8 marzo, Amnesty: fermiamo il femminicidio in Italia

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8 marzo, Amnesty: fermiamo il femminicidio in Italia
8 marzo, Amnesty: fermiamo il femminicidio in Italia
                                       di Monica Ricci Sargentini

Donne

In occasione dell’8 marzo, Giornata internazionale delle donne, Amnesty International Italia ha
nuovamente ribadito l’urgenza di fermare gli alti livelli di violenza domestica e le crescenti
uccisioni di donne in quanto donne, da parte di uomini, che caratterizzano l’Italia.

“La situazione è allarmante, come ricordato nel rapporto sull’Italia, pubblicato nel 2012, dalla
Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne – ha dichiarato Christine
Weise, presidente di Amnesty International Italia – In Italia la violenza domestica sta sfociando in
un crescente numero di uccisioni di donne per violenza misogina”.

Negli ultimi 10 anni, ha ricordato Amnesty International Italia, il numero di omicidi da uomo su
uomo è diminuito, mentre è aumentato il numero di donne uccise per mano di un uomo: oltre 100
ogni anno. Secondo le ultime statistiche fornite dalla Casa delle Donne di Bologna che raccoglie
dati sul feminicidio dal 2005: sono 124 le donne uccise nel 2012. In leggero calo rispetto al 2011
quando le vittime erano state 129. Ma nel dato del 2012 vanno anche conteggiati i 47 tentati
femminicidi che, fortunatamente, non hanno portato alla morte della donna. E le 8 vittime, tra figli
e altre persone (che portano il totale a 132). Vittime italiane nel 69% dei casi, così come gli
assassini (73%). Il 60% dei delitti è avvenuto nel contesto di una relazione tra vittima e autore, in
corso o conclusa. Nel 25% dei casi le donne stavano per porre fine alla relazione o l’avevano già
fatto.

Le regioni del nord restano quelle in cui i delitti sono più frequenti (52%) a dimostrazione che, si
legge nel rapporto della Casa delle Donne, “laddove le donne vivono situazioni di maggior
autonomia e indipendenza, e sono meno propense ad accettare di subire violenza e disparità di
potere nella relazione esse sono anche maggiormente a rischio di finire vittime della violenza
maschile”. L’Emilia-Romagna è tra quelle in cui si realizza il maggior numero di casi, con 15 eventi,
preceduta solo da Lombardia e Campania. Dal 2006 in Emilia-Romagna sono state 78 le donne
vittime di femminicidio, mentre a Bologna dal 2009 sono state uccise 3 donne all’anno con
un’incidenza pari al 30,5% rispetto alla media regionale.

L’appello di Amnesty è rivolto al governo perché si impegni a combattere il fenomeno: “Per
contrastare adeguatamente queste violazioni dei diritti umani, le istituzioni italiane devono
ratificare al più presto la Convenzione del Consiglio d’Europa del 2011 sulla violenza contro le
donne e devono mettere in campo un impegno serio e determinato per dare attuazione alle
raccomandazioni del rapporto della Relatrice speciale. Tra le richieste, ricordiamo quella di
adottare una legge specifica sulla parità di genere e sulla violenza contro le donne” ha affermato
Carlotta Sami, direttrice generale di Amnesty International Italia.

L’associazione per i diritti umani ritiene che la società nel suo complesso e in particolare gli organi
d’informazione dovrebbero essere sensibilizzati sulla violenza contro le donne, anche al fine di una
8 marzo, Amnesty: fermiamo il femminicidio in Italia
rappresentazione non stereotipata delle donne e degli uomini nei media. I centri di accoglienza
per donne vittime di violenza andrebbero mantenuti e aumentati, assieme alla garanzia di un
adeguato coordinamento tra la magistratura, la polizia e gli operatori sociosanitari che si occupano
della violenza contro le donne.

Anche la Casa delle donne di Bologna chiede che vengano destinate risorse ai centri antiviolenza,
che siano rafforzate le reti di contrasto alla violenza tra istituzioni e privato sociale qualificato e
che sia effettuata una corretta formazione degli operatori sanitari, sociali e del diritto perché “più
donne possano sentirsi meno sole, possano superare la paura e divenire consapevoli che
sconfiggere e sopravvivere alla violenza è possibile”.

Alle donne vittime di violenza la Rai dedica la giornata di oggi, illuminando di rosa i principali
palazzi dei suoi Centri di produzione a Milano, Torino, Roma e Napoli.
8 marzo, Amnesty: fermiamo il femminicidio in Italia
SORELLE MIRABAL
Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, Antonia Maria Teresa Mirabal nacquero a Ojo de
Agua provincia di Salcedo nella Repubblica Dominicana da una famiglia benestante. Combatterono
la dittatura(1930-1961) del dominicano Rafael Trujillo, con il nome di battaglia Las Mariposas (Le
farfalle).

 Il 25 novembre 1960 Minerva e Maria Teresa decidono di far visita ai loro mariti, Manolo Tavarez
Justo e Leandro Guzman, detenuti in carcere. Patria, la sorella maggiore, vuole accompagnarle
anche se suo marito è rinchiuso in un altro carcere e contro le preghiere della madre che teme per
lei e per i suoi tre figli. L’intuizione della madre si rivela esatta: le tre donne vengono prese in
un’imboscata da agenti del servizio segreto militare, torturate e uccise.

Il loro brutale assassinio risveglia l’indignazione popolare che porta nel 1961 all’assassinio di
Trujillo e successivamente alla fine della dittatura.

 Il 17 dicembre 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 54/134, dichiara
il 25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne in loro
memoria.

 La militanza politica delle tre sorelle Mariposas era iniziata quando Minerva, la più intellettuale
delle tre, il 13 ottobre 1949, durante la festa di san Cristobal, organizzata dal dittatore per la
società più ricca di Moca e Salcedo, aveva osato sfidarlo apertamente sostenendo le proprie idee
politiche.

Quella data segna l’inizio delle rappresaglie contro Minerva e tutta la famiglia Mirabal, con periodi
di detenzione in carcere per il padre e la confisca dei beni per la famiglia.

 Minerva mostra fin da bambina un carattere forte e indipendente e una grande passione per la
lettura, il suo paese e la libertà. La sua influenza sulle sorelle è notevole, soprattutto su Maria
Teresa, la più piccola, che la prende a modello e cerca di emularla negli studi universitari,
iscrivendosi ad Architettura, facoltà che non termina, conquistando soltanto il grado tecnico in
Agrimensura.

Maria Teresa segue Minerva giovanissima nella militanza politica, dopo essersi fidanzata con un
altro attivista politico, Leandro Guzmàn, amico del marito di Minerva.

 Dopo la conclusione degli studi superiori Minerva chiede ai genitori il permesso di studiare Diritto
all’Università (suo grande sogno fin dall’infanzia), ma la madre di oppone: conoscendo le sue
spiccate idee politiche, teme per la sua incolumità. Per consolarla del diniego il padre le permette
di imparare a guidare e le regala un automobile su cui, con grande audacia per i tempi, scorrazza
da sola per tutta la provincia.

 Ma nel 1952, all’età di ventisei anni, Minerva riesce a iscriversi all’Università di Santo Domingo,
che frequenterà fra divieti e revoche. Dopo la laurea però non le viene consentito l’esercizio della
professione.
8 marzo, Amnesty: fermiamo il femminicidio in Italia
Minerva, unica donna insieme a Dulce Tejada in un gruppo di uomini, il 9 gennaio del 1960 tiene
nella sua casa la prima riunione di cospiratori contro il regime che segnò la nascita
dell’organizzazione clandestina rivoluzionaria Movimento del 14 giugno e il cui presidente fu suo
marito Manolo Tamarez Justo, assassinato nel 1963.

Minerva fu l’anima del movimento «Durante un’epoca di predominio dei valori tradizionalmente
maschili di violenza, repressione e forza bruta, dove la dittatura non era altro se non l’iperbole del
maschilismo, in questo mondo maschilista si erse Minerva per dimostrare fino a che punto ed in
quale misura il femminile è una forma di dissidenza». (Dedè Mirabal)

 Ben presto nel Movimento 14 giugno, oltre alla giovanissima (quando fu assassinata aveva
soltanto venticinque anni) Maria Teresa e al marito, che già da anni erano attivisti politici, furono
coinvolti anche la materna e solidale Patria e il marito Pedro Gonzalez.

 Patria aveva abbandonato gli studi presso una scuola secondaria cattolica di La Vega (come farà
Dedé per badare all’attività familiare) per sposare a sedici anni un agricoltore. Patria è molto
religiosa e generosa, allegra e socievole; si definisce “andariega”, girovaga, perché ama molto
viaggiare. Era madre di quattro figli (ma l’ultimo visse soltanto pochi mesi) e non esita ad aderire al
movimento per « non permettere che i nostri figli crescano in questo regime corrotto e tirannico».

 La loro opera rivoluzionaria è tanto efficace che il Dittatore in una visita a Salcedo esclama: «Ho
solo due problemi: la Chiesa cattolica e le sorelle Mirabal».

 Nell’anno 1960 Minerva e Maria Teresa vengono incarcerate due volte; la seconda volta vengono
condannate a cinque anni di lavori forzati per avere attentato alla sicurezza nazionale, ma a causa
della cattiva reputazione internazionale di Trujillo dopo l’attentato al presidente venezuelano
Betancourt, vengono rilasciate e messe agli arresti domiciliari.

Anche i loro mariti e il marito di Patria, Pedro Gonzalez, vengono imprigionati e torturati.

Trujillo progetta il loro assassinio in modo che sembri un incidente, per non risvegliare le proteste
nazionali e internazionali; infatti i corpi massacrati delle tre eroine vengono gettati con la loro
macchina in un burrone.

 L’assassinio delle sorelle Mirabal provoca una grandissima commozione in tutto il paese, che pure
aveva sopportato per trent’anni la sanguinosa dittatura di Trujillo. La terribile notizia si diffonde
come polvere, risvegliando coscienze in letargo.

 L’ unica sorella sopravvissuta, perché non impegnata attivamente, Belgica Adele detta Dedé, ha
dedicato la sua vita alla cura dei sei nipoti orfani: Nelson, Noris e Raul, figli di Patria; Minou e
Manuelito, figli di Minerva, che avevano perso il padre e la madre, e Jaqueline figlia di Maria
Teresa, che non aveva ancora compiuto due anni. Dedé esorcizzerà il rimorso per essere
sopravvissuta alle amatissime sorelle dandosi il compito di custode della loro memoria:
«Sopravvissi per raccontare la loro vita». Nel marzo 1999 ha pubblicato un libro di memorie Vivas
in su jardin dedicato alle sorelle, le cui pagine sono definite come «fiori del giardino della casa
museo dove rimarranno vive per sempre le mie farfalle».
8 marzo, Amnesty: fermiamo il femminicidio in Italia
La loro vita è stata narrata anche dalla scrittrice dominicana Julia Alvarez nel romanzo Il tempo
delle farfalle (1994), da cui è stato tratto nel 2004 il film di Mariano Barroso In The time of
Butterflies, con Salma Hayek.

25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Un giorno che dovrebbe
diventare tutti i giorni. Giorni in cui dire basta,fare proposte,metterle in atto. Giorni in cui chiedere
a gran voce che governo e parlamento si adoperino al più presto per la ratifica della Convenzione
di Instanbul.

  Ci vorrebbero uno, cento, mille 25 novembre. Tanti 25 novembre per chiedere che venga
introdotta l’educazione sessuale nelle scuole.Tanti 25 novembre in cui supportare i centri
antiviolenza, i centri di ascolto e fare in modo che la scure dei tagli non si abbatta su questi
preziosi strumenti.

Tanti 25 novembre in cui passare dalle parole ai fatti. Fatti che servono a combattere sul nascere il
germe della violenza. Tanti 25 novembre in cui chiedere al giornalismo di cambiare linguaggio.

 Nessuna donna infatti muore di passione, di caldo o di follia. Le donne vittime di violenza
muoiono a causa di una cultura sbagliata ormai radicata nella nostra società. Una cultura che vede
le donne come corpi da esibire, come merce da possedere.

 Tanti 25 novembre in cui chiedere agli uomini di camminare al nostro fianco, di camminare
insieme, di lottare con noi affinché le cose cambino sul serio.

Tanti 25 novembre per arrivare al giorno in cui non ci sarà più bisogno di un 25 novembre.
8 marzo, Amnesty: fermiamo il femminicidio in Italia
Che cosa ha di umano una società
   che non sa proteggere i bambini?
di Anna Costanza Baldry Resp. sportello antistalking 'Astra'
Tags: violenza

A CURA DEGLI ALLIEVI CORSO D
In Siria da marzo 2011 a gennaio 2012 è stata compiuta una strage che continua tutti i giorni. Il
portavoce dell’Unicef, Marixie Mercado ha dichiarato che si stimano oltre 400 bambini
massacrati dall’inizio dei bombardamenti.
Di fronte ai bambini, chiunque dovrebbe e deve abbassare le armi, tutte, quelle da fuoco ma
anche armi in cui si trasformano le mani che strangolano, che picchiano che accoltellano,
che uccidono, che diventano micidiali.
Quando anche questo unico baluardo, questa unica certezza spariscono dall’umanità,
possiamo solo dire che la fine del mondo è già arrivata e che può accadere di tutto.
Venti bambini sono stati uccisi da un pazzo criminale nella loro scuola, nel Connecticut.

Non riesco a non pensare ininterrottamente ai loro visi terrorizzati, ai loro corpicini straziati,
al loro sguardo incredulo che non comprende neppure cosa sta accadendo, ai loro regali di
Natale che non vedranno mai, ai loro genitori, a una vita che per tutti si è fermata lì. E non
era la prima volta.
Sono vittime che non potranno mai capire che il mondo è comunque un posto bellissimo
dove, comunque vada, tutto ha un senso. Pian piano anche loro se ne sarebbero accorti e
avrebbero affrontato la loro vita con gioie, tristezze, dolori, speranze, amore.
Uccidere un bambino è quanto di più inconcepibile con cui noi essere umani ci dobbiamo
confrontare. Perché i bambini sono di tutti, nel senso che sono la gioia di tutti che rallegra
ogni giornata grigia; sono la speranza del futuro e del cambiamento, sono l’innocenza della
sincerità dei sentimenti e dei vissuti.
8 marzo, Amnesty: fermiamo il femminicidio in Italia
E non si sa bene che dire, perché qualunque cosa sarebbe inadeguata.
Come non saprei cosa dire ai tre bimbetti di Giovanna uccisa dal marito Giovanni a San Felice a
Cancello. Erano in casa quando la loro mamma è stata uccisa dal loro papà; erano nell’altra
stanza e una di loro ha anche chiamato la nonna perché papà stava facendo del male a
mamma.
E non sono stata neppure capace di sapere cosa dire ai due bimbi di Beatrice che non hanno più
la mamma, strangolata sapremo fra non molte ore da chi a Montecatini.
Ogni anno oltre alle cento e più donne uccise, ci sono altrettanti bambini che
improvvisamente rimangono orfani della loro mamma spesso uccisa dal loro stesso
padre. Psicologicamente è come morire, è come aver ucciso anche loro.
Questi uomini che uccidono le mamme dei loro stessi figli, non solo uccidono quelle
donne, ma stanno uccidendo anche i loro figli perché gli portano via quanto di più caro e
prezioso hanno. Questo non è amore, non voglio che venga chiamato amore, né amore
malato, né gelosia, né amore criminale. E’ omicidio e basta, è violenza e basta, è crudeltà e
basta, è vigliaccheria e basta.
A questi bambini voglio dare voce, rispettandoli per sempre ma anche portando sulla
coscienza la macchia di una umanità che ha perso ogni diritto di chiamarsi tale che non è
stata capace di proteggerli.
8 marzo, Amnesty: fermiamo il femminicidio in Italia
CARMELA

PERTUCCI
Navigano su Internet, si esprimono liberamente sui social network, sono costantemente
connessi, si intrattengono in incontri erotici on line. Spesso inconsapevolmente si danno al
cyberbullismo. Un fenomeno diffuso soprattutto nella scuola secondaria superiore e
caratterizzato da comportamenti come l'attaccare qualcuno in rete o attraverso il cellulare, il
diffondere maldicenze online e foto/video compromettenti, l'escludere qualcuno da un social
network, il violare account altrui o crearne di falsi, e l'aggredire qualcuno in un gioco online.

È Una delle tante fotografie degli adolescenti emiliano-romagnoli scattate dal Corecom nella
ricerca "stili di vita on line e offline degli adolescenti in Emilia-Romagna". La ricerca ha
coinvolto 3 mila adolescenti che hanno compilato un questionario online e ha avuto l'obiettivo
di indagare l'utilizzo dei media e delle tecnologie, gli stili di vita e i comportamenti a rischio tra
gli adolescenti della Regione Emilia-Romagna, fornendo una visione articolata e complessa
dei diversi contesti di esperienza o nline e offline vissuti dagli adolescenti.

Non solo cyberbullismo dunque. Dai risultati emerge una crescita del disagio con il passaggio
dalla scuola secondaria di primo grado alla scuola secondaria di secondo grado, e una
maggiore difficoltà di adattamento riportata dai ragazzi stranieri che più degli altri segnalano
problemi comportamentali, rapporti problematici tra pari, sintomi emozionali e problemi
psicologici. Degna di attenzione una percentuale comunque minoritaria che ha
comportamenti problematici legati all'uso e all'abuso di alcol, droghe e tabacco. L'ultimo tema
approfondito è la percentuale di ragazzi che intrattengono incontri erotici online (8%).

Sono soprattutto i maschi a dichiarare di aver avuto incontri online con persone conosciute o
meno (riposta l'agenzia Dires-redattore sociale). "La ricerca è importante perchè pone
l'attenzione su fenomeni prima di tutta da comprendere, e a volte non è affatto facile - spiega
Primarosa Fini, responsabile del Corecom Emilia-Romagna - i destinatari di questo studio
sono sopratutto genitori ed educatori. Spesso si vigila su ciò che succede nella vita reale e
non si dedica la giusta attenzione alla vita on line dei ragazzi. Per poter lavorare con loro,
parlare la loro lingua, sensibilizzarli e renderli più consapevoli è utile prima di tutto capire
come si comportano".

HOLLY      GROGAN

UK adolescente di Holly Grogan, 15, tormentato da messaggi su Facebook si uccide
Aggiornato: 05 Mar 2010Condividi questa notizia? ... Fare clic sulla casella
Per saperne di più su di Holly Grogan     scuola di St Edward
Inquest: Holly Grogan foto di Facebook e, a destra, festeggia il suo compleanno
'Bullismo': Holly frequentato la scuola di St Edward in Cheltenham, Gloucestershire, dove
sarebbe stato schernito dai compagni di classe
Una ragazza di 15 anni è passato da un ponte alla sua morte dopo essere stato vittima di
bullismo da compagni di classe presso la sua scuola privata.
Agrifoglio Grogan era stato tormentato da insulti di persona e da messaggi su Facebook più
di accuse che aveva una relazione con il fratello di un'altra ragazza.
Agrifoglio è stato detto di essere stato molto turbato dalle accuse e morì poche ore dopo dopo
essere caduto 30ft su una strada trafficata a due.
Ieri il padre Steve Grogan, 45, ha detto a un'inchiesta di suo rammarico di non sollevare
questioni di bullismo con il personale presso la Scuola di 11.000 a un anno £ St Edward in
Cheltenham, Gloucestershire.
Signor Grogan, un costruttore, ha detto che poco prima di morire la figlia era stata felice di
essere stato invitato alla festa di un allievo del collega.
Il giorno dopo, durante una lezione di PE, tre ragazze accusata di andare a letto con un
amico di 17 anni, fratello, che lei ha negato.
Sig. Grogan ha detto l'inchiesta: 'Holly ha detto loro domande e accuse sconvolta e fatta
piangere. Le ragazze ha continuato a dire che Holly non dovrebbe andare alla festa. '
Ricordando la mattina dopo, quando ormai il corpo di sua figlia era stata trovata sulla A40, il
signor Grogan ha continuato: 'Mia moglie Anita andò a svegliare Holly e notato il suo letto non
era stato dormito dentro
'C'era una nota sulla scrivania. Credo che sono stati i fatti del giorno che hanno fatto pendere
agrifoglio oltre il bordo. '
Nella sua lettera di Holly ha scritto: 'Non voglio fare nomi, ma vorrei solo che la gente
potrebbe imparare a perdonare e dimenticare e di essere più attento alle persone e
permettere alle persone di andare avanti.'
Mr Grogan ha aggiunto: 'Non abbiamo mai posto il problema del bullismo con la scuola.
'Holly certamente non vogliono farci e, col senno di poi, abbiamo voluto avere. E 'stata la
decisione sbagliata.'
Uno degli amici di Holly ha detto l'inchiesta: 'Ci sono state tre ragazze che diffondono voci su
di lei e chiamato i suoi nomi.
'Hanno anche composto da una sindrome chiamata "HGS", Holly Grogan sindrome, che è
stato messo su Facebook e discusso da altre ragazze.'
Il corpo di Holly è stato trovato sulla strada sotto Pirton Corsia Ponte, In Churchdown,
Gloucestershire, in ritardo il 16 settembre 2009, lo stesso giorno del confronto con le tre
ragazze della sua scuola mista.
Registrazione di un verdetto di suicidio all'inchiesta in Gloucester ieri il vice coroner David
Dooley ha detto Holly compagni di classe erano 'si configura come arbitro morale su qualcosa
quando non ha niente a che fare con loro'.
Dopo la sua morte, i genitori di Holly ha detto: 'Holly lottato per far fronte alle enormi pressioni
su di lei poste dalla complessità dei moderni "gruppi di amicizia" e social networking.
'Sono sicuro che ogni genitore responsabile sarà entrare in sintonia con la nostra battaglia
costante per infondere convinzione e fiducia nei nostri figli.'
FONTE: www.dailymail.co.uk
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Diritti delle donne: In Bolivia una legge contro il
femminicidio

Roma, 11 marzo 2013 - Nel Codice penale della Bolivia, è stata introdotta la nuova norma contro
"la violenza e l'omicidio di una donna a causa della sua condizione di femminilità". E' stato così
riconosciuto il reato di "femminicidio". La pena prevista è la più elevata mai riconosciuta
all'interno del diritto boliviano: 30 anni, senza alcun diritto di grazia.

Quella firmata ieri (10 marzo n.d.r.) da Evo Morales, nel corso di una cerimonia tenutasi nel
Palazzo del Governo a La Paz, alla presenza delle rappresentanti di alcune organizzazioni indigene
e di attiviste per i diritti umani, è una una norma estremamente complessa, in cui nulla pare
essere stato lasciato al caso e che si compone di ben 100 articoli. Qui, si individuano varie tipologie
di violenza: da quella fisica a quella psicologica, a quella sessuale e "riproduttiva", fino a quella
economica e "mediatica". Inoltre, per garantire maggiore tutela e sicurezza alle vittime sono stati
introdrotti una task force della polizia esclusivamente dedicata, nonché speciali tribunali e pubblici
ministeri.
Lo scopo di questa legge non più "procrastinabile", come sottolineato dallo stesso Morales, è
quello di "garantire una vita libera da violenze di genere", in un Paese in cui almeno 403 donne
sono state barbaramente uccise negli ultimi 4 anni. Un orrendo valore che non intende certo
ridursi oggi, nel 2013: nei primi 58 giorni del 2013, infatti, 21 persone di sesso femminile sono
state ammazzate entro i confini nazionali boliviani.

Combattere la violenza sulle donne è un'emergenza che travalica i confini della Bolivia.
L'introduzione di questa norma è un esempio che molti altri paesi, tra cui l'Italia - più volte
"bacchettata" dalla stessa UE - dovrebbero accingersi a seguire. Al più presto possibile.

24 febbraio 2013La strage delle donne

Napoli: donna uccisa dal marito, sale a 6 numero omicidi nel 2013Napoli, 14 feb. (Adnkronos) -
Morta dopo 3 giorni di agonia per le ferite provocatole dal marito, Vincenzo Carnevale, poi
arrestato dai carabinieri, sale a 6 il numero delle persone uccise dall'inizio del 2013. Le ultime due
vittime sono entrambe di sesso femminile. Prima di Giuseppina Di Fraia un'altra donna era stata
uccisa a colpi di pistola dal figlio [Repubblica - Napoli].

Si riuscirà finalmente a fare qualcosa per fermare la strage delle donne: questa scia di sangue che
uccide una donna ogni 3 giorni?

Donne uccise dal marito o dall'ex marito dopo una separazione. Dal fidanzato o dal convivente.
Donne che diventano casi di cronaca, a delitto ancora caldo, per poi tramutarsi, finita
l'indignazione, in freddi numeri di una statistica che interessa a pochi.

Eppure basterebbe poco: certo, un cambio di cultura che richiede un certo numero di anni. Una
cultura che insegna ai futuri uomini il rispetto delle donne. Rispetto della loro indipendenza,
rispetto delle loro scelte.
E la politica potrebbe fare molto, investendo nell'educazione scolastica. Dando fondi certi ai centri
antiviolenza, affinché le donne maltrattate in casa non siano costrette a rimanere nella mani del
loro (futuro) carnefice non sapendo dove andare.

Nel resto dell'Europa sono riusciti a ridurre i numeri di questa statistica che è una nostra vergogna.
Quando ci impegneremo veramente anche in Italia?

Sono più di 100, le donne uccise nel 2012: Iacona e i suoi collaboratori hanno girato l'Italia per
raccontare i loro casi, questa sera a Presa diretta “Strage di donne”.

Il sinossi della puntata:

In uno speciale viaggio durato due mesi Riccardo Iacona vi racconta da vicino le storie delle tante
donne uccise nel nostro Paese, un numero che negli ultimi anni non accenna a diminuire.

E' dal 2006, infatti, che la statistica delle donne uccise nel nostro paese è in continuo aumento fino
alle centodieci donne uccise nel 2012 , quasi una ogni tre giorni. Quasi tutte uccise dai mariti, ex
mariti, fidanzati, ex fidanzati, cioè dalle persone che gli stavano più vicino, che conoscevano
meglio, spesso dal padre dei loro figli. Di queste storie la cronaca ci racconta tutto, anche i dettagli
più terribili, le trenta coltellate, gli ottanta colpi di mattarello, le botte prima dell’annientamento
fisico. Ma la cronaca non mette mai queste storie l’una a fianco all’altra, le tratta come fossero
storie singole, nate dentro un rapporto d’amore sbagliato, donne morte per passione, per
possesso, per gelosia. E cosi questa cronaca uccide le donne una seconda volta, perché cancella
del tutto quello che queste morti ci stanno gridando, ogni tre giorni , dai marciapiedi delle nostre
citta’ : “LIBERTA’”,“INDIPENDENZA”, “AUTONOMIA”, ecco cosa ci gridano queste storie.

Tutte le donne vengono uccise infatti nel momento in cui vogliono riprendersi la vita in mano,
lasciare l’uomo con cui stavano e riprendersi la libertà. Martiri per la libertà sono le tante donne
uccise nel nostro Paese, nell’indifferenza generale, nella rimozione e nell’assenza di politiche
attive volte ad arginare l’endemica violenza di cui le donne italiane sono oggetto e ridurre la
statistica delle donne uccise ogni anno.

STRAGE DI DONNE è un racconto di Francesca Barzini, Giulia Bosetti, Sabrina Carreras e Riccardo
Iacona

Il libro di Riccardo Iacona “Se questi sono gli uomini”, Chiarelettere editore.

PS: è giorno di elezioni. Protestate pure, indignatevi, votate chi volete (ma poi non fate gli ipocriti
andandovi a nascondere).
Angela Gennaro.

Le vittime di omicidio da parte di partner o ex partner sono passate da 101 nel 2006 a 127 nel
2010.

In contemporanea in diverse città d’Italia, nei giorni scorsi sono state accese migliaia di fiaccole
per ricordare Stefania Noce. Uccisa da un uomo che dice di aver amato «più della sua vita». Luci e
fiamme per lei e per tutte le donne vittime di violenza, volute da «Se non ora quando» di Catania,
da tutta Snoq e da tante associazioni e organizzazioni politiche. In tutto il mondo, la violenza
maschile è la prima causa di morte per le donne: in Italia sono aumentate del 6,7% nel 2010. La
violenza di compagni, mariti, o ex è la prima causa di morte per le donne dai 15 ai 44 anni. «Con
dati statistici che vanno dal 70% all’87% la violenza domestica risulta essere la forma di violenza
più pervasiva che continua a colpire le donne in tutto il Paese», ha detto la relatrice speciale delle
Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo, al termine della sua visita ufficiale in
Italia.

Le vittime di omicidio da parte di partner o ex partner sono passate da 101 nel 2006 a 127 nel
2010. Molte violenze non vengono neppure denunciate, per quello che è ancora il contesto
italiano, «patriarcale e incentrato sulla famiglia». Vi è di più: capita ancora che la violenza
domestica non venga percepita come reato. E «un quadro giuridico frammentario e
l’inadeguatezza delle indagini, delle sanzioni e del risarcimento alle vittime sono fattori che
contribuiscono al muro di silenzio e di invisibilità che circonda questo tema».

L’Italia non ha ancora ratificato la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta
alla violenza nei confronti delle donne firmato a Istanbul lo scorso maggio da 10 stati europei. La
piattaforma italiana «Lavori in Corsa: 30 anni CEDAW», D.I.Re (Donne in Rete contro la violenza), e
l’UDI (Unione Donne italiane), ne chiedono in questi giorni l’immediata ratifica. E un triste primato
tutto italiano è quello di vedersi affibbiata in un documento ufficiale delle Nazioni Unite la parola
«femminicidio». In questo lo Stivale è insieme al Messico, condannato nel 2009 dalla Corte
interamericana per i diritti umani per il femminicidio di Ciudad Juarez. Una storia della quale si
parla poco e dai confini ancora troppo incerti: centinaia di donne, più di 500, violentate e uccise
nella totale indifferenza delle autorità dal 1993. E altrettante sarebbero scomparse. Donne,
ragazze e bambine (bambine) uccise ma prima sequestrate, torturate, mutilate, violentate (ed è un
eufemismo) nello Stato di Chihuahua. I cadaveri straziati – nei corpi ancora in vita inseriti oggetti a
beneficio di giochi erotici (anche questo è un eufemismo) mortali – buttati nella monnezza, o
sciolti nell’acido. Secondo alcune denunce, si sarebbero macchiati di questi crimini anche uomini
delle forze dell’ordine. Ma tanto, nonostante l’aumento della violenza contro le donne, il dibattito
politico in paesi come il Messico e il Guatemala continua secondo molti osservatori ad archiviare
tutti questi orrori come un danno collaterale della grande guerra del narcotraffico.

Nel 1985 l’Italia ha ratificato la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione
contro le donne (CEDAW) adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel ’79, impegnandosi ad
adottare «misure adeguate per garantire pari opportunità a donne e uomini in ambito sia pubblico
che privato». Il monitoraggio dei risultati avviene ogni quattro anni. Gli Stati firmatari presentano
un rapporto governativo con tutti gli interventi portati avanti per raggiungere i risultati richiesti
dalla Cedaw. Oltre al rapporto governativo, in parallelo e autonomamente anche la società civile
redige un proprio rapporto, il «Rapporto Ombra». Il Comitato Cedaw, composto da 23 esperti
provenienti da tutto il mondo, eletti dagli Stati firmatari, esamina entrambi i rapporti e formula le
proprie raccomandazioni allo Stato, che è tenuto a considerarle nell’ottica dell’avanzamento delle
donne nella società e a risponderne negli anni successivi.

L’organismo delle Nazioni Unite ora ha chiesto all’Italia un aggiornamento entro due anni (invece
dei canonici quattro) sulle misure adottate. Le ultime raccomandazioni fatte al nostro Paese,
pubblicate il 3 agosto, sono state finalmente pubblicate sul sito delle Pari Opportunità in lingua
italiana solo in questi giorni. Tra quattro anni sarà la volta di un nuovo rapporto periodico, il
settimo da quando esiste la Convenzione. Nelle raccomandazioni del 2011, il Comitato Cedaw ha
accolto con favore l’adozione della legge del 2009 che introduce il reato di stalking in Italia, «il
Piano di Azione Nazionale per Combattere la Violenza nei confronti delle donne e lo Stalking, così
come la prima ricerca completa sulla violenza fisica, sessuale e psicologica nei confronti delle
donne, sviluppata dall’Istat». Azioni che, però, non bastano: «il Comitato rimane preoccupato per
l’elevata prevalenza della violenza nei confronti di donne e bambine nonché per il persistere di
attitudini socio-culturali che condonano la violenza domestica, oltre ad essere preoccupato per la
mancanza di dati sulla violenza contro le donne e bambine migranti, Rom e Sinte». E qui l’affondo:
«Il Comitato è inoltre preoccupato per l’elevato numero di donne uccise dai propri partner o ex-
partner (femminicidi), che possono indicare il fallimento delle Autorità dello Stato-membro nel
proteggere adeguatamente le donne, vittime dei loro partner o ex-partner».

«Femminicidio» è la distruzione fisica, psicologica, economica, istituzionale, della donna in quanto
tale, della donna che non rispetta il suo ruolo. Il termine è stato coniato per i fatti di Ciudad Juarez,
e ha fatto il giro del mondo. Barbara Spinelli, avvocato di Giuristi Democratici, tra le associazioni
della società civile che si occupano del Rapporto Ombra rappresentante della piattaforma Lavori in
Corsa – 30 anni CEDAW, ne parla in un libro scritto già nel 2008. «Femminicidio. Dalla denuncia
sociale al riconoscimento giuridico internazionale». Già, perché tante sono e sono state nel tempo
le richieste delle organizzazioni che si occupano di diritti umani di riconoscimento giuridico del
femminicidio come reato e crimine contro l’umanità. Questo, si legge nella descrizione del libro,
per «individuare il filo rosso che segna, a livello globale, la matrice comune di ogni forma di
violenza e discriminazione contro le donne, ovvero la mancata considerazione della dignità delle
stesse come persone».

Ai sensi della Convenzione Cedaw, spiega Barbara Spinelli a Linkiesta, «lo Stato ha delle
obbligazioni note internazionalmente come le 4P»: prevenire la violenza sulle donne, attraverso
un’adeguata sensibilizzazione, proteggere le donne che decidono di uscire dalla violenza,
perseguire i reati commessi e procurare riparazione alle donne, supporto psicologico e sostegno
all’ingresso nel mondo del lavoro. Inutile dire che, per le 4P, l’Italia potrebbe fare di più. «Il
rapporto presentato dal governo italiano al Comitato Cedaw non dedica un capitolo specifico alla
violenza sulle donne come richiesto», spiega la giurista. E «illustra troppo genericamente i
provvedimenti che l’Italia ha preso». Quello che manca è «l’inquadramento della violenza
dell’uomo sulle donne come carattere culturale». Le violenze si consumano soprattutto in famiglia,
e soprattutto quando una famiglia si sta spaccando: ecco perché si auspica l’introduzione del
divorzio breve. «La violenza sulle donne non è frutto di raptus, ma dalle relazioni di genere. E
l’incapacità di adattare un’ottica di genere si riflette in un’inadeguatezza», dice la Spinelli.

Inadeguatezza e non sistematicità nella formazione degli operatori sanitari, sociali, delle forze
dell’ordine e dei magistrati, «che costituiscono il primo ostacolo concreto alla protezione delle
donne». Su 10 femminicidi, 7.5 sono stati preceduti da denunce alle forze dell’ordine o agli
operatori sociali. «Quindi c’è una risposta inadeguata da parte dello Stato», spiega Barbara. Il
comitato Cedaw «si dice appunto preoccupato per l’elevato numero di femminicidi che
potrebbero evidenziare una responsabilità dello Stato nel non dare alle sue azioni in questo
ambito carattere strutturale e culturale». Garantendo, tanto per cominciare, il risarcimento alle
vittime. Ad oggi in Italia «la legge europea che prevede il risarcimento per le vittime è stata
attuata per le vittime della violenza negli stadi, ma non per le donne», conclude amara
l’esponente di Giuristi Democratici.

http://www.youtube.com/watch?v=q0FxkGdTKwQ&feature=player_embedded
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3

Cina: la maledi
          aledizione del nascere
                             ere donna
                                 d
9 settembre 2009
                      by Giovan
                          iovanni De Sio Cesari

Nella Cina tradizionale nasce
                           nascere donna era una maledizione: si do       dovettero addirittura
promulgare leggi che vietasse
                           tassero ai mariti di picchiare le proprie  e mo
                                                                         mogli che partorissero
delle femmine perché anchenche questo avveniva.
Nei ceti più poveri e nei tempi di carestia, le bambine venivano           ve         addirittura
abbandonate e lasciate morire
                            orire. Perchè mai?
In realtà anche nella nostra
                           stra civiltà la nascita di un maschio era   ra ne
                                                                           nel passato cosa più
gradita dei quella di una femm
                            femmina tanto che un tempo si diceva agli sposi “auguri e figli
maschi”.
Il figlio maschio infatti veniva considerato come il continuatore     e del
                                                                         della famiglia, poteva
lavorare e produrre mentre ntre la femmina veniva vista come un deb     debito perche ad essa
bisognava accordare una cong
                           congrua dote.
Tuttavia da noi vi era una preferenza
                                pr          per il figlio maschio ma la
                                                                      a figl
                                                                         figlia femmina non era
certo una maledizione: sii face
                            faceva feste per tutte e due.
La differenza nasceva dalla diversità di struttura della famiglia cine  cinese rispetto a quella
europea. La famiglia cinese
                          ese a aveva una struttura patriarcale molto olto p più accentuata che
la nostra nella quale invece
                           ece la coppia aveva sempre un suo riconos  conoscimento e una sua
autonomia. La donna cinese,
                          ese, n nel momento in cui si sposava perdeva eva p praticamente quasi
ogni rapporto con la sua famig
                          famiglia di origine: questa pertanto aveva  va il ccompito di allevarla
fino a all’età del matrimonio
                            onio dopo di che la perdeva quasi comple   mpletamente. La donna
produceva allora, soprattutto
                          tutto i figli, ma per un’altra famiglia e i suosuoi genitori una volta
diventati anziani non poteva
                          otevano sperare di essere da lei assistiti.istiti. La donna entrava
invece pienamente nella famiglia
                             fam       dello sposo e quindi diveniva sogg
                                                                       soggetta non solo e non
tanto al marito ma anche e so  soprattutto ai suoceri.
Si capisce facilmente come le suocere in particolare fossero         sero incline a trattare
duramente le nuore con le qua quali non vi era nessun legame di affettotto nnaturale, un po’ per
la naturale gelosia di mamme
                           mme e poi soprattutto facevano pagare alle giovani nuore tutto
quello che esse avevano dovudovuto sopportare, quando a loro volta,   lta, eerano state giovani
spose: una specie di girone
                          rone infernale quindi in cui si diventava    va p prima vittime e poi
carnefici.
Nelle famiglie occidentali li inv
                              invece la donna, anche se prende il nom    nome del marito e lo
continua nei suoi figli, non p   perde affatto il rapporto con la famigli
                                                                       miglia di origine che si
mantiene sempre vivo. I rap  rapporti fra nonni e nipoti sono identicientici sia per via parte
femminile che maschile. La cura dei genitori anziani ricade soprattutto sulle figlie e solo
indirettamente sulle nuore. Verso i suoceri è previsto un generico rispetto come a
persona più anziana ma nessuna subordinazione anzi le nuore fanno subito sentire che
le suocere debbono “farsi i fatti loro”. Spesso anche in modo piuttosto rude.
Nel presente, in Cina le vecchie tradizioni sono state sradicate. Il comunismo
soprattutto ha lottato tenacemente e con successo per inserire le donne nel lavoro e
nella politica a parità con l’uomo. Attualmente in Cina le donne possono ricoprire ogni
ruolo e lavorano praticamente tutte come gli uomini in ciò favorite dalla prescrizione
del figlio unico. Sono ora i nonni, materni o paterni senza distinzione, a prendersi
carico dell’allevamento dei nipoti, come avviene un po’ dappertutto nella società
moderna.
Tuttavia la preferenza per il figlio maschio resta sempre forte in Cina: la politica del
figlio unico impedisce alle coppie che abbiano avuto una femmina di poter pensare di
avere anche un maschio. Questo fatto fa sì che, a volte, nel momento in cui una coppia
conosce attraverso la ecografia di aspettare una femmina ricorra all’aborto. Sarebbe
proibito per legge comunicare ai genitori il sesso del nascituro: ma chiaramente è una
prescrizione poco realistica.
Il risultato è che in Cina il numero dei maschi supera abbondantemente quelle delle
femmine: a un certo punto i giovani cinesi non troveranno più mogli e bisognerà quindi
“importarle” dai paesi limitrofi più poveri del sud est asiatico.
Il fenomeno è già cominciato e presumibilmente si amplierà sempre di più.
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Cina: la maledizione del nascere donna, 5.6 out of 10 based on 472 ratings
Femminicidio

Alla vigilia dell’8 marzo l’Italia farebbe bene a interrogarsi. Ma davvero siamo un Paese che perseguita la
donna? Il dipartimento delle Pari opportunità ha addirittura pensato di istituire la figura di un avvocato
specializzato nella sua difesa. E Rashida Manjoo, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza
contro le donne, ha appena parlato di femminicidio: «È la prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16
e i 44 anni». Femminicidio è un neologismo ed è una brutta parola: significa la distruzione fisica, psicologica,
economica, istituzionale della donna in quanto tale.

È un termine coniato ufficialmente per la prima volta nel 2009, quando il Messico è stato condannato dalla
Corte interamericana dei diritti umani per le 500 donne violentate e uccise dal 1993 nella totale indifferenza
delle autorità di Ciudad Juarez, nello Stato di Chihuahua. C’erano cadaveri straziati buttati nella monnezza o
sciolti nell’acido: secondo alcune denunce si sarebbero macchiati di questi orrori anche uomini delle forze
dell’ordine. Certo, in Italia non siamo arrivati a questi livelli. Però, si tratta di delitti trasversali a tutte le
classi sociali.

Stefania Noce, femminista del Movimento studentesco, è stata uccisa a Catania dal compagno laureando in
psicologia che lei diceva di amare «più della sua vita». A marzo di un anno fa nella periferia romana è stato
trovato il tronco del cadavere di una donna mutilato: il caso è stato archiviato subito anche dai giornali.
Come se volessimo tutti chiudere gli occhi davanti a questo orrore. Rashida Manjoo nella sua relazione ha
detto che «la violenza domestica si rivela la forma più pervasiva che continua a colpire le donne in tutto il
Paese, come confermano le statistiche: dal 70 all’87 per cento dei casi si tratta di episodi all’interno della
famiglia».

C’è chi sta peggio, l’abbiamo capito: dieci Paesi del Sudamerica, a cominciare dal Messico. Ma nel mondo
cosiddetto civilizzato dell’Europa siamo messi davvero male. I numeri sembrano quelli di una strage. Nel
2010 le donne uccise in Italia sono state 127: il 6,7 per cento in più rispetto all’anno precedente. Dati in
continua crescita dal 2005 a oggi, e solo dal 2006 al 2009 le vittime sono state 439. Secondo l’associazione
«Casadonne» di Bologna, si tratta di «un fenomeno inarrestabile».

Nei primi mesi del 2011, le statistiche parlano già di 92 donne uccise. Nella stragrande maggioranza dei casi
gli assassini sono all’interno della famiglia, mariti (36 per cento), partner (18), parenti (13), ex (9), persino
figli (11). Come se non bastasse, poi, «i dati sono sottostimati perché non tengono conto delle donne
scomparse, dei ritrovamenti di donne senza nome o di tutti quei casi non ancora risolti a livello personale».
Ogni tre giorni una donna in Italia viene uccisa per mano del proprio partner. Secondo i dati della Polizia e
dell’Istat una donna su 4, nell’arco della vita, subisce violenza, e negli ultimi nove anni, ha stabilito un
rapporto dell’Eurispes, «il fenomeno è aumentato del 300 per cento». Le Nazioni Unite sostengono che «in
125 Paesi del mondo le leggi penalizzano davvero la violenza domestica e l’uguaglianza è garantita».

L’Italia, purtroppo, sembrerebbe far parte degli altri 139 Paesi. Davvero siamo messi così male? A sentire la
coordinatrice della Commissione Pari opportunità del Consiglio Forense Susanna Pisano pare proprio di sì:
solo il 6 per cento delle donne italiane denuncia la violenza subita. «La nostra è una piaga silenziosa e
nascosta», dice. Non è solo una questione di costume, ma anche di diritto, come spiega bene, in fondo, la
recente sentenza della Cassazione secondo la quale gli autori di uno stupro di gruppo non meritano il carcere.
E non è un caso, alla fine, che proprio in Italia stia per nascere la figura di un avvocato specializzato solo nella
difesa delle donne.

FEMMINISMO IN ITALIA
L'Italia ha raggiunto l'unità solo nel 1861 , per cui nel nostro paese, la lotta per l'emancipazione della donna,
si accese in ritardo rispetto al resto dell'Europa, anche perché la rivoluzione industriale giunse solo verso la
fine del secolo diciannovesimo. Per rivendicare il diritto di voto, comunque, anche in paesi come l'Italia,
nella seconda metà dell'Ottocento , nacquero i primi movimenti delle suffragette , così chiamate perché
rivendicavano il suffragio femminile. Durante la Prima Guerra Mondiale le suffragette dovettero sostituire gli
uomini partiti per il fronte, lavorando nelle fabbriche e assumendo ruoli chiave della società . Quando il
conflitto ebbe termine non fu più possibile negare loro il diritto di voto. Nel 1919 , così, le donne italiane
ottennero l’ emancipazione giuridica , facendo abolire l’obbligo dell’autorizzazione maritale sulla gestione dei
propri beni. Mentre nel 1923 ottennero il diritto di voto alle elezioni amministrative, ma tale diritto non trovò
applicazione a causa della riforma fascista degli enti locali. Ai primi nuclei femminili organizzati aderirono in
un primo tempo le donne della borghesia , alle quali si affiancarono successivamente le masse femminili
cattoliche e socialiste . Tra queste ultime, sostenute dal partito socialista, si distinsero in modo particolare
Giuditta Brambilla , Carlotta Clerici e Anna Kuliscioff . Nel 1910 le rappresentanti delle associazioni
femminili italiane parteciparono al Primo Congresso Internazionale Femminile di Copenaghen, durante il
quale l' 8 marzo fu dichiarata Giornata della Donna . Anche le nostre suffragette, tuttavia, dovettero
attendere ancora dei decenni prima di ottenere il diritto al voto . Quest'ultimo venne infatti riconosciuto solo
nel 1945 con un decreto di Umberto di Savoia, ultimo re d'Italia. Nel dopoguerra, all'Assemblea Costituente
vennero elette 21 donne . Negli anni '50 le femministe italiane lottarono per le riforme legislative e si
schierano dalla parte delle mondine e delle operaie conserviere molestate dai padroni. Negli anni '60 inizia la
campagna per il diritto all' aborto in strutture sanitarie non clandestine. Negli anni '70 , anche grazie al
movimento femminista, passa in Italia la legge sul divorzio e viene approvata la legge sul diritto di famiglia .
Negli anni successivi , infine, passa l'emendamento che dichiara lo stupro un reato e nasce anche la
commissione nazionale per le pari opportunità .

STORIA DELLA DONNA
 Le donne sono forti e devono tenere le redini della famiglia e del lavoro. Una doppia fatica che richiede
energie, impegno, efficienza, senso del dovere. Ma a volte tutto ciò sembra non bastare. Perché a questo si
aggiunge la fatica di "sfondare" un mondo che è ancora molto maschile nelle sue richieste e pretese. Una
società che chiede ancora alle donne di "portare i pantaloni" quando è ormai tempo di indossare con orgoglio
la gonna e di sfruttare tutte le capacità che sono racchiuse nel ruolo femminile, e le sono proprie da sempre.
Le donne sono sempre state brave a gestire "casa e bottega", famiglia e affari. Già nell’età della pietra stavano
dentro le caverne e badavano ai cuccioli, prendendosene cura e sfamandoli. Si occupavano anche di
trasformare quanto cacciato dall’uomo in qualcosa di commestibile ma non solo. Dai prodotti dell’animale
cacciato tiravano fuori pelli per coprirsi, cibo per sfamarsi, conservando tutto quanto era utile per la
sopravvivenza. Una pratica questa che si ritrova anche nelle popolazioni dei pellerossa americani, dove le
rappresentanti del sesso femminile accompagnano gli uomini nelle loro attività di caccia aiutandoli
attivamente in questa pratica. Dopotutto nelle civiltà arcaiche il matriarcato era potentissimo: la donna era
regina della famiglia e della comunità. La sua figura mitica veniva associata alla madre terra, generatrice di
vita e potente forza della natura. Tutta l’economia della casa era nelle sue mani, la sua parola era legge anche
per gli uomini che dovevano abbandonare il focolare per recarsi al lavoro nei campi, a delegare tutto il resto
all’impeccabile organizzazione femminile. Poi sono arrivati i grandi imperi dell’antichità, le civiltà classiche:
anche qui, nell’antica Roma ad esempio, le mogli degli imperatori facevano la vera politica tessendone le
trame nell’ombra. Le donne erano potenti e libere. Tutto cambia nel Medioevo, quando l’essere femminile
viene percepito in due differenti modalità: angelico e spirituale oppure stregonesco e maligno. Il Bene e il
Male si incarnano nell’essere umano femminino che si allontana così dalla concretezza e soprattutto dal
potere di decidere e di fare qualsiasi cosa di diverso dal suo ruolo di madre e moglie, piegata al volere
dell’uomo. Nel Seicento la paura della forza al femminile, si trasforma in persecuzione fino al loro estremo
sacrificio perpetuato contro le streghe al rogo: esperte nell’arte della stregoneria, così erano considerate
quelle donne che decidevano di "ribellarsi" al volere maschile e alle regole imposte dalla società, essendo
infine relegate ai margini di essa. Tutte le altre andavano in spose o entravano in convento. Il Settecento vede
le donne ancora racchiuse tra le mura domestiche o nelle corti a tessere trame e a cercare di "accasarsi" al
meglio. Poche le occasioni di entrare in società con un ruolo diverso da quello di future spose e madri. È con
l’Ottocento che la donna torna alla ribalta, soprattutto nella sua veste di lavoratrice. La sua forza lavoro, mai
venuta meno nella storia, solo ora ricomincia ad avere un importante peso sociale in piena società
industriale, soprattutto dal punto di vista economico e produttivo in senso stretto. L’individuo femminile
comincia faticosamente a farsi riconoscere il diritto ad essere un soggetto sociale lavoratrice e cittadina e
quindi a potersi svincolare dal potere dell’uomo, marito o padre. Lavoratrici con le gonne si cominciano a
vedere non solo nelle fabbriche ma anche nelle scuole come maestre, nelle corsie degli ospedali soprattutto
come ginecologhe conquistando un’indipendenza economica che rompe gli stretti vincoli domestici. Negli
Stati Uniti, nel 1840, viene anche sancito il diritto alla libera disponibilità dei guadagni. Le donne cominciano
anche a spogliarsi di quegli indumenti fatti di bustini strettissimi e di stecche e indossano abiti fluidi e
costumi da bagno, lontani antenati dei bikini. Anche questo è lento progresso verso la parità all’alba del
Ventesimo secolo, quando iniziano i primi riconoscimenti dei diritti politici alle donne in Nuova Zelanda
(1893), poi negli Usa (1914) e a seguire in tutto il resto del mondo occidentale.

  Il Novecento è il secolo delle suffragette, del grande movimento femminista, delle conquiste dei diritti civili,
dall’uguaglianza al voto alla possibilità di accedere a tutte le professioni di esclusiva pertinenza degli uomini.
La donna della seconda metà del ‘900 conquista la sua libertà e la sua indipendenza economica, giuridica,
politica, sessuale: diventa un individuo a pieno titolo, una cittadina moderna proiettata verso la modernità.
Un esempio importante dell’emancipazione della donna in questa nuova era arriva dall’India dove le donne, a
partire dagli anni Novanta, sono uscite dal loro isolamento dentro case e famiglie, vittime di una società
settaria, per aggredire il mondo del lavoro e dell’economia con la loro intraprendenza. Gli esempi sono
numerosi: le giovani donne indiane con la potenza del loro lavoro sono da alcuni decenni un antidoto alla
crisi economica perché credono nelle proprie capacità imprenditoriali e nella solidarietà. Molte hanno
iniziato dando vita alla bottega dietro casa dove confezionano vestiti e gioielli destinati all’esportazione nel
resto del mondo. O come in Bangladesh dove un solo uomo, Muhammad Yunus ha dato una mano a un
gruppo di donne povere lavoratrici facendole uscire dalla loro condizione miserevole: negli anni Settanta
dopo una forte carestia si è recato nel villaggio di Jobra e ha offerto loro un piccolo credito finanziario, che le
grandi banche non avrebbero mai concesso, per far vivere le loro piccole imprese. Ha finanziato le loro
attività artigianali dedicate alla lavorazione di mobili in bambù, dando vita a quell’esperienza straordinaria
del microcredito che gli ha fatto meritare il Premio Nobel per la pace 2006. Ma nella società indiana non
mancano gli esempi di manager e donne in carriera. Il progresso economico è da tempo in quest’area del
mondo strettamente connesso al protagonismo delle donne.             Ma, nonostante questi esempi, oggi, all’alba
del millennio qualcosa sembra ancora non tornare…Tuttavia oggi le donne hanno ancora molta strada da
percorrere per riaffermare la loro femminilità fatta di quei valori profondi e unici che avevano già nelle
caverne! Ma per farlo è necessario riappropriarsi di quanto non è mai venuto meno: forza, equilibrio,
passione, intelligenza, coraggio, abilità intellettive e manuali. Essere donne, ribelli, selvagge, streghe,
guerriere, protagoniste. Come le donne che parlano dalle pagine di questi libri interessanti che vogliamo qui
consigliare.

              LA NORMATIVA SULLA
             CONDIZIONE FEMMINILE
Ecco, in estrema sintesi, alcune tra le più significative leggi in favore delle donne.
Legge 23 aprile 2009, n. 38
"Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di
atti persecutori"
Direttiva del 23 maggio 2007
Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche
Direttiva 2006/54/CE del 5 luglio 2006
Attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia
di occupazione e impiego
Provv. del Min. Lavoro e delle Politiche Sociali del 30 maggio 2006 - G.U. n. 160 del 12 luglio
2006
Programma-obiettivo per la promozione della presenza femminile nei livelli e nei ruoli di responsabilità
all'interno delle organizzazioni, per il consolidamento di imprese femminili, per la creazione di progetti
integrati di rete
Decreto legislativo 11 aprile 2006 n. 198
Codice delle pari opportunità tra uomo e donna
Legge 19 febbraio 2004, n. 40
Norme in materia di procreazione medicalmente assistita
Legge 15 ottobre 2003, n. 289
"Modifiche all'articolo 70 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di
indennità di maternità per le libere professioniste
Legge 11 agosto 2003, n. 228
Misure contro la tratta di persone
Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216
Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di
condizioni di lavoro
Decreto Ministeriale 16 maggio 2003
Fondo di rotazione per il finanziamento in favore di datori di lavoro che realizzano, nei luoghi di lavoro,
servizi di asilo nido e micro-nidi
Provvedimento 30 maggio 2001
Programma - obiettivo per la promozione della presenza femminile all'interno delle organizzazioni anche
al fine di rendere le stesse più vicine alle donne
Legge 5 aprile 2001, n. 154
Misure contro la violenza nelle relazioni familiari
Legge 28 marzo 2001 n. 149
Modifiche alla legge 4 maggio 1983 n. 184 recante: "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei
minori" nonché al titolo VIII del libro del c.c.
Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151
Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità,
a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53
Legge 8 marzo 2001 n. 40
Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori Decreto legislativo del
28 gennaio 2000: disposizioni in materia di part-time
Legge n. 53 dell'8 marzo 2000
Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per
il coordinamento dei tempi delle città.
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