La Copertina d'Artista - Just Working - L'editoriale di ...
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La Copertina d’Artista - Just Working Una ragazza bellissima ci osserva dalla copertina di questo mese. Sembra uscita da una rivista patinata di moda, il trucco è perfetto, l’espressione intensa, tutto concorre a farci capire che questa è una modella di esperienza, ma questa è solo una parte della storia, la copertina di questo numero ha molte più storie da raccontarci. Innanzitutto la cosa più evidente, metà viso della ragazza è coperto da una vecchia finestra spalancata da cui è affacciata un’altra donna, questa senza volto. D’un tratto e quasi senza preavviso l’artista ci trasporta in un mondo etereo e surreale. E c’è di più, lo sfondo è rarefatto e indefinito e due pesci rossi svolazzano intorno alla testa della
ragazza. Non c’è che dire, quest’opera è davvero un colpo basso alle nostre “prime impressioni”, ai nostri
preconcetti, fors’anche alle nostre più radicate convinzioni in fatto di arte. Come siamo passati dalla più classica delle immagini da copertina di moda alla Vanity Fair alle suggestive ed un po’ inquietanti opere alla Magritte o alla De Chirico? Cosa ci sta “raccontando” l’artista di questo numero? Perché mai per rappresentare il nostro rapporto con lo “smart working” ha scelto un’immagine comune, commerciale quasi, e al tempo stesso così surreale che ricorda anche le celebri fotografie dell’artista tedesca Loretta Lux?
Proviamo come sempre ad azzardare qualche spiegazione, forse la ragazza senza volto alla finestra rappresenta la progressiva perdita di identità alla quale il lavoro in remoto ci sta portando. Lavoriamo, ci incontriamo, facciamo riunioni, addirittura aperitivi filtrati dai pixel di uno schermo, le nostre facce sono sempre in bassa risoluzione, i nostri dialoghi metallici, le nostre connessioni e conversazioni piene di interruzioni e ritardi. Scopri il nuovo numero: Just Working La pandemia è stato un fortissimo shock che ha interessato tutti gli aspetti della nostra vita e il mondo del lavoro è certamente tra questi. Dal telelavoro allo smart working, passando per il south working, vedremo come sta velocemente cambiando il concetto di lavoro. Forse l’artista di questo mese, Grace Green, al secolo Natascia De Nigris, vuole dirci che anche con tutte le nostre connessioni veloci, la fibra, gli smartphone ultimo modello e i mega schermi HD, le nostre interazioni sociali stanno diventando sgranate, tremolanti ed a bassa definizione? Stiamo diventando più efficienti sul lavoro, ci spostiamo meno ed inquiniamo meno, risparmiamo
soldi e tempo, ma forse stiamo perdendo un po’ di concretezza e con essa un poco di verità? Forse, spingendo un po’ più in là la nostra interpretazione, potremmo pensare che la finestra dell’opera richiama quella del più celebre sistema operativo del pianeta, quel Windows, pubblicizzato da sempre come una finestra sul mondo, ma che oggi, dopo due mesi di lockdown, ed altri due di Fase 2 e 3, rischia di diventare la nostra unica veduta sulla realtà? “Non mi riconosco più”, è questo il titolo scelto per quest’opera e dissipa ogni nostro residuo dubbio sulle intenzioni dell’artista. Grace Green ci dice, senza mezzi termini, che ci siamo persi, non sappiamo dove andare, né da dove veniamo, viviamo sospesi in un limbo, affacciati alla finestra, cercando inutilmente un punto di riferimento, un panorama familiare, ma è tutto tempo perso perché, la verità, è che noi non sappiamo più chi siamo.
Noi non possiamo che raccogliere il sagace ed irriverente ammonimento dell’artista, sperando di imparare a dosare vecchio e nuovo, smart working e lavoro tradizionale, virtuale e reale, per non perdere alcune delle cose che ci rendono autentici esseri umani. Sia quello che sia, Grace Green ci ricorda ancora una volta che l’arte ci costringe a riflettere ad un grado di profondità maggiore, ci esorta a pensare e in ultima istanza, ed è la cosa più importante, ci addestra al cambiamento. Natascia De Nigris, in arte Grace Green, è una visual artist di origini leccesi nata nel 1984. Ecclettici e variegati la sua produzione ed i suoi interessi, che spaziano dal restyling di mobili antichi alla musica (dove si è distinta come producer), dalla creazione di una linea di accessori alla fotomapilazione, sino ad arrivare ad una linea di t-shirt dedicata alla natura, all’amore e all’universo. Il suo stile estremamente personale è connotato da un surrealismo che mischia abilmente antico e moderno, classico e pop, innovazione e tradizione. Dal 2017 sino ad oggi ha collaborato con vari artisti di tutto il mondo creando per loro delle cover art per cd, vinile e libri, qualche nome: Bonbooze, Cafiero, P.Savant, Aaron b. Able, No Finger Nails, Kiriku e molti altri. Per contattare l’artista Natascia De Nigris, in arte Grace Green: natashadenigris@gmail.com Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter
Just Working - L'editoriale di Ivan Zorico Il 21 febbraio di quest’anno abbiamo riportato un forte shock. Non tutti in quella data lo hanno davvero avvertito, ma nelle settimane successive tutti ci abbiamo fatto i conti. Abbiamo scoperto che la normalità era un concetto fragile perché fragili eravamo noi che ne facevamo parte. Ci siamo scoperti insicuri, impauriti e delicati; in una parola umani. Via le certezze, via le abitudini, via il rumore. Bloccati come eravamo nelle nostre case, abbiamo avuto tempo per pensare e per guardare, da spettatori, la nostra vita. C’è stato chi ha vissuto questo tempo in maniera molto negativa, chi ha reagito prontamente e chi ha iniziato a lavorare su stesso. Abbiamo cercato di replicare e portare avanti quegli aspetti centrali della vita di tutti noi: le relazioni e il lavoro. Come mai prima di allora ci siamo aggrappati alla tecnologia, un po’ per sentirci meno soli e un po’ per cercare di continuare a fare quello che facevamo prima, ma in modo nuovo. Abbiamo quindi mantenuto relazioni a distanza e abbiamo continuato a lavorare e a portare avanti progetti grazie alle varie app di video chat e ai vari software di gestione e condivisione del lavoro. Certo non tutti i lavori potevano e possono essere eseguiti in questa modalità, ma per quelli che lo consentivano è stata una sorta di rivoluzione. Come in tutte le cose, c’è chi è stato fortunato e chi no. L’abbiamo impropriamente chiamato smart working, più verosimilmente era (ed è) remote working o telelavoro che dir si voglia, ma la sostanza per certi versi non cambia: molte persone dalla sera alla mattina si sono trovate a lavorare da casa piuttosto che dalla solita scrivania dell’ufficio. Non tutte le aziende erano pronte a far fronte a questa nuova sfida: il lavoro in versione smart/remote non significa meramente spostare un computer dalla scrivania dell’ufficio a quella di casa, ma significa avere processi, organizzazione aziendale, strumentazioni, persone preparate, consolidati valori aziendali, capacità manageriali, etc. etc.. Insomma è ben più complicato di quel
che possa apparire superficialmente. Scopri il nuovo numero: Just Working La pandemia è stato un fortissimo shock che ha interessato tutti gli aspetti della nostra vita e il mondo del lavoro è certamente tra questi. Dal telelavoro allo smart working, passando per il south working, vedremo come sta velocemente cambiando il concetto di lavoro. Talmente complicato che, dati alla mano, sul finire del 2019 solo il 58% delle grandi aziende aveva aperto al lavoro a distanza, mentre i numeri riguardanti il mondo della Pubblica Amministrazione e delle PMI erano ancora più infelici. Poi, come detto, c’è stato questo forte shock – il lockdown – che ha velocizzato un processo di rinnovamento che, seppur in atto, faticava a prendere davvero piede. La rivoluzione del lavoro. Tra le caratteristiche più spiccate che possono essere riconosciute alla tecnologia c’è quella di amplificare le risorse, di creare nuove opportunità e, soprattutto, di rimodellare il mondo in cui viviamo. In questi anni tutti i settori sono stati intercorsi da cambiamenti sostanziali e trasversali. E poteva il mondo del lavoro restarne fuori? Sicuramente no. E non si tratta solo del modo di lavorare o di un singolo software. Si tratta di molto di più. Quando si parla di rivoluzione digitale si usa il termine disruptive e lo si usa in quanto certe innovazioni segnano nettamente un solco tra il prima e il dopo. Per natura siamo abituati a concepire il cambiamento come qualcosa di lento e progressivo. Ma, appunto, quando ci si trova di fronte ad un certo tipo di trasformazioni, la linea del cambiamento si impenna esponenzialmente. E quando accade è impossibile tornare indietro. In questi mesi abbiamo scoperto che si può lavorare proficuamente anche non recandoci in ufficio. Le persone hanno riscoperto il valore del tempo e ripensato interamente alle proprie vite. Sarà difficile, come qualcuno anche con una certa miopia afferma, far tornare indietro le lancette dell’orologio a prima del 21 febbraio. Il processo di rinnovamento è in atto e difficilmente lo si potrà fermare. Magari si potrà tamponarlo per qualche tempo, ma quando la marea sale non c’è diga che tenga. D’altronde si parla solo di lavoro, su quello si viene misurati. Non si è lavoratori più produttivi se si usa una scrivania in un luogo piuttosto che in un altro. Non si diventa professionisti migliori se si lavora in una specifica città piuttosto che in un’altra. Quello che importa sono i risultati e le connessioni e, come abbiamo visto, si possono raggiungere e mantenere anche online. Chi non lo comprende oggi, sarà comunque superato dai tempi domani.
Ti è piaciuto? Hai qualche considerazione in merito? Fammelo sapere nei commenti. Rispondo sempre. Se vuoi rimanere in contatto con me questo è il link giusto: www.linkedin.com/in/ivanzorico Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Just Working - L’editoriale di Raffaello Castellano Non so se vi ricordate un episodio dei Simpson della 7 stagione, “Maxi Homer”, andato in onda in Italia per la prima volta il 4 maggio 1996. Ebbene, nell’episodio in questione Homer è stanco di andare a lavorare alla Centrale Nucleare a causa degli esercizi ginnici che il il sig. Burns ha deciso di far fare ai suoi dipendenti ogni mattina; allora con l’aiuto di suo figlio Bart decide di ingrassare fino a 130 chili per poter essere dichiarato invalido e poter lavorare da casa in modalità remota con un video terminale.
A rivederlo oggi, questo episodio non dimostra affatto di avere 25 anni suonati, sembra anzi attualismo e pensato e disegnato non più di 2 anni fa. Ma l’attualità dei Simpson, più volte rimarcata da insigni studiosi e critici, è, se possibile, in questo caso ancora più significativa, visto che lo smart working è, dall’inizio della pandemia di Coronavirus, a febbraio di quest’anno, uno degli argomenti più caldi e dibattuti non solo dal circo mediatico e politico, ma anche dai comuni cittadini. La domanda ineludibile è: “Lavorare da casa è solo un vantaggio, oppure nasconde anche delle insidie?” Come sapete, mi piace essere controcorrente e su questo tema ho già ampiamente discusso con l’amico Ivan, che invece è pienamente a favore dello smart working; io voglio invitare voi lettori ad una riflessione più ampia ed articolata. Credo che per taluni lavori prettamente “impiegatizi” e che prevedano l’uso principale del computer il lavoro a distanza, il tele lavoro, lo smart working, siano in effetti un grande vantaggio. Pensiamo alle ore risparmiate per recarsi in ufficio, al traffico, ai mezzi pubblici, al problema del parcheggio, all’inquinamento ed allo stress derivante dal dover essere sempre di corsa ed affannati. Detto questo però, pensiamo all’altro lato della medaglia: da sempre il posto di lavoro e la nostra abitazione sono stati due posti separati, gli antropologi ci hanno spiegato che sono state le battute di caccia dell’uomo delle caverne ad essersi poi evolute nei vari lavori. Certo, potrete dirmi che questo vale soprattutto per una società maschilista come la nostra: la donna delle caverne in effetti rimaneva “a casa” per sistemare giaciglio e focolare, ma questa concezione è ovviamente ampiamente superata, oggi le donne che lavorano sono tantissime e, benché non abbiano ancora i diritti e gli stipendi dei colleghi maschi, molto si sta facendo per annullare queste differenze di genere. Ma il tema che ci interessa qui è quello del lavoro: per centinaia, migliaia di anni, il posto in cui esso era svolto e la casa sono stati separati da distanze più o meno ampie, l’ufficio e la casa erano due luoghi distinti e diversissimi fra loro.
Allora forse dovremmo chiederci: “Quali vantaggi offriva, ed offre, questa separazione geografica?” Innanzitutto i vantaggi sono di tipo psicologico e neurologico: il nostro cervello si è evoluto per campionare ed interpretare una miriade di impulsi, la ripetività di un compito o di uno stimolo, alla lunga annoia il nostro cervello e di conseguenza la nostra concentrazione. In pratica vedere sempre lo stesso ambiente impigrisce la nostra attenzione, e cosa c’è di più noioso che lavorare sempre nello stesso ambiente, che per giunta non ho fatto alcuna fatica a raggiungere? Se il mio smart working si svolge nello studio o nella cucina di casa mia, e per raggiungerlo ho dovuto fare solo pochi metri, quanto tempo ci metterà il mio cervello ad annoiarsi? In secondo luogo, pensiamo alle interazioni che il lavoro in ufficio ci offre, il caffè e le chiacchiere con i colleghi, le interazioni sociali, gli stimoli visuali, olfattivi ed uditivi sempre nuovi che il posto di lavoro ci trasmette. Scopri il nuovo numero: Just Working La pandemia è stato un fortissimo shock che ha interessato tutti gli aspetti della nostra vita e il mondo del lavoro è certamente tra questi. Dal telelavoro allo smart working, passando per il south working, vedremo come sta velocemente cambiando il concetto di lavoro. A tal proposito mi viene in mente un’altra serie tv. Vi ricordate la sitcom Camera Cafè? Il suo successo fu immediato e strepitoso, non solo perché Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu erano bravissimi a circondarsi di attori e caratteristi strepitosi, ma perché le vicende che raccontavano, benché esagerate e grottesche, erano vere o quantomeno verosimili. Camera Cafè metteva in scena il micro-cosmo dell’ufficio, con le sue gelosie, cattiverie, ipocrisie, scherzi, amori e drammi, concentrandoli e distillandoli in un piccolo e circoscritto “non luogo”, come appunto la camera che ospita la macchinetta del caffè, il punto ristoro dell’ufficio. https://youtu.be/M9TGSjaczF4 Ed ancora, uno dei problemi che anche i fedeli adepti dello smart working ammettono è che lavorando a casa diviene molto difficile gestire gli orari del lavoro stesso. Molti dei lavoratori che hanno optato per lo smart working hanno dichiarato, a più riprese, che le ore di attività erano molte di più di quelle svolte in ufficio. Certo, questo ha aumentato la produttività, e le aziende ne sono più che soddisfatte, ma la “qualità della vita” degli impiegati è molto peggiorata. Il riposo, lo svago, gli orari certi e cadenzati del lavoro e del tempo libero sono anche questi molto radicati nel nostro cervello, cambiare orari è difficile; pensate a quello che vi succede durante i primi giorni di ferie o al ritorno dalle stesse. Cosa ancora più significativa, il maggior impegno lavorativo era messo in pratica dagli impiegati stessi, senza imposizioni aziendali e in maniera quasi inconscia, il che dimostra la necessità di divisione geografica, fisica e temporale che il posto di lavoro e la casa dovrebbero mantenere. Infine, ci sono da considerare il problema degli spazi condivisi, dei figli, delle connessioni e dell’accesso ai videoterminali, non tutte le case infatti hanno abbastanza stanze, la banda larga o più di un computer per lavorare; molte famiglie magari hanno uno o più figli che rivendicano spazi ed
attenzione. Lavorare da casa ha, quindi, anche i suoi lati negativi, come diversi analisti e giornalisti hanno rilevato, tra i quali ci piace l’ironica sintesi di Francesco Specchia che ne parla in un recente TgPOP (e che noi abbiamo intervistato nello scorso numero sulla comunicazione). Allora, veniamo alla mia tesi, tra l’altro supportata dagli psicologi del lavoro: siamo sicuri che rinunciare al micro-cosmo dell’ufficio, con le sue interazioni, anche quelle più frivole, sia dal punto di vista della nostra “ecologia mentale” conveniente? Beh, io penso proprio di no! Ed ancora, lavorando da casa, non corriamo il rischio di aumentare eccessivamente i nostri orari di lavoro, andando a scapito della nostra qualità della vita? La risposta non può essere che si! Ed infine, il lavoro da casa è facilmente realizzabile da tutti e non presenta limitazioni? La risposta a questa domanda è negativa! Va bene, qualcuno (e forse anche l’amico Ivan) obbietterà che la mia visione è troppo cupa, che i vantaggi dello smart working in termini di traffico scongiurato, carburante risparmiato, spostamenti azzerati, inquinamento evitato e stress contenuto siano molto più importanti e rilevanti dei problemi che lo stesso comporta. Allora, vi rispondo con una ricerca scientifica, commissionata dalla nota piattaforma di ricerca del lavoro DirectlyApply, che ha creato una simulazione grafica dello smart worker del futuro. Lei si chiama Susan ed è una figura davvero inquietante, che mostra gli effetti a lungo termine del lavoro telematico da remoto. Ebbene, Susan è obesa, presenta una vistosa gobba, ha gli occhi arrossati per le troppe ore passate davanti allo schermo del pc, i polsi sono doloranti a causa dell’utilizzo continuo della tastiera, i capelli sono radi e sfibrati, a causa della mancata esposizione al sole che ha diminuito l’assorbimento nel corpo della Vitamina D. Secondo gli esperti che hanno creato questa simulazione computerizzata, se continuiamo a lavorare prettamente in modalità smart working rispetto ad una modalità normale o mista, entro 25 anni rischiamo di diventare tutti come Susan o, se vi piace di più, come il “Maxi” Homer Simpson.
L a s i m u l a z i o n e g r a f ica “Susan” realizzata dlla piattaforma DirectlyApply per illustrare i rischi dello smart working. Ma allora che atteggiamento dobbiamo avere nei confronti dello smart working? Certamente lo smart working presenta molti vantaggi se, ad esempio, ci fa evitare uno spostamento di quattro ore in macchina o due in aereo per partecipare ad una riunione di un’oretta; in questo caso le piattaforme tipo Zoom o Stream Yard sono una scelta più pratica, economica, ecologica, conveniente e soprattutto intelligente (smart, appunto). Senza dubbio anche la formazione, non tutta, ma quella ordinaria, si può giovare della modalità remota, ma per altre tipologie di formazione come quelle delle convention, dei seminari aziendali, dei grossi eventi, la modalità smart non può reggere il confronto con la modalità in presenza; infatti in questi grossi incontri la formazione pura è solo una parte dell’evento, sono le interazioni sociali, al tavolo da buffet, durante la pausa caffè o a cena che permettono di instaurare collaborazioni ed offrono nuove, ed autentiche, opportunità di crescita professionale, e questo lo posso confermare anche io, da esperto di pubbliche relazioni con 20 anni di esperienza. Inoltre, non andrebbero dimenticati i rischi per la salute di un ricorso massiccio allo smart working, come gli esempi di Susan e Homer Simpson dimostrano. Insomma, il mio parere è che una “modalità mista” fra lavoro tradizionale e smart working sia la vera strada da percorrere, perché se è vero che il progresso non si può arrestare, è pur vero che le esperienze positive e “funzionali” del passato non vanno semplicemente buttate alle ortiche. Come sempre la parola magica è “equilibrio”: imparare a gestire modernità e tradizione, virtuale e reale, lavoro in presenza e in remoto, formazione online e convention aziendale, spostamenti inutili e spostamenti necessari, interazioni sociali dal vero e interazioni sociali virtuali, tutto questo rappresenta la “competenza trasversale” che contraddistingue il vero manager da quello che si atteggia solamente.
Perché “smart” nel suo significato più autentico e vero significa intelligente, e l’intelligenza, fra le altre cose, è la capacità di un organismo di adattarsi ad una nuova condizione facendo leva, e tesoro, sulle sue esperienze pregresse. In parole povere essere intelligenti, smart, non vuol dire avere una sfilza di idee e/o essere solo super creativi o iper-adattabili, ma significa pure imparare dai propri errori (leggi esperienze) a superare le nuove sfide con quel mix esplosivo di tradizione ed innovazione che contraddistingue i veri vincenti dai semplici fortunati. Buona lettura e buon lavoro, di qualunque tipo esso sia, a tutti voi. Raffaello Castellano Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Smart working e impiego flessibile delle risorse umane: il decalogo PageGroup PageGroup, leader mondiale nella ricerca e selezione del personale e affermata società di recruiting propone un decalogo per ottimizzare lo Smart Working. Si tratta di un’iniziativa resa ancora più interessante in questo 2020, in cui la pandemia di Covid-19 ha reso molte aziende smart e portato
agli occhi di tutti il tema dello smart working. Worklife Balance: un asset per trattenere i talenti in azienda L’idea di stilare un decalogo dello smart working nasce dall’idea del worklife balance come asset imprescindibile per attirare e trattenere i talenti in azienda. Il decalogo prende vita all’interno della Settimana del Lavoro Agile, istituita nel 2017 e contiene i consigli per ottimizzare l’impiego flessibile delle risorse umane nelle aziende italiane. Chi cerca talenti cerca persone veloci, flessibili e innovatrici e lo smart working è il modo migliore per attirarli e trattenerli. Uscire dalla routine, inoltre, permette di trovare soluzioni innovative utili al business. Rendere la flessibilità smart significa ripensare l’organizzazione e i modelli del lavoro e proprio PageGroup già nel 2017 aveva ideato il programma Flexibility&Page. Ecco, allora, i 10 consigli per aziende e dipendenti che vogliono applicare al meglio il modello dello smart working. 1. Management in presenza VS Management per risultati Lavorare in modo smart significa dare e richiedere obiettivi e risultati chiari, strutturando la timeline in modo organizzato tra azienda e lavoratore. App, email e Intenet permettono di passare da un management basato sulla presenza ad un management basato sui risultati. 2. Comunicazione multicanale La difficoltà principale dello smart working è mantenere costante il flusso di comunicazioni con i lavoratori. Per le informazioni di routine sono perfetti email e chat, per il brainstorming le video conferenze, capaci di aumentare la condivisione dei contenuti e l’approccio personale. 3. Strumenti adeguati per aziende smart Lo smart working funziona solo se il lavoratore ha a disposizione strumenti adeguati per comunicare con clienti e colleghi. Accanto a smartphone, cuffie e webcam servono tool come Google Docs o software per il project management come Basecamp, che permettono di monitorare e pianificare progetti da remoto. 4. Gestione del tempo Per lavorare bene è importante affidarsi alla to do list e perseguire un worklife balance per riuscire a gestire tutte le incombenze della giornata, comprese le commissioni personali, senza creare conflitti in agenda. 5. Mettere dei limiti In alcuni casi è importante declinare le richieste urgenti di colleghi e clienti, fornendo adeguata motivazione e proponendo qualcun altro per lo svolgimento del compito. Lavorare in modo flessibile non significa lavorare 24 ore su 24 e richiede la capacità di porre limiti alla propria reperibilità e creare delle pause.
Scopri il nuovo numero: Just Working La pandemia è stato un fortissimo shock che ha interessato tutti gli aspetti della nostra vita e il mondo del lavoro è certamente tra questi. Dal telelavoro allo smart working, passando per il south working, vedremo come sta velocemente cambiando il concetto di lavoro. 6. Multitasking Il multitasking è pericoloso e chi lavora in smart working deve portare a termine un progetto prima di dedicarsi a quello successivo, in modo da eseguire tutte le attività nel miglior modo possibile. 7. Una modalità di lavoro accessibile a tutti Nelle aziende che lavorano in modalità smart non devono esserci dipendenti fissi e l’imprenditore che lavora in modo agile dovrebbe permetterlo anche ai collaboratori. 8. Nuova cultura del lavoro Per introdurre in azienda lo smart working potrebbe essere necessaria una formazione specifica in tecniche di lavoro agile per i manager e delle ore di sensibilizzazione per i team, utili a condividere protocolli e nuova cultura del lavoro. 9. Approccio personale È stato dimostrato che il 20% dei dipendenti lavora meglio in modalità smart, dato che può gestire il tempo in modo flessibile e svolgere attività prima impensabili, come accompagnare i figli a scuola. Ricordiamo, tuttavia, l’importanza di un approccio personale fondamentale per mantenere alte le prestazioni e appagare le esigenze del dipendente. 10. Organizzare gli spazi fisici A casa, in co-working e fuori dall’ufficio è importante ricavarsi uno spazio da dedicare solo al lavoro, ordinato e posizionato in un’area priva di distrazioni. Seguendo queste semplici regole, in poco tempo appariranno evidenti i vantaggi in termini di produttività e soddisfazione dei dipendenti e l’azienda, magari, potrebbe decidere di mantenere lo smart working anche al termine dell’emergenza sanitaria, facendone il fulcro di una nuova cultura aziendale e di un nuovo modo di lavorare. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome
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autonomia del dipendente nella gestione del lavoro, che comporterà una maggiore produttività. Uno studio condotto dall’Università di Standford nel 2015 ha infatti dimostrato che in Germania, dove il dipendente medio lavora circa 1400 ore annuali, rispetto alle 1800 italiane, si registra una produttività del 22% superiore a quella di casa nostra, e questo perché si lavora più rilassati, e liberi di organizzare le ore tra lavoro e tempo personale. Per le aziende invece il risparmio sarà soprattutto economico, in quanto vi è una sostanziale diminuzione del costo di gestione dello spazio fisico, come affitto, riscaldamenti, pulizie e mobilio. Una soluzione lavorativa di smart working potrebbe, secondo il luminare, giovare all’intera società, consentendo un calo dell’inquinamento, sia climatico che acustico, meno traffico, e rivitalizzazione di quartieri, come ad esempio quelli esclusivamente residenziali, che godrebbero di maggiore vita anche nell’orario diurno, quando invece sono soliti svuotarsi. Come affrontare il problema della scarsa socialità con i colleghi, ossia la mancanza della così detta pausa-macchinetta? Per il professore è semplice, organizzando frequenti pranzi e cene con i collaboratori (come lui stesso ammette di fare), che permettono di avere momenti di convivialità qualitativamente migliori. Scopri il nuovo numero: Just Working La pandemia è stato un fortissimo shock che ha interessato tutti gli aspetti della nostra vita e il mondo del lavoro è certamente tra questi. Dal telelavoro allo smart working, passando per il south working, vedremo come sta velocemente cambiando il concetto di lavoro. Il problema italiano è quello di essere arrivato in ritardo sull’argomento rispetto all’Europa, lo smart working non è ancora considerato un vero diritto lavorativo, nonostante la possibilità fosse già contenuta nella Legge n.81/2017, nella quale viene definito come una modalità di esecuzione del lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari e spaziali, con il riconoscimento di un trattamento economico paritario alla modalità lavorativa tradizionale. Attualmente è riconosciuta tale possibilità, in virtù del Decreto Legge n. 34 del 19/05, solo fino a dicembre, come strumento d’emergenza a causa della pandemia. Tale legiferazione non lascia ben sperare per il futuro, gli ultimi mesi hanno permesso di realizzare un grande esperimento collettivo ma non abbiamo certezza che si continui su questa strada, nonostante buona parte dei lavoratori in tale modalità, circa il 65% secondo l’Istituto Noto Sondaggi, considerino positiva questa esperienza, dichiarando di aver dedicato più tempo alla famiglia e a sé stessi. L’Osservatorio del Politecnico di Milano, nato da qualche anno proprio per studiare l’evoluzione del fenomeno dello smart working, rassicura i pessimisti che rimpiangono le ore in ufficio, sottolineando che le remore relative all’attuale situazione sono giustificate dal fatto che questo non può essere considerato il “vero” smart working, piuttosto un lavoro forzato dall’emergenza sanitaria che comporta alcune criticità, quali ad esempio il senso di isolamento, difficoltà della connessione Internet e nel gestire l’equilibrio tra vita privata e lavorativa. Il passaggio ad una reale cultura di lavoro agile deve essere accompagnato da idonee iniziative di formazione e comunicazione, che potranno portare, a quel punto, alla realizzazione della filosofia agognata già da Domenico De Masi, anni or sono.
Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Smart working – south working - well working! La pandemia distrugge il falso mito della scrivania Non sono solita scrivere articoli molto personali, preferisco più dare un mio punto di vista su dati e fatti, ma questo periodo di lockdown è stato così impattante da vari punti di vista che ha visto necessario in più occasioni che mi leggessi dentro per esprimere stati d’animo e pensieri. Ne è stato un esempio il pezzo “Mentre il mondo si ferma, la rete corre veloce!”, che ha messo a nudo sensazioni di quel momento. Oggi ci ritroviamo alla fase tre, quella delle mascherine e guanti nei luoghi chiusi e dell’irresponsabilità delle persone nei luoghi aperti, quella che dovrebbe permetterci a breve di ripartire ma che non si sa quanto durerà, quella che il passato ce lo siamo già dimenticato e che il rischio che ritorni è un attimo. Ma ciascuno di noi la ripresa se la sente dentro, rivedere i congiunti, gli amici, i colleghi, uscire e visitare luoghi; le vacanze sono vicine e ci si appresta a non far trascorrere questa estate inosservata, anche se con le dovute cautele. Non si può non ammettere che qualcosa è cambiato, ci si incontra e non ci si abbraccia, la mano non la si stringe più, si scherza sul darsi il gomito, il sorriso è nascosto e si tiene il disinfettante a portata
di mano, sempre. Abbiamo cambiato le nostre abitudini, è strano ma è così, ma ce ne è una che modificandola ci fa sentire tutti più leggeri, sarà perché trascorriamo meno ore nel traffico, perché abbiamo un migliore work life balance e possiamo lavorare da ogni dove facendo emergere quel desiderio di libertà intrinseco in ognuno di noi, ma lo #smartworking ci sta rendendo persone migliori. Scopri il nuovo numero: Just Working La pandemia è stato un fortissimo shock che ha interessato tutti gli aspetti della nostra vita e il mondo del lavoro è certamente tra questi. Dal telelavoro allo smart working, passando per il south working, vedremo come sta velocemente cambiando il concetto di lavoro. Sono fermamente convinta che vivere di qualità e lavorare di qualità sono opportunità che con lo smart working possono convivere! La pandemia lo ha dimostrato, ma non sarebbero necessari eventi straordinari se si avesse una mentalità più orientata al risultato che al controllo. Il falso mito della scrivania, delle ore in ufficio sono da sfatare, abbiamo dimostrato in questi mesi che volere è potere e (per alcune tipologie di lavori) lavorare in smart working è la giusta modalità! Risparmiando le ore di traffico A/R verso l’ufficio in una città metropolitana impazzita all’orario di punta mi hanno permesso di organizzarmi meglio il lavoro, ho lavorato di più, è vero, più ore connessa, ma con soglie di stress ridotte al minimo, mantenendo i consueti standard di qualità.
Lavorare in modo fluido senza una sede fisica è una questione di mentalità, chi di norma lavora bene in ufficio può farlo da ogni dove, perché maggiormente organizzato e capace di un work life balance di alto livello. Sicuramente le relazioni ci hanno un po’ rimesso, è l’altro lato della medaglia, ma dove la relazione c’è ed è radicata, anche una video call può permettere il dialogo senza incomprensioni. Un team agile che lavora da remoto è abituato a lavorare per obiettivi, è in grado di condividere la vision aziendale e lavorare bene a distanza senza aver bisogno del controllo. Il grande sforzo dovrebbe essere quello di entrare in empatia con le persone, ma ci dovrebbe essere a prescindere. Ritengo che come tutte le modalità di comunicazione l’integrazione tra canali on-line e off-line è l’approccio maggiormente funzionale, alternare momenti di smart working con momenti di discussione F2F ci porterebbero ad una giusta modalità di lavoro fluido, con un pranzo e un caffè con il collega nel mezzo, che fa sempre piacere.
E’ un tema caldo e Linkedin Notizie ha pubblicato un post- survey che in un solo giorno ha raggiunto oltre 300 interazioni, circa 700 commenti e 5000 voti. Se fosse possibile lasceresti la grande città per lavorare da remoto da un altro posto?
Il popolo della rete si è sbizzarrito. Vince il sì assolutamente! Il #southworking emerge come la grande novità del 2020, ma come soprattutto una grande esigenza per riprendersi in mano le proprie vite, rivivere le proprie città natali e gli affetti, continuando a produrre, ma non necessariamente al nord o in città. La nuova meta del lavoro da remoto alternativo sono antichi borghi, scrivanie con vista mare, tavoli in campagna all’ombra di una quercia. Già solo immaginarselo dà serenità. Si aprono scenari di vivibilità tutti da approfondire. Per i più avventurosi sarebbe un’opportunità la proposta delle Barbados, dove l’ente del turismo invita a richiedere il visto valido 12 mesi per vivere e lavorare da remoto. Soggiornando sull’isola da veri autoctoni dopo il periodo difficile della pandemia anziché trascorrervi le classiche vacanze di una, due o tre settimane, i viaggiatori ora possono pianificare la loro intera attività lavorativa, per tutto l’anno. Come sarebbe lavorare circondati da sole, splendido mare, stare al pc con i piedi nella sabbia? Non è un’occasione da cogliere al volo? Ecco, con lo smart working si può! Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter L'altra faccia dello smart working. Piccola storia di un piccolo PC. Ciao, mi chiamo Lenpik e sono un PC portatile. Abito in una casa grande. La mia vita è sempre stata molto tranquilla, qualche spolverata ogni tanto,
qualche surfata nella rete per cercare le vacanze. Da qualche anno poi si sono sempre più dimenticati di me. Sono arrivati a casa nostra Smarty e poi Smartyf. Sembrano dei PC ma sono molto più piccoli. Anche io sono piccino, sono solo 13 pollici ma loro lo sono ancora di più. E poi sono così colorati con quelle cover divertenti. A me nessuno cambia mai vestito. Poi un giorno è successa una cosa strana. Nessuno usciva più di casa e tutti volevano stare con me. All’inizio era divertente, mi sentivo il protagonista. Pensate: litigavano addirittura per potermi avere! Ma poi è diventato tutto più faticoso. Ero attivo 20 ore al giorno, tutto sudato e affaticato. All’inizio chi stava con me era sempre sorridente, c’erano sempre cose divertenti sul mio schermo, dalle ricette di cucina ai tutorial di bricolage. Ora invece spesso si arrabbiano, battono i pugni sul tavolo e ogni tanto ho paura. Scopri il nuovo numero: Just Working La pandemia è stato un fortissimo shock che ha interessato tutti gli aspetti della nostra vita e il mondo del lavoro è certamente tra questi. Dal telelavoro allo smart working, passando per il south working, vedremo come sta velocemente cambiando il concetto di lavoro. E poi quanto lavoro. Così tanto che mi sono ammalato. Prima mi hanno fatto un paio di pillole di Defrag poi mi hanno somministrato un nuovo antivirus. Però ero così stanco, sempre surriscaldato e iniziavo a lavorare a rilento. Mi hanno portato dal dottore per mettermi in riparazione e ogni tanto li sentivo dire che era ora di sostituirmi. Cosa? Dopo tutto quel lavoro? Tutta quella fatica? Io ero un piccolo PC portatile di soli 13 pollici per navigare tra le recensioni degli hotel e gli acquisti on line. Ho sentito parlare di Covid, che ha cambiato tutto. E ha cambiato anche la mia vita. E’ proprio vero: se non ti tieni al passo con l’ultimo aggiornamento, sei fuori gioco. Speriamo di rimetterci in sesto, di fare un upgrade e di andare avanti. Non ho proprio voglia di fermarmi qui e di mollare tutto. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome
Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter La trasformazione digitale italiana tra smart working, automation e nuovi scenari: intervista a Giulia Verzeletti. L’Italia è un paese straordinario e lo è per la capacità di risollevarsi e ricominciare da zero, infinite volte. Lo è per la capacità di essere tutt’uno con il caldo afoso delle sue estati che la rendono vera, appassionata, affascinante, anche con un ospite indesiderato come il Covid-19. Lo è per la capacità di guardare avanti e di sapere che conflitti bellici o emergenze sanitarie, non fermeranno mai il fermento del nostro paese. Ed è così che in piena chiusura e panico da pandemia, abbiamo ri-scoperto lo smart working, lo abbiamo annusato, guardato con sospetto, studiato a debita distanza e poi ci siamo buttati a capofitto perché nessuno meglio degli italiani sa che da ogni crisi nascono sempre grandi opportunità. Abbiamo reinventato il cliché e lo stereotipo della tradizionale PMI italiana, che se non vede i suoi dipendenti 8 ore al giorno incollati alla scrivania, teme il fallimento istantaneo. Abbiamo sdoganato il lavoro da remoto, il divano come scrivania, la t-shirt dei Nirvana come divisa aziendale. Abbiamo capito che lavorare a distanza si può… ed è pure produttivo. Voi non lo sapete, ma questo è il vero primo passo verso la trasformazione digitale delle aziende italiane. Un piccolo passo per l’uomo è un grande passo per l’umanità, diceva qualcuno.
G i u l i a V e rzeletti, esperta di Inbound Marketing Automation Ma quali sono i prossimi passi e quale sarà lo scenario futuro lo abbiamo chiesto a Giulia Verzeletti, esperta di Inbound Marketing Automation, autrice e relatrice sul tema, che da anni si occupa di consulenza aziendale attraverso strumenti di lavoro agile e fluido. D. Ciao Giulia, il lavoro ai tempi del Covid-19 è profondamente mutato in Italia: abbiamo cominciato ad abituarci allo smart working e a forme sempre più creative di lavoro quotidiano. Quale sarà lo scenario dei prossimi mesi per chi, come te, si occupa di creare strategie e di gestire progetti di automazione personalizzati per aziende b2b e b2c? R. Io ho sempre avuto la fortuna di poter lavorare per buona parte del mio tempo in modalità smart: svolgere consulenza e attività di project management, con il supporto degli strumenti giusti, è assolutamente fattibile anche da remoto perciò per me le cose non sono cambiate eccessivamente durante la pandemia. Quando parlo di strumenti giusti faccio riferimento a tutta una serie di supporti utili allo svolgimento dell’attività in qualsiasi posto ci si trovi, dai software di video conference come Zoom alle chat aziendali come Slack e passando per tool di project management come Teamwork o Trello. Credo fortemente nello smart working per migliorare la gestione e la qualità del proprio tempo e credo anche che sia importante che molte aziende abbiano fatto un passo in questa direzione. Non è possibile parlare per tutti di smart working e ovviamente l’emergenza Covid è stata così preponderante che, nella fretta di adeguarsi alle disposizioni governative, molte aziende hanno iniziato ad adottare il telelavoro ma non lo smart working. Come dicevo, un primo passo è stato fatto, tuttavia per arrivare a poter lavorare davvero smart servirebbe proprio una riorganizzazione di dinamiche e attività che, mi rendo conto, non sarà così immediata per alcune tipologie di aziende. Sarà una bella sfida ma credo sia anche imprescindibile essere pronti in futuro a reagire più rapidamente a una situazione di emergenza (anche se, ovviamente, ci si augura che non capiti più). Scopri il nuovo numero: Just Working La pandemia è stato un fortissimo shock che ha interessato tutti gli aspetti della nostra vita e il mondo del lavoro è certamente tra questi. Dal telelavoro allo smart working, passando per il south working, vedremo come sta velocemente cambiando il concetto di lavoro.
D. Le aziende oggi devono mangiare, respirare e lavorare digitale, quali sono 3 consigli che ti senti di dare alle tradizionali PMI che hanno paura della trasformazione digitale? R. Io penso che ormai non si possa prescindere dalla trasformazione digitale e, al contempo, non voglio ricadere nello stereotipo diffuso durante il boom dei social, cioè il classico: “apri Facebook/Instagram/LinkedIn perché ce l’hanno tutte le aziende e devi averlo anche tu!”. In questo caso parliamo proprio di una necessità che arriva dalle persone stesse. Tornando all’esempio del lavoro, sempre più persone hanno la necessità di trovare la corretta work-life balance e ovviamente degli strumenti digitali aiuterebbero a raggiungere questi obiettivi. Perciò, il primo consiglio è proprio legato all’adozione di strumenti digital per migliorare l’esperienza d’impiego dei propri dipendenti. Un altro modo in cui le persone influenzano la necessità di essere digital è proprio la continua sofisticazione dei gusti e delle richieste del pubblico finale: oggi la stragrande maggioranza di potenziali clienti fa ricerche online prima di acquistare qualsiasi cosa, perciò è importante per un’azienda essere presente ed esserci nel modo giusto (anche, semplicemente, curando le proprie recensioni e rispondendo alle richieste degli utenti online). Il secondo consiglio quindi è quello di “sistemarsi l’abito” online, perché oggi più che mai quell’abito fa il monaco. Il terzo consiglio è quello di procedere per gradi: come tutte le trasformazioni, anche quella digitale può avvenire step by step all’interno di una realtà aziendale, dando tempo alle persone di accettarla e abituarcisi. D. Hai scritto un libro molto interessante sull’Inbound Marketing Automation (che ho letto in 3 ore) e nel tuo blog parli sempre di automazione, ci spieghi di cosa si tratta e come può aiutare le aziende a rivedere i loro workflow? R. Quando sento che il mio libro non si trasforma in un mattone da scrivania (o da comodino) sono super soddisfatta, perciò grazie mille! Ricambio, tra l’altro, i complimenti perché anche il tuo manuale sull’Inbound è scorrevole e ben scritto. Fare Marketing Automation significa rendere automatiche molte azioni di marketing e comunicazione la cui esecuzione manuale “ruba” tempo prezioso ad altre attività: per esempio, inviare una email a un contatto che rispetta determinate condizioni. Oppure ricordarsi di fare una telefonata a un prospect. Se si adotta un software di Marketing Automation e si impostano delle regole, queste azioni possono essere svolte in maniera automatica permettendo di risparmiare tempo e dedicarlo alla creazione di valore per i potenziali clienti. Quando parlo di creazione di valore mi riferisco sia alla creazione di contenuti utili per chi desidera acquistare un prodotto o servizio ma è ancora indeciso, sia alla cura di chi ha già acquistato e ha bisogno di capire come trarre il massimo dall’acquisto. Lo stesso Customer Care può intervenire al momento giusto e dare davvero un tocco in più all’esperienza dell’utente. Per questo a volte considero la Marketing Automation un metodo per “scremare” le richieste del pubblico, gestendo in automatico quelle più ricorrenti e coinvolgendo il supporto umano quando necessario. Quindi, in sostanza, l’automazione della comunicazione e dei processi di vendita è utile a risparmiare
tempo perché, una volta impostata, funziona automaticamente. Ovviamente, prima di arrivare a questo punto è necessario avere una strategia di marketing e comunicazione, meglio se inbound, in modo da avere già una mappa delle attività da automatizzare e capire dove concentrarsi. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Milano è solo un apostrofo rosa tra le parole Smart e Working. “Sveglia e caffè, Barba e bidet. Presto che perdo il tram…” Avrete sicuramente riconosciuti questi versi e magari anche canticchiati: è senz’altro uno dei pezzi più riconoscibili de “La ballata di Fantozzi”, che faceva da sfondo ai primi due film di Fantozzi (1975). Un motivetto simpatico, ma al contempo amaro. Dal 1975 ad oggi, più o meno le cose sono andate allo stesso modo: milioni di persone si svegliano al mattino cercando di rubare quanti più minuti possibili alla sveglia, si preparano in tutta fretta e corrono a prendere il tram, la metro o, forse peggio, si infilano in autostrade e superstrade ricolme di auto per recarsi in tempo sul posto di lavoro. https://youtu.be/sN6opoE0iZk I lavoratori, visti dall’alto, appaiono come tante formiche in coda. Messi uno di seguito
all’altro o ammassati se si trova un ostacolo (cfr. le porte delle metro o dei tram), portano sulle loro spalle uno zainetto (che da tempo ha preso il posto della classica valigetta) che per le formiche altro non è che la mollica di pane. A fine giornata, poi, la storia si ripete ma in senso contrario. Insomma quotidianamente i lavoratori vanno e vengono dal proprio formicaio…òps, ufficio. E in mezzo? In mezzo il lavoro. Già perché quanto appena descritto, e che conosciamo tutti sin troppo bene, è la cornice di qualcosa, non il qualcosa. Da qualche tempo i lavoratori (certo questo non vale per tutti i lavori) hanno la possibilità di poter produrre anche non recandosi in ufficio. Hanno la possibilità seguire progetti anche dalla scrivania di casa. Hanno la possibilità di partecipare a riunioni anche dal proprio divano. Insomma hanno la possibilità di poter svolgere le loro mansioni lavorative in un luogo diverso da quello consueto di lavoro. E questa possibilità è stata data dalla tecnologia. Eureka! Poter lavorare dove si vuole, eliminare i tempi degli spostamenti, ridurre lo stress e mantenere la stessa efficienza…facciamolo tutti e subito, no?! Ehm…no. A fine 2019 lo smart working in Italia era adottato solo dal 58% delle grandi aziende, e le PMI e la Pubblica Amministrazione erano molto più indietro. Poi il Covid 19. Purtroppo per tutto quello che abbiamo e stiamo vivendo, ma per fortuna per quello che stiamo imparando. Durante i mesi di lockdown abbiamo avuto molto tempo per pensare, per riflettere e per riprendere contatto con noi stessi. Abbiamo aperto gli occhi e capito che per lavorare non era necessario essere in un determinato luogo. Abbiamo visto che le email arrivavano comunque, anche se non eravamo in ufficio, e che – udite udite – potevamo anche rispondere. Abbiamo chiuso e avviato progetti, iniziato collaborazioni e mantenuto elevati livelli di produttività; il tutto online. La riscoperta del tempo e dello spazio. Abbiamo imparato che correre su e giù da una metro non ci faceva sentire più giovani, ma solo più stressati (e sudati). Abbiamo imparato che mangiare in un baretto angusto e spendere 10-15 euro per un panino e un’acqua non era figo, anche se era “all’ombra della Madonnina” (anche perché la Madonnina neanche la vedevamo). Abbiamo imparato che il nostro tempo ha un valore e che il nostro valore di professionisti non cambia se siamo fisicamente in un luogo piuttosto che in un altro. Abbiamo riscoperto i nostri territori d’origine (in quanti negli anni si sono trasferiti per lavoro?!). Così, giorno dopo giorno, abbiamo iniziato a pensare che quei 40-50 metri quadrati pagati a peso d’oro per stare in una grande città non erano poi così giustificabili e che fare tutti i giorni i pendolari non era indispensabile. Scopri il nuovo numero: Just Working La pandemia è stato un fortissimo shock che ha interessato tutti gli aspetti della nostra vita e il mondo del lavoro è certamente tra questi. Dal telelavoro allo smart working, passando per il south working, vedremo come sta velocemente cambiando il concetto di lavoro.
Le grandi città dovrebbero rivedere un po’ la loro value proposition, ossia i vantaggi per cui qualcuno dovrebbe scegliere di viverci, al netto del lavoro. Ad esempio, personalmente, di Milano mi piace tantissimo la spinta che ti dà. Ti porta sempre a dare il meglio di te stesso, a fare sempre qualcosa in più ed è proiettata verso il futuro. Però è evidente che qualcosa si è incrinato. Le persone stanno prendendo consapevolezza. E le cose stanno cambiando velocemente, per almeno due motivi: ■ Il primo, se si può lavorare ovunque perché scegliere proprio Milano (o un’altra grande città) e non uno dei tanti borghi d’Italia o una città sul mare? ■ Il secondo, per avere stimoli o essere connesso ad altre persone interessanti c’è il digitale. Poi certo l’interazione umana è insostituibile, ma puoi sempre scegliere tu dove, come e quando incontrarti. Non si tratta di certo di rimanere in casa per la vita. E non sono certo un pazzo, un genio o un visionario, a seconda dei punti di vista. Non sono l’unico ad essersi accorto di questo cambio radicale. Le due cartine di torna sole sono da un lato le dichiarazioni infelici, opportunistiche e forse anche un po’ miopi del sindaco Sala (Milano probabilmente è la città più colpita da questa nuova situazione), evidentemente figlie del timore di non riuscire più a rimettere insieme i pezzi; e dall’altro (o come conseguenza) la recente produzione di un video (anche ben fatto) di pura brand awareness da parte di YesMilano (cfr. Comune di Milano e Camera di Commercio di Milano, Monza, Brianza e Lodi), segno evidente che Milano ha bisogno di riguadagnare posizioni. Nota a margine: mi dispiace per Ghali, ma sapere che a Milano c’è anche la “mitologica” Baggio non è sufficiente per venire a viverci. https://youtu.be/vDHPCFb9o5M Come in tutte le rivoluzioni, soprattutto di matrice digitale, bisognerà ripensare all’intero modello, all’intero sistema. Al centro c’è e ci deve essere la vita delle persone. E, oggi, le stesse persone ne hanno percezione. D’altronde l’abbiamo visto in questi anni, i cambiamenti non si possono fermare. Ti è piaciuto? Hai qualche considerazione in merito? Fammelo sapere nei commenti. Rispondo sempre. Se vuoi rimanere in contatto con me questo è il link giusto: www.linkedin.com/in/ivanzorico Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati
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