Le famiglie e l'assistenza agli anziani non autosufficienti: il caso empolese a cura di Filippo Tosi
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IRPET Istituto Regionale Programmazione Le famiglie e Economica Toscana l’assistenza agli anziani non autosufficienti: il caso empolese a cura di Filippo Tosi
IRPET Istituto Regionale Programmazione Economica Toscana Le famiglie e l’assistenza agli anziani non autosufficienti: il caso empolese a cura di Filippo Tosi V S O C I E TAd e l l a S A LU T E d i E M P O L I Firenze, Dicembre 2009
RICONOSCIMENTI Questa ricerca, commissionata dalla Regione Toscana-Direzione Generale Diritto alla Salute e Politiche di Solidarietà, è stata realizzata dall’IRPET che si è avvalso di un gruppo di lavoro a cui hanno partecipato: - Giovanna Faenzi, Patrizio Nocentini, Luca Puccetti (Regione Toscana); - Nedo Mennuti, Renato Ferrucci, Serena Sandonnini e Michela Franchini (Società della Salute di Empoli); - Piero Salvadori (AUSL 11-Empoli). La ricerca, coordinata da Stefania Lorenzini, è stata curata da Filippo Tosi con la collaborazione di Lara Antoni (§ 4.1) e Elena Cappellini (§ 4.2). Le elaborazioni statistiche sono state effettuate da Valentina Patacchini. Le interviste telefoniche sono state realizzate da EUREMA S.r.l.. Elena Zangheri ha curato l’allestimento editoriale del testo. RINGRAZIAMENTI Un ringraziamento va a tutte le persone intervistate, che con la loro disponibilità a collaborare hanno reso possibile la realizzazione di questa indagine. Si ringrazia inoltre la Società della salute di Empoli per il supporto tecnico fornito in tutte le fasi della ricerca e Sara Mele dell’IRPET per gli utili suggerimenti forniti nella fase di impostazione del lavoro.
Indice 5 Presentazione di Gianni Salvadori 7 SINTESI DELLA RICERCA 13 INTRODUZIONE Parte I IL PROBLEMA 1. NON AUTOSUFFICIENZA: CARATTERISTICHE E RILEVANZA DEL PROBLEMA IN 19 ITALIA E NEI PAESI SVILUPPATI 19 1.1 Chi sono i non autosufficienti 20 1.2 Quanti sono e quanti saranno i non autosufficienti 24 1.3 L’impatto sulle finanze pubbliche 27 1.4 I possibili strumenti di tutela e le soluzioni attuate 2. LE CURE AI NON AUTOSUFFICIENTI: IL RUOLO DI MERCATO, FAMIGLIA 45 E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 45 2.1 I modelli assistenziali 48 2.2 Le interazioni tra i soggetti: i risultati della teoria economica e dell’analisi empirica Parte II L’INDAGINE 3. 55 L’INDAGINE SUL LAVORO DI CURA NELLA AUSL 11 - EMPOLI 55 3.1 La struttura e le finalità dell’indagine 57 3.2 Il contesto della AUSL 11 - Empoli 61 3.3 Le caratteristiche dei caregivers e dei loro assistiti 4. 69 LA SCELTA DEL METODO ASSISTENZIALE E I SUOI EFFETTI 69 4.1 L’assistenza familiare 83 4.2 Il ricorso alle collaboratrici domestiche 111 4.3 I servizi pubblici 121 4.4 Il volontariato
5. 131 ALCUNI APPROFONDIMENTI 131 5.1 Effetti economici dell’assistenza 133 5.2 L’assistenza desiderata Parte III IDEE PER LA TOSCANA 6. 141 LA NON AUTOSUFFICIENZA IN TOSCANA: RILEVANZA ED EFFETTI 143 6.1 Quanti sono e quanti saranno i non autosufficienti in Toscana 145 6.2 L’impatto sulle finanze pubbliche toscane 147 6.3 Le recenti politiche della Regione Toscana 7. 151 DAL CASO EMPOLESE A QUELLO TOSCANO: ALCUNE IMPLICAZIONI LOGICHE 159 BIBLIOGRAFIA Appendice 165 IL QUESTIONARIO UTILIZZATO
Presentazione La Toscana è interessata da un processo di progressivo invecchiamento della popolazione, persino più marcato rispetto al dato nazionale, che si riverbera immediatamente sulla gestione dei processi di cura. Infatti, all’interno del 20% delle famiglie toscane è presente almeno una persona non autosufficiente. La Regione Toscana, attraverso la LR. 66/2008 “Istituzione del fondo regionale per la non autosufficienza”, ha costruito un sistema territoriale integrato di servizi sociosanitari nell’area della non autosufficienza, che deve essere in grado di assicurare efficacia e appropriatezza degli interventi in ogni fase del percorso assistenziale, personalizzando e diversificando rispetto alla gravità del bisogno. In questo quadro, l’offerta assistenziale deve arricchirsi di azioni che supportino e sostengano il lavoro di cura e di assistenza della famiglia, anche attraverso figure dedicate all’assistenza della persona. Tale sostegno rende talora possibile favorire il mantenimento della persona non autosufficiente all’interno della propria abitazione, evitando il ricovero in una struttura residenziale ed assicurando così agli anziani un percorso di vita più sereno, vicino agli affetti familiari ed alle abitudini consolidate negli anni. Tutto ciò è possibile solo con la creazione di un adeguato sistema di supporto per le famiglie. Le indicazioni preziosissime offerte da questa ricerca, pur riferendosi ad un ambito territoriale circoscritto, forniscono risultati rappresentativi per la gestione delle criticità di assistenza presenti nelle famiglie toscane. Gianni Salvadori Assessore alle Politiche Sociali e allo Sport della Regione Toscana 5
SINTESI DELLA RICERCA La tutela dei bisogni delle persone non autosufficienti rappresenta ormai da alcuni decenni una delle più rilevanti sfide delle società sviluppate. L’effetto congiunto del progressivo invecchiamento della popolazione e della sempre più scarsa attitudine della rete parentale a prendersi cura integralmente del soggetto dipendente, come invece avveniva in passato, determina infatti una modifica sostanziale della divisione del lavoro di assistenza tra famiglia, pubblica amministrazione e mercato. I dati mostrano un deciso incremento dell’incidenza della popolazione anziana in tutti i Paesi sviluppati da oggi al 2040 -che raggiungerà quasi il 30%- causato principalmente dall’aumento dell’aspettativa di vita -già oggi mediamente intorno agli 80 anni- e dal basso tasso di fecondità, che difficilmente sarà sufficiente per garantire una equilibrata struttura della società nei prossimi decenni. Il comportamento della società toscana non si discosterà da questa evidenza generale: le stime ISTAT in proposito mostrano infatti che gli anziani nel 2040 rappresenteranno circa il 32% dell’intera popolazione regionale. Anche il declino dell’attitudine della famiglia a prendersi cura del non autosufficiente, pur variando nell’entità da Paese a Paese, sembra una tendenza generale ed affermata. La progressiva emancipazione ed il contestuale aumento della partecipazione sul mondo del lavoro da parte della popolazione femminile -tradizionalmente quella chiamata ad espletare i doveri assistenziali- diminuiscono infatti la disponibilità e la possibilità da parte della famiglia a prendersi cura del parente non autosufficiente. Ciò è vero in particolare nei Paesi, come l’Italia, dove le caratteristiche del mercato del lavoro e dei servizi pubblici rendono difficoltosa la conciliazione delle attività lavorative con quelle assistenziali. Anche la Toscana, sebbene sia caratterizzata da una coesione sociale ben più accentuata che in altri contesti, mostra di seguire questa tendenza generale. I fenomeni richiamati esercitano una pressione crescente sulla pubblica amministrazione, che è chiamata a coniugare l’erogazione di un volume crescente di prestazioni con la sostenibilità finanziaria intertemporale del modello di welfare adottato, e sul mercato, dove si assiste ad una rilevante e crescente domanda di servizi di assistenza diretta ai soggetti non autosufficienti. Le prestazioni assistenziali, essendo caratterizzate da un’alta intensità di lavoro e da una difficile sostituibilità di quest’ultimo con capitale, si caratterizzano per l’elevatezza del loro costo. Ciò si traduce, a livello aggregato, in una elevata incidenza sul PIL: attualmente oltre l’1% in molti 7
Paesi europei (compresa l’Italia) con la tendenza al raddoppio da oggi al 2050. Al fine di ridurre l’impatto sulle finanze pubbliche e di garantire servizi più conformi alle nuove esigenze, in alcuni Paesi si è assistito negli anni passati ad una riforma, parziale o totale, dei servizi ai non autosufficienti. Ad esempio, in Germania già dal 1995 è stata introdotta una specifica assicurazione obbligatoria (Soziale Pflegeversicherung) che si integra e si coordina con le altre quattro già presenti nel welfare state tedesco. In Italia, sebbene le proposte siano state numerose, un progetto di riforma nazionale pare ancora lontano dall’essere approvato. Ciononostante, a livello regionale le innovazioni sono state significative ed hanno riguardato in particolare la creazione in molti contesti di un apposito Fondo Regionale per la Non Autosufficienza al fine di razionalizzare, coordinare e magari ampliare -come fatto dalla Regione Emilia Romagna- mediante l’introduzione di una specifica fonte di entrata il volume di risorse destinato a garantire le prestazioni per i soggetti dipendenti. Con la Legge Regionale n. 66/2008 la Toscana si è inserita nell’insieme di Regioni che hanno introdotto un apposito Fondo ed una sostanziale riorganizzazione dei servizi ai non autosufficienti, i cui effetti potranno essere valutati in maniera adeguata ed esaustiva solo nel prossimo futuro. L’aumento del bisogno assistenziale e la diminuzione della disponibilità della famiglia a prestare assistenza, associati a servizi pubblici non sufficientemente estesi, hanno creato in molti Paesi la condizione ideale per lo sviluppo di un fiorente mercato di prestazioni assistenziali fornite da personale prevalentemente straniero, spesso irregolare, a basso costo e scarsamente qualificato. In Italia, secondo le statistiche ufficiali, sono presenti quasi 600mila collaboratori domestici stranieri, di cui circa 52mila solo in Toscana. Secondo alcuni, tuttavia, essi potrebbero essere addirittura il doppio se consideriamo anche quelli irregolarmente presenti sul territorio nazionale. La teoria economica affronta ormai da tempo il tema della tutela delle persone non autosufficienti, concentrandosi sulle possibili modalità di finanziamento di un sistema pubblico, sulle diverse strategie di individuazione dei beneficiari, sull’efficienza e sull’efficacia delle prestazioni, sulla sostenibilità intergenerazionale dei modelli di welfare, ecc.. Tra gli aspetti relativamente meno dibattuti è presente -nonostante ciò sia di cruciale importanza negli ambiti della previsione e dell’organizzazione dei servizi pubblici- lo studio delle motivazioni che guidano il primary caregiver nella scelta del modello ideale assistenziale più idoneo tra quelli generalmente individuati: la soluzioni residenziale, l’assistenza familiare coadiuvata dai servizi pubblici, il ricorso ad una collaboratrice domestica (badante). L’indagine diretta presentata in questa ricerca -che è stata realizzata nei mesi di ottobre e novembre 2008, e quindi antecedentemente alla riforma 8
introdotta con la L.R. 66/2008- ha avuto come principali obiettivi, oltre a quello generico di fornire un quadro dell’attività assistenziale ai non autosufficienti, quelli di analizzare le scelte operate dal primary caregiver, le motivazioni sottostanti alle stesse e le loro implicazioni economiche. Ulteriori finalità perseguite, comunque legate a quelle poc’anzi esplicitate, sono state lo studio della capacità di conciliazione tra attività assistenziale e lavorativa e di riduzione del “peso” dell’onere assistenziale. Tale studio è stato condotto a partire dall’osservazione diretta di un caso concreto rappresentato dall’universo delle famiglie con un anziano non autosufficiente residente nell’ambito della Società della Salute di Empoli. I principali risultati emersi sono riassunti nei punti elencati di seguito. 1. In generale, il lavoro di assistenza ai non autosufficienti è ancora oggi svolto prevalentemente da persone di sesso femminile (71% del totale), legate da uno stretto vincolo di parentela con l’anziano (figlio/a nel 54% dei casi, coniuge nel 21%, genero/nuora nel 12%), di età piuttosto avanzata (quasi il 70% ha superato i 55 anni), prevalentemente non impegnate sul mondo del lavoro (oltre il 70% non è occupato). 2. Il modello assistenziale scelto dal primary caregiver pare essere condizionato dalla numerosità di ore settimanali lavorate da quest’ultimo: all’assenza di un impiego è legata l’assistenza personale da parte del parente, ad un lavoro part-time o comunque flessibile viene associata la combinazione tra assistenza informale e ricorso ai servizi pubblici, al lavoro a tempo pieno è infine positivamente correlato l’acquisto di prestazioni assistenziali sul mercato. È invece molto debole il legame tra il reddito familiare e la scelta del metodo assistenziale, anche se si rileva una leggera propensione dei caregivers più facoltosi a rivolgersi ai servizi di mercato. 3. I dati relativi ai collaboratori domestici hanno associato a questa categoria di lavoratori un ruolo di primaria importanza nell’assistenza ai non autosufficienti. Il 42% dei primary caregivers intervistati ha infatti dichiarato di utilizzare questo servizio e tra loro oltre la metà ha detto di aver assunto una badante che convive con l’assistito (53%) o che comunque si occupa di quest’ultimo per oltre 60 ore settimanali (55%). Si tratta prevalentemente di personale straniero (86%) e quasi sempre di donne (98%), che non di rado vengono assunte irregolarmente attingendo dalle reti di conoscenza informali. La ricerca ha inoltre messo in rilievo che alla diffusa presenza di lavoro nero o grigio non corrisponde un sostanziale abbassamento del salario garantito rispetto a quello previsto nel contratto nazionale. Tale situazione, che in alcuni casi incontra anche i favori delle badanti straniere, si inserisce in un contesto nel quale l’informalità dei rapporti lavorativi prevale nettamente su ogni forma di ufficialità. 9
4. I risultati emersi in merito ai servizi erogati dalla pubblica amministrazione mostrano un quadro che, sebbene risulti in vari punti migliore rispetto alla media nazionale e soprattutto a molte altre realtà regionali, non si discosta sostanzialmente da quanto rilevato a livello italiano. La tradizionale scarsità dei servizi pubblici a favore dei non autosufficienti nel nostro Paese -effetto del modello di welfare di stampo familista storicamente adottato- scontrandosi con le mutate esigenze dei potenziali utenti, si traduce in una assistenza domiciliare (ADI) poco estesa e poco incisiva rispetto al necessario ed in una rilevanza marginale delle altre opzioni assistenziali (centri diurni, ricoveri di sollievo, ecc.). Nonostante che gli utenti si dichiarino estremamente soddisfatti delle prestazioni ricevute, i servizi in questione dimostrano una scarsa capacità conciliativa delle attività di assistenza e lavoro che, tuttavia, non è imputabile esclusivamente alla struttura di questi ultimi bensì anche alla rigidità del mercato del lavoro italiano, tradizionalmente restio a generare posti di lavoro a part-time e/o ad orario flessibile. Migliori sono invece le ripercussioni sul tempo libero del caregiver, dato che i servizi pubblici riescono a creare spazi di libertà che alleviano il “peso” dell’assistenza. 5. L’analisi del ricorso ai servizi di volontariato mostra che la platea dei beneficiari -i quali in genere si dichiarano soddisfatti della qualità- è piuttosto contenuta e caratterizzata da un utilizzo ingente di tali prestazioni. Anche per la loro natura, tali servizi mostrano una bassa attitudine a conciliare lavoro e assistenza all’anziano disabile, mentre riescono ad avere positive ripercussioni sul tempo libero del caregiver sgravandolo di alcune mansioni e, per questa via, aiutandolo ad espletare con minore difficoltà l’onere assistenziale al quale è chiamato. 6. Lo studio dell’impatto economico dell’attività assistenziale ha messo in rilievo che, a causa della difficoltà a conciliare lavoro ed assistenza, risultano piuttosto frequenti le riduzioni dell’orario di lavoro (quasi il 30% del totale dei caregivers lavoratori) alle quali si è dovuti ricorrere a causa del sopravvenire delle necessità assistenziali dell’anziano. La riduzione di orario, quantificata prevalentemente in 15/20 ore settimanali, ha ovviamente avuto ripercussioni sul reddito percepito in maniera spesso non trascurabile: per oltre il 15% dei soggetti interessati si è infatti assistito ad una contrazione di oltre 400 euro mensili, pari a circa un terzo del reddito medio mensile. 7. L’analisi dell’“assistenza desiderata”, ossia del modello assistenziale che il caregiver sceglierebbe in assenza di vincoli, mostra che le soluzioni attualmente adottate rappresentano l’ottimo per molti dei soggetti analizzati, ma non per tutti. Esiste infatti una parte di caregivers (quantificabile in circa un decimo del totale), prevalentemente 10
caratterizzati da un’età relativamente bassa, da un titolo di studio elevato, da un impiego full-time, che manifesta palesemente la difficoltà (cd. stress del caregiver) a proseguire con il modello assistenziale adottato sinora. L’esigenza prioritaria che viene dichiarata non sembra essere tanto legata alla completa delega dell’attività assistenziale, bensì ad una ripartizione del carico assistenziale su una numerosità di soggetti (altri familiari, personale dei servizi pubblici, personale a pagamento) ben più cospicua di quella attuale, pur rimanendo parte -magari con funzione anche di coordinamento- del gruppo che cura l’assistenza del parente non autosufficiente. Il quadro appena descritto mostra una situazione complessiva piuttosto soddisfacente, ma non esente da alcuni elementi di criticità, così sintetizzabili: - la bassa estensione dei servizi; - la scarsa capacità conciliativa lavoro-assistenza; - la diffusa presenza di lavoro nero o grigio; - l’elevato impatto economico e “personale” dell’attività di assistenza sul caregiver; - l’inadeguatezza del modello assistenziale sinora adottato per una ristretta quota di assistenti familiari. In generale, infine, è possibile riscontrare la diffusa esigenza del caregiver a condividere il carico assistenziale con un numero maggiore di soggetti. Tale necessità pare particolarmente sentita da parte dei caregivers relativamente giovani, ossia da quell’insieme di soggetti caratterizzato da una maggiore attività sul mercato del lavoro, da un titolo di studio più elevato e, presumibilmente, anche da una struttura di valori differente da quella della generazione precedente. È pertanto prevedibile che nel prossimo futuro, in virtù della naturale sostituzione dell’attuale generazione di caregivers con le successive, si assista ad un accentuarsi delle criticità sin qui messe in rilievo. Tali criticità, ovviamente, rappresentano delle sfide che la pubblica amministrazione, regionale e soprattutto nazionale, è chiamata a raccogliere adottando già da oggi le politiche opportune. In Toscana, l’amministrazione regionale è intervenuta sul finire del 2008 varando il già ricordato Fondo Regionale per la Non Autosufficienza (L.R. 66/2008). La Regione Toscana, mediante questo strumento che consentirà di erogare risorse per oltre 300 milioni di euro annui fino al 2010, si propone di aumentare l’estensione e l’incidenza dell’assistenza domiciliare, di incrementare i servizi semi-residenziali, di ridurre le liste di attesa per l’accesso ad una RSA, di far emergere mediante un contributo monetario condizionato numerose collaboratrici domestiche. L’introduzione del Fondo Regionale, al quale è stata associata anche una riorganizzazione dei servizi adesso centrati sui cd. “Punti Insieme”, affronta numerosi aspetti 11
problematici sollevati in questa ricerca: l’incremento dell’ADI e dei servizi semi-residenziali consentirà di aumentare i beneficiari e di migliorare la capacità conciliativa lavoro-assistenza, la riduzione delle liste di attesa per l’inserimento in una RSA risponderà alle necessità della quota di caregiver caratterizzati da livelli particolarmente elevati di stress, il contributo monetario alle assistenti domestiche incentiverà l’emersione di alcune badanti. Come già accennato, è ancora troppo presto per poter valutare in maniera esauriente gli effetti delle politiche adottate dalla Regione Toscana: tale operazione potrà infatti essere condotta solo dopo che sarà trascorso un lasso di tempo sufficientemente lungo. Ciononostante, vale la pena osservare che dai primi dati traspare l’impressione che le azioni intraprese siano efficaci nell’affrontare le criticità rilevate nella ricerca e poc’anzi esplicitate. Tuttavia, a causa del prevedibile evolversi di numerose variabili sociali che porteranno all’acuirsi delle criticità richiamate, difficilmente le politiche sinora adottate potranno rappresentare la soluzione definitiva al problema, bensì un primo passo sulla strada della realizzazione di un organico sistema che sappia garantire anche in futuro a tutti i non autosufficienti ed ai loro assistenti una adeguata tutela delle loro ingenti necessità. 12
INTRODUZIONE La questione dell’assistenza continuativa ai non autosufficienti è già da alcuni anni al centro del dibattito in tutti i Paesi sviluppati a causa della crescente rilevanza, sia sociale che economica, che il tema sta progressivamente assumendo. L’effetto congiunto dell’invecchiamento della popolazione, della forte incidenza delle malattie croniche (tra i principali responsabili della non autosufficienza) e della minore propensione della famiglia ad erogare cure informali, eserciterà in futuro sulla pubblica amministrazione una crescente pressione volta ad ottenere cure assistenziali. Le ricerche empiriche e le previsioni in proposito, che testimoniano la rilevanza del fenomeno, destano forti preoccupazioni: la quota di ultra 65enni al 2040 nei Paesi OCSE sarà raddoppiata rispetto al valore del 2000 (dal 13,8% al 25,6%) (OCSE, 2005), l’incidenza delle malattie croniche aumenterà nel mondo del 17% al 2015 (WHO, 2005), il numero di disabili ultra 75enni senza sufficiente assistenza familiare in Europa al 2030 aumenterà almeno del 40% (Gaymu, 2008)1. La creazione di un adeguato sistema pubblico si rivela dunque una necessità sempre più impellente, non solo per sostenere i non autosufficienti e le loro famiglie, ma anche per stimolare il sistema economico rendendo possibile per il caregiver il mantenimento della posizione lavorativa. Nonostante ciò, la creazione ed il potenziamento di un sistema pubblico presenta alcuni problemi di fondo, riassumibili nelle difficoltà a (Ikegami, Campbell, 2002): - definire con precisione la linea di demarcazione tra la responsabilità pubblica e quella privata; - coordinare efficientemente le cure sanitarie con le prestazioni di carattere sociale a causa dei loro diversi modi di operare; - recuperare le ingenti risorse necessarie. Quest’ultimo fattore è senza dubbio quello con il peso preponderante, soprattutto se a ciò si associa, ragionando in un’ottica dinamica, la sostenibilità nel tempo del sistema creato. Sulla base di queste constatazioni, il dibattito nel nostro Paese si è incentrato sulle possibili modalità di finanziamento, di individuazione dei beneficiari, di erogazione delle prestazioni, in maniera tale da coniugare 1 La stima riportata è basata sullo studio FELICIE (www.felicie.org), che analizza la probabile evoluzione delle strutture familiari degli anziani in alcuni Paesi europei. In questo studio viene messo in luce come in futuro, contrariamente a quanto si potrebbe essere portati a pensare, ci sarà un numero di parenti prossimi agli anziani superiore a quanto rilevato attualmente. Ciò che invece verrà probabilmente meno è la disponibilità dei parenti ad erogare cure informali, a causa, principalmente, dell’aumentare delle distanze abitative e della riduzione del tempo disponibile. 13
virtuosamente le esigenze di contenimento della spesa e di sostenibilità finanziaria con un sistema di interventi efficace rispetto agli obiettivi prefissati. Tra gli aspetti relativamente meno dibattuti troviamo invece lo studio delle motivazioni che guidano il primary caregiver2 nella scelta della soluzione assistenziale da adottare per garantire al non autosufficiente i servizi necessari. Tale questione assume una importanza fondamentale nell’ambito della previsione e dell’organizzazione del volume di servizi pubblici, in particolare nei Paesi, come l’Italia, nei quali il diritto alle prestazioni è universale. In tali contesti, infatti, l’operatore pubblico deve essere disponibile a fornire quanto promesso a coloro che, essendo in situazioni di bisogno, optino per l’assistenza esclusiva o integrativa pubblica. Senza una corretta previsione non solo della numerosità dei non autosufficienti e della loro condizione, ma anche delle scelte operate dagli assistenti familiari, sussiste la concreta possibilità di non rispettare né i vincoli di bilancio, né, con ovvie ricadute sull’equità intergenerazionale, la sostenibilità nel lungo periodo dell’intero sistema. La presente ricerca si propone di analizzare le scelte operate dal primary caregiver, le motivazioni sottostanti alle stesse e le loro implicazioni economiche a partire dall’osservazione diretta di un caso concreto rappresentato dall’universo delle famiglie con un anziano non autosufficiente residenti nella Società della Salute di Empoli. Il lavoro è organizzato come descritto di seguito. Il primo capitolo descrive le caratteristiche e la rilevanza presente e futura del problema della non autosufficienza ai livelli internazionale e nazionale. Il secondo capitolo identifica tre possibili modelli assistenziali e, in seguito, sintetizza le indicazioni provenienti dalla letteratura economica e dalle rilevazioni empiriche in merito alle motivazioni sottostanti alla scelta della modalità di assistenza dell’anziano da parte del primary caregiver. Il terzo capitolo descrive la struttura dell’indagine ed il contesto nel quale è stata svolta. Esso fornisce inoltre una prima caratterizzazione dei caregivers intervistati e dei loro assistiti. Il quarto capitolo si incentra sulla descrizione e sull’analisi delle scelte dei primary caregivers nel contesto empolese, utilizzando come schema d’indagine i modelli assistenziali identificati nel capitolo due. Il quinto capitolo si dedica ad alcuni approfondimenti particolarmente significativi come la quantificazione economica dell’assistenza e l’analisi dei desiderata dei primary caregivers. 2 Il primary caregiver è la persona responsabile della gestione dell’anziano in quanto ne coordina l’attività di assistenza. Questa può essere fornita sia dal primay caregiver stesso e/o da altri caregivers individuati nei familiari, conoscenti, personale dei servizi socio-sanitari pubblici, privati e di volontariato. 14
Il sesto capitolo analizza e cerca di prevedere per il prossimo futuro le caratteristiche, la rilevanza ed i possibili effetti del fenomeno della non autosufficienza nel contesto toscano. Il settimo ed ultimo capitolo, partendo da risultati emersi nel contesto empolese, presenta un tentativo di individuazione delle aree della Toscana nelle quali si potrebbero verificare le maggiori criticità nell’assistenza ai non autosufficienti. La bibliografia e l’appendice, contenente il questionario utilizzato nelle interviste, concludono infine il lavoro. 15
Parte I IL PROBLEMA 17
1. NON AUTOSUFFICIENZA: CARATTERISTICHE E RILEVANZA DEL PROBLEMA IN ITALIA E NEI PAESI SVILUPPATI 1.1 Chi sono i non autosufficienti Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la condizione di non autosufficienza è determinata dalla compresenza di un numero piuttosto elevato di fattori, tra i quali possiamo identificare quelli relativi agli aspetti sanitari, sociali ed ambientali (WHO, 2001). La difficoltà ad identificare in maniera oggettiva questi tre elementi, con particolare riferimento all’ultimo menzionato, è alla base delle numerose discrepanze osservabili tra i vari Paesi a proposito della definizione di dipendenza adottata e, conseguentemente, dell’individuazione dell’insieme dei non autosufficienti. L’Italia non fa eccezione, dato che la condizione in questione risulta diversamente caratterizzata a seconda del soggetto che la definisce. Ad esempio, a livello ministeriale viene definita come “la perdita di una funzione psicologica, fisica e/o anatomica in grado di limitare o impedire la capacità di compiere quelle attività considerate normali per un essere umano” (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2002), mentre l’ISTAT (2005) identifica “le persone con disabilità coloro che, escludendo le condizioni riferite a limitazioni temporanee, hanno dichiarato di non essere in grado nello svolgere le abituali funzioni quotidiane, pur tenendo conto dell’eventuale ausilio di apparecchi sanitari”. Ancora differenti risultano poi le definizioni adottate dall’INPS, in particolare per l’erogazione dell’indennità di accompagnamento3, e dalle varie Regioni per identificare coloro che sono eligibili per i vari programmi creati a livello locale. Tali discrepanze, che possono in apparenza sembrare mere disquisizioni linguistiche, hanno invece un impatto significativo su tutti gli aspetti del tema in questione- equità, sostenibilità finanziaria, efficacia del sistema, ecc. -in quanto segnano la linea di demarcazione tra coloro che potranno risultare beneficiari delle prestazioni e coloro che invece ne saranno esclusi. Il problema evidenziato non è tuttavia l’unico sul tappeto. Al fine di garantire l’efficienza e l’appropriatezza delle prestazioni è necessario ricorrere ad una sorta di misurazione della non autosufficienza. In generale, le modalità di valutazione del fenomeno sono riconducibili a tre approcci distinti (Francesconi, Razzanelli, 2008). Il primo è basato sulla valutazione del 3 L’indennità di accompagnamento è stata istituita con la Legge 18/1980. Per maggiori dettagli cfr. INPS (2008) e www.handylex.org. 19
deficit provocato dalla perdita di alcune funzionalità. Pur essendo oggettivo, il metodo è limitato dalla sua monodimesionalità dato che non consente di valutare alcuni aspetti significativi quali, in particolare, il contesto nel quale il soggetto è inserito. Il secondo si focalizza sulla valutazione delle attività che il non autosufficiente non è in grado di espletare autonomamente. Tale metodo, se da un lato risulta più versatile, dall’altro pecca per un maggior grado di arbitrarietà. Rientrano sotto questo approccio le scale IADL e ADL4, volte, rispettivamente, ad analizzare la numerosità delle attività, strumentali e non, che un soggetto non è in grado di compiere. Il terzo approccio ricorre invece alla quantificazione dell’aiuto, misurato in termini di tempo, del quale un soggetto necessita in relazione alla sua condizione. Questo modo di procedere consente di giungere ad una precisa misurazione ma la forte influenza del fattore ambientale rischia di metterne in discussione la confrontabilità dei risultati tra diversi soggetti o tra diversi insiemi di soggetti. Questi due aspetti -l’individuazione dei soggetti e la misurazione del grado di non autosufficienza- condizionano in modo rilevante la possibilità di procedere a confronti tra rilevazioni riferite a contesti differenti da un punto di vista geografico e/o temporale. Ciò non significa che tale operazione non sia utile, ma solo che la sua interpretazione deve essere caratterizzata da una prudenza ancora più accentuata di quella usuale. L’individuazione dei soggetti non autosufficienti, quantomeno ai fini dell’eleggibilità nei sistemi di aiuto pubblici e della graduazione dei benefici, è in genere basata anche su requisiti patrimoniali e reddituali. Ne segue che l’insieme dei non autosufficienti effettivamente presi in considerazione per la fornitura delle prestazioni pubbliche rappresenta un sottoinsieme dei soggetti in condizione di dipendenza. 1.2 Quanti sono e quanti saranno i non autosufficienti La stima della numerosità dei non autosufficienti rappresenta la base a cui riferirsi per poter formulare ogni ipotesi di intervento pubblico. È evidente che le difficoltà della stima aumentano quando si deve prevedere la numerosità futura dei disabili, elemento essenziale per programmare le azioni di intervento nel futuro. In estrema sintesi, la numerosità dei non autosufficienti dipende essenzialmente da due fattori: l’invecchiamento della popolazione e 4 La scala ADL (Activities of Daily Living) misura la dipendenza funzionale di un soggetto mediante la sua capacità di svolgere autonomamente attività quali mangiare, vestirsi, andare in bagno, muoversi in casa, ecc... (Katz, Ford, Moskowitz, 1963). La scala IADL (Instrumental Activities of Daily Living) adotta lo stesso metodo considerando però attività che sono caratterizzate da una maggiore complessità da un punto di vista fisico e/o cognitivo come l’uso del telefono, prepararsi i pasti, gestire la finanza domestica, ecc... (Lawton e Brody, 1969). 20
l’incidenza della disabilità. Il ruolo svolto dal primo è piuttosto intuitivo, dato che all’aumentare dell’età di un individuo aumenta anche la sua probabilità di divenire non autosufficiente. I dati disponibili in proposito sono piuttosto eloquenti: si registra, infatti, una crescita esponenziale dell’incidenza della condizione di dipendenza all’aumentare dell’età, che raggiunge tassi intorno al 70% per la classe degli ultra 85enni in alcuni Paesi sviluppati (OCSE, 2005). L’Italia e la Toscana non fanno eccezione a questa evidenza generale: nel primo caso si raggiunge una incidenza quasi del 45% tra gli ultra 80enni che vivono in famiglia (ISTAT, 2005), mentre nel secondo si assesta ad oltre il 30% pur considerando solo gli ultra 85enni con limitazioni piuttosto gravi (ARS Toscana, 2007)5. Il secondo fattore dipende invece dalla capacità della medicina di aumentare il numero di anni vissuto in buona salute: mentre l’allungamento della vita media negli anni a venire ottenuta grazie alle innovazioni della medicina è una previsione condivisa6, numerosi dubbi permangono in merito alla durata della vita in assenza da disabilità. Se il progresso delle cure mediche non riuscisse ad allungare il numero di anni vissuto in buona salute (cd. “profezia del fallimento del successo” -Gruenberg, 1977) si avrebbe una ulteriore pressione sulla domanda di cure assistenziali. L’incertezza relativa al comportamento di questa variabile nel prossimo futuro rende qualsiasi previsione piuttosto inconsistente ed aleatoria. Più interessanti, quantomeno per avere una idea sul trend seguito, risultano gli studi rivolti ad analizzare l’andamento della disabilità nel corso degli anni nei vari contesti territoriali. In particolare, Lafortune G. et altri (2007) hanno recentemente effettuato uno studio su 12 Paesi sviluppati che ha messo in rilievo l’esistenza di ambiti nei quali l’incidenza della disabilità diminuisce dell’1-2% circa su base annuale (Danimarca, Finlandia, Italia, USA), rimane stabile (Australia e Canada), aumenta anche del 2,5-3,5% sempre su base annuale (Belgio, Giappone Svezia) oppure non mostra alcuna regolarità (Francia e Regno Unito). A causa della loro difficoltà, in genere le previsioni sulla numerosità futura dei non autosufficienti sono effettuate ipotizzando la costanza dei tassi di incidenza della disabilità per classe di età (cd. previsioni statiche). Alternativamente si può procedere ad agganciare in maniera arbitraria tali tassi ad una variabile proxy più facilmente stimabile che rappresenti la loro probabile evoluzione, o a supporre che in futuro continui il trend osservato nel passato, oppure a formulare opportune ipotesi sull’andamento nel tempo dell’incidenza della disabilità (previsioni dinamiche). L’analisi comparativa e previsiva proposta di seguito (Tab. 1.1) sui principali Paesi 5 Si tratta di una stima IRPET su dati ARS Toscana (2007). I non autosufficienti presi in considerazione sono quelli con limitazioni in ADL o in tre o più IADL. 6 Sul punto si registra una convergenza quasi generale (ad esempio l’Economic Policy Committee and the European Commission (2006) assume un incremento di un anno ogni decade), ma non manca chi solleva dubbi in proposito (cfr. Olshansky, et al., 2005). 21
sviluppati risente delle problematiche già anticipate: la differenza tra le definizioni di non autosufficienza adottate e la difficoltà a prevedere l’impatto dei progressi della medicina. L’intento è quello di analizzare il comportamento dei principali fattori che incidono sulla numerosità dei non autosufficienti (invecchiamento della popolazione e incidenza della disabilità) al fine di comprendere il trend seguito da quest’ultima variabile e, per questa via, anche la dimensione della platea dei soggetti che presumibilmente richiederanno aiuto al sistema di welfare pubblico. In altri termini, si potrà avere un’idea della rilevanza del problema della non autosufficienza nei vari Paesi analizzati. Tabella 1.1 INCIDENZA PERCENTUALE DEI NON AUTOSUFFICIENTI E DEGLI ANZIANI SUL TOTALE DELLA POPOLAZIONE, ASPETTATIVA DI VITA ALLA NASCITA E PERCENTUALE DI VITA ATTESA DA TRASCORRERE IN CONDIZIONE LIBERA DA DISABILITÀ. VARI ANNI % anziani su tot. LE alla nascita*** DFLE su LE in % a 65 anni** % disabili popolazione** Paese sul totale popolazione Maschi Femmine (anno)* 1960 2000 2040 1960 1980 2000 2006 % % % % (anno) anno) (anno) (anno) Australia 18,0 (1993) 8,5 12,4 22,5 70,9 74,6 79,3 81,1 57 (‘81) 40 (‘98) 55 (‘81) 45 (’98) Austria 14,4 (1986) 12,2 15,5 29,6 68,7 72,6 78,1 79,9 40 (‘05)† 33 (‘05) † Canada 15,5 (1991) 7,5 15,5 24,6 71,3a 75,3 79,3 80,4b 71 (‘86) 68 (‘96) 61 (‘86) 62 (’96) Germania 8,4 (1992) n.d. 16,4 29,7 69,1 72,9 78,2 79,8 79 (‘86) 83 (‘95) 76 (‘86) 81 (‘95) Giappone 2,7 (1987) 5,7 17,4 35,3 67,8 76,1 81,2 82,4 90 (‘75) 92 (‘90) 89 (‘75) 87 (‘90) Francia n.d. 11,6 16,1 26,6 70,3 74,3 79,2 80,9 47 (‘05) † 43 (‘05) † Olanda 11,6 (1986) 9,0 13,6 25,5 73,5 75,9 78,0 79,8 70 (‘90) 79 (‘00) 50 (‘90) 67 (‘00) Norvegia n.d. 11,0 15,2 26,3 73,8 75,9 78,8 80,6 56 (‘05) † 43 (’05) † Spagna 15,0 (1986) 8,2 16,9 30,7 69,8 75,4 79,4 81,1 56 (‘05) † 43 (‘05) † ITALIA 5,1 (2004)‡ 9,3 18,1 33,7 69,8a 74,0 80,0 80,9c 55 (‘05) † 46 (’05) † Svezia 12,1 (1988) 11,7 17,3 25,2 73,1 75,8 79,7 80,8 60 (‘05) † 53 (‘05) † Regno Unito 12,2 (1991) 11,7 15,9 25,4 70,8 73,2 77,9 79,1b 58 (‘81) 58 (‘99) 50 (‘81) 53 (’99) Stati Uniti 15,0 (1994) 9,2 12,4 20,4 69,9 73,7 76,8 77,8b 50 (‘70) 49 (‘90) 54 (‘70) 52 (‘90) N.B.: LE = life expectancy; DFLE = disability-free life expectancy Fonte: * DISTAT (United Nations Disability Statistics Database, consultabile al sito http://unstat.un.org); ** OECD, 2005; *** OECD, Health Data 2008; a = dato riferito al 1961; b = dato riferito al 2005; c = dato riferito al 2004; † EHEMU; ‡ elaborazioni IRPET su dati ISTAT La tabella mostra che la numerosità dei non autosufficienti sul totale della popolazione non è in genere irrilevante visto che si attesta, in media, ad oltre il 10%. Tutti i Paesi sono sottoposti ad un invecchiamento della popolazione, causato anche dal rilevante ampliarsi della speranza di vita alla nascita. Non così forte è invece l’aumento -anzi in taluni casi si assiste ad un decremento- degli anni di vita attesi in condizioni di assenza di disabilità. Il saldo del comportamento di tutti questi fattori condurrà presumibilmente ad un ampliarsi della platea dei non autosufficienti nel prossimo futuro. 22
Un modo per osservare in maniera più agevole la rilevanza della non autosufficienza tra i vari Paesi sviluppati è riportare in un singolo grafico (Graf. 1.2) sia l’incidenza della popolazione anziana (fattore demografico) che gli anni attesi da trascorrere in condizione di disabilità (fattore socio- sanitario-ambientale). Grafico 1.2 RILEVANZA DELLA NON AUTOSUFFICIENZA IN ALCUNI PAESI SVILUPPATI. 2006 60 80 100 120 140 160 160 disabilità a 65 anni (media Paesi = 100) Anni attesi da passare in condizione di Giappone 140 Germania 120 Austria Francia Canada Spagna ITALIA 100 Olanda Svezia USA 80 Regno Unito Australia 60 Incidenza della popolazione 65+ (media Paesi = 100) Fonte: elaborazioni IRPET su dati OECD Health Data 2008 In tale rappresentazione grafica, la rilevanza del tema della non autosufficienza aumenta man mano che si percorre da sinistra verso destra la bisettrice del primo e terzo quadrante. In tale direzione, infatti, aumentano relativamente alla media dei Paesi considerati sia l’incidenza della popolazione ultra 65enne che gli anni attesi da trascorrere in condizione di disabilità. Tra le nazioni nelle quali il tema dell’assistenza ai non autosufficienti è più rilevante troviamo anche l’Italia7, con una struttura demografica significativamente anziana ed un lasso di tempo da vivere in condizione di disabilità sostanzialmente in linea con la media internazionale. Ad oggi il numero dei non autosufficienti in Italia è stimato dall’ISTAT (2005, 2005b) in circa 2.800.000 persone, pari a circa il 5,1% della popolazione8. La comparazione con i valori stimati dall’ISTAT nel 1999- 2000 lascia trasparire una sostanziale stabilità del fenomeno nel tempo, 7 È interessante osservare che tra i Paesi nei quali la non autosufficienza assume un peso rilevante, l’Italia è tra le poche a non aver ancora avviato una riforma dell’assistenza ai soggetti disabili. 8 I dati, che sono riferiti al totale della popolazione con 6 anni o più, comprendono sia i non autosufficienti a domicilio (2.609.000 persone) che in istituto (191.508 individui). La popolazione di riferimento è quella residente in Italia nel 2004 con 6 anni e più (cfr. http://demo.istat.it). 23
a testimonianza del fatto che l’effetto negativo causato dalla demografia risulta esser compensato dalla riduzione dell’incidenza della disabilità per classe di età. 1.3 L’impatto sulle finanze pubbliche In generale, la quota di spesa pubblica destinata ai programmi di cura ed assistenza dei non autosufficienti testimonia il grado di impegno che i vari Paesi profondono nel socializzare i costi della situazione di dipendenza. In realtà, come già accennato in precedenza, la questione della non autosufficienza è venuta alla ribalta in molti Paesi non prima dell’ultima decade del secolo scorso. In molti contesti, pertanto, non si è ancora trovata l’occasione di intervenire significativamente sulla questione riformando un sistema di welfare che, in molti casi, non consente di tutelare adeguatamente l’insieme di persone oggetto di analisi. Questa constatazione, oltre all’usuale prudenza nell’effettuare confronti spazio-temporali, deve essere tenuta presente nel valutare i dati riportati nella tabella seguente, che rappresentano la spesa pubblica per long-term care9 nei principali Paesi sviluppati. Tabella 1.3 INCIDENZA PERCENTUALE SUL PIL DELLA SPESA PUBBLICA PER LONG-TERM CARE IN ALCUNI PAESI OECD Paese Fonte Anno % sul PIL Australia OECD Health Data (2008) 2002 1,0 Austria Economic Policy Commettee and the European Commission (2006) 2004 0,6 Canada OECD (2005) 2000 0,9 Germania Economic Policy Commettee and the European Commission (2006) 2004 1,0 Giappone OECD Health Data (2008) 2006 1,6 Francia OECD Health Data (2008) 2006 1,5 Olanda OECD Health Data (2008) 2006 3,4 Norvegia OECD (2005) 2000 1,8 Spagna OECD Health Data (2008) 2006 0,7 ITALIA Ragioneria Generale dello Stato (2009) 2006 1,7 Svezia Economic Policy Commettee and the European Commission (2006) 2004 3,8 Regno Unito Economic Policy Commettee and the European Commission (2006) 2004 1,0 Stati Uniti OECD (2005) 2000 0,7 9 La spesa per long-term care comprende tutti quegli interventi di natura assistenziale o sanitaria a favore delle persone anziane o disabili non autosufficienti, cioè non in grado di compiere con continuità gli atti quotidiani della vita senza un aiuto esterno. La definizione puntuale in merito a quali singole prestazioni inserire nell’aggregato segue le linee guida definite dall’OCSE e riprese in ambito europeo. Per un approfondimento cfr. Aprile, Vestri (2005). 24
Tra i valori presentati si notano quelli di Svezia, Olanda e Norvegia che spiccano per la loro entità, a testimonianza di un modello di welfare caratterizzato da universalismo ed un intervento pubblico preponderante. A seguire troviamo il valore dell’Italia, che tuttavia, come noto, non si è ancora dotata di un organico sistema di erogazione delle prestazioni ai non autosufficienti. Questa situazione di stallo caratterizza il contesto italiano per la compresenza di prestazioni quali-quantitativamente inadeguate e di un impatto tutt’altro che irrilevante sulle finanze pubbliche. In altri termini, a fronte di una spesa relativamente cospicua non si rileva una altrettanta efficacia delle politiche di sostegno, dato che quest’ultime si basano su istituti ormai desueti nell’affrontare le mutate esigenze odierne della platea dei non autosufficienti. Il valore relativo all’Italia può essere distinto sia per età del beneficiario che per tipologia funzionale della prestazione. Per quanto riguarda il primo aspetto è possibile notare che oltre i 2/3 della spesa sono destinati a persone ultra 65enni, mentre per il secondo spicca il primato delle prestazioni monetarie rispetto a quelle in kind. Più precisamente si può notare nella seguente tabella 1.4 la ripartizione della spesa tra: assistenza domiciliare e semi-residenziale (home care); assistenza residenziale (institutional care); prestazioni monetarie (cash benefits). Tabella 1.4 RIPARTIZIONE PER TIPO DI PRESTAZIONE E PER DESTINATARI DELLA SPESA PUBBLICA PER LONG-TERM CARE IN ITALIA. 2008 Valori percentuali % sul PIL % sul totale % PIL prestazioni % sul totale ultra 65enni Assistenza domiciliare e semi-residenziale (home care) 0,51 31 0,26 23 Assistenza residenziale (institutional care) 0,44 26 0,31 28 Prestazioni monetarie (cash benefits) 0,71 43 0,55 49 TOTALE 1,67 100 1,12 100 Fonte: Ragioneria Generale dello Stato (2009) Un aspetto particolarmente preoccupante riguarda l’incremento della spesa attesa per il prossimo futuro. Nella seguente tabella (Tab. 1.5) sono rappresentate le previsioni in merito all’incidenza sul PIL delle spese per long-term care in alcuni Paesi europei. 25
Tabella 1.5 PREVISIONI PER ALCUNI PAESI DELL’INCIDENZA SUL PIL DELLE SPESE PER LONG-TERM CARE Valori percentuali 2004 2010 2020 2030 2040 2050 ∆ 2004-2050 Austria 0,6 0,7 0,8 1,0 1,2 1,5 +0,9 Germania 1,0 1,0 1,2 1,4 1,6 2,0 +1,0 Olanda 0,5 0,5 0,5 0,8 0,9 1,1 +0,6 Spagna 0,5 0,5 0,5 0,5 0,6 0,8 +0,3 ITALIA 1,5 1,5 1,6 1,7 1,9 2,2 +0,7 Svezia 3,8 3,7 3,7 4,9 5,2 5,5 +1,7 Regno Unito 1,0 1,0 1,1 1,3 1,5 1,8 +0,8 Finlandia 1,7 1,9 2,1 3,0 3,4 3,5 +1,8 Danimarca 1,1 1,1 1,2 1,8 2,0 2,2 +1,1 Belgio 0,9 0,9 1,1 1,3 1,6 1,8 +0,9 Media EU-15* 0,9 0,9 1,0 1,1 1,3 1,5 +0,6 * si tratta di una media pesata con il PIL dei vari Paesi Fonte: Economic Policy Committee and the European Commission (2006) Le stime riportate sono da assumere come prudenziali in virtù delle ipotesi di riduzione dell’incidenza della disabilità pari alla metà di quanto registrato a proposito del tasso di mortalità e di invarianza della probabilità di ricevere cure formali10. Nonostante ciò si rileva una crescita della spesa in Italia di quasi il 50% al 2050. L’andamento della spesa in Italia sembra comunque del tutto analogo a quello seguito dagli altri Paesi e dalla media europea. Ciò significa che il differenziale registrato attualmente a sfavore dell’Italia nei confronti della media europea si manterrà pressoché invariato nel corso degli anni. In realtà l’elevatezza della spesa per i non autosufficienti non rappresenta necessariamente un elemento negativo, dato che potrebbe essere la necessaria conseguenza di un sistema che, erogando un volume di prestazioni più cospicuo, riesce a garantire una maggior tutela delle persone non autosufficienti. Tuttavia, nel caso in cui le prestazioni non fossero adeguatamente strutturate per risolvere i problemi dei non autosufficienti la maggiore spesa prevista potrebbe non rivelarsi altro che un aumento dell’inefficienza, che si ripercuoterebbe negativamente sia sul benessere dei disabili che sulla sostenibilità economica, finanziaria e sociale del sistema nel lungo periodo. Il caso italiano, che manca di una riforma complessiva di un sistema ormai desueto in molti aspetti (cfr. in proposito il paragrafo 1.4), rischia di essere in futuro più conforme al secondo scenario prospettato che al primo. Nella tabella è interessante osservare i casi svedese e finlandese, che si distinguono per una dinamica dell’incidenza della spesa sul PIL Si tratta del cosiddetto “AWG Reference scenario” formulato in Economic Policy Committee and the 10 European Commission (2006). 26
differente rispetto agli altri contesti analizzati. Ciò è dovuto all’effetto delle ipotesi inserite nel modello di previsione sulle peculiarità del modello assistenziale adottato. Più precisamente, l’elevato differenziale dell’incidenza della spesa tra il 2004 ed il 2050 è dovuto all’esteso ricorso all’assistenza formale (residenziale e non) e al marcato universalismo. L’effetto congiunto di queste due caratteristiche si ripercuoterà sull’entità della spesa in maniera più accentuata che altrove. 1.4 I possibili strumenti di tutela e le soluzioni attuate Da un punto di vista strettamente economico la condizione di non autosufficienza richiede, quando si manifesta, un notevole impiego di prestazioni dal costo rilevante. Gli economisti dibattono da tempo in merito a quale sia il sistema di finanziamento e fornitura delle prestazioni più opportuno. In generale, l’ortodossia economica asserisce che, in assenza di specifiche ragioni, il mercato è il miglior allocatore di risorse, ossia il mezzo che garantisce la maggiore efficienza nel finanziamento e nell’erogazione di beni e servizi. Il tema della non autosufficienza presenta numerosi aspetti -primo tra tutti quello equitativo- che limitano l’opportunità di affidarsi esclusivamente al mercato mentre obbligano ad interrogarsi, con tanta più forza quante minori sono le risorse a disposizione, su quale sia il sistema relativamente più efficiente per garantire ai non autosufficienti le adeguate prestazioni11. Il presente paragrafo fornisce inizialmente una breve sintesi delle ragioni che giustificano l’intervento pubblico. In seguito viene proposta una rassegna dei principali sistemi pubblici presenti attualmente nei maggiori Paesi sviluppati e, infine, viene studiata la situazione italiana mediante una analisi delle principali proposte di riforma presentate nel corso degli anni ed una valutazione dei modelli che si sono venuti a creare a livello regionale. La prima modalità di finanziamento ipotizzabile è quella derivante dall’uso delle risorse risparmiate da una persona nel corso della vita12. Questa soluzione, marcatamente individualistica, appare inopportuna per una serie di motivi: in primo luogo equitativi, dato che non tutti i 11 Per una rassegna dei fondamenti e dei vari filoni teorici dell’economia sanitaria cfr. Petretto (1997). 12 Sotto un profilo puramente strumentale il risparmio privato può avere la forma di attività finanziarie (più o meno liquide) e/o reali. Nella recente letteratura risultano dibattute in particolare le soluzioni che incentivano ad utilizzare il valore delle case possedute, ad esempio tramite la vendita della nuda proprietà, per finanziare le spese per le long-term care. Pur essendo caratterizzata da limiti rilevanti tale soluzione consentirebbe di smobilizzare la principale forma di risparmio degli anziani, in genere caratterizzati da una scarsità di risorse liquide ma da una elevata ricchezza immobiliare (cd. “house- rich, cash-poor”). 27
soggetti potranno essere in grado di far fronte alle spese e che, in generale, non si riuscirà a destinare uguali risorse per uguali condizioni di bisogno; sussistono, inoltre, aspetti inerenti alla lungimiranza delle persone, in quanto non tutti potrebbero essere così accorti da accantonare un ammontare adeguato di risorse13; esistono, infine, problemi relativi all’efficienza complessiva, dovuti al fatto che la non autosufficienza non si verifica per tutti e pertanto si presta ad essere gestita più efficientemente in maniera collettiva. Quest’ultima motivazione apre la strada alla soluzione assicurativa: ogni soggetto si potrebbe assicurare contro il rischio di non autosufficienza pagando un premio periodico in cambio delle prestazioni che riceverà in caso di bisogno. L’assicurazione, ripartendo opportunamente il rischio, trasferirebbe risorse dai soggetti “sani” a quelli “malati”, conseguendo per questa via un guadagno netto in termini di efficienza sia per i singoli che per la collettività (Moscarola, 2003; ISVAP, 2001). Tuttavia, lo scarso ricorso all’assicurazione privata anche in contesti quali gli Stati Uniti, dove questo modo di agire è ben rodato, solleva importanti interrogativi sulla validità dello strumento. In effetti, sono riscontrabili rilevanti casi di fallimento di mercato, tanto dal lato dell’offerta che della domanda, che ne impediscono il corretto funzionamento ed uno sviluppo su larga scala. Senza entrare nel dettaglio, possiamo mettere in evidenza alcuni risultati emersi dalla letteratura economica che possono risultare utili nell’orientare il dibattito anche in merito alla creazione di un sistema pubblico. Per quanto riguarda l’offerta, il principale ostacolo riguarda l’asimmetria informativa tra assicurato ed assicuratore14: se quest’ultimo non è in grado di associare correttamente il rischio di non autosufficienza ad ogni soggetto, non troverà il modo di ripartirlo sulla collettività degli assicurati, con ripercussioni sulla profittabilità della gestione. Inoltre l’assicuratore potrebbe essere tentato di assicurare solo coloro che non presentano rischi eccessivamente elevati (cd. cream-skimming), violando l’universalità delle cure che è alla base del sistema sanitario ed assistenziale del nostro Paese. Una ulteriore motivazione, che frena lo sviluppo della soluzione assicurativa, riguarda il fatto che secondo alcuni (Cutler, 1993; Norton, 2000) una parte del rischio di non autosufficienza non è diversificabile -ossia non è ripartibile opportunamente tra soggetti sani e malati- in quanto colpisce indistintamente tutti i soggetti assicurati, impedendo pertanto il corretto funzionamento e la convenienza economica della gestione. La 13 La letteratura economica ha messo in evidenza anche un ulteriore aspetto problematico: se una persona ritiene che in caso di non autosufficienza sarà comunque assistito dai familiari, sarà portato ad accumulare un quantitativo di risorse inferiore a quanto ottimale. Il fenomeno economico al quale ci si riferisce in questo caso è il cd. “comportamento sleale” (ex-ante moral hazard). 14 Il fenomeno economico al quale ci si riferisce in questo caso è la cd. “selezione avversa” (adverse selection). 28
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