8 marzo, Amnesty: fermiamo il femminicidio in Italia
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8 marzo, Amnesty: fermiamo il femminicidio in Italia di Monica Ricci Sargentini Donne In occasione dell’8 marzo, Giornata internazionale delle donne, Amnesty International Italia ha nuovamente ribadito l’urgenza di fermare gli alti livelli di violenza domestica e le crescenti uccisioni di donne in quanto donne, da parte di uomini, che caratterizzano l’Italia. “La situazione è allarmante, come ricordato nel rapporto sull’Italia, pubblicato nel 2012, dalla Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne – ha dichiarato Christine Weise, presidente di Amnesty International Italia – In Italia la violenza domestica sta sfociando in un crescente numero di uccisioni di donne per violenza misogina”. Negli ultimi 10 anni, ha ricordato Amnesty International Italia, il numero di omicidi da uomo su uomo è diminuito, mentre è aumentato il numero di donne uccise per mano di un uomo: oltre 100 ogni anno. Secondo le ultime statistiche fornite dalla Casa delle Donne di Bologna che raccoglie dati sul feminicidio dal 2005: sono 124 le donne uccise nel 2012. In leggero calo rispetto al 2011 quando le vittime erano state 129. Ma nel dato del 2012 vanno anche conteggiati i 47 tentati femminicidi che, fortunatamente, non hanno portato alla morte della donna. E le 8 vittime, tra figli e altre persone (che portano il totale a 132). Vittime italiane nel 69% dei casi, così come gli assassini (73%). Il 60% dei delitti è avvenuto nel contesto di una relazione tra vittima e autore, in corso o conclusa. Nel 25% dei casi le donne stavano per porre fine alla relazione o l’avevano già fatto. Le regioni del nord restano quelle in cui i delitti sono più frequenti (52%) a dimostrazione che, si legge nel rapporto della Casa delle Donne, “laddove le donne vivono situazioni di maggior autonomia e indipendenza, e sono meno propense ad accettare di subire violenza e disparità di potere nella relazione esse sono anche maggiormente a rischio di finire vittime della violenza maschile”. L’Emilia-Romagna è tra quelle in cui si realizza il maggior numero di casi, con 15 eventi, preceduta solo da Lombardia e Campania. Dal 2006 in Emilia-Romagna sono state 78 le donne vittime di femminicidio, mentre a Bologna dal 2009 sono state uccise 3 donne all’anno con un’incidenza pari al 30,5% rispetto alla media regionale. L’appello di Amnesty è rivolto al governo perché si impegni a combattere il fenomeno: “Per contrastare adeguatamente queste violazioni dei diritti umani, le istituzioni italiane devono ratificare al più presto la Convenzione del Consiglio d’Europa del 2011 sulla violenza contro le donne e devono mettere in campo un impegno serio e determinato per dare attuazione alle raccomandazioni del rapporto della Relatrice speciale. Tra le richieste, ricordiamo quella di adottare una legge specifica sulla parità di genere e sulla violenza contro le donne” ha affermato Carlotta Sami, direttrice generale di Amnesty International Italia. L’associazione per i diritti umani ritiene che la società nel suo complesso e in particolare gli organi d’informazione dovrebbero essere sensibilizzati sulla violenza contro le donne, anche al fine di una
rappresentazione non stereotipata delle donne e degli uomini nei media. I centri di accoglienza per donne vittime di violenza andrebbero mantenuti e aumentati, assieme alla garanzia di un adeguato coordinamento tra la magistratura, la polizia e gli operatori sociosanitari che si occupano della violenza contro le donne. Anche la Casa delle donne di Bologna chiede che vengano destinate risorse ai centri antiviolenza, che siano rafforzate le reti di contrasto alla violenza tra istituzioni e privato sociale qualificato e che sia effettuata una corretta formazione degli operatori sanitari, sociali e del diritto perché “più donne possano sentirsi meno sole, possano superare la paura e divenire consapevoli che sconfiggere e sopravvivere alla violenza è possibile”. Alle donne vittime di violenza la Rai dedica la giornata di oggi, illuminando di rosa i principali palazzi dei suoi Centri di produzione a Milano, Torino, Roma e Napoli.
SORELLE MIRABAL Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, Antonia Maria Teresa Mirabal nacquero a Ojo de Agua provincia di Salcedo nella Repubblica Dominicana da una famiglia benestante. Combatterono la dittatura(1930-1961) del dominicano Rafael Trujillo, con il nome di battaglia Las Mariposas (Le farfalle). Il 25 novembre 1960 Minerva e Maria Teresa decidono di far visita ai loro mariti, Manolo Tavarez Justo e Leandro Guzman, detenuti in carcere. Patria, la sorella maggiore, vuole accompagnarle anche se suo marito è rinchiuso in un altro carcere e contro le preghiere della madre che teme per lei e per i suoi tre figli. L’intuizione della madre si rivela esatta: le tre donne vengono prese in un’imboscata da agenti del servizio segreto militare, torturate e uccise. Il loro brutale assassinio risveglia l’indignazione popolare che porta nel 1961 all’assassinio di Trujillo e successivamente alla fine della dittatura. Il 17 dicembre 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 54/134, dichiara il 25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne in loro memoria. La militanza politica delle tre sorelle Mariposas era iniziata quando Minerva, la più intellettuale delle tre, il 13 ottobre 1949, durante la festa di san Cristobal, organizzata dal dittatore per la società più ricca di Moca e Salcedo, aveva osato sfidarlo apertamente sostenendo le proprie idee politiche. Quella data segna l’inizio delle rappresaglie contro Minerva e tutta la famiglia Mirabal, con periodi di detenzione in carcere per il padre e la confisca dei beni per la famiglia. Minerva mostra fin da bambina un carattere forte e indipendente e una grande passione per la lettura, il suo paese e la libertà. La sua influenza sulle sorelle è notevole, soprattutto su Maria Teresa, la più piccola, che la prende a modello e cerca di emularla negli studi universitari, iscrivendosi ad Architettura, facoltà che non termina, conquistando soltanto il grado tecnico in Agrimensura. Maria Teresa segue Minerva giovanissima nella militanza politica, dopo essersi fidanzata con un altro attivista politico, Leandro Guzmàn, amico del marito di Minerva. Dopo la conclusione degli studi superiori Minerva chiede ai genitori il permesso di studiare Diritto all’Università (suo grande sogno fin dall’infanzia), ma la madre di oppone: conoscendo le sue spiccate idee politiche, teme per la sua incolumità. Per consolarla del diniego il padre le permette di imparare a guidare e le regala un automobile su cui, con grande audacia per i tempi, scorrazza da sola per tutta la provincia. Ma nel 1952, all’età di ventisei anni, Minerva riesce a iscriversi all’Università di Santo Domingo, che frequenterà fra divieti e revoche. Dopo la laurea però non le viene consentito l’esercizio della professione.
Minerva, unica donna insieme a Dulce Tejada in un gruppo di uomini, il 9 gennaio del 1960 tiene nella sua casa la prima riunione di cospiratori contro il regime che segnò la nascita dell’organizzazione clandestina rivoluzionaria Movimento del 14 giugno e il cui presidente fu suo marito Manolo Tamarez Justo, assassinato nel 1963. Minerva fu l’anima del movimento «Durante un’epoca di predominio dei valori tradizionalmente maschili di violenza, repressione e forza bruta, dove la dittatura non era altro se non l’iperbole del maschilismo, in questo mondo maschilista si erse Minerva per dimostrare fino a che punto ed in quale misura il femminile è una forma di dissidenza». (Dedè Mirabal) Ben presto nel Movimento 14 giugno, oltre alla giovanissima (quando fu assassinata aveva soltanto venticinque anni) Maria Teresa e al marito, che già da anni erano attivisti politici, furono coinvolti anche la materna e solidale Patria e il marito Pedro Gonzalez. Patria aveva abbandonato gli studi presso una scuola secondaria cattolica di La Vega (come farà Dedé per badare all’attività familiare) per sposare a sedici anni un agricoltore. Patria è molto religiosa e generosa, allegra e socievole; si definisce “andariega”, girovaga, perché ama molto viaggiare. Era madre di quattro figli (ma l’ultimo visse soltanto pochi mesi) e non esita ad aderire al movimento per « non permettere che i nostri figli crescano in questo regime corrotto e tirannico». La loro opera rivoluzionaria è tanto efficace che il Dittatore in una visita a Salcedo esclama: «Ho solo due problemi: la Chiesa cattolica e le sorelle Mirabal». Nell’anno 1960 Minerva e Maria Teresa vengono incarcerate due volte; la seconda volta vengono condannate a cinque anni di lavori forzati per avere attentato alla sicurezza nazionale, ma a causa della cattiva reputazione internazionale di Trujillo dopo l’attentato al presidente venezuelano Betancourt, vengono rilasciate e messe agli arresti domiciliari. Anche i loro mariti e il marito di Patria, Pedro Gonzalez, vengono imprigionati e torturati. Trujillo progetta il loro assassinio in modo che sembri un incidente, per non risvegliare le proteste nazionali e internazionali; infatti i corpi massacrati delle tre eroine vengono gettati con la loro macchina in un burrone. L’assassinio delle sorelle Mirabal provoca una grandissima commozione in tutto il paese, che pure aveva sopportato per trent’anni la sanguinosa dittatura di Trujillo. La terribile notizia si diffonde come polvere, risvegliando coscienze in letargo. L’ unica sorella sopravvissuta, perché non impegnata attivamente, Belgica Adele detta Dedé, ha dedicato la sua vita alla cura dei sei nipoti orfani: Nelson, Noris e Raul, figli di Patria; Minou e Manuelito, figli di Minerva, che avevano perso il padre e la madre, e Jaqueline figlia di Maria Teresa, che non aveva ancora compiuto due anni. Dedé esorcizzerà il rimorso per essere sopravvissuta alle amatissime sorelle dandosi il compito di custode della loro memoria: «Sopravvissi per raccontare la loro vita». Nel marzo 1999 ha pubblicato un libro di memorie Vivas in su jardin dedicato alle sorelle, le cui pagine sono definite come «fiori del giardino della casa museo dove rimarranno vive per sempre le mie farfalle».
La loro vita è stata narrata anche dalla scrittrice dominicana Julia Alvarez nel romanzo Il tempo delle farfalle (1994), da cui è stato tratto nel 2004 il film di Mariano Barroso In The time of Butterflies, con Salma Hayek. 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Un giorno che dovrebbe diventare tutti i giorni. Giorni in cui dire basta,fare proposte,metterle in atto. Giorni in cui chiedere a gran voce che governo e parlamento si adoperino al più presto per la ratifica della Convenzione di Instanbul. Ci vorrebbero uno, cento, mille 25 novembre. Tanti 25 novembre per chiedere che venga introdotta l’educazione sessuale nelle scuole.Tanti 25 novembre in cui supportare i centri antiviolenza, i centri di ascolto e fare in modo che la scure dei tagli non si abbatta su questi preziosi strumenti. Tanti 25 novembre in cui passare dalle parole ai fatti. Fatti che servono a combattere sul nascere il germe della violenza. Tanti 25 novembre in cui chiedere al giornalismo di cambiare linguaggio. Nessuna donna infatti muore di passione, di caldo o di follia. Le donne vittime di violenza muoiono a causa di una cultura sbagliata ormai radicata nella nostra società. Una cultura che vede le donne come corpi da esibire, come merce da possedere. Tanti 25 novembre in cui chiedere agli uomini di camminare al nostro fianco, di camminare insieme, di lottare con noi affinché le cose cambino sul serio. Tanti 25 novembre per arrivare al giorno in cui non ci sarà più bisogno di un 25 novembre.
Che cosa ha di umano una società che non sa proteggere i bambini? di Anna Costanza Baldry Resp. sportello antistalking 'Astra' Tags: violenza A CURA DEGLI ALLIEVI CORSO D In Siria da marzo 2011 a gennaio 2012 è stata compiuta una strage che continua tutti i giorni. Il portavoce dell’Unicef, Marixie Mercado ha dichiarato che si stimano oltre 400 bambini massacrati dall’inizio dei bombardamenti. Di fronte ai bambini, chiunque dovrebbe e deve abbassare le armi, tutte, quelle da fuoco ma anche armi in cui si trasformano le mani che strangolano, che picchiano che accoltellano, che uccidono, che diventano micidiali. Quando anche questo unico baluardo, questa unica certezza spariscono dall’umanità, possiamo solo dire che la fine del mondo è già arrivata e che può accadere di tutto. Venti bambini sono stati uccisi da un pazzo criminale nella loro scuola, nel Connecticut. Non riesco a non pensare ininterrottamente ai loro visi terrorizzati, ai loro corpicini straziati, al loro sguardo incredulo che non comprende neppure cosa sta accadendo, ai loro regali di Natale che non vedranno mai, ai loro genitori, a una vita che per tutti si è fermata lì. E non era la prima volta. Sono vittime che non potranno mai capire che il mondo è comunque un posto bellissimo dove, comunque vada, tutto ha un senso. Pian piano anche loro se ne sarebbero accorti e avrebbero affrontato la loro vita con gioie, tristezze, dolori, speranze, amore. Uccidere un bambino è quanto di più inconcepibile con cui noi essere umani ci dobbiamo confrontare. Perché i bambini sono di tutti, nel senso che sono la gioia di tutti che rallegra ogni giornata grigia; sono la speranza del futuro e del cambiamento, sono l’innocenza della sincerità dei sentimenti e dei vissuti.
E non si sa bene che dire, perché qualunque cosa sarebbe inadeguata. Come non saprei cosa dire ai tre bimbetti di Giovanna uccisa dal marito Giovanni a San Felice a Cancello. Erano in casa quando la loro mamma è stata uccisa dal loro papà; erano nell’altra stanza e una di loro ha anche chiamato la nonna perché papà stava facendo del male a mamma. E non sono stata neppure capace di sapere cosa dire ai due bimbi di Beatrice che non hanno più la mamma, strangolata sapremo fra non molte ore da chi a Montecatini. Ogni anno oltre alle cento e più donne uccise, ci sono altrettanti bambini che improvvisamente rimangono orfani della loro mamma spesso uccisa dal loro stesso padre. Psicologicamente è come morire, è come aver ucciso anche loro. Questi uomini che uccidono le mamme dei loro stessi figli, non solo uccidono quelle donne, ma stanno uccidendo anche i loro figli perché gli portano via quanto di più caro e prezioso hanno. Questo non è amore, non voglio che venga chiamato amore, né amore malato, né gelosia, né amore criminale. E’ omicidio e basta, è violenza e basta, è crudeltà e basta, è vigliaccheria e basta. A questi bambini voglio dare voce, rispettandoli per sempre ma anche portando sulla coscienza la macchia di una umanità che ha perso ogni diritto di chiamarsi tale che non è stata capace di proteggerli.
Navigano su Internet, si esprimono liberamente sui social network, sono costantemente connessi, si intrattengono in incontri erotici on line. Spesso inconsapevolmente si danno al cyberbullismo. Un fenomeno diffuso soprattutto nella scuola secondaria superiore e caratterizzato da comportamenti come l'attaccare qualcuno in rete o attraverso il cellulare, il diffondere maldicenze online e foto/video compromettenti, l'escludere qualcuno da un social network, il violare account altrui o crearne di falsi, e l'aggredire qualcuno in un gioco online. È Una delle tante fotografie degli adolescenti emiliano-romagnoli scattate dal Corecom nella ricerca "stili di vita on line e offline degli adolescenti in Emilia-Romagna". La ricerca ha coinvolto 3 mila adolescenti che hanno compilato un questionario online e ha avuto l'obiettivo di indagare l'utilizzo dei media e delle tecnologie, gli stili di vita e i comportamenti a rischio tra gli adolescenti della Regione Emilia-Romagna, fornendo una visione articolata e complessa dei diversi contesti di esperienza o nline e offline vissuti dagli adolescenti. Non solo cyberbullismo dunque. Dai risultati emerge una crescita del disagio con il passaggio dalla scuola secondaria di primo grado alla scuola secondaria di secondo grado, e una maggiore difficoltà di adattamento riportata dai ragazzi stranieri che più degli altri segnalano problemi comportamentali, rapporti problematici tra pari, sintomi emozionali e problemi psicologici. Degna di attenzione una percentuale comunque minoritaria che ha comportamenti problematici legati all'uso e all'abuso di alcol, droghe e tabacco. L'ultimo tema approfondito è la percentuale di ragazzi che intrattengono incontri erotici online (8%). Sono soprattutto i maschi a dichiarare di aver avuto incontri online con persone conosciute o meno (riposta l'agenzia Dires-redattore sociale). "La ricerca è importante perchè pone l'attenzione su fenomeni prima di tutta da comprendere, e a volte non è affatto facile - spiega Primarosa Fini, responsabile del Corecom Emilia-Romagna - i destinatari di questo studio sono sopratutto genitori ed educatori. Spesso si vigila su ciò che succede nella vita reale e non si dedica la giusta attenzione alla vita on line dei ragazzi. Per poter lavorare con loro,
parlare la loro lingua, sensibilizzarli e renderli più consapevoli è utile prima di tutto capire come si comportano". HOLLY GROGAN UK adolescente di Holly Grogan, 15, tormentato da messaggi su Facebook si uccide Aggiornato: 05 Mar 2010Condividi questa notizia? ... Fare clic sulla casella Per saperne di più su di Holly Grogan scuola di St Edward Inquest: Holly Grogan foto di Facebook e, a destra, festeggia il suo compleanno 'Bullismo': Holly frequentato la scuola di St Edward in Cheltenham, Gloucestershire, dove sarebbe stato schernito dai compagni di classe Una ragazza di 15 anni è passato da un ponte alla sua morte dopo essere stato vittima di bullismo da compagni di classe presso la sua scuola privata. Agrifoglio Grogan era stato tormentato da insulti di persona e da messaggi su Facebook più di accuse che aveva una relazione con il fratello di un'altra ragazza. Agrifoglio è stato detto di essere stato molto turbato dalle accuse e morì poche ore dopo dopo essere caduto 30ft su una strada trafficata a due. Ieri il padre Steve Grogan, 45, ha detto a un'inchiesta di suo rammarico di non sollevare questioni di bullismo con il personale presso la Scuola di 11.000 a un anno £ St Edward in Cheltenham, Gloucestershire. Signor Grogan, un costruttore, ha detto che poco prima di morire la figlia era stata felice di essere stato invitato alla festa di un allievo del collega. Il giorno dopo, durante una lezione di PE, tre ragazze accusata di andare a letto con un amico di 17 anni, fratello, che lei ha negato. Sig. Grogan ha detto l'inchiesta: 'Holly ha detto loro domande e accuse sconvolta e fatta piangere. Le ragazze ha continuato a dire che Holly non dovrebbe andare alla festa. '
Ricordando la mattina dopo, quando ormai il corpo di sua figlia era stata trovata sulla A40, il signor Grogan ha continuato: 'Mia moglie Anita andò a svegliare Holly e notato il suo letto non era stato dormito dentro 'C'era una nota sulla scrivania. Credo che sono stati i fatti del giorno che hanno fatto pendere agrifoglio oltre il bordo. ' Nella sua lettera di Holly ha scritto: 'Non voglio fare nomi, ma vorrei solo che la gente potrebbe imparare a perdonare e dimenticare e di essere più attento alle persone e permettere alle persone di andare avanti.' Mr Grogan ha aggiunto: 'Non abbiamo mai posto il problema del bullismo con la scuola. 'Holly certamente non vogliono farci e, col senno di poi, abbiamo voluto avere. E 'stata la decisione sbagliata.' Uno degli amici di Holly ha detto l'inchiesta: 'Ci sono state tre ragazze che diffondono voci su di lei e chiamato i suoi nomi. 'Hanno anche composto da una sindrome chiamata "HGS", Holly Grogan sindrome, che è stato messo su Facebook e discusso da altre ragazze.' Il corpo di Holly è stato trovato sulla strada sotto Pirton Corsia Ponte, In Churchdown, Gloucestershire, in ritardo il 16 settembre 2009, lo stesso giorno del confronto con le tre ragazze della sua scuola mista. Registrazione di un verdetto di suicidio all'inchiesta in Gloucester ieri il vice coroner David Dooley ha detto Holly compagni di classe erano 'si configura come arbitro morale su qualcosa quando non ha niente a che fare con loro'. Dopo la sua morte, i genitori di Holly ha detto: 'Holly lottato per far fronte alle enormi pressioni su di lei poste dalla complessità dei moderni "gruppi di amicizia" e social networking. 'Sono sicuro che ogni genitore responsabile sarà entrare in sintonia con la nostra battaglia costante per infondere convinzione e fiducia nei nostri figli.' FONTE: www.dailymail.co.uk Editoriale Messaggio Questo sito contiene materiale provenienti da altre fonti chiaramente indicati i mezzi di comunicazione ai fini della stimolazione discussione e arricchimento dei contenuti tra i nostri soci. whatsonxiamen.com non necessariamente approva il loro parere o l'accuratezza del loro contenuto. Per problemi di violazione del copyright si prega di contattare editor@whatsonxiamen.com
Diritti delle donne: In Bolivia una legge contro il femminicidio Roma, 11 marzo 2013 - Nel Codice penale della Bolivia, è stata introdotta la nuova norma contro "la violenza e l'omicidio di una donna a causa della sua condizione di femminilità". E' stato così riconosciuto il reato di "femminicidio". La pena prevista è la più elevata mai riconosciuta all'interno del diritto boliviano: 30 anni, senza alcun diritto di grazia. Quella firmata ieri (10 marzo n.d.r.) da Evo Morales, nel corso di una cerimonia tenutasi nel Palazzo del Governo a La Paz, alla presenza delle rappresentanti di alcune organizzazioni indigene e di attiviste per i diritti umani, è una una norma estremamente complessa, in cui nulla pare essere stato lasciato al caso e che si compone di ben 100 articoli. Qui, si individuano varie tipologie di violenza: da quella fisica a quella psicologica, a quella sessuale e "riproduttiva", fino a quella economica e "mediatica". Inoltre, per garantire maggiore tutela e sicurezza alle vittime sono stati introdrotti una task force della polizia esclusivamente dedicata, nonché speciali tribunali e pubblici ministeri.
Lo scopo di questa legge non più "procrastinabile", come sottolineato dallo stesso Morales, è quello di "garantire una vita libera da violenze di genere", in un Paese in cui almeno 403 donne sono state barbaramente uccise negli ultimi 4 anni. Un orrendo valore che non intende certo ridursi oggi, nel 2013: nei primi 58 giorni del 2013, infatti, 21 persone di sesso femminile sono state ammazzate entro i confini nazionali boliviani. Combattere la violenza sulle donne è un'emergenza che travalica i confini della Bolivia. L'introduzione di questa norma è un esempio che molti altri paesi, tra cui l'Italia - più volte "bacchettata" dalla stessa UE - dovrebbero accingersi a seguire. Al più presto possibile. 24 febbraio 2013La strage delle donne Napoli: donna uccisa dal marito, sale a 6 numero omicidi nel 2013Napoli, 14 feb. (Adnkronos) - Morta dopo 3 giorni di agonia per le ferite provocatole dal marito, Vincenzo Carnevale, poi arrestato dai carabinieri, sale a 6 il numero delle persone uccise dall'inizio del 2013. Le ultime due vittime sono entrambe di sesso femminile. Prima di Giuseppina Di Fraia un'altra donna era stata uccisa a colpi di pistola dal figlio [Repubblica - Napoli]. Si riuscirà finalmente a fare qualcosa per fermare la strage delle donne: questa scia di sangue che uccide una donna ogni 3 giorni? Donne uccise dal marito o dall'ex marito dopo una separazione. Dal fidanzato o dal convivente. Donne che diventano casi di cronaca, a delitto ancora caldo, per poi tramutarsi, finita l'indignazione, in freddi numeri di una statistica che interessa a pochi. Eppure basterebbe poco: certo, un cambio di cultura che richiede un certo numero di anni. Una cultura che insegna ai futuri uomini il rispetto delle donne. Rispetto della loro indipendenza, rispetto delle loro scelte.
E la politica potrebbe fare molto, investendo nell'educazione scolastica. Dando fondi certi ai centri antiviolenza, affinché le donne maltrattate in casa non siano costrette a rimanere nella mani del loro (futuro) carnefice non sapendo dove andare. Nel resto dell'Europa sono riusciti a ridurre i numeri di questa statistica che è una nostra vergogna. Quando ci impegneremo veramente anche in Italia? Sono più di 100, le donne uccise nel 2012: Iacona e i suoi collaboratori hanno girato l'Italia per raccontare i loro casi, questa sera a Presa diretta “Strage di donne”. Il sinossi della puntata: In uno speciale viaggio durato due mesi Riccardo Iacona vi racconta da vicino le storie delle tante donne uccise nel nostro Paese, un numero che negli ultimi anni non accenna a diminuire. E' dal 2006, infatti, che la statistica delle donne uccise nel nostro paese è in continuo aumento fino alle centodieci donne uccise nel 2012 , quasi una ogni tre giorni. Quasi tutte uccise dai mariti, ex mariti, fidanzati, ex fidanzati, cioè dalle persone che gli stavano più vicino, che conoscevano meglio, spesso dal padre dei loro figli. Di queste storie la cronaca ci racconta tutto, anche i dettagli più terribili, le trenta coltellate, gli ottanta colpi di mattarello, le botte prima dell’annientamento fisico. Ma la cronaca non mette mai queste storie l’una a fianco all’altra, le tratta come fossero storie singole, nate dentro un rapporto d’amore sbagliato, donne morte per passione, per possesso, per gelosia. E cosi questa cronaca uccide le donne una seconda volta, perché cancella del tutto quello che queste morti ci stanno gridando, ogni tre giorni , dai marciapiedi delle nostre citta’ : “LIBERTA’”,“INDIPENDENZA”, “AUTONOMIA”, ecco cosa ci gridano queste storie. Tutte le donne vengono uccise infatti nel momento in cui vogliono riprendersi la vita in mano, lasciare l’uomo con cui stavano e riprendersi la libertà. Martiri per la libertà sono le tante donne uccise nel nostro Paese, nell’indifferenza generale, nella rimozione e nell’assenza di politiche attive volte ad arginare l’endemica violenza di cui le donne italiane sono oggetto e ridurre la statistica delle donne uccise ogni anno. STRAGE DI DONNE è un racconto di Francesca Barzini, Giulia Bosetti, Sabrina Carreras e Riccardo Iacona Il libro di Riccardo Iacona “Se questi sono gli uomini”, Chiarelettere editore. PS: è giorno di elezioni. Protestate pure, indignatevi, votate chi volete (ma poi non fate gli ipocriti andandovi a nascondere).
Angela Gennaro. Le vittime di omicidio da parte di partner o ex partner sono passate da 101 nel 2006 a 127 nel 2010. In contemporanea in diverse città d’Italia, nei giorni scorsi sono state accese migliaia di fiaccole per ricordare Stefania Noce. Uccisa da un uomo che dice di aver amato «più della sua vita». Luci e fiamme per lei e per tutte le donne vittime di violenza, volute da «Se non ora quando» di Catania, da tutta Snoq e da tante associazioni e organizzazioni politiche. In tutto il mondo, la violenza maschile è la prima causa di morte per le donne: in Italia sono aumentate del 6,7% nel 2010. La violenza di compagni, mariti, o ex è la prima causa di morte per le donne dai 15 ai 44 anni. «Con dati statistici che vanno dal 70% all’87% la violenza domestica risulta essere la forma di violenza più pervasiva che continua a colpire le donne in tutto il Paese», ha detto la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo, al termine della sua visita ufficiale in Italia. Le vittime di omicidio da parte di partner o ex partner sono passate da 101 nel 2006 a 127 nel 2010. Molte violenze non vengono neppure denunciate, per quello che è ancora il contesto italiano, «patriarcale e incentrato sulla famiglia». Vi è di più: capita ancora che la violenza domestica non venga percepita come reato. E «un quadro giuridico frammentario e l’inadeguatezza delle indagini, delle sanzioni e del risarcimento alle vittime sono fattori che contribuiscono al muro di silenzio e di invisibilità che circonda questo tema». L’Italia non ha ancora ratificato la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza nei confronti delle donne firmato a Istanbul lo scorso maggio da 10 stati europei. La piattaforma italiana «Lavori in Corsa: 30 anni CEDAW», D.I.Re (Donne in Rete contro la violenza), e l’UDI (Unione Donne italiane), ne chiedono in questi giorni l’immediata ratifica. E un triste primato tutto italiano è quello di vedersi affibbiata in un documento ufficiale delle Nazioni Unite la parola «femminicidio». In questo lo Stivale è insieme al Messico, condannato nel 2009 dalla Corte interamericana per i diritti umani per il femminicidio di Ciudad Juarez. Una storia della quale si parla poco e dai confini ancora troppo incerti: centinaia di donne, più di 500, violentate e uccise nella totale indifferenza delle autorità dal 1993. E altrettante sarebbero scomparse. Donne, ragazze e bambine (bambine) uccise ma prima sequestrate, torturate, mutilate, violentate (ed è un eufemismo) nello Stato di Chihuahua. I cadaveri straziati – nei corpi ancora in vita inseriti oggetti a beneficio di giochi erotici (anche questo è un eufemismo) mortali – buttati nella monnezza, o sciolti nell’acido. Secondo alcune denunce, si sarebbero macchiati di questi crimini anche uomini delle forze dell’ordine. Ma tanto, nonostante l’aumento della violenza contro le donne, il dibattito politico in paesi come il Messico e il Guatemala continua secondo molti osservatori ad archiviare tutti questi orrori come un danno collaterale della grande guerra del narcotraffico. Nel 1985 l’Italia ha ratificato la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel ’79, impegnandosi ad adottare «misure adeguate per garantire pari opportunità a donne e uomini in ambito sia pubblico che privato». Il monitoraggio dei risultati avviene ogni quattro anni. Gli Stati firmatari presentano
un rapporto governativo con tutti gli interventi portati avanti per raggiungere i risultati richiesti dalla Cedaw. Oltre al rapporto governativo, in parallelo e autonomamente anche la società civile redige un proprio rapporto, il «Rapporto Ombra». Il Comitato Cedaw, composto da 23 esperti provenienti da tutto il mondo, eletti dagli Stati firmatari, esamina entrambi i rapporti e formula le proprie raccomandazioni allo Stato, che è tenuto a considerarle nell’ottica dell’avanzamento delle donne nella società e a risponderne negli anni successivi. L’organismo delle Nazioni Unite ora ha chiesto all’Italia un aggiornamento entro due anni (invece dei canonici quattro) sulle misure adottate. Le ultime raccomandazioni fatte al nostro Paese, pubblicate il 3 agosto, sono state finalmente pubblicate sul sito delle Pari Opportunità in lingua italiana solo in questi giorni. Tra quattro anni sarà la volta di un nuovo rapporto periodico, il settimo da quando esiste la Convenzione. Nelle raccomandazioni del 2011, il Comitato Cedaw ha accolto con favore l’adozione della legge del 2009 che introduce il reato di stalking in Italia, «il Piano di Azione Nazionale per Combattere la Violenza nei confronti delle donne e lo Stalking, così come la prima ricerca completa sulla violenza fisica, sessuale e psicologica nei confronti delle donne, sviluppata dall’Istat». Azioni che, però, non bastano: «il Comitato rimane preoccupato per l’elevata prevalenza della violenza nei confronti di donne e bambine nonché per il persistere di attitudini socio-culturali che condonano la violenza domestica, oltre ad essere preoccupato per la mancanza di dati sulla violenza contro le donne e bambine migranti, Rom e Sinte». E qui l’affondo: «Il Comitato è inoltre preoccupato per l’elevato numero di donne uccise dai propri partner o ex- partner (femminicidi), che possono indicare il fallimento delle Autorità dello Stato-membro nel proteggere adeguatamente le donne, vittime dei loro partner o ex-partner». «Femminicidio» è la distruzione fisica, psicologica, economica, istituzionale, della donna in quanto tale, della donna che non rispetta il suo ruolo. Il termine è stato coniato per i fatti di Ciudad Juarez, e ha fatto il giro del mondo. Barbara Spinelli, avvocato di Giuristi Democratici, tra le associazioni della società civile che si occupano del Rapporto Ombra rappresentante della piattaforma Lavori in Corsa – 30 anni CEDAW, ne parla in un libro scritto già nel 2008. «Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale». Già, perché tante sono e sono state nel tempo le richieste delle organizzazioni che si occupano di diritti umani di riconoscimento giuridico del femminicidio come reato e crimine contro l’umanità. Questo, si legge nella descrizione del libro, per «individuare il filo rosso che segna, a livello globale, la matrice comune di ogni forma di violenza e discriminazione contro le donne, ovvero la mancata considerazione della dignità delle stesse come persone». Ai sensi della Convenzione Cedaw, spiega Barbara Spinelli a Linkiesta, «lo Stato ha delle obbligazioni note internazionalmente come le 4P»: prevenire la violenza sulle donne, attraverso un’adeguata sensibilizzazione, proteggere le donne che decidono di uscire dalla violenza, perseguire i reati commessi e procurare riparazione alle donne, supporto psicologico e sostegno all’ingresso nel mondo del lavoro. Inutile dire che, per le 4P, l’Italia potrebbe fare di più. «Il rapporto presentato dal governo italiano al Comitato Cedaw non dedica un capitolo specifico alla violenza sulle donne come richiesto», spiega la giurista. E «illustra troppo genericamente i provvedimenti che l’Italia ha preso». Quello che manca è «l’inquadramento della violenza
dell’uomo sulle donne come carattere culturale». Le violenze si consumano soprattutto in famiglia, e soprattutto quando una famiglia si sta spaccando: ecco perché si auspica l’introduzione del divorzio breve. «La violenza sulle donne non è frutto di raptus, ma dalle relazioni di genere. E l’incapacità di adattare un’ottica di genere si riflette in un’inadeguatezza», dice la Spinelli. Inadeguatezza e non sistematicità nella formazione degli operatori sanitari, sociali, delle forze dell’ordine e dei magistrati, «che costituiscono il primo ostacolo concreto alla protezione delle donne». Su 10 femminicidi, 7.5 sono stati preceduti da denunce alle forze dell’ordine o agli operatori sociali. «Quindi c’è una risposta inadeguata da parte dello Stato», spiega Barbara. Il comitato Cedaw «si dice appunto preoccupato per l’elevato numero di femminicidi che potrebbero evidenziare una responsabilità dello Stato nel non dare alle sue azioni in questo ambito carattere strutturale e culturale». Garantendo, tanto per cominciare, il risarcimento alle vittime. Ad oggi in Italia «la legge europea che prevede il risarcimento per le vittime è stata attuata per le vittime della violenza negli stadi, ma non per le donne», conclude amara l’esponente di Giuristi Democratici. http://www.youtube.com/watch?v=q0FxkGdTKwQ&feature=player_embedded
• 3 Cina: la maledi aledizione del nascere ere donna d 9 settembre 2009 by Giovan iovanni De Sio Cesari Nella Cina tradizionale nasce nascere donna era una maledizione: si do dovettero addirittura promulgare leggi che vietasse tassero ai mariti di picchiare le proprie e mo mogli che partorissero delle femmine perché anchenche questo avveniva. Nei ceti più poveri e nei tempi di carestia, le bambine venivano ve addirittura abbandonate e lasciate morire orire. Perchè mai? In realtà anche nella nostra stra civiltà la nascita di un maschio era ra ne nel passato cosa più gradita dei quella di una femm femmina tanto che un tempo si diceva agli sposi “auguri e figli maschi”. Il figlio maschio infatti veniva considerato come il continuatore e del della famiglia, poteva lavorare e produrre mentre ntre la femmina veniva vista come un deb debito perche ad essa bisognava accordare una cong congrua dote. Tuttavia da noi vi era una preferenza pr per il figlio maschio ma la a figl figlia femmina non era certo una maledizione: sii face faceva feste per tutte e due. La differenza nasceva dalla diversità di struttura della famiglia cine cinese rispetto a quella europea. La famiglia cinese ese a aveva una struttura patriarcale molto olto p più accentuata che la nostra nella quale invece ece la coppia aveva sempre un suo riconos conoscimento e una sua autonomia. La donna cinese, ese, n nel momento in cui si sposava perdeva eva p praticamente quasi ogni rapporto con la sua famig famiglia di origine: questa pertanto aveva va il ccompito di allevarla fino a all’età del matrimonio onio dopo di che la perdeva quasi comple mpletamente. La donna produceva allora, soprattutto tutto i figli, ma per un’altra famiglia e i suosuoi genitori una volta diventati anziani non poteva otevano sperare di essere da lei assistiti.istiti. La donna entrava invece pienamente nella famiglia fam dello sposo e quindi diveniva sogg soggetta non solo e non tanto al marito ma anche e so soprattutto ai suoceri. Si capisce facilmente come le suocere in particolare fossero sero incline a trattare duramente le nuore con le qua quali non vi era nessun legame di affettotto nnaturale, un po’ per la naturale gelosia di mamme mme e poi soprattutto facevano pagare alle giovani nuore tutto quello che esse avevano dovudovuto sopportare, quando a loro volta, lta, eerano state giovani spose: una specie di girone rone infernale quindi in cui si diventava va p prima vittime e poi carnefici. Nelle famiglie occidentali li inv invece la donna, anche se prende il nom nome del marito e lo continua nei suoi figli, non p perde affatto il rapporto con la famigli miglia di origine che si mantiene sempre vivo. I rap rapporti fra nonni e nipoti sono identicientici sia per via parte
femminile che maschile. La cura dei genitori anziani ricade soprattutto sulle figlie e solo indirettamente sulle nuore. Verso i suoceri è previsto un generico rispetto come a persona più anziana ma nessuna subordinazione anzi le nuore fanno subito sentire che le suocere debbono “farsi i fatti loro”. Spesso anche in modo piuttosto rude. Nel presente, in Cina le vecchie tradizioni sono state sradicate. Il comunismo soprattutto ha lottato tenacemente e con successo per inserire le donne nel lavoro e nella politica a parità con l’uomo. Attualmente in Cina le donne possono ricoprire ogni ruolo e lavorano praticamente tutte come gli uomini in ciò favorite dalla prescrizione del figlio unico. Sono ora i nonni, materni o paterni senza distinzione, a prendersi carico dell’allevamento dei nipoti, come avviene un po’ dappertutto nella società moderna. Tuttavia la preferenza per il figlio maschio resta sempre forte in Cina: la politica del figlio unico impedisce alle coppie che abbiano avuto una femmina di poter pensare di avere anche un maschio. Questo fatto fa sì che, a volte, nel momento in cui una coppia conosce attraverso la ecografia di aspettare una femmina ricorra all’aborto. Sarebbe proibito per legge comunicare ai genitori il sesso del nascituro: ma chiaramente è una prescrizione poco realistica. Il risultato è che in Cina il numero dei maschi supera abbondantemente quelle delle femmine: a un certo punto i giovani cinesi non troveranno più mogli e bisognerà quindi “importarle” dai paesi limitrofi più poveri del sud est asiatico. Il fenomeno è già cominciato e presumibilmente si amplierà sempre di più. Rating: 5.6/10 (472 votes cast) Rating: 0 (from 0 votes) Cina: la maledizione del nascere donna, 5.6 out of 10 based on 472 ratings
Femminicidio Alla vigilia dell’8 marzo l’Italia farebbe bene a interrogarsi. Ma davvero siamo un Paese che perseguita la donna? Il dipartimento delle Pari opportunità ha addirittura pensato di istituire la figura di un avvocato specializzato nella sua difesa. E Rashida Manjoo, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, ha appena parlato di femminicidio: «È la prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni». Femminicidio è un neologismo ed è una brutta parola: significa la distruzione fisica, psicologica, economica, istituzionale della donna in quanto tale. È un termine coniato ufficialmente per la prima volta nel 2009, quando il Messico è stato condannato dalla Corte interamericana dei diritti umani per le 500 donne violentate e uccise dal 1993 nella totale indifferenza delle autorità di Ciudad Juarez, nello Stato di Chihuahua. C’erano cadaveri straziati buttati nella monnezza o sciolti nell’acido: secondo alcune denunce si sarebbero macchiati di questi orrori anche uomini delle forze dell’ordine. Certo, in Italia non siamo arrivati a questi livelli. Però, si tratta di delitti trasversali a tutte le classi sociali. Stefania Noce, femminista del Movimento studentesco, è stata uccisa a Catania dal compagno laureando in psicologia che lei diceva di amare «più della sua vita». A marzo di un anno fa nella periferia romana è stato trovato il tronco del cadavere di una donna mutilato: il caso è stato archiviato subito anche dai giornali. Come se volessimo tutti chiudere gli occhi davanti a questo orrore. Rashida Manjoo nella sua relazione ha detto che «la violenza domestica si rivela la forma più pervasiva che continua a colpire le donne in tutto il Paese, come confermano le statistiche: dal 70 all’87 per cento dei casi si tratta di episodi all’interno della famiglia». C’è chi sta peggio, l’abbiamo capito: dieci Paesi del Sudamerica, a cominciare dal Messico. Ma nel mondo cosiddetto civilizzato dell’Europa siamo messi davvero male. I numeri sembrano quelli di una strage. Nel 2010 le donne uccise in Italia sono state 127: il 6,7 per cento in più rispetto all’anno precedente. Dati in continua crescita dal 2005 a oggi, e solo dal 2006 al 2009 le vittime sono state 439. Secondo l’associazione «Casadonne» di Bologna, si tratta di «un fenomeno inarrestabile». Nei primi mesi del 2011, le statistiche parlano già di 92 donne uccise. Nella stragrande maggioranza dei casi gli assassini sono all’interno della famiglia, mariti (36 per cento), partner (18), parenti (13), ex (9), persino figli (11). Come se non bastasse, poi, «i dati sono sottostimati perché non tengono conto delle donne scomparse, dei ritrovamenti di donne senza nome o di tutti quei casi non ancora risolti a livello personale». Ogni tre giorni una donna in Italia viene uccisa per mano del proprio partner. Secondo i dati della Polizia e dell’Istat una donna su 4, nell’arco della vita, subisce violenza, e negli ultimi nove anni, ha stabilito un rapporto dell’Eurispes, «il fenomeno è aumentato del 300 per cento». Le Nazioni Unite sostengono che «in 125 Paesi del mondo le leggi penalizzano davvero la violenza domestica e l’uguaglianza è garantita». L’Italia, purtroppo, sembrerebbe far parte degli altri 139 Paesi. Davvero siamo messi così male? A sentire la coordinatrice della Commissione Pari opportunità del Consiglio Forense Susanna Pisano pare proprio di sì: solo il 6 per cento delle donne italiane denuncia la violenza subita. «La nostra è una piaga silenziosa e nascosta», dice. Non è solo una questione di costume, ma anche di diritto, come spiega bene, in fondo, la recente sentenza della Cassazione secondo la quale gli autori di uno stupro di gruppo non meritano il carcere. E non è un caso, alla fine, che proprio in Italia stia per nascere la figura di un avvocato specializzato solo nella difesa delle donne. FEMMINISMO IN ITALIA L'Italia ha raggiunto l'unità solo nel 1861 , per cui nel nostro paese, la lotta per l'emancipazione della donna, si accese in ritardo rispetto al resto dell'Europa, anche perché la rivoluzione industriale giunse solo verso la fine del secolo diciannovesimo. Per rivendicare il diritto di voto, comunque, anche in paesi come l'Italia,
nella seconda metà dell'Ottocento , nacquero i primi movimenti delle suffragette , così chiamate perché rivendicavano il suffragio femminile. Durante la Prima Guerra Mondiale le suffragette dovettero sostituire gli uomini partiti per il fronte, lavorando nelle fabbriche e assumendo ruoli chiave della società . Quando il conflitto ebbe termine non fu più possibile negare loro il diritto di voto. Nel 1919 , così, le donne italiane ottennero l’ emancipazione giuridica , facendo abolire l’obbligo dell’autorizzazione maritale sulla gestione dei propri beni. Mentre nel 1923 ottennero il diritto di voto alle elezioni amministrative, ma tale diritto non trovò applicazione a causa della riforma fascista degli enti locali. Ai primi nuclei femminili organizzati aderirono in un primo tempo le donne della borghesia , alle quali si affiancarono successivamente le masse femminili cattoliche e socialiste . Tra queste ultime, sostenute dal partito socialista, si distinsero in modo particolare Giuditta Brambilla , Carlotta Clerici e Anna Kuliscioff . Nel 1910 le rappresentanti delle associazioni femminili italiane parteciparono al Primo Congresso Internazionale Femminile di Copenaghen, durante il quale l' 8 marzo fu dichiarata Giornata della Donna . Anche le nostre suffragette, tuttavia, dovettero attendere ancora dei decenni prima di ottenere il diritto al voto . Quest'ultimo venne infatti riconosciuto solo nel 1945 con un decreto di Umberto di Savoia, ultimo re d'Italia. Nel dopoguerra, all'Assemblea Costituente vennero elette 21 donne . Negli anni '50 le femministe italiane lottarono per le riforme legislative e si schierano dalla parte delle mondine e delle operaie conserviere molestate dai padroni. Negli anni '60 inizia la campagna per il diritto all' aborto in strutture sanitarie non clandestine. Negli anni '70 , anche grazie al movimento femminista, passa in Italia la legge sul divorzio e viene approvata la legge sul diritto di famiglia . Negli anni successivi , infine, passa l'emendamento che dichiara lo stupro un reato e nasce anche la commissione nazionale per le pari opportunità . STORIA DELLA DONNA Le donne sono forti e devono tenere le redini della famiglia e del lavoro. Una doppia fatica che richiede energie, impegno, efficienza, senso del dovere. Ma a volte tutto ciò sembra non bastare. Perché a questo si aggiunge la fatica di "sfondare" un mondo che è ancora molto maschile nelle sue richieste e pretese. Una società che chiede ancora alle donne di "portare i pantaloni" quando è ormai tempo di indossare con orgoglio la gonna e di sfruttare tutte le capacità che sono racchiuse nel ruolo femminile, e le sono proprie da sempre. Le donne sono sempre state brave a gestire "casa e bottega", famiglia e affari. Già nell’età della pietra stavano dentro le caverne e badavano ai cuccioli, prendendosene cura e sfamandoli. Si occupavano anche di trasformare quanto cacciato dall’uomo in qualcosa di commestibile ma non solo. Dai prodotti dell’animale cacciato tiravano fuori pelli per coprirsi, cibo per sfamarsi, conservando tutto quanto era utile per la sopravvivenza. Una pratica questa che si ritrova anche nelle popolazioni dei pellerossa americani, dove le rappresentanti del sesso femminile accompagnano gli uomini nelle loro attività di caccia aiutandoli attivamente in questa pratica. Dopotutto nelle civiltà arcaiche il matriarcato era potentissimo: la donna era regina della famiglia e della comunità. La sua figura mitica veniva associata alla madre terra, generatrice di vita e potente forza della natura. Tutta l’economia della casa era nelle sue mani, la sua parola era legge anche per gli uomini che dovevano abbandonare il focolare per recarsi al lavoro nei campi, a delegare tutto il resto all’impeccabile organizzazione femminile. Poi sono arrivati i grandi imperi dell’antichità, le civiltà classiche: anche qui, nell’antica Roma ad esempio, le mogli degli imperatori facevano la vera politica tessendone le trame nell’ombra. Le donne erano potenti e libere. Tutto cambia nel Medioevo, quando l’essere femminile viene percepito in due differenti modalità: angelico e spirituale oppure stregonesco e maligno. Il Bene e il Male si incarnano nell’essere umano femminino che si allontana così dalla concretezza e soprattutto dal potere di decidere e di fare qualsiasi cosa di diverso dal suo ruolo di madre e moglie, piegata al volere dell’uomo. Nel Seicento la paura della forza al femminile, si trasforma in persecuzione fino al loro estremo sacrificio perpetuato contro le streghe al rogo: esperte nell’arte della stregoneria, così erano considerate
quelle donne che decidevano di "ribellarsi" al volere maschile e alle regole imposte dalla società, essendo infine relegate ai margini di essa. Tutte le altre andavano in spose o entravano in convento. Il Settecento vede le donne ancora racchiuse tra le mura domestiche o nelle corti a tessere trame e a cercare di "accasarsi" al meglio. Poche le occasioni di entrare in società con un ruolo diverso da quello di future spose e madri. È con l’Ottocento che la donna torna alla ribalta, soprattutto nella sua veste di lavoratrice. La sua forza lavoro, mai venuta meno nella storia, solo ora ricomincia ad avere un importante peso sociale in piena società industriale, soprattutto dal punto di vista economico e produttivo in senso stretto. L’individuo femminile comincia faticosamente a farsi riconoscere il diritto ad essere un soggetto sociale lavoratrice e cittadina e quindi a potersi svincolare dal potere dell’uomo, marito o padre. Lavoratrici con le gonne si cominciano a vedere non solo nelle fabbriche ma anche nelle scuole come maestre, nelle corsie degli ospedali soprattutto come ginecologhe conquistando un’indipendenza economica che rompe gli stretti vincoli domestici. Negli Stati Uniti, nel 1840, viene anche sancito il diritto alla libera disponibilità dei guadagni. Le donne cominciano anche a spogliarsi di quegli indumenti fatti di bustini strettissimi e di stecche e indossano abiti fluidi e costumi da bagno, lontani antenati dei bikini. Anche questo è lento progresso verso la parità all’alba del Ventesimo secolo, quando iniziano i primi riconoscimenti dei diritti politici alle donne in Nuova Zelanda (1893), poi negli Usa (1914) e a seguire in tutto il resto del mondo occidentale. Il Novecento è il secolo delle suffragette, del grande movimento femminista, delle conquiste dei diritti civili, dall’uguaglianza al voto alla possibilità di accedere a tutte le professioni di esclusiva pertinenza degli uomini. La donna della seconda metà del ‘900 conquista la sua libertà e la sua indipendenza economica, giuridica, politica, sessuale: diventa un individuo a pieno titolo, una cittadina moderna proiettata verso la modernità. Un esempio importante dell’emancipazione della donna in questa nuova era arriva dall’India dove le donne, a partire dagli anni Novanta, sono uscite dal loro isolamento dentro case e famiglie, vittime di una società settaria, per aggredire il mondo del lavoro e dell’economia con la loro intraprendenza. Gli esempi sono numerosi: le giovani donne indiane con la potenza del loro lavoro sono da alcuni decenni un antidoto alla crisi economica perché credono nelle proprie capacità imprenditoriali e nella solidarietà. Molte hanno iniziato dando vita alla bottega dietro casa dove confezionano vestiti e gioielli destinati all’esportazione nel resto del mondo. O come in Bangladesh dove un solo uomo, Muhammad Yunus ha dato una mano a un gruppo di donne povere lavoratrici facendole uscire dalla loro condizione miserevole: negli anni Settanta dopo una forte carestia si è recato nel villaggio di Jobra e ha offerto loro un piccolo credito finanziario, che le grandi banche non avrebbero mai concesso, per far vivere le loro piccole imprese. Ha finanziato le loro attività artigianali dedicate alla lavorazione di mobili in bambù, dando vita a quell’esperienza straordinaria del microcredito che gli ha fatto meritare il Premio Nobel per la pace 2006. Ma nella società indiana non mancano gli esempi di manager e donne in carriera. Il progresso economico è da tempo in quest’area del mondo strettamente connesso al protagonismo delle donne. Ma, nonostante questi esempi, oggi, all’alba del millennio qualcosa sembra ancora non tornare…Tuttavia oggi le donne hanno ancora molta strada da percorrere per riaffermare la loro femminilità fatta di quei valori profondi e unici che avevano già nelle caverne! Ma per farlo è necessario riappropriarsi di quanto non è mai venuto meno: forza, equilibrio, passione, intelligenza, coraggio, abilità intellettive e manuali. Essere donne, ribelli, selvagge, streghe, guerriere, protagoniste. Come le donne che parlano dalle pagine di questi libri interessanti che vogliamo qui consigliare. LA NORMATIVA SULLA CONDIZIONE FEMMINILE Ecco, in estrema sintesi, alcune tra le più significative leggi in favore delle donne. Legge 23 aprile 2009, n. 38 "Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori"
Direttiva del 23 maggio 2007 Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche Direttiva 2006/54/CE del 5 luglio 2006 Attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego Provv. del Min. Lavoro e delle Politiche Sociali del 30 maggio 2006 - G.U. n. 160 del 12 luglio 2006 Programma-obiettivo per la promozione della presenza femminile nei livelli e nei ruoli di responsabilità all'interno delle organizzazioni, per il consolidamento di imprese femminili, per la creazione di progetti integrati di rete Decreto legislativo 11 aprile 2006 n. 198 Codice delle pari opportunità tra uomo e donna Legge 19 febbraio 2004, n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita Legge 15 ottobre 2003, n. 289 "Modifiche all'articolo 70 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di indennità di maternità per le libere professioniste Legge 11 agosto 2003, n. 228 Misure contro la tratta di persone Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216 Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro Decreto Ministeriale 16 maggio 2003 Fondo di rotazione per il finanziamento in favore di datori di lavoro che realizzano, nei luoghi di lavoro, servizi di asilo nido e micro-nidi Provvedimento 30 maggio 2001 Programma - obiettivo per la promozione della presenza femminile all'interno delle organizzazioni anche al fine di rendere le stesse più vicine alle donne Legge 5 aprile 2001, n. 154 Misure contro la violenza nelle relazioni familiari Legge 28 marzo 2001 n. 149 Modifiche alla legge 4 maggio 1983 n. 184 recante: "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori" nonché al titolo VIII del libro del c.c. Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53 Legge 8 marzo 2001 n. 40 Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori Decreto legislativo del 28 gennaio 2000: disposizioni in materia di part-time Legge n. 53 dell'8 marzo 2000 Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città.
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