UN CONFRONTO TRA STAKEHOLDER - IL DECOMMISSIONING NUCLEARE IN ITALIA - Fondazione ...

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UN CONFRONTO TRA STAKEHOLDER - IL DECOMMISSIONING NUCLEARE IN ITALIA - Fondazione ...
IL DECOMMISSIONING NUCLEARE IN ITALIA
UN CONFRONTO TRA STAKEHOLDER
                             ROBERTO ADINOLFI
                               CARLO DE MASI

ATTI DEL CONVEGNO               MARIO LAZZERI
                                   MAURO LIBÈ
16 ottobre 2019                  LUCIO MALAN
                            UMBERTO MINOPOLI
ROMA                      PIERSANTE MORANDINI
Sala Aldo Moro                   DANIELE PANE
Camera dei Deputati          MAURIZIO PERNICE
                                 TIBOR RAPANT
                               ROBERTO ROSSO
                                 ADOLFO URSO
                            ANTONIO ZENNARO
                               GIANPIERO ZINZI
UN CONFRONTO TRA STAKEHOLDER - IL DECOMMISSIONING NUCLEARE IN ITALIA - Fondazione ...
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            ATTI DEL CONVEGNO
                         16 ottobre 2019
                       Roma - Sala Aldo Moro
                        Camera dei Deputati

PREFAZIONI                                3
Roberto Adinolfi                          3
Adolfo Urso                              10

LE POSIZIONI DEI LEGISLATORI             14
Roberto Rosso                            15
Antonio Zennaro                          18
Lucio Malan                              19

CASE HISTORY                             21
Tibor Rapant                             22
Mario Lazzeri                            29

ATTORI A CONFRONTO                       33
Umberto Minopoli                         34
Maurizio Pernice                         38
Mauro Libè                               41
Carlo De Masi                            45
Gianpiero Zinzi                          48
Daniele Pane                             51

CONCLUSIONI                              53
Piersante Morandini                      54
P R EFAZI O N I

      20 ANNI DI DECOMMISSIONING IN ITALIA:
           TEMPO PER UNA RIFLESSIONE

                                   di Roberto Adinolfi

                      L’anno 2020 rappresenta una data significativa per
                  il Decommissioning italiano: quando nel 1999 il Ministro
                  dell’Industria dell’epoca pubblicò il documento “Indirizzi
                  strategici per la gestione degli esiti del nucleare”, inviandola
                  al Parlamento che l’accolse con favore bi-partisan, il 2020
                  era la data prefigurata per riportare a prato verde i siti delle
                  quattro centrali nucleari dell’ENEL che avevano funzionato
sino al 1986, e che già da 14 anni erano ferme in attesa di una scelta
da parte della politica. L’evento che aveva sbloccato tale scelta era la
necessità di procedere alla privatizzazione dell’ex- Ente Elettrico nazionale,
senza far gravare su tale processo gli oneri connessi alla dismissione e alla
bonifica dei siti nucleari 1.
   Anche in virtù di questa necessità “collaterale”, il programma delineato
nella Strategia partiva con buone basi:

     •    un consenso politico ampio, inclusivo dei movimenti nati per
          contrastare la produzione elettronucleare in Italia, che vedevano di
          buon occhio la fuoriuscita “definitiva” dal settore;

     •    un meccanismo di finanziamento con prelievo diretto dalla bolletta
          elettrica, che dava ragionevole certezza sulla disponibilità dei fondi
          necessari e sulla possibilità di adattarli negli anni alle fluttuazioni
          di costo, legate al progressivo approfondimento delle reali
          problematiche esistenti nei vari siti;

     •    il potenziale vantaggio “tecnico” derivante dal tempo trascorso dalla

1 Val la pena ricordare che i fondi accantonati da ENEL a questo scopo, durante l’esercizio degli
impianti, risultavano largamente insufficienti, in parte per una sottostima dei costi del decommissio-
ning, ma ancor più per la chiusura anticipata degli impianti.

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fermata degli impianti, con conseguente diminuzione del livello di
        radiazione, e quindi con l’effettiva possibilità di procedere subito ad
        un “decommissioning a prato verde”.

     L’obiettivo 2020 appariva quindi ambizioso, ma non impossibile. E
certo attraente per il Paese, che avrebbe potuto maturare, ben prima di
altri, conoscenze e competenze destinate a diventare preziose nel futuro
mercato mondiale del decommissioning, quando anche all’estero gli
impianti, costruiti prevalentemente negli anni 70 ed 80, avrebbero chiuso il
loro ciclo di vita atteso.
     20 anni sono ora passati e non possiamo non riconoscere che quelle
previsioni sono state largamente disattese: il ritorno a prato verde si è spostato
in avanti ad ogni revisione dei programmi SOGIN, ed oggi si colloca, a seconda
degli impianti, tra il 2030 ed il 2040; ancora non sono state “aggredite” le
parti degli impianti a più alto contenuto radiologico (i componenti attivati);
la definizione di un sito finale di stoccaggio è avvolta nella nebbia.
     Appare quindi quanto mai tempestiva una seria riflessione, come ci si
propone in questo seminario, sulle cause dirette ed indirette di ciò che è
accaduto, meglio ancora se congiuntamente condivisa da tutti gli attori
interessati, siano essi la politica, il soggetto attuatore, l’industria nazionale.
     Il contributo che cercherò di offrire ad un tale dibattito è un punto di
vista spiccatamente “industriale”, maturato da un’azienda come Ansaldo
Nucleare che ha identificato sin dall’inizio, nel programma nazionale di
decommissioning, non solo un’opportunità, ma una “mission”, in linea con la
sua vocazione di azienda mirante a preservare ed accrescere le competenze
italiane nel settore nucleare, nell’interesse del suo azionista pubblico. E lo farò
provando a rispondere ad alcune domande “di base”.

1. Vale la pena impegnarsi nel mercato del decommissioning?

    I volumi di spesa connessi con lo smantellamento delle installazioni
nucleari sono spesso additati, a buona ragione, come uno dei più
significativi programmi di investimento, nel comparto energetico, per quei
Paesi che hanno partecipato allo sfruttamento pacifico dell’atomo da 60
anni ad oggi. Il fatto che la legislazione nucleare abbia sin dall’inizio preso in
considerazione i costi dello smantellamento (seppure in maniera parziale o
non completamente adeguata) ha creato la premessa perché, nei vari Paesi,
vi sia una capacità di spesa “prenotata” a tale scopo ed accumulata nel

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tempo: cosa che non sempre accade nel mondo delle “bonifiche” industriali.
    Ma per chi deve operare scelte di sviluppo industriale non contano solo
i volumi…
    Innanzi tutto, c’è da valutare la effettiva prevedibilità del business: quando
i volumi potenziali diventeranno certezze, quali sono i fattori che innescano la
crescita, quanti di essi sono governabili da parte del Fornitore?
    Anche nel nucleare, come nel caso di altre bonifiche, la scelta più facile
per il soggetto chiamato a spendere sembra essere: procrastinare! Anzi,
nel caso del nucleare, la disponibilità di risorse finanziarie accantonate ex-
lege ha spesso dato luogo alla tentazione di mantenere questi capitali a
disposizione della solidità aziendale, piuttosto che investirli in un programma
comunque non immune da rischi!
    Non è questo il caso dell’Italia, considerato che il meccanismo di
finanziamento in atto è basato su un accumulo proporzionato ai piani triennali
di spesa proposti da SOGIN e validati dall’Autorità per l’Energia Elettrica.
    Ma anche nel nostro Paese vari fattori intrinseci hanno contribuito
a rallentare fortemente l’effettiva propensione alla spesa del soggetto
attuatore:

     •     La gestione del programma attraverso fondi “pubblici” comporta
           l’applicazione di meccanismi di controllo della spesa (il Codice degli
           Appalti), che favoriscono lo spezzettamento del piano globale in una
           serie di specifici interventi, più facilmente definibili e quantificabili2.
           Ciò inserisce ritardi difficilmente contenibili, sia per la mancanza
           di risorse in numero adeguato al proliferare dei progetti, sia per il
           moltiplicarsi dei contenziosi sui singoli interventi.

     •     La natura stessa della SOGIN, società creata sostanzialmente con
           una “missione a finire” (riportare gli impianti italiani a prato verde),
           e non sufficientemente incentivata a “finire quanto prima”. A questo
           si è cercato negli anni di porre rimedio con un più sofisticato
           meccanismo di riconoscimento costi, posto in atto dall’Autorità per
           l’Energia Elettrica, che però non sembra aver dato significativi risultati.

2 Così facendo, però, si perde di vista il vantaggio economico legato al fattore “durata comples-
siva del programma”: in pratica, per spezzettare si finisce per spendere in costi fissi di gestione,
crescenti nel tempo, più di quanto si conta di risparmiare ottimizzando il costo dei singoli interventi.

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Se ad essi si aggiungono i fattori esterni di ritardo, quali la forte
regolamentazione del settore, che comporta iter approvativi non prevedibili
nei tempi (anche a causa dell’indebolimento dell’Autorità di Sicurezza),
si comprende bene che il decommissioning, in Italia come in altri Paesi,
rappresenta un business molto difficile da pianificare per un investitore
industriale.
    Peraltro, anche la profittabilità delle commesse di decommissioning è
affetta da incertezza, anche in questo caso sia per fattori intrinseci che per
fattori esterni. Tra i primi, il più rilevante è senz’altro la natura di pura spesa,
ossia senza effettivo ritorno economico, che il decommissioning rappresenta
per il gestore dell’impianto: comprensibilmente ciò si traduce in una
propensione per la ricerca del minor prezzo, e quindi della minimizzazione
del premio che si è disposti a riconoscere al contrattista, a prescindere
da considerazioni sui risparmi di costo legati al tempo di realizzazione o al
trasferimento di parte dei rischi. Tra i secondi, val la pena citare il ricorrente
affacciarsi al mercato del decommissioning di nuovi attori poco familiari con
le complicazioni tipiche della normativa nucleare (ad esempio in termini di
Garanzia di Qualità, di documentazione richiesta a supporto degli interventi,
etc) e quindi portati a sottostimare gli effettivi oneri ed abbassare i prezzi in
sede di offerta (salvo poi cercare di recuperare in corso d’opera, o anche
abbandonare precipitosamente il mercato).
    Si comprende quindi come la risposta alla domanda se valga la pena
impegnarsi in questo mercato possa volgere al no, almeno per molti attori
industriali non presenti già nel settore nucleare.
    Ma per chi nel settore già opera, è opportuno, prima di arrivare ad una
conclusione, porsi un’ulteriore domanda…

2. Quali condizioni possono rendere effettive le opportunità di crescita che
   all’interno del settore nucleare il decommissioning può offrire?

   Domanda, questa, particolarmente rilevante, nella fase che, almeno
in Occidente, sta vivendo il mercato nucleare, ossia di grave scarsità di
investimenti in nuovi impianti. Come già detto, i volumi di attività connessi
al decommissioning sono significativi, crescenti, diversificati su molti Paesi.
Chi opera nel settore nucleare non può quindi non valutare con analisi più
dettagliate come cercare di trarre profitto dalla “corsa al decommissioning”.
E peraltro, anche i gestori dei piani di smantellamento dovrebbero condurre

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analisi similari, nell’intento di mantenere alto l’interesse per i loro programmi
da parte del massimo numero di fornitori qualificati. In larga misura, la risposta
a questa domanda deriva da come, per ciascun Paese (o in alcuni casi
all’estero, per ciascun gestore) si prova a superare le difficoltà, intrinseche ed
estrinseche, individuate in precedenza. Mi limiterò qui a citare alcune “buone
prassi” che potrebbero incidere positivamente anche sulla situazione italiana.

    a) Legare l’ingegnerizzazione dell’intervento all’esecuzione
       Contrattualizzare la mera realizzazione dell’intervento, sulla base di
       un’ingegnerizzazione spinta dell’intervento da parte del gestore, è
       causa di molteplici disfunzioni:

             •   Tende a definire una soluzione non ottimizzata sull’effettiva
                 capacità del singolo imprenditore, ma ad imporre allo stesso
                 di adeguarsi a quanto ipotizzato dal progettista: nel caso
                 di operazioni non convenzionali e/o ripetitive, quali quelle
                 tipiche del decommissioning, ciò significa rinunciare a
                 beneficiare dell’esperienza man mano accumulata dagli
                 imprenditori più esperti e referenziati.

             •   Espone al rischio di imprevisti tecnici emergenti in corso
                 d’opera (ad esempio: condizioni di contaminazione locale
                 differenti da quelle ipotizzate, strutture non coerenti con
                 la documentazione di riferimento a causa di modifiche
                 intervenute negli anni e non correttamente registrate, etc):
                 tali imprevisti dovranno essere gestiti da diversi soggetti
                 (progettista e contrattista), con interessi divergenti.

             •   Crea un collo di bottiglia nella contrattualizzazione degli
                 interventi, laddove il gestore non disponga di sufficiente
                 capacità progettuale.

             •   Responsabilizza il contrattista sulla corretta esecuzione del
                 progetto dato, piuttosto che sulla efficacia dell’intervento.

        Viceversa, l’affidamento di attività sulla base di specifiche
        “funzionali”, mirate alla definizione dello stato finale da raggiungere
        con l’intervento, piuttosto che delle modalità dello stesso, può
        consentire una maggiore adattabilità alle effettive caratteristiche
        del problema così come del contrattista, ed anche una maggiore

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responsabilizzazione di quest’ultimo sulle tempistiche del programma,
        con meccanismi di incentivazione (e non solo di penalizzazione) sia
        in fase di gara che di esecuzione.

    b) Graduare il processo di licensing agli effettivi rischi delle singole
       attività
       In generale i processi di licensing nucleare sono stati sviluppati,
       nei vari Paesi, con riferimento alla costruzione di nuovi impianti,
       e quindi con una forte attenzione alle implicazioni che qualsiasi
       malfunzionamento potrebbe avere nella successiva gestione di un
       impianto con elevati potenziali di rischio radioattivo. Nel caso delle
       attività di decommissioning, i rischi radioattivi sono decisamente
       più bassi (a seguito dell’allontanamento del combustibile dalla
       centrale) ed inerenti alla singola attività in esame, non ad effetti
       secondari dei possibili malfunzionamenti. Di conseguenza, è
       opportuno che i processi di licensing vengano ritarati sui rischi
       effettivi delle singole attività. Rilevante, in questo contesto, anche il
       beneficio potenzialmente derivante dall’integrazione tra ingegneria
       ed esecuzione dell’intervento, come descritto al punto precedente:
       in tal caso, infatti, il processo di licensing potrà accompagnare la
       definizione del programma di esecuzione dell’attività, piuttosto che
       svilupparsi in via propedeutica su un’ipotesi progettuale non ancora
       pienamente dettagliata in termini operativi.

    c) Accorpare gli interventi per fasi del programma e ricorso a General
       Contractors
       Un ulteriore passo in direzione di una focalizzazione sui tempi di
       esecuzione dei programmi di decommissioning può verosimilmente
       essere favorito da un più spinto accorpamento degli interventi, ad
       esempio raggruppando tutti quelli relativi ad una certa fase del
       programma ed affidandoli ad una sorta di General Contractor, che
       si assuma la responsabilità di ottimizzarne l’esecuzione nei minori
       tempi possibili, eliminando interferenze e conflitti operativi. Per quanto
       questa soluzione possa apparire molto più complessa da impostare
       e gestire contrattualmente, essa consentirebbe di moltiplicare la
       “capacità di fuoco”, specie nel caso di un gestore di più siti, magari
       in differenti fasi di avanzamento del programma (e quindi con
       problematiche di diversa natura da affrontare in parallelo).

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3. Concludendo…

     I processi decisionali tipici di un attore industriale, che ho qui cercato di
esemplificare, possono dare conto di alcune delle vicende che in questi venti
anni hanno causato i massicci slittamenti del programma italiano: difficoltà
nel completamento delle opere contrattualizzate, “fuga” di contrattisti esteri
provenienti dal settore nucleare, ma anche di contrattisti italiani che da altri
settori hanno provato ad affacciarsi a questo mercato, e così via.
     Calandosi però nei panni dei fornitori, è comunque possibile immaginare,
almeno per alcune di queste problematiche, delle soluzioni che cambino
il trend fin qui registrato, puntando sullo stimolare l’attenzione e l’interesse
degli attori più qualificati e costruendo, anche grazie alla loro esperienza, un
programma più rapido, ma principalmente più affidabile.
     Mi sia permessa comunque anche un’ultima considerazione, che esula
dal ruolo “industriale” al quale ho cercato fin qui di attenermi.
     Un ulteriore fattore che ha pesantemente influito sui ritardi accumulati dal
programma italiano è certamente la mancata definizione della sistemazione
finale dei rifiuti, ovvero la questione del Deposito Nazionale, il cui processo di
identificazione si è nuovamente arenato per mancanza di decisione politica.
     Questo ha creato oggettive difficoltà tecniche sia alla SOGIN che
all’Autorità di Sicurezza, e più in generale genera un’alea di incertezza per
tutti gli stakeholders, che non può non influire sulle effettive motivazioni ad
accelerare.
     Viceversa, la decisione a suo tempo presa di identificare in SOGIN il gestore
del futuro Deposito, se resa credibile nei fatti, di per sé potrebbe consentire
di elaborare, da parte di questo soggetto, una chiara strategia di business
a medio/lungo termine, mirata a realizzare al più presto lo smantellamento,
per poter poi ricavare utili dalla gestione dei rifiuti da esso provenienti,
come anche da quelli crescenti da altre attività nucleari non connesse alla
produzione di energia.
     Quindi, in ultima analisi, per accelerare il programma nazionale di
decommissioning, è proprio la politica ad avere nelle sue mani una chiave di
volta potenzialmente decisiva, già tratteggiata e da concretizzare con scelte
non più rinviabili.
                                                                  Roberto Adinolfi
                                      Amministratore delegato Ansaldo Nucleare

                                                                                 9
LA PEGGIORE POLITICA
                     È QUELLA DEL RINVIO

                               di Adolfo Urso

                         I lavori di questo workshop sono stati promossi dalla
                    fondazione Farefuturo che presiedo, in collaborazione con
                    lo studio legale dell’avvocato Morandini, il quale è anche
                    componente il nostro Comitato scientifico, e riguardano
                    una tematica che ha caratterizzato la mia attività politica,
                    parlamentare e legislativa.
                         Come ricorderanno alcuni degli attori che interverranno
in questa significativa giornata di lavoro, sono sempre stato impegnato
nel tentativo di riaprire la strada del nucleare civile nel nostro Paese. Da
giovane, ho contrastato il referendum che, dopo Cernobyl, alcune forze
politiche promossero, a fini meramente strumentali, per chiudere le centrali
già operative e per precludere questa attività alle aziende italiane. Fummo
l’unico Paese a decidere di precluderci quella opportunità pur avendo i
migliori titoli scientifici per farlo.
    Italia con Gran Bretagna e Usa era allora in testa nella produzione di
nucleare civile!
    Nella mia attività parlamentare e poi come esponente del governo ho
dato il mio contributo in prima fila, sulla base delle mie convinzioni, anche
quando era impopolare esprimerle. Ero convinto e lo sono ancora oggi
che la produzione di energia deve essere necessariamente affrontata
scevra da pregiudizi ideologici, avendo come faro il rispetto dell’ambiente,
la competitività del sistema e la sovranità nazionale. Proprio per questo,
oggi come allora in Italia occorre garantire la differenziazione delle fonti
energetiche.
    Nei primi anni Duemila, nei primi giorni della mia attività di governo, con la
delega al Commercio Estero, mi attivai affinché fosse concessa la necessaria
copertura assicurativa della Sace ad Ansaldo Nucleare, una importante
azienda italiana che aveva vinto una gara per la costruzione di una centrale
nucleare in Romania. Sembrava una cosa impossibile. Ci riuscimmo e così
riaprimmo la strada alle imprese italiane operanti all’estero. Considerate che
in quel periodo c’erano ancora i postumi del referendum che riguardava

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appunto la produzione nucleare in Italia e che i più ritenevano che la
preclusione dovesse riguardare ogni attività delle imprese italiane, anche
all’estero. Ansaldo Nucleare realizzò quell’opera e poi vinse anche la gara
successiva: un grande successo di tecnologia e di impresa italiana con
importanti ricadute tecnologiche e occupazionali anche in Italia!
    Mi sono occupato una seconda volta della questione poco tempo
dopo, quando l’Enel, che era stato oggetto di uno dei quesiti nucleare ma
nel frattempo era diventata una società per azioni, pose il problema di una
crescita strategica in Europa, assolutamente necessaria per la scala di valore
del settore.
    L’Enel aveva intenzione di acquisire la società energetica in Slovacchia,
che gestiva le locali centrali nucleari, e poi Endesa in Spagna, che gestiva
quelle iberiche.Aveva bisogno quindi di potere agire superando la preclusione
referendaria. Agimmo in tal caso attraverso un intervento legislativo, di cui
mi feci promotore, appunto per consentire all’ENEL, che nel frattempo era
diventata una Spa, di superare quel quesito per poter operare all’estero.
Me ne occupai una terza volta quando, insieme con il ministro Scajola,
cercammo di avviare in questo Paese una nuova via per la produzione del
nucleare, voi sapete come finì quella storia: riuscimmo a superare il giudizio
parlamentare, la legge fu approvata (io ne fui relatore), poi la questione
prese un’altra strada o meglio non ne ha preso nessuna, ancora una volta
sotto la spinta emotiva di un incidente, in questo caso in Giappone.
    Oggi affrontiamo un tema che è necessario tanto più per un Paese
come l’Italia che negli anni Cinquanta era uno dei principali attori mondiali,
insieme con Gran Bretagna e Stati Uniti allora ci contendevamo la leadership
nella produzione di energia nucleare civile. Quando, dopo Cernobyl, giunse il
referendum fu decisa la chiusura delle centrali operative che erano quattro e
una quinta mi sembra che fosse in fase di realizzazione. Quelle centrali chiuse,
con enormi costi per la collettività, per decisione di cittadini producono degli
effetti negativi ancora oggi.
    Di questo ci occupiamo in questo meeting, cioè del decommissioning
nucleare in Italia con un confronto tra i rappresentanti delle forze politiche
che giungeranno in questa sala man mano che i lavori parlamentari della
Camera e del Senato lo consentiranno, e i principali attori: aziende, enti locali,
associazioni di consumatori, autorità vigilanti.
    La data di oggi è evocativa per chi si occupa di nucleare, ci è stata
richiesta da parte degli attori civili e produttivi ma non coincide però coi tempi
parlamentari perché mercoledì è davvero “giorno di fuoco” in Parlamento:

                                                                                11
io stesso oggi sono stato già costretto ad un primo intervento in aula sulle
comunicazioni del Presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo,
e sarò costretto questo pomeriggio ad un secondo intervento in Aula sul
decreto sulle crisi aziendali. Aggiungo: quante crisi industriali si sarebbero
potute evitare se l’energia fosse costata meno, se quelle centrali nucleari
avessero potuto produrre nel loro normale ciclo di vita, come nel frattempo è
accaduto in Francia, in Germania, in Austria, comunque nella nostra Europa!
    Ora comunque focalizziamo il dibattito sul decommissioning, attività che
avrebbe dovuto essere svolta in Italia, come conseguenza del referendum,
prima e meglio di altri Paesi e fungere poi da modello operativo per gli altri!
La questione quindi per l’Italia è più importante che altrove innanzitutto
proprio perché abbiamo delle centrali che da oltre trent’anni devono essere
smantellate e le cui scorie devono essere collocate nel deposito più sicuro;
questo ovviamente a garanzia anche del territorio e ovviamente in generale
dei nostri cittadini. Insieme ad esse, ovviamente, anche le scorie e i rifiuti
che vengono dalla attività quotidiana: pensiamo a quelle delle centrali
siderurgiche o dei centri radiologici ospedalieri.
    Per questo uno degli argomenti sicuramente di questo meeting sarà anche
quello del deposito nazionale delle scorie. Sapete che l’UE ha deliberato che
ogni Paese dell’Unione debba avere un suo deposito nazionale, cosa che
altri hanno già fatto nel migliore dei modi, con gare pubbliche tra enti locali
che si sono contesi questo diritto, cioè questa grande opportunità.
    In Italia, invece, anche questo è vissuto come una ferita, una cosa da cui
fuggire; è già difficile smaltire i rifiuti urbani, i nostri rifiuti domestici, figuriamoci
le scorie nucleari!
    Noi addirittura utilizziamo spesso le centrali di smaltimento, i
termovalorizzatori all’estero per i normali rifiuti quotidiani, pagando costi
altissimi per il trasporto e lo smaltimento, immaginiamo cosa ciò significa per
le scorie nucleari.
    Il governo Berlusconi cercò di dare tempestiva soluzione individuando il
sito in Basilicata, ministro era allora l’amico Altero Matteoli, ma fu costretto
a fare marcia indietro a fronte delle proteste facilmente strumentalizzate e
in qualche caso organizzate da chi guarda ai propri interessi piuttosto che
a quelli generali. Del deposito nazionale non c’è più traccia, così come
della lista dei possibili siti che già il Governo precedente avrebbe dovuto
pubblicare, anzi sembra che sia addirittura secretata, utilizzando un termine
da Copasir.

12
Assistiamo ad un vergognoso scaricabarile da ministro a ministro, da
governo a governo, mentre si aggrava la nostra posizione in Europa dove
siamo sottoposti ad una grave procedura di infrazione proprio perché
inadempienti!
     Ci auguriamo che il nodo si sciolga tutto nel più breve tempo possibile,
per dare una soluzione definitiva e un quadro completo e definito, anche
per consentire a Sogin e alle imprese del settore di gestire lo smaltimento
dei rifiuti delle centrali e di porre fine alla pratica di depositi temporanei, il cui
costo si scarica anch’esso sulla collettività, oltre, ovviamente, ad essere meno
sicuri di quanto possa essere il deposito nazionale. Questo anche per dare
soddisfazione ai cittadini che nel frattempo pagano in bolletta anche una
quota che viene destinata appunto allo smantellamento delle centrali, che si
aggiunge ad altre destinate a questioni che sono del tutto diverse da quelle
energetiche. Una pessima abitudine a cui occorre porre termine.
     Con queste premesse, apriamo i lavori del meeting che spero possa dare
il suo contributo positivo.
                                                                        Adolfo Urso
                                                   Presidente Fondazione Farefuturo

                                                                                    13
LE POSIZIONI
     DEI LEGISLATORI

14
PERCHÉ A TRINO SI PUÓ

                              di Roberto Rosso

                       Sono nato a Trino che è la cittadina in cui nello stesso anno
                   si sviluppava la centrale nucleare che nel ‘64 avrebbe avuto
                   partenza. Fu una centrale nucleare particolare perché ebbe
                   anche il record mondiale di funzionamento senza interruzione,
                   era una centrale da 360 MW che allora era una enormità, una
                   delle più grandi centrali al mondo. Tuttavia era stata pensata
                   per il solo funzionamento e non per lo smantellamento; tutti
sapevano che si sarebbe creato il problema di uno smantellamento successivo,
ma nessuno pensò allora come realizzarlo. Tant’è che a distanza di 33 anni
dal blocco che il referendum sul nucleare generò in Italia, siamo ancora molto
lontani da trovare una soluzione.
     Qui c’è l’avvocato Morandini che si occupa per Westinghouse della
questione. Noi non sappiamo ancora come smantellare il vessel che contiene il
cuore nucleare della centrale. Abbiamo smantellato negli anni passati, o meglio,
abbiamo portato all’estero una serie importante di scorie radioattive, però
ancora oggi Trino e Saluggia che sono i due siti nucleari del Piemonte, insieme a
Bosco Marengo, hanno problemi molto evidenti. Bisogna essere molto realisti: io
penso che quello che sta facendo il Governo non è coerente con una politica di
smantellamento e soprattutto di realizzazione di un deposito dei rifiuti radioattivi.
     Ci fu un tentativo coraggioso al limite dell’incoscienza da parte di Berlusconi,
all’inizio degli anni 2000, di proporre con il decreto Scanzano un luogo che
sembrava ideale per il deposito delle scorie nucleari, 700mt sotto terra un doppio
panino di salnitro e di porfido, una locazione ideale, eppure insorse tutto il Sud
e di quel decreto è rimasta una sola cosa, un emendamento che io e il mio
collega Valter Zanetta proponemmo e che passò nell’aula del Parlamento.
     Quell’emendamento erogava i fondi compensativi a tutti i Comuni che
hanno ancora oggi un deposito seppur parziale sul proprio territorio. Abbiamo
messo nella bolletta elettrica degli italiani una quota minimale, poi Tremonti la
sforbiciò ulteriormente perché la portò ad 1/3.
     Oggi sappiamo che a giorni la Corte d’Appello dovrà decidere se
confermare la sentenza del Tar che triplica nuovamente gli importi delle
compensazioni. Per essere realisti, io ho sentito parlare a lungo di questa lista
secretata di siti possibili di deposito di scorie; qui dobbiamo essere sinceri, non

                                                                                   15
ci sarà mai nessuna cittadina che accetterà ex novo sul proprio territorio scorie
radioattive.
     Gli unici siti che possono realisticamente ospitare il deposito di rifiuti
radioattivi sono quelli che fanno già da deposito, dove il problema non deve
essere posto, ma esiste già. Nel ‘94 e nel 2000, abbiamo avuto due alluvioni
nel basso vercellese: in entrambi i casi fu investita la città di Trino. Per fortuna,
essendo sopraelevata, la postazione dei rifiuti non fu invasa, ma a Saluggia le
acque entrarono all’interno del deposito, i bidoni delle scorie furono spazzati
via. Questo deposito si trova alla bellezza di 250 mt dal più grande punto di
adduzione di acque del Piemonte, i pozzi dell’acquedotto del Monferrato.
     Le scorie radioattive lambirono i pozzi di adduzione e fu una cosa veramente
grave di cui la stampa nazionale non diede notizia. Venne poi in Parlamento
Rubbia a raccontarci quale fosse il pericolo e il rischio che anche un aereo di
piccole dimensioni avrebbe potuto determinare cadendo sopra alla Centrale
di Trino. È evidente che per quelli di Trino e di Saluggia il problema deve risolversi.
     Io credo che se si partisse con realismo dal proporre con serietà a Saluggia
o a Trino o ad uno degli altri siti, la possibilità di avere un deposito radioattivo
all’interno di un sito più sicuro, più concertato con la popolazione, magari in
quei luoghi un accordo si potrebbe trovare. Però bisogna intervenire. Tra un
po’ avremo anche il problema di riospitare all’interno del territorio nazionale,
le scorie che sono andate in Inghilterra e in Francia e francamente si pone il
quesito, cosa facciamo? L’elenco dei siti doveva essere pubblicato già due
anni fa. È ancora nascosto oggi.
     Si susseguono i Governi, ma nessun parla dell’elenco dei siti candidabili al
deposito radioattivo. Io penso che dovremmo cercare di costruire un’ipotesi in
cui in qualcuno degli otto siti nucleari il Governo affronti il problema. Ci sono
grandi fondi economici. Se consideriamo che Trino e Saluggia sono cittadine
depresse da un punto di vista economico, affrontare il discorso di un rilancio
economico di queste zone, in funzione di un deposito delle scorie, potrebbe
essere cosa realizzabile. Però non si sa neppure con chi interloquire per
cominciare a parlare di questo argomento. Noi vorremmo affrontare in termini
di realismo sano e concreto la possibilità di verificare anche l’ipotesi di un sito,
un deposito di rifiuti a Trino.
     Abbiamo una vastità di territori in questo senso e non abbiamo problema
ad affrontare l’argomento con sano realismo. Nessuno vuole incrementare il
proprio dato di scorie se non ha un incentivo forte. È assurdo che la Sogin
sia a Roma e non a Trino, Saluggia, Bosco Marengo. I 500 posti di lavoro
della Sogin, sarebbe opportuno arrivassero sul territorio, sul luogo dove si

16
decommissiona il nucleare non dove si pensa a decommissionare il nucleare
come a Roma. Tutto questo potrebbe essere un ragionamento da intavolare;
in più le compensazioni ambientali che prodigalmente il Governo Berlusconi
concesse ai siti ospitanti depositi parziali dei rifiuti radioattivi, dovrebbero essere
concertati in modo intelligente con i Comuni. Non è solo una questione di soldi,
ma anche ad esempio di ripensamento della Città. Se per esempio il parco
tecnologico venisse fatto nel Comune di Trino o Saluggia, questo creerebbe
non solo una situazione occupazionale, ma creerebbe anche residenzialità.
      La mia cittadina è passata da 13mila a 7mila abitanti nell’arco di pochissimo
tempo; è evidente che c’è un dramma da un punto di vista occupazionale,
reddituale, demografico in questi territori. Io mi auguro che con qualcuno
si possa affrontare la situazione. Tutti evitano di affrontare il discorso che
comunque prima o poi dovrà essere affrontato, anche perché i luoghi dove
i rifiuti sono accatastati, sono luoghi pericolosi, luoghi che dovrebbero essere
ripensati; non si può pensare di tenere, come oggi accade, i rifiuti nell’alveo del
fiume Po o della Dora.
      Oggi c’è una popolazione disponibile a ragionare sull’argomento, ma
purtroppo troviamo difficile ipotizzare che in luoghi che non hanno il problema
il problema si possa loro porre per il futuro. Ma voi immaginate che un qualsiasi
comune che oggi non ha il problema, accetterebbe mai di trovarselo in
casa? Soltanto coloro che hanno il problema, potrebbero affrontarlo in termini
realistici. Pertanto anche questo workshop organizzato da Farefuturo possa
essere l’occasione per creare le condizioni di una fattibilità della questione
che mi sta particolarmente a cuore.
                                                                          Roberto Rosso
                                                                Assessore Regione Piemonte

*Abbiamo ritenuto corretto pubblicare il testo dell’intervento svolto da Rosso al meeting anche se
successivamente lo stesso ha lasciato l’incarico in seguito alle vicende giudiziarie che lo hanno
coinvolto e che comunque esulano dalla sua attività di assessore.

                                                                                                17
SERVONO SOLUZIONI E PROGETTUALITÁ

                            di Antonio Zennaro

                      Ringrazio il Sen. Urso per l’invito, mio Vicepresidente
                 al Copasir. Il tema trattato oggi è considerato un tema di
                 nicchia che già qualche anno fa aveva occupato anche
                 la cronaca dei giornali. Oggi è un argomento importante
                 ma non ha la giusta attenzione da parte della politica. Sono
                 argomenti che non sempre hanno soluzioni semplici, e per
                 i quali viene chiesta, analisi, pianificazione e progettualità.
    È poi da considerare la multidisciplinarità del tema, perché si confrontano
materia ambientale, materia anche di sicurezza nazionale, materia di rapporti
con Enti locali e in molti casi anche rapporti con Stati esteri. Quindi mettere
insieme tutti questi temi, a volte è molto difficile, anche perché spesso le varie
normative sono contrastanti e poi c’è il rapporto con le comunità locali che
è un rapporto non sempre di facile gestione; in passato lo Stato è riuscito
a trovare delle strade percorribili, ma non sempre perché in alcuni casi si è
creato un effetto distorsivo di quello che poteva essere il tema.
    Quindi giornate come questa sono molto importanti. Su questi
temi la politica spesso si è divisa, ma è necessario trovare la massima
convergenza altrimenti si rischia di non avere il via libera dei territori creando
conseguentemente casi gravi su cui poi non si può tornare indietro. Su
questo c’è la disponibilità mia e di tanti colleghi del gruppo verso questo
tema e penso possa essere interessante capire come, sulla stessa materia, si
muovono i Paesi.
    Sotto questo profilo, l’iniziativa del Sen. Urso è molto importante e mi auguro
ci possa essere anche un prosieguo a cui presto la mia collaborazione
anche perché vedo colleghi di altri gruppi politici, pertanto si può discuterne
cercando di raggiungere comuni obiettivi.
                                                                   Antonio Zennaro
           Deputato, componente Commissione Bilancio e Finanze, Cinque Stelle

18
SERVE UNA SOLUZIONE CONDIVISA

                                di Lucio Malan

                          Ringrazio per l’invito su una tematica di cui spesso si ha
                     piacere non parlare, ma su cui bisogna confrontarsi e usare
                     il criterio del realismo esistendo appunto un problema su cui
                     bisogna trovare una soluzione.
                          Dunque necessita avere un quadro chiaro, un
                     approfondimento serio della questione, vedere dove sono
                     possibili delle sinergie all’interno e all’esterno del nostro
Paese. Indubbiamente su queste cose è opportuno utilizzare la migliore
tecnologia, le migliori esperienze, dei sistemi ed accordi per cui si possano
ridurre i costi sia in termini materiali, sia in termini ambientali e direi anche
sociali in cui l’allarme su queste cose è normale che sia così forte.
    Ad esempio l’interscambio di esperienze con località che sono più
avanti nel procedimento può essere molto utile, perché in ogni posto si
teme il peggio, per cui scambiare le esperienze con coloro che hanno fatto
già passi più avanti degli altri, è cosa utile sia dal punto di vista scientifico,
tecnologico, sia dal punto di vista dell’allarme sociale. Far sapere che lo
stesso procedimento è stato fatto altrove, in altro Paese o anche in Italia
stessa, senza problemi per la popolazione, per le falde acquifere e per tutte
le altre cose che giustamente richiedono l’attenzione è sicuramente utile. So
che l’assessore Rosso ha presentato l’argomento con realismo e credo sia
l’atteggiamento giusto, e cioè dando la disponibilità, di individuare un posto
dove si possano raccogliere i materiali di risulta.
     Tra l’altro ricordo che un po’ di anni fa si era arrivati sul punto di un accordo
con una località della Basilicata, su cui c’era stata anche la disponibilità,
perché il problema evidentemente era stato studiato nella sua realtà e
non nell’allarme che poteva giustificare, per cui fin quando si è trattato di
affrontare la cosa dal punto di vista tecnico, il sindaco di quella località non
trovò particolari problemi e dette il suo assenso al Governo.
    Quando poi dovette fare i conti con le reazioni mediatiche della
popolazione, dei gruppi che a volte in buona fede a volte un pochino meno,
hanno suscitato allarme, a quel punto c’è stato un passo indietro. Sono cose
che bisogna evitare altrimenti si paga il costo come se si fosse fatto e invece
ci si trova ad avere a che fare con il problema. Calcolando poi che l’intero

                                                                                    19
processo dura diversi decenni, sarebbe particolarmente necessario un
approccio responsabile, senza trasformare la situazione in uno strumento di
propaganda politica, di allarmismo a fini elettorali, perché rinviare il problema
non lo cancella.
    Un Governo per quanto possa durare non sarà mai lo stesso dall’inizio alla
fine del procedimento, per cui occorre un processo responsabile, realistico
con fondate, approfondite informazioni scientifiche che possano anche
essere divulgate in modo semplice.
                                                                    Lucio Malan
     Senatore, componente Commissione Affari esteri e Immigrazione, Forza Italia

20
CASE HISTORY

               21
L’ESEMPIO DELLA SLOVACCHIA
                      UTILE PER L’ITALIA

                                  di Tibor Rapant

                       Jadrová a vyraďovacia spoločnosť, a.s. Società per il
                   decommissioning nucleare, S.p.A. (JAVYS), è una società per
                   azioni al 100% di proprietà dello Stato Slovacco che esercita i
                   diritti dell’azionista attraverso il Ministero dell’Economia della
                   Repubblica Slovacca.
                       Gli obiettivi principali della Società sono:

1.   Decommissioning delle Centrali Nucleari A1 e V1 in modo sicuro, affidabile
     ed economico;
2.   Gestione del combustibile nucleare esausto;
3.   Gestione dei rifiuti radioattivi e i rifiuti radioattivi istituzionali;
4.   Gestione dei materiali radioattivi di origine sconosciuta;
5.   Possesso ed amministrazione del Deposito Nazionale dei RAW (rifiuti
     radioattivi);
6.   Supporto e assistenza tecnico specialistica nucleare nei settori di
     competenza quali la gestione del combustibile nucleare esausto e dei
     rifiuti radioattivi.

   La Società JAVYS è operatore importante anche sul piano internazionale.
La vasta esperienza di JAVYS nel decommissioning di impianti nucleari e
nel trattamento dei RAW è sempre più richiesta anche all’estero. La fornitura
di questi servizi crea spazio per la crescita dell’azienda in un importante
segmento dell’industria nucleare. Fornisce supporto commerciale alle
aziende in Italia, Repubblica Ceca, Germania, Bulgaria, Croazia e realizza
diversi progetti dell’UE in EuropeAid.

   Gestione del combustibile nucleare esausto e dei rifiuti radioattivi
   Le singole attività nell’ambito dei processi di gestione del combustibile
nucleare esausto e dei rifiuti radioattivi (RAW) vengono realizzate nei seguenti
impianti nucleari di proprietà di JAVYS:

22
1.   Deposito temporaneo di combustibile nucleare esausto a Jaslovské
     Bohunice;
2.   Tecnologie per il trattamento e condizionamento dei RAW a Jaslovské
     Bohunice;
3.   Trattamento finale dei RAW liquidi a Mochovce;
4.   Deposito integrale dei RAW a Jaslovské Bohunice;
5.   Deposito nazionale dei RAW a Mochovce.

    Tra le attività chiave per l’esercizio degli impianti nucleari vi sono: la messa
in atto del decommissioning della Centrale Nucleare A1 e della Centrale
Nucleare V1 attraverso la gestione dei RAW provenienti dallo smantellamento
di questi impianti nucleari, la successiva gestione dei RAW provenienti dai
blocchi in esercizio della Centrale nucleare di Bohunice V2 e della Centrale
nucleare di Mochovce 1, 2 operati dalla Società Slovenské Elektrárne, a.s.,
nonché la gestione dei RAW provenienti dagli impianti non nucleari.
    L’impianto nucleare “Tecnologie per il trattamento ed il condizionamento
dei RAW” è formato dal Centro di trattamento dei RAW a Bohunice, dalla
stazione di depurazione delle acque a bassa radioattività, dalle zone
di selezione dei rifiuti radioattivi, dagli impianti di frammentazione e di
decontaminazione dei materiali radioattivi metallici, dagli impianti per il
trattamento dei filtri di ventilazione usati e dei cavi elettrici usati.
    Nell’impianto nucleare “Trattamento finale dei RAW liquidi” a Mochovce
vengono svolte tutte le attività per il trattamento di concentrati radioattivi
liquidi e delle resine a scambio ionico esaurite dall’esercizio della Centrale di
Mochovce 1, 2.
    Dal 2017 è in funzione il Deposito dei RAW integrale temporaneo nel sito
di Bohunice. L’impianto è finalizzato allo stoccaggio temporaneo dei rifiuti
radioattivi provenienti dalla disattivazione delle Centrali nucleari V1 e A1, i
RAW stoccabili nonché i RAW non stoccabili nel Deposito nazionale dei RAW
in attesa della messa in esercizio un Deposito in profondità.
    I RAW a bassa attività trattati vengono di seguito, all’interno degli impianti
nucleari, inseriti e condizionati attraverso la cementazione nei containers di
fibrocemento e successivamente trasportati nel Deposito Nazionale dei RAW
a Mochovce. Il Deposito nazionale serve per lo stoccaggio finale dei RAW
condizionati a bassa attività e a molto bassa attività, derivanti dall’esercizio
e dalla disattivazione degli impianti nucleari nel territorio della Repubblica
Slovacca, dei RAW medicinali e di ricerca e dei materiali di origine sconosciuta.

                                                                                  23
Disattivazione della Centrale nucleare A1
    La Centrale nucleare A1 (CN A1) è stata in esercizio dal 1972 al 1977,
a seguito di un grave incidente. Nel 1979 il governo della ex-Repubblica
Socialista Cecoslovacca ha deliberato sulla sua disattivazione.
    La disattivazione della centrale nucleare A1 spenta dopo l’incidente viene
effettuata mediante una variante di disattivazione continua, articolata in
cinque fasi successive e con la conclusione di tutto il processo per il 2033.
Dall’ottobre 2016 vengono realizzate le lavorazioni delle fasi III e IV finalizzate
allo smantellamento degli impianti tecnologici del circuito primario, degli
impianti tecnologici usati nel passato nella preparazione del combustibile
esausto per il trasporto, dei due generatori di vapore, del sistema di
alimentazione dell’olio, di turbocompressori, dell’attrezzatura tecnologica di
gestione delle acque pesanti, dell’economia del biossido di carbonio, del
sistema di raffreddamento dell’attrezzatura tecnologica del circuito primario
e di altre apparecchiature tecnologiche correlate e connesse nel blocco di
produzione principale della CN A1. Nelle fasi III e IV prosegue il trattamento
dei RAW provenienti dallo smantellamento e dei RAW storici.

    Disattivazione della Centrale nucleare V1
    Nel 1999 la Repubblica Slovacca, adottando la risoluzione del Governo
della Repubblica Slovacca n. 801/1999 del 14 settembre 1999, si è impegnata
allo spegnimento del I blocco della Centrale nucleare V1 di Jaslovské
Bohunice (CN V1) entro la fine del 2006 e il II blocco entro la fine del 2008
– come previsto nelle condizioni di adesione della Repubblica Slovacca
all’Unione Europea. Ambedue i blocchi della CN V1 sono stati spenti nei
tempi previsti. La terminazione dell’esercizio non è stata causata da problemi
tecnici.
    Ai sensi del Piano di concezione della disattivazione della CN V1 è stata
scelta la procedura della c.d. “disattivazione immediata”. Le caratteristiche
principali di questa variante sono lo smantellamento immediato e continuo
di attrezzature, la demolizione di edifici e la preparazione del sito per essere
disponibile a nuovo utilizzo. La scadenza per la disattivazione della Centrale
nucleare V1 è il 2025. A processo concluso, il sito diventerà un “brownfield”.
Questa caratterizzazione identifica un bene immobile che, in caso di nuovi
progetti di ricostruzione o riutilizzo, causa la presenza o potenziale presenza
di sostanze pericolose o inquinanti o di contaminanti, potrebbe risultare
vincolante e limitante. I siti “brownfield” vengono solitamente finalizzati per
ulteriori scopi industriali.

24
La disattivazione della CN V1 è divisa in due fasi, ed è stata preceduta
dalla fase di “preparazione alla disattivazione” detta anche della terminazione
dell’operazione. Nel 2011, la Società JAVYS ha ottenuto un’autorizzazione per la
prima fase di disattivazione della Centrale nucleare V1, rilasciata dall’Autorità
della Regolazione Nucleare della Repubblica Slovacca. Dopo l’entrata in
vigore dell’autorizzazione in luglio 2011, la CN V1 è entrata nell’ultima fase
formale della sua esistenza che consiste nel decommissioning in sicurezza
della Centrale, attraverso il trattamento e il condizionamento dei RAW e nel
rilascio di altri materiali non contaminati nell’ambiente, in conformità con
le raccomandazioni dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Nel
2015 è iniziata l’attuale II fase della disattivazione della CN V1 da completare
entro il 2025.
     Le attività della fase di preparazione alla disattivazione hanno incluso
la completa rimozione del combustibile dai reattori nella rispettiva piscina
di combustibile esausto e successivamente nel deposito temporaneo
del combustibile nucleare esausto, la preparazione degli impianti per il
trattamento dei rifiuti, il trattamento e il condizionamento dei rifiuti storici,
la caratterizzazione fisica e radiologica, la modifica dei sistemi elettrici e
tecnologici per consentire l’inizio delle lavorazioni di smantellamento. Durante
questa fase, sono stati elaborati documentazione tecnica e documentazione
base di gara per i progetti della prima fase.
     Le attività della I tappa includevano lo smantellamento di sistemi inattivi
e la demolizione di edifici non più necessari e quindi dei sistemi della sala
macchine, la demolizione di strutture e di altri edifici relativi al funzionamento
della Centrale, lo smantellamento parziale di apparecchiature elettriche
esterne e delle sottostazioni, l’adeguamento degli edifici per il loro successivo
utilizzo e la preparazione degli spazi per lo stoccaggio operativo dei rifiuti
in loco. Durante questa fase è stata elaborata la documentazione tecnica
e documentazione di acquisizione per concludere i contratti per i progetti
della II fase.
     Le attività della II tappa interessano lo smantellamento dei sistemi
restanti della Centrale e la demolizione delle strutture rimanenti nell’ambito
della disattivazione. Ciò include la rimozione dei sistemi e dei componenti
dall’edificio dei reattori, dell’edificio delle operazioni ausiliarie, degli edifici
di sistemi elettrici (cavi, distributori, ...) trasversali e longitudinali. Saranno
smantellati anche i serbatoi esterni, le condotte sotterranee e le linee di cavi.
La decontaminazione e la demolizione degli edifici verrà effettuata dopo il loro
svuotamento. L’ambito previsto della disattivazione si riferisce solo agli edifici,

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ai sistemi e alle apparecchiature della Centrale nucleare V1 non condivisi
con altri impianti. Quando il sito sarà ripristinato (o risanato) e dopo il suo
controllo finale il sito verrà svincolato dalla protezione istituzionale prevista
dalle leggi vigenti (sorveglianza da parte di ÚJD SR).
    La gestione dei rifiuti storici e di smantellamento segue una procedura
attentamente pianificata per tutta la durata del processo di disattivazione.
Essa include il trattamento ed il condizionamento dei rifiuti prodotti durante
l’esercizio della Centrale (rifiuti radioattivi solidi, rifiuti metallici, fanghi e
resine esauste). Per la disattivazione della Centrale nucleare V1 sono state
appositamente edificate due strutture di stoccaggio nel Deposito nazionale
dei RAW a Mochovce per garantire una capacità sufficiente per lo stoccaggio
dei rifiuti provenienti dallo smantellamento.
    Tutti i costi per le attività di disattivazione della Centrale nucleare V1
sono coperti dal Fondo Nucleare Nazionale della Repubblica Slovacca e
dalle risorse dell’Unione Europea finalizzate al presente progetto attraverso il
Programma Bohunice.

    Programma Bohunice
    Le finalità del Programma Bohunice mirano a supportare la Repubblica
Slovacca nel processo di decommissioning dei due blocchi della Centrale
Nucleare V1 in conformità con i piani di disattivazione, garantendo i massimi
livelli di sicurezza. Le attività di disattivazione della Centrale Nucleare V1
sono pertanto cofinanziate dai fondi dell’Unione Europea tramite il Fondo
Internazionale di Sostegno alla disattivazione della Centrale Nucleare di
Bohunice (fondo BIDSF) gestito dalla Banca Europea per la ricostruzione e
lo sviluppo. Nell’agosto del 2016 hanno avuto inizio le attività dell’autorità
nazionale d’implementazione per lo smantellamento della Centrale nucleare
V1 – Agenzia Slovacca per l’Innovazione e l’Energia, Slovenská Inovačná
a Energetická Agentúra (SIEA). Da allora i fondi dell’UE per il Programma
Bohunice vengono ridistribuiti tra i due organismi d’implementazione.

   Consulente PMU
   Il supporto della Società JAVYS per la pianificazione, preparazione,
acquisizione e realizzazione dei progetti relativi alla disattivazione della
Centrale nucleare V1 viene coperto dal Consulente Project management unit
(PMU), operativo dal 2015 con la Società d’Italia SO.G.I.N (Società Gestione
Impianti Nucleari S.p.A.). Il ruolo principale del Consulente PMU è soprattutto
di assistere la Società JAVYS nell’efficace funzionamento della struttura

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organizzativa PMU, di cooperare nella realizzazione delle attività relative alla
II fase dello smantellamento della Centrale nucleare V1, con particolare
riguardo a ingegneria, stima dei costi, acquisizione, gestione dei contratti e
monitoraggio dei progetti dello smantellamento della Centrale nucleare V1.

     Demolizione delle torri di raffreddamento della Centrale Nucleare V1
     Nel novembre 2018 si è concluso con successo lo smantellamento e
la demolizione delle torri di raffreddamento della Centrale Nucleare V1.
Nell’ambito del progetto assegnato, attraverso gara all’Azienda italiana DESPE
S.p.A., sono state completamente effettuate tutte le lavorazioni relative alla
bonifica degli spazi da materiali pericolosi di amianto, demolizione completa
e separazione dei materiali demoliti, frantumazione di calcestruzzo delle 4
torri di raffreddamento della Centrale Nucleare V1 e delle strutture correlate,
compreso il riempimento e la risistemazione dei terreni. La demolizione
delle torri di raffreddamento della Centrale Nucleare V1 è stata effettuata
utilizzando il metodo di demolizione convenzionale, ovvero attraverso uno
smantellamento graduale delle torri. Per ragioni di sicurezza non è stato
possibile impiegare esplosivi per le torri, a causa della prossimità della vicina
Centrale Nucleare V2 e del deposito temporaneo di combustibile nucleare
esausto. Le lavorazioni di demolizione della prima torre di raffreddamento
hanno avuto inizio nell’ottobre 2017 e sono state completate esattamente
un anno dopo. Durante le lavorazioni di demolizione sono stati rimossi circa
50.000 m3 di materiale di cemento armato che è stato gradualmente
lavorato sul posto in un impianto di frantumazione munito di separatore di
materiale metallico. Il calcestruzzo bonificato e frantumato dalla demolizione
è stato utilizzato per il riempimento delle cavità prodotte dalla demolizione
stessa, i rifiuti metallici dalle torri sono stati restituiti al processo di riciclaggio.
Lo spazio recuperato in seguito alla demolizione delle torri di raffreddamento
può essere utilizzato per nuovi scopi industriali.

    Progetto di smantellamento del circuito primario
    Per la disattivazione della Centrale Nucleare V1, il progetto chiave
riguarda lo smantellamento delle componenti di grandi dimensioni del
circuito primario. Il progetto ha avuto inizio dall’ottobre 2017 e deve essere
terminato entro il dicembre 2022. La missione è in mano a Westinghouse
Spagna, Westinghouse Svezia e la Società slovacca VUJE. Le attività principali
sono focalizzate sulla decontaminazione propedeutica allo smantellamento,
successivo smantellamento, frammentazione delle attrezzature persistenti

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in ambedue i circuiti primari dei reattori e degli altri componenti situati in
entrambe le zone ermetiche dei reattori nucleari e nelle piscine di stoccaggio
del combustibile esausto. Il progetto prevede anche la separazione dei
materiali, imballaggio degli stessi negli adeguati contenitori e successivo
trasporto negli spazi di stoccaggio e poi verso le linee di trattamento.
     Parte importante del progetto implementato è stata l’identificazione
con successiva edificazione di siti adeguati ai lavori di taglio a secco e a
umido in entrambi i blocchi. Il taglio a secco verrà finalizzato per tagliare le
pompe di circolazione principali, le valvole di intercettazione principali e i
tubi del circuito primario. Con il taglio a umido verranno tagliati sott’acqua
i recipienti in pressione dei reattori, parti interne di entrambi i reattori e le
cassette di schermatura. Uno dei passaggi più impegnativi nelle lavorazioni
di disattivazione di quest’anno è stato lo spostamento di dodici generatori di
vapore nella sala macchine dove vengono stoccati.
     Questi saranno frammentati a secco nel sito recentemente costruito.
Il trasporto di generatori di vapore da 145 tonnellate è durato da marzo
2019 a luglio 2019. L’elevato peso dei generatori di vapore ha richiesto un
semirimorchio speciale oltre a un ampliamento dei fori sopra i generatori di
vapore, mai stati aperti dai tempi della costruzione.
     Con il trasporto dei generatori di vapore, in totale sono state rimosse
1.872 tonnellate di materiale di cui circa 1.360 tonnellate di metallo che, in
conformità con le raccomandazioni dell’Agenzia internazionale per l’energia
atomica, saranno rilasciate nell’ambiente.
                                                                   Tibor Rapant
                                     Manager Decommisioning impianti nucleari
                                                                   Società Javys

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