L'Islam Moderato Insulindiano e il Dialogo con l'Occidente - Conoscere
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Università degli Studi di Cagliari Facoltà di Scienze Politiche Corso di Laurea Specialistica in Relazioni Internazionali (Classe 60/S) L'Islam Moderato Insulindiano e il Dialogo con l'Occidente Relatore Tesi di: Prof.ssa Annamaria Baldussi Trudu Ilaria Anno Accademico 2006/2007
Indice 1. Introduzione……………….………………………………………….. p. 4 2. Il lungo cammino verso la democrazia………………………. p. 6 2.1 Excursus storico: avvicendamenti al potere in Insulindia….…… p. 6 2.1.2 Indonesia 2.1.3 Malaysia…………………………………………….………... p. 21 2.2 Islam e Politica…………………………………………………… p. 28 2.2.1 Pancasila 2.2.2 NU e Muhammadiyah…………………………………………. p. 31 2.2.3 Movimenti Dakwah (PAS, Darul Arqam, ABIM)………………….. p. 31 2.3 Il Processo di Democratizzazione………………………….……….. p. 34 3. Dialogo con l’Occidente………………….………………….….… p. 46 3.1.Cooperazione Internazionale………………………………….…. p. 46 3.1.1 Relazioni USA – Indonesia – Malaysia fino 11/9/2001….………….. p. 47 3.1.2 UE – ASEAN: esempio di cooperazione Sudest Asiatico-Occidente….. p. 55 3.1.3 ONU, ONG e Diritti Umani……………………………………… p. 57 3.2 11/9/2001 Una Nuova Sfida: Insieme contro il terrorismo….…. p. 63 3.3 Dialogo interreligioso…………….……………………………… p. 66 4. Conclusioni …………………………………………………………… p. 70 5. Bibliografia……………………………………………………………. P. 72
1.Introduzione Al giorno d’oggi ascoltando un telegiornale, un dibattito o leggendo qualsiasi quotidiano, ci si rende conto che una nuova parola è entrata ormai nel nostro dizionario quotidiano: “Islam”; purtroppo i fatti di cronaca legati a questo termine sono sempre caratterizzati da una connotazione negativa, e soprattutto dopo 11 settembre 2001 sono macchiati di rosso. Ma cos’è l’Islam? L’Islam è fede (dín), ma non solo, è anche stato, mondo (dunya) ed è diritto (dawla), questa religione trascende i confini occidentali che sono stati delimitati nel nostro passato con la frattura tra lo Stato Temporale e quello Secolare; per i musulmani l’Islam è il loro mondo che tutto comprende, la vita dei suoi seguaci è continuamente pervasa da aspetti religiosi, o per lo meno così era in passato, perché non esiste attualmente l’identità: Stato Islamico che applica la legge islamica (sharia) e che come capo abbia un’autorità religiosa. A partire dall’epoca di Maometto e per poche generazioni, la società musulmana conobbe e sperimentò tale identità, dove il capo religioso era allo stesso tempo, capo della comunità (umma), ossia colui che, illuminato da Allah, ne rappresentava il vicario (kalifa) in terra e come tale insegnava la legge divina alla sua unione di credenti. Questa triade costituisce la base per capire i popoli musulmani, i quali seppur messi in ombra da una minoranza di fanatici, costituiscono la vera realtà islamica. Nello studio che mi accingo a presentare, mi propongo di confutare la teoria secondo la quale non esista un Islam moderato e di conseguenza non esista concretamente la possibilità di un dialogo con esso. Al fine di servire questo scopo, ho preferito utilizzare fonti provenienti soprattutto dal mondo non-occidentale, nel tentativo di fornire una visione distaccata dalla mia cultura e di spogliarmi il più possibile da concetti e punti di vista propri dell’Occidente. Troppo spesso la civiltà islamica è stata oscurata dalla bandiera del terrorismo, purtroppo “pochi” sono riusciti con atti eclatanti a distruggere la reputazione di “tanti”, i quali a loro volta inorridiscono di fronte ad attentati alla vita umana. Soprattutto in seguito all’attentato dell’undici settembre si è sviluppata una tendenza, interna ai paesi occidentali, volta a demonizzare la religione Islamica, insieme a tutti i suoi fedeli, e volta a creare uno stereotipo del musulmano con pensieri e atteggiamenti, anti-sionisti, anti-americani, ergo, anti-occidentali. Ho deciso di prendere in esame due paesi del cosiddetto “Islam periferico”, da una prima analisi superficiale potrebbero anche sembrare erroneamente simili: sono infatti entrambi costituiti da una popolazione a maggioranza musulmana, con un comune background storico-culturale, inoltre appartengono entrambi al contesto dell’Asia Sudorientale; tuttavia l’elemento che li contraddistingue è fornito dai diversi risultati raggiunti in seguito alla loro indipendenza. L’Indonesia, per esempio, non ha sviluppato uno stato Islamico propriamente detto, ossia con l’elevazione della sharia a legge suprema, questo a causa dell’elevato tasso di multi-culturalismo all’interno dei suoi territori: durante la sua indipendenza ha dovuto affrontare continue sfide alla 4
su integrità territoriale, che era costantemente minacciata da movimenti separatisti che pervadevano tutto l’arcipelago, in un simile contesto non era certamente possibile istituire uno Stato musulmano. La Malaysia, invece è un ibrido di Stato Islamico, anche in questo caso la popolazione si suddivide in diverse categorie, ma da un punto di vista linguistico: accanto ai malesi doc, coesistono anche elementi cinesi ed indiani, i loro conflitti si sviluppano quindi su un livello “etnico” piuttosto che religioso, come accade in Indonesia. Un altro elemento che li distingue sono i diversi sistemi democratici, mentre il primo ha un tasso superiore, l’altro è ancora nella via della transizione democratica. La scelta di questi due stati potrebbe apparire inopportuna, proprio per la loro distanza dalla Terra Santa e dall’origine della fede Islamica, ma ho preferito scegliere la regione Insulindiana proprio per la realtà multiculturale che la contraddistingue, per la tolleranza e apertura mentale che fin dagli albori dei primi traffici marittimi non le ha mai impedito di intrecciare legami sia commerciali che intellettuali con altri popoli. Nonostante la sua distanza dalla “culla dell’Islam”, la fede in questi territori ha tuttavia mantenuto i caratteri essenziali che contraddistinguono il messaggio islamico originale, che, a discapito dell’opinione comune, si pregia di virtù quali tolleranza, universalità, versatilità, ma non solo, accanto a questi principi (che anche lo stesso Occidente concepisce come “propri”) vi è il germe della democrazia: la comunità musulmana originaria, nell’esplicare le sue decisioni, ha sempre ricorso ad un’assemblea dei saggi, i quali decidevano a rigor di maggioranza. Al fine di provare la mia tesi, procederò prima con un breve excursus storico sugli avvicendamenti al potere nei due stati, ponendo l’accento, di volta in volta, sul legame tra politica-religione e sulle modalità alle quali i movimenti islamici dei due paesi, ricorrono di volta in volta per influenzare o meno le scelte de rispettivi governi; successivamente analizzerò le transizioni democratiche insite all’interno dell’ambiente istituzionale e politico insulindiano, con le relative riforme e analizzando di volta in volta i limiti che ancora devono superare. Questo passaggio è necessario per due ragioni: innanzi tutto con l’intento di appurare che l’Islam non è incompatibile con il modello democratico, e consecutivamente per poter instaurare un dialogo proficuo con l’occidente è necessario avere al proprio interno qualche forma democratica. Una volta analizzato l’aspetto democratico proprio della Malaysia e dell’Indonesia mi concentrerò sulle modalità con le quali questi due Stati hanno raggiunto un dialogo con l’Occidente, prima come “individui” con il colosso statunitense, poi come regione asiatica rapportata all’Unione Europea e da ultimo come contesto globale nell’ambito dei diritti umani e i rapporti con l’ONU. Gli ultimi due paragrafi saranno dedicati agli sforzi compiuti da questi due paesi musulmani, per affrancarsi dalla bandiera che è caduta sul mondo musulmano, in seguito al tragico attentato al World Trade Center e infine sul dialogo continuo con le altre religioni per cooperare allo sviluppo della tanto agognata, quanto sognata, pace mondiale. 5
2. Il lungo cammino verso la democrazia 2.1 Excursus storico: avvicendamenti al potere in Insulindia 2.1.1 Indonesia Il variopinto panorama religioso presente in Indonesia è da considerarsi unico nel suo genere e nella sua natura: all’interno di questo stato a maggioranza musulmana, ovvero esattamente il 90% della popolazione, trovano posto altre religioni minoritarie come il Cristianesimo nelle sue versioni protestante che rappresenta il 6% (soprattutto nelle province di Irian Jaya e nella zona settentrionale di Sulawesi) e cattolica 3% (a Timor-Est, nella zona orientale di Nusa Tenggara, nelle Isole Flores e nelle Molucche) l’Induismo (Bali), il Buddismo (Borneo Occidentale) e infine una minima parte si reputa animista o segue pratiche sincretiche (soprattutto Giava) delle religioni precedentemente nominate. Questo cocktail di culti è tenuto insieme dal pilastro del Panca Sila, ossia una sorta di dottrina che venne creata dal primo presidente dell’Indonesia Sukarno al fine di mantenere la libertà di religione, dando piena legittimità di esistenza a ciascuna fede e fornendo anche il substrato che avrebbe funto da collagene per preservare l’unità nella diversità che è propria di questo Stato, nonché il suo motto: “Binneka Tunggal Ika”. Sin dalla nascita dello Stato Indonesiano la sua politica, proprio per la sua società multiculturale, è sempre stata intrisa di connotati religiosi, con organizzazioni che ne rappresentassero gli interessi; due erano e tuttora sono i maggiori i contenitori degli aspetti musulmani: il partito Madjelis Sjuro Muslim Indonesia (più comunemente noto come Masjumi) e successivamente Nahda’ul Ulama (NU)1, che significa Rinascita Ulama. I due schieramenti si distinguono per l’orientamento più tradizionalista del secondo rispetto al primo, Madjelis si distingue più per una tendenza modernista, da una parte premeva per la costituzione di uno stato musulmano, ma dall’altra era aperto alla collaborazione con l’occidente, pur aborrendo la posizione amichevole di Sukarno coi comunisti. Sukarno ai primi albori della sua instaurazione al potere ha dovuto affrontare immediatamente, il problema della multireligiosità; davanti a lui si ponevano due strade: quella di dare piena forma al nuovo stato sotto la bandiera dell’Islam oppure garantire la sopravvivenza dei vari 1 Nahda’ul Ulama: Il partito sorse per la prima volta nel 1926 dalla scissione di un altro partito: Sarekat Islam, successivamente verrà inglobato all’interno del Partito Masjumi e nel 1952 acquisterà nuovamente vita propria separandosi da quest’ultimo raggruppamento polico-religioso. 6
culti professati all’interno del paese preferendo l’instaurazione di uno Stato laico. La frammentazione arcipelagica propria del territorio richiedeva prima di tutto: unità e centralizzazione governativa, l’istituzione di uno stato musulmano avrebbe significato invece creare disordini all’interno della nuova entità statuaria, la quale era già abbastanza provata dalla autoproclamazione di indipendenza della Repubblica delle Molucche del Sud, in opposizione all’Indonesia; questa rivolta scaturì all’indomani della creazione del nuovo stato e non a caso ebbe come focolaio Ambon, una città a predominanza cristiana. Queste ribellioni necessitarono una forte contromisura da parte governo, che rispose appunto tramite una accentuazione del potere centrale e tramite la soluzione del dilemma tra l’istituzione di uno stato laico, o uno prettamente islamico, ed ecco porsi di fronte al nuovo presidente una terza via: le due correnti si accordarono, giungendo al compromesso rappresentato dall’istituzione del Panca Sila come ideologia nazionale. L’origine etimologica di questa parola è da cercare nella lingua sanscrita e significa “cinque principi”; essa è, infatti, composta da cinque concetti2. L’importanza di quest'istituzione è tale da essere stata forgiata allo scopo di creare un trait d’union tra le differenze culturali ed elevarle a nota caratteristica del paese, nonché base per una convivenza pacifica per i cittadini indonesiani professanti qualsiasi religione purché questa fosse monoteistica. Facendo un piccolo passo indietro, descriverò la situazione politica antecedente alla costituzione dello stato, per poi ricollegarmi a Sukarno. Ancor prima della Dichiarazione di Indipendenza Indonesiana iniziavano già a sorgere i primi partiti o movimenti di diverso indirizzo politico. I primi erano uno di corrente nazionalistica e l’altro islamico. La prima associazione: la Muhammaddyya, venne fondata nel 1906. La seconda, il Sarekat Islām venne costituita nel 1911. Entrambi i due movimenti associazionistici nacquero a Giava., ma il Sarekat Islām mise radici anche a Sumatra. L’impulso della sua creazione deve essere letto come risposta all’opera di cristianizzazione che il quel periodo si stava verificando nelle deu isole. Inizialmente il Sarekat Islām fu un’associazione di mercanti che si univano contro i cinesi, solo successivamente assunse un carattere politico e questo avvenne in concomitanza all’assorbimento e al successivo distacco di frange comuniste, le quali separandosi diedero vita al Perserikatan Komunist Indonesia (P.K.I.), il partito comunista indonesiano. Nel 1927 nacque Perserikatan Nasional Indonesia, un altro partito di corrente nazionalistica, i cui leader furono il futuro primo presidente indonesiano Sukarno e il suo vicepresidente Mohammed Hatta. Tra questi partiti, un ruolo predominante verrà assunto dal P.N.I. Nel 1923 il P.K.I. a seguito di un’insurrezione fallita a Giava venne dichiarato illegale e quando venne dichiarata l’Indipendenza i leader nazionalisti assunsero i due ruoli più importanti nel neonato stato. Sukarno si servì dei comunisti per contrastare la potenza delle idee islamiche, questo, al contrario del suo successore era un ammiratore della Cina Comunista. Questa sua approvazione per le idee comuniste gli causò il dissenso del partito Madjelis Sjuro Muslimin Indonesia, o più comunemente noto come Masjumi, questo era un raggruppamento di tutte le associazioni islamiche, nonché forza preponderante nei primi due governi della storia dello Stato indonesiano. 2 http://home.swipnet.se/zabonk/indons/instant/politics.htm 7
In seguito alla dissoluzione del governo coloniale olandese e alla successiva dimissione di tutte le più alte cariche manageriali, economiche, governative, le quali erano tutte ricoperte da personale olandese, l’Indonesia era in una situazione di deficit di personale competente per la sua amministrazione. Gli indonesiani non avevano mai avuto mansioni dirigenziali ed erano per questo in una situazione di completa incapacità. In questo clima di inadeguatezza direttiva si inserivano le proposte di alcune frange di correnti musulmane che erano aperte alla collaborazione con l’Occidente. Questi movimenti erano favorevoli a contatti con le nazioni più ricche del mondo, dalle quali erano certi si potesse imparare e riuscire in questo modo a far fiorire l’economia del proprio paese sotto l’effetto propulsore occidentale. All’interno della federazione Masjumi esistevano differenze tra le varie associazioni islamiche, infatti ad essa aderivano inizialmente riformisti, modernisti, progressisti e tradizionalisti. Nel 1952 l’ala tradizionalista si separò dalla federazione e diede così nuova vita al Nahdat’ul Ulama (Rinascita degli Ulama), il quale era già sorto nel 1926 dalla scissione dal Sarekat Islām. Questi tradizionalisti non contestavano la collaborazione di Sukarmo coi comunisti, mentre il restante dei Masjumi vi ci si opponeva e si mostrava più disponibile alla collaborazione con l’Occidente. Successivamente a questo allontanamento, le prime elezioni generali proclamavano la vittoria ex-equo del Masjumi e del P.N.I., seguiti dal movimento di Rinascita degli Ulama, e infine dal P.K.I. Nel 1959 Sukarno con decreto presidenziale sciolse l’Assemblea Costituente che stava lavorando alla costituzione provvisoria e ristabilì la precedente costituzione del 1945. Il presidente dopo aver incorporato alla sua carica anche quella di primo ministro, si occupò della formazione del governo, vietò allo stesso tempo lo svolgersi di attività politiche, bloccò il funzionamento del parlamento e infine interdisse il Masjumi. Veniva così avviata le politica di “Democrazia Guidata” che prevedeva la cooperazione tra tre schieramenti politici. Le correnti islamiche erano state relegate in un piano inferiore, in quanto i due partiti alla ribalta erano quello nazionalista e quello comunista. L’unico partito musulmano riconosciuto era quello tradizionalista, in quanto aveva accettato l’alleanza coi comunisti e non poteva però assumere una propria connotazione individuale. Nel 1965, dopo il fallimento di un colpo di Stato rivoluzionario, il governo di Sukarto venne rovesciato. Durante questa manovra politica vennero uccisi dei capi militari ed il P.K.I. venne ritenuto responsabile di questa strage. Questo partito venne eliminato e salì al potere un nuovo Presidente: Suharto e il governo del “Nuovo Ordine”. Suharto, per accentrare ancor di più il potere nelle sue mani, utilizzo il Panca Sila come filosofia fondamentale indonesiana e fece del suo quinto principio un baluardo per la lotta al comunismo, perseguendo atei o politeisti accusati di aderire a tale dottrina. Un esempio di questa persecuzione contro i comunisti è la conversione di numerosi cinesi alle religioni monoteiste per evitare l’oppressione del governo. Il partito della Rinascita degli Ulama cooperò a questa repressione, garantendosi cosi un ruolo prioritario tra gli schieramenti Islamici. La dottrina nazionale venne anche sfruttata per diminuire il ruolo dei movimenti musulmani e per attuare una depoliticizzazione dell’Islām. La prima mossa in tal senso, venne compiuta con la creazione ad opera del Orde Baru (Nuovo Ordine) di un partito musulmano, la cui attività sarebbe stata oggetto di controllo governativo. Questo nuovo raggruppamento 8
politico prese prima il nome di Partai Muslim Indonesia (P.M.I.)3. Nel 1973, per volere di Suharto, si formarono tre schieramenti: Partai Persatuan Pembangunan (PPP) che comprendeva al suo interno tutti i movimenti islamici, Partai Demokrasi Indonesia (P.D.I.): un composto eterogeneo costituito da Cristiani, Protestanti e nazionalisti; infine il G.O.L.K.A.R. , partito che era appoggiato dal nuovo presidente. “Dopo l’eliminazione del PKI e di Sukarno, i partiti politici, soprattutto quelli islamici, erano gli unici che potevano opporsi al dominio politico militare dell’Ordine Nuovo. E’sotto questa luce, che la semplificazione del sistema partitico del 1973 può essere vista come un modo per delimitare l’opposizione politica attraverso la precisazione di cosa il Panca Sila sia, in termini di comportamenti e organizzazioni politiche consentite e tramite l’utilizzo di tale dottrina come una sua giustificazione e spiegazione”4. I NU (Nahdat’ul Ulama), avendo partecipato alla disintegrazione del PKI, contavano sulla concessione da parte del governo di privilegi e favoritismi politici, che invece furono pochi. Suharto, nonostante la disponibilità che i NU avevano cercato di dimostrargli, concepiva questo movimento come un possibile avversario politico dal quale difendersi. Temeva un incremento di attivismo musulmano verso nuove istanze, che si sarebbero mosse verso la creazione di uno Stato Islamico. Nel 1978, per assicurarsi un ulteriore controllo sui movimenti musulmani e ostacolare la possibilità che questi avessero una presa maggiore nel popolo, venne inaugurata una nuova politica chiamata P-4 che era l’abbreviazione di Pedoman Penghayatan dan Pengamalan Pancasila, ovvero guida alla comprensione e pratica del Panca Sila. Tutto ciò significava la realizzazione di corsi educativi, allo scopo di produrre una maggiore autocoscienza della filosofia nazionale, con un conseguente depauperamento delle religioni ed ideologie presenti in Indonesia. Tra il 1980 e il 1982 al P-4 venne affiancato un progetto di “pancasilazione”5: non solo i funzionari dovevano seguire gli insegnamenti in materia, ma ciò che causò dissidi e disapprovazione fu l’obbligo per ogni associazione e raggruppamento politico di aderire formalmente alla dottrina nazionale. Il mancato consenso avrebbe significato l’automatica auto-esclusione dalla scena politica e l’illegittimità del gruppo in questione. Questa adesione doveva rappresentare il conformarsi dei gruppi al Panca Sila, il quale sarebbe diventato la dottrina cardine fondamentale, a cui l’orientamento del movimento doveva adeguarsi. Questa nuova imposizione scatenò il disdegno di tutte le associazioni, soprattutto a carattere islamico. Secondo la loro opinione, l’inserimento di tale filosofia alla base delle proprie associazioni aveva come scopo quello di spogliare ulteriormente il loro carattere prettamente religioso e per questo motivo si rifiutarono di accettare tale costrizione. Tutti i dissidenti vennero politicamente eliminati, in questi anni ci furono numerosi moti di protesta che avevano come protagonisti attivisti musulmani e cristiani. Nel 1985 il NU cedette nuovamente alla volontà del governo ed aderì al Panca Sila e allo stesso tempo liberò gli associati dall’obbligo di votare solo ed 3 Andrée Feillard, “Les Aulémas indonesien aujourd’hui: de l’opposition à une nouvelle légitimité”, Archipel, 46, 1993, pp. 89-110 4 Douglas E. Ramage, op. cit, p. 30 5 François Raillan, “Islam et Ordre Nouveau au l’imbroglio de la foi et de la politique”, Archipel, 30, 1985, pp. 229-261 9
unicamente per il PPP. Grazie a questa mossa vi fu un periodo di distensione tra il NU e il GOLKAR. Questo clima di tranquillità era stato in un certo modo anticipato dall’inizio degli anni ’70. In questi anni era stata approvata una legge che legittimava il matrimonio religioso; le materie a carattere sacro erano state affidate al ministro dell’educazione e cultura; la corte suprema era stata abilitata a giudicare in cassazione secondo la legge islamica; infine vennero emanati dei decreti per facilitare la predicazione musulmana, limitando inoltre le opere missionarie cristiane ad opera di religiosi stranieri. Un altro importante passo di avvicinamento venne compiuto nel 1983 con la prima compilazione del diritto islamico indonesiano. Gli Ulama si opposero ad una codificazione, in quanto avrebbe significato avventurarsi in un’operazione che neanche lo stesso Muhammad aveva intrapreso. Per questo motivo si preferisce il termine “compilazione”; questa consisteva in una definizione del diritto islamico, il quale doveva essere doppiamente conforme: prima alla sharī‘a e poi, a parità di livello, al Panca Sila. Mentre gli Ulama continuavano ad opporsi all’esistenza di un diritto tipicamente indonesiano, alcuni giudici progressisti proponevano di esaminare i casi che di volta in volta fossero stati oggetto di una sentenza, utilizzando i valori presenti nella società indonesiana. Sorgeva cosi un ulteriore quesito, ovvero quello relativo a chi dovesse essere considerato sotto la giurisdizione della legge islamica. Questa discussione sorse anche in seno al comitato per la formazione dell’indipendenza. La frase che è stata più volte oggetto di dibattito è quella che afferma “l’obbligo per gli aderenti all’Islām di osservare la legge islamica”, nonostante queste dispute ricorrenti, non si è giunti ad una chiara definizione del problema. Questo argomento diventerà nuovamente spunto per nuovi dissidi, quando nel 1991 il Ministro del Culto annuncerà la proposta per l’approvazione di matrimoni interreligiosi. Il progetto verrà poi abbandonato per la sollevazione dei musulmani, i quali rifiutavano questa possibilità per paura di un ulteriore depauperamento dell’Islām. In seguito all’adesione dei NU al Panca Sila Suharno ebbe un doppio atteggiamento nei confronti dell’Islām. Da una parte, essendo la religione maggioritaria, vi era un apparente appoggio. Questo si esplicava in interventi volti a sovvenzionare le scuole islamiche, per esempio, a Java–Est il NU ottiene aiuti per creare nuove scuole. Questo supporto economico veniva offerto solo a istituti con insegnamenti moderati i progressisti, i quali non minavano la stabilità del Panca Sila, e quindi dello stato. Dall’altra parte le scuole che usufruivano delle sovvenzioni, erano alle stesso tempo soggette ad un maggiore controllo da parte dello stato. Questo aveva cosi la possibilità di intromettersi all’interno della loro organizzazione, ad esempio, le nomine degli insegnanti erano vincolate da scelte governative ad opera del ministro di culto. Sotto il suo controllo6 (i) avveniva la raccolta della zakat, la quale, secondo l’usanza, dovrebbe avvenire ad opera della comunità musulmana; (ii) veniva finanziata la costruzione di moschee e scuole; (iii) era regolato ogni aspetto del pellegrinaggio. La doppia politica era quindi, quella di mascherare il proprio 6 Marcel Bonneff, “Récentes ètudes et points de vue sur la mentalité javanaise et le probleme du développement national en Indonesie”, Archipel, 12, 1976, pp. 231-248. 10
controllo con delle azioni di sostegno formale, coadiuvate da movimenti di sempre maggiore propaganda della propria filosofia nazionale. Lo Stato e l’Islām erano in continua competizione in diversi ambiti, entrambi cercavano di penetrare nel campo dell’altro. Vi erano scuole pubbliche, private e musulmane; da una parte vi erano le leggi dello Stato che regolavano la vita degli indonesiani e dall’altro vi era il diritto islamico che disciplinava le relazioni tra musulmani e tra questi e non-musulmani. Infine Suharto cercava di penetrare nell’animo degli indonesiani attraverso il Panca Sila, ponendolo come dottrina al di sopra di tutte le religioni. L’Ordine Nuovo si occupava anche del pellegrinaggio verso La Mecca. Questo non era solo un momento di partecipazione ad uno dei Pilastri dell’Islām, era anche un momento di aggregazione di musulmani provenienti da tutto il mondo. Il governo temeva l’Hağğ per le opportunità di dialogo e di raffronto tra musulmani. Si temeva che la conoscenza di altre realtà potesse rinvigorire le istanze islamiche e minacciare la precaria situazione di equilibrio in Indonesia. L’influenza del governo si manifestava attraverso la regolamentazione rivolta verso tutto ciò che coinvolgeva il pellegrinaggio. Gli aiuti stranieri elargiti da paesi musulmani venivano filtrati dal governo (era necessario disporre di un’elevata somma di denaro per adempiere a questo pilastro), i passaporti non erano validi per l’Arabia nei periodi in cui si svolgeva l’Hağğ. A causa di tutti questi elementi, con l’aggiunta di un attento controllo sui passaporti, il numero ufficiale di pellegrini diminuì di quasi la metà, coloro che non riuscivano a partire legalmente erano cosi costretti ad effettuare il pellegrinaggio come clandestini. Una nuova crescita del numero dei pellegrini si ebbe dal 1972, durante un periodo di distensione tra le due parti nel quale il governo si era assicurato la collaborazione degli Ulama. Nel 1993, a seguito di un controllo sempre maggiore dello Stato, il NU invitò le proprie scuole a non accettare l’ingerenza governativa, arrivando addirittura a convertirle in private e poter cosi sfuggire al controllo del ministro del culto. I movimenti modernisti che erano aperti ai contatti con l’Occidente preferirono attuare dei corsi con un indirizzo più generale, i quali, fermo restando l’insegnamento religioso, avrebbero conferito una maggiore istruzione e preparazione per un’eventuale futura occupazione di cariche amministrative e politiche. Negli anni ’90 ci fu un avvicinamento di Suharto ai musulmani. La dimostrazione più significativa fu la visita del presidente indonesiano a La Mecca. Altre prove non meno importanti furono la fine della proibizione del velo indossato dalle ragazze nelle scuole pubbliche, la creazione di un’organizzazione di intellettuali musulmani (ICMI) e la ricerca di un’alternativa alla lotteria nazionale, in quanto ai musulmani è vietato giocare d’azzardo. In questo periodo si assiste ad un’islamizzazione crescente, attraverso lo sviluppo dell’insegnamento religioso, una più assidua presenza nelle moschee e soprattutto alla preghiera collettiva del venerdì. Questo periodo di armonia è frutto di vari compromessi da entrambe le parti. Ad esempio, il governo lanciò un corso di Panca Sila secondo l’Islām, tramite il BP7: un organismo di diffusione dell’ideologia nazionale. A questo punto è importante effettuare due puntualizzazioni. E’vero che lo stato non aveva più un carattere ostile verso l’Islām, ma è necessario operare delle distinzioni. Innanzitutto si deve rilevare che, mentre i gruppi più moderati hanno goduto in un certo modo della benevolenza del governo, i movimenti di estremismo 11
musulmano sono sempre stati condannati dallo stato. Questi infatti, erano fermi sulle loro posizioni, auspicavano l’istituzione di uno stato islamico, erano in uno stato incessante di lotta alla crescente cristianizzazione, criticavano la diffusione dell’economia di mercato e infine non erano disposti a compromessi o al dialogo. La seconda precisazione si attiene ad una differenza intrinseca tra i vari gradi di adesione all’Islām. Gli abangan, sono una componente sincretica che unisce a questa fede elementi di animismo e induismo. All’altra estremità troviamo i santri, i quali aderiscono pienamente alla forma pura dell’Islām, seguono fedelmente i cinque pilastri e bramano l’entrata in vigore della legge islamica e quindi la costituzione di uno Stato Islamico. Per questa loro caratteristica estrema costituiscono un pericoloso fattore disgregante, nonostante il loro numero conta su una ristretta minoranza. Infine, la stragrande maggioranza dei musulmani non aderisce pienamente alla fede Islamica, non adempiono le cinque preghiere giornaliere, il digiuno del Ramadan è più o meno seguito, per le sue origini pre-islamiche. I più elevati livelli di osservanza si colgono nell’effettuazione della circoncisione, nel matrimonio e nei riti legati alla morte. La ragione della preponderanza di questa categoria di musulmani, va ricercata nella scarsa, se non inesistente conoscenze dell’arabo, elemento essenziale per la lettura del Corano e poter cosi recitare le cinque preghiere giornaliere. Il governo di Suharto si concluse con le sue dimissioni, causate dall’aggravamento della crisi di Timor-est e iniziò un periodo di crisi politica indonesiana appesantita ulteriormente dal nuovo presidente Bacharudin Jusuf Habibie. La carriera del nuovo capo indonesiano fu molto breve, in quanto venne accusato di appropriazione di fondi pubblici e perciò precocemente destituito. Tuttavia, prima della sua estromissione al potere, questi permise al popolo di scegliere il suo futuro tramite referendum e dichiarò che il governo avrebbe accettato qualunque responso, ma i militari non concordavano con questa dichiarazione del presidente e lo dimostrarono ampiamente. Le forze armate non volevano assolutamente concedere l’indipendenza a Timor.est, non perché esso fosse ricco, non perché fosse un importante punto geostrategico, ma semplicemente per la paura delle ripercussioni che una simile concessione avrebbe avuto sul futuro assetto indonesiano e sull’autorità che poteva essere messa in discussione da altri gruppi minoritari, i quali, seguendo l’esempio di questo piccolo lembo di terra, avrebbero potuto avanzare ulteriori istanze separatistiche. Nel 1999 si tenne il referendum e nonostante i militari spaventarono e minacciarono la popolazione, l’80% di essi votò per l’indipendenza; a questo punto, non poterono certo accettare la sconfitta segnata dal referendum e ripresero le loro opere terroristiche, facendo in modo cosi di eliminare e far fuggire tutti coloro che erano legati al settore dei mass media, per poter compiere le loro angherie sulla minoranza di Timor Est e non essere controllati o meglio spiati dall’occhio indiscreto dei giornalisti. Il governo di Jakarta attuò una minima resistenza ai massacri che avvenivano in questa zona dello Stato, questi continuarono fino a quando non vennero accettati gli aiuti da parte dell’ONU tramite un contingente di pace. Con l’arrivo dell’ONU iniziò a formarsi una collaborazione tra quest’ultimo e il Consiglio Nazionale della Resistenza di Timor, “fino a diventare una sorta di governo 12
provvisorio.”7 La salita al potere di un presidente Islamico causò numerose aspettative da parte dei musulmani i quali auspicavano una maggiore presenza della propria fede all’interno delle istituzioni e della vita politica del paese, tuttavia Habibie decise di continuare lungo il sentiero precedentemente percorso da Suharto, ossia quello di mantenere l’equilibrio religioso, compiacendo i militari e garantendosi così il loro prezioso appoggio. La sua figura si affacciava al panorama indonesiano in un momento particolarmente difficile per il paese, il quale stava manifestando problemi di ordine pubblico, altri relativi alla crisi economica, al processo di transizione e assestamento democratico, non da ultimo infine le lacune di legittimità del suo mandato. Per tutti questi motivi la politica di questo presidente sarà caratterizzata da dei tentativi di bilanciamento tra le varie voci degli attori politici, interni ed esterni: le sue scelte dovevano essere sempre ben ponderate da una logica di giochi di potere. La lobby musulmana doveva essere accontentata in quanto poteva costituire la base del suo potere, ma questa da sola non sarebbe bastata, soprattutto per la questione dei finanziamenti da parte del FMI (Fondo Monetario Internazionale) e quindi dell’occidente, per la ripresa economica. Allo stesso tempo però non poteva neanche concedersi la possibilità di avere un atteggiamento troppo filoamericano, in quanto aveva comunque bisogno dell’amicizia di paesi musulmani come ad esempio l’Arabia Saudita, questa sua esigenza è testimoniata dalle pacate risposte dell’Indonesia durante i bombardamenti americani del 1998 in Afghanistan, in Sudan e in Iraq, il paese all’epoca si tenne infatti a distanza da eventuali critiche o prese di posizione per gli accaduti. 8 Nel 1999 si svolsero nuove elezioni e salì al potere un islamico moderato Abdurrahman Wahid; il nuovo Presidente era un musulmano e nonostante ciò era un sostenitore del Panca Sila: “Senza il Panca Sila, noi cesseremo di essere uno stato. Il Panca Sila è l’insieme dei nostri principi e vivrà per sempre. E’ l’idea dello stato che ognuno di noi dovrebbe avere, un’idea per la quale lottare. E io difenderò questo Panca Sila con la mia stessa vita. E sarò incurante di quale gruppo cercherà di abusarne, sia che siano le forze armate ad apporre delle censure o se saranno i musulmani a manipolarne i contenuti”9; questo nuovo capo sembrava cosi incarnare lo spirito dei compromessi fino ad allora raggiunti tra i musulmani e il governo. Queste tornate politiche furono caratterizzate da un incremento di partiti politici partecipanti alla lotta elettorale con matrice islamica, ossia raggruppamenti che si dichiaravano musulmani o che erano sorretti dalla comunità di tale religione; allo scopo di distinguere queste due formazioni politiche sarà conveniente utilizzare le due diverse terminologie di gruppi islamici formali e informali10. Con il primo concetto si intende un partito politico che si richiama espressamente alla religione di Maometto e che quindi accoglie all’interno della sua specificità partitica l’identità musulmana, i due maggiori esponenti di questa categoria sono il PPP (Partai Persatuan Pembangunan)11 e PBB (Perserikatan Bangsa-Bangsa)12. Alla seconda 7 Elisa Querci, Timor Est: nascita di un nuovo stato, in Crescita Economica e Tensioni Politiche in Asia all’Alba del Nuovo Millennio, Il Mulino, Asia Major, 2000, p. 192 8 Sukma Rizal, Islam in Indonesian Foreign Policy, London, RoutledgeCurzon, 2003, pp. 84-90 9 Douglas E. Ramage , op. cit. , p. 45 10 Sukma Rizal, op. cit. p. 95 11 PPP - Partai Persatuan Pembangunan: United Development Party 13
categoria appartengono invece i partiti PKB (Partai Kebangkitan Bangsa)13 e PAN (Partai Amanat Nasional)14: questo tipo di formazioni preferisce mostrarsi nello scenario politico come portatore di una mentalità aperta alla collaborazione partitica, e privilegia la leva del pluralismo religioso piuttosto che quella dell’Islam; resta comunque di fatto che attingano anch’essi dalla base musulmana, ma a differenza della prima categoria evitano di fare diretto riferimento alla religione coranica nel loro programma politico. Questa scelta venne premiata nelle elezioni del 1999, in cui furono proprio questi due partiti, ad aggiudicarsi la maggioranza di seggi tra le formazioni religiose: come partiti islamici informali hanno un range maggiore di possibilità di cooperazione, possono infatti ricorrere alla matrice comune culturale e accordarsi con gli altri partiti formali, oppure possono anche scegliere la strada della collaborazione col le altre formazioni secolari; è stato proprio grazie a questa flessibilità che PKB e PAN sono riusciti insieme ad aggiudicarsi una porzione di seggi superiore a quella degli altri partiti a formazione islamica PPP e PBB.15 Partito percentuale tipologia seggi PDI-P16 33,7 Nazionalista- 154 secolare GOLKAR 22,4 laico 120 PPP 10,7 Islamico 59 formale PKB 12,6 Islamico 51 informale PAN 7,1 Islamico 35 informale PBB 2 Islamico 13 formale Figura 1 – Distribuzione seggi in Indonesia nelle elezioni del 1999 Un’altra variabile da interpellare è la forte presa dei due partiti informali sulla popolazione indonesiana: entrambi sono infatti sostenuti dalle due maggiori organizzazioni musulmane, ossia Muhammadiyah e NU, rispettivamente sostenitori di PAN e PKB.17 Nonostante dal punto di vista della distribuzione dei seggi le elezioni del 1999 decretino la disfatta dei partiti a caratterizzazione religiosa, osservando l’andamento della scelta presidenziale le due tuttavia parti si riequilibrano. Il neo presidente, chiamato anche Gus Dur, esprimeva al meglio un punto d’incontro tra l’asse secolare e quello prettamente religioso, si costituiva in questo modo un nuovo centro politico che racchiudeva in se alcuni partiti a base 12 PBB - Perserikatan Bangsa-Bangsa - 13 PKB - Partai Kebangkitan Bangsa: National Awakening Party 14 PAN - Partai Amanat Nasional: National Mandate Party 15 Sukma Rizal, op. cit. p. 96 16 PDI-P - Partai Demokrasi Indonesia Perjuangan: Indonesian Democratic Party-Struggle 17 Sukma Rizal, op. cit. p. 97 14
islamica con orientamento modernista: l’Asse Centrale.18 La sua figura acquista ancora più importanza per quelli che saranno i risvolti della sua presidenza: musulmano moderato, presidente del NU e depositario convinto nella causa democratica porterà l’Indonesia alla fase di transizione democratica. Nel 1999 si tennero le prime elezioni libere (dopo la lunga parentesi del governo di Suharto a partire dal 1955), primo passo necessario per la democratizzazione del paese; purtroppo il suo mandato si distinguerà anche per un esercizio fallace del potere in senso personale, relegando in un angolo la figura del vicepresidente Megawati Sukarnoputri e conferendole solo un ruolo puramente accessorio. 19 Concentrandosi però sulle prerogative positive del suo governo, si noterà che la politica estera espressa da Gus Dur era soprattutto incentrata su due punti fondamentali: l’equidistanza e l’equilibrio nelle relazioni internazionali; si voleva in questo modo assicurare il non allineamento dell’Indonesia e la sua indipendenza,20 senza però per questo ledere la sua sfera d’azione, che non restava dunque legata a priori ad una scelta tra Occidente, Asia e Islam. Esplicitando la sua politica, Wahid iniziò ad avvicinarsi ad Israele,21 grande alleato degli USA, contando sull’eventualità di usare questo legame per un ulteriore rafforzamento del legame con gli statunitensi; dall’altra parte però si proponeva la contributo economica con l’Asia, affermando l’importanza che assumeva per il continente una simile politica ad ampiezza regionale. Tra i suoi obiettivi immediati vi erano i maggiori paesi asiatici, quindi Cina, Giappone e India, per raggiungere questo obiettivo si prodigò nell’organizzazione di meeting, visite ufficiali e conferenze stampa, lanciando messaggi a questi paesi. Infine, sempre allo scopo di onorare la sua politica di equidistanza e buone relazioni con tutti i paesi, il presidente si rivolse anche ai paesi del Medio Oriente, prestando però notevole attenzione alla formulazione dei principi di collaborazione, ossia non facendo mai riferimento esplicito alla comunanza religiosa che li legava.22 Questo limite è lo stesso che sempre si è riproposto e tuttora si ripropone nell’esplicazione e nello sviluppo dell’indirizzo della politica estera. Il fattore islamico, dato il suo radicamento nella popolazione indonesiana, costituisce una variabile che deve essere sempre tenuta in considerazione per l’attuazione delle linee politiche: a partire da Sukarno, tutti i presidenti hanno sempre dovuto tenerla presente nei loro calcoli politici ed è per questo che si è arrivati all’attuazione del principio precedentemente nominato della indipendenza e attività (debas-aktif): principio che risolve il problema della duplicità degli interessi del paese, ossia rispetto della identità islamica e della laicità dello stato, fusi insieme per riuscire a perseguire gli interessi di politica estera. Nel 2001 in presidente Wahid sarà sostituito dal leader nazionalista Megawati Sukarnoputri, tuttavia Gus Dur sarà ricordato come il primo ad aver battuto la strada della transizione democratica in Indonesia, 18 Ivi, p. 99 19 Bertrand Romain, “Indonésie: les défis du nouveau président”, Politique Internationale, n°106, hiver 2004-2005, pp.391-417 20 Indipendenza dal punto di vista economico, in quanto l’Indonesia si sentiva troppo legata all’appoggio del FMI, pertanto era necessario trovare nuovi investitori e nuovi appoggi sullo scenario internazionale 21 Yegar Moshe, “The Republic of Indonesia and Israel”, Israel Affairs, vol.12, n°1, January 2006, pp. 136-158 22 Sukma Rizal, op. cit. pp. 99-105 15
riuscendo a fondere la duplice identità del suo paese tramite il saggio bilanciamento degli interessi nazionali, scindendo la sua posizione ufficiale di leader del NU in favore della democratizzazione del paese: “leading proponent of secular democracy in Indonesia whose views are often more nationalist than they are explicity Islamic, Wahid strongly envisages the creation of a civil democratic society in Indonesia where all citizens enjoy equal rights regardless of their religious, race, and other origins, Wahid contends that democracy in multicultural and multi-religious society such as Indonesia, […] can only flourish in an environment of religious harmony and tolerance.”23 La salita al potere di Megawati fu orchestrata dallo stesso movimento politico che aveva portato in auge Wahid, ossia l’Asse Centrale: secondo l’accordo la neopresidente avrebbe dovuto sostenere la candidatura di un Vice-Presidente islamico, ossia Hamzah Haz del PPP; questa intesa rappresentava la nuova situazione che si stava formando in Indonesia, il leader nazionalista accordava il suo favore ad un esponente musulmano in quanto la preponderanza nella scena politica di questa religione stava crescendo sempre più. Si formava così l’era del matrimonio di interesse tra nazionalismo e islamismo: la presidenza di Sukarnoputri sarà ancor più caratterizzata dall’impronta dell’Islam e delle sue tematiche, come la nuova richiesta di integrazione della Carta di Jakarta del nella Costituzione Indonesiana del 1945. Questa rivendicazione procurò notevoli scosse al potere di Megawati, la quale aveva all’interno del suo governo ben due partiti islamici: il PPP e PBB, entrambi sostenevano tenacemente l’applicazione della suddetta carta, la quale avrebbe significato la sottomissione di tutti i musulmani alla sharia, ossia la legge islamica, tuttavia questa posizione non era comune agli altri partiti religiosi, come ad esempio il PAN, che mirava piuttosto ad una politica reale e non dipinta di simboli. Secondo questo partito l’inclusione della Carta di Jakarta non era infatti necessario, e preferiva anzi lasciare ai musulmani la possibilità di autoregolarsi scegliendo liberamente se sottostare o meno a tale legge; un simile atteggiamento era stata adottatao da altri partiti laici come il Golkar, PDI-P (il partito del presidente) e PKB, i quali ostacolavano maggiormente tale proposta. La vera sorpresa arrivò dalle due maggiori organizzazioni musulmane: ad ulteriore dimostrazione della tolleranza e apertura democratica dell’islam indonesiano, sia NU che Muhammadiyah si opposero all’imposizione della sharia sui musulmani. Per quanto riguarda la politica estera, anche il suo governo si basò sulla elaborazione di una rete diplomatica, a differenza del suo predecessore però Sukarnoputri prediligerà intessere legami regionali nel Sudest asiatico, con l’Asia Orientale e con paesi del Sud Pacifico. Tuttavia, a differenza dei governi precedenti sia i rapporti coi paesi arabi-islamici, sia quelli con il Medio Oriente saranno tralasciati in favore di una più stretta collaborazione con 23 Traduzione: “guida della democrazia secolare in Indonesia, le quali visioni sono più nazionaliste che esplicitamente islamiche, Wahid sostiene fortemente la creazione di una società civile democratica in Indonesia dove tutti i cittadini possano condividere pari diritti rispetto alla loro religione, razza e altre origini, Wahid asserisce che la democrazia in una società multiculturale e multireligiosa come l’Indonesia,[…] possa fiorire in un ambiente di armonia e tolleranza religiosa” vedi Sukma Rizal, op. cit. pp. 118-119 16
USA, FMI e la Banca Mondiale, soluzione necessaria per controbilanciare l’appoggio economico fornito dai primi e compensato dai secondi. Le ultime elezioni svolte in Indonesia risalgono al 2004, in questa occasione si utilizzò un nuovo sistema elettorale di nomina semi-diretta (atto a sostituire il precedente metodo indiretto), sia per i membri dei corpi legislativi che per il presidente e il suo vice. L’elettorato attivo aveva così a disposizione una lista aperta a sistema proporzionale per il potere legislativo, il voto singolo non trasferibile per il Concilio dei Rappresentanti Regionali, Dewan Perwakilan Daerah (DPD), infine il sistema a doppio turno maggioritario per l’elezione del Presidente.24 Sarà il generale Susilo Bambang Yudhoyono (SBY), a salire al potere come presidente, il suo programma politico era totalmente incentrato nell’imprimere una decisa svolta democratica al paese, per cui era precipuo attuare i seguenti cinque punti prioritari: i. lotta alla corruzione tramite un movimento nazionale guidato dalla leadership nazionale; ii. attuare fermamente lo stato di diritto; iii. investire nello sviluppo delle risorse umane per il futuro; iv. adottare politiche economiche razionali miranti ad una crescita per creare migliori occupazioni per la maggior parte del popolo; v. consolidare il processo democratico.25 L’elezione di Susilo Bambang può apparire inusuale all’occhio occidentale, normalmente le preferenze parlamentari rappresentano e si riflettono nella scelta del Presidente dello Stato,26 in Indonesia invece la comunanza dello stesso colore partitico non si manifesta, si era già verificato con le elezioni di Wahid, ed ora si è ripresentato nel 2004. Controllando le due tabelle (fig.2 - fig.3) è possibile rilevare le differenze di risultati ottenuti nelle votazioni a livello legislativo nazionale e quelle a livello presidenziale. Il partito del Golkar continua a dominare nelle elezioni legislative come in passato, la sua forza però viene ancora una volta oscurata nelle presidenziali, dove sarà il partito democratico Partai Demokrat (PD) di Susilo a primeggiare. Una spiegazione a questa tendenza è da ritrovare nella diversa tempistica dello svolgimento delle votazioni: il popolo cerca di equilibrare le scelte legislative con quelle presidenziali; inoltre il sistema a doppio turno concede un ribilanciamento delle scelte facendo convergere quindi in soli due candidati le possibili opzioni. La presidenza dei SBY, per evitare la ripetizione di concetti verrà approfondita meglio nel paragrafo dedicato alla democratizzazione, in questa sede verranno semplicemente forniti degli spunti per l’analisi successiva, offerti da uno dei più attenti osservatori dello scenario politico, sociale e difensivo dell’Indonesia: Harry Tjan Silalahi.27 Il nuovo sistema elettorale grazie al suo metodo semidiretto permette al popolo di iniziare a familiarizzare coi candidati, supportando così un primo nucleo di accountability e responsiveness ossia quel rapporto che si instaura tra elettorato attivo e passivo, per mezzo del quale quei rappresentanti capaci di rispondere positivamente alle aspettative del popolo votante 24 Legowo, T.A., “The 2004 General Elections”, The Indonesian Quarterly, vol. XXXII n°3, third quarter, 2004, pp. 232-234 25 Soesastro Hadi, “ASEAN Economic Community: Ideas, Significance and Feasibility”, The Indonesian Quarterly, vol. XXXI n°3, third quarter, 2003, pp. 321-328 26 Mi riferisco ai sistemi presidenziali, nei quali il partito maggioritario è anche il partito del Presidente 27 Harry Tjan Silalahi: è uno dei membri fondatori di “Centre for Strategic and International Studies” (CSIS), già negli anni 50’ ha contribuito nell’elaborazione di politiche interne, anche tramite la produzione di numerosi articoli in riviste, pubblicazioni e libri 17
saranno premiati con una rielezione nelle successive votazioni, viceversa accadrà invece per coloro i quali non rispetteranno i punti del programma per il quale sono stati eletti; secondo Silalahi dunque l’Indonesia sta compiendo numerosi passi verso la democratizzazione, sarà però precipuo per i governanti mostrare la volontà di attuare effettivamente dei cambiamenti, come una ulteriore crescita della partecipazione popolare della società civile, uno sviluppo dell’imparzialità dello stato di diritto e maggiore accountability delle istituzioni rappresentative.28 Primo Turno Secondo Turno Candidati Partiti Voti % Voti % Susilo Bambang Democratic Party 36,051,236 33.58 67,196,112 60.9 Yudhoyono Megawati Indonesian Democratic 28,171,063 26.24 43,198,851 39.1 Sukarnoputri Party-Struggle Wiranto Golkar 23,811,028 22.18 - - Amien Rais National Mandate Party 16,035,565 14.94 - - United Development Hamzah Haz 3,275,011 3.06 - - Party Totale 106,228,247 100.0 110,394,163 100.0 Figura 2: Risultati delle elezioni politiche presidenziali del 2004 in Indonesia29 28 Silalahi Harry Tjan, “Towards a new Political Environment”, The Indonesian Quarterly, vol. XXXII n°3, third quarter, 2004, pp. 235-236 29 Fonte: KPU http://www.kpu.go.id/ 18
Partiti Voti % Seggi Golkar (Partai Golongan Karya) 24,480,757 21.6 128 Indonesian Democratic Party-Struggle (Partai Demokrasi 21,025,991 18.5 109 Indonesia Perjuangan) National Awakening Party (Partai Kebangkitan Bangsa) 11,994,877 10.6 52 United Development Party (Partai Persatuan Pembangunan) 9,248,265 8.1 58 Democratic Party (Partai Demokrat) 8,455,213 7.5 57 Prosperous Justice Party (Partai Keadilan Sejahtera) 8,324,909 7.3 45 National Mandate Party (Partai Amanat Nasional) 7,302,787 6.4 52 Crescent Star Party (Partai Bulan Bintang) 2,970,320 2.6 11 Reform Star Party (Partai Bintang Reformasi) 2,763,853 2.4 13 Prosperous Peace Party (Partai Damai Sejahtera) 2,425,201 2.1 12 Concern for the Nation Functional Party (Partai Karya Peduli 2,398,117 2.1 2 Bangsa) Justice and Unity Party (Partai Keadilan dan Persatuan din 1,423,427 1.2 1 Indonesia) 19
Puoi anche leggere