L'Islam Moderato Insulindiano e il Dialogo con l'Occidente - Conoscere

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L'Islam Moderato Insulindiano e il Dialogo con l'Occidente - Conoscere
Università degli Studi di Cagliari
                     Facoltà di Scienze Politiche
        Corso di Laurea Specialistica in Relazioni Internazionali
                            (Classe 60/S)

  L'Islam Moderato Insulindiano e il Dialogo
              con l'Occidente

Relatore                                      Tesi di:
Prof.ssa Annamaria Baldussi                   Trudu Ilaria

                      Anno Accademico 2006/2007
Indice

1.   Introduzione……………….…………………………………………..                                            p. 4

2.   Il lungo cammino verso la democrazia……………………….                                   p. 6
         2.1 Excursus storico: avvicendamenti al potere in Insulindia….……             p. 6
             2.1.2 Indonesia
             2.1.3 Malaysia…………………………………………….………...                                   p. 21

         2.2 Islam e Politica……………………………………………………                                     p. 28
             2.2.1 Pancasila
             2.2.2 NU e Muhammadiyah………………………………………….                                 p. 31
             2.2.3 Movimenti Dakwah (PAS, Darul Arqam, ABIM)…………………..                 p. 31

         2.3 Il Processo di Democratizzazione………………………….……….. p. 34

3. Dialogo con l’Occidente………………….………………….….…                                         p. 46

         3.1.Cooperazione Internazionale………………………………….….                              p. 46
             3.1.1 Relazioni USA – Indonesia – Malaysia fino 11/9/2001….…………..        p. 47
             3.1.2 UE – ASEAN: esempio di cooperazione Sudest Asiatico-Occidente…..   p. 55
             3.1.3 ONU, ONG e Diritti Umani………………………………………                            p. 57

         3.2 11/9/2001 Una Nuova Sfida: Insieme contro il terrorismo….….              p. 63

         3.3 Dialogo interreligioso…………….………………………………                                 p. 66

4. Conclusioni ……………………………………………………………                                                p. 70

5. Bibliografia…………………………………………………………….                                               P. 72
1.Introduzione

Al giorno d’oggi ascoltando un telegiornale, un dibattito o leggendo qualsiasi
quotidiano, ci si rende conto che una nuova parola è entrata ormai nel nostro
dizionario quotidiano: “Islam”; purtroppo i fatti di cronaca legati a questo termine
sono sempre caratterizzati da una connotazione negativa, e soprattutto dopo 11
settembre 2001 sono macchiati di rosso. Ma cos’è l’Islam? L’Islam è fede (dín), ma
non solo, è anche stato, mondo (dunya) ed è diritto (dawla), questa religione
trascende i confini occidentali che sono stati delimitati nel nostro passato con la
frattura tra lo Stato Temporale e quello Secolare; per i musulmani l’Islam è il loro
mondo che tutto comprende, la vita dei suoi seguaci è continuamente pervasa da
aspetti religiosi, o per lo meno così era in passato, perché non esiste attualmente
l’identità: Stato Islamico che applica la legge islamica (sharia) e che come capo abbia
un’autorità religiosa. A partire dall’epoca di Maometto e per poche generazioni, la
società musulmana conobbe e sperimentò tale identità, dove il capo religioso era allo
stesso tempo, capo della comunità (umma), ossia colui che, illuminato da Allah, ne
rappresentava il vicario (kalifa) in terra e come tale insegnava la legge divina alla sua
unione di credenti. Questa triade costituisce la base per capire i popoli musulmani, i
quali seppur messi in ombra da una minoranza di fanatici, costituiscono la vera realtà
islamica.
    Nello studio che mi accingo a presentare, mi propongo di confutare la teoria
secondo la quale non esista un Islam moderato e di conseguenza non esista
concretamente la possibilità di un dialogo con esso. Al fine di servire questo scopo,
ho preferito utilizzare fonti provenienti soprattutto dal mondo non-occidentale, nel
tentativo di fornire una visione distaccata dalla mia cultura e di spogliarmi il più
possibile da concetti e punti di vista propri dell’Occidente. Troppo spesso la civiltà
islamica è stata oscurata dalla bandiera del terrorismo, purtroppo “pochi” sono riusciti
con atti eclatanti a distruggere la reputazione di “tanti”, i quali a loro volta
inorridiscono di fronte ad attentati alla vita umana. Soprattutto in seguito all’attentato
dell’undici settembre si è sviluppata una tendenza, interna ai paesi occidentali, volta a
demonizzare la religione Islamica, insieme a tutti i suoi fedeli, e volta a creare uno
stereotipo del musulmano con pensieri e atteggiamenti, anti-sionisti, anti-americani,
ergo, anti-occidentali.
    Ho deciso di prendere in esame due paesi del cosiddetto “Islam periferico”, da
una prima analisi superficiale potrebbero anche sembrare erroneamente simili: sono
infatti entrambi costituiti da una popolazione a maggioranza musulmana, con un
comune background storico-culturale, inoltre appartengono entrambi al contesto
dell’Asia Sudorientale; tuttavia l’elemento che li contraddistingue è fornito dai diversi
risultati raggiunti in seguito alla loro indipendenza. L’Indonesia, per esempio, non ha
sviluppato uno stato Islamico propriamente detto, ossia con l’elevazione della sharia
a legge suprema, questo a causa dell’elevato tasso di multi-culturalismo all’interno
dei suoi territori: durante la sua indipendenza ha dovuto affrontare continue sfide alla

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su integrità territoriale, che era costantemente minacciata da movimenti separatisti
che pervadevano tutto l’arcipelago, in un simile contesto non era certamente possibile
istituire uno Stato musulmano. La Malaysia, invece è un ibrido di Stato Islamico,
anche in questo caso la popolazione si suddivide in diverse categorie, ma da un punto
di vista linguistico: accanto ai malesi doc, coesistono anche elementi cinesi ed
indiani, i loro conflitti si sviluppano quindi su un livello “etnico” piuttosto che
religioso, come accade in Indonesia. Un altro elemento che li distingue sono i diversi
sistemi democratici, mentre il primo ha un tasso superiore, l’altro è ancora nella via
della transizione democratica. La scelta di questi due stati potrebbe apparire
inopportuna, proprio per la loro distanza dalla Terra Santa e dall’origine della fede
Islamica, ma ho preferito scegliere la regione Insulindiana proprio per la realtà
multiculturale che la contraddistingue, per la tolleranza e apertura mentale che fin
dagli albori dei primi traffici marittimi non le ha mai impedito di intrecciare legami
sia commerciali che intellettuali con altri popoli. Nonostante la sua distanza dalla
“culla dell’Islam”, la fede in questi territori ha tuttavia mantenuto i caratteri essenziali
che contraddistinguono il messaggio islamico originale, che, a discapito dell’opinione
comune, si pregia di virtù quali tolleranza, universalità, versatilità, ma non solo,
accanto a questi principi (che anche lo stesso Occidente concepisce come “propri”) vi
è il germe della democrazia: la comunità musulmana originaria, nell’esplicare le sue
decisioni, ha sempre ricorso ad un’assemblea dei saggi, i quali decidevano a rigor di
maggioranza.
     Al fine di provare la mia tesi, procederò prima con un breve excursus storico sugli
avvicendamenti al potere nei due stati, ponendo l’accento, di volta in volta, sul
legame tra politica-religione e sulle modalità alle quali i movimenti islamici dei due
paesi, ricorrono di volta in volta per influenzare o meno le scelte de rispettivi governi;
successivamente analizzerò le transizioni democratiche insite all’interno
dell’ambiente istituzionale e politico insulindiano, con le relative riforme e
analizzando di volta in volta i limiti che ancora devono superare. Questo passaggio è
necessario per due ragioni: innanzi tutto con l’intento di appurare che l’Islam non è
incompatibile con il modello democratico, e consecutivamente per poter instaurare un
dialogo proficuo con l’occidente è necessario avere al proprio interno qualche forma
democratica. Una volta analizzato l’aspetto democratico proprio della Malaysia e
dell’Indonesia mi concentrerò sulle modalità con le quali questi due Stati hanno
raggiunto un dialogo con l’Occidente, prima come “individui” con il colosso
statunitense, poi come regione asiatica rapportata all’Unione Europea e da ultimo
come contesto globale nell’ambito dei diritti umani e i rapporti con l’ONU. Gli ultimi
due paragrafi saranno dedicati agli sforzi compiuti da questi due paesi musulmani, per
affrancarsi dalla bandiera che è caduta sul mondo musulmano, in seguito al tragico
attentato al World Trade Center e infine sul dialogo continuo con le altre religioni per
cooperare allo sviluppo della tanto agognata, quanto sognata, pace mondiale.

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2. Il lungo cammino verso la democrazia

          2.1 Excursus storico: avvicendamenti al potere in Insulindia

               2.1.1 Indonesia

    Il variopinto panorama religioso presente in Indonesia è da considerarsi unico nel suo
    genere e nella sua natura: all’interno di questo stato a maggioranza musulmana,
    ovvero esattamente il 90% della popolazione, trovano posto altre religioni minoritarie
    come il Cristianesimo nelle sue versioni protestante che rappresenta il 6% (soprattutto
    nelle province di Irian Jaya e nella zona settentrionale di Sulawesi) e cattolica 3% (a
    Timor-Est, nella zona orientale di Nusa Tenggara, nelle Isole Flores e nelle
    Molucche) l’Induismo (Bali), il Buddismo (Borneo Occidentale) e infine una minima
    parte si reputa animista o segue pratiche sincretiche (soprattutto Giava) delle religioni
    precedentemente nominate. Questo cocktail di culti è tenuto insieme dal pilastro del
    Panca Sila, ossia una sorta di dottrina che venne creata dal primo presidente
    dell’Indonesia Sukarno al fine di mantenere la libertà di religione, dando piena
    legittimità di esistenza a ciascuna fede e fornendo anche il substrato che avrebbe
    funto da collagene per preservare l’unità nella diversità che è propria di questo Stato,
    nonché il suo motto: “Binneka Tunggal Ika”.
        Sin dalla nascita dello Stato Indonesiano la sua politica, proprio per la sua società
    multiculturale, è sempre stata intrisa di connotati religiosi, con organizzazioni che ne
    rappresentassero gli interessi; due erano e tuttora sono i maggiori i contenitori degli
    aspetti musulmani: il partito Madjelis Sjuro Muslim Indonesia (più comunemente
    noto come Masjumi) e successivamente Nahda’ul Ulama (NU)1, che significa
    Rinascita Ulama. I due schieramenti si distinguono per l’orientamento più
    tradizionalista del secondo rispetto al primo, Madjelis si distingue più per una
    tendenza modernista, da una parte premeva per la costituzione di uno stato
    musulmano, ma dall’altra era aperto alla collaborazione con l’occidente, pur
    aborrendo la posizione amichevole di Sukarno coi comunisti. Sukarno ai primi albori
    della sua instaurazione al potere ha dovuto affrontare immediatamente, il problema
    della multireligiosità; davanti a lui si ponevano due strade: quella di dare piena forma
    al nuovo stato sotto la bandiera dell’Islam oppure garantire la sopravvivenza dei vari
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    Nahda’ul Ulama: Il partito sorse per la prima volta nel 1926 dalla scissione di un altro partito: Sarekat
    Islam, successivamente verrà inglobato all’interno del Partito Masjumi e nel 1952 acquisterà
    nuovamente vita propria separandosi da quest’ultimo raggruppamento polico-religioso.

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culti professati all’interno del paese preferendo l’instaurazione di uno Stato laico. La
    frammentazione arcipelagica propria del territorio richiedeva prima di tutto: unità e
    centralizzazione governativa, l’istituzione di uno stato musulmano avrebbe significato
    invece creare disordini all’interno della nuova entità statuaria, la quale era già
    abbastanza provata dalla autoproclamazione di indipendenza della Repubblica delle
    Molucche del Sud, in opposizione all’Indonesia; questa rivolta scaturì all’indomani
    della creazione del nuovo stato e non a caso ebbe come focolaio Ambon, una città a
    predominanza cristiana. Queste ribellioni necessitarono una forte contromisura da
    parte governo, che rispose appunto tramite una accentuazione del potere centrale e
    tramite la soluzione del dilemma tra l’istituzione di uno stato laico, o uno prettamente
    islamico, ed ecco porsi di fronte al nuovo presidente una terza via: le due correnti si
    accordarono, giungendo al compromesso rappresentato dall’istituzione del Panca Sila
    come ideologia nazionale. L’origine etimologica di questa parola è da cercare nella
    lingua sanscrita e significa “cinque principi”; essa è, infatti, composta da cinque
    concetti2. L’importanza di quest'istituzione è tale da essere stata forgiata allo scopo di
    creare un trait d’union tra le differenze culturali ed elevarle a nota caratteristica del
    paese, nonché base per una convivenza pacifica per i cittadini indonesiani professanti
    qualsiasi religione purché questa fosse monoteistica.
         Facendo un piccolo passo indietro, descriverò la situazione politica antecedente
    alla costituzione dello stato, per poi ricollegarmi a Sukarno. Ancor prima della
    Dichiarazione di Indipendenza Indonesiana iniziavano già a sorgere i primi partiti o
    movimenti di diverso indirizzo politico. I primi erano uno di corrente nazionalistica e
    l’altro islamico. La prima associazione: la Muhammaddyya, venne fondata nel 1906.
    La seconda, il Sarekat Islām venne costituita nel 1911. Entrambi i due movimenti
    associazionistici nacquero a Giava., ma il Sarekat Islām mise radici anche a Sumatra.
    L’impulso della sua creazione deve essere letto come risposta all’opera di
    cristianizzazione che il quel periodo si stava verificando nelle deu isole. Inizialmente
    il Sarekat Islām fu un’associazione di mercanti che si univano contro i cinesi, solo
    successivamente assunse un carattere politico e questo avvenne in concomitanza
    all’assorbimento e al successivo distacco di frange comuniste, le quali separandosi
    diedero vita al Perserikatan Komunist Indonesia (P.K.I.), il partito comunista
    indonesiano. Nel 1927 nacque Perserikatan Nasional Indonesia, un altro partito di
    corrente nazionalistica, i cui leader furono il futuro primo presidente indonesiano
    Sukarno e il suo vicepresidente Mohammed Hatta. Tra questi partiti, un ruolo
    predominante verrà assunto dal P.N.I. Nel 1923 il P.K.I. a seguito di un’insurrezione
    fallita a Giava venne dichiarato illegale e quando venne dichiarata l’Indipendenza i
    leader nazionalisti assunsero i due ruoli più importanti nel neonato stato. Sukarno si
    servì dei comunisti per contrastare la potenza delle idee islamiche, questo, al contrario
    del suo successore era un ammiratore della Cina Comunista. Questa sua approvazione
    per le idee comuniste gli causò il dissenso del partito Madjelis Sjuro Muslimin
    Indonesia, o più comunemente noto come Masjumi, questo era un raggruppamento di
    tutte le associazioni islamiche, nonché forza preponderante nei primi due governi
    della storia dello Stato indonesiano.

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    http://home.swipnet.se/zabonk/indons/instant/politics.htm

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In seguito alla dissoluzione del governo coloniale olandese e alla successiva
dimissione di tutte le più alte cariche manageriali, economiche, governative, le quali
erano tutte ricoperte da personale olandese, l’Indonesia era in una situazione di deficit
di personale competente per la sua amministrazione. Gli indonesiani non avevano mai
avuto mansioni dirigenziali ed erano per questo in una situazione di completa
incapacità. In questo clima di inadeguatezza direttiva si inserivano le proposte di
alcune frange di correnti musulmane che erano aperte alla collaborazione con
l’Occidente. Questi movimenti erano favorevoli a contatti con le nazioni più ricche
del mondo, dalle quali erano certi si potesse imparare e riuscire in questo modo a far
fiorire l’economia del proprio paese sotto l’effetto propulsore occidentale.
    All’interno della federazione Masjumi esistevano differenze tra le varie
associazioni islamiche, infatti ad essa aderivano inizialmente riformisti, modernisti,
progressisti e tradizionalisti. Nel 1952 l’ala tradizionalista si separò dalla federazione
e diede così nuova vita al Nahdat’ul Ulama (Rinascita degli Ulama), il quale era già
sorto nel 1926 dalla scissione dal Sarekat Islām. Questi tradizionalisti non
contestavano la collaborazione di Sukarmo coi comunisti, mentre il restante dei
Masjumi vi ci si opponeva e si mostrava più disponibile alla collaborazione con
l’Occidente. Successivamente a questo allontanamento, le prime elezioni generali
proclamavano la vittoria ex-equo del Masjumi e del P.N.I., seguiti dal movimento di
Rinascita degli Ulama, e infine dal P.K.I. Nel 1959 Sukarno con decreto presidenziale
sciolse l’Assemblea Costituente che stava lavorando alla costituzione provvisoria e
ristabilì la precedente costituzione del 1945. Il presidente dopo aver incorporato alla
sua carica anche quella di primo ministro, si occupò della formazione del governo,
vietò allo stesso tempo lo svolgersi di attività politiche, bloccò il funzionamento del
parlamento e infine interdisse il Masjumi. Veniva così avviata le politica di
“Democrazia Guidata” che prevedeva la cooperazione tra tre schieramenti politici. Le
correnti islamiche erano state relegate in un piano inferiore, in quanto i due partiti alla
ribalta erano quello nazionalista e quello comunista. L’unico partito musulmano
riconosciuto era quello tradizionalista, in quanto aveva accettato l’alleanza coi
comunisti e non poteva però assumere una propria connotazione individuale.
    Nel 1965, dopo il fallimento di un colpo di Stato rivoluzionario, il governo di
Sukarto venne rovesciato. Durante questa manovra politica vennero uccisi dei capi
militari ed il P.K.I. venne ritenuto responsabile di questa strage. Questo partito venne
eliminato e salì al potere un nuovo Presidente: Suharto e il governo del “Nuovo
Ordine”. Suharto, per accentrare ancor di più il potere nelle sue mani, utilizzo il
Panca Sila come filosofia fondamentale indonesiana e fece del suo quinto principio
un baluardo per la lotta al comunismo, perseguendo atei o politeisti accusati di aderire
a tale dottrina. Un esempio di questa persecuzione contro i comunisti è la conversione
di numerosi cinesi alle religioni monoteiste per evitare l’oppressione del governo. Il
partito della Rinascita degli Ulama cooperò a questa repressione, garantendosi cosi un
ruolo prioritario tra gli schieramenti Islamici. La dottrina nazionale venne anche
sfruttata per diminuire il ruolo dei movimenti musulmani e per attuare una
depoliticizzazione dell’Islām. La prima mossa in tal senso, venne compiuta con la
creazione ad opera del Orde Baru (Nuovo Ordine) di un partito musulmano, la cui
attività sarebbe stata oggetto di controllo governativo. Questo nuovo raggruppamento

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politico prese prima il nome di Partai Muslim Indonesia (P.M.I.)3. Nel 1973, per
    volere di Suharto, si formarono tre schieramenti: Partai Persatuan Pembangunan
    (PPP) che comprendeva al suo interno tutti i movimenti islamici, Partai Demokrasi
    Indonesia (P.D.I.): un composto eterogeneo costituito da Cristiani, Protestanti e
    nazionalisti; infine il G.O.L.K.A.R. , partito che era appoggiato dal nuovo presidente.
    “Dopo l’eliminazione del PKI e di Sukarno, i partiti politici, soprattutto quelli
    islamici, erano gli unici che potevano opporsi al dominio politico militare dell’Ordine
    Nuovo. E’sotto questa luce, che la semplificazione del sistema partitico del 1973 può
    essere vista come un modo per delimitare l’opposizione politica attraverso la
    precisazione di cosa il Panca Sila sia, in termini di comportamenti e organizzazioni
    politiche consentite e tramite l’utilizzo di tale dottrina come una sua giustificazione e
    spiegazione”4. I NU (Nahdat’ul Ulama), avendo partecipato alla disintegrazione del
    PKI, contavano sulla concessione da parte del governo di privilegi e favoritismi
    politici, che invece furono pochi. Suharto, nonostante la disponibilità che i NU
    avevano cercato di dimostrargli, concepiva questo movimento come un possibile
    avversario politico dal quale difendersi. Temeva un incremento di attivismo
    musulmano verso nuove istanze, che si sarebbero mosse verso la creazione di uno
    Stato Islamico.
        Nel 1978, per assicurarsi un ulteriore controllo sui movimenti musulmani e
    ostacolare la possibilità che questi avessero una presa maggiore nel popolo, venne
    inaugurata una nuova politica chiamata P-4 che era l’abbreviazione di Pedoman
    Penghayatan dan Pengamalan Pancasila, ovvero guida alla comprensione e pratica
    del Panca Sila. Tutto ciò significava la realizzazione di corsi educativi, allo scopo di
    produrre una maggiore autocoscienza della filosofia nazionale, con un conseguente
    depauperamento delle religioni ed ideologie presenti in Indonesia. Tra il 1980 e il
    1982 al P-4 venne affiancato un progetto di “pancasilazione”5: non solo i funzionari
    dovevano seguire gli insegnamenti in materia, ma ciò che causò dissidi e
    disapprovazione fu l’obbligo per ogni associazione e raggruppamento politico di
    aderire formalmente alla dottrina nazionale. Il mancato consenso avrebbe significato
    l’automatica auto-esclusione dalla scena politica e l’illegittimità del gruppo in
    questione. Questa adesione doveva rappresentare il conformarsi dei gruppi al Panca
    Sila, il quale sarebbe diventato la dottrina cardine fondamentale, a cui l’orientamento
    del movimento doveva adeguarsi.
        Questa nuova imposizione scatenò il disdegno di tutte le associazioni, soprattutto
    a carattere islamico. Secondo la loro opinione, l’inserimento di tale filosofia alla base
    delle proprie associazioni aveva come scopo quello di spogliare ulteriormente il loro
    carattere prettamente religioso e per questo motivo si rifiutarono di accettare tale
    costrizione. Tutti i dissidenti vennero politicamente eliminati, in questi anni ci furono
    numerosi moti di protesta che avevano come protagonisti attivisti musulmani e
    cristiani. Nel 1985 il NU cedette nuovamente alla volontà del governo ed aderì al
    Panca Sila e allo stesso tempo liberò gli associati dall’obbligo di votare solo ed

3
  Andrée Feillard, “Les Aulémas indonesien aujourd’hui: de l’opposition à une nouvelle légitimité”,
  Archipel, 46, 1993, pp. 89-110
4
  Douglas E. Ramage, op. cit, p. 30
5
  François Raillan, “Islam et Ordre Nouveau au l’imbroglio de la foi et de la politique”, Archipel, 30,
  1985, pp. 229-261

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unicamente per il PPP. Grazie a questa mossa vi fu un periodo di distensione tra il
    NU e il GOLKAR. Questo clima di tranquillità era stato in un certo modo anticipato
    dall’inizio degli anni ’70. In questi anni era stata approvata una legge che legittimava
    il matrimonio religioso; le materie a carattere sacro erano state affidate al ministro
    dell’educazione e cultura; la corte suprema era stata abilitata a giudicare in cassazione
    secondo la legge islamica; infine vennero emanati dei decreti per facilitare la
    predicazione musulmana, limitando inoltre le opere missionarie cristiane ad opera di
    religiosi stranieri.
        Un altro importante passo di avvicinamento venne compiuto nel 1983 con la
    prima compilazione del diritto islamico indonesiano. Gli Ulama si opposero ad una
    codificazione, in quanto avrebbe significato avventurarsi in un’operazione che
    neanche lo stesso Muhammad aveva intrapreso. Per questo motivo si preferisce il
    termine “compilazione”; questa consisteva in una definizione del diritto islamico, il
    quale doveva essere doppiamente conforme: prima alla sharī‘a e poi, a parità di
    livello, al Panca Sila. Mentre gli Ulama continuavano ad opporsi all’esistenza di un
    diritto tipicamente indonesiano, alcuni giudici progressisti proponevano di esaminare
    i casi che di volta in volta fossero stati oggetto di una sentenza, utilizzando i valori
    presenti nella società indonesiana. Sorgeva cosi un ulteriore quesito, ovvero quello
    relativo a chi dovesse essere considerato sotto la giurisdizione della legge islamica.
    Questa discussione sorse anche in seno al comitato per la formazione
    dell’indipendenza. La frase che è stata più volte oggetto di dibattito è quella che
    afferma “l’obbligo per gli aderenti all’Islām di osservare la legge islamica”,
    nonostante queste dispute ricorrenti, non si è giunti ad una chiara definizione del
    problema. Questo argomento diventerà nuovamente spunto per nuovi dissidi, quando
    nel 1991 il Ministro del Culto annuncerà la proposta per l’approvazione di matrimoni
    interreligiosi. Il progetto verrà poi abbandonato per la sollevazione dei musulmani, i
    quali rifiutavano questa possibilità per paura di un ulteriore depauperamento
    dell’Islām.
        In seguito all’adesione dei NU al Panca Sila Suharno ebbe un doppio
    atteggiamento nei confronti dell’Islām. Da una parte, essendo la religione
    maggioritaria, vi era un apparente appoggio. Questo si esplicava in interventi volti a
    sovvenzionare le scuole islamiche, per esempio, a Java–Est il NU ottiene aiuti per
    creare nuove scuole. Questo supporto economico veniva offerto solo a istituti con
    insegnamenti moderati i progressisti, i quali non minavano la stabilità del Panca Sila,
    e quindi dello stato. Dall’altra parte le scuole che usufruivano delle sovvenzioni,
    erano alle stesso tempo soggette ad un maggiore controllo da parte dello stato. Questo
    aveva cosi la possibilità di intromettersi all’interno della loro organizzazione, ad
    esempio, le nomine degli insegnanti erano vincolate da scelte governative ad opera
    del ministro di culto. Sotto il suo controllo6 (i) avveniva la raccolta della zakat, la
    quale, secondo l’usanza, dovrebbe avvenire ad opera della comunità musulmana; (ii)
    veniva finanziata la costruzione di moschee e scuole; (iii) era regolato ogni aspetto
    del pellegrinaggio. La doppia politica era quindi, quella di mascherare il proprio

6
    Marcel Bonneff, “Récentes ètudes et points de vue sur la mentalité javanaise et le probleme du
    développement national en Indonesie”, Archipel, 12, 1976, pp. 231-248.

                                                                                               10
controllo con delle azioni di sostegno formale, coadiuvate da movimenti di sempre
maggiore propaganda della propria filosofia nazionale.
     Lo Stato e l’Islām erano in continua competizione in diversi ambiti, entrambi
cercavano di penetrare nel campo dell’altro. Vi erano scuole pubbliche, private e
musulmane; da una parte vi erano le leggi dello Stato che regolavano la vita degli
indonesiani e dall’altro vi era il diritto islamico che disciplinava le relazioni tra
musulmani e tra questi e non-musulmani. Infine Suharto cercava di penetrare
nell’animo degli indonesiani attraverso il Panca Sila, ponendolo come dottrina al di
sopra di tutte le religioni. L’Ordine Nuovo si occupava anche del pellegrinaggio verso
La Mecca. Questo non era solo un momento di partecipazione ad uno dei Pilastri
dell’Islām, era anche un momento di aggregazione di musulmani provenienti da tutto
il mondo. Il governo temeva l’Hağğ per le opportunità di dialogo e di raffronto tra
musulmani. Si temeva che la conoscenza di altre realtà potesse rinvigorire le istanze
islamiche e minacciare la precaria situazione di equilibrio in Indonesia. L’influenza
del governo si manifestava attraverso la regolamentazione rivolta verso tutto ciò che
coinvolgeva il pellegrinaggio. Gli aiuti stranieri elargiti da paesi musulmani venivano
filtrati dal governo (era necessario disporre di un’elevata somma di denaro per
adempiere a questo pilastro), i passaporti non erano validi per l’Arabia nei periodi in
cui si svolgeva l’Hağğ. A causa di tutti questi elementi, con l’aggiunta di un attento
controllo sui passaporti, il numero ufficiale di pellegrini diminuì di quasi la metà,
coloro che non riuscivano a partire legalmente erano cosi costretti ad effettuare il
pellegrinaggio come clandestini. Una nuova crescita del numero dei pellegrini si ebbe
dal 1972, durante un periodo di distensione tra le due parti nel quale il governo si era
assicurato la collaborazione degli Ulama.
     Nel 1993, a seguito di un controllo sempre maggiore dello Stato, il NU invitò le
proprie scuole a non accettare l’ingerenza governativa, arrivando addirittura a
convertirle in private e poter cosi sfuggire al controllo del ministro del culto. I
movimenti modernisti che erano aperti ai contatti con l’Occidente preferirono attuare
dei corsi con un indirizzo più generale, i quali, fermo restando l’insegnamento
religioso, avrebbero conferito una maggiore istruzione e preparazione per
un’eventuale futura occupazione di cariche amministrative e politiche.
     Negli anni ’90 ci fu un avvicinamento di Suharto ai musulmani. La dimostrazione
più significativa fu la visita del presidente indonesiano a La Mecca. Altre prove non
meno importanti furono la fine della proibizione del velo indossato dalle ragazze nelle
scuole pubbliche, la creazione di un’organizzazione di intellettuali musulmani (ICMI)
e la ricerca di un’alternativa alla lotteria nazionale, in quanto ai musulmani è vietato
giocare d’azzardo. In questo periodo si assiste ad un’islamizzazione crescente,
attraverso lo sviluppo dell’insegnamento religioso, una più assidua presenza nelle
moschee e soprattutto alla preghiera collettiva del venerdì. Questo periodo di armonia
è frutto di vari compromessi da entrambe le parti. Ad esempio, il governo lanciò un
corso di Panca Sila secondo l’Islām, tramite il BP7: un organismo di diffusione
dell’ideologia nazionale.
     A questo punto è importante effettuare due puntualizzazioni. E’vero che lo stato
non aveva più un carattere ostile verso l’Islām, ma è necessario operare delle
distinzioni. Innanzitutto si deve rilevare che, mentre i gruppi più moderati hanno
goduto in un certo modo della benevolenza del governo, i movimenti di estremismo

                                                                                     11
musulmano sono sempre stati condannati dallo stato. Questi infatti, erano fermi sulle
loro posizioni, auspicavano l’istituzione di uno stato islamico, erano in uno stato
incessante di lotta alla crescente cristianizzazione, criticavano la diffusione
dell’economia di mercato e infine non erano disposti a compromessi o al dialogo.
    La seconda precisazione si attiene ad una differenza intrinseca tra i vari gradi di
adesione all’Islām. Gli abangan, sono una componente sincretica che unisce a questa
fede elementi di animismo e induismo. All’altra estremità troviamo i santri, i quali
aderiscono pienamente alla forma pura dell’Islām, seguono fedelmente i cinque
pilastri e bramano l’entrata in vigore della legge islamica e quindi la costituzione di
uno Stato Islamico. Per questa loro caratteristica estrema costituiscono un pericoloso
fattore disgregante, nonostante il loro numero conta su una ristretta minoranza. Infine,
la stragrande maggioranza dei musulmani non aderisce pienamente alla fede Islamica,
non adempiono le cinque preghiere giornaliere, il digiuno del Ramadan è più o meno
seguito, per le sue origini pre-islamiche. I più elevati livelli di osservanza si colgono
nell’effettuazione della circoncisione, nel matrimonio e nei riti legati alla morte. La
ragione della preponderanza di questa categoria di musulmani, va ricercata nella
scarsa, se non inesistente conoscenze dell’arabo, elemento essenziale per la lettura del
Corano e poter cosi recitare le cinque preghiere giornaliere.
Il governo di Suharto si concluse con le sue dimissioni, causate dall’aggravamento
della crisi di Timor-est e iniziò un periodo di crisi politica indonesiana appesantita
ulteriormente dal nuovo presidente Bacharudin Jusuf Habibie. La carriera del nuovo
capo indonesiano fu molto breve, in quanto venne accusato di appropriazione di fondi
pubblici e perciò precocemente destituito. Tuttavia, prima della sua estromissione al
potere, questi permise al popolo di scegliere il suo futuro tramite referendum e
dichiarò che il governo avrebbe accettato qualunque responso, ma i militari non
concordavano con questa dichiarazione del presidente e lo dimostrarono ampiamente.
Le forze armate non volevano assolutamente concedere l’indipendenza a Timor.est,
non perché esso fosse ricco, non perché fosse un importante punto geostrategico, ma
semplicemente per la paura delle ripercussioni che una simile concessione avrebbe
avuto sul futuro assetto indonesiano e sull’autorità che poteva essere messa in
discussione da altri gruppi minoritari, i quali, seguendo l’esempio di questo piccolo
lembo di terra, avrebbero potuto avanzare ulteriori istanze separatistiche. Nel 1999 si
tenne il referendum e nonostante i militari spaventarono e minacciarono la
popolazione, l’80% di essi votò per l’indipendenza; a questo punto, non poterono
certo accettare la sconfitta segnata dal referendum e ripresero le loro opere
terroristiche, facendo in modo cosi di eliminare e far fuggire tutti coloro che erano
legati al settore dei mass media, per poter compiere le loro angherie sulla minoranza
di Timor Est e non essere controllati o meglio spiati dall’occhio indiscreto dei
giornalisti. Il governo di Jakarta attuò una minima resistenza ai massacri che
avvenivano in questa zona dello Stato, questi continuarono fino a quando non
vennero accettati gli aiuti da parte dell’ONU tramite un contingente di pace. Con
l’arrivo dell’ONU iniziò a formarsi una collaborazione tra quest’ultimo e il Consiglio
Nazionale della Resistenza di Timor, “fino a diventare una sorta di governo

                                                                                      12
provvisorio.”7 La salita al potere di un presidente Islamico causò numerose
    aspettative da parte dei musulmani i quali auspicavano una maggiore presenza della
    propria fede all’interno delle istituzioni e della vita politica del paese, tuttavia Habibie
    decise di continuare lungo il sentiero precedentemente percorso da Suharto, ossia
    quello di mantenere l’equilibrio religioso, compiacendo i militari e garantendosi così
    il loro prezioso appoggio. La sua figura si affacciava al panorama indonesiano in un
    momento particolarmente difficile per il paese, il quale stava manifestando problemi
    di ordine pubblico, altri relativi alla crisi economica, al processo di transizione e
    assestamento democratico, non da ultimo infine le lacune di legittimità del suo
    mandato. Per tutti questi motivi la politica di questo presidente sarà caratterizzata da
    dei tentativi di bilanciamento tra le varie voci degli attori politici, interni ed esterni: le
    sue scelte dovevano essere sempre ben ponderate da una logica di giochi di potere. La
    lobby musulmana doveva essere accontentata in quanto poteva costituire la base del
    suo potere, ma questa da sola non sarebbe bastata, soprattutto per la questione dei
    finanziamenti da parte del FMI (Fondo Monetario Internazionale) e quindi
    dell’occidente, per la ripresa economica. Allo stesso tempo però non poteva neanche
    concedersi la possibilità di avere un atteggiamento troppo filoamericano, in quanto
    aveva comunque bisogno dell’amicizia di paesi musulmani come ad esempio l’Arabia
    Saudita, questa sua esigenza è testimoniata dalle pacate risposte dell’Indonesia
    durante i bombardamenti americani del 1998 in Afghanistan, in Sudan e in Iraq, il
    paese all’epoca si tenne infatti a distanza da eventuali critiche o prese di posizione per
    gli accaduti. 8
         Nel 1999 si svolsero nuove elezioni e salì al potere un islamico moderato
    Abdurrahman Wahid; il nuovo Presidente era un musulmano e nonostante ciò era un
    sostenitore del Panca Sila: “Senza il Panca Sila, noi cesseremo di essere uno stato. Il
    Panca Sila è l’insieme dei nostri principi e vivrà per sempre. E’ l’idea dello stato che
    ognuno di noi dovrebbe avere, un’idea per la quale lottare. E io difenderò questo
    Panca Sila con la mia stessa vita. E sarò incurante di quale gruppo cercherà di
    abusarne, sia che siano le forze armate ad apporre delle censure o se saranno i
    musulmani a manipolarne i contenuti”9; questo nuovo capo sembrava cosi incarnare
    lo spirito dei compromessi fino ad allora raggiunti tra i musulmani e il governo.
    Queste tornate politiche furono caratterizzate da un incremento di partiti politici
    partecipanti alla lotta elettorale con matrice islamica, ossia raggruppamenti che si
    dichiaravano musulmani o che erano sorretti dalla comunità di tale religione; allo
    scopo di distinguere queste due formazioni politiche sarà conveniente utilizzare le
    due diverse terminologie di gruppi islamici formali e informali10. Con il primo
    concetto si intende un partito politico che si richiama espressamente alla religione di
    Maometto e che quindi accoglie all’interno della sua specificità partitica l’identità
    musulmana, i due maggiori esponenti di questa categoria sono il PPP (Partai
    Persatuan Pembangunan)11 e PBB (Perserikatan Bangsa-Bangsa)12. Alla seconda

7
  Elisa Querci, Timor Est: nascita di un nuovo stato, in Crescita Economica e Tensioni Politiche in Asia
   all’Alba del Nuovo Millennio, Il Mulino, Asia Major, 2000, p. 192
8
  Sukma Rizal, Islam in Indonesian Foreign Policy, London, RoutledgeCurzon, 2003, pp. 84-90
9
  Douglas E. Ramage , op. cit. , p. 45
10
   Sukma Rizal, op. cit. p. 95
11
   PPP - Partai Persatuan Pembangunan: United Development Party

                                                                                                     13
categoria appartengono invece i partiti PKB (Partai Kebangkitan Bangsa)13 e PAN
     (Partai Amanat Nasional)14: questo tipo di formazioni preferisce mostrarsi nello
     scenario politico come portatore di una mentalità aperta alla collaborazione partitica,
     e privilegia la leva del pluralismo religioso piuttosto che quella dell’Islam; resta
     comunque di fatto che attingano anch’essi dalla base musulmana, ma a differenza
     della prima categoria evitano di fare diretto riferimento alla religione coranica nel
     loro programma politico. Questa scelta venne premiata nelle elezioni del 1999, in cui
     furono proprio questi due partiti, ad aggiudicarsi la maggioranza di seggi tra le
     formazioni religiose: come partiti islamici informali hanno un range maggiore di
     possibilità di cooperazione, possono infatti ricorrere alla matrice comune culturale e
     accordarsi con gli altri partiti formali, oppure possono anche scegliere la strada della
     collaborazione col le altre formazioni secolari; è stato proprio grazie a questa
     flessibilità che PKB e PAN sono riusciti insieme ad aggiudicarsi una porzione di
     seggi superiore a quella degli altri partiti a formazione islamica PPP e PBB.15

                     Partito                       percentuale             tipologia            seggi
                     PDI-P16                       33,7                    Nazionalista-        154
                                                                           secolare
                     GOLKAR                        22,4                    laico                120
                     PPP                           10,7                    Islamico             59
                                                                           formale
                     PKB                           12,6                    Islamico             51
                                                                           informale
                     PAN                           7,1                     Islamico             35
                                                                           informale
                     PBB                           2                       Islamico             13
                                                                           formale
     Figura 1 – Distribuzione seggi in Indonesia nelle elezioni del 1999

     Un’altra variabile da interpellare è la forte presa dei due partiti informali sulla
     popolazione indonesiana: entrambi sono infatti sostenuti dalle due maggiori
     organizzazioni musulmane, ossia Muhammadiyah e NU, rispettivamente sostenitori
     di PAN e PKB.17 Nonostante dal punto di vista della distribuzione dei seggi le
     elezioni del 1999 decretino la disfatta dei partiti a caratterizzazione religiosa,
     osservando l’andamento della scelta presidenziale le due tuttavia parti si
     riequilibrano. Il neo presidente, chiamato anche Gus Dur, esprimeva al meglio un
     punto d’incontro tra l’asse secolare e quello prettamente religioso, si costituiva in
     questo modo un nuovo centro politico che racchiudeva in se alcuni partiti a base

12
   PBB - Perserikatan Bangsa-Bangsa -
13
   PKB - Partai Kebangkitan Bangsa: National Awakening Party
14
   PAN - Partai Amanat Nasional: National Mandate Party
15
   Sukma Rizal, op. cit. p. 96
16
   PDI-P - Partai Demokrasi Indonesia Perjuangan: Indonesian Democratic Party-Struggle
17
   Sukma Rizal, op. cit. p. 97

                                                                                           14
islamica con orientamento modernista: l’Asse Centrale.18 La sua figura acquista
     ancora più importanza per quelli che saranno i risvolti della sua presidenza:
     musulmano moderato, presidente del NU e depositario convinto nella causa
     democratica porterà l’Indonesia alla fase di transizione democratica. Nel 1999 si
     tennero le prime elezioni libere (dopo la lunga parentesi del governo di Suharto a
     partire dal 1955), primo passo necessario per la democratizzazione del paese;
     purtroppo il suo mandato si distinguerà anche per un esercizio fallace del potere in
     senso personale, relegando in un angolo la figura del vicepresidente Megawati
     Sukarnoputri e conferendole solo un ruolo puramente accessorio. 19 Concentrandosi
     però sulle prerogative positive del suo governo, si noterà che la politica estera
     espressa da Gus Dur era soprattutto incentrata su due punti fondamentali:
     l’equidistanza e l’equilibrio nelle relazioni internazionali; si voleva in questo modo
     assicurare il non allineamento dell’Indonesia e la sua indipendenza,20 senza però per
     questo ledere la sua sfera d’azione, che non restava dunque legata a priori ad una
     scelta tra Occidente, Asia e Islam. Esplicitando la sua politica, Wahid iniziò ad
     avvicinarsi ad Israele,21 grande alleato degli USA, contando sull’eventualità di usare
     questo legame per un ulteriore rafforzamento del legame con gli statunitensi;
     dall’altra parte però si proponeva la contributo economica con l’Asia, affermando
     l’importanza che assumeva per il continente una simile politica ad ampiezza
     regionale. Tra i suoi obiettivi immediati vi erano i maggiori paesi asiatici, quindi
     Cina, Giappone e India, per raggiungere questo obiettivo si prodigò
     nell’organizzazione di meeting, visite ufficiali e conferenze stampa, lanciando
     messaggi a questi paesi. Infine, sempre allo scopo di onorare la sua politica di
     equidistanza e buone relazioni con tutti i paesi, il presidente si rivolse anche ai paesi
     del Medio Oriente, prestando però notevole attenzione alla formulazione dei principi
     di collaborazione, ossia non facendo mai riferimento esplicito alla comunanza
     religiosa che li legava.22 Questo limite è lo stesso che sempre si è riproposto e tuttora
     si ripropone nell’esplicazione e nello sviluppo dell’indirizzo della politica estera. Il
     fattore islamico, dato il suo radicamento nella popolazione indonesiana, costituisce
     una variabile che deve essere sempre tenuta in considerazione per l’attuazione delle
     linee politiche: a partire da Sukarno, tutti i presidenti hanno sempre dovuto tenerla
     presente nei loro calcoli politici ed è per questo che si è arrivati all’attuazione del
     principio precedentemente nominato della indipendenza e attività (debas-aktif):
     principio che risolve il problema della duplicità degli interessi del paese, ossia
     rispetto della identità islamica e della laicità dello stato, fusi insieme per riuscire a
     perseguire gli interessi di politica estera. Nel 2001 in presidente Wahid sarà sostituito
     dal leader nazionalista Megawati Sukarnoputri, tuttavia Gus Dur sarà ricordato come
     il primo ad aver battuto la strada della transizione democratica in Indonesia,

18
   Ivi, p. 99
19
   Bertrand Romain, “Indonésie: les défis du nouveau président”, Politique Internationale, n°106, hiver
   2004-2005, pp.391-417
20
   Indipendenza dal punto di vista economico, in quanto l’Indonesia si sentiva troppo legata all’appoggio
   del FMI, pertanto era necessario trovare nuovi investitori e nuovi appoggi sullo scenario internazionale
21
   Yegar Moshe, “The Republic of Indonesia and Israel”, Israel Affairs, vol.12, n°1, January 2006, pp.
   136-158
22
   Sukma Rizal, op. cit. pp. 99-105

                                                                                                       15
riuscendo a fondere la duplice identità del suo paese tramite il saggio bilanciamento
     degli interessi nazionali, scindendo la sua posizione ufficiale di leader del NU in
     favore della democratizzazione del paese: “leading proponent of secular democracy
     in Indonesia whose views are often more nationalist than they are explicity Islamic,
     Wahid strongly envisages the creation of a civil democratic society in Indonesia
     where all citizens enjoy equal rights regardless of their religious, race, and other
     origins, Wahid contends that democracy in multicultural and multi-religious society
     such as Indonesia, […] can only flourish in an environment of religious harmony and
     tolerance.”23
          La salita al potere di Megawati fu orchestrata dallo stesso movimento politico che
     aveva portato in auge Wahid, ossia l’Asse Centrale: secondo l’accordo la
     neopresidente avrebbe dovuto sostenere la candidatura di un Vice-Presidente
     islamico, ossia Hamzah Haz del PPP; questa intesa rappresentava la nuova situazione
     che si stava formando in Indonesia, il leader nazionalista accordava il suo favore ad
     un esponente musulmano in quanto la preponderanza nella scena politica di questa
     religione stava crescendo sempre più. Si formava così l’era del matrimonio di
     interesse tra nazionalismo e islamismo: la presidenza di Sukarnoputri sarà ancor più
     caratterizzata dall’impronta dell’Islam e delle sue tematiche, come la nuova richiesta
     di integrazione della Carta di Jakarta del nella Costituzione Indonesiana del 1945.
     Questa rivendicazione procurò notevoli scosse al potere di Megawati, la quale aveva
     all’interno del suo governo ben due partiti islamici: il PPP e PBB, entrambi
     sostenevano tenacemente l’applicazione della suddetta carta, la quale avrebbe
     significato la sottomissione di tutti i musulmani alla sharia, ossia la legge islamica,
     tuttavia questa posizione non era comune agli altri partiti religiosi, come ad esempio
     il PAN, che mirava piuttosto ad una politica reale e non dipinta di simboli. Secondo
     questo partito l’inclusione della Carta di Jakarta non era infatti necessario, e preferiva
     anzi lasciare ai musulmani la possibilità di autoregolarsi scegliendo liberamente se
     sottostare o meno a tale legge; un simile atteggiamento era stata adottatao da altri
     partiti laici come il Golkar, PDI-P (il partito del presidente) e PKB, i quali
     ostacolavano maggiormente tale proposta. La vera sorpresa arrivò dalle due maggiori
     organizzazioni musulmane: ad ulteriore dimostrazione della tolleranza e apertura
     democratica dell’islam indonesiano, sia NU che Muhammadiyah si opposero
     all’imposizione della sharia sui musulmani. Per quanto riguarda la politica estera,
     anche il suo governo si basò sulla elaborazione di una rete diplomatica, a differenza
     del suo predecessore però Sukarnoputri prediligerà intessere legami regionali nel
     Sudest asiatico, con l’Asia Orientale e con paesi del Sud Pacifico. Tuttavia, a
     differenza dei governi precedenti sia i rapporti coi paesi arabi-islamici, sia quelli con
     il Medio Oriente saranno tralasciati in favore di una più stretta collaborazione con

23
     Traduzione: “guida della democrazia secolare in Indonesia, le quali visioni sono più nazionaliste che
     esplicitamente islamiche, Wahid sostiene fortemente la creazione di una società civile democratica in
     Indonesia dove tutti i cittadini possano condividere pari diritti rispetto alla loro religione, razza e altre
     origini, Wahid asserisce che la democrazia in una società multiculturale e multireligiosa come
     l’Indonesia,[…] possa fiorire in un ambiente di armonia e tolleranza religiosa” vedi Sukma Rizal, op.
     cit. pp. 118-119

                                                                                                              16
USA, FMI e la Banca Mondiale, soluzione necessaria per controbilanciare l’appoggio
     economico fornito dai primi e compensato dai secondi.
          Le ultime elezioni svolte in Indonesia risalgono al 2004, in questa occasione si
     utilizzò un nuovo sistema elettorale di nomina semi-diretta (atto a sostituire il
     precedente metodo indiretto), sia per i membri dei corpi legislativi che per il
     presidente e il suo vice. L’elettorato attivo aveva così a disposizione una lista aperta a
     sistema proporzionale per il potere legislativo, il voto singolo non trasferibile per il
     Concilio dei Rappresentanti Regionali, Dewan Perwakilan Daerah (DPD), infine il
     sistema a doppio turno maggioritario per l’elezione del Presidente.24 Sarà il generale
     Susilo Bambang Yudhoyono (SBY), a salire al potere come presidente, il suo
     programma politico era totalmente incentrato nell’imprimere una decisa svolta
     democratica al paese, per cui era precipuo attuare i seguenti cinque punti prioritari: i.
     lotta alla corruzione tramite un movimento nazionale guidato dalla leadership
     nazionale; ii. attuare fermamente lo stato di diritto; iii. investire nello sviluppo delle
     risorse umane per il futuro; iv. adottare politiche economiche razionali miranti ad una
     crescita per creare migliori occupazioni per la maggior parte del popolo; v.
     consolidare il processo democratico.25 L’elezione di Susilo Bambang può apparire
     inusuale all’occhio occidentale, normalmente le preferenze parlamentari
     rappresentano e si riflettono nella scelta del Presidente dello Stato,26 in Indonesia
     invece la comunanza dello stesso colore partitico non si manifesta, si era già
     verificato con le elezioni di Wahid, ed ora si è ripresentato nel 2004. Controllando le
     due tabelle (fig.2 - fig.3) è possibile rilevare le differenze di risultati ottenuti nelle
     votazioni a livello legislativo nazionale e quelle a livello presidenziale. Il partito del
     Golkar continua a dominare nelle elezioni legislative come in passato, la sua forza
     però viene ancora una volta oscurata nelle presidenziali, dove sarà il partito
     democratico Partai Demokrat (PD) di Susilo a primeggiare. Una spiegazione a questa
     tendenza è da ritrovare nella diversa tempistica dello svolgimento delle votazioni: il
     popolo cerca di equilibrare le scelte legislative con quelle presidenziali; inoltre il
     sistema a doppio turno concede un ribilanciamento delle scelte facendo convergere
     quindi in soli due candidati le possibili opzioni. La presidenza dei SBY, per evitare la
     ripetizione di concetti verrà approfondita meglio nel paragrafo dedicato alla
     democratizzazione, in questa sede verranno semplicemente forniti degli spunti per
     l’analisi successiva, offerti da uno dei più attenti osservatori dello scenario politico,
     sociale e difensivo dell’Indonesia: Harry Tjan Silalahi.27 Il nuovo sistema elettorale
     grazie al suo metodo semidiretto permette al popolo di iniziare a familiarizzare coi
     candidati, supportando così un primo nucleo di accountability e responsiveness ossia
     quel rapporto che si instaura tra elettorato attivo e passivo, per mezzo del quale quei
     rappresentanti capaci di rispondere positivamente alle aspettative del popolo votante

24
    Legowo, T.A., “The 2004 General Elections”, The Indonesian Quarterly, vol. XXXII n°3, third
   quarter, 2004, pp. 232-234
25
   Soesastro Hadi, “ASEAN Economic Community: Ideas, Significance and Feasibility”, The Indonesian
   Quarterly, vol. XXXI n°3, third quarter, 2003, pp. 321-328
26
   Mi riferisco ai sistemi presidenziali, nei quali il partito maggioritario è anche il partito del Presidente
27
   Harry Tjan Silalahi: è uno dei membri fondatori di “Centre for Strategic and International Studies”
   (CSIS), già negli anni 50’ ha contribuito nell’elaborazione di politiche interne, anche tramite la
   produzione di numerosi articoli in riviste, pubblicazioni e libri

                                                                                                          17
saranno premiati con una rielezione nelle successive votazioni, viceversa accadrà
      invece per coloro i quali non rispetteranno i punti del programma per il quale sono
      stati eletti; secondo Silalahi dunque l’Indonesia sta compiendo numerosi passi verso
      la democratizzazione, sarà però precipuo per i governanti mostrare la volontà di
      attuare effettivamente dei cambiamenti, come una ulteriore crescita della
      partecipazione popolare della società civile, uno sviluppo dell’imparzialità dello stato
      di diritto e maggiore accountability delle istituzioni rappresentative.28

                                                        Primo Turno                    Secondo Turno
      Candidati            Partiti                    Voti          %                   Voti     %

        Susilo
       Bambang         Democratic Party            36,051,236              33.58      67,196,112       60.9
      Yudhoyono

       Megawati      Indonesian Democratic
                                                   28,171,063              26.24      43,198,851       39.1
      Sukarnoputri       Party-Struggle

        Wiranto             Golkar                 23,811,028              22.18         -             -

      Amien Rais     National Mandate Party         16,035,565             14.94          -            -

                      United Development
      Hamzah Haz                                    3,275,011               3.06          -            -
                             Party

         Totale           106,228,247                 100.0             110,394,163           100.0

Figura 2: Risultati delle elezioni politiche presidenziali del 2004 in Indonesia29

 28
    Silalahi Harry Tjan, “Towards a new Political Environment”, The Indonesian Quarterly, vol. XXXII
    n°3, third quarter, 2004, pp. 235-236
 29
    Fonte: KPU http://www.kpu.go.id/

                                                                                                      18
Partiti                                                          Voti      %     Seggi

Golkar (Partai Golongan Karya)                                 24,480,757 21.6   128

 Indonesian Democratic Party-Struggle (Partai Demokrasi
                                                               21,025,991 18.5   109
Indonesia Perjuangan)

National Awakening Party (Partai Kebangkitan Bangsa)           11,994,877 10.6    52

United Development Party (Partai Persatuan Pembangunan)        9,248,265   8.1    58

Democratic Party (Partai Demokrat)                             8,455,213   7.5    57

Prosperous Justice Party (Partai Keadilan Sejahtera)           8,324,909   7.3    45

National Mandate Party (Partai Amanat Nasional)                7,302,787   6.4    52

Crescent Star Party (Partai Bulan Bintang)                     2,970,320   2.6    11

Reform Star Party (Partai Bintang Reformasi)                   2,763,853   2.4    13

Prosperous Peace Party (Partai Damai Sejahtera)                2,425,201   2.1    12

Concern for the Nation Functional Party (Partai Karya Peduli
                                                               2,398,117   2.1    2
Bangsa)

 Justice and Unity Party (Partai Keadilan dan Persatuan din
                                                               1,423,427   1.2    1
Indonesia)

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