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IL DECOMMISSIONING NUCLEARE IN ITALIA UN CONFRONTO TRA STAKEHOLDER ROBERTO ADINOLFI CARLO DE MASI ATTI DEL CONVEGNO MARIO LAZZERI MAURO LIBÈ 16 ottobre 2019 LUCIO MALAN UMBERTO MINOPOLI ROMA PIERSANTE MORANDINI Sala Aldo Moro DANIELE PANE Camera dei Deputati MAURIZIO PERNICE TIBOR RAPANT ROBERTO ROSSO ADOLFO URSO ANTONIO ZENNARO GIANPIERO ZINZI
I N D I C E ATTI DEL CONVEGNO 16 ottobre 2019 Roma - Sala Aldo Moro Camera dei Deputati PREFAZIONI 3 Roberto Adinolfi 3 Adolfo Urso 10 LE POSIZIONI DEI LEGISLATORI 14 Roberto Rosso 15 Antonio Zennaro 18 Lucio Malan 19 CASE HISTORY 21 Tibor Rapant 22 Mario Lazzeri 29 ATTORI A CONFRONTO 33 Umberto Minopoli 34 Maurizio Pernice 38 Mauro Libè 41 Carlo De Masi 45 Gianpiero Zinzi 48 Daniele Pane 51 CONCLUSIONI 53 Piersante Morandini 54
P R EFAZI O N I 20 ANNI DI DECOMMISSIONING IN ITALIA: TEMPO PER UNA RIFLESSIONE di Roberto Adinolfi L’anno 2020 rappresenta una data significativa per il Decommissioning italiano: quando nel 1999 il Ministro dell’Industria dell’epoca pubblicò il documento “Indirizzi strategici per la gestione degli esiti del nucleare”, inviandola al Parlamento che l’accolse con favore bi-partisan, il 2020 era la data prefigurata per riportare a prato verde i siti delle quattro centrali nucleari dell’ENEL che avevano funzionato sino al 1986, e che già da 14 anni erano ferme in attesa di una scelta da parte della politica. L’evento che aveva sbloccato tale scelta era la necessità di procedere alla privatizzazione dell’ex- Ente Elettrico nazionale, senza far gravare su tale processo gli oneri connessi alla dismissione e alla bonifica dei siti nucleari 1. Anche in virtù di questa necessità “collaterale”, il programma delineato nella Strategia partiva con buone basi: • un consenso politico ampio, inclusivo dei movimenti nati per contrastare la produzione elettronucleare in Italia, che vedevano di buon occhio la fuoriuscita “definitiva” dal settore; • un meccanismo di finanziamento con prelievo diretto dalla bolletta elettrica, che dava ragionevole certezza sulla disponibilità dei fondi necessari e sulla possibilità di adattarli negli anni alle fluttuazioni di costo, legate al progressivo approfondimento delle reali problematiche esistenti nei vari siti; • il potenziale vantaggio “tecnico” derivante dal tempo trascorso dalla 1 Val la pena ricordare che i fondi accantonati da ENEL a questo scopo, durante l’esercizio degli impianti, risultavano largamente insufficienti, in parte per una sottostima dei costi del decommissio- ning, ma ancor più per la chiusura anticipata degli impianti. 3
fermata degli impianti, con conseguente diminuzione del livello di radiazione, e quindi con l’effettiva possibilità di procedere subito ad un “decommissioning a prato verde”. L’obiettivo 2020 appariva quindi ambizioso, ma non impossibile. E certo attraente per il Paese, che avrebbe potuto maturare, ben prima di altri, conoscenze e competenze destinate a diventare preziose nel futuro mercato mondiale del decommissioning, quando anche all’estero gli impianti, costruiti prevalentemente negli anni 70 ed 80, avrebbero chiuso il loro ciclo di vita atteso. 20 anni sono ora passati e non possiamo non riconoscere che quelle previsioni sono state largamente disattese: il ritorno a prato verde si è spostato in avanti ad ogni revisione dei programmi SOGIN, ed oggi si colloca, a seconda degli impianti, tra il 2030 ed il 2040; ancora non sono state “aggredite” le parti degli impianti a più alto contenuto radiologico (i componenti attivati); la definizione di un sito finale di stoccaggio è avvolta nella nebbia. Appare quindi quanto mai tempestiva una seria riflessione, come ci si propone in questo seminario, sulle cause dirette ed indirette di ciò che è accaduto, meglio ancora se congiuntamente condivisa da tutti gli attori interessati, siano essi la politica, il soggetto attuatore, l’industria nazionale. Il contributo che cercherò di offrire ad un tale dibattito è un punto di vista spiccatamente “industriale”, maturato da un’azienda come Ansaldo Nucleare che ha identificato sin dall’inizio, nel programma nazionale di decommissioning, non solo un’opportunità, ma una “mission”, in linea con la sua vocazione di azienda mirante a preservare ed accrescere le competenze italiane nel settore nucleare, nell’interesse del suo azionista pubblico. E lo farò provando a rispondere ad alcune domande “di base”. 1. Vale la pena impegnarsi nel mercato del decommissioning? I volumi di spesa connessi con lo smantellamento delle installazioni nucleari sono spesso additati, a buona ragione, come uno dei più significativi programmi di investimento, nel comparto energetico, per quei Paesi che hanno partecipato allo sfruttamento pacifico dell’atomo da 60 anni ad oggi. Il fatto che la legislazione nucleare abbia sin dall’inizio preso in considerazione i costi dello smantellamento (seppure in maniera parziale o non completamente adeguata) ha creato la premessa perché, nei vari Paesi, vi sia una capacità di spesa “prenotata” a tale scopo ed accumulata nel 4
tempo: cosa che non sempre accade nel mondo delle “bonifiche” industriali. Ma per chi deve operare scelte di sviluppo industriale non contano solo i volumi… Innanzi tutto, c’è da valutare la effettiva prevedibilità del business: quando i volumi potenziali diventeranno certezze, quali sono i fattori che innescano la crescita, quanti di essi sono governabili da parte del Fornitore? Anche nel nucleare, come nel caso di altre bonifiche, la scelta più facile per il soggetto chiamato a spendere sembra essere: procrastinare! Anzi, nel caso del nucleare, la disponibilità di risorse finanziarie accantonate ex- lege ha spesso dato luogo alla tentazione di mantenere questi capitali a disposizione della solidità aziendale, piuttosto che investirli in un programma comunque non immune da rischi! Non è questo il caso dell’Italia, considerato che il meccanismo di finanziamento in atto è basato su un accumulo proporzionato ai piani triennali di spesa proposti da SOGIN e validati dall’Autorità per l’Energia Elettrica. Ma anche nel nostro Paese vari fattori intrinseci hanno contribuito a rallentare fortemente l’effettiva propensione alla spesa del soggetto attuatore: • La gestione del programma attraverso fondi “pubblici” comporta l’applicazione di meccanismi di controllo della spesa (il Codice degli Appalti), che favoriscono lo spezzettamento del piano globale in una serie di specifici interventi, più facilmente definibili e quantificabili2. Ciò inserisce ritardi difficilmente contenibili, sia per la mancanza di risorse in numero adeguato al proliferare dei progetti, sia per il moltiplicarsi dei contenziosi sui singoli interventi. • La natura stessa della SOGIN, società creata sostanzialmente con una “missione a finire” (riportare gli impianti italiani a prato verde), e non sufficientemente incentivata a “finire quanto prima”. A questo si è cercato negli anni di porre rimedio con un più sofisticato meccanismo di riconoscimento costi, posto in atto dall’Autorità per l’Energia Elettrica, che però non sembra aver dato significativi risultati. 2 Così facendo, però, si perde di vista il vantaggio economico legato al fattore “durata comples- siva del programma”: in pratica, per spezzettare si finisce per spendere in costi fissi di gestione, crescenti nel tempo, più di quanto si conta di risparmiare ottimizzando il costo dei singoli interventi. 5
Se ad essi si aggiungono i fattori esterni di ritardo, quali la forte regolamentazione del settore, che comporta iter approvativi non prevedibili nei tempi (anche a causa dell’indebolimento dell’Autorità di Sicurezza), si comprende bene che il decommissioning, in Italia come in altri Paesi, rappresenta un business molto difficile da pianificare per un investitore industriale. Peraltro, anche la profittabilità delle commesse di decommissioning è affetta da incertezza, anche in questo caso sia per fattori intrinseci che per fattori esterni. Tra i primi, il più rilevante è senz’altro la natura di pura spesa, ossia senza effettivo ritorno economico, che il decommissioning rappresenta per il gestore dell’impianto: comprensibilmente ciò si traduce in una propensione per la ricerca del minor prezzo, e quindi della minimizzazione del premio che si è disposti a riconoscere al contrattista, a prescindere da considerazioni sui risparmi di costo legati al tempo di realizzazione o al trasferimento di parte dei rischi. Tra i secondi, val la pena citare il ricorrente affacciarsi al mercato del decommissioning di nuovi attori poco familiari con le complicazioni tipiche della normativa nucleare (ad esempio in termini di Garanzia di Qualità, di documentazione richiesta a supporto degli interventi, etc) e quindi portati a sottostimare gli effettivi oneri ed abbassare i prezzi in sede di offerta (salvo poi cercare di recuperare in corso d’opera, o anche abbandonare precipitosamente il mercato). Si comprende quindi come la risposta alla domanda se valga la pena impegnarsi in questo mercato possa volgere al no, almeno per molti attori industriali non presenti già nel settore nucleare. Ma per chi nel settore già opera, è opportuno, prima di arrivare ad una conclusione, porsi un’ulteriore domanda… 2. Quali condizioni possono rendere effettive le opportunità di crescita che all’interno del settore nucleare il decommissioning può offrire? Domanda, questa, particolarmente rilevante, nella fase che, almeno in Occidente, sta vivendo il mercato nucleare, ossia di grave scarsità di investimenti in nuovi impianti. Come già detto, i volumi di attività connessi al decommissioning sono significativi, crescenti, diversificati su molti Paesi. Chi opera nel settore nucleare non può quindi non valutare con analisi più dettagliate come cercare di trarre profitto dalla “corsa al decommissioning”. E peraltro, anche i gestori dei piani di smantellamento dovrebbero condurre 6
analisi similari, nell’intento di mantenere alto l’interesse per i loro programmi da parte del massimo numero di fornitori qualificati. In larga misura, la risposta a questa domanda deriva da come, per ciascun Paese (o in alcuni casi all’estero, per ciascun gestore) si prova a superare le difficoltà, intrinseche ed estrinseche, individuate in precedenza. Mi limiterò qui a citare alcune “buone prassi” che potrebbero incidere positivamente anche sulla situazione italiana. a) Legare l’ingegnerizzazione dell’intervento all’esecuzione Contrattualizzare la mera realizzazione dell’intervento, sulla base di un’ingegnerizzazione spinta dell’intervento da parte del gestore, è causa di molteplici disfunzioni: • Tende a definire una soluzione non ottimizzata sull’effettiva capacità del singolo imprenditore, ma ad imporre allo stesso di adeguarsi a quanto ipotizzato dal progettista: nel caso di operazioni non convenzionali e/o ripetitive, quali quelle tipiche del decommissioning, ciò significa rinunciare a beneficiare dell’esperienza man mano accumulata dagli imprenditori più esperti e referenziati. • Espone al rischio di imprevisti tecnici emergenti in corso d’opera (ad esempio: condizioni di contaminazione locale differenti da quelle ipotizzate, strutture non coerenti con la documentazione di riferimento a causa di modifiche intervenute negli anni e non correttamente registrate, etc): tali imprevisti dovranno essere gestiti da diversi soggetti (progettista e contrattista), con interessi divergenti. • Crea un collo di bottiglia nella contrattualizzazione degli interventi, laddove il gestore non disponga di sufficiente capacità progettuale. • Responsabilizza il contrattista sulla corretta esecuzione del progetto dato, piuttosto che sulla efficacia dell’intervento. Viceversa, l’affidamento di attività sulla base di specifiche “funzionali”, mirate alla definizione dello stato finale da raggiungere con l’intervento, piuttosto che delle modalità dello stesso, può consentire una maggiore adattabilità alle effettive caratteristiche del problema così come del contrattista, ed anche una maggiore 7
responsabilizzazione di quest’ultimo sulle tempistiche del programma, con meccanismi di incentivazione (e non solo di penalizzazione) sia in fase di gara che di esecuzione. b) Graduare il processo di licensing agli effettivi rischi delle singole attività In generale i processi di licensing nucleare sono stati sviluppati, nei vari Paesi, con riferimento alla costruzione di nuovi impianti, e quindi con una forte attenzione alle implicazioni che qualsiasi malfunzionamento potrebbe avere nella successiva gestione di un impianto con elevati potenziali di rischio radioattivo. Nel caso delle attività di decommissioning, i rischi radioattivi sono decisamente più bassi (a seguito dell’allontanamento del combustibile dalla centrale) ed inerenti alla singola attività in esame, non ad effetti secondari dei possibili malfunzionamenti. Di conseguenza, è opportuno che i processi di licensing vengano ritarati sui rischi effettivi delle singole attività. Rilevante, in questo contesto, anche il beneficio potenzialmente derivante dall’integrazione tra ingegneria ed esecuzione dell’intervento, come descritto al punto precedente: in tal caso, infatti, il processo di licensing potrà accompagnare la definizione del programma di esecuzione dell’attività, piuttosto che svilupparsi in via propedeutica su un’ipotesi progettuale non ancora pienamente dettagliata in termini operativi. c) Accorpare gli interventi per fasi del programma e ricorso a General Contractors Un ulteriore passo in direzione di una focalizzazione sui tempi di esecuzione dei programmi di decommissioning può verosimilmente essere favorito da un più spinto accorpamento degli interventi, ad esempio raggruppando tutti quelli relativi ad una certa fase del programma ed affidandoli ad una sorta di General Contractor, che si assuma la responsabilità di ottimizzarne l’esecuzione nei minori tempi possibili, eliminando interferenze e conflitti operativi. Per quanto questa soluzione possa apparire molto più complessa da impostare e gestire contrattualmente, essa consentirebbe di moltiplicare la “capacità di fuoco”, specie nel caso di un gestore di più siti, magari in differenti fasi di avanzamento del programma (e quindi con problematiche di diversa natura da affrontare in parallelo). 8
3. Concludendo… I processi decisionali tipici di un attore industriale, che ho qui cercato di esemplificare, possono dare conto di alcune delle vicende che in questi venti anni hanno causato i massicci slittamenti del programma italiano: difficoltà nel completamento delle opere contrattualizzate, “fuga” di contrattisti esteri provenienti dal settore nucleare, ma anche di contrattisti italiani che da altri settori hanno provato ad affacciarsi a questo mercato, e così via. Calandosi però nei panni dei fornitori, è comunque possibile immaginare, almeno per alcune di queste problematiche, delle soluzioni che cambino il trend fin qui registrato, puntando sullo stimolare l’attenzione e l’interesse degli attori più qualificati e costruendo, anche grazie alla loro esperienza, un programma più rapido, ma principalmente più affidabile. Mi sia permessa comunque anche un’ultima considerazione, che esula dal ruolo “industriale” al quale ho cercato fin qui di attenermi. Un ulteriore fattore che ha pesantemente influito sui ritardi accumulati dal programma italiano è certamente la mancata definizione della sistemazione finale dei rifiuti, ovvero la questione del Deposito Nazionale, il cui processo di identificazione si è nuovamente arenato per mancanza di decisione politica. Questo ha creato oggettive difficoltà tecniche sia alla SOGIN che all’Autorità di Sicurezza, e più in generale genera un’alea di incertezza per tutti gli stakeholders, che non può non influire sulle effettive motivazioni ad accelerare. Viceversa, la decisione a suo tempo presa di identificare in SOGIN il gestore del futuro Deposito, se resa credibile nei fatti, di per sé potrebbe consentire di elaborare, da parte di questo soggetto, una chiara strategia di business a medio/lungo termine, mirata a realizzare al più presto lo smantellamento, per poter poi ricavare utili dalla gestione dei rifiuti da esso provenienti, come anche da quelli crescenti da altre attività nucleari non connesse alla produzione di energia. Quindi, in ultima analisi, per accelerare il programma nazionale di decommissioning, è proprio la politica ad avere nelle sue mani una chiave di volta potenzialmente decisiva, già tratteggiata e da concretizzare con scelte non più rinviabili. Roberto Adinolfi Amministratore delegato Ansaldo Nucleare 9
LA PEGGIORE POLITICA È QUELLA DEL RINVIO di Adolfo Urso I lavori di questo workshop sono stati promossi dalla fondazione Farefuturo che presiedo, in collaborazione con lo studio legale dell’avvocato Morandini, il quale è anche componente il nostro Comitato scientifico, e riguardano una tematica che ha caratterizzato la mia attività politica, parlamentare e legislativa. Come ricorderanno alcuni degli attori che interverranno in questa significativa giornata di lavoro, sono sempre stato impegnato nel tentativo di riaprire la strada del nucleare civile nel nostro Paese. Da giovane, ho contrastato il referendum che, dopo Cernobyl, alcune forze politiche promossero, a fini meramente strumentali, per chiudere le centrali già operative e per precludere questa attività alle aziende italiane. Fummo l’unico Paese a decidere di precluderci quella opportunità pur avendo i migliori titoli scientifici per farlo. Italia con Gran Bretagna e Usa era allora in testa nella produzione di nucleare civile! Nella mia attività parlamentare e poi come esponente del governo ho dato il mio contributo in prima fila, sulla base delle mie convinzioni, anche quando era impopolare esprimerle. Ero convinto e lo sono ancora oggi che la produzione di energia deve essere necessariamente affrontata scevra da pregiudizi ideologici, avendo come faro il rispetto dell’ambiente, la competitività del sistema e la sovranità nazionale. Proprio per questo, oggi come allora in Italia occorre garantire la differenziazione delle fonti energetiche. Nei primi anni Duemila, nei primi giorni della mia attività di governo, con la delega al Commercio Estero, mi attivai affinché fosse concessa la necessaria copertura assicurativa della Sace ad Ansaldo Nucleare, una importante azienda italiana che aveva vinto una gara per la costruzione di una centrale nucleare in Romania. Sembrava una cosa impossibile. Ci riuscimmo e così riaprimmo la strada alle imprese italiane operanti all’estero. Considerate che in quel periodo c’erano ancora i postumi del referendum che riguardava 10
appunto la produzione nucleare in Italia e che i più ritenevano che la preclusione dovesse riguardare ogni attività delle imprese italiane, anche all’estero. Ansaldo Nucleare realizzò quell’opera e poi vinse anche la gara successiva: un grande successo di tecnologia e di impresa italiana con importanti ricadute tecnologiche e occupazionali anche in Italia! Mi sono occupato una seconda volta della questione poco tempo dopo, quando l’Enel, che era stato oggetto di uno dei quesiti nucleare ma nel frattempo era diventata una società per azioni, pose il problema di una crescita strategica in Europa, assolutamente necessaria per la scala di valore del settore. L’Enel aveva intenzione di acquisire la società energetica in Slovacchia, che gestiva le locali centrali nucleari, e poi Endesa in Spagna, che gestiva quelle iberiche.Aveva bisogno quindi di potere agire superando la preclusione referendaria. Agimmo in tal caso attraverso un intervento legislativo, di cui mi feci promotore, appunto per consentire all’ENEL, che nel frattempo era diventata una Spa, di superare quel quesito per poter operare all’estero. Me ne occupai una terza volta quando, insieme con il ministro Scajola, cercammo di avviare in questo Paese una nuova via per la produzione del nucleare, voi sapete come finì quella storia: riuscimmo a superare il giudizio parlamentare, la legge fu approvata (io ne fui relatore), poi la questione prese un’altra strada o meglio non ne ha preso nessuna, ancora una volta sotto la spinta emotiva di un incidente, in questo caso in Giappone. Oggi affrontiamo un tema che è necessario tanto più per un Paese come l’Italia che negli anni Cinquanta era uno dei principali attori mondiali, insieme con Gran Bretagna e Stati Uniti allora ci contendevamo la leadership nella produzione di energia nucleare civile. Quando, dopo Cernobyl, giunse il referendum fu decisa la chiusura delle centrali operative che erano quattro e una quinta mi sembra che fosse in fase di realizzazione. Quelle centrali chiuse, con enormi costi per la collettività, per decisione di cittadini producono degli effetti negativi ancora oggi. Di questo ci occupiamo in questo meeting, cioè del decommissioning nucleare in Italia con un confronto tra i rappresentanti delle forze politiche che giungeranno in questa sala man mano che i lavori parlamentari della Camera e del Senato lo consentiranno, e i principali attori: aziende, enti locali, associazioni di consumatori, autorità vigilanti. La data di oggi è evocativa per chi si occupa di nucleare, ci è stata richiesta da parte degli attori civili e produttivi ma non coincide però coi tempi parlamentari perché mercoledì è davvero “giorno di fuoco” in Parlamento: 11
io stesso oggi sono stato già costretto ad un primo intervento in aula sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo, e sarò costretto questo pomeriggio ad un secondo intervento in Aula sul decreto sulle crisi aziendali. Aggiungo: quante crisi industriali si sarebbero potute evitare se l’energia fosse costata meno, se quelle centrali nucleari avessero potuto produrre nel loro normale ciclo di vita, come nel frattempo è accaduto in Francia, in Germania, in Austria, comunque nella nostra Europa! Ora comunque focalizziamo il dibattito sul decommissioning, attività che avrebbe dovuto essere svolta in Italia, come conseguenza del referendum, prima e meglio di altri Paesi e fungere poi da modello operativo per gli altri! La questione quindi per l’Italia è più importante che altrove innanzitutto proprio perché abbiamo delle centrali che da oltre trent’anni devono essere smantellate e le cui scorie devono essere collocate nel deposito più sicuro; questo ovviamente a garanzia anche del territorio e ovviamente in generale dei nostri cittadini. Insieme ad esse, ovviamente, anche le scorie e i rifiuti che vengono dalla attività quotidiana: pensiamo a quelle delle centrali siderurgiche o dei centri radiologici ospedalieri. Per questo uno degli argomenti sicuramente di questo meeting sarà anche quello del deposito nazionale delle scorie. Sapete che l’UE ha deliberato che ogni Paese dell’Unione debba avere un suo deposito nazionale, cosa che altri hanno già fatto nel migliore dei modi, con gare pubbliche tra enti locali che si sono contesi questo diritto, cioè questa grande opportunità. In Italia, invece, anche questo è vissuto come una ferita, una cosa da cui fuggire; è già difficile smaltire i rifiuti urbani, i nostri rifiuti domestici, figuriamoci le scorie nucleari! Noi addirittura utilizziamo spesso le centrali di smaltimento, i termovalorizzatori all’estero per i normali rifiuti quotidiani, pagando costi altissimi per il trasporto e lo smaltimento, immaginiamo cosa ciò significa per le scorie nucleari. Il governo Berlusconi cercò di dare tempestiva soluzione individuando il sito in Basilicata, ministro era allora l’amico Altero Matteoli, ma fu costretto a fare marcia indietro a fronte delle proteste facilmente strumentalizzate e in qualche caso organizzate da chi guarda ai propri interessi piuttosto che a quelli generali. Del deposito nazionale non c’è più traccia, così come della lista dei possibili siti che già il Governo precedente avrebbe dovuto pubblicare, anzi sembra che sia addirittura secretata, utilizzando un termine da Copasir. 12
Assistiamo ad un vergognoso scaricabarile da ministro a ministro, da governo a governo, mentre si aggrava la nostra posizione in Europa dove siamo sottoposti ad una grave procedura di infrazione proprio perché inadempienti! Ci auguriamo che il nodo si sciolga tutto nel più breve tempo possibile, per dare una soluzione definitiva e un quadro completo e definito, anche per consentire a Sogin e alle imprese del settore di gestire lo smaltimento dei rifiuti delle centrali e di porre fine alla pratica di depositi temporanei, il cui costo si scarica anch’esso sulla collettività, oltre, ovviamente, ad essere meno sicuri di quanto possa essere il deposito nazionale. Questo anche per dare soddisfazione ai cittadini che nel frattempo pagano in bolletta anche una quota che viene destinata appunto allo smantellamento delle centrali, che si aggiunge ad altre destinate a questioni che sono del tutto diverse da quelle energetiche. Una pessima abitudine a cui occorre porre termine. Con queste premesse, apriamo i lavori del meeting che spero possa dare il suo contributo positivo. Adolfo Urso Presidente Fondazione Farefuturo 13
LE POSIZIONI DEI LEGISLATORI 14
PERCHÉ A TRINO SI PUÓ di Roberto Rosso Sono nato a Trino che è la cittadina in cui nello stesso anno si sviluppava la centrale nucleare che nel ‘64 avrebbe avuto partenza. Fu una centrale nucleare particolare perché ebbe anche il record mondiale di funzionamento senza interruzione, era una centrale da 360 MW che allora era una enormità, una delle più grandi centrali al mondo. Tuttavia era stata pensata per il solo funzionamento e non per lo smantellamento; tutti sapevano che si sarebbe creato il problema di uno smantellamento successivo, ma nessuno pensò allora come realizzarlo. Tant’è che a distanza di 33 anni dal blocco che il referendum sul nucleare generò in Italia, siamo ancora molto lontani da trovare una soluzione. Qui c’è l’avvocato Morandini che si occupa per Westinghouse della questione. Noi non sappiamo ancora come smantellare il vessel che contiene il cuore nucleare della centrale. Abbiamo smantellato negli anni passati, o meglio, abbiamo portato all’estero una serie importante di scorie radioattive, però ancora oggi Trino e Saluggia che sono i due siti nucleari del Piemonte, insieme a Bosco Marengo, hanno problemi molto evidenti. Bisogna essere molto realisti: io penso che quello che sta facendo il Governo non è coerente con una politica di smantellamento e soprattutto di realizzazione di un deposito dei rifiuti radioattivi. Ci fu un tentativo coraggioso al limite dell’incoscienza da parte di Berlusconi, all’inizio degli anni 2000, di proporre con il decreto Scanzano un luogo che sembrava ideale per il deposito delle scorie nucleari, 700mt sotto terra un doppio panino di salnitro e di porfido, una locazione ideale, eppure insorse tutto il Sud e di quel decreto è rimasta una sola cosa, un emendamento che io e il mio collega Valter Zanetta proponemmo e che passò nell’aula del Parlamento. Quell’emendamento erogava i fondi compensativi a tutti i Comuni che hanno ancora oggi un deposito seppur parziale sul proprio territorio. Abbiamo messo nella bolletta elettrica degli italiani una quota minimale, poi Tremonti la sforbiciò ulteriormente perché la portò ad 1/3. Oggi sappiamo che a giorni la Corte d’Appello dovrà decidere se confermare la sentenza del Tar che triplica nuovamente gli importi delle compensazioni. Per essere realisti, io ho sentito parlare a lungo di questa lista secretata di siti possibili di deposito di scorie; qui dobbiamo essere sinceri, non 15
ci sarà mai nessuna cittadina che accetterà ex novo sul proprio territorio scorie radioattive. Gli unici siti che possono realisticamente ospitare il deposito di rifiuti radioattivi sono quelli che fanno già da deposito, dove il problema non deve essere posto, ma esiste già. Nel ‘94 e nel 2000, abbiamo avuto due alluvioni nel basso vercellese: in entrambi i casi fu investita la città di Trino. Per fortuna, essendo sopraelevata, la postazione dei rifiuti non fu invasa, ma a Saluggia le acque entrarono all’interno del deposito, i bidoni delle scorie furono spazzati via. Questo deposito si trova alla bellezza di 250 mt dal più grande punto di adduzione di acque del Piemonte, i pozzi dell’acquedotto del Monferrato. Le scorie radioattive lambirono i pozzi di adduzione e fu una cosa veramente grave di cui la stampa nazionale non diede notizia. Venne poi in Parlamento Rubbia a raccontarci quale fosse il pericolo e il rischio che anche un aereo di piccole dimensioni avrebbe potuto determinare cadendo sopra alla Centrale di Trino. È evidente che per quelli di Trino e di Saluggia il problema deve risolversi. Io credo che se si partisse con realismo dal proporre con serietà a Saluggia o a Trino o ad uno degli altri siti, la possibilità di avere un deposito radioattivo all’interno di un sito più sicuro, più concertato con la popolazione, magari in quei luoghi un accordo si potrebbe trovare. Però bisogna intervenire. Tra un po’ avremo anche il problema di riospitare all’interno del territorio nazionale, le scorie che sono andate in Inghilterra e in Francia e francamente si pone il quesito, cosa facciamo? L’elenco dei siti doveva essere pubblicato già due anni fa. È ancora nascosto oggi. Si susseguono i Governi, ma nessun parla dell’elenco dei siti candidabili al deposito radioattivo. Io penso che dovremmo cercare di costruire un’ipotesi in cui in qualcuno degli otto siti nucleari il Governo affronti il problema. Ci sono grandi fondi economici. Se consideriamo che Trino e Saluggia sono cittadine depresse da un punto di vista economico, affrontare il discorso di un rilancio economico di queste zone, in funzione di un deposito delle scorie, potrebbe essere cosa realizzabile. Però non si sa neppure con chi interloquire per cominciare a parlare di questo argomento. Noi vorremmo affrontare in termini di realismo sano e concreto la possibilità di verificare anche l’ipotesi di un sito, un deposito di rifiuti a Trino. Abbiamo una vastità di territori in questo senso e non abbiamo problema ad affrontare l’argomento con sano realismo. Nessuno vuole incrementare il proprio dato di scorie se non ha un incentivo forte. È assurdo che la Sogin sia a Roma e non a Trino, Saluggia, Bosco Marengo. I 500 posti di lavoro della Sogin, sarebbe opportuno arrivassero sul territorio, sul luogo dove si 16
decommissiona il nucleare non dove si pensa a decommissionare il nucleare come a Roma. Tutto questo potrebbe essere un ragionamento da intavolare; in più le compensazioni ambientali che prodigalmente il Governo Berlusconi concesse ai siti ospitanti depositi parziali dei rifiuti radioattivi, dovrebbero essere concertati in modo intelligente con i Comuni. Non è solo una questione di soldi, ma anche ad esempio di ripensamento della Città. Se per esempio il parco tecnologico venisse fatto nel Comune di Trino o Saluggia, questo creerebbe non solo una situazione occupazionale, ma creerebbe anche residenzialità. La mia cittadina è passata da 13mila a 7mila abitanti nell’arco di pochissimo tempo; è evidente che c’è un dramma da un punto di vista occupazionale, reddituale, demografico in questi territori. Io mi auguro che con qualcuno si possa affrontare la situazione. Tutti evitano di affrontare il discorso che comunque prima o poi dovrà essere affrontato, anche perché i luoghi dove i rifiuti sono accatastati, sono luoghi pericolosi, luoghi che dovrebbero essere ripensati; non si può pensare di tenere, come oggi accade, i rifiuti nell’alveo del fiume Po o della Dora. Oggi c’è una popolazione disponibile a ragionare sull’argomento, ma purtroppo troviamo difficile ipotizzare che in luoghi che non hanno il problema il problema si possa loro porre per il futuro. Ma voi immaginate che un qualsiasi comune che oggi non ha il problema, accetterebbe mai di trovarselo in casa? Soltanto coloro che hanno il problema, potrebbero affrontarlo in termini realistici. Pertanto anche questo workshop organizzato da Farefuturo possa essere l’occasione per creare le condizioni di una fattibilità della questione che mi sta particolarmente a cuore. Roberto Rosso Assessore Regione Piemonte *Abbiamo ritenuto corretto pubblicare il testo dell’intervento svolto da Rosso al meeting anche se successivamente lo stesso ha lasciato l’incarico in seguito alle vicende giudiziarie che lo hanno coinvolto e che comunque esulano dalla sua attività di assessore. 17
SERVONO SOLUZIONI E PROGETTUALITÁ di Antonio Zennaro Ringrazio il Sen. Urso per l’invito, mio Vicepresidente al Copasir. Il tema trattato oggi è considerato un tema di nicchia che già qualche anno fa aveva occupato anche la cronaca dei giornali. Oggi è un argomento importante ma non ha la giusta attenzione da parte della politica. Sono argomenti che non sempre hanno soluzioni semplici, e per i quali viene chiesta, analisi, pianificazione e progettualità. È poi da considerare la multidisciplinarità del tema, perché si confrontano materia ambientale, materia anche di sicurezza nazionale, materia di rapporti con Enti locali e in molti casi anche rapporti con Stati esteri. Quindi mettere insieme tutti questi temi, a volte è molto difficile, anche perché spesso le varie normative sono contrastanti e poi c’è il rapporto con le comunità locali che è un rapporto non sempre di facile gestione; in passato lo Stato è riuscito a trovare delle strade percorribili, ma non sempre perché in alcuni casi si è creato un effetto distorsivo di quello che poteva essere il tema. Quindi giornate come questa sono molto importanti. Su questi temi la politica spesso si è divisa, ma è necessario trovare la massima convergenza altrimenti si rischia di non avere il via libera dei territori creando conseguentemente casi gravi su cui poi non si può tornare indietro. Su questo c’è la disponibilità mia e di tanti colleghi del gruppo verso questo tema e penso possa essere interessante capire come, sulla stessa materia, si muovono i Paesi. Sotto questo profilo, l’iniziativa del Sen. Urso è molto importante e mi auguro ci possa essere anche un prosieguo a cui presto la mia collaborazione anche perché vedo colleghi di altri gruppi politici, pertanto si può discuterne cercando di raggiungere comuni obiettivi. Antonio Zennaro Deputato, componente Commissione Bilancio e Finanze, Cinque Stelle 18
SERVE UNA SOLUZIONE CONDIVISA di Lucio Malan Ringrazio per l’invito su una tematica di cui spesso si ha piacere non parlare, ma su cui bisogna confrontarsi e usare il criterio del realismo esistendo appunto un problema su cui bisogna trovare una soluzione. Dunque necessita avere un quadro chiaro, un approfondimento serio della questione, vedere dove sono possibili delle sinergie all’interno e all’esterno del nostro Paese. Indubbiamente su queste cose è opportuno utilizzare la migliore tecnologia, le migliori esperienze, dei sistemi ed accordi per cui si possano ridurre i costi sia in termini materiali, sia in termini ambientali e direi anche sociali in cui l’allarme su queste cose è normale che sia così forte. Ad esempio l’interscambio di esperienze con località che sono più avanti nel procedimento può essere molto utile, perché in ogni posto si teme il peggio, per cui scambiare le esperienze con coloro che hanno fatto già passi più avanti degli altri, è cosa utile sia dal punto di vista scientifico, tecnologico, sia dal punto di vista dell’allarme sociale. Far sapere che lo stesso procedimento è stato fatto altrove, in altro Paese o anche in Italia stessa, senza problemi per la popolazione, per le falde acquifere e per tutte le altre cose che giustamente richiedono l’attenzione è sicuramente utile. So che l’assessore Rosso ha presentato l’argomento con realismo e credo sia l’atteggiamento giusto, e cioè dando la disponibilità, di individuare un posto dove si possano raccogliere i materiali di risulta. Tra l’altro ricordo che un po’ di anni fa si era arrivati sul punto di un accordo con una località della Basilicata, su cui c’era stata anche la disponibilità, perché il problema evidentemente era stato studiato nella sua realtà e non nell’allarme che poteva giustificare, per cui fin quando si è trattato di affrontare la cosa dal punto di vista tecnico, il sindaco di quella località non trovò particolari problemi e dette il suo assenso al Governo. Quando poi dovette fare i conti con le reazioni mediatiche della popolazione, dei gruppi che a volte in buona fede a volte un pochino meno, hanno suscitato allarme, a quel punto c’è stato un passo indietro. Sono cose che bisogna evitare altrimenti si paga il costo come se si fosse fatto e invece ci si trova ad avere a che fare con il problema. Calcolando poi che l’intero 19
processo dura diversi decenni, sarebbe particolarmente necessario un approccio responsabile, senza trasformare la situazione in uno strumento di propaganda politica, di allarmismo a fini elettorali, perché rinviare il problema non lo cancella. Un Governo per quanto possa durare non sarà mai lo stesso dall’inizio alla fine del procedimento, per cui occorre un processo responsabile, realistico con fondate, approfondite informazioni scientifiche che possano anche essere divulgate in modo semplice. Lucio Malan Senatore, componente Commissione Affari esteri e Immigrazione, Forza Italia 20
CASE HISTORY 21
L’ESEMPIO DELLA SLOVACCHIA UTILE PER L’ITALIA di Tibor Rapant Jadrová a vyraďovacia spoločnosť, a.s. Società per il decommissioning nucleare, S.p.A. (JAVYS), è una società per azioni al 100% di proprietà dello Stato Slovacco che esercita i diritti dell’azionista attraverso il Ministero dell’Economia della Repubblica Slovacca. Gli obiettivi principali della Società sono: 1. Decommissioning delle Centrali Nucleari A1 e V1 in modo sicuro, affidabile ed economico; 2. Gestione del combustibile nucleare esausto; 3. Gestione dei rifiuti radioattivi e i rifiuti radioattivi istituzionali; 4. Gestione dei materiali radioattivi di origine sconosciuta; 5. Possesso ed amministrazione del Deposito Nazionale dei RAW (rifiuti radioattivi); 6. Supporto e assistenza tecnico specialistica nucleare nei settori di competenza quali la gestione del combustibile nucleare esausto e dei rifiuti radioattivi. La Società JAVYS è operatore importante anche sul piano internazionale. La vasta esperienza di JAVYS nel decommissioning di impianti nucleari e nel trattamento dei RAW è sempre più richiesta anche all’estero. La fornitura di questi servizi crea spazio per la crescita dell’azienda in un importante segmento dell’industria nucleare. Fornisce supporto commerciale alle aziende in Italia, Repubblica Ceca, Germania, Bulgaria, Croazia e realizza diversi progetti dell’UE in EuropeAid. Gestione del combustibile nucleare esausto e dei rifiuti radioattivi Le singole attività nell’ambito dei processi di gestione del combustibile nucleare esausto e dei rifiuti radioattivi (RAW) vengono realizzate nei seguenti impianti nucleari di proprietà di JAVYS: 22
1. Deposito temporaneo di combustibile nucleare esausto a Jaslovské Bohunice; 2. Tecnologie per il trattamento e condizionamento dei RAW a Jaslovské Bohunice; 3. Trattamento finale dei RAW liquidi a Mochovce; 4. Deposito integrale dei RAW a Jaslovské Bohunice; 5. Deposito nazionale dei RAW a Mochovce. Tra le attività chiave per l’esercizio degli impianti nucleari vi sono: la messa in atto del decommissioning della Centrale Nucleare A1 e della Centrale Nucleare V1 attraverso la gestione dei RAW provenienti dallo smantellamento di questi impianti nucleari, la successiva gestione dei RAW provenienti dai blocchi in esercizio della Centrale nucleare di Bohunice V2 e della Centrale nucleare di Mochovce 1, 2 operati dalla Società Slovenské Elektrárne, a.s., nonché la gestione dei RAW provenienti dagli impianti non nucleari. L’impianto nucleare “Tecnologie per il trattamento ed il condizionamento dei RAW” è formato dal Centro di trattamento dei RAW a Bohunice, dalla stazione di depurazione delle acque a bassa radioattività, dalle zone di selezione dei rifiuti radioattivi, dagli impianti di frammentazione e di decontaminazione dei materiali radioattivi metallici, dagli impianti per il trattamento dei filtri di ventilazione usati e dei cavi elettrici usati. Nell’impianto nucleare “Trattamento finale dei RAW liquidi” a Mochovce vengono svolte tutte le attività per il trattamento di concentrati radioattivi liquidi e delle resine a scambio ionico esaurite dall’esercizio della Centrale di Mochovce 1, 2. Dal 2017 è in funzione il Deposito dei RAW integrale temporaneo nel sito di Bohunice. L’impianto è finalizzato allo stoccaggio temporaneo dei rifiuti radioattivi provenienti dalla disattivazione delle Centrali nucleari V1 e A1, i RAW stoccabili nonché i RAW non stoccabili nel Deposito nazionale dei RAW in attesa della messa in esercizio un Deposito in profondità. I RAW a bassa attività trattati vengono di seguito, all’interno degli impianti nucleari, inseriti e condizionati attraverso la cementazione nei containers di fibrocemento e successivamente trasportati nel Deposito Nazionale dei RAW a Mochovce. Il Deposito nazionale serve per lo stoccaggio finale dei RAW condizionati a bassa attività e a molto bassa attività, derivanti dall’esercizio e dalla disattivazione degli impianti nucleari nel territorio della Repubblica Slovacca, dei RAW medicinali e di ricerca e dei materiali di origine sconosciuta. 23
Disattivazione della Centrale nucleare A1 La Centrale nucleare A1 (CN A1) è stata in esercizio dal 1972 al 1977, a seguito di un grave incidente. Nel 1979 il governo della ex-Repubblica Socialista Cecoslovacca ha deliberato sulla sua disattivazione. La disattivazione della centrale nucleare A1 spenta dopo l’incidente viene effettuata mediante una variante di disattivazione continua, articolata in cinque fasi successive e con la conclusione di tutto il processo per il 2033. Dall’ottobre 2016 vengono realizzate le lavorazioni delle fasi III e IV finalizzate allo smantellamento degli impianti tecnologici del circuito primario, degli impianti tecnologici usati nel passato nella preparazione del combustibile esausto per il trasporto, dei due generatori di vapore, del sistema di alimentazione dell’olio, di turbocompressori, dell’attrezzatura tecnologica di gestione delle acque pesanti, dell’economia del biossido di carbonio, del sistema di raffreddamento dell’attrezzatura tecnologica del circuito primario e di altre apparecchiature tecnologiche correlate e connesse nel blocco di produzione principale della CN A1. Nelle fasi III e IV prosegue il trattamento dei RAW provenienti dallo smantellamento e dei RAW storici. Disattivazione della Centrale nucleare V1 Nel 1999 la Repubblica Slovacca, adottando la risoluzione del Governo della Repubblica Slovacca n. 801/1999 del 14 settembre 1999, si è impegnata allo spegnimento del I blocco della Centrale nucleare V1 di Jaslovské Bohunice (CN V1) entro la fine del 2006 e il II blocco entro la fine del 2008 – come previsto nelle condizioni di adesione della Repubblica Slovacca all’Unione Europea. Ambedue i blocchi della CN V1 sono stati spenti nei tempi previsti. La terminazione dell’esercizio non è stata causata da problemi tecnici. Ai sensi del Piano di concezione della disattivazione della CN V1 è stata scelta la procedura della c.d. “disattivazione immediata”. Le caratteristiche principali di questa variante sono lo smantellamento immediato e continuo di attrezzature, la demolizione di edifici e la preparazione del sito per essere disponibile a nuovo utilizzo. La scadenza per la disattivazione della Centrale nucleare V1 è il 2025. A processo concluso, il sito diventerà un “brownfield”. Questa caratterizzazione identifica un bene immobile che, in caso di nuovi progetti di ricostruzione o riutilizzo, causa la presenza o potenziale presenza di sostanze pericolose o inquinanti o di contaminanti, potrebbe risultare vincolante e limitante. I siti “brownfield” vengono solitamente finalizzati per ulteriori scopi industriali. 24
La disattivazione della CN V1 è divisa in due fasi, ed è stata preceduta dalla fase di “preparazione alla disattivazione” detta anche della terminazione dell’operazione. Nel 2011, la Società JAVYS ha ottenuto un’autorizzazione per la prima fase di disattivazione della Centrale nucleare V1, rilasciata dall’Autorità della Regolazione Nucleare della Repubblica Slovacca. Dopo l’entrata in vigore dell’autorizzazione in luglio 2011, la CN V1 è entrata nell’ultima fase formale della sua esistenza che consiste nel decommissioning in sicurezza della Centrale, attraverso il trattamento e il condizionamento dei RAW e nel rilascio di altri materiali non contaminati nell’ambiente, in conformità con le raccomandazioni dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Nel 2015 è iniziata l’attuale II fase della disattivazione della CN V1 da completare entro il 2025. Le attività della fase di preparazione alla disattivazione hanno incluso la completa rimozione del combustibile dai reattori nella rispettiva piscina di combustibile esausto e successivamente nel deposito temporaneo del combustibile nucleare esausto, la preparazione degli impianti per il trattamento dei rifiuti, il trattamento e il condizionamento dei rifiuti storici, la caratterizzazione fisica e radiologica, la modifica dei sistemi elettrici e tecnologici per consentire l’inizio delle lavorazioni di smantellamento. Durante questa fase, sono stati elaborati documentazione tecnica e documentazione base di gara per i progetti della prima fase. Le attività della I tappa includevano lo smantellamento di sistemi inattivi e la demolizione di edifici non più necessari e quindi dei sistemi della sala macchine, la demolizione di strutture e di altri edifici relativi al funzionamento della Centrale, lo smantellamento parziale di apparecchiature elettriche esterne e delle sottostazioni, l’adeguamento degli edifici per il loro successivo utilizzo e la preparazione degli spazi per lo stoccaggio operativo dei rifiuti in loco. Durante questa fase è stata elaborata la documentazione tecnica e documentazione di acquisizione per concludere i contratti per i progetti della II fase. Le attività della II tappa interessano lo smantellamento dei sistemi restanti della Centrale e la demolizione delle strutture rimanenti nell’ambito della disattivazione. Ciò include la rimozione dei sistemi e dei componenti dall’edificio dei reattori, dell’edificio delle operazioni ausiliarie, degli edifici di sistemi elettrici (cavi, distributori, ...) trasversali e longitudinali. Saranno smantellati anche i serbatoi esterni, le condotte sotterranee e le linee di cavi. La decontaminazione e la demolizione degli edifici verrà effettuata dopo il loro svuotamento. L’ambito previsto della disattivazione si riferisce solo agli edifici, 25
ai sistemi e alle apparecchiature della Centrale nucleare V1 non condivisi con altri impianti. Quando il sito sarà ripristinato (o risanato) e dopo il suo controllo finale il sito verrà svincolato dalla protezione istituzionale prevista dalle leggi vigenti (sorveglianza da parte di ÚJD SR). La gestione dei rifiuti storici e di smantellamento segue una procedura attentamente pianificata per tutta la durata del processo di disattivazione. Essa include il trattamento ed il condizionamento dei rifiuti prodotti durante l’esercizio della Centrale (rifiuti radioattivi solidi, rifiuti metallici, fanghi e resine esauste). Per la disattivazione della Centrale nucleare V1 sono state appositamente edificate due strutture di stoccaggio nel Deposito nazionale dei RAW a Mochovce per garantire una capacità sufficiente per lo stoccaggio dei rifiuti provenienti dallo smantellamento. Tutti i costi per le attività di disattivazione della Centrale nucleare V1 sono coperti dal Fondo Nucleare Nazionale della Repubblica Slovacca e dalle risorse dell’Unione Europea finalizzate al presente progetto attraverso il Programma Bohunice. Programma Bohunice Le finalità del Programma Bohunice mirano a supportare la Repubblica Slovacca nel processo di decommissioning dei due blocchi della Centrale Nucleare V1 in conformità con i piani di disattivazione, garantendo i massimi livelli di sicurezza. Le attività di disattivazione della Centrale Nucleare V1 sono pertanto cofinanziate dai fondi dell’Unione Europea tramite il Fondo Internazionale di Sostegno alla disattivazione della Centrale Nucleare di Bohunice (fondo BIDSF) gestito dalla Banca Europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Nell’agosto del 2016 hanno avuto inizio le attività dell’autorità nazionale d’implementazione per lo smantellamento della Centrale nucleare V1 – Agenzia Slovacca per l’Innovazione e l’Energia, Slovenská Inovačná a Energetická Agentúra (SIEA). Da allora i fondi dell’UE per il Programma Bohunice vengono ridistribuiti tra i due organismi d’implementazione. Consulente PMU Il supporto della Società JAVYS per la pianificazione, preparazione, acquisizione e realizzazione dei progetti relativi alla disattivazione della Centrale nucleare V1 viene coperto dal Consulente Project management unit (PMU), operativo dal 2015 con la Società d’Italia SO.G.I.N (Società Gestione Impianti Nucleari S.p.A.). Il ruolo principale del Consulente PMU è soprattutto di assistere la Società JAVYS nell’efficace funzionamento della struttura 26
organizzativa PMU, di cooperare nella realizzazione delle attività relative alla II fase dello smantellamento della Centrale nucleare V1, con particolare riguardo a ingegneria, stima dei costi, acquisizione, gestione dei contratti e monitoraggio dei progetti dello smantellamento della Centrale nucleare V1. Demolizione delle torri di raffreddamento della Centrale Nucleare V1 Nel novembre 2018 si è concluso con successo lo smantellamento e la demolizione delle torri di raffreddamento della Centrale Nucleare V1. Nell’ambito del progetto assegnato, attraverso gara all’Azienda italiana DESPE S.p.A., sono state completamente effettuate tutte le lavorazioni relative alla bonifica degli spazi da materiali pericolosi di amianto, demolizione completa e separazione dei materiali demoliti, frantumazione di calcestruzzo delle 4 torri di raffreddamento della Centrale Nucleare V1 e delle strutture correlate, compreso il riempimento e la risistemazione dei terreni. La demolizione delle torri di raffreddamento della Centrale Nucleare V1 è stata effettuata utilizzando il metodo di demolizione convenzionale, ovvero attraverso uno smantellamento graduale delle torri. Per ragioni di sicurezza non è stato possibile impiegare esplosivi per le torri, a causa della prossimità della vicina Centrale Nucleare V2 e del deposito temporaneo di combustibile nucleare esausto. Le lavorazioni di demolizione della prima torre di raffreddamento hanno avuto inizio nell’ottobre 2017 e sono state completate esattamente un anno dopo. Durante le lavorazioni di demolizione sono stati rimossi circa 50.000 m3 di materiale di cemento armato che è stato gradualmente lavorato sul posto in un impianto di frantumazione munito di separatore di materiale metallico. Il calcestruzzo bonificato e frantumato dalla demolizione è stato utilizzato per il riempimento delle cavità prodotte dalla demolizione stessa, i rifiuti metallici dalle torri sono stati restituiti al processo di riciclaggio. Lo spazio recuperato in seguito alla demolizione delle torri di raffreddamento può essere utilizzato per nuovi scopi industriali. Progetto di smantellamento del circuito primario Per la disattivazione della Centrale Nucleare V1, il progetto chiave riguarda lo smantellamento delle componenti di grandi dimensioni del circuito primario. Il progetto ha avuto inizio dall’ottobre 2017 e deve essere terminato entro il dicembre 2022. La missione è in mano a Westinghouse Spagna, Westinghouse Svezia e la Società slovacca VUJE. Le attività principali sono focalizzate sulla decontaminazione propedeutica allo smantellamento, successivo smantellamento, frammentazione delle attrezzature persistenti 27
in ambedue i circuiti primari dei reattori e degli altri componenti situati in entrambe le zone ermetiche dei reattori nucleari e nelle piscine di stoccaggio del combustibile esausto. Il progetto prevede anche la separazione dei materiali, imballaggio degli stessi negli adeguati contenitori e successivo trasporto negli spazi di stoccaggio e poi verso le linee di trattamento. Parte importante del progetto implementato è stata l’identificazione con successiva edificazione di siti adeguati ai lavori di taglio a secco e a umido in entrambi i blocchi. Il taglio a secco verrà finalizzato per tagliare le pompe di circolazione principali, le valvole di intercettazione principali e i tubi del circuito primario. Con il taglio a umido verranno tagliati sott’acqua i recipienti in pressione dei reattori, parti interne di entrambi i reattori e le cassette di schermatura. Uno dei passaggi più impegnativi nelle lavorazioni di disattivazione di quest’anno è stato lo spostamento di dodici generatori di vapore nella sala macchine dove vengono stoccati. Questi saranno frammentati a secco nel sito recentemente costruito. Il trasporto di generatori di vapore da 145 tonnellate è durato da marzo 2019 a luglio 2019. L’elevato peso dei generatori di vapore ha richiesto un semirimorchio speciale oltre a un ampliamento dei fori sopra i generatori di vapore, mai stati aperti dai tempi della costruzione. Con il trasporto dei generatori di vapore, in totale sono state rimosse 1.872 tonnellate di materiale di cui circa 1.360 tonnellate di metallo che, in conformità con le raccomandazioni dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, saranno rilasciate nell’ambiente. Tibor Rapant Manager Decommisioning impianti nucleari Società Javys 28
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