Musica a impatto 0: la nuova sfida sostenibile - Smart Marketing

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Musica a impatto 0: la nuova sfida sostenibile - Smart Marketing
Musica a impatto 0: la nuova sfida
sostenibile
Pochi si chiedono se il fruire la musica possa essere dannoso per l’ambiente, eppure il costo
dell’impatto ambientale dell’industria musicale è una realtà con cui dovremo misurarci quando
finalmente si riprenderà a godere della musica dal vivo.

Se movimentare persone e cose, consumare elettricità e accumulare rifiuti stressando l’ambiente
circostante può essere immaginabile e prevedibile quando ci si appresta a fruire di concerti dal vivo,
molto meno lo è capire che i supporti sui quali la musica viene incisa, e persino lo streaming,
possono essere fonte di inquinamento.

Anche se adesso il comparto dell’industria musicale, soprattutto quello che riguarda gli spettacoli
dal vivo, è fermo da oltre un anno, forse è giusto fare una riflessione sull’impatto ambientale anche
alla luce di una possibile ripresa.

Uno studio del 2019 dell’Università di Glasgow insieme all’Università di Oslo, intitolato “the
cost of music”, pone l’evidenza sui costi della musica in termine di inquinamento.

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L’analisi prende in considerazione un arco temporale abbastanza lungo e sottolinea l’enorme spreco
di materiali, per lo più non riciclabili per gli alti costi di lavorazione; ad esempio, analizzando i picchi
delle vendite dei principali supporti musicali, si è evidenziato che in termini di consumo, nel 1977,
quando in voga erano gli LP in vinile, l’industria discografica ha utilizzato 58 milioni di
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chilogrammi di plastica, mentre nel 1988, quando a spopolare erano le musicassette, si è passati a
56 milioni di chilogrammi e a poco più di 61 milioni nel 2000, quando il supporto che andava per
la maggiore era il CD.

Questi dati, per niente confortanti, si riferiscono soltanto al mercato degli Stati Uniti, e per vederli
abbassare drasticamente si è dovuto aspettare l’avvento dello streaming (nel 2016, si stima che il
consumo di plastica sia calato ad 8 milioni di chilogrammi).

Seppur con meno impatto, anche lo streaming è fonte inquinante ed ha un grave effetto
sull’ambiente, che si può sintetizzare nel grande dispendio di energia elettrica, soprattutto per
alimentare i server e potenziare le reti; quindi, se da una parte vengono consumati meno plastica e
meno metalli difficilmente riciclabili, dall’altra parte vi è dispendio di energia con conseguente
rilascio di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera.

Ma come ridurre l’impatto ambientale dei nostri ascolti? Possiamo fare qualcosa anche noi o
dobbiamo aspettare che l’industria musicale inventi un supporto ad impatto 0?

La risposta è tanto semplice quanto banale, basterebbe modificare il nostro comportamento di
consumo valutando la frequenza di ascolto per scegliere il supporto meno impattante.

Se si ascolta la musica sporadicamente, sicuramente lo streaming avrà un minore impatto
ambientale, se invece siamo assidui consumatori e riproduciamo soprattutto sempre gli stessi brani,
allora il supporto materiale, CD o vinile che sia, farà al caso nostro.

Ma basta questo a ridurre l’impatto ambientale dell’industria musicale?
Sicuramente no, ma è un piccolo passo per un mondo più green; semmai, la vera sfida sta nel creare
eventi musicali ad impatto 0 che siano sostenibili nel lungo periodo.

Le soluzioni, tanto scontate quanto di difficile attuazione perché dipendono dal comportamento di
tutti, ci sarebbero, e gli organizzatori si dicono pronti ad attuarle.

In fondo, basterebbe svolgere concerti e festival in aree servite dal trasporto pubblico o predisporre
delle navette così da limitare l’impatto degli spostamenti di tanta gente con mezzi privati, oppure
utilizzare energia elettrica creata da fonti rinnovali per abbassare il livello di CO2 nell’ambiente, e
poi eliminare la plastica monouso per servire cibo e bevande ed incentivare il riciclo dei rifiuti.

Ultimamente, qualcuno si è spinto ancora oltre, immaginando di dover restituire all’ambiente una
parte di quello consumato: nasce forse così l’esperimento che vede sostituire l’acquisto del classico
biglietto per usufruire di un concerto con un TreeTicket, un certificato di adozione di un albero che
riserverà l’accesso esclusivo all’evento.

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  Pazienza, Perseveranza, Sostenibilità e Gentilezza, sono le 4 virtù cardinali del marketing che vi
  proponiamo. In un mondo dominato dalla tecnica e dalla velocità, queste virtù ci permettono di
  non sbagliare la rotta (o magari di ritrovarla se smarrita) e di indirizzare correttamente le nostre
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azioni.

L’evento in questione, organizzato da Etifor (spin-off dell’Università di Padova specializzato in
consulenza, progettazione, ricerca e formazione in ambito ambientale), si svolgerà in Trentino il
prossimo 25 maggio e vedrà come protagonisti Mario Brunello, noto violoncellista, e Stefano
Mancuso, botanico e saggista che già molte volte ha legato progetti di divulgazione scientifica alla
musica.

La loro opera, definita “musical-vegetale”, nasce dall’ultimo movimento della Seconda Partita in Re
minore per violino solo di Bach e sarà pagata, in termini ambientali, piantumando gli alberi adottati
per compensare le emissioni di Anidride Carbonica nell’ambiente che verranno prodotte con
l’evento, avvalendosi dell’approccio MARC (Measure Avoid Risk Communicate), metodo
sviluppato da Etifor per valutare e ridurre l’impatto ambientale accompagnando persone ed
organizzazioni lungo un percorso di responsabilità ambientale e sociale.

Recentemente, lo scorso 18 aprile, un evento-test similare è stato organizzato in Sicilia con
protagonisti Roy Paci e Angelo Sicurella, ma in questo caso non c’era la possibilità di acquistare un
accesso esclusivo all’evento, bensì di prolungare la durata della performance.

Adottando, infatti, degli alberi che poi sarebbero stati piantati nel luogo del concerto, si
acquistavano secondi in più sulla durata complessiva della performance, una sorta di jukebox green i
cui gettoni erano proprio gli alberi piantumati.

Questo tipo di approccio, che potrebbe essere replicato in altri eventi, oltre a fare qualcosa di
concreto per il nostro pianeta dona anche il benefico immediato di sensibilizzare i fruitori degli
eventi, richiamandoli ad avere cura dei luoghi di cui fruiscono durante le performance e, più in
generale, sicuramente sviluppano una più ampia coscienza sui temi ambientali nel lungo periodo.
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L’auspicio che ci facciamo è che queste buone pratiche non si concretizzino soltanto in progetti
sporadici ed eventi pilota, ma che diventino la prassi di ogni evento, piccolo o grande che sia; per far
sì che questo avvenga, è necessario uno sforzo comune che sicuramente deve partire da chi
organizza gli eventi, ma deve essere anche supportato dalle istituzioni locali che devono creare le
condizioni adatte a metterlo in pratica.

Un ruolo importante in questa partita, che ci vede tutti giocare per salvaguardare il pianeta, lo
giocano senz’altro i performer, che sono in grado di influenzare le masse dei propri fan, ma tocca ad
ognuno di noi impegnarsi per lasciare ai posteri un mondo migliore di quello che abbiamo trovato,
non dimenticandoci mai che siamo tutti parte dell’ecosistema e dobbiamo fare tutti la nostra parte
per salvaguardarlo.

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Marketing e gentilezza: due termini che
devono andare d’accordo
Sentire parlare di marketing e gentilezza ti fa storcere il naso e pensi che essere gentile non
convenga ad un’azienda. Allora sappi che nel 2021 è arrivato il momento di cambiare idea dato che:

“Trovarsi insieme è un inizio, restare insieme un progresso, lavorare insieme un
successo.”

                                                                                         Henry Ford

Il marketing del 2021, complice anche la pandemia da COVID-19 vede la gentilezza non come un
segno di debolezza e accondiscendenza, ma come una filosofia di vita e una forma di cultura.
Cosa significa oggi essere gentili?

  gentilezza

  /gen·ti·léz·za/

  sostantivo femminile

  1. 1. Cortesia, amabilità.

  2. 2. Finezza scevra di affettazione: g. di modi; delicatezza, grazia.

  “g. di sentimenti”

Essere gentili significa essere equilibrati e sapersi relazionare con gli altri attori del
business: clienti, fornitori e dipendenti. Una buona qualità della vita dipende dalla capacità di
gestire emozioni e relazioni interpersonali e non esiste una sfera lavorativa fatta solo di compiti da
portare a termine e privata della sua componente emotiva, in questo caso della gentilezza.

Diceva sempre Henry Ford “insieme un successo” ed è stato dimostrato che un clima di lavoro
basato su un atteggiamento gentile ed empatico è anche più efficiente. Ogni azienda è fatta di
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persone e la chiave del successo è l’equilibrio psico-fisico di tutte le parti coinvolte, lavorando al fare
squadra per raggiungere gli obiettivi aziendali.

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Gentilezza e marketing: il caso di Svizzera e Norvegia

A confermare l’importanza della gentilezza nel clima di lavoro ci sono due Paesi come Norvegia e
Svizzera, che hanno un welfare da primato e che sono conosciuti come i Paesi più felici secondo
l’indice globale di prosperità pubblicato dal Legatum Institute di Londra. L’Italia, per fare un
paragone, è al 37° posto.

Tuttavia, il nuovo modello people oriented si sta diffondendo anche da noi e sempre più aziende
italiane scelgono di affidarsi a veri professionisti della gentilezza e business coach per
ridefinire il loro approccio ai rapporti interpersonali. Il motivo? Studi e ricerche, ma anche
l’esperienza delle aziende più innovative, dimostrano che la gentilezza migliora il rapporto con
clienti e fornitori e genera fiducia.

Continuando con le frasi celebri, Seth Godin afferma: “Non trovate clienti per i vostri prodotti;
trovate prodotti per vostri clienti.”
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Neuromarketing e marketing gentile
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Oggi a fare la differenza sul mercato è l’esperienza di acquisto del consumatore, che permette di
differenziare la propria azienda dai competitor. Gli specialisti di marketing conoscono l’importanza
di rendere il cliente protagonista della storia dell’azienda e il neuromarketing ha mostrato come i
consumatori siano influenzati dalle emozioni e dalle percezioni sensoriali.

Uno Studio dell’Università di Harvard ha evidenziato come il 90% dei processi decisionali sia
inconscio e quindi influenzabile con strategie mirate e sfruttando tutti i canali sensoriali per
concretizzare il messaggio da trasmettere.

Fare marketing gentile ed essere gentile nel business significa investire nelle relazioni, ma
soprattutto costruire e alimentare un rapporto di fiducia e stima reciproca con clienti e fornitori. Le
persone che hanno un’esperienza positiva con la vostra azienda sono il reale vantaggio competitivo
per il business.

Concludendo ancora con una frase famosa, John Jants afferma: “Un cliente contento è il più potente
bene che la vostra organizzazione può sfruttare.”

Vi lascio con un libro “Il potere della gentilezza” di Franck Martin, che affronta i meccanismi
della crisi che oggi imperversa nelle relazioni umane e, suggerendo sedici regole d’oro, porta a
ripristinare il circolo virtuoso del rispetto e della fiducia. Buona lettura!

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5 serie tv e documentari per entrare nel
mondo della spiritualità e della religione
Viviamo tempi di incertezza, incertezza spesso alimentata da una non conoscenza che porta ad
approcciarsi alle cose con la barriera del pregiudizio: tutto questo è una catena che non fa altro che
alimentare le discriminazioni. Tanti sono, purtroppo, gli ambiti in cui crescono sempre più le
discriminazioni e sempre più questa società ci fa sentire in diritto di criticare gli altri, di parlare
degli altri e se questi non rientrano nei nostri schemi mentali, se la loro vita non somiglia alla nostra,
per gusti, abitudini, orientamenti sessuali, politici o religiosi, inizia la critica, il giudizio, la ricerca di
qualcuno simile a noi che ci possa appoggiare e possa fomentare questa guerra al “diverso”.

  Una buona base culturale dovrebbe, potrebbe, rappresentare il punto di partenza per
  essere o diventare persone inclusive e rispettose; la cultura per fortuna non viene solo
  dai libri, viene anche dal dialogo, dai viaggi, dalla conoscenza dell’altro e dal confronto
  con l’altro ed anche dalle nostre passioni, che aprono porte sconosciute dentro di noi,
  pronte a condurci verso l’accoglienza del nuovo. Una tra queste passioni può essere
  rappresentata sicuramente dal cinema e dalle serie tv, passione tanto cara al nostro
  giornale.

A tal proposito varie sono le serie tv e i documentari, presenti sulle diverse piattaforme, che
mostrano, in maniera più o meno aderente alla realtà, differenti religioni e, trascorrendo qualche ora
di relax, questo potrebbe essere uno strumento per potersi avvicinare a mondi distanti da noi e farci
comprendere determinati meccanismi a noi sconosciuti.

La strada più fedele risulterà sicuramente essere quella del documentario, della docu-serie, ma
abbiamo anche molte serie tv, che affrontano il mondo della religione e della spiritualità, alcune
inserendo all’interno della storia una ricostruzione rigorosa delle tradizioni religiose, altre, invece,
servondosi della religione come spunto per narrare un racconto in cui i dogmi sono solo un pretesto
per altri obiettivi narrativi.

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Cinque sono gli spunti che voglio dare per avvicinarsi alla tematica
spirituale e religiosa:
1) Wild Wild Country: è la docu-serie disponibile su Netflix che narra la nascita della comunità
fondata dal maestro spirituale Bhagwan Shree Rajneesh, noto successivamente come Osho. La
serie composta di sei episodi inizia raccontando l’insediamento improvviso di una sorta di setta in un
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paese sperduto in Oregon, dove vivevano americani vecchio stampo, che non vedono di buon occhio
questa novità. Piano piano che la serie scorre, si capisce che il protagonista di questa vicenda è il
guru Osho, che da professore di filosofia, abbandona tutto e decide di diventare un maestro
spirituale anticonformista e controverso, che negli anni settanta crea un ashram in India, un luogo di
convivenza e meditazione. “Wild Wild Country” mostra la creazione della comune spirituale in
Oregon e il successivo caso giudiziario, ricostruendo le vicende attraverso interviste recenti e
numerosi filmati d’epoca;

2) Gesù: le origini del cristianesimo: il documentario targato National Geographic è un viaggio
nei luoghi che hanno visto la consacrazione del Cristianesimo a religione ufficiale dell’Impero
romano. Un approfondimento della durata di 44 minuti, presente su Sky, guidato dallo storico
inglese Michael Scott che, partendo dalla crocifissione di Gesù, attraverso filmati di ricostruzioni
storiche ed interviste a studiosi, come ad esempio l’antropologo forense Israel Hershkovitz,
approfondisce la nascita e l’ascesa della religione cristiana. Il viaggio dello storico in Israele, tra
reperti archeologici e mappe, mostra le tappe fondamentali che portarono l’Impero romano a
divenire cristiano;

3) Le Grandi Religioni del Mondo: è una raccolta di programmi, documentari, interviste, video e
film ad argomento religioso e spirituale, presente sul portale RaiPlay. Tutto il materiale raccolto
offre allo spettatore la possibilità di conoscere le più importanti religioni presenti nel mondo: si va
dall’Ebraismo al Cristianesimo, dalle Religioni orientali all’Islam. Un approfondimento di ciò che
rappresenta un immenso patrimonio culturale mondiale attinto dall’archivio della Rai e messo a
disposizione dell’utente, per un viaggio nella storia, nella fede, nella cultura e nella spiritualità, che
passa per tradizioni, riti, luoghi sacri e liturgie;

4) Messiah: è una serie americana del 2020, presente su Netflix, creata e prodotta dal regista
australiano Michael Petroni e composta da dieci episodi. Non è basata su fatti reali e racconta la
storia di presunto messia che si fa chiamare Al-Massih e che, partendo dal Medio Oriente, dove è
comparso improvvisamente, dà vita ad una grande folla di seguaci, creando forti tensioni
sociopolitiche a livello mondiale. L’agente della CIA Eva Geller (Michelle Monaghan) sarà incaricata
di indagare su di lui, per cercare di capire se costui può essere davvero un nuovo messia, un grande
truffatore carismatico o rappresentare un pericolo per tutta la società;

5) Sacra bellezza – Storie di santi e reliquie: il tv show Sky Original, trasmesso su Sky Arte,
composto da sei episodi, ha come protagonisti, nella prima stagione, i santi e le loro reliquie, narrati
dalla cantautrice Letizia Cesarini, in arte Maria Antonietta. Un viaggio per conoscere la bellezza
sacra, i luoghi della religione che custodiscono capolavori d’arte che tolgono il fiato, le storie
misteriose, gli oggetti di culto; è un percorso attraverso i secoli in cui la cantautrice ci guida, con il
suo garbo e la sua passione, alla scoperta di quella parte di storia dell’arte che analizza il forte
legame tra umano e divino.

A questi 5 suggerimenti aggiungo un riferimento ad un mio articolo dello scorso dicembre, che
aveva come tema le 10 migliori serie tv del 2020, perché al suo interno sono presenti altre due
serie tv di argomento religioso che vi consiglio di recuperare, intitolate “Ethos” e “Unorthodox”.

Resta il consiglio di andare sempre alla ricerca, se la tematica vi piace, di altre serie, documentari e
film interessanti, perché sono davvero numerosi ed appassionanti.
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Fuoriclasse - Storia naturale del successo
di Malcolm Gladwell, sgretola il mito del
self-made man ed è per questo che ogni
manager (ma anche tutti noi) dovrebbe
leggerlo
  Quest’anno vi propongo un libro al mese, forse due, per raccontare chi siamo, da dove veniamo,
  dove vorremmo andare e come ci vogliamo arrivare. Perché la lettura può essere svago,
  intrattenimento, ma anche un valido esercizio per imparare a pensare e sviluppare una certa idea
  del mondo.

  Un libro al mese, in piccole schede, in poche battute, per decidere se vale la pena comprarlo e
  soprattutto leggerlo. Perché la lettura, come diceva Woody Allen, è anche un esercizio di legittima
  difesa.

Che cosa è il successo?

Forse è quella combinazione rara e abbondante di doti personali che si presenta in alcuni fortunati
individui e che fa sì che quegli stessi individui, a dispetto delle proprie condizioni sociali ed
economiche, possano eccellere nel campo in cui hanno deciso di operare o a cui dedicarsi?
Secondo il giornalista scientifico del Washington Post e collaboratore del New Yorker Malcolm
Gladwell, le doti individuali e la dotazione genetica sono importanti, ma a decretare il successo, a
creare degli autentici fuoriclasse, sono molto più importanti i fattori sociali ed ambientali.

Ce ne parla ampiamente, di questi fattori ambientali, nel suo libro bestseller “Fuoriclasse – Storia
naturale del successo”, uscito nel 2008 e tradotto da Mondadori nel 2009, e che, ad ogni ristampa,
va velocemente esaurito e che attualmente è reperibile solo nel mercato dell’usato o in formato e-
book.

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Se, come professionisti del mondo del marketing e della formazione, siete abituati ai classici ed
inflazionati, oltre che ripetitivi, manuali di auto aiuto, motivazionali, etc., preparatevi ad avere una
cocente, ma allo stesso tempo illuminante, delusione.

Malcolm Gladwell sfata uno ad uno tutti i miti che ruotano intorno al successo e “sgretola” ogni
nostra convinzione, restituendoci la “vera storia naturale” del successo.

Tutto comincia da un paesino della provincia di Foggia, Roseto Valfortore, che serve all’autore per
calarci subito nel clima e nella temperatura del suo saggio; poi è un susseguirsi di scoperte
sorprendenti e di prese di coscienza sulla vera natura del successo. Scritto con quel gradevole mix di
rigore scientifico e capacità narrative tipico della divulgazione scientifica di matrice anglosassone, il
libro scorre agevolmente dalla prima all’ultima delle sue 250 pagine.

                          Fuoriclasse
Storia naturale del successo
                                      Autore: Malcolm Gladwell

                                          Editore: Mondadori

                               Anno: settembre 2009 (prima edizione)

                                              Pagine: 250

                                         Isbn: 9788804593782

                                            Prezzo: € 18,50

Ma quali sono le argomentazioni che l’autore utilizza per argomentare la sua tesi?

Innanzitutto il libro è diviso in due grandi parti, “opportunità” e “retaggio”, ed ognuna di queste è
composta rispettivamente da 5 e 4 agili capitoli che illustrano ognuno un fattore “naturale” del
successo. Ogni capitolo parte da fatti concreti o casi celebri per illustrare concetti scientifici
perlopiù ignorati da molti, o almeno dalla stragrande maggioranza, di quei professionisti che ogni
giorno lavorano nel campo della motivazione e formazione aziendale.

Ed allora scopriremo: la “regola delle 10.000 ore”, con l’esempio di Bill Gates e dei Beatles; il
potente effetto Matteo e quello dell’età relativa, attraverso l’esempio dei migliori giocatori di
hockey canadese o di quelli del calcio europei; l’importanza delle radici etniche nello studio dei
disastri aerei e come mai la stragrande maggioranza dei più prestigiosi e potenti studi legali di New
York vede una preminenza di soci fondatori ebrei nati fra il 1930 ed il 1935; ed ancora quanto le
origini geografiche, ed i lavori svolti nei paesi d’origine, degli immigrati europei in America
abbia influito sulle faide familiari che insanguinarono il vecchio West americano nell’‘800.

Perché dovremmo leggere Fuoriclasse – Storia naturale del successo?

Il libro di Malcolm Gladwell è una profonda operazione di ecologia mentale, di pulizia delle nostre
convinzioni, delle favole che ruotano intorno al successo, della legenda dell’uomo venuto dal nulla,
del mito del self-made man. Ma attenzione, questa presa di coscienza non è solo distruttiva e
sconfortante, è anche una rivelazione, una vera e propria epifania. Perché scoprire che i motivi del
successo della stragrande maggioranza dei capitani d’industria, dei vincenti, dei manager di
successo, dei gruppi rock leggendari, etc. getta una nuova luce sul mondo del lavoro e sulle nostre
vite, mettendo nella giusta prospettiva tutti quei concetti che una facile e ripetitiva manualistica di
auto aiuto continua a proporci da almeno 100 anni, pressoché immutata, nonostante i progressi
sociali, tecnologici e scientifici che intanto sono intervenuti. Scoprire che il successo è una faccenda
allo stesso tempo molto più prosaica e altrettanto complessa, oltre che naturale, di ciò che
pensavamo ci mette nelle condizioni di considerare al meglio le nostre strategie, il nostro impegno
ed i nostri risultati e, se è il caso, di aggiustare il tiro su cose di cui ignoravamo, addirittura,
l’esistenza.
Se volete approfondire i contenuti del libro “Fuoriclasse – Storia naturale del successo”,
  potete andarvi a vedere la 12° puntata di “Incontri ravvicinati” nella quale abbiamo dialogato,
  del saggio di Malcolm Gladwell, con lo psicologo e divulgatore scientifico Armando De
  Vincentiis.

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Searching, l’originale thriller di Aneesh
Chaganty, è un vero carotaggio
socioculturale dei nostri tempi, in cui i
social sanno più cose su di noi di noi stessi
Si apre con una bellissima immagine di colline verdi sotto un cielo azzurro puntellato da
bianchissime nuvole la prima scena di “Searching”; non fatichiamo a riconoscere, almeno chi tra
noi ha più di 25 anni, la famosa immagine “Bliss” (letteralmente beatitudine, ma conosciuta come
colline), che ha fatto da sfondo ai desktop di mezzo mondo, dal 2001 al 2014, quando il sistema
operativo Windows XP (ancora oggi il terzo al mondo per diffusione) è stato ufficialmente
terminato.

Il desktop e le immagini che vediamo scorrere insieme ai titoli di testa ci sintonizzano subito sul qui
e quando del film, mostrandoci anche, ma lo capiremo solo mentre il film prosegue, che sarà questa
la modalità ed il punto di vista di tutte le inquadrature.

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(David) e Michelle La (Margot) in una scena del film.

  È senza dubbio con un po’ di ritardo che vi parlo del film “Searching” del talentuoso e
  giovanissimo regista statunitense di origini indiane Aneesh Chaganty. Il film è uscito
  nelle sale italiane ad ottobre del 2018, e, benché all’epoca il trailer mi avesse colpito,
  non riuscii a vederlo al cinema.

  Recuperato su una piattaforma di streaming a pagamento, e visto in quest’ultima
  settimana di aprile da Zona Rossa (almeno nella mia Puglia), il film è davvero un thriller
  ben confezionato, ben recitato e soprattutto un interessante esperimento
  cinematografico che si colloca al confine fra diversi media.

Infatti ciò che rende originale questo thriller vecchio stile, incentrato sulla scomparsa di una
adolescente e sugli sforzi che il padre farà per trovarla, è proprio la modalità della narrazione: tutta
la storia si svolge interamente sugli schermi di due pc portatili (quello del papà David e poi quello
della figlia Margot) e di un paio di smartphone.

La scomparsa della giovane Margot (l’attrice Michelle La) è il pretesto narrativo per sbloccare una
delle più grandi paure dei genitori di oggi: quello di non sapere niente di ciò che fanno i loro figli
online o addirittura di non conoscerli affatto. Ed infatti è quello che succede al padre David (un
intenso John Cho), che piano piano discende le scalinate del suo inferno personale, man mano che
esplora il laptop di una figlia che credeva di conoscere.
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“Finora nessuno era riuscito a mostrare in maniera adeguata la tecnologia che dagli ultimi dieci anni
governa le nostre vite; né al cinema, né in televisione”, ha commentato il giovane regista Aneesh
Chaganty, autore insieme all’amico Sev Ohanian anche della sceneggiatura, in un’intervista sul
sito The Hot Corn News.

Per riuscire nell’impresa gli attori hanno dovuto recitare davanti allo schermo nero di un pc dotato
di videocamere Go-pro che potessero simulare la resa qualitativa delle varie webcam e le ottiche dei
vari device impiegati. L’altra protagonista del film, insieme a David, è la detective incaricata del caso
di scomparsa, Vick (un’appassionata Debra Messing che tutti ricordiamo per avere impersonato
Grace nella longeva sitcom Will&Grace), che, a proposito della difficoltà della recitazione, in
un’intervista ha dichiarato:

“È stato un film duro da girare e all’inizio ero molto nervosa, ma sentivo di essere in buone mani.
[…] Non mi era mai capitato di dover recitare di fronte a uno schermo spento, con una Go-pro e il
regista che dirigeva di volta in volta il mio sguardo. Tutto ciò che avevo era la voce di John (Cho, il
co-protagonista, ndr) che avrebbe recitato in presa diretta insieme a me, di fronte a un altro
schermo spento, e a un’altra Go-Pro, in un’altra stanza”.

Searching insomma è sì un noir classico, con una storia tesa, quasi sincopata, che avrebbe
funzionato anche senza l’espediente del racconto “a schermo”, ma è proprio con questa modalità che
ci immerge e trascina ancora di più nel racconto. Come spettatori siamo sia nella fastidiosa
posizione di vedere tutto quello che scopre David sul computer della figlia, che in quella di
involontari ma eccitati voyeur della vita di Margot e David che, come già detto, conosciamo solo
attraverso video di YouTube, chat, servizi di messagistica istantanea, videochiamate e vari servizi dei
tg sul web.

Eppure io credo, ed in questo concordo con l’analisi di Paola Casella su MyMovies.it, che il film
veicoli delle sottotrame parallele: la prima è quella dell’immigrazione, la famiglia protagonista è di
origine coreana e vive nell’America di Trump (quando è uscito il film il tycoon era ancora il
presidente). Non credo sia stata una scelta casuale, anche perché nel film Margot si smarrisce
fisicamente, ma pare aver perduto anche le proprie radici culturali e perciò risulta ancora più
vulnerabile alle insidie della nuova terra promessa. Una possibile conferma a questa tesi è il fatto
che il regista stesso è un immigrato di seconda generazione ma di origini indiane.

Ma è l’altra sottotrama, a mio modo di vedere, quella davvero importante: più che un innovativo
thriller girato attraverso gli schermi neri che affollano le nostre vite, prima ancora che un noir
vecchia maniera raccontato in maniera originale, prima ancora che una piccola rivoluzione del
linguaggio cinematografico, Searching è un dramma familiare, un vero e proprio carotaggio
socioculturale dei nostri tempi.

Tempi nei quali un social network sa più cose dei nostri figli di quanto ne potremmo mai sapere noi,
nei quali dietro ad un nickname può celarsi un grande pericolo, un mondo, quello della rete, dove
nulla è come appare e dove persino noi fingiamo, il più delle volte, di essere qualcosa di diverso da
ciò che siamo in realtà.

Come dei veri black mirror, gli schermi dei device che accompagnano quasi ogni ora delle nostre
esistenze riflettono e ci rimandano l’immagine, a volte distorta, di noi stessi, dei nostri cari e delle
nostre certezze, costringendoci a guardare – come direbbe Nietzsche – il fondo dell’abisso,
consapevoli che anche l’abisso sta guardando dentro di noi.
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ilm.

Cosa altro dire di questo film?
Solo di recuperarlo e guardarlo con attenzione, “Searching”, è una profonda riflessione sui nostri
tempi, da cui emerge sia la nostra ignoranza sulle potenzialità, anche criminali, del web, che anche,
e questo è molto curioso, la dimestichezza che abbiamo nello smanettare sui computer al fine di
violare la privacy altrui e recuperare password e codici di accesso vari, alla faccia di chi dice che
l’analfabetismo digitale sia uno di principali problemi odierni di chi naviga la rete.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

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Oscar 2021: pochi abbracci e poche
emozioni, ma tanti segnali di cambiamento
Un’edizione sottotono quella di quest’anno dei Premi Oscar, una cerimonia in sintonia con il
periodo che stiamo vivendo. Emozione contenuta, poche risate, pochissimi abbracci e non poteva
essere diversamente visto il momento storico. Molti pronostici sono stati disattesi e non c’è stato un
vero e proprio fuoriclasse che ha sbaragliato la concorrenza, però sicuramente “Nomadland” è
stato il film che ha lasciato più il segno rispetto ad altri, vincendo come Miglior film, Migliore
attrice protagonista, premiando l’intensa Frances McDormand, e Miglior regia per la regista
cinese Chloe Zhao, un tris di donne che non si vede spesso e che rappresenta un bel segnale di
cambiamento.

L’Italia torna a casa a mani vuote perché le candidature per Miglior trucco e Migliori costumi
per il film “Pinocchio” di Matteo Garrone (qui la mia intervista al costumista candidato Massimo
Cantini Parrini) sono state, invece, vinte dal film “Ma Rainey’s Black Bottom” di George C.
Wolfe.

La cantante Laura Pausini, candidata per la miglior canzone con “Io sì” del film “La vita davanti
a sé” è stata battuta dalla bellissima “Fight For You” del film “Judas and the Black Messiah”.
Del film girato in Puglia “La vita davanti a sé” e del cortometraggio d’animazione che ha vinto
l’Oscar “Se succede qualcosa, vi voglio bene” ne abbiamo parlato alla loro uscita.

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e Zhao, premiata con l’Oscar come Miglior regista per “Nomadland”, film che si aggiudica
anche l’Oscar più importante, quello del Miglior Film.

Resta il fatto che, anche senza un vero e proprio capolavoro, i vari film candidati per tutti i premi
sono interessanti e vale la pena vederli.

Qui di seguito i vincitori:
Miglior film
The Father
Judas and the Black Messiah
Mank
Minari
Nomadland
Una donna promettente
Sound of Metal
Il processo ai Chicago 7

Miglior regia
Thomas Vinterberg, Un altro giro
David Fincher, Mank
Lee Isac Chung, Minari
Chloe Zhao, Nomadland
Emerald Fennel, Una donna promettente

Miglior attrice protagonista
Viola Davis, Ma Rainey’s Black Bottom
Andra Day, The United States vs. Billie Holiday
Vanessa Kirby, Pieces of a Woman
Frances McDormand, Nomadland
Carey Mulligan, Una donna promettente

Miglior attore protagonista
Riz Ahmed, Sound of Metal
Chadwick Boseman, Ma Rainey’s Black Bottom
Anthony Hopkins, The Father
Gary Oldman, Mank
Steven Yeun, Minari
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es McDormand, in una scena del film “Nomadland”, premiata come Migliore attrice
protagonista.

Migliore attrice non protagonista
Maria Bakalova, Borat – Seguito di film cinema
Glenn Close, Elegia americana
Olivia Colman, The Father
Amanda Seyfried, Mank
Yuh-Jung Youn, Minari

Miglior attore non protagonista
Sacha Baron Cohen, Il processo ai Chicago 7
Daniel Kaluuya, Judas and the Black Messiah
Leslie Odom, Jr., Quella notte a Miami…
Paul Raci, Sound of Metal
Lakeith Stanfield, Judas and the Black Messiah

Miglior film in lingua non inglese
Un altro giro, Danimarca
Better Days, Hong Kong
Collective, Romania
The Man Who Sold His Skin, Tunisia
Quo Vadis, Aida?, Bosnia Erzegovina

Miglior fotografia
Judas and the Black Messiah
Mank
Notizie dal mondo
Nomadland
Il processo ai Chicago 7

Miglior sceneggiatura originale
Judas and the Black Messiah
Minari
Una donna promettente
Sound of Metal
Il processo ai Chicago 7

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in una scena del film The Father, per il quale ha vinto l’Oscar come Miglior Attore
protagonista.

Miglior sceneggiatura non originale
Borat – Seguito di film cinema
The Father
Nomadland
Quella notte a Miami…
La tigre bianca

Miglior film d’animazione
Onward
Over the Moon – Il fantastico mondo di Lunaria
Shaun, vita da pecora: Farmageddon
Soul
Wolfwalkers – Il popolo dei lupi

Miglior documentario
Collective
Crip Camp – Disabilità rivoluzionarie
The Mole Agent
Il mio amico in fondo al mare
Time

Miglior cortometraggio documentario
Colette
A Concerto Is A Conversation
Do Not Split
Hunger Ward
A Love Song for Latasha

Miglior cortometraggio d’animazione
Burrow
Genius Loci
Se succede qualcosa, vi voglio bene
Opera
Yes-People

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ar 2021 come Miglior Attrice non protagonista, grazie al ruolo dell’anziana nonna Soonja
nel film Minari.

Miglior cortometraggio
Feeling Through
The Letter Room
The Present
Two Distant Strangers
White Eye

Migliore colonna sonora
Da 5 Bloods – Come fratelli
Mank
Minari
Notizie dal mondo
Soul
Migliore canzone originale
“Fight for You” – Judas and the Black Messiah
“Hear My Voice – Il processo ai Chicago 7
“Husavik” – Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga
“Io sì (Seen)” – La vita davanti a sé
“Speak Now” – Quella notte a Miami…

Migliori effetti visivi
Love and Monsters
The Midnight Sky
Mulan
L’unico e insuperabile Ivan
Tenet

Migliori trucco e acconciature
Emma
Elegia americana
Ma Rainey’s Black Bottom
Mank
Pinocchio

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car Miglior Attore non protagonista per il film Judas and the Black Messiah.

Migliore scenografia
The Father
Ma Rainey’s Black Bottom
Mank
Notizie dal mondo
Tenet
Migliori costumi
Emma
Ma Rainey’s Black Bottom
Mank
Mulan
Pinocchio

Miglior montaggio
The Father
Nomadland
Una donna promettente
Sound of Metal
Il processo ai Chicago 7

Miglior sonoro
Greyhound – Il nemico invisibile
Mank
Notizie dal mondo
Soul
Sound of Metal

Non ci resta che recuperare questi film e attendere i nostri Oscar italiani, i David di Donatello, in
programma per l’11 maggio 2021.

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I film italiani in uscita a Maggio 2021
Le tanto auspicate riaperture, porteranno a partire dal prossimo mese, ad una rinascita del cinema
in sala. Le povere e martoriate sale cinematografiche, chiuse ormai dallo scorso ottobre, sperano che
con la bella stagione, si possa ritornare a gustare “in presenza”, la magia incantatrice del Cinema.

Il prossimo mese, ovvero Maggio, sarà un banco di prova per tante cose, sarà un banco di prova per
la cultura, pronta a ripartire e sarà un banco di prova per capire l’efficacia della campagna di
vaccinazione, essenziale, lo ricordiamo, per ritornare “alla vita”.

A Maggio, in sala, usciranno ben 12 pellicole italiane, a   conferma della “nuova” vitalità del nostro
cinema. Molto atteso, in uscita il prossimo 20 maggio, è    Il cattivo poeta, nel quale uno strepitoso
Sergio Castellitto veste i panni del sommo e discusso       poeta Gabriele D’Annunzio. Un film del
regista Gianluca Jodice, per una parabola archetipica       sul potere e sulla libertà di pensiero, con
evidenti riferimenti ai tempi attuali.

La settimana dopo (27 maggio) si continua a veleggiare alto, con Valeria Golino, che con Fortuna
ci porta all’interno di una favola nera a metà tra cronaca e fantascienza. Una trama molto
particolare, che è nello stesso tempo anche una sorta di thriller psicologico in salsa italiana. E’ la
storia di una bambina che ha smesso di parlare. Si chiama Nancy, o forse Fortuna. Vive con la madre
in un casermone della periferia del napoletano che è un non-luogo metafisico alienato e alienante,
pieno di corridoi lungo i quali ci si perde, e dei quali non si vede la fine. La bambina frequenta una
psicologa che cerca di capire perché non parli più. Sopra il casermone c’è un terrazzo dove si fanno
feste rionali e dove i piccoli condomini giocano: fra questi Anna e Nicola, una bimba fantasiosa e un
bambino bullizzato dai ragazzini più grandi. Tutti hanno segreti troppo giganti per essere raccontati.
E tutti hanno paura del lupo. Il regista Nicolangelo Gelormini, al suo esordio assoluto nel
lungometraggio, è un uomo che conosce il cinema, nonostante la giovane età. A conferma di ciò è
cresciuto all’ombra di Paolo Sorrentino, dal quale è riuscito a carpirne, atmosfere, situazioni e stile.
Ne sentiremo certamente parlare nei prossimi anni.

SI è parlato di Valeria Golino e della propensione del nostro cinema, avvertibile molto chiaramente
negli ultimi anni, di affidarsi sovente, alle gesta e al talento delle nostre attrici. Un esempio
lampante sarà Il buco in testa, film di Antonio Capuano, tutto declinato al femminile. La
protagonista, Maria, impersonata da Teresa Saponangelo è rabbiosa, ribelle, sanguigna, in
costante ricerca di risposte, tormentata da un’angoscia senza nome. In tutto questo l’attrice si
prende il centro della scena, anzi la domina, confermando il piacere assoluto di vederla finalmente
protagonista, in ossequio al suo grande talento finalmente pienamente evidenziato. Il regista si
ispira ad una storia vera, un episodio molto noto degli anni di piombo: il giorno in Via De Amicis
immortalato dalla foto simbolo dell’epoca in cui l’autonomo Giuseppe Memeo, a gambe divaricate,
punta a due mani una pistola contro la polizia. Quel giorno perse la vita il vicebrigadiere Antonio
Custra, lasciando vedova la moglie incinta. E Capuano immagina le ricadute di quell’episodio su tutti
coloro che ne sono stati coinvolti: una moglie, una figlia, un killer in cerca di redenzione, una
generazione perduta. Un film che ci sentiamo pienamente di consigliare, non solo perché
ricostruisce una tragica “storia italiana”, che non merita di essere scordata; ma anche per la
precisione sociologica che lo renderà uno dei film in costume più importanti degli ultimi anni.

Nello stesso mese usciranno anche altri film, che citiamo in maniera fugace. Ad esempio Maternal,
film di Maura Delpero, ancora tutto declinato al femminile, perché è infatti la storia di tre donne a
confronto con maternità e religione; e poi Regina di Alessandro Grande; e soprattutto Alida, di
Mimmo Verdesca, dedicato alla figura di una delle dive più importanti della storia del cinema
italiano, ovvero Alida Valli. Un ritratto inedito della grande attrice, che siamo sicuri, farà
emozionare il pubblico in sala.

Insomma la ripartenza “in presenza” promette bene, tanti film interessanti già a partire dal prossimo
mese, nella speranza che questa ripartenza possa essere quella definitiva, anche e soprattutto per il
settore culturale, che, lo ricordiamo, è stato quello più pesantemente condizionato dalla pandemia.

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Giornata mondiale del Libro: AIE conferma
la crescita del mercato dei libri anche nel
primo trimestre 2021 (+26,6%)
L’editoria italiana nel primo trimestre del 2021 è in forte crescita!
Secondo i dati elaborati dall’Associazione Italiana Editori (AIE), dal primo gennaio al 28 marzo
2021 le vendite dei libri a stampa a prezzo di copertina nei canali trade (librerie, online e grande
distribuzione organizzata) sono cresciute del 26,6% a valore e del 26,7% a copie vendute rispetto
allo stesso periodo dell’anno precedente, consolidando tra l’altro un trend iniziato nella seconda
metà del 2020.

  Sul sito dell’AIE si legge:
  I dati mostrano cambiamenti di grande rilievo nei canali di vendita e nella struttura del mercato. I
  canali fisici (librerie e grande distribuzione) passano dal 73% del 2019 al 57% di fine 2020, al 55%
  a marzo di quest’anno. Le librerie online, che rappresentavano il 27% nel 2019 e il 43% nel 2020,
  raggiungono il 45% nel primo trimestre dell’anno. Le librerie indipendenti, maggiormente
  presenti nelle periferie e nei piccoli centri, passano dal 22% di fine 2019 al 18% di fine 2020 e,
  quindi, al 16% di fine marzo.

  La 18App, in particolare, ha confermato la propria efficacia anche nell’avvio del nuovo anno: tra
  gennaio e febbraio i 18enni hanno utilizzato per l’80% questo strumento per acquisti di libri a
  stampa, pari complessivamente a 75 milioni di euro. Il 91% degli acquisti sono stati effettuati
  nelle librerie online.

  La quota dei piccoli e medi editori, trainata dall’online, è cresciuta costantemente nel corso degli
  anni, passando dal 39,5% del 2011 al 47,5% del 2019, al 50,9% del 2020, fino a toccare il 54,1%
  tra gennaio e marzo 2021.

Il presidente di AIE Ricardo Franco Levi, a proposito di questi ottimi numeri, ha dichiarato:

“Siamo di fronte a un incremento importante che si accompagna alla crescita della lettura, come è
documentato nel libro bianco del Cepell (nel 2020 sono lettori il 61% degli italiani nella fascia d’età
15-74 anni, contro il 58% dell’anno precedente). Questi dati confermano la bontà delle politiche di
sostegno al settore proposte da tutta la filiera del libro unita, l’Associazione Italiana Bibliotecari
(AIB), AIE, Associazione Librai Italiani (ALI), e messe in atto nel 2020 da governo e parlamento. Ci
riferiamo in particolare al sostegno della domanda tramite la 18App, la Carta Famiglia, il
finanziamento degli acquisti delle biblioteche nelle librerie di prossimità, tutte misure che chiediamo
siano confermate e stabilizzate”.
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Complice la pandemia da Coronavirus, le limitazioni agli spostamenti personali e la totale chiusura
di tutti gli altri comparti culturali (cinema, teatri, concerti e spettacoli dal vivo), il libro diventa non
solo il fedele compagno di tante ore passate a casa, ma anche un rifugio, uno sfogo e un’occasione
per la crescita culturale personale che riunisce in sé tanti vantaggi: praticità, economicità e grande,
se non inesauribile, disponibilità di argomenti.

Anche noi di Smart Marketing abbiamo sempre creduto nel valore e potenza del libro e della
lettura, tanto che, oltre alla nostra rubrica dedicata, anche il nostro nuovo format di dirette
Facebook “Incontri ravvicinati” è nato e si è sviluppato “principalmente” intorno all’oggetto libro
e su quanto possa essere utile per sviluppare le nostre competenze specifiche e soprattutto
trasversali.

In un annus horribilis per il mondo della cultura, è come se tutti noi avessimo compreso il vero
valore delle cose che ci circondano riabilitando un oggetto, il libro e una pratica, la lettura, con i
quali noi italiani non avevamo troppa dimestichezza.

Vuoi vedere che alla fine qualcosa di buono questa pandemia l’ha fatta?

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Il podcast che ti fa scoprire l’A.I. -
L’intelligenza artificiale in azienda? La si
porta così. Con Marina Geymonat

Tutti, o quasi, conosciamo la regola mnemonica per il gioco del Poker per
ricordare il valore dei semi delle carte.
È la famosa “Come Quando Fuori Piove” dove le iniziali delle quattro parole “C – Q – F – P” ci
aiutano a ricordare la gerarchia del valore dei singoli semi “Cuori Quadri Fiori Picche”.
Ma anche quando parliamo di Intelligenza Artificiale questa tecnica mnemonica può tornarci utile
per comprendere, in particolare, a cosa stare attenti quando decidiamo di adoperare l’I.A. in
azienda, soprattutto nella forma più comunemente utilizzata dalle imprese, ossia quella della
machine learning.

A spiegarci in che maniera il “Come Quando Fuori Piove” possa tornarci utile prima di investire i
nostri budget in sistemi di Intelligenza Artificiale è Marina Geymonat, una grande esperta del
mondo aziendale (infatti è Responsabile Piattaforme di Intelligenza Artificiale per TIM) che, insieme
al giornalista di Radio IT Igor Principe, ci guiderà in questo interessantissimo 11° episodio del
podcast “Alla scoperta dell’Intelligenza Artificiale”, ideato e promosso dall’Associazione
Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA) e Radio IT (il primo podcast network italiano
sull’information technology).

Scopriremo allora che il Come/Cuore serve per comprendere che quando un’impresa decide di
investire in sistemi di Intelligenza Artificiale bisogna tenere lo sviluppo di queste tecnologie il più
possibile vicino al cuore dell’azienda. Perché solo chi lavora dentro le aziende può “guidare” gli
esperti tecnologi e informatici, reclutati in università o centri di ricerca esterni, verso la creazione di
un sistema di I.A. che risolva davvero i problemi posti in essere dall’impresa. Le intelligenze
artificiali che funzionano meglio sono proprio quelle sviluppate ad hoc o quantomeno personalizzate
all’interno delle società che poi li andranno ad utilizzare.

Il mezzo migliore per permettere che la nuova tecnologia di I.A. sia sviluppata vicino al cuore
dell’azienda è la formazione del personale interno; la formazione non deve essere iper-
specialistica, ma preparatoria, e si può attuare attraverso un piccolo master, nell’ordine della decina
di ore; il personale così formato comprenderà passo passo e “parteciperà” allo sviluppo e
all’applicazione di questa nuova tecnologia.

Il Quando/Quadri rappresenta invece i tempi e i soldi che l’azienda decide di investire in
tecnologie di I.A.. Il problema principale quando un’azienda decide di investire negli algoritmi
dell’Intelligenza artificiale è che ha fretta di vedere i risultati “mirabolanti” di cui tanto si sente
parlare in giro; ed allora succede che dopo la creazione e lo sviluppo del sistema di I.A.
personalizzato (che, come abbiamo detto, nel campo aziendale sono soprattutto sistemi di machine
learning) il management abbia fretta di risultati e spesso decida di abbandonare la nuova tecnologia,
prima che le sia stato permesso di apprendere ed elaborare i dati raccolti nel mondo reale. La fase
più importante per gli algoritmi di I.A., usciti dal laboratorio e messi al lavoro nella vita vera, sul
campo, è proprio questa fase di “addestramento”, perché più dati l’I.A. raccoglie, più evolve e più
precise e performati saranno i suoi risultati.

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eymonat, responsabile Piattaforme di Intelligenza Artificiale per TIM.

C’è poi il Fuori/Fiori, due parole perfette secondo Marina Geymonat per spiegare, attraverso
l’esempio di un “fiore trilobato” (con tre lobi/petali), quali sono gli attori necessari di cui
bisogna tener conto quanto si decide di sviluppare ed adottare in azienda delle nuove tecnologie di
I.A..

Il primo lobo del Fiore sono gli utilizzatori finali, che quelle tecnologie e quegli algoritmi
dovranno poi utilizzare. L’errore più comune delle aziende è quello di far calare dall’alto le nuove
tecnologie di I.A. che spesso dopo tanto tempo e denaro spesi per il loro sviluppo finiscono per non
essere adoperate sul campo, diventando degli investimenti fallimentari. Far partecipare “gli
utilizzatori finali” ai vari processi di trasformazione tecnologica, anche attraverso una formazione
propedeutica, è la migliore assicurazione che poi quelle stesse tecnologie vengano effettivamente
utilizzate.

Il secondo lobo del Fiore sono gli esperti di I.A., interni ed esterni all’azienda, che si sono
reclutati per sviluppare la nuova tecnologia, far dialogare i vari esperti tra loro, con il management
dell’azienda e con gli utilizzatori finali; esso permetterà di sviluppare, testare e far funzionare al
meglio le nuove tecnologie che si andranno ad adottare.

Terzo ed ultimo lobo del Fiore è rappresentato da tutto il comparto aziendale dell’information
technology: sembra paradossale, parlando di soluzioni informatiche, ma spesso gli esperti di I.A. e
gli esperti di I.T. già presenti in azienda non dialogano tra loro, decretando il fallimento della nuova
tecnologia che si va sviluppando. Questo succede perché le tecnologie dell’intelligenza artificiale
sono ritenute cosi innovative da venire isolate, o da isolarsi, dai settori dell’I.T., che invece sono non
solo fondamentali al loro sviluppo, ma saranno anche i principali fruitori dei risultati e delle soluzioni
di I.A. che si adotteranno in azienda.

Infine, l’ultimo seme, il Piove/Picche, è perfetto per spiegare tutto quello che non bisogna fare
quando si decide di sviluppare ed adottare in azienda una nuova tecnologia di Intelligenza
Artificiale. Secondo Marina Geymonat innanzitutto bisogna non rimanere ancorati alle abitudini ad
al modo di lavorare del passato, bisogna passare da una modalità lavorativa per requisiti ad una
modalità per dati ed obiettivi, poi bisognerebbe abbandonare le modalità di lavoro a “silos”, a
compartimenti stagni, che nelle aziende del passato era un metodo vantaggioso che funzionava;
nelle aziende moderne, ancor di più se decidono di adottare tecnologie dell’I.A., avere un
vocabolario comune e far lavorare i vari comparti in modalità end-to-end è fondamentale.

Il lavoro nelle aziende deve svilupparsi in ampiezza, coinvolgendo tutti quei settori che, a priori,
sembrano avere poco o nulla a che fare con l’adozione di una nuova tecnologia di I.A., perché per
addestrare al meglio le intelligenze di silicio prima bisogna formare, far dialogare ed interagire le
intelligenze degli esseri umani che lavorano fra loro e che lavoreranno con le nuove tecnologie
dell’Intelligenza Artificiale.

Se volete scoprire come utilizzare al meglio la tecnica mnemonica del “Come Quando Fuori Piove”
per capire quali sono i passi fondamentali da intraprendere in azienda prima, dopo e durante
l’acquisizione di nuove tecnologie dell’I.A., non vi resta che infilare le cuffie ed ascoltarvi questo
interessatissimo 11° episodio del podcast di “Alla scoperta dell’Intelligenza Artificiale”, che ci
propone una vera roadmap per orientarci in questi nuovi e spettacolari territori.

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