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DISPENSE di ALIMENTAZIONE per lo SPORT Questo fascicolo ha il solo scopo di fornirvi un riassunto dei concetti più importanti in materia di alimentazione e integrazione correlata allo sport, i contenuti sono stati presi e rimaneggiati secondo le mie esigenze e priorità al fine di rendervi lo studio più snello e semplice utilizzando come base scientifica i seguenti testi che peraltro vi consiglio per uno studio più approfondito: -Nutrizione e Dietologia, aspetti clinici dell’Alimentazione, a cura di Gianfranco Liguri -Alimentazione, Fitness e Salute, Marco Neri, Alberto Mario Bargossi, Antonio Paoli -Manuale di nutrizione applicata, Riccardi, Pacioni, Giacco, Rivellese Tali testi rimangono i soli titolari della proprietà intellettuale di ogni concetto espresso eccezion fatta per le parti di commento da me inserite 1
ALIMENTAZIONE SANA ED EQUILIBRATA Ci tengo a sottolineare la definizione di ALIMENTAZIONE SANA ed EQUILIBRATA in quanto ritengo che talvolta nel modo del fitness si perda di vista questo parametro, che reputo essenziale, per il raggiungimento di qualsiasi altro obiettivo. Una corretta alimentazione deve fornire all’organismo, in quantità ottimali, tutti quei macro e micronutrienti fondamentali per un suo corretto funzionamento con lo scopo di mantenere uno stato di salute e benessere nel tempo. È inoltre importante che prevenga l’esposizione del soggetto a sostanze nocive o potenzialmente tossiche ed infine è molto importante che riduca i più comuni fattori di rischio per la salute, come obesità, ipertensione, patologie cardiocircolatorie e diabete*. I livelli raccomandati dei diversi micro e macronutrienti, elaborati da diverse organizzazioni nazionali e internazionali, indicano dei valori medi ritenuti ottimali per la popolazione sulla base di valutazioni statistiche al fine di mantenere un livello di nutrizione adeguato. Sottolineo, in merito a ciò, cosa sono i LARN, ovvero i livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia per la popolazione italiana, elaborati dalla Società Italiana di Nutrizione, SINU, con la collaborazione dell’Istituto di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, INRAN, la cui ultima revisione risale al 2014, che devono rappresentare una linea guida per chiunque si interessa di alimentazione. Questi valori sono realizzati in funzione di dati statistici presenti in letteratura, di dati di laboratorio e informazioni circa il consumo alimentare di specifici gruppi di popolazione italiana SANA; risulta perciò ovvio che il singolo soggetto con problematiche di salute, esposto a particolari condizioni climatiche o lavorative può richiedere un adeguamento di tali indicazioni nonostante i LARN comprendano un quantitativo aggiuntivo al di sopra dei bisogni, definito margine di sicurezza, per compensare la variabilità individuale e i possibili errori di stima dei fabbisogni. Quello che deve essere tenuto a mente è che esistono i LARN, cioè delle tabelle di riferimento per gli apporti di energia e nutrienti che risultano idonee a coprire le necessità nutrizionali di tutte le diverse componenti della popolazione italiana in buona salute e che possono venire espressi come: -AR, FABBISOGNO MEDIO DI ASSUNZIONE, livello di assunzione del nutriente in grado di soddisfare il fabbisogno del 50% della popolazione sana, rappresenta un valore minimo di assunzione -PRI, ASSUNZIONE RACCOMANDATA, livello di assunzione di un nutriente sufficiente a soddisfare il fabbisogno del 97,5% dei soggetti sani, si ottiene aumentando il fabbisogno medio di due deviazioni standard -AI, ASSUNZIONE ADEGUATA, ovvero valori circa l’assunzione di nutrienti dedotti dagli apporti medi osservati in una popolazione sana ed esente da carenze manifeste, quando non esistono evidenze scientifiche disponibili per formulare AR o PRI -RI, INTERVALLO DI RIFERIMENTO PER L’ASSUNZIONE DI MACRONUTRIENTI, ovvero l’intervallo di assunzione di lipidi e carboidrati valutato corretto, normalmente nell’elaborazione di uno schema dietetico si consiglia di prendere come riferimento il punto mediano dell’RI 2
SDT, OBIETTIVO NUTRIZIONALE PER LA PREVENZIONE, rappresenta l’obiettivo di assunzione qualitativo e quantitativo di nutrienti il cui consumo si associa ad una riduzione del rischio di malattie cronico-degenerative, vengono definiti grazie a studi che hanno preso in esame l’esposizione della popolazione al nutriente -UL, LIMITE MASSIMO TOLLERABILE DI ASSUNZIONE, cioè il maggior valore di assunzione di un nutriente, sia negli alimenti che nei supplementi, che si è valutato non correlato ad effetti avversi sulla salute nella quasi totalità dei soggetti. La nutrizione rappresenta il mezzo necessario attraverso il quale l’organismo umano ricava sia l’energia necessaria che le sostanze indispensabili per espletare tutte le sue funzioni, per tali ragioni l’alimentazione fornisce diverse classi di alimenti che possiamo suddividere in MACRONUTRIENTI, carboidrati, grassi e proteine, e MICRONUTRIENTI, cioè vitamine, sali minerali e oligoelementi. Ritengo importante fare una disamina delle varie classi, soprattutto per ciò che concerne i macronutrienti in quanto penso sia fondamentale per chi si occupa di attività fisica a qualsiasi livello avere delle conoscenze di base sull’alimentazione che vadano oltre, pertanto cercherò nel percorso che faremo di farvi capire che i carboidrati non sono tutti uguali e che la cottura degli alimenti ne modifica le caratteristiche così forse qualcuno inizierà a chiedersi per quale ragione vediamo mangiare fuori dalle palestre le odiatissime gallette di riso se la soffiatura aumenta l’indice glicemico dei cereali… *Vorrei fare una piccola parentesi circa la correlazione tra sport, salute ed alimentazione in quanto mi accorgo che molte volte nel mondo del fitness perdiamo di vista i reali obiettivi da perseguire per ricercare “una fittizia armonia delle forme” a discapito della nostra salute. Non siamo in un corso di biologia ma che fare chiarezza circa l’effetto dell’attività fisica e del cibo sul nostro patrimonio genetico sia necessario al fine di comprendere quanto sia delicato l’argomento. Molto spesso sento parlare di alimentazione con troppa superficialità e mi piacerebbe farvi capire perché non condivido le abbuffate di proteine o vedere persone che mangiano pollo a colazione! Cercherò di rendere semplice un argomento che non lo è ma semplificandolo al massimo vorrei farvi passare un messaggio importante. Ognuno di noi possiede un patrimonio genetico ereditato dai propri genitori, esso risiede nel nostro DNA, ed in parte viene espresso in maniera visibile ovvero con caratteristiche fenotipiche (altezza, colore degli occhi…), esso è il fattore più determinante per la nostra longevità, ovvero per sapere come e per quanto tempo vivremo. Esso però non è il solo responsabile in quanto diversi fattori esterni possono alterarne l’espressione fenotipica senza arrecare modifica alcuna al nostro DNA originario. Tra i principali “fattori modificatori” vi sono il cibo, ovvero la medicina che ci somministriamo almeno tre volte al giorno, e l’attività fisica, entrambe possono indurre modifiche nell’espressione del nostro patrimonio genetico che si ripercuotono sul nostro stato di salute influenzando la possibilità di sviluppare molte patologie. Vi menziono solo qualche esempio: gli zuccheri, gli aminoacidi e le proteine influenzano i geni e le vie metaboliche scientificamente implicati nell’invecchiamento, Tor-S6K, GH-IGF-1 e PKA, mentre diversi studi epidemiologici su larga scala, seppur con tutti i limiti connessi a questa tipologia di studio, hanno dimostrato in maniera univoca una riduzione importante della mortalità correlata ad un esercizio fisico frequente. Infine mi preme sottolineare l’importanza di un intervento tempestivo sullo stile di vita in quanto recenti evidenze scientifiche ottenute dallo studio sui centenari hanno messo in come l’impatto della modulazione ormonale attuata dalle nostre abitudini alimentari sia fondamentale dalla nascita sino ai 65 anni, passato questo limite le ripercussioni sono trascurabili. 3
PROTEINE Iniziamo da questa classe di molecole in quanto il loro nome di origine greca significa “sostanze di prim’ordine”. Le proteine rivestono infatti un ruolo importantissimo nel nostro organismo perché svolgono numerose e svariate funzioni: -PLASTICA, ovvero costituiscono la sostanza fondamentale delle cellule -ENERGETICA, soprattutto per gli aminoacidi ramificati, BCAA -DI TRASPORTO -IMMUNITARIA, anticorpi -ORMONALE, insulina e ormoni ipofisari -RECETTORIALE, mediano le risposte cellulari Esse rappresentano il 50% del peso di tutti i componenti organici e il 14-20% del peso di un soggetto sedentario per arrivare sino al 35-40% in atleti di potenza, di cui almeno il 2,5% è in continuo ricambio ogni giorno. Possiamo classificare in maniera arbitraria le proteine in nobili o non nobili in funzione del quantitativo in aminoacidi essenziali in esse contenuti, difatti il nostro corpo costruisce le proteine utilizzando come mattoni 20 aminoacidi che vengono sintetizzati quando vi è richiesta tranne che per 8 di questi aminoacidi, isoleucina, leucina, valina, lisina, metionina, fenilalanina, treonina e triptofano, definiti appunto essenziali. Essi devono necessariamente essere introdotti con l’alimentazione in quanto affinché la sintesi proteica avvenga gli aminoacidi che andranno a formare la proteina in questione devono essere presenti contemporaneamente altrimenti la sintesi non prende inizio. Maggiore è il contenuto in aminoacidi essenziali più la proteina in questione risulta nobile, come la carne, il pesce, il latte e le uova a differenza delle proteine vegetali che mancano di alcuni aminoacidi essenziali come la lisina nei cereali, fatto che ne limita il rendimento proteico a circa il 42% o la metionina nei legumi, ma che possono completarsi a vicenda sino a raggiungere un grado di utilizzazione del 90%. Vi sono diversi metodi per valutare la qualità di una proteina, ve ne illustro due, i più usati, solo per fornirvi gli strumenti per capire soprattutto la qualità dei “beveroni proteici” che vedete in commercio. P.E.R. (Protein Efficenty Ratio) = grammi di peso guadagnato/quantità di proteina somministrata. Con questo indice troviamo valori maggiori per le uova, seguite dal latte e infine pesce e carne. Altri indici tengono in considerazione il bilancio dell’azoto, componente fondamentale delle proteine e contenuto in quantità costante, 16%. Tale bilancio risulta normalmente in equilibrio, ovvero la quantità ingerita è analoga a quella escreta con le urine, nei soggetti adulti sani con adeguata alimentazione , può essere negativo, indice di catabolismo e stress metabolico che si 4
registra in casi di malnutrizione, stati febbrili, difetti dell’assorbimento, quando la quantità introdotta risulta inferiore a quella eliminata oppure essere positivo quando l’azoto introdotto è maggiore di quello eliminato, situazione che si verifica in accrescimento, gravidanza, ipertrofia muscolare o periodi di convalescenza. Uno dei metodi che considera i quantitativi di azoto per valutare la qualità proteica è il B.V. (Biological Value) = quantità di azoto assorbito/ quantità di azoto prodotto x100. Anche in questo caso il punteggio massimo è stato raggiunto dall’uovo (100), seguito da latte (90), pesce (76) e carne (74), occorre precisare però che l’estrazione delle proteine del siero del latte ha permesso di ottenere un valore di 105. (ne parleremo in seguito circa l’integrazione proteica). Quando si parla di proteine è fondamentale tener presente il concetto di FABBISOGNO PROTEICO, ovvero il quantitativo proteico giornaliero necessario per ciascun individuo in funzione dello stato di salute, della sua composizione corporea, dell’età e dell’attività svolta. I LARN indicano nei soggetti adulti un AR di 0,71 g/kg di peso FORMA e un PRI di 0,90g/kg di peso FORMA anche se molti autori spostano il fabbisogno minimo di un sedentario a 0,9g/kg-1,2g/kg per raggiungere i 2,5g/kg negli atleti di potenza moltiplicando sempre il valore ottenuto per 0,85 nelle donne. Questi valori vengono normalmente scelti dal nutrizionista o dal dietologo sulla base degli obiettivi fissati ma soprattutto in funzione degli esami ematochimici come creatinina, azotemia e acido urico che rivelano la capacità organica di assimilare azoto e la funzionalità renale impostando comunque la quota proteica in % al contenuto calorico della dieta che oscilla tra il 15% e il 25%. Questo grande divario trova ragione nelle differenze di età, sesso, attività fisica, massa muscolare e particolari situazioni come gravidanza, allattamento e sviluppo. Ritengo opportuno fare qualche precisazione in merito ai quantitativi di proteine assunte dai body builder in quanto se da un lato diversi studi scientifici dimostrino come il quantitativo proteico delle linee guida sia insufficiente per questo genere di atleti nonostante le proteine rappresentino una percentuale bassissima del carburante impiegato durante l’esercizio un’importante studio condotto da Tarnopolsky, valutando sia il bilancio azotato che elementi traccia, ha messo in luce come il fabbisogno corretto di proteine negli atleti di potenza si aggira tra 1,4 e 2,4 g/kg ma superato tale valore si assisteva ad un aumento dell’ossidazione degli aminoacidi senza aumento della sintesi, rendendo del tutto ingiustificato l’impiego di diete iperproteiche con valori di 4-6g/kg con il rischio di una seria compromissione renale ed epatica in quanto i gruppi azotati in eccesso si trasformano in urea con grande produzione di ammoniaca e costrizione dell’organismo ad impiegare tutti i sistemi tampone possibili per far fronte all’elevata acidità. Piccola precisazione circa le modifiche indotte dalla cottura sulle proteine, difatti la qualità nutrizionale della nostra dieta è notevolmente influenzata anche dalle lavorazioni subite dagli alimenti. Tutti i cibi ad alto contenuto proteico devono essere cotti in maniera uniforme e a temperatura controllata in quanto cotture troppo prolungate trasformano gli aminoacidi dalla forma L a quella D, non utilizzabile dall’essere umano e le temperature troppo eccessive come una carne alla brace non ben eseguita determinano la formazione di sostanze cancerogene come il benzopirene (grasso bruciato). Bisogna tener presente che le carni di manzo tollerano temperature di 150°C mentre quelle di pollo sino a 180°C. Per ciò che concerne le uova dobbiamo tener presente che una cottura prolungata, come la bollitura, le rende meno digeribili ed inoltre inficia il contenuto vitaminico del tuorlo. 5
CARBOIDRATI I carboidrati rappresentano il primo combustibile del nostro organismo (4Kcal/g) ma entrano a far parte anche di macromolecole come i mucopolisaccaridi che unendosi a particolari proteine costituiscono la sostanza fondamentale che riempie gli spazi tra una cellula e l’altra e tra le fibre muscolari. Da ciò si evince una primaria funzione energetica, normalmente in un’alimentazione equilibrata rivestono il 55-60% del fabbisogno calorico giornaliero (intervallo dal 45% al 60%) accompagnata da una funzione plastica e di sostegno. Illustro le due principali classificazioni esistenti dei carboidrati solo per avere un’idea della loro natura ma premetto che poi andremo ad analizzare una visione più nuova dell’argomento parlando del loro impatto sui valori di zucchero del sangue, la glicemia. Queste molecole sono costituite principalmente da atomi di carbonio, idrogeno e ossigeno legati tra loro, in funzione delle unità si distinguono: • MONOSACCARIDI (singola unità saccaridica) -GLUCOSIO, si trova direttamente negli alimenti o può venir prodotto a partire da altre molecole, assorbimento rapido cui fa seguito o un impiego a scopo energetico oppure può essere trasformato in forme di deposito come glicogeno epatico o muscolare oppure in trigliceridi, grasso di deposito. -FRUTTOSIO, o levulosio, lo zucchero della frutta, minor indice glicemico a causa della saturazione del carier di trasporto a livello intestinale, post assorbimento segue un metabolismo epatico che lo converte in glucosio -GALATTOSIO, non si trova in forma libera ma sempre legato al glucosio per formare il lattosio. • DISACCARIDI E OLIGOSACCARIDI (due o poche unità saccaridiche) -SACCAROSIO, glucosio + fruttosio, comune zucchero da cucina, si trova nello zucchero da barbabietola, in quello di canna, nel miele e nello sciroppo d’acero -LATTOSIO, glucosio + galattosio, zucchero presente nel latte, responsabile dell’intolleranza al lattosio, intolleranza scientificamente approvata in quanto causata da un defict dell’enzima lattasi comprovato da test di laboratorio ufficialmente riconosciuti -MALTOSIO, glucosio + glucosio, fa parte della birra, dei cereali e nei germogli -RAFFINOSIO E STACHIOSIO, presenti principalmente nei legumi, responsabili dei fenomeni fermentativi a livello intestinale, sono un buon nutrimento per la flora batterica intestinale ma sono praticamente indigeribili dall’essere umano • POLISACCARIDI (diverse unità) -AMIDO, polisaccaride più comune del mondo vegetale, si presenta in due forme, la cui prevalenza dell’una o dell’altra forma inficia la velocità con cui i livelli di zuccheri del sangue si innalzano. Le due forme sono l’AMILOSIO, catena rettilinea, e l’AMILOPECTINA, catena ramificata che offre dunque diversi siti di attacco agli enzimi digestivi deputati al suo assorbimento e caratterizzata pertanto da un’assimilazione rapida. La componente di amilosio è sempre inferiore nei cereali sino a raggiungere valori pressoché nulli in alcuni tipi 6
di mais mentre riveste una quota maggioritaria nei legumi, caratterizzati perciò da un miglior impatto sulla glicemia. -MALTODESTRINE, altra forma amidacea presente in molti farinacei oppure ottenuta per idrolisi parziale degli amidi, rappresenta una forma intermedia tra i carboidrati a rapido assorbimento come i monosaccaridi e i polisaccaridi, la parziale idrolisi delle catene saccaridiche le rende solubili in acqua a differenza dell’amido e in funzione dell’idrolisi attuata avremo catene con lunghezze diverse e quindi molecole con indici glicemici differenti (si misura la destrosio equivalenza che, più è alta, minore sarà la lunghezza della catena). Molto spesso vengono associate negli integratori al fruttosio (20%) con l’obiettivo di migliorare e velocizzare il tempo d’innesco del meccanismo di rifornimento energetico, prestare sempre attenzione a non superare concentrazioni del 10% in quanto soluzioni troppo concentrate non rispettano la giusta osmolarità e causano problematiche intestinali e hanno pertanto scarso assorbimento. -GLICOGENO, zucchero di riserva del nostro organismo, può venir immagazzinato nel muscolo da 350g a 500g con una riserva energetica di circa 1000-1200kcal oppure nel fegato da 90 a 150g per una riserva di 360-600kcal; è strutturalmente simile all’amilopectina ed il suo equilibro è regolato dal rapporto tra due ormoni, INSULINA ad azione ipoglicemizzante e GUCAGONE, iperglicemizzante. Tale riserva garantisce anche un’importante ritenzione idrica fondamentale per un corretto funzionamento organico in quanto ogni grammo trattiene 2,6g – 3 g di acqua. Un’altra possibile classificazione dei carboidrati li suddivide in semplici e complessi: • CARBOIDRATI SEMPLICI, comprendono mono, di- e oligosaccaridi (da 3 a 12 molecole) e possono essere a loro volta suddivisi in UTILIZZABILI, come glucosio, fruttosio e saccarosio e NON UTILIZZABILI, come raffinosio, stachiosio e polialcoli (xilitolo, mannitolo e sorbitolo) • CARBOIDRATI COMPLESSI, ancora suddivisibili in DISPONIBILI, amilosio e amilopectina, e NON DIPONIBILI come le fibre. GLICEMIA, INDICE GLICEMICO E CARICO GLICEMICO Il glucosio è un componente fondamentale del sangue, difatti se il suo livello si abbassa sotto il valore di 65mg/dl il corpo mette in atto la glicogenolisi, ovvero la conversione delle scorte di zucchero, il glicogeno, in glucosio grazie all’intervento dell’ormone iperglicemizzante per eccellenza, il glucagone e alle catecolamine come adrenalina e noradrenalina. In aiuto a questo meccanismo se nell’organismo è presente una buona disponibilità proteica, il corpo umano mette in atto anche la neoglucogenesi, cioè quel meccanismo che ci permette di ricavare glucosio a partire da substrati energetici diversi con la produzione però di molti prodotti di scarto. È importante tener presente che alcune strutture del nostro organismo come il sistema nervoso, gli eritrociti o globuli rossi, e la midollare del rene sono completamente dipendenti dai carboidrati e quindi in linea teorica occorrono di media 180g di glucosio al giorno per svolgere tali funzioni anche se si è visto che dopo circa 12 giorni di esposizione a basse dosi di carboidrati il cervello ha la capacità di attuare un adattamento enzimatico sfruttando quindi l’energia prodotta a partire da altri substrati. Le classificazioni di cui abbiamo parlato prima risultano ad oggi superate in quanto si preferisce valutare l’impatto dell’alimentazione sui profili ormonali del nostro corpo piuttosto che attuare una semplice analisi bromatologica della dieta. Risulta quindi importante che abbiate dimestichezza con alcuni concetti fondamentali: 7
INDICE GLICEMICO, ovvero la valutazione della risposta della glicemia in seguito all’assunzione di un alimento CARICO GLICEMICO, che misura lo stesso parametro dell’indice glicemico a cui però aggiunge il quantitativo di carboidrati contenuto in quel dato alimento cioè parlando della zucca si ha un indice glicemico alto, pari a 75, ma moltiplicando questo dato con il quantitativo reale di carboidrati presenti in 100g di zucca otteniamo un valore di75x3,4g/100 di carboidrati=2,55 ovvero un basso carico glicemico. Questo parametro ci fornisce non solo un indice di qualità ma anche di densità. INDICE GLICEMICO BASSO INDICE GLICEMICO MODERATO INDICE GLICEMICO ALTO
da un complesso sistema di recettori cellulari che mediano l’azione insulinica favorendo l’ingresso di glucosio nelle cellule; scardinando questo meccanismo ben regolato si rischia di necessitare sempre di più insulina per svolgere il medesimo lavoro sino ad arrivare ad una vera e propria resistenza alla sua azione soprattutto a livello periferico, tale alterazione è alla base di numerosi scompensi metabolici e porta all’aumento del grasso corporeo e predispone all’insorgenza del diabete tipo 2. Più la glicemia si alza bruscamente maggiore sarà la risposta messa in atto dall’insulina e conseguentemente si avrà una ipoglicemia reattiva che innescherà nuovamente il senso della fame. È quindi molto importante cercare di raggiungere una sorta di “calma insulinica” non solo per chi vuole perdere peso ma anche per dare alla macchina uomo il carburante migliore al fine di mantenerla in buono stato anche per un futuro. Un’eccezione a questo meccanismo è rappresentato dall’esigenza di un veloce recupero ricercata da alcuni atleti al termine di un intenso esercizio, difatti molto spesso in questi casi si fa ricorso a bevande caratterizzate da un buon tenore zuccherino in quanto il picco glicemico conseguente favorisce un veloce ripristino delle scorte di glicogeno e un rapido ingresso dei nutrienti nelle cellule. Esiste però la problematica associata a determinare il giusto quantitativo di zuccheri che favorisca il picco insulinico senza causare un’ipoglicemia reattiva. In merito a ciò voglio menzionarvi una tecnica molto utilizzata dagli sportivi chiamata SCARICA e CARICA dei CARBOIDRATI. Come detto prima la nostra riserva energetica a rapido utilizzo è rappresentata dal glicogeno e maggiore è la sua scorta maggiore sarà la capacità di sostenere uno sforzo, da qui nasce la tecnica prima menzionata, si tratta di sottoporre l’organismo ad una carenza di carboidrati di 3-5 giorni massimo per svuotare le riserve a cui farà seguito una ricarica dì 2-3 giorni prima della competizione al fine di creare un effetto spugna per aumentare le riserve in misura maggiore. Per chi attua questa strategia è doveroso spiegare alcuni accorgimenti per ottenere un risultato ottimale: -testare questa metodica prima della gara ufficiale in quanto ogni organismo reagisce con tempistiche diverse -impostare allenamenti pesanti ma decrescenti nel periodo di scarico e allenamenti leggeri di richiamo nella fase di ricarica -una ricarica efficace prevede sia l’assunzione del giusto quantitativo di sodio per ottenere un’efficace assorbimento di carboidrati e limitare l’insorgenza di possibili crampi muscolari che una buona idratazione pari circa a 4g di acqua ogni grammo di carboidrato -nella fase di carico non esagerare con il quantitativo di zuccheri semplici e impostare pasti non eccessivamente abbondanti ma frequenti -negli sport dove si attua la metodica per fini estetici come nel body building fare attenzione alla tempistica in quanto maggior glicogeno determina maggiore volume e ritenzione idrica FRUTTOSIO, altre tipologie glicidiche e DOLCIFICANTI Vorrei approfondire la tematica in quanto di estrema attualità. 9
FRUTTOSIO, lo trovate anche sotto il nome di levulosio, è molto di moda in quanto il fatto di essere lo zucchero della frutta lo rende “naturale” e perché caratterizzato da un basso indice glicemico. Quest’ultima caratteristica è vera per singoli dosaggi di fruttosio inferiori ai 35g mentre per dosi superiori anche il levulosio diventa insulino-dipendente. Esso viene assimilato con un processo sodio indipendente a differenza del glucosio, con un carier saturabile, ed arriva al fegato dove aumenta la glicogenosintesi e stimola la lipogenesi in maniera da 3 a 5 volte maggiore rispetto al glucosio. Se è vero che bassi dosaggi non inducono secrezione insulina a questa mancanza si accompagna una mancata stimolazione della leptina, l’ormone della sazietà, una diminuita soppressione post-prandiale di grelina, l’ormone oressizzante che stimola la fame e una mancata stimolazione al rilascio di adiponectina, molecola fondamentale sia per la sua azione di contrasto all’insorgenza di insulino-resistenza che per le proprietà antinfiammatorie a antiaterogeniche. Per tali ragioni non vedo il vantaggio nel suo impiego al posto dello zucchero, diverso il caso correlato alla sua assunzione con la frutta dove l’alto contenuto di fibre e la presenza di numerosi micronutrienti mediano la maggior parte delle problematiche sopra elencate. ZUCCHERO DI CANNA, piccolo vantaggio calorico 360kcal contro le 390-400kcal dello zucchero classico, quello grezzo integrale ha subito meno raffinazioni, la strategia ottimale è abituarsi piano piano a bere le bevande senza zucchero, il senso del gusto si allena proprio come i muscoli! DOLCIFICANTI, ribadisco quanto appena espresso ma almeno capiamo quali dolcificanti esistono, quali dati abbiamo e cosa troviamo nella lista ingredienti dei prodotti commerciali. Il più utilizzato è l’aspartame, prodotto di sintesi da fenilalanina (attenzione a chi soffre di fenilchetonuria) e acido aspartico, ad oggi non vi sono dati su problemi di tossicità o correlazione con malattie nervose o neoplastiche. Esistono poi i ciclammati, saccarina e acesulfame K, di cui vedo un gran abuso per preparare “famosi pancake o tortini proteici” sui quali però la comunità scientifica ha ancora qualche dubbio circa l’innocuità. Rischi praticamente assenti sono correlati all’impiego dei polialcoli, mannitolo e xilitolo. Altro prodotto che sta godendo di un modesto successo è il dolcificante sintetico sucralosio ottenuto modificando chimicamente la molecola di saccarosio ma dal potere dolcificante 500 volte maggiore e con un’ottima resistenza al calore e la totale assenza di alterazione del sapore. I dati circa questa molecola sembrano confermare il fatto che esso non viene minimamente modificato e non si accumula nel corpo umano. FIBRE Vorrei fornirvi giusto due nozioni sulle fibre sempre per permettervi di capire tutti i vari prodotti addizionati in commercio o i vari integratori alimentari ma soprattutto per motivare la mia convinzione che una dieta sana ed equilibrata è la base di partenza per raggiungere qualsiasi obiettivo. Mi capita spesso di vedere pazienti ai quali è stato consigliato in palestra di assumere al posto del pranzo una miscela di proteine e maltodestrine, vorrei capire le motivazioni di tale scelta… 10
Innanzitutto la fibra è una sostanza indigeribile dagli esseri umani, di natura prevalentemente glicidica, ma costituita in gran parte da quella frazione di glicidi che abbiamo chiamato non disponibili, cioè cellulose, emicellulose, lignina, pectine, ecc. Queste molecole non possono venir assorbite in quanto il nostro corredo enzimatico non è in grado di scinderle per permetterne l’assorbimento, diverso è il caso dei ruminanti che hanno proprio nel rumine enzimi deputati alla scissione della cellulosa. La fibra è una sostanza fondamentale per il nostro benessere non solo perché aiuta il transito intestinale, come credono in molti, ma soprattutto in quanto svolge un ruolo protettivo enorme per molte patologie del canale alimentare, anche sulle problematiche di natura neoplastica. L’assunzione di fibra infatti “PELLICOLA” l’intestino proteggendolo dal contatto con le sostanze tossiche assunte e favorendo il transito ne diminuisce il tempo di contatto, essa non fornisce energia se si esclude la piccola porzione (1,5-2kcal/g) proveniente dagli acidi organici a catena corta, come il butirrato, che si formano per fermentazione della parte di fibra solubile a livello del colon. Quest’azione della fibra le attribuisce il ruolo di PREBIOTICO, ovvero nutrimento per la flora batterica, I PROBIOTICI, e la produzione di questi acidi grassi a catena corta svolge un ulteriore ruolo protettivo a livello intestinale abbassando il PH e favorendo dunque la selezione di ceppi batterici benefici a discapito di ceppi putrefattori. I LARN hanno stabilito un fabbisogno giornaliero di 30g/die oppure 15g/1000kcal di cui 2/3 rappresentati dalla fibra insolubile e la restante parte da quella solubile. Capiamo ancora la distinzione tra questi due tipi di fibre, solubile ed insolubile, la prima è composta da pectine, gomme e mucillagini contenute principalmente nella frutta, in alcuni legumi e cereali e nella verdura e possiede la capacità di idratarsi in acqua formando un gel che ritarda lo svuotamento gastrico e favorisce il senso di sazietà distendendo le pareti, ritarda inoltre l’assorbimento dello zucchero, lega gli acidi biliari e riduce la colesterolemia. La fibra insolubile invece è composta da cellulose, emicellulose e lignina presente soprattutto nella crusca dei cereali e nelle verdure fibrose, è caratterizzata dall’elevata capacità di legare notevoli quantitativi di acqua, promuove la peristalsi accelerando il passaggio del cibo nel canale alimentare e riduce anch’essa l’assorbimento di glucosio e grassi. I possibili effetti avversi sono correlati al peggioramento della sintomatologia dei soggetti affetti da sindrome dell’intestino irritabile nelle fasi acute, alla possibile diarrea osmotica e malassorbimento intestinale di alcuni micronutrienti. LIPIDI I grassi sono una classe di composti eterogenea, insolubili in acqua e caratterizzati dal possedere all’interno della molecola almeno un residuo di acido grasso combinato con un costituente alcolico. In funzione della struttura chimica si distinguono in: • SEMPLICI, costituiti solo da carbonio, ossigeno e idrogeno, CON FUNZIONE DI RISERVA, mono-di- trigliceridi • COMPLESSI, contengono anche altri elementi come azoto o fosforo, CON FUNZIONE STRUTTURALE E DI SOSTEGNO, fosfolipidi e sfingolipidi Dal punto di vista fisiologico rivestono particolare interesse i TRIGLICERIDI, ovvero i grassi di deposito del nostro organismo che vengono depositati o metabolizzati in funzione all’adeguatezza della dieta, e i FOSFOLIPIDI, o lipidi di membrana, i costituenti strutturali delle nostre membrane cellulari mentre negli alimenti i trigliceridi sono i più rappresentati. 11
I lipidi hanno un’azione energetica e di sostegno ma anche plastica e di regolazione (modulatori come le prostaglandine sono di natura lipidica), essi apportano 9kcal/g e rappresentano quindi la sorgente più concentrata di energia per l’organismo rispetto a proteine e carboidrati che apportano circa 4 kcal/g. La loro importanza non risiede soltanto nella loro funzione energetica ma essi costituiscono anche il veicolo di sostanze essenziali per il nostro organismo come le vitamine liposolubili e gli acidi grassi essenziali, dovrebbero occupare un 20-35% dell’energia totale assunta giornalmente da un individuo sano. Vista la primaria importanza dei trigliceridi sia dal punto di vista alimentare che fisiologico analizzeremo più nel dettaglio la loro struttura. Essi sono lipidi costituiti da una molecola di glicerolo completamente esterificato con acidi grassi, possono trovarsi solidi a temperatura ambiente, grassi propriamente detti prevalentemente di origine animale, e olii, liquidi e normalmente di origine vegetale. I diversi acidi grassi che li caratterizzano possono essere a catena corta, acido butirrico, propionico, ecc., ottenuti direttamente a livello del colon per fermentazione della fibra prebiotica solubile ad opera della flora batterica e vengono assorbiti come tali a livello intestinale e veicolati al fegato direttamente dal sistema portale, non possono formare mono- di- e trigliceridi ma vengono metabolizzati direttamente. Vi sono poi gli acidi grassi a catena media, come l’acido caproico, caprilico o laurico, presenti in molti alimenti soprattutto nei latticini, che vengono immessi anch’essi direttamente nel sistema portale dove vengono veicolati da un’importante proteina plasmatica, l’albumina. Infine rimangono gli acidi grassi a catena lunga e molto lunga che vengono convogliati al fegato e ai vari tessuti sotto forma di chilomicroni grazie al sistema linfatico; a questo punto verranno ricomposti nel fegato in lipoproteine dove formeranno le VLDL, VERY LOW DENSITY LIPOPROTEIN, costituite dal 50% da trigliceridi che verranno trasportate a tutte le cellule adipose dell’organismo. Esistono poi le LDL, LOW DENSITY LIPOPROTEIN, composte per la maggior parte da colesterolo che trasportano dal fegato ai vari tessuti e infine le HDL, HIGH DENSITY LIPOPROTEIN, costituite dal 20% di colesterolo e un 30% di fosfolipidi con funzione di spazzino in quanto veicolano il colesterolo periferico agli organi deputati ad un suo utilizzo. I trigliceridi formati da acidi grassi a catena lunga-molto lunga rappresentano inoltre il veicolo degli acidi grassi monoinsaturi, come l’acido oleico, e polinsaturi, tra cui vanno menzionati gli acidi grassi essenziali (cioè non sintetizzabili dal nostro organismo), l’acido linoleico e l’acido alfa-linolenico, precursori rispettivamente delle serie di acidi grassi omega-6 e omega-3. Tali acidi grassi essenziali sono indispensabili per la formazione delle membrane cellulari, un corretto sviluppo e un buon funzionamento del sistema nervoso e per la produzione di sostanze dall’azione simil ormonale, chiamate EICOSANOIDI. Tra quest’ultimi vanno ricordati trombossani, leucotrieni e prostaglandine che hanno il delicato compito di regolare numerose funzioni organiche come la fluidità del sangue, la pressione arteriosa, le risposte immunitarie e l’infiammazione. Dobbiamo inoltre di distinguere gli acidi grassi in SATURI E MONO-POLINSATURI a seconda della presenza o meno di doppi legami nella catena carboniosa che li compone; i primi non hanno doppi legami nella catena e sono principalmente di origine animale mentre i secondi sono caratterizzati dalla presenza di uno o più doppi legami e sono largamente preferibili ai secondi perché favoriscono la formazione di colesterolo HDL dall’azione anti-aterogena, derivano sia dal mondo vegetale, soprattutto i monoinsaturi che costituiscono gli olii vegetali, che dal mondo animale per quel che concerne i polinsaturi che troviamo principalmente nei pesci azzurri sotto forma di omega-3. Gli olii vegetali però vengono spesso sottoposti a processi industriali (nei prodotti da forno) come l’idrogenazione per renderli più solidi e maggiormente stabili, tale procedura li trasforma dalla classica conformazione cis a trans rendendoli pro aterogeni e infiammatori. Va infine menzionato il colesterolo, comunemente associato ai grassi anche se chimicamente è un alcool, correlato all’insorgenza di problematiche cardiovascolari e aterosclerotiche che pur rappresentando un importante fattore di valutazione del rischio cardiovascolare è doveroso ricordare che solo un 15-30% del colesterolo totale è correlato all’alimentazione, la restante parte è prodotto a livello epatico. 12
A.D.S., AZIONE DINAMICO SPECIFICA ESSO RAPPRESENTA L’EFFETTO TERMOGENICO DEL CIBO OVVERO IL DISPENDIO METABOLICO LEGATO ALLA TRASFORMAZIONE DI UN ALIMENTO, È STIMATO PARI AL 30% PER LE PROTEINE CONTRO IL 6% PER I CARBOIDRATI E IL 4% PER I GRASSI, MENTRE L’A.D.S. DI UNA RAZIONE ALIMENTARE MISTA VIENE STIMATO DI UN 6-10% IN QUANTO LE PROTEINE ASSUNTE CON ALTRI UTRIENTI VEDONO DIMINUIRE IL PROPRIO EFFETTO TERMOGENICO ED INOLTRE I LIPIDI DIMINUISCONO L’A.D.S. DI TUTTI GLI ALTRI NUTRIENTI. MICRONUTRIENTI Con questa terminologia si indicano tutti quei nutrienti presenti in percentuali molto basse nella dieta ma al contempo fondamentali per tutti i processi biologici del nostro organismo: VITAMINE E MINERALI. DEVONO NECESSARIAMENTE ESSERE INTRODOTTE CON LA DIETA Sono dei catalizzatori biologici indispensabili e per ciò che concerne i minerali svolgono anche un’azione strutturale. SONO INDISPENSABILI E LA LORO ASSUNZIONE CON INTEGRATORI DIETETICI NON SI SOSTITUISCE AD UNA DIETA RICCA DI QUESTE SOSTANZE IN QUANTO IL FITOCOMPLESSO DETERMINA UNA BIODISPONIBILITÀ MOLTO MAGGIORE PER CIASCUN NUTRIENTE. MICRONUTRIENTI IDROSOLUBILI GRUPPO B e C VITAMINE LIPOSOLUBILI A,D,E,K CALCIO, FOSFORO, MAGNESIO, MINERALI SODIO, POTASSIO, CLORO E ZOLFO FERRO, COBALTO, OLIGOELEMENTI CROMO,ZINCO,IODIO, MOLIBDENO, MANGANESE,SELENIO 13
ACQUA Rappresenta il più importante componente inorganico degli organismi viventi in quanto costituisce circa il 60-65% del peso di un adulto (45% per condizioni di obesità) ed il 75% del peso di un neonato sino a decrescere al 50% negli anziani. Il 30% dell’acqua corporea si trova sotto forma di acqua extracellulare, di cui un 20% costituisce il liquido interstiziale, un 2% la linfa ed il 7% il plasma, mentre il restante 70% è acqua intracellulare; anche la componente minerale disciolta varia in funzione delle sedi, all’interno delle cellule prevalgono infatti ioni potassio, fosfato e magnesio mentre a livello extracellulare sono presenti maggiormente sodio, cloro e bicarbonati. Uno dei metodi più utilizzati per misurare l’acqua corporea totale prevede l’impiego dell’impedenziometria. Il rapporto tra acqua ingerita e acqua eliminata, regolato dall’ormone antidiuretico vasopressina, identifica lo stato di idratazione che viene anche regolato dal meccanismo della sete controllato in sede ipotalamica da una serie di complessi segnali tra cui la secchezza delle fauci, l’osmolarità plasmatica e la pressione sanguigna. Tale meccanismo subisce una disregolazione durante la vecchiaia per tali ragioni gli anziani potrebbero andare incontro a disidratazione senza accorgersene. Bisogna inoltre tener presente che circa il 6% dell’acqua corporea viene sostituita giornalmente in un adulto per arrivare al 15% nel bambino. L’acqua oltre ad essere un componente fondamentale del corpo umano contribuisce alla funzione costruttiva in quanto è un veicolo per numerose sostanze, svolge un’importante azione depurativa favorendo l’eliminazione delle tossine e degli xenobiotici e aiuta inoltre il processo di TERMOREGOLAZIONE. Difatti l’acqua aiuta ad eliminare il calore dell’organismo anche e soprattutto durante le prestazioni sportive richiamando acqua nella cute dove svolgerà la sua unzione di raffreddamento. Cali dell’idratazione corporea anche solo del 4-5% causano importanti diminuzioni delle performance sportive, per tali ragioni viene suggerito agli atleti di iniziare ad aumentare l’idratazione già nei due giorni antecedenti la gara sino ad assumere circa 200-230ml ogni 20 minuti nelle due ore precedenti sino a 20-30 minuti prima di iniziare la competizione. L’importanza di una corretta idratazione deve certamente rientrare nelle indicazioni di primaria importanza in un contesto di educazione alimentare e risulta fondamentale anche per finalità estetiche in quanto la carenza di acqua determina l’instaurarsi nel corpo di uno stato di siccità che fa scaturire meccanismi compensatori atti a trattenere i liquidi sottocutanei con l’aumento della secrezione di diversi ormoni che incrementano la ritenzione di sodio e quindi di liquidi. I soggetti 14
che seguono diete fortemente sbilanciate a carico delle proteine hanno una necessità di apporto idrico aumentata anche del 50%. È importante abituare i pazienti a bere per gradi, attuando un vero e proprio allenamento al bere in quanto un brusco incremento dell’assunzione di acqua può infastidire notevolmente il soggetto. Sarebbe opportuno consigliare di assumere acqua con basso residuo fisso, che è il sedimento rilasciato da 1 L di acqua minerale fatta evaporare a 180°C, ovvero acque minimamente mineralizzate con valori di residuo fisso minori di 50mg/L con una concentrazione di nitrati inferiore a 11mg/L. 15
ALIMENTAZIONE E GRAVIDANZA LINEE GUIDA DEL MINISTERO DELLA SALUTE I. FARE 4-5 PASTI AL GIORNO II. BERE ALMENO 2 LITRI DI ACQUA III. FRUTTA E VERDURA BEN LAVATA TUTTI I GIORNI IV. MANGIARE LENTAMENTE V. PREDILIGERE PESCE, CARNE E FORMAGGI MAGRI VI. PREFERIRE CARBOIDRATI COMPLESSI E POCO RAFFINATI VII. LIMITARE CAFFÈ, 200mg CAFFEINA/DIE, GRASSI SATURI E SALE VIII. EVITARE ALCOLICI IX. 150 MINUTI SETTIMANALI DI ESERCIZIO FISICO MODERATO MAI A DIGIUNO PER UN SOGGETTO NORMOPESO (BMI 18,5-24,9) SI CONSIGLIA UN AUMENTO DI CIRCA O,42g SETTIMANALI A PARTIRE DAL SECONDO TRIMESTRE PER UN AUMENTO COMPLESSIVO DI 11-16Kg NON CI SONO EVIDENZA SCIENTIFICHE DI PRIMO GRADO PER METTERE IN CORRELAZIONE L’AUMENTO DI PESO MATERNO E QUELLO FETALE SI RITIENE COMUNQUE OPPORTUNO MANTENERE SOTTO CONTROLLO IL PESO DURANTE LA GESTAZIONE PER FAR SI CHE L’AUMENTO PONDERALE SIA ADEGUATO E GRADUALE PER EVITARE PROBLEMATICHE COME IL DIABETE GESTAZIONALE, LA PRECLAMPSIA, L’AFFATICAMENTO CRONICO E LA DEPRESSIONE POST-PARTO. A LIVELLO PRATICO: A. FABBISOGNI ENERGETICI: NEL PRIMO TRIMESTRE NESSUN AUMENTO DEI FABBISOGNI MA ATTENZIONE A AUMENTO DEI MICRONUTRIENTI, SOPRATTUTTO ACIDO FOLICO E DHA, NEL SECONDO TRIMESTRE +350KcAL/DIE E NEL TERZO +450Kcal/DIE (LARN 2012) B. NORME IGIENICHE ADDIZIONALI PER TOXOPLASMOSI E LIMITARE I CIBI A RISCHIO LISTERIOSI C. CERCARE DI TENERE SOTTO CONTROLLO LE NAUSE E SE PRESENTI CERCANDO DI NON SBILANCIARE LA DIETA VERSO TROPPO CARBOIDRATI SODDISFANDO IL FABBISOGNO PROTEICO MINIMO AIUTANDOSI ANCHE CON YOGURT E FORMAGGI MAGRI D. EVITARE DIGIUNI PROLUNGATI ORGANIZZAZIONE DIETETICA DEI MACRONUTRIENTI: CARBOIDRATI: LA GRAVIDANZA È CARATTERIZZATA DA UNA RIDOTTA TOLLERANZA GLUCIDICA CON: 1. DIMINUZIONE DELLA GLICEMIA A DIGIUNO E AUMENTO DI QUELLA POST PRANDIALE 2. RIDOTTA SENSIBILITÀ INSULINICA A LIVELLO PERIFERICO, SOPRATTUTTO A PARTIRE DALLA 20ESIMA SETTIMANA DI GESTAZIONE CON UN MASSIMO INTORNO ALLA 32ESIMA 16
3. AUMENTATA SECREZIONE INSULINICA COMPENSATORIO CON CONTRIBUTO FETALE A PARTIRE CIRCA DALLA 16ESIMA SETTIMANA QUINDI BISOGNA TENER PRESENTE ALCUNI PUNTI FONDAMENTALI: A. ZUCCHERI SEMPLICI MASSIMO 10% dei CARBOIDRATI TOTALI B. 175g RAPPRESENTA LA QUOTA MINIMA DI CARBOIDRATI GIORNALIERA C. FRAZIONARE I CARBOIDRATI NELLA GIORNATA PER EVITARE PICCHI DI RILASCIO DI INSULINA ANCHE DA PARTE DEL FETO PROTEINE: LA GRAVIDANZA RAPPRESENTA UNA CONDIZIONE ANABOLICA, ESISTE UN FABBISOGNO MINIMO DI SICUREZZA DI 0,8-1g/Kg PESO CORPOREO CHE AUMENTA A 1,2g/Kg PESO NEL SECONDO TRIMESTRE SINO A 1,5g/Kg NEL TERZO. GRASSI: FABBISOGNO AUMENTATO DI DHA, ACIDO GRASSO DELLA CLASSE OMEGA 3 RISPETTO AI FABBISOGNI GENERALI DELLA POPOLAZIONE. SONO CONSIGLIATE 3 MASSIMO 4 PORZIONI DI PESCE A SETTIMANA DI CUI MASSIMO UNA DI PESCE AD ALTO RISCHIO DI CONTAMINAZIONE DA METILMERCURIO, COME TONNO, PESCE SPADA E SALMONE. VANNO FAVORITI I GRASSI MONO E POLINSATURI A DISCAPITO DI QUELLI SATURI. 17
L’AUMENTO DI PESO, POSSIBILI CAUSE E RIMEDI Ad oggi finalmente si è giunti alla conclusione che non sempre l’aumento di peso è causato da iperalimentazione, difatti è frequente constatare come alcune persone mangino meno della media senza perdere peso ma addirittura tendendo all’accumulo. Queste constatazioni accertano come la strategia del banale calcolo matematico secondo il quale togliendo 300-500kcal/die alla dieta abituale sia sufficiente per ottenere una perdita di peso risulti fallimentare. Escludendo problematiche patologiche ci dovremmo soffermare su tre punti: L’IMPORTANZA DELLA QUALITÀ E NON SOLO DELLA QUANTITÀ DEL CIBO NON TUTTE LE CALORIE SONO UGUALI: CIBI DIVERSI HANNO RISCONTRI METABOLICI DIFFERENTI È FONDAMENTALE CONSUMARE DI PIÙ REGOLE CHIAVE IMPORTANZA DI ASSECONDARE I GUSTI PERSONALI DEL SOGGETTO CREARE UNA DIETA CON ALIMENTI FACILI DA REPERIRE CONSIGLIARE UN’ATTIVITÀ FISICA COSTANTE SOTTOLINEARE L’IMPORTANZA DELLA VOLONTÀ PERSONALE CREARE COLLABORAZIONE, DIARIO ALIMENTARE O TABELLE CONSIGLIARE DELLE GRAMMATURE SENSATE PREVEDERE UN PASTO LIBERO A SETTIMANA SIA PER LA MENTE CHE PER IL METABOLISMO CERCARE DI IMPOSTARE DEGLI OBIETTIVI FATTIBILI, UNA PERDITA FISIOLOGICA SI AGGIRA INTORNO A 500g A SETTIMANA SUDDIVIDRE I PASTI IN 4-6 AL GIORNO PER EVITARE IPOGLICEMIE CHE CI RENDONO DIFFICOLTOSO SEGUIRE LE REGOLE DEL PASTO SUCCESSIVO MANGIARE LENTAMENTE IMPOSTARE UN MOMENTO A SETTIMANA DI CONTROLLO PESO E VERIFICA DISTRARSI SE PRESI DA UN ATTACCO COMPULSIVO VERSO IL CIBO CERCARE GRATIFICAZIONE NEL RAGGIUNGIMENTO DELLA FORMA FISICA PIUTTOSTO CHE CONSOLAZIONE TEMPORANEA CON IL CIBO ASSECONDARE E VERIFICARE LE SENSAZIONI DEI PAZIENTI IMPORTANZA DI ADEGUARE LE STRATEGIE DIETETICHE ALLA TIPOLOGIA DI OBESITÀ RISCONTRATA, PER OBESITÀ GINOIDE, COMUNEMENTE DEFINITA A PERA, NON SI DOVREBBE ELIMINARE DRASTICAMENTE IL CONSUMO DI CARBOIDRATI PER DARE UNO STIMOLO ALLA PRODUZIONE DI SEROTONINA, LE PROTEINE CREANO COMPETIZIONE TRA IL SUO PRECURSORE, 5-IDROSSI TRIPTOFANO E GLI ALTRI AMINOACIDI ELETTRICAMENTE NEUTRI, UTILIZZATA COME STABILIZZATORE DELLA FAME. PER SOVRAPPESO DI TIPO ANDROIDE INVECE UN’ALIMENTAZIONE CON UN BUON LIVELLO PROTEICO RISULTA UTILE PER STIMOLARE LA NORADRENALINA 18
GONFIORE ADDOMINALE Alle volte può accadere che il gonfiore addominale non sia accompagnato da un vero e proprio sovrappeso ma esso può essere correlato a disordini di altra natura che molto spesso originano a livello del colon. Normalmente un bravo professionista cerca di capire la correlazione del problema ad alcuni alimenti o situazioni e prova poi a impostare una dieta di iniziale esclusione e successiva reintroduzione degli alimenti. È inoltre importante capire se il disturbo è assente al risveglio e insorge durante la giornata oppure se il gonfiore è permanente per alcuni giorni. Questa iniziale distinzione potrebbe farci capire se lo squilibrio è associato ad un eccesso di zuccheri nell’alimentazione oppure se lo squilibrio sia di natura putrefattiva e quindi associato a squilibri a carico della digestione proteica, come nella seconda opzione. In ogni caso un protocollo di pulizia intestinale inteso come pulizia leggera dell’intestino e riequilibrio mirato della flora sia dell’alto che del basso intestino unitamente a fitoterapici antifermentanti possono risultare un valido aiuto se associati ad una corretta alimentazione che preveda un’attenta analisi delle associazioni alimentari proposte. CELLULITE Visto che il problema affligge molte donne facciamo chiarezza, la cellulite, ovvero dermo- ipodermopanniculopatia a componente edemato-fibro-sclerotica, non è un accumulo di adipe ma un ristagno di liquidi e scorie che infiamma il tessuto sottocutaneo e determina un ispessimento delle fibre connettive con perdita di elasticità dei tessuti. Vi sono tre stadi, un primo stadio di cellulite dura e compatta, tipica dei soggetti giovani che si instaura soprattutto nei glutei, nelle cosce e nella parte interna del ginocchio. Si passa poi ad uno stadio molle o flaccido, normalmente in età più avanzata che si estende a quasi tutta la superficie degli arti, anche quelli superiori. Infine l’ultimo stadio è rappresentato dalla cellulite edematosa che si estende anche al punto vita e risulta accompagnata da un peggioramento della situazione circolatoria con la possibile formazione di varici. Ho fatto questo breve riassunto perché la cellulite è molto spesso legata allo stile di vita, cattiva alimentazione e scarsa idratazione, è quindi molto importante sottolineare come accanto ad un programma di allenamento mirato e a trattamenti estetici sia imprescindibile aumentare l’apporto idrico, integrare la dieta con molte fibre e cereali integrali, limitare l’apporto di sodio e di tutti i cibi insaccati o conservati che lo contengono. Vano inoltre limitati i grassi saturi come i formaggi, a favore di grassi mono- e polinsaturi che invece aiutano a migliorare le problematiche infiammatorie associate al fenomeno. 19
L’ALIMENTAZIONE PER L’AUMENTO DELLA MASSA MUSCOLARE A differenza di ciò che avviene nei soggetti sedentari dove l’aumento di peso è sempre associato ad un incremento della massa adiposa, nel mondo dello sport, soprattutto nelle attività di forza e potenza, esiste una reale necessità di incremento della massa magra al fine di migliorare le prestazioni o semplicemente per finalità estetiche. In ogni caso, come nel dimagrimento, l’allenamento è imprescindibile per ottenere dei buoni risultati da mantenere nel tempo. Molto spesso si sente parlare di “ottimizzazione della dieta” e di “integrazione” che però sono imprescindibili dal punto fondamentale, ovvero il tentativo di individuare le caratteristiche metaboliche del soggetto. Un approccio classico difatti prevede la stesura di un programma alimentare dal punto di vista matematico, partendo dal calcolo del metabolismo basale a cui aggiungere il dispendio energetico delle varie attività svolte dal soggetto in questione. A questo punto però se si confrontano i valori ottenuti con quelli che il soggetto riferisce di assumere ci si rende conto di come le calorie introdotte molto spesso siano maggiori di quelle teoriche calcolate. Questo avviene perché di nuovo dobbiamo tenere presente tre concetti: La qualità degli alimenti assunti La distribuzione calorica giornaliera Le percentuali tra i vari nutrienti L’approccio ottimale prevede l’impostazione di un piano con i tre classici pasti principali ai quali aggiungere 2-3-4 spuntini spiegando al soggetto che è libero di aggiungere altri alimenti purché abbia prima consumato quanto indicato. Per ciò che concerne l’apporto proteico valgono le regole espresse nell’apposito capitolo, ribadisco solo che non ha alcun senso aumentare a sproposito le proteine (oltre2,5g/kg) in quanto molto spesso ci si trova di fronte dei soggetti con un metabolismo molto veloce e pertanto risultano fondamentali le quote di grassi e carboidrati che devono essere preponderanti. È fondamentale ricordarsi di frazionare l’introito calorico e di non far passare più di due ore tra un pasto e l’altro, questo è un lavoro che va fatto per gradi abituando il soggetto piano piano al nuovo tipo di alimentazione. Infine ritengo opportuno ribadire l’importanza della qualità nutrizionale della dieta, ovvero mangiare 3 scatolette di tonno al giorno non risulta vantaggioso (mercurio, sale, nichel…) dal punto di vista salutistico così come non è una buona idea assumere insaccati o salumi (dati OMS sul consumo di carni lavorate) quotidianamente, è meglio impostare un piano con una buona variabilità nutrizionale che preveda l’alternanza tra pesce grande, tonno, e pesce piccolo, orata, carni bianche e rosse, ricotta, legumi, uova e formaggi secondo le giuste proporzioni. Per finire ritengo importante parlare delle tempistiche e delle aspettative per questo tipo di piani alimentari, normalmente si ritiene che un soggetto in salute possa sintetizzare una quantità di tessuto muscolare che va dai 100g ai 220g a settimana se associato ad un allenamento specifico ed una alimentazione ben strutturata. È inoltre doveroso spiegare come non sia possibile ottenere un incremento ponderale frutto del solo aumento della massa magra, si ritiene infatti che nell’aumento di peso il grasso non debba superare il 50% dell’incremento totale ottenuto. 20
Vi propongo una tabella elaborata dal dr. Hatfield per capire quali sono le tempistiche medie corrette per l’aumento della massa in funzione del peso di partenza. PESO ATTUALE NUMERO DI SETTIMANE UTILI PER L’AUMENTO DI PESO 45 10 20 30 40 50 60 54 9,5 19 28,5 38 47,5 57 63 9 18 27 36 45 54 72 8,5 17 25.5 24 42.5 51 82 8 16 24 32 40 48 90 7,5 15 22.5 30 37.5 45 100 7 14 21 28 35 42 2,25 6,5 13 19.5 26 32.5 39 117 6 12 18 24 30 36 AUMENTO DI 4,5 7.75 9 11,25 15 KG DI PESO DESIDERATO INTEGRAZIONE A BASE DI PROTEINE E/O AMINOACIDI Un impiego ortodosso delle proteine e degli aminoacidi prevede che esse siano calcolate in funzione dell’apporto proteico della dieta e della sua distribuzione giornaliera. Per tale motivo si dovrebbe stabilire a priori la quantità di proteine di cui il soggetto necessita e valutare la quota assunta con l’alimentazione, a questo punto se vi è un divario si procede a colmarlo con l’integrazione. La ragione che giustifica l’impiago di questo tipo di prodotti risiede nel fatto che le proteine in polvere sono dei concentrati proteici che permettono l’assunzione di un grande quantitativo di proteine senza ingerire contemporaneamente importanti quantità di grassi e carboidrati, esse permettono inoltre una corretta distribuzione del carico proteico giornaliero in virtù della loro praticità di utilizzo senza dover sovraccaricare in maniera eccessiva i pasti principali. È doveroso infatti ricordare come il corpo umano non riesca ad assorbire contemporaneamente più di 35-50g di proteine per volta. Ricordiamo nuovamente che la scelta di un prodotto piuttosto che un altro deve valutare il valore biologico delle proteine assunte, ovvero quanto più queste abbiamo uno spettro aminoacidico sovrapponibile a quelle che il corpo umano dovrà sintetizzare senza tralasciare la qualità delle stesse. Prendiamo in esame i principali prodotti disponibili: PROTEINE DERIVATE DAL LATTE: il latte contiene circa il 4% di proteine di cui l’80% è rappresentato dalle CASEINE mentre il 20% dal siero. Queste due tipologie di proteine hanno caratteristiche diverse, difatti le proteine del siero sono caratterizzate dalla più alta percentuale di aminoacidi ramificati rispetto a qualsiasi altra forma proteica, vengono assimilate molto rapidamente, presentano un basso indice glicemico e contribuiscono a 21
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