Manager (ma anche tutti noi) dovrebbe leggerlo - Smart ...

Pagina creata da Roberto Re
 
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Manager (ma anche tutti noi) dovrebbe leggerlo - Smart ...
Fuoriclasse - Storia naturale del successo
di Malcolm Gladwell, sgretola il mito del
self-made man ed è per questo che ogni
manager (ma anche tutti noi) dovrebbe
leggerlo
  Quest’anno vi propongo un libro al mese, forse due, per raccontare chi siamo, da dove veniamo,
  dove vorremmo andare e come ci vogliamo arrivare. Perché la lettura può essere svago,
  intrattenimento, ma anche un valido esercizio per imparare a pensare e sviluppare una certa idea
  del mondo.

  Un libro al mese, in piccole schede, in poche battute, per decidere se vale la pena comprarlo e
  soprattutto leggerlo. Perché la lettura, come diceva Woody Allen, è anche un esercizio di legittima
  difesa.

Che cosa è il successo?

Forse è quella combinazione rara e abbondante di doti personali che si presenta in alcuni fortunati
individui e che fa sì che quegli stessi individui, a dispetto delle proprie condizioni sociali ed
economiche, possano eccellere nel campo in cui hanno deciso di operare o a cui dedicarsi?

Secondo il giornalista scientifico del Washington Post e collaboratore del New Yorker Malcolm
Gladwell, le doti individuali e la dotazione genetica sono importanti, ma a decretare il successo, a
creare degli autentici fuoriclasse, sono molto più importanti i fattori sociali ed ambientali.

Ce ne parla ampiamente, di questi fattori ambientali, nel suo libro bestseller “Fuoriclasse – Storia
naturale del successo”, uscito nel 2008 e tradotto da Mondadori nel 2009, e che, ad ogni ristampa,
va velocemente esaurito e che attualmente è reperibile solo nel mercato dell’usato o in formato e-
book.

           Scopri il nuovo numero: “Le 4 Virtù cardinali del
                             Marketing”
  Pazienza, Perseveranza, Sostenibilità e Gentilezza, sono le 4 virtù cardinali del marketing che vi
  proponiamo. In un mondo dominato dalla tecnica e dalla velocità, queste virtù ci permettono di
  non sbagliare la rotta (o magari di ritrovarla se smarrita) e di indirizzare correttamente le nostre
  azioni.

Se, come professionisti del mondo del marketing e della formazione, siete abituati ai classici ed
inflazionati, oltre che ripetitivi, manuali di auto aiuto, motivazionali, etc., preparatevi ad avere una
cocente, ma allo stesso tempo illuminante, delusione.

Malcolm Gladwell sfata uno ad uno tutti i miti che ruotano intorno al successo e “sgretola” ogni
nostra convinzione, restituendoci la “vera storia naturale” del successo.
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Tutto comincia da un paesino della provincia di Foggia, Roseto Valfortore, che serve all’autore per
calarci subito nel clima e nella temperatura del suo saggio; poi è un susseguirsi di scoperte
sorprendenti e di prese di coscienza sulla vera natura del successo. Scritto con quel gradevole mix di
rigore scientifico e capacità narrative tipico della divulgazione scientifica di matrice anglosassone, il
libro scorre agevolmente dalla prima all’ultima delle sue 250 pagine.

                          Fuoriclasse

                                   Storia naturale del successo
                                       Autore: Malcolm Gladwell

                                          Editore: Mondadori

                               Anno: settembre 2009 (prima edizione)

                                               Pagine: 250

                                         Isbn: 9788804593782

                                             Prezzo: € 18,50

Ma quali sono le argomentazioni che l’autore utilizza per argomentare la sua tesi?

Innanzitutto il libro è diviso in due grandi parti, “opportunità” e “retaggio”, ed ognuna di queste è
composta rispettivamente da 5 e 4 agili capitoli che illustrano ognuno un fattore “naturale” del
successo. Ogni capitolo parte da fatti concreti o casi celebri per illustrare concetti scientifici
perlopiù ignorati da molti, o almeno dalla stragrande maggioranza, di quei professionisti che ogni
giorno lavorano nel campo della motivazione e formazione aziendale.
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Ed allora scopriremo: la “regola delle 10.000 ore”, con l’esempio di Bill Gates e dei Beatles; il
potente effetto Matteo e quello dell’età relativa, attraverso l’esempio dei migliori giocatori di
hockey canadese o di quelli del calcio europei; l’importanza delle radici etniche nello studio dei
disastri aerei e come mai la stragrande maggioranza dei più prestigiosi e potenti studi legali di New
York vede una preminenza di soci fondatori ebrei nati fra il 1930 ed il 1935; ed ancora quanto le
origini geografiche, ed i lavori svolti nei paesi d’origine, degli immigrati europei in America
abbia influito sulle faide familiari che insanguinarono il vecchio West americano nell’‘800.

Perché dovremmo leggere Fuoriclasse – Storia naturale del successo?

Il libro di Malcolm Gladwell è una profonda operazione di ecologia mentale, di pulizia delle nostre
convinzioni, delle favole che ruotano intorno al successo, della legenda dell’uomo venuto dal nulla,
del mito del self-made man. Ma attenzione, questa presa di coscienza non è solo distruttiva e
sconfortante, è anche una rivelazione, una vera e propria epifania. Perché scoprire che i motivi del
successo della stragrande maggioranza dei capitani d’industria, dei vincenti, dei manager di
successo, dei gruppi rock leggendari, etc. getta una nuova luce sul mondo del lavoro e sulle nostre
vite, mettendo nella giusta prospettiva tutti quei concetti che una facile e ripetitiva manualistica di
auto aiuto continua a proporci da almeno 100 anni, pressoché immutata, nonostante i progressi
sociali, tecnologici e scientifici che intanto sono intervenuti. Scoprire che il successo è una faccenda
allo stesso tempo molto più prosaica e altrettanto complessa, oltre che naturale, di ciò che
pensavamo ci mette nelle condizioni di considerare al meglio le nostre strategie, il nostro impegno
ed i nostri risultati e, se è il caso, di aggiustare il tiro su cose di cui ignoravamo, addirittura,
l’esistenza.

  Se volete approfondire i contenuti del libro “Fuoriclasse – Storia naturale del successo”,
  potete andarvi a vedere la 12° puntata di “Incontri ravvicinati” nella quale abbiamo dialogato,
  del saggio di Malcolm Gladwell, con lo psicologo e divulgatore scientifico Armando De
  Vincentiis.

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Searching, l’originale thriller di Aneesh
Chaganty, è un vero carotaggio
socioculturale dei nostri tempi, in cui i
social sanno più cose su di noi di noi stessi
Si apre con una bellissima immagine di colline verdi sotto un cielo azzurro puntellato da
bianchissime nuvole la prima scena di “Searching”; non fatichiamo a riconoscere, almeno chi tra
noi ha più di 25 anni, la famosa immagine “Bliss” (letteralmente beatitudine, ma conosciuta come
colline), che ha fatto da sfondo ai desktop di mezzo mondo, dal 2001 al 2014, quando il sistema
operativo Windows XP (ancora oggi il terzo al mondo per diffusione) è stato ufficialmente
terminato.

Il desktop e le immagini che vediamo scorrere insieme ai titoli di testa ci sintonizzano subito sul qui
e quando del film, mostrandoci anche, ma lo capiremo solo mentre il film prosegue, che sarà questa
la modalità ed il punto di vista di tutte le inquadrature.

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(David) e Michelle La (Margot) in una scena del film.
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È senza dubbio con un po’ di ritardo che vi parlo del film “Searching” del talentuoso e
  giovanissimo regista statunitense di origini indiane Aneesh Chaganty. Il film è uscito
  nelle sale italiane ad ottobre del 2018, e, benché all’epoca il trailer mi avesse colpito,
  non riuscii a vederlo al cinema.

  Recuperato su una piattaforma di streaming a pagamento, e visto in quest’ultima
  settimana di aprile da Zona Rossa (almeno nella mia Puglia), il film è davvero un thriller
  ben confezionato, ben recitato e soprattutto un interessante esperimento
  cinematografico che si colloca al confine fra diversi media.

Infatti ciò che rende originale questo thriller vecchio stile, incentrato sulla scomparsa di una
adolescente e sugli sforzi che il padre farà per trovarla, è proprio la modalità della narrazione: tutta
la storia si svolge interamente sugli schermi di due pc portatili (quello del papà David e poi quello
della figlia Margot) e di un paio di smartphone.

La scomparsa della giovane Margot (l’attrice Michelle La) è il pretesto narrativo per sbloccare una
delle più grandi paure dei genitori di oggi: quello di non sapere niente di ciò che fanno i loro figli
online o addirittura di non conoscerli affatto. Ed infatti è quello che succede al padre David (un
intenso John Cho), che piano piano discende le scalinate del suo inferno personale, man mano che
esplora il laptop di una figlia che credeva di conoscere.
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“Finora nessuno era riuscito a mostrare in maniera adeguata la tecnologia che dagli ultimi dieci anni
governa le nostre vite; né al cinema, né in televisione”, ha commentato il giovane regista Aneesh
Chaganty, autore insieme all’amico Sev Ohanian anche della sceneggiatura, in un’intervista sul
sito The Hot Corn News.

Per riuscire nell’impresa gli attori hanno dovuto recitare davanti allo schermo nero di un pc dotato
di videocamere Go-pro che potessero simulare la resa qualitativa delle varie webcam e le ottiche dei
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vari device impiegati. L’altra protagonista del film, insieme a David, è la detective incaricata del caso
di scomparsa, Vick (un’appassionata Debra Messing che tutti ricordiamo per avere impersonato
Grace nella longeva sitcom Will&Grace), che, a proposito della difficoltà della recitazione, in
un’intervista ha dichiarato:

“È stato un film duro da girare e all’inizio ero molto nervosa, ma sentivo di essere in buone mani.
[…] Non mi era mai capitato di dover recitare di fronte a uno schermo spento, con una Go-pro e il
regista che dirigeva di volta in volta il mio sguardo. Tutto ciò che avevo era la voce di John (Cho, il
co-protagonista, ndr) che avrebbe recitato in presa diretta insieme a me, di fronte a un altro
schermo spento, e a un’altra Go-Pro, in un’altra stanza”.

Searching insomma è sì un noir classico, con una storia tesa, quasi sincopata, che avrebbe
funzionato anche senza l’espediente del racconto “a schermo”, ma è proprio con questa modalità che
ci immerge e trascina ancora di più nel racconto. Come spettatori siamo sia nella fastidiosa
posizione di vedere tutto quello che scopre David sul computer della figlia, che in quella di
involontari ma eccitati voyeur della vita di Margot e David che, come già detto, conosciamo solo
attraverso video di YouTube, chat, servizi di messagistica istantanea, videochiamate e vari servizi dei
tg sul web.

Eppure io credo, ed in questo concordo con l’analisi di Paola Casella su MyMovies.it, che il film
veicoli delle sottotrame parallele: la prima è quella dell’immigrazione, la famiglia protagonista è di
origine coreana e vive nell’America di Trump (quando è uscito il film il tycoon era ancora il
presidente). Non credo sia stata una scelta casuale, anche perché nel film Margot si smarrisce
fisicamente, ma pare aver perduto anche le proprie radici culturali e perciò risulta ancora più
vulnerabile alle insidie della nuova terra promessa. Una possibile conferma a questa tesi è il fatto
che il regista stesso è un immigrato di seconda generazione ma di origini indiane.

Ma è l’altra sottotrama, a mio modo di vedere, quella davvero importante: più che un innovativo
thriller girato attraverso gli schermi neri che affollano le nostre vite, prima ancora che un noir
vecchia maniera raccontato in maniera originale, prima ancora che una piccola rivoluzione del
linguaggio cinematografico, Searching è un dramma familiare, un vero e proprio carotaggio
socioculturale dei nostri tempi.

Tempi nei quali un social network sa più cose dei nostri figli di quanto ne potremmo mai sapere noi,
nei quali dietro ad un nickname può celarsi un grande pericolo, un mondo, quello della rete, dove
nulla è come appare e dove persino noi fingiamo, il più delle volte, di essere qualcosa di diverso da
ciò che siamo in realtà.

Come dei veri black mirror, gli schermi dei device che accompagnano quasi ogni ora delle nostre
esistenze riflettono e ci rimandano l’immagine, a volte distorta, di noi stessi, dei nostri cari e delle
nostre certezze, costringendoci a guardare – come direbbe Nietzsche – il fondo dell’abisso,
consapevoli che anche l’abisso sta guardando dentro di noi.
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Cosa altro dire di questo film?
Solo di recuperarlo e guardarlo con attenzione, “Searching”, è una profonda riflessione sui nostri
tempi, da cui emerge sia la nostra ignoranza sulle potenzialità, anche criminali, del web, che anche,
e questo è molto curioso, la dimestichezza che abbiamo nello smanettare sui computer al fine di
violare la privacy altrui e recuperare password e codici di accesso vari, alla faccia di chi dice che
l’analfabetismo digitale sia uno di principali problemi odierni di chi naviga la rete.

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Oscar 2021: pochi abbracci e poche
emozioni, ma tanti segnali di cambiamento
Un’edizione sottotono quella di quest’anno dei Premi Oscar, una cerimonia in sintonia con il
periodo che stiamo vivendo. Emozione contenuta, poche risate, pochissimi abbracci e non poteva
essere diversamente visto il momento storico. Molti pronostici sono stati disattesi e non c’è stato un
vero e proprio fuoriclasse che ha sbaragliato la concorrenza, però sicuramente “Nomadland” è
stato il film che ha lasciato più il segno rispetto ad altri, vincendo come Miglior film, Migliore
attrice protagonista, premiando l’intensa Frances McDormand, e Miglior regia per la regista
cinese Chloe Zhao, un tris di donne che non si vede spesso e che rappresenta un bel segnale di
cambiamento.

L’Italia torna a casa a mani vuote perché le candidature per Miglior trucco e Migliori costumi
per il film “Pinocchio” di Matteo Garrone (qui la mia intervista al costumista candidato Massimo
Cantini Parrini) sono state, invece, vinte dal film “Ma Rainey’s Black Bottom” di George C.
Wolfe.

La cantante Laura Pausini, candidata per la miglior canzone con “Io sì” del film “La vita davanti
a sé” è stata battuta dalla bellissima “Fight For You” del film “Judas and the Black Messiah”.
Del film girato in Puglia “La vita davanti a sé” e del cortometraggio d’animazione che ha vinto
l’Oscar “Se succede qualcosa, vi voglio bene” ne abbiamo parlato alla loro uscita.

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e Zhao, premiata con l’Oscar come Miglior regista per “Nomadland”, film che si aggiudica
anche l’Oscar più importante, quello del Miglior Film.

Resta il fatto che, anche senza un vero e proprio capolavoro, i vari film candidati per tutti i premi
sono interessanti e vale la pena vederli.

Qui di seguito i vincitori:
Miglior film
The Father
Judas and the Black Messiah
Mank
Minari
Nomadland
Una donna promettente
Sound of Metal
Il processo ai Chicago 7

Miglior regia
Thomas Vinterberg, Un altro giro
David Fincher, Mank
Lee Isac Chung, Minari
Chloe Zhao, Nomadland
Emerald Fennel, Una donna promettente

Miglior attrice protagonista
Viola Davis, Ma Rainey’s Black Bottom
Andra Day, The United States vs. Billie Holiday
Vanessa Kirby, Pieces of a Woman
Frances McDormand, Nomadland
Carey Mulligan, Una donna promettente

Miglior attore protagonista
Riz Ahmed, Sound of Metal
Chadwick Boseman, Ma Rainey’s Black Bottom
Anthony Hopkins, The Father
Gary Oldman, Mank
Steven Yeun, Minari
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es McDormand, in una scena del film “Nomadland”, premiata come Migliore attrice
protagonista.

Migliore attrice non protagonista
Maria Bakalova, Borat – Seguito di film cinema
Glenn Close, Elegia americana
Olivia Colman, The Father
Amanda Seyfried, Mank
Yuh-Jung Youn, Minari

Miglior attore non protagonista
Sacha Baron Cohen, Il processo ai Chicago 7
Daniel Kaluuya, Judas and the Black Messiah
Leslie Odom, Jr., Quella notte a Miami…
Paul Raci, Sound of Metal
Lakeith Stanfield, Judas and the Black Messiah

Miglior film in lingua non inglese
Un altro giro, Danimarca
Better Days, Hong Kong
Collective, Romania
The Man Who Sold His Skin, Tunisia
Quo Vadis, Aida?, Bosnia Erzegovina

Miglior fotografia
Judas and the Black Messiah
Mank
Notizie dal mondo
Nomadland
Il processo ai Chicago 7

Miglior sceneggiatura originale
Judas and the Black Messiah
Minari
Una donna promettente
Sound of Metal
Il processo ai Chicago 7

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in una scena del film The Father, per il quale ha vinto l’Oscar come Miglior Attore
protagonista.

Miglior sceneggiatura non originale
Borat – Seguito di film cinema
The Father
Nomadland
Quella notte a Miami…
La tigre bianca

Miglior film d’animazione
Onward
Over the Moon – Il fantastico mondo di Lunaria
Shaun, vita da pecora: Farmageddon
Soul
Wolfwalkers – Il popolo dei lupi

Miglior documentario
Collective
Crip Camp – Disabilità rivoluzionarie
The Mole Agent
Il mio amico in fondo al mare
Time

Miglior cortometraggio documentario
Colette
A Concerto Is A Conversation
Do Not Split
Hunger Ward
A Love Song for Latasha

Miglior cortometraggio d’animazione
Burrow
Genius Loci
Se succede qualcosa, vi voglio bene
Opera
Yes-People

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ar 2021 come Miglior Attrice non protagonista, grazie al ruolo dell’anziana nonna Soonja
nel film Minari.

Miglior cortometraggio
Feeling Through
The Letter Room
The Present
Two Distant Strangers
White Eye

Migliore colonna sonora
Da 5 Bloods – Come fratelli
Mank
Minari
Notizie dal mondo
Soul
Migliore canzone originale
“Fight for You” – Judas and the Black Messiah
“Hear My Voice – Il processo ai Chicago 7
“Husavik” – Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga
“Io sì (Seen)” – La vita davanti a sé
“Speak Now” – Quella notte a Miami…

Migliori effetti visivi
Love and Monsters
The Midnight Sky
Mulan
L’unico e insuperabile Ivan
Tenet

Migliori trucco e acconciature
Emma
Elegia americana
Ma Rainey’s Black Bottom
Mank
Pinocchio

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car Miglior Attore non protagonista per il film Judas and the Black Messiah.

Migliore scenografia
The Father
Ma Rainey’s Black Bottom
Mank
Notizie dal mondo
Tenet
Migliori costumi
Emma
Ma Rainey’s Black Bottom
Mank
Mulan
Pinocchio

Miglior montaggio
The Father
Nomadland
Una donna promettente
Sound of Metal
Il processo ai Chicago 7

Miglior sonoro
Greyhound – Il nemico invisibile
Mank
Notizie dal mondo
Soul
Sound of Metal

Non ci resta che recuperare questi film e attendere i nostri Oscar italiani, i David di Donatello, in
programma per l’11 maggio 2021.

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I film italiani in uscita a Maggio 2021
Le tanto auspicate riaperture, porteranno a partire dal prossimo mese, ad una rinascita del cinema
in sala. Le povere e martoriate sale cinematografiche, chiuse ormai dallo scorso ottobre, sperano che
con la bella stagione, si possa ritornare a gustare “in presenza”, la magia incantatrice del Cinema.

Il prossimo mese, ovvero Maggio, sarà un banco di prova per tante cose, sarà un banco di prova per
la cultura, pronta a ripartire e sarà un banco di prova per capire l’efficacia della campagna di
vaccinazione, essenziale, lo ricordiamo, per ritornare “alla vita”.

A Maggio, in sala, usciranno ben 12 pellicole italiane, a   conferma della “nuova” vitalità del nostro
cinema. Molto atteso, in uscita il prossimo 20 maggio, è    Il cattivo poeta, nel quale uno strepitoso
Sergio Castellitto veste i panni del sommo e discusso       poeta Gabriele D’Annunzio. Un film del
regista Gianluca Jodice, per una parabola archetipica       sul potere e sulla libertà di pensiero, con
evidenti riferimenti ai tempi attuali.

La settimana dopo (27 maggio) si continua a veleggiare alto, con Valeria Golino, che con Fortuna
ci porta all’interno di una favola nera a metà tra cronaca e fantascienza. Una trama molto
particolare, che è nello stesso tempo anche una sorta di thriller psicologico in salsa italiana. E’ la
storia di una bambina che ha smesso di parlare. Si chiama Nancy, o forse Fortuna. Vive con la madre
in un casermone della periferia del napoletano che è un non-luogo metafisico alienato e alienante,
pieno di corridoi lungo i quali ci si perde, e dei quali non si vede la fine. La bambina frequenta una
psicologa che cerca di capire perché non parli più. Sopra il casermone c’è un terrazzo dove si fanno
feste rionali e dove i piccoli condomini giocano: fra questi Anna e Nicola, una bimba fantasiosa e un
bambino bullizzato dai ragazzini più grandi. Tutti hanno segreti troppo giganti per essere raccontati.
E tutti hanno paura del lupo. Il regista Nicolangelo Gelormini, al suo esordio assoluto nel
lungometraggio, è un uomo che conosce il cinema, nonostante la giovane età. A conferma di ciò è
cresciuto all’ombra di Paolo Sorrentino, dal quale è riuscito a carpirne, atmosfere, situazioni e stile.
Ne sentiremo certamente parlare nei prossimi anni.

SI è parlato di Valeria Golino e della propensione del nostro cinema, avvertibile molto chiaramente
negli ultimi anni, di affidarsi sovente, alle gesta e al talento delle nostre attrici. Un esempio
lampante sarà Il buco in testa, film di Antonio Capuano, tutto declinato al femminile. La
protagonista, Maria, impersonata da Teresa Saponangelo è rabbiosa, ribelle, sanguigna, in
costante ricerca di risposte, tormentata da un’angoscia senza nome. In tutto questo l’attrice si
prende il centro della scena, anzi la domina, confermando il piacere assoluto di vederla finalmente
protagonista, in ossequio al suo grande talento finalmente pienamente evidenziato. Il regista si
ispira ad una storia vera, un episodio molto noto degli anni di piombo: il giorno in Via De Amicis
immortalato dalla foto simbolo dell’epoca in cui l’autonomo Giuseppe Memeo, a gambe divaricate,
punta a due mani una pistola contro la polizia. Quel giorno perse la vita il vicebrigadiere Antonio
Custra, lasciando vedova la moglie incinta. E Capuano immagina le ricadute di quell’episodio su tutti
coloro che ne sono stati coinvolti: una moglie, una figlia, un killer in cerca di redenzione, una
generazione perduta. Un film che ci sentiamo pienamente di consigliare, non solo perché
ricostruisce una tragica “storia italiana”, che non merita di essere scordata; ma anche per la
precisione sociologica che lo renderà uno dei film in costume più importanti degli ultimi anni.

Nello stesso mese usciranno anche altri film, che citiamo in maniera fugace. Ad esempio Maternal,
film di Maura Delpero, ancora tutto declinato al femminile, perché è infatti la storia di tre donne a
confronto con maternità e religione; e poi Regina di Alessandro Grande; e soprattutto Alida, di
Mimmo Verdesca, dedicato alla figura di una delle dive più importanti della storia del cinema
italiano, ovvero Alida Valli. Un ritratto inedito della grande attrice, che siamo sicuri, farà
emozionare il pubblico in sala.

Insomma la ripartenza “in presenza” promette bene, tanti film interessanti già a partire dal prossimo
mese, nella speranza che questa ripartenza possa essere quella definitiva, anche e soprattutto per il
settore culturale, che, lo ricordiamo, è stato quello più pesantemente condizionato dalla pandemia.

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Giornata mondiale del Libro: AIE conferma
la crescita del mercato dei libri anche nel
primo trimestre 2021 (+26,6%)
L’editoria italiana nel primo trimestre del 2021 è in forte crescita!
Secondo i dati elaborati dall’Associazione Italiana Editori (AIE), dal primo gennaio al 28 marzo
2021 le vendite dei libri a stampa a prezzo di copertina nei canali trade (librerie, online e grande
distribuzione organizzata) sono cresciute del 26,6% a valore e del 26,7% a copie vendute rispetto
allo stesso periodo dell’anno precedente, consolidando tra l’altro un trend iniziato nella seconda
metà del 2020.

  Sul sito dell’AIE si legge:
  I dati mostrano cambiamenti di grande rilievo nei canali di vendita e nella struttura del mercato. I
  canali fisici (librerie e grande distribuzione) passano dal 73% del 2019 al 57% di fine 2020, al 55%
  a marzo di quest’anno. Le librerie online, che rappresentavano il 27% nel 2019 e il 43% nel 2020,
  raggiungono il 45% nel primo trimestre dell’anno. Le librerie indipendenti, maggiormente
  presenti nelle periferie e nei piccoli centri, passano dal 22% di fine 2019 al 18% di fine 2020 e,
  quindi, al 16% di fine marzo.

  La 18App, in particolare, ha confermato la propria efficacia anche nell’avvio del nuovo anno: tra
  gennaio e febbraio i 18enni hanno utilizzato per l’80% questo strumento per acquisti di libri a
  stampa, pari complessivamente a 75 milioni di euro. Il 91% degli acquisti sono stati effettuati
  nelle librerie online.

  La quota dei piccoli e medi editori, trainata dall’online, è cresciuta costantemente nel corso degli
  anni, passando dal 39,5% del 2011 al 47,5% del 2019, al 50,9% del 2020, fino a toccare il 54,1%
  tra gennaio e marzo 2021.

Il presidente di AIE Ricardo Franco Levi, a proposito di questi ottimi numeri, ha dichiarato:

“Siamo di fronte a un incremento importante che si accompagna alla crescita della lettura, come è
documentato nel libro bianco del Cepell (nel 2020 sono lettori il 61% degli italiani nella fascia d’età
15-74 anni, contro il 58% dell’anno precedente). Questi dati confermano la bontà delle politiche di
sostegno al settore proposte da tutta la filiera del libro unita, l’Associazione Italiana Bibliotecari
(AIB), AIE, Associazione Librai Italiani (ALI), e messe in atto nel 2020 da governo e parlamento. Ci
riferiamo in particolare al sostegno della domanda tramite la 18App, la Carta Famiglia, il
finanziamento degli acquisti delle biblioteche nelle librerie di prossimità, tutte misure che chiediamo
siano confermate e stabilizzate”.
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Complice la pandemia da Coronavirus, le limitazioni agli spostamenti personali e la totale chiusura
di tutti gli altri comparti culturali (cinema, teatri, concerti e spettacoli dal vivo), il libro diventa non
solo il fedele compagno di tante ore passate a casa, ma anche un rifugio, uno sfogo e un’occasione
per la crescita culturale personale che riunisce in sé tanti vantaggi: praticità, economicità e grande,
se non inesauribile, disponibilità di argomenti.

Anche noi di Smart Marketing abbiamo sempre creduto nel valore e potenza del libro e della
lettura, tanto che, oltre alla nostra rubrica dedicata, anche il nostro nuovo format di dirette
Facebook “Incontri ravvicinati” è nato e si è sviluppato “principalmente” intorno all’oggetto libro
e su quanto possa essere utile per sviluppare le nostre competenze specifiche e soprattutto
trasversali.

In un annus horribilis per il mondo della cultura, è come se tutti noi avessimo compreso il vero
valore delle cose che ci circondano riabilitando un oggetto, il libro e una pratica, la lettura, con i
quali noi italiani non avevamo troppa dimestichezza.

Vuoi vedere che alla fine qualcosa di buono questa pandemia l’ha fatta?

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Il podcast che ti fa scoprire l’A.I. -
L’intelligenza artificiale in azienda? La si
porta così. Con Marina Geymonat

Tutti, o quasi, conosciamo la regola mnemonica per il gioco del Poker per
ricordare il valore dei semi delle carte.
È la famosa “Come Quando Fuori Piove” dove le iniziali delle quattro parole “C – Q – F – P” ci
aiutano a ricordare la gerarchia del valore dei singoli semi “Cuori Quadri Fiori Picche”.
Ma anche quando parliamo di Intelligenza Artificiale questa tecnica mnemonica può tornarci utile
per comprendere, in particolare, a cosa stare attenti quando decidiamo di adoperare l’I.A. in
azienda, soprattutto nella forma più comunemente utilizzata dalle imprese, ossia quella della
machine learning.

A spiegarci in che maniera il “Come Quando Fuori Piove” possa tornarci utile prima di investire i
nostri budget in sistemi di Intelligenza Artificiale è Marina Geymonat, una grande esperta del
mondo aziendale (infatti è Responsabile Piattaforme di Intelligenza Artificiale per TIM) che, insieme
al giornalista di Radio IT Igor Principe, ci guiderà in questo interessantissimo 11° episodio del
podcast “Alla scoperta dell’Intelligenza Artificiale”, ideato e promosso dall’Associazione
Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA) e Radio IT (il primo podcast network italiano
sull’information technology).

Scopriremo allora che il Come/Cuore serve per comprendere che quando un’impresa decide di
investire in sistemi di Intelligenza Artificiale bisogna tenere lo sviluppo di queste tecnologie il più
possibile vicino al cuore dell’azienda. Perché solo chi lavora dentro le aziende può “guidare” gli
esperti tecnologi e informatici, reclutati in università o centri di ricerca esterni, verso la creazione di
un sistema di I.A. che risolva davvero i problemi posti in essere dall’impresa. Le intelligenze
artificiali che funzionano meglio sono proprio quelle sviluppate ad hoc o quantomeno personalizzate
all’interno delle società che poi li andranno ad utilizzare.

Il mezzo migliore per permettere che la nuova tecnologia di I.A. sia sviluppata vicino al cuore
dell’azienda è la formazione del personale interno; la formazione non deve essere iper-
specialistica, ma preparatoria, e si può attuare attraverso un piccolo master, nell’ordine della decina
di ore; il personale così formato comprenderà passo passo e “parteciperà” allo sviluppo e
all’applicazione di questa nuova tecnologia.

Il Quando/Quadri rappresenta invece i tempi e i soldi che l’azienda decide di investire in
tecnologie di I.A.. Il problema principale quando un’azienda decide di investire negli algoritmi
dell’Intelligenza artificiale è che ha fretta di vedere i risultati “mirabolanti” di cui tanto si sente
parlare in giro; ed allora succede che dopo la creazione e lo sviluppo del sistema di I.A.
personalizzato (che, come abbiamo detto, nel campo aziendale sono soprattutto sistemi di machine
learning) il management abbia fretta di risultati e spesso decida di abbandonare la nuova tecnologia,
prima che le sia stato permesso di apprendere ed elaborare i dati raccolti nel mondo reale. La fase
più importante per gli algoritmi di I.A., usciti dal laboratorio e messi al lavoro nella vita vera, sul
campo, è proprio questa fase di “addestramento”, perché più dati l’I.A. raccoglie, più evolve e più
precise e performati saranno i suoi risultati.

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eymonat, responsabile Piattaforme di Intelligenza Artificiale per TIM.

C’è poi il Fuori/Fiori, due parole perfette secondo Marina Geymonat per spiegare, attraverso
l’esempio di un “fiore trilobato” (con tre lobi/petali), quali sono gli attori necessari di cui
bisogna tener conto quanto si decide di sviluppare ed adottare in azienda delle nuove tecnologie di
I.A..

Il primo lobo del Fiore sono gli utilizzatori finali, che quelle tecnologie e quegli algoritmi
dovranno poi utilizzare. L’errore più comune delle aziende è quello di far calare dall’alto le nuove
tecnologie di I.A. che spesso dopo tanto tempo e denaro spesi per il loro sviluppo finiscono per non
essere adoperate sul campo, diventando degli investimenti fallimentari. Far partecipare “gli
utilizzatori finali” ai vari processi di trasformazione tecnologica, anche attraverso una formazione
propedeutica, è la migliore assicurazione che poi quelle stesse tecnologie vengano effettivamente
utilizzate.

Il secondo lobo del Fiore sono gli esperti di I.A., interni ed esterni all’azienda, che si sono
reclutati per sviluppare la nuova tecnologia, far dialogare i vari esperti tra loro, con il management
dell’azienda e con gli utilizzatori finali; esso permetterà di sviluppare, testare e far funzionare al
meglio le nuove tecnologie che si andranno ad adottare.

Terzo ed ultimo lobo del Fiore è rappresentato da tutto il comparto aziendale dell’information
technology: sembra paradossale, parlando di soluzioni informatiche, ma spesso gli esperti di I.A. e
gli esperti di I.T. già presenti in azienda non dialogano tra loro, decretando il fallimento della nuova
tecnologia che si va sviluppando. Questo succede perché le tecnologie dell’intelligenza artificiale
sono ritenute cosi innovative da venire isolate, o da isolarsi, dai settori dell’I.T., che invece sono non
solo fondamentali al loro sviluppo, ma saranno anche i principali fruitori dei risultati e delle soluzioni
di I.A. che si adotteranno in azienda.

Infine, l’ultimo seme, il Piove/Picche, è perfetto per spiegare tutto quello che non bisogna fare
quando si decide di sviluppare ed adottare in azienda una nuova tecnologia di Intelligenza
Artificiale. Secondo Marina Geymonat innanzitutto bisogna non rimanere ancorati alle abitudini ad
al modo di lavorare del passato, bisogna passare da una modalità lavorativa per requisiti ad una
modalità per dati ed obiettivi, poi bisognerebbe abbandonare le modalità di lavoro a “silos”, a
compartimenti stagni, che nelle aziende del passato era un metodo vantaggioso che funzionava;
nelle aziende moderne, ancor di più se decidono di adottare tecnologie dell’I.A., avere un
vocabolario comune e far lavorare i vari comparti in modalità end-to-end è fondamentale.

Il lavoro nelle aziende deve svilupparsi in ampiezza, coinvolgendo tutti quei settori che, a priori,
sembrano avere poco o nulla a che fare con l’adozione di una nuova tecnologia di I.A., perché per
addestrare al meglio le intelligenze di silicio prima bisogna formare, far dialogare ed interagire le
intelligenze degli esseri umani che lavorano fra loro e che lavoreranno con le nuove tecnologie
dell’Intelligenza Artificiale.

Se volete scoprire come utilizzare al meglio la tecnica mnemonica del “Come Quando Fuori Piove”
per capire quali sono i passi fondamentali da intraprendere in azienda prima, dopo e durante
l’acquisizione di nuove tecnologie dell’I.A., non vi resta che infilare le cuffie ed ascoltarvi questo
interessatissimo 11° episodio del podcast di “Alla scoperta dell’Intelligenza Artificiale”, che ci
propone una vera roadmap per orientarci in questi nuovi e spettacolari territori.

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Non voglio cambiare pianeta: Riflessioni
per la 51° Giornata Mondiale della Terra
All’indomani di missioni esplorative su Marte, il verso “non voglio cambiare pianeta”, tratto dalla
poesia “El Perezoso (Il Pigro)” di Pablo Neruda, suona quasi come una profezia.

Se non ce ne fossimo accorti, però, un pianeta di ricambio non l’abbiamo ancora, forse è per questo,
per salvaguardare quello in cui viviamo, che da oltre cinquant’anni si festeggia l’Earth Day (La
Giornata Mondiale della Terra).

Una giornata dedicata al nostro pianeta per porre l’attenzione e sensibilizzare i suoi abitanti su tutti
quegli squilibri ambientali e sociali che lo riguardano, concentrandosi su inquinamento, clima,
biodiversità e sviluppo sostenibile.

Nell’ultimo anno, più che in altri momenti, ci siamo resi conto di quanto gli equilibri ambientali siano
labili e quanto ci riguardino da vicino; forse ci voleva una pandemia per farci capire che se si
ammala il pianeta ci ammaliamo anche noi, che non siamo estranei al luogo in cui viviamo, ma siamo
parte di esso.

Per celebrare l’Earth Day, abbiamo deciso di tornare indietro di oltre un anno e concederci un
viaggio, seppur virtuale, tra Argentina e Cile in compagnia di Lorenzo Cherubini.

Il docu-film (o docu-trip, come Lorenzo ama chiamarlo) “Non voglio cambiare pianeta”, è un
racconto appassionato ed innamorato di paesaggi mozzafiato, incontri fortuiti e rispetto per la
natura.
Un viaggio lungo circa 4000 Km, quasi interamente in solitaria, in sella ad una bicicletta; una
sfida contro i propri limiti fisici, che Jovanotti fa alla scoperta di territori incontaminati ed alla
ricerca di sé stesso, ispirato dalla natura e dalle sue bellezze, lasciandosi accompagnare dalla
musica e dalla poesia, ma anche perdendosi nelle tante contraddizioni di città grandi e popolose,
concedendosi pure di sbagliare strada.

Un viaggio che possiamo fare anche noi spettatori, lasciandoci trasportare da quella stessa musica e
dai versi, da racconti quotidiani ed aneddoti, gratitudine per la bellezza del mondo in cui viviamo ed
un mantra su tutti: “Non voglio cambiare pianeta”.

In 16 puntate, ancora visibili su RaiPlay, girate da Jovanotti tra gennaio e febbraio 2020, Lorenzo
ci esorta a non stare fermi, ad adoperarci per salvaguardare il pianeta, ma anche a fare un viaggio
dentro di noi, il più tortuoso e difficile alla ricerca dell’equilibrio interiore.

Un viaggio nel viaggio, un percorso solitario verso pace interiore e serenità dopo un periodo di caos
(Lorenzo era reduce dai Jova Bach Party e dal bagno di folla che ne derivava), la riscoperta del
silenzio e della meditazione come cura di sé stessi e ristoro dell’anima.

Lentezza e solitudine in un periodo in cui nessuno dei due era contemplato nella società moderna,
dove tutto era velocità ed i rapporti umani consumati con voracità, tutto era moltitudine e socialità.

“Non voglio cambiare pianeta” è stato lanciato il 24 aprile 2020 su RaiPlay, era appena iniziata
la pandemia e nessuno avrebbe mai immaginato che si sarebbe protratta tanto a lungo.

Guardando le 16 puntate in quei pomeriggi di lockdown, chissà quanti di noi, ispirati da quei
racconti, si sono detti: “lo voglio fare anch’io, voglio prendere la bici e viaggiare”, “voglio perdermi
nel centro di Cordoba o di Buenos Aires”, questo perché tutti credevano che il lockdown fosse solo
una parentesi, che presto sarebbe finita.

Solitudine ed isolamento, invece, a distanza di un anno, sono la condizione normale e quel racconto
appassionato sembra lontano anni luce, quasi appartenesse ad un’altra epoca, un altro mondo di cui
non ci ricordiamo più.

Ecco perché riguardare il docu-film a distanza di un anno apre ad altre riflessioni, più intime, più
interiori: è come ascoltare il racconto di un’altra storia, guardare un altro film dove la natura prende
il sopravvento e si rivela ancora più potente in tutta la sua bellezza, ma anche le riflessioni di
Lorenzo hanno un sapore diverso, persino i gesti, come abbracci e strette di mano, sembrano alieni,
come i volti che possiamo ammirare in tutta la loro umanità senza le mascherine a nascondere le
espressioni.

Lorenzo ci fa capire che, in fondo, la solitudine non è solo una condizione negativa ma allo stesso
tempo ci fa compagnia, ci porta in viaggio con lui, così che la sua e la nostra solitudine siano più
lievi, così come ci esorta a meravigliarsi ogni giorno ed a ringraziare per quello che si ha.

A detta sua, siamo stati fortunati a nascere in questo pianeta, ecco perché mai e poi mai dovremmo
abbandonarlo a sé stesso e ne dobbiamo avere cura più di ogni altra cosa.

In fondo, basterebbe trattarlo con la stessa cura con cui trattiamo la nostra casa o come qualcosa di
prezioso e raro, basterebbe che ognuno facesse la sua parte con piccoli gesti quotidiani ma che non
smettesse mai di abbassare la guardia e chiedere rispetto per il pianeta e per chi lo abita.

Come Lorenzo ci suggerisce in una delle sue tante riflessioni di questo viaggio, il problema non è il
pianeta e le sue tante contraddizioni, il problema siamo noi e sta a noi dover cambiare per vivere in
armonia con la natura.

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Il caso dell’operaio tarantino licenziato
per aver condiviso un post su Facebook
dimostra innanzitutto, ed ancora una
volta, il nostro analfabetismo digitale
Una delle notizie che sta tenendo banco in questi giorni è quella relativa all’impiegato Riccardo
Cristello, 45 anni, sposato, con due figli, che è stato licenziato per “giusta causa” da ArcelorMittal
perché nei giorni scorsi aveva postato su Facebook uno screenshot, ritenuto denigratorio
dall’azienda, che invitava alla visione della fiction Mediaset “Svegliati amore mio”, incentrata sulla
storia di un’acciaieria e delle conseguenze sulla salute che causava alla città dove operava.

Sarebbero tante le cose da dire su questa faccenda, a cominciare dalla messa in discussione della
libertà di pensiero sancita dalla nostra Carta Costituzionale che, all’Articolo 21, nel primo
comma, afferma chiaramente che: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio
pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

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k di Riccardo Cristello

Poi potremmo continuare con le implicazioni in materia di privacy che, anche se in questo caso
paiono strettine, visto che parliamo di social, comunque ci sono: il profilo dell’operaio tarantino
rimane un profilo privato che, “ipoteticamente” ed in linea di principio, può raggiungere solo un
definito numero di contatti.

Poi ci sarebbero le sempre presenti e, ahimè, mai sufficientemente approfondite questioni etiche e
morali.

Infine, le “opinioni personali” sugli aspetti comunicativi della faccenda: su quanto sia stato
avventato o meno il post di Riccardo Cristello e su quanto sia stata esagerata o meno e,
probabilmente, alla fine controproducente la reazione di ArcelorMittal, che forse poteva fermarsi
all’ammonimento ed alla sospensione, senza arrivare al licenziamento.

Ma quello che secondo il mio parere è forse il punto vero della situazione, e parlo da direttore
responsabile di un magazine online che si occupa di comunicazione e social media oltre che di
marketing, è un altro.

Quello che emerge con forza dal post di Riccardo Cristello è l’illusione, forse l’ingenuità, che la
nostra vita online e la nostra vita vera siano in qualche modo separate, due compartimenti stagni
che rispondono a regole e leggi differenti.

Questa idea degli universi paralleli la vediamo all’opera con forza in tanti ambiti dalla
contrapposizione fra bullismo/cyberbullismo, fra odio dal vivo/odio in rete, fra le affermazioni
pubbliche/sui post, siamo, almeno molti di noi e soprattutto in determinate fasce di età, convinti,
fermamente convinti, che le leggi e le regole sociali e di buon senso NON si applichino alle nostre
vite ed esperienze online.
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Beh, mi dispiace dirvelo, ma non è così. E, se ancora dopo più di 20 anni dalla rivoluzione digitale
siamo ancora qui ad interrogarci con la domanda: “vabbè, ma in fondo era solo un post, mica ha
rilasciato un’intervista”, vuol dire che non abbiamo capito nulla del mondo in cui viviamo e delle
“convenzioni” che lo regolano.

Quello che, a mio avviso, emerge da questa triste faccenda è, ancora una volta, la generale
incompetenza digitale di noi Italiani, un analfabetismo digitale che alle volte, come questa
storia dimostra, può costarci molto caro.

Dovremmo studiare internet, il web e i social (e questi termini non sono sinonimi!) a scuola fin dalle
elementari, per sviluppare una sensibilità, una coscienza, una maturità quanto mai necessarie per
utilizzare al meglio e per il nostro progresso gli strumenti della rivoluzione digitale che, mi preme
ridirlo in chiusura, ha ormai più di 20 anni.

Si tratta di una rivoluzione “adulta” a tutti gli effetti, mentre noi, la maggior parte almeno, siamo
ancora adolescenti.

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12 aprile 1961: il primo passo dell'uomo
verso la conquista dell'ultima frontiera, lo
spazio
  Quell’aprile si incendiò

  Al cielo mi donai

  Gagarin figlio dell’umanità

  E la terra restò giù

  Più piccola che mai

  Io la guardai non me lo perdonò

  E l’azzurro si squarciò

  Le stelle trovai lentiggini di Dio

  Col mio viso sull’oblò

  Io forse sognai

  E ancora adesso io volo…

Sono queste le prime strofe della canzone “Gagarin” di Claudio Baglioni, pubblicata nell’album
“Solo” del 1977. Il cantautore disse in un’intervista che si era ispirato all’articolo di un quotidiano
che riportava alcune dichiarazioni del cosmonauta russo.

Il 12 aprile del 1961, 60 anni fa, in piena Guerra fredda, l’Unione Sovietica riesce nell’impresa di
portare in orbita il primo uomo, Jurij Gagarin.
Gagarin era nato il 9 marzo 1934 nel villaggio russo di Klušino, nella provincia di Smolensk. Era un
pilota dell’aviazione russa, con un curriculum ideale per le richieste dei responsabili del programma
russo. Il padre era un falegname, e la mamma era contadina. Il primo cosmonauta della storia era
sposato con una infermiera, Valentina, ed all’epoca del suo storico primo volo orbitale Jurij era padre
di due figlie.

Fu questo l’ultimo schiaffo in faccia agli USA nella corsa allo spazio: la Russia aveva stravinto
inanellando una serie di vittorie scientifiche, ma soprattutto politiche, che la propaganda seppe
utilizzare al meglio per dimostrare la supremazia politica, sociale, economica e tecnologica del
Comunismo sul Capitalismo occidentale e, in particolare, sugli Stati Uniti d’America.

  L’URSS aveva infatti mandato nello spazio nell’ordine:
  4 ottobre 1957 lo Sputnik 1, il primo satellite artificiale mandato in orbita intorno alla Terra;

  3 novembre 1957 lo Sputnik 2, con a bordo il primo essere vivente lanciato nello spazio: si
  tratta della cagnolina Laika;

  12 aprile del 1961, il Vostok 1 (in russo: “Oriente”), con a bordo, Jurij Gagarin, il primo uomo
  ed il primo essere umano nello spazio;

  16 giugno 1963, il Vostok 6, con Valentina Tereškova, la prima donna nello spazio;

  18 marzo 1965 il Voschod 2 (in russo “Alba”), con a bordo il cosmonauta Aleksej Archipovič
  Leonov, il primo essere umano a fare una passeggiata spaziale.

Insomma, la corsa allo spazio sembrava pressoché vinta dall’URSS, e fu allora che il presidente degli
Stati Uniti John Kennedy e il vice presidente Johnson diedero una impressionante accelerata –
anche di fondi – ad un progetto che potesse catturare l’immaginazione collettiva, il Programma
Apollo (concepito, come la NASA, dall’amministrazione guidata da Dwight Eisenhower) che, come
dichiarò il presidente John Kennedy, durante una storica sessione congiunta al Congresso avvenuta
il 25 maggio 1961, aveva l’obbiettivo di far “atterrare un uomo sulla Luna entro la fine del
decennio”.

Ma la corsa allo spazio ed in particolare alla Luna furono soprattutto una prova di forza politica dei
due blocchi contrapposti. A dimostrazione di questo, basti pensare che, nelle 17 missioni del
Progetto Apollo (anche se ufficialmente furono 33), anche se quest’ultimo programma stimolò
progressi in molti settori delle scienze e delle tecnologie, tra cui avionica, informatica e
telecomunicazioni, solo uno scienziato riuscì a mettere piede sulla Luna, il geologo Harrison
Schmitt della missione Apollo 17, lanciata il 7 dicembre 1972 ed allunata il 11 dicembre e che
chiuse, definitivamente, il Programma Apollo e l’interesse degli USA per la corsa al nostro satellite.
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ij Gagarin, primo uomo nello spazio il 12 aprile 1961.

Oggi assistiamo all’interesse per Marte, sia da parte delle nazioni che dei privati, e lo spazio, e
l’ignoto e l’avventura che rappresenta, stanno stimolando il progresso tecnologico e scientifico come
poche altre sfide mai intraprese. La scienza, e quindi la conseguente cooperazione internazionale,
sembra farla da padrone, anche se per adesso a dettare legge è ancora il cinema con tutta una serie
di film che cercano di anticipare i sogni, le ansie, le problematiche e le possibili implicazioni
filosofiche, psicologiche ed etiche di una colonizzazione spaziale che parta proprio dal pianeta rosso.

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LOL: Chi ride è fuori. Il successo
strepitoso del format Amazon che
intercetta il nostro bisogno di disimpegno
e fancazzismo
Lo scorso 8 aprile, con la pubblicazione sulla piattaforma Amazon Prime Video delle ultime 2
puntate, si è concluso il trionfale, e per molti aspetti inatteso, successo della prima stagione del
nuovo format “LOL: Chi ride è fuori”.

Semplicissima, quasi banale, la regola del programma, che prevedeva di riunire in un teatro video
sorvegliato da un’infinità di telecamere (in realtà un set perfettamente ricostruito negli studi di
Cinecittà) 10 comici e farli interagire per 6 ore, al fine di farli ridere; ma chi ride per due volte
consecutive viene eliminato, finché non rimane un solo concorrente che vince, con l’impegno di
devolvere in beneficenza la bella somma di 100mila euro.

Insomma, in pratica, si tratta del gioco, praticato da tutti noi alle elementari e medie, di fissarsi negli
occhi e vedere chi scoppia a ridere per primo. Infatti il successo strepitoso di questo format non è
certo nella scrittura, praticamente assente, ma proprio nella formula di questo gioco infantile che,
però, tutti quanti noi conosciamo e nel quale in un certo senso ci riconosciamo.

Fra le ragioni del successo, sicuramente c’è anche il cast di questa prima serie di 6 puntate,
composto in egual misura da comici navigati e nuove leve, che sono: Elio, Frank Matano, Caterina
Guzzanti, Katia Follesa, Michela Giraud, Ciro e Fru dei The Jackal, Angelo Pintus, Lillo e Luca
Ravenna. E se a molti di noi Michela Giraud non viene subito in mente, e il giovane ma talentoso
stand-up comedy man Luca Ravenna non ci dice nulla, per gli altri 8 concorrenti davvero non c’è
bisogno di presentazione, rappresentando, nel loro insieme, un bellissimo spaccato del gotha della
comicità italiana degli ultimi 20 anni.

Sicuramente hanno avuto il loro merito i due presentatori, Fedez e Mara Maionchi, già
ampiamente rodati da tante co-conduzioni di talent e programmi di successo.

Il programma ha fatto pure vedere quanto talento, studio e metodo si celi nella naturalezza delle
improvvisazioni singole e di gruppo dei vari comici, con alcune scene, momenti e gag che, siamo
sicuri, entreranno nella storia della programmazione televisiva, oltre a diventare un’infinità di meme
e tormentoni sui vari social.

Ma non sono stati i comici, i conduttori, né la formula semplice del gioco a decretare il successo di
questo format, quello che credo davvero sia successo (ed in questo sono d’accordo con l’analisi di
Stanlio Kubrick su Esquire) è che un programma come “LOL: Chi ride è fuori” intercetti e
soddisfi quell’impellente bisogno di leggerezza, disimpegno e “sano” fancazzismo che in questo anno
di pandemia ci è tanto mancato.

La voglia di stare con gli amici riuniti in un ambiente (chiuso!) a dire cazzate e farsi scherzi è il
motore del successo di questo programma, sono convinto che molti fan avrebbero voluto essere lì
con i loro idoli comici per passare 6 ore, questa la durata dell’intera performance, a cercare di far
scoppiare a ridere tutti gli altri concorrenti.

Chi di noi non avrebbe voluto vedere le imitazioni di Pintus? Chi di noi non avrebbe voluto soffrire
con il povero Frank Matano, diventato il bersaglio di molti colleghi, fra cui Elio? Chi non avrebbe
voluto vedere le strepitose gag di Katia Follesa e Ciro dei The Jackal? Od ancora, chi di noi non
avrebbe riso a crepapelle davanti alle performance surreali e geniali di Lillo, vero mattatore del
programma, o non avrebbe voluto provare a scardinare la granitica imperturbabilità di Caterina
Guzzanti?

Insomma, il successo di “LOL. Chi ride è fuori” è imputabile in buona parte al nostro bisogno di
normalità, quella normalità semplice e un po’ banale pre-Covid19, in cui si rideva e scherzava al
tavolino di un bar con tre o quatto amici e si parlava di cose buffe, leggere, semplici, ma non per
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