Bloodstained Ritual
of The Night, come anche accadeva in Castlevania SotN,
consultare la mappa è
sempre essenziale per capire dove bisogna andare, per
comprendere la
conformazione delle stanze alte e per trovare punti chiave e
stanze segrete.
Queste contengono quasi sempre equip potenti, oggetti per
aumentare il cap di
HP ed MP o anche NPC. Tra le diverse aree si trovano, come in
ogni Castlevania
che si rispetti, dei corridoi separatori, e ad ogni nuova area
corrisponde
anche un cambio di musica in background e set di nemici.
Talvolta potrà
capitare di poter accedere contemporaneamente a più aree
diverse, e
generalmente il modo migliore per capire se si è scelto la
strada giusta è
saggiare la forza dei nemici: se servono più di quattro o
cinque attacchi per eliminarli,
generalmente è meglio battere in ritirata in quanto è
richiesto un livello di potere
più alto e si andrebbe incontro a morte certa.

Man mano che si andrà avanti nell’avventura ci si dovrà
scontrare con mini-boss e boss di livello. Questi ultimi sono
quasi sempre
accompagnati da delle cut-scene e richiedono una buona dose di
run ed eventuali
morti per trovare la tecnica giusta per superarli. Il
backtracking è presente
in maniera preponderante, ma fortunatamente ci sono i ben noti
portali che permettono,
una volta trovati e attivati, di viaggiare velocemente tra gli
angoli più
remoti della mappa. E quindi, ogni qualvolta si sblocca una
nuova abilità che permette
di eseguire nuove mosse, quasi sempre bisognerà tornare
indietro per accedere
alle parti della mappa inizialmente precluse. In Bloodstained
Ritual of The
Night però c’è anche spazio per qualche piccola novità.
Infatti, strada facendo
si potranno trovare diversi NPC che propongono tante missioni
secondarie, come
la vendetta del marito ucciso da un particolare tipo di
demone, o la raccolta
di ingredienti e oggetti specifici. Queste missioni aggiungono
ulteriore
backtracking e quando se ne accettano più di una sarà facile
confondersi o
perdere di vista gli obiettivi.         Fortunatamente    gli
sviluppatori hanno inserito
un sistema di tracking che viene in aiuto con dei segnalini da
posizionare
sulla mappa. Bloodstained Ritual of The Night offre poi la
possibilità di
eseguire tante abilità e mosse speciali legate al tipo di arma
brandita. E di
armi ne esistono di varie categorie: spade corte e lunghe,
pugnali, fruste,
pistole mazze chiodate e persino opzioni per il combattimento
a mani nude; e
strada facendo troveremo delle librerie che ci svelano mosse
segrete che
aggiungono profondità al combattimento. Tra le novità
implementate è bene
evidenziare anche un sistema di assegnazione veloce delle
abilità legate ai
cristalli, che permette di cambiare rapidamente set di skill,
pratica
particolarmente utile nelle parti più avanzate del gioco
quando i nemici si
fanno più duri da abbattere e sfruttare le loro vulnerabilità
diventa vitale.
Da questo punto di vista il combattimento risulta più tattico
e meno piatto rispetto
al passato. C’è ampio margine anche nella customizzazione del
personaggio, con
armi, mantelli e accessori che hanno un impatto cosmetico ben
visibile su
Miriam. Inoltre, in un punto preciso del castello è presente
anche un barbiere
in grado di modificare l’acconciatura ed altri aspetti del
look della
protagonista. Come da tradizione poi, non manca nemmeno una
vasta enciclopedia
che abbraccia personaggi, luoghi e mostri che appagherà la
sete di conoscenza
dei puristi del genere. Immancabili inoltre gli shop di armi e
oggetti ed il
mitico barcaiolo in stile Caronte.

In termini di esplorazione e progressione, Bloodstained:
Ritual of The Night è costruito in modo molto simile ad alcuni
dei titoli della
serie Castlevania già citati: c’è un’unica grande mappa, di
cui molte zone
diventano accessibili solo dopo aver sbloccato alcuni poteri
specifici o dopo
aver ottenuto certi oggetti, come il già citato doppio salto.
Paradossalmente
più si esplora, più la mappa sembra ampliarsi. Igarashi e i
suoi hanno ottenuto
questo effetto aumentando le diramazioni in modo graduale: non
si arriva mai a
sentirsi persi come accade in un Hollow Knight, ma in certi
momenti non manca
del sano disorientamento. Il tempo necessario per finire il
gioco a livello
Normal è noto, perché dichiarato dallo stesso Igarashi: una
decina di ore. Si
tratta in realtà di un abbaglio, nel senso che Bloodstained è
costruito per
essere esplorato in lungo e in largo e per essere finito più
volte a diversi
livelli di difficoltà. Parlando ora del comparto tecnico, il
gioco ha fatto
netti passi avanti durante il suo lungo sviluppo. Non poche
erano le polemiche
insorte per animazioni legnose, uno stile grafico vecchio ed
effetti grafici
non all’altezza della generazione attuale. Igarashi ha però
saputo rispondere
bene a queste critiche cambiando tutto a poche settimane dal
lancio,
presentando un cambiamento radicale quasi da notte a giorno
per effetti e stile
grafico. Alcune aree sono veramente belle a vedersi, con tanti
effetti
particellari e oggetti in movimento in background che danno
decisamente vita e
spessore allo stile 2.5D. La colonna sonora è chiaramente
ispirata a quella dei
precedenti Castlevania ed è sicuramente uno dei punti di forza
dell’intera
produzione. Unica nota veramente negativa è da associare alla
traduzione in
italiano, davvero di mediocre fattura. Sicuramente farà
contenti tutti quei
giocatori che non conoscono altre lingue, ma doversi andare a
rileggere dei
testi in inglese per capirli fino in fondo non è affatto una
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