Ultime notizie dal mondo 1/ 31 Agosto 2009 - Ildialogo.org
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Ultime notizie dal mondo 1/ 31 Agosto 2009 (http://www.rivistaindipendenza.org) a) Iran. Chicche relative al tentativo di destabilizzazione degli assetti politici in Iran: la Clinton conferma il lavorìo dietro le quinte di Washington (9); manifestanti, con indosso divise della polizia e dei Basiji, attaccarono altri manifestanti per alimentare gli scontri (6); Washington dietro gli attacchi terroristici in Iran dell’organizzazione terrorista Jundallah (25). Sulle accuse di violenza sessuale ai danni di manifestanti arrestati, Karroubi sgonfia clamorosamente sue precedenti dichiarazioni al riguardo (19). Intanto dà vita, insieme ad altri riformisti neoliberisti, al “Sentiero verde della speranza” (19). Emergono rapporti tra Khatami-Soros dal 2006 (25). L’AIEA pubblica un favorevole rapporto sul nucleare iraniano. Washington, imbarazzata, mantiene però la tensione (30). Per finire, ma nient’affatto secondaria, Ahmadinejad si mostra deciso nei confronti della vera “eminenza grigia” all’origine interna dei disordini: l’Ayatollah Rafsanjani. Intanto alti dirigenti dell’amministrazione Obama e del gabinetto Netanyahu si sono riuniti nella sede del Mossad israeliano per dare il via al piano «per rovesciare il governo di Ahmadinejad in Iran» (1). b) Afghanistan. Si susseguono, sempre più allarmati, i rapporti di criticità sulla situazione militare e politica. Si segnalano qui quelli del generale McChrystal (13) e di un’analista, Anthony Cordesman, invitato dallo stesso McChristal a collaborare alla preparazione della sua analisi (13). A Londra, al Comitato degli Affari Esteri dei Comuni, la “missione” in Afghanistan è data per fallita (3). A Washington assicurano che sarà rivista la strategia nel paese asiatico occupato, forse accogliendo le linee guida suggerite dal su citato generale McChrystal, che in parte stanno trapelando (31). c) Palestina. Durissimo rapporto dell’ONU sulla «quasi totale impunità» dei crimini sionisti in Palestina (15). Si susseguono le denunce sui crimini perpetrati, contro i civili, dai soldati israeliani durante l’operazione “Piombo fuso” su Gaza. Parla l’organizzazione statunitense Human Rights Watch. A Gerusalemme, intanto, prosegue la “pulizia etnica abitativa” per “ebraicizzare” la città: la storia di alcune famiglie palestinesi di Sheikh Jarrah, quartiere di Gerusalemme est (13 e 21). Netanyahu, primo ministro israeliano, ribadisce al suo omologo britannico Brown che la colonizzazione non si fermerà (26). Gli effetti dell’ultima aggressione israeliana a Gaza sui bambini (11). Motovedette israeliane continuano a sparare sui pescherecci palestinesi (22). Gheddafi attacca la politica d’Israele in Africa (31). Segretamente, intanto, si parla con Hamas (1). Da non perdere la scarrellata di notizie sul congresso di Al Fatah (12). 1
d) Libano. Si sfalda il blocco filo-occidentale di Hariri e cresce il peso politico di Hezbollah (12). Su Hezbollah al governo, Israele minaccia Hariri che replica (11, 29 e 31). Da leggere anche, per Hezbollah, le risposte di Hatem (14) e Nasrallah (15). Sparse ma significative: •€€€ Giappone. Dietro la vittoria storica del Partito Democratico giapponese (31). Verso una ridefinizione dei rapporti con gli USA negli equilibri geostrategici in Asia? •€€€ Russia. La guerra geopolitica del gasdotto South Stream: accordo siglato con la Turchia (7). In tema energetico, Mosca ‘strappa’ con l’Unione Europea (7). E mostra i muscoli con il progetto di legge Medvedev (11). Crescono le tensioni con Ucraina (11 e 15) e Georgia (2 e 6). •€€€ Colombia. Verso una guerra in America latina? Il nodo delle basi statunitensi in Colombia (7). Reazioni nei paesi latinoamericani (7). L’ELN invita le FARC ad unire le forze contro l’«invasione» degli Stati Uniti (5). E la Chiesa cattolica colombiana media con le FARC (13). •€€€ USA. La politica estera di Barack Obama? Continuazione di quella di Bush. Parola di George Friedman di Stratfor (10). Da vedere anche scudo antimissilistico (30) e sequestri all’estero (25). Infine, per frenare il rifiuto alla guerra, tanto più con l’escalation militare USA in Afghanistan, torna il fantasma dell’11 settembre (24). •€€€ Turchia / Kurdistan. Indiscrezioni sulla proposta di pace di Ocalan e posizione dell’esercito turco (17 e 26). •€€€ Honduras. Parte la campagna elettorale, mentre si punta a normalizzare il golpe: contro Obama o il primo, riuscito, dell’era Obama? Con un’occhiata alle ‘ragioni’ dei golpisti (31 e 19). 2
Tra l’altro: Nepal (7 agosto). Myanmar (29 agosto). Italia (27 agosto). Ecuador (11 agosto). Euskal Herria (1 agosto). Corsica (9 agosto). Germania (20 agosto). Romania (11 agosto). Scozia (31 agosto). Cina / Australia (20 agosto). Russia / Mongolia (26 agosto). USA / Eritrea (7 agosto). Sri Lanka (7, 31 agosto). India (19 agosto). Sahara Occidentale (13, 17 agosto). Iraq (13 agosto). Inguscezia (18 agosto). • Euskal Herria. 1 agosto. «Non abbiamo altra opzione: entriamo nell’ETA». I quotidiani baschi Gara e Berria pubblicano la notizia di quattro persone a volto scoperto che spiegano la decisione del gruppo di cui fanno parte (dieci persone) di entrare nell’organizzazione armata basca ETA: dal momento che nel corso degli ultimi mesi sono state accusate e inseguite con l’accusa di farne parte, alla fine hanno deciso che valeva la pena entrare nell’organizzazione, piuttosto che vivere da braccati. I dieci si presentano come militanti della sinistra indipendentista che in diverse maniere hanno preso parte alla lotta a favore di Euskal Herria. Affermano: «Abbiamo lavorato in diverse organizzazioni del movimento di liberazione nazionale basco fino a quando poliziotti armati fino ai denti sono venuti a torturarci, a incarcerarci e ci siamo visti obbligati a fuggire». «Di fronte all’impossibilità di continuare a lavorare nei nostri paesi, nelle nostre organizzazioni, noi qui firmanti non 3
abbiamo nessuna intenzione di fermarci o di presentarci all’Audiencia Nacional. Se il nemico ci voleva neutralizzare, si è sbagliato di grosso». Per questo scrivono: «Non abbiamo altra opzione possibile. Ci rimane solo il far fronte alla ragione spagnola delle armi, con le armi a nostra volta in pugno e lo faremo con determinazione». • Euskal Herria. 1 agosto. Nel prosieguo delle dichiarazioni degli aspiranti etarras, emerge anche la criminalizzazione che da anni la magistratura, connivente e ‘indirizzata’ dal governo spagnolo, sta portando avanti con lesioni dei diritti personali in nome della lotta al «terrorismo». Emerge la disperazione di una condizione di vita diffusissima negli ultimi decenni nelle provincie basche. Quando (ed è frequente) c’è l’arresto di uno o più indipendentisti, automaticamente si attivano le retate e le case degli amici degli arrestati si svuotano. È ‘normale’ che capiti anche nel corso di manifestazioni. L’arresto significa tortura nei commissariati spagnoli. Le denunce, dettagliate, che si susseguono, producono un effetto ‘terroristico’ sui più giovani. I cinque giorni di isolamento (l’«incomunicazione»), cui si è sottoposti dopo un arresto, si riempiono di una vasta letteratura di brutalità e nefandezze. Racconti sui metodi di tortura che si ripetono. Per il governo di Madrid è solo una strategia di ETA. • Palestina. 1 agosto. In segreto si dialoga con Hamas. Rappresentanti di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Francia, a Ginevra, sotto la mediazione svizzera, si sono incontrati con una delegazione dell’organizzazione palestinese Movimento della Resistenza Islamica (Hamas), ritenuta «terrorista». La conferma è venuta proprio dall’esecutivo elvetico. Gli incontri sono avvenuti gli scorsi 16 e 17 giugno, ma della cosa si è saputo solo adesso. Sempre secondo queste informazioni, la delegazione di Hamas sarebbe stata guidata da Mahmud al-Zahar, titolare degli Esteri del Governo di Gaza. Finora USA e UE esigono da Hamas la rinuncia esplicita alla resistenza («terrorismo») contro le aggressioni e l’occupazione d’Israele ed il riconoscimento ufficiale dello Stato israeliano come condizioni previe perché Hamsa sia considerato un interlocutore valido. Il riconocimento verrebbe ‘pareggiato’ dalla creazione di uno Stato palestinese nelle attuali Gaza e Cisgiordania. Hamas condiziona ogni eventuale concessione ad un quadro di negoziazione da pari a pari con Tel Aviv. • Iran. 1 agosto. Alti dirigenti dell’amministrazione Obama e del gabinetto Netanyahu si sono riuniti il 30 luglio scorso nella sede del Mossad israeliano per dare il via al piano «per rovesciare il governo di Ahmadinejad in Iran». Lo riferisce il sito israeliano DEBKAfile, secondo il quale i partecipanti hanno concordato di non intraprendere azioni allo scoperto contro Teheran, per evitare di ricompattare l’opinione pubblica iraniana. Si procederà quindi, ufficialmente, solo con gli «inviti al dialogo». Secondo le indiscrezioni divulgate da DEBKAfile, nei prossimi giorni «le pressioni invisibili» su Teheran inizieranno con contatti estesi del segretario di Stato Hillary Clinton con gli alleati degli Stati Uniti nel Golfo Persico, che darà agli alleati indicazioni per avviare i piani ai danni di Teheran. L’agenzia stampa iraniana Fars aggiunge che, alla riunione, l’amministrazione Obama era rappresentata da esponenti di primissimo piano come il consigliere per la sicurezza nazionale James Jones, il sottosegretario di Stato agli affari politici William Burns e l’inviato speciale per la regione del Golfo Persico e l’Asia di Sud Ovest Dennis Ross. Per gli israeliani erano presenti il capo dei servizi di spionaggio “Meir Dagan”, il direttore dell’intelligence militare “Amos Yadlin” ed il presidente del Consiglio per la sicurezza 4
nazionale “Ozi Arad”. I partecipanti hanno affermato che alcuni fatti verificatisi recentemente testimoniano «mancanza di unità» in Iran e che pertanto il progetto di rovesciare il governo iraniano è da prendere in considerazione. • Russia / Georgia. 2 agosto. Mosca non scarta il ricorso alla forza per frenare le «provocazioni» della Georgia. Ieri il ministero russo della Difesa ha rivendicato il proprio diritto a difendere i civili ed il proprio contingente militare. Le autorità dell’Ossezia del Sud, la cui indipendenza è stata riconosciuta da Mosca dopo la guerra dello scorso agosto tra Russia e Georgia, hanno accusato ieri le forze georgiane di aver sparato vari colpi di mortaio contro il proprio territorio. Hanno esteso l’accusa all’Unione Europea giacché l’attacco georgiano è stata effettuato «dalla zona di responsabilità degli osservatori europei». «La passività e l’attitudine tendenziosa degli osservatori europei animano, di fatto, le provocazioni georgiane», ha dichiarato giovedì il leader sudosseta, Eduard Kokoiti, che rivendica la consegna, da parte di Tbilisi, di altre «antiche terre ossete». Secondo alcuni analisti, Mosca prepara il terreno per una nuova guerra contro la Georgia con l’obiettivo di rovesciare il governo di Mikhail Saakashvili, giacché per Mosca «è inaccettabile l’attuale status quo» nel Caucaso, dove ha perso ogni influenza. Altri ritengono che si tratti solo di una «guerra di nervi» alla vigilia dell’anniversario del conflitto armato. • Afghanistan / Gran Bretagna. 3 agosto. La “missione” in Afghanistan è fallita. Ieri il Comitato degli Affari Esteri dei Comuni ha preso atto del mancato adempimento delle promesse della “missione” militare dovute alle responsabilità delle truppe invasori anche sul fronte della lotta al traffico di droga. Si è quindi rivolto a non precisati alleati della NATO perché contribuiscano di più nella lotta contro i taliban per evitare il rischio che la «reputazione dell’Alleanza sia danneggiata». Il rapporto critica la mancanza di pianificazione del governo e la carenza di una strategia realista e di una direzione chiara da seguire da parte delle truppe. • Colombia. 5 agosto. L’ELN invita le FARC ad unire le forze contro l’«invasione» degli Stati Uniti. La guerriglia colombiana dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) ha rivolto questo appello alle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia-Esercito del Popolo (FARC-EP) per porre fine agli scontri nella zona di frontiera con il Venezuela e sommare le forze contro l’«invasione» degli Stati Uniti. In una lettera del Comando Centrale dell’ELN diretta al decimo fronte delle FARC che opera nel dipartimento di Arauca, afferma che «è irresponsabile trasferire problemi addizionali sul territorio, con il che finiremmo con l’essere funzionali all’intervento gringo». Inatnto il comandante dell’Esercito colombiano, Freddy Padilla, ha confermato che saranno sette le basi militari che vedranno la presenza di ufficiali e personale statunitense. Gli USA avranno accesso a tre basi aeree, due navali e due dell’Esercito ubicate a Cartagena, Larandia, Tolemaida e Palanquero, Málaga, Apiay e Malambo. L’accordo militare tra Washington e Bogotá ha generato malessere tra i paesi confinanti. • Iran. 6 agosto. Avevano indossato finte divise della polizia e del corpo dei volontari Basiji, durante i disordini a Teheran subito dopo l’elezione di Ahmadinejad alla presidenza iraniana, e attaccato altri manifestanti con l’intenzione di attribuire la paternità dell’azione 5
alle forze di sicurezza iraniane. Arrestati sul fatto, riferisce l’agenzia Fars, adesso è stata loro formalizzata l’accusa di aver agito contro la sicurezza nazionale e saranno processati. • Russia / Georgia. 6 agosto. Mosca accusa Washington di riarmare la Georgia e di istigare così il suo presidente, Mikhail Saakashvili, a compiere una nuova «aggressione». Così ieri il viceministro russo degli Esteri, Grigori Karasin, in conferenza stampa. Ha assicurato che gli Stati Uniti «non sono gli unici ad inviare armamenti alla Georgia» anche se non ha indicato quali siano gli altri paesi. Il comandante aggiunto dello Stato Maggiore russo, Anatoli Nogovitsyne, ha detto, dal canto suo, che il riarmo della Georgia significa che Tbilisi si prepara ad un nuovo attacco. Tbilisi, ha aggiunto, ha una capacità militare simile o anche «superiore» a quella di un periodo di pre-guerra. Durante la sua visita a Tbilisi il 23 luglio scorso, il vicepresidente statunitense, Joe Biden, ha ammesso che Washington, che equipaggiò ed addestrò le truppe georgiane prima della sua aggressione contro l’Ossezia del Sud un anno fa, lavora con la Georgia per «mantenere le sue forze armate». Washington starebbe curando una riforma anche in senso professionale dell’esercito georgiano. • Russia / Turchia. 7 agosto. Ankara dà il via libera alla Russia per il passaggio del gasdotto South Stream per le sue acque del mar Nero. Mosca potrà così evitare l’Ucraina. È previsto che studi ed esplorazioni partano a novembre. «Le negoziazioni non sono state facili, abbiamo avuto difficoltà, ma alla fine siamo arrivati ad un accordo su tutti i punti», ha dichiarato il primo ministro russo, Vladimir Putin, dopo una giornata di negoziazioni con l’esecutivo turco presieduto dal primo ministro, Recep Tayyip Erdogan, svoltesi ieri ad Ankara. A queste ha partecipato il capo del governo italiano, Silvio Berlusconi, stante la partecipazione del gruppo italiano ENI. In cambio del permesso a che South Stream passi per le acque turche, Mosca prolungherà l’accordo di esportazione di gas alla Turchia (ben i 2/3 del suo fabbisogno) e ne rivedrà il prezzo, a beneficio turco. Firmati inoltre 15 protocolli di collaborazione tra i due paesi, con un volume dell’interscambio commerciale che raggiunge i 40mila milioni di dollari, il che porta questo paese slavo ad essere il primo socio commerciale dei turchi. Siglato anche un accordo di cooperazione nucleare con fini pacifici. Il gasdotto South Stream, gestito dal consorzio statale russo Gazprom, vede come competitore quello paneuropeo Nabucco, sponsorizzato per ragioni geopolitiche da Washington per ridurre la dipendenza energetica dei paesi europei dalla Russia e legarli ancor più strettamente a sé. In questo contesto la scelta ‘affaristico’/imprenditoriale italiana è mal vista a Washington. Il gasdotto progettato da Gazprom collegherà la stazione russa di Beregovaya con Varna (Bulgaria) e avrà diversificazioni fino in Italia attraverso Grecia ed Europa centrale passando per Serbia e Ungheria. Il Nabucco, il cui piano di sviluppo è stato approvato a luglio ad Ankara (la Turchia mantiene, al riguardo, il piede in due staffe) dalle compagnie dei paesi coinvolti, connetterà il terminal di Erzurum (Turchia), dove già arriva un gasdotto procedente dall’Azerbaiyan, con quello di Baumgarten an der March (Austria) mediante una tubatura di 3.300 km attraverso Bulgaria, Romania e Ungheria. In conferenza stampa, Putin ha minimizzato sul fatto che i due progetti non potranno convivere in uno stesso spazio. Per Erdogan «non ci sono rivalità, se non che sono due progetti alternativi. Dobbiamo vederli come diversità che aumenteranno la sicurezza energetica (europea, ndr)». 6
• Russia. 7 agosto. Mosca non ratificherà la Carta Energetica ed il suo protocollo. Il primo ministro russo, Vladimir Putin, ha firmato un decreto con il quale la Russia rinuncia definitivamente alla ratifica della Carta. L’annuncio, ieri, è venuto dal governo. Mosca ha informato della decisione il governo portoghese, giacché l’accordo internazionale fu sottoscritto a Lisbona nel dicembre 1994. La Russia, allora, firmò, ma non ratificò. Putin ritiene che la Carta non sia oggi più valida per regolare la sua relazione con l’Unione Europea e che debba essere rimpiazzata dal patto energetico proposto ad aprile, ad Helsinki, dal presidente russo, Dmitri Medvedev. Questo patto «creerebbe una base legale che terrebbe in conto gli interessi di tutti i partecipanti: produttori, paesi di transito e consumatori». In virtù di questo, paesi fornitori e consumatori condividerebbero la responsabilità per il transito degli idrocarburi attraverso il territorio di paesi terzi e concorderebbero investimenti congiunti nelle reti di gasdotti e oleodotti. La UE ha ribadito che la Russia dovrebbe ratificare la Carta Energetica, «meccanismo di cooperazione tra Ovest ed Est d’Europa», ritenendo che l’accordo proposto dal Cremlino non ne annulla lo spirito e la lettera. Mosca però la ritiene pregiudiziale per gli interessi dei paesi produttori e la considera incapace di prevenire conflitti come la «guerra del gas» che l’ha contrapposta nel recente passato all’Ucraina. Mosca ritiene inoltre che la Carta miri ad assicurare alla UE il libero accesso alle riserve russe e alle sue reti, a fronte del fatto che l’Europa blocca gli investimenti russi e gli acquisti di azioni nei Ventisette. • Nepal. 7 agosto. Prachanda accusa: India ed USA sono implicate nella pianificazione di una campagna anti-Cina, che prende in considerazione anche un attacco al gigante ‘comunista’ attraverso il territorio nepalese. «Io ho lasciato il posto di Primo Ministro perché, con il mio partito, ci opponiamo a che il nostro territorio sia usato contro la Cina». Così ha detto, in un’intervista al Rajdhani Daily, Pushpa Kamal Dahal, conosciuto con il nome di Presidente o Compagno “Prachanda” (in nepalese significa “Il fiero”) leader del Partito Comunista Maoista Nepalese e primo ministro dall’agosto 2008 al maggio 2009. «Il piano USA-India doveva affrontare la sfida del nostro partito e dare il via alla cospirazione contro il mio governo». La cospirazione viene ascritta al sabotaggio contro la stesura della Costituzione, ha sottolineato lo stesso Prachanda che, in diverse occasioni, ha criticato l’India per aver di fatto rovesciato il suo governo a maggio, dopo soli otto mesi. Le accuse di Prachanda emergono dopo un programma di proteste, organizzato dal suo partito e durato un mese, per il mantenimento della «supremazia dei civili» e per la formazione di un governo d’unità nazionale, sotto la guida dei Maoisti. Intanto l’India cestina le accuse di Prachanda. «Le accuse sono completamente false e senza basi», ha commentato Vishnu Prakash, portavoce del ministero degli Affari Esteri. • Sri Lanka. 7 agosto. Arrestato il nuovo leader dell’LTTE a Bangkok. L’Esercito dello Sri Lanka lo ha annunciato ieri. Il nuovo leader delle Tigri di Liberazione della Terra Tamil (LTTE), Selvarajah Pathmanathan, aveva assunto la direzione dell’organizzazione guerrigliera dopo la fine dell’offensiva militare a maggio e la morte di Velupillai Prabhakaran, suo storico leader. • USA / Eritrea. 7 agosto. Clinton avverte l’Eritrea: «inaccettabili» le sue interferenze in Somalia. La segretaria di Stato statunitense, Hillary Clinton, ha promesso ieri un forte 7
appoggio di Washington al fragile governo somalo (raddoppio di armi leggere e munizioni) e misure contro l’Eritrea se non cessa di prestare aiuti agli «shebab», l’insorgenza islamista somala. In conferenza stampa con il presidente somalo, Sharif Sheij Ahmed, la Clinton ha bollato gli shebab come «organizzazione terrorista» e ha detto che minacciano la sicurezza internazionale. Per ironia della storia, Sharif Sheij Ahmed, descritto come un islamista moderato, era alla testa dei Tribunali Islamici che controllarono gran parte del paese nel secondo semestre del 2006, e fu uno dei massimi resistenti all’intervento militare etiope appoggiato dagli USA nel 2007. Già a fine giugno Washington aveva annunciato l’invio di 40 tonnellate di armi e munizioni a Mogadiscio. Un esperto in questioni somale ha segnalato di recente alla France Presse che, una settimana dopo, la metà di queste armi erano passate nelle mani degli «shebab». • Colombia. 7 agosto. Uribe non placa le inquietudini regionali dopo l’accordo militare con gli USA. Il Brasile è stata l’ultima tappa della maratona del presidente della Colombia, Álvaro Uribe, per indorare la pillola del suo controverso accordo militare con Washington che include utilizzo di sette basi e addestramento militare. Hugo Chávez ha avvertito che ne potrebbe derivare un conflitto bellico. A tempo di record Uribe ha visitato Perù, Bolivia, Argentina, Cile, Paraguay, Uruguay e Brasile. Venezuela ed Ecuador sono state escluse dalla sua agenda. Finora le risposte dei diversi interlocutori si sono mosse sul terreno della diplomazia. Il cancelliere cileno Mariano Fernández ha dichiarato che «il Cile rispetta la sovranità, l’interesse nazionale e le decisioni di ciascun paese in questo continente, ed in questo caso particolarmente della Colombia». Il peruviano Alan García –alleato di Uribe– è stato l’unico che ha appoggiato ed apprezzato apertamente questo accordo. La presidentessa argentina, Cristina Fernández, ha invece invitato il mandatario colombiano ad «abbassare la tensione» nella regione, avvertendo che «l’installazione di queste basi non è in sintonia con questo obiettivo». Il più aspro è stato il venezuelano Hugo Chávez. In conferenza stampa a Palacio de Miraflores ha detto che «queste basi potranno segnare l’inizio di una guerra in Sudamerica. Si tratta [gli USA, ndr] dello Stato più aggressivo nella storia dell’umanità». Chávez ha situato in questo contesto la polemica suscitata dalla notizia delle armi di fabbricazione svedese vendute, negli anni Ottanta, all’esercito venezuelano dalla Svizzera e che sarebbero state rinvenute in un accampamento delle FARC. La notizia è stata resa pubblica pochi giorni dopo che il Venezuela «ha cominciato ad alzare la voce» contro queste basi. Alfonso Cano, considerato il numero uno delle FARC, nella prima intervista concessa, nella fattispecie alla rivista Cambio, rispondendo alle domande rivolte via Internet dalla testata, ha detto che quelle armi «le abbiamo rubate» e ha accusato il governo di Uribe e Washington di manipolazione delle notizie. E a proposito dei presunti finanziamenti dei guerriglieri alla campagna elettorale del 2006 del presidente ecuadoriano Rafael Correa, Cano ha smentito ogni coinvolgimento delle FARC («nemmeno lo conosciamo»). • Colombia / Ecuador. 7 agosto. Anche l’Ecuador ha espresso viva preoccupazione per il dispiegamento militare USA in territorio colombiano. Il ministro della Defensa, Javier Ponce, non dubita che, con l’aiuto di Washington, la Colombia «applicherà la teoria della extraterritorialità. Questo è, il diritto ad attaccare qualunque altro paese sovrano in nome della lotta al terrorismo». Insieme al Venezuela, è il paese più esposto all’aggressività colombiana sponsorizzata ed istigata da Washington. Quito ha rotto le relazioni con Bogotà dopo l’attacco ad un accampamento delle FARC in territorio ecuadoriano nel marzo 2008. Allora, il ministro della difesa Wellington Sandoval dichiarò che «l’Ecuador, cosciente dei 8
suoi obblighi, ha vigilato costantemente lungo la frontiera con la Colombia, che si estende per 720 chilometri e che in alcuni punti è, se non impossibile, molto difficile da controllare soprattutto se si tratta di bloccare il passaggio di cittadini da una parte all’altra del confine. E questa vigilanza non spetta solo all’Ecuador». Ricordò che le forze armate ecuadoriane hanno lavorato costantemente e hanno scoperto e smantellato 47 accampamenti delle FARC negli anni passati, oltre ad aver catturato molti guerriglieri sul proprio territorio. «Esiste un accordo, un documento, tra le due forze armate e la Commissione binazionale di frontiera, che stabilisce come si deve agire in caso di sospetti problemi di confine», spiegò Sandoval. Ma, chiarì allora il presidente ecuadoriano Rafael Correa in un messaggio al paese, il territorio ecuadoriano era stato bombardato e oltraggiato intenzionalmente dall’esercito colombiano, un fatto «estremamente grave e intollerabile». «Un attacco aereo pianificato e una successiva incursione terrestre da parte delle truppe colombiane, che avevano piena coscienza del fatto che stavano violando la nostra sovranità. Non ci sono stati combattimenti, ma un massacro», disse Correa. «Gli aerei colombiani sono entrati per almeno dieci chilometri nel nostro territorio, per condurre l’attacco arrivando da sud. Poi sono arrivate le truppe, a bordo di elicotteri, per completare la mattanza. Sono stati trovati anche cadaveri colpiti alle spalle». «Tutto dimostra che il ministero della difesa colombiano, il ministero degli esteri e lo stesso presidente Uribe, che pure mi ha informato del fatto con una telefonata, stanno mentendo all’Ecuador e al mondo», disse Correa, che poi aggiunse: «l’Ecuador non può fidarsi di un governo che tradisce la fiducia di un paese fratello». «Abbiamo dimostrato più volte la nostra condanna dei metodi e delle azioni delle FARC», proseguì Correa, «Ma non possiamo accettare che con il pretesto della lotta a quello che definiscono come terrorismo si impiantino, lo ripetiamo, dottrine e pratiche inaccettabili basate sulla mancanza di rispetto per la sovranità degli Stati». «Il diritto internazionale esigeva che ci informassero e che fosse la forza pubblica ecuadoriana a realizzare l’arresto, come già è accaduto in molte altre occasioni, sempre nel rispetto dei diritti umani», disse ancora Correa. • Corsica. 9 agosto. Le organizzazioni clandestine còrse verso la riunificazione? Circa sei mesi dopo l’unificazione di quattro movimenti indipendentisti còrsi legali, i nazionalisti clandestini hanno colto, domenica, la cornice della tenuta delle Ghjurnate Internaziunale di Corti, organizzate dal nuovo movimento Corsica Libera, per annunciare a loro volta una strategia di riunificazione. Due uomini, domenica, nel corso di una conferenza stampa clandestina, hanno letto un comunicato siglato “FLNC” ed invitato «ad un rafforzamento e ad una riunificazione strategica di tutte le forze politiche, militari». Attualmente le organizzazioni clandestine si suddividono in tre tronconi, tutti sottoposti ad una dura repressione poliziesca. Il FLNC-Unione dei Combattenti, il FLNC 22 ottobre (che non ha fatto più parlare di sé dall’aprile 2007 e, dal maggio 2008, il FLNC 1976 (anno di nascita del primo Fronte di Liberazione Nazionale della Corsica). Quest’ultimo, risultante di una scissione di militanti del FLNC 22 ottobre, ha rivendicato una trentina di attentati per poi non far più parlare di sé, se non minacciare il pubblicitario Jacques Séguéla che voleva costruirsi una villa vicino Bonifacio. Il FLNC 1976 aveva già invitato alla «riunificazione totale». Secondo gli inquirenti, la giovane età degli ultimi militanti arrestati e la loro relativa inesperienza proverebbe una difficoltà di fase del movimento clandestino nel suo insieme che scarseggerebbe di “quadri” esperti morti o incarcerati. Lo stesso numero di attentati (75 e 14 tentativi) avvenuti nel 2008 risulta in calo rispetto al 2007 (146 e 34 tentativi). Dall’inizio di quest’anno sono 26 gli attentati e quattro i tentativi. Il nuovo FLNC, risultante della riunificazione, ha rivendicato, domenica, l’attentato di luglio contro la gendarmeria di Vescovato quale «avvertimento agli autori della politica di repressione» e affermato «che ci 9
saranno altre risposte». L’annuncio di una sinergia dei movimenti clandestini è stata applaudita dalle centinaia di militanti presenti domenica sera a Corti nella giornata di chiusura del “meeting indipendentista” che ha riaffermato la necessità dell’esistenza di un movimento clandestino. Intanto il procuratore generale Michel ha precisato alla France Presse che, dopo la conferenza stampa clandestina, un’inchiesta potrebbe essere aperta per «associazione di malfattori a carattere terrorista». • USA / Iran. 9 agosto. Hillary Clinton conferma il ruolo statunitense nel tentativo di destabilizzazione politica di Teheran. Intervistata alla CNN (http://i.cdn.turner.com/cnn/.element/js/2.0/video/evp/module.js?loc=dom&vid=/video /podcasts/fareedzakaria/site/2009/08/09/gps.podcast.08.09.cnn ) da Farred Zakaria, la Segretaria di Stato USA, Hillary Clinton, ammette che gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo molto importante nella cosiddetta “rivoluzione verde” in Iran anche inviando falsi messaggi sul Twitter iraniano. Così Hillary Clinton: «Dietro le quinte, abbiamo fatto molto. Come sapete, i giovani ... uno dei nostri giovani del Dipartimento di Stato ha scritto a Twitter “Continuate”, nonostante il fatto che avevano previsto una sosta tecnica. Così abbiamo fatto molto per rafforzare i manifestanti senza esporci. E continuiamo a parlare e a sostenere l’opposizione». Insomma, dice la Clinton, la linea dell’amministrazione Obama è stata solo apparentemente defilata. • Libano / Israele. 10 agosto. Netanyahu minaccia il governo di Beirut: se Hezbollah entra in un governo di coalizione, Israele lo riterrà responsabile di ogni eventuale attacco che dovesse partire dagli Hezbollah contro obiettivi israeliani. Ieri, a lanciare minacce di guerra, era stato il vice ministro degli esteri Dany Ayalon. Minacce basate sul nulla. Ayalon ha preso a pretesto le indiscrezioni di stampa su un complotto per un attentato contro l’ambasciatore dello stato ebraico in Egitto, Shalom Cohen. Il quotidiano egiziano indipendente al Masri al-yom ha scritto ieri che i membri di una cellula islamista egiziana legata ad al Qaeda, smantellata recentemente dai servizi di sicurezza del Cairo, avrebbero ammesso che intendevano uccidere l’ambasciatore di Israele. È nota la radicale, assoluta, estraneità di Hezbollah verso al Qaeda. Ma per Ayalon «c’è un legame ideologico e operativo. Alla fine, hanno lo stesso obiettivo ed è lo stesso cervello diabolico che li mette in azione». Quindi –il senso delle parole di Ayalon– se al Qaeda colpisse “obiettivi” israeliani, Hezbollah sarebbe responsabile. Pronta la replica di Hezbollah. Il suo leader, Hassan Nasrallah, parlando nel corso di un’imponente manifestazione alla periferia meridionale di Beirut per il terzo anniversario della fine delle ostilità tra Hezbollah a Israele, ha escluso che a breve possa scoppiare una nuova guerra con Israele ma ha aggiunto che il suo movimento è pronto a rispondere a qualsiasi attacco. «Noi non vogliamo certo un’altra guerra, ma non la temiamo e diciamo che, se dovessero bombardare Beirut o la sua periferia, noi bombarderemmo Tel Aviv». Se Israele attaccasse, «la guerra del [l’estate, ndr] 2006 sembrerà in confronto una passeggiata. Se i sionisti avanzeranno ancora nella regione saremo pronti a riceverli». • Libano. 10 agosto. Hezbollah più forte che mai. Il movimento sciita libanese di Hasan Nasrallah ha nel proprio arsenale 40mila razzi e sta addestrando i suoi uomini all’utilizzo di missili terra-terra, in grado di colpire Tel Aviv, e di missili anti-aerei che potrebbero sfidare 10
i continui sorvoli di jet israeliani sul Libano che ne violano la sovranità nella più assoluta impunità. È quanto si legge oggi sul quotidiano britannico The Times, a quasi tre anni dalla fine della guerra tra Hezbollah e Israele. Secondo Israele, le Nazioni Unite e gli stessi vertici del Partito di Dio, Hezbollah è oggi più forte di quanto fosse nel 2006, quando Israele ha attaccato il Libano con l’intenzione di farla finita con il movimento della Resistenza nazionale che l’ha obbligata, nel 2000, a ritirarsi dal Libano. • USA. 10 agosto. Barack Obama, la continuazione di Bush con altri mezzi retorici. George Friedman di Stratfor riflette sulla politica estera di Obama e giunge alla conclusione che questa sostanzialmente non si discosta da quella di Bush II. Entriamo nel merito. In primo luogo Iraq. «Invece di ordinare un immediato ritiro dall’Iraq, ha adottato la politica dell’amministrazione Bush che prevedeva un ritiro scaglionato in funzione della stabilità politica del paese e dello sviluppo delle forze di sicurezza irachene. Ha modificato il calendario del ritiro, ma la strategia di base è rimasta immutata. Infatti ha mantenuto in carica il segretario alla Difesa di Bush, Robert Gates, affinché sovrintenda al ritiro stesso». Quindi Afghanistan, paese reputato strategicamente più importante, dove è stato aumentato il numero di truppe, «sebbene gli Stati Uniti siano ben lontani dal numero di militari schierato dai sovietici quando persero la loro guerra in Afghanistan». Per Friedman «la struttura centrale della politica di Obama resta la stessa di Bush». È da segnalare comunque una maggiore pressione sul Pakistan per spingerlo a combattere taliban e “al Qaeda”, «ma anche così la strategia di Obama rimane, nell’essenza, quella di Bush: resistere in Afghanistan fino a quando l’evolversi della situazione arrivi a un punto in cui la stabilizzazione politica diventi possibile». • USA. 10 agosto. Analoghe considerazioni vengono espresse sulla politica nei confronti della Russia. «Sin dalla Rivoluzione Arancione in Ucraina, tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005, le relazioni USA-Russia sono andate drasticamente peggiorando, con Mosca che accusa Washington di interferire negli affari interni delle repubbliche ex-sovietiche al fine di indebolire la Russia. Una tale situazione ha avuto il suo culmine nella guerra tra Russia e Georgia, lo scorso agosto. L’amministrazione Obama da allora ha proposto un “reset” nei rapporti tra i due paesi», vale a dire un ritorno alla situazione pre 2004. «Il problema, ovviamente, è che l’ultima cosa che vogliono i russi è quella di resettare le relazioni con gli Stati Uniti. Non vogliono tornare alla situazione seguente la Rivoluzione Arancione, ma neanche a quella esistente tra il collasso dell’URSS e quell’evento (…) I russi guardano al periodo post-1991 come a un autentico disastro geopolitico ed economico, gli americani al contrario lo considerano alquanto soddisfacente». Obama infatti mira a «continuare la politica verso la Russia dell’amministrazione Bush. Quella politica negava alla Russia il diritto di reclamare privilegi particolari nell’area dell’ex Unione sovietica, e asseriva il diritto degli Stati Uniti tanto di stabilire relazioni bilaterali con qualsiasi repubblica ex- sovietica, quanto di espandere liberamente la NATO. Ma l’amministrazione Bush ha dovuto prendere atto dell’ostilità russa alla struttura delle relazioni internazionali sorta dopo il 1991, e del rifiuto verso ciò che gli americani ritenevano fossero relazioni stabili e desiderabili». La risposta della Russia «fu la richiesta di una relazione tra i due paesi costruita su basi del tutto diverse, seguita dalla minaccia che, qualora ciò non fosse accaduto, il Cremlino avrebbe iniziato a perseguire una politica estera indipendente che avrebbe compensato l’ostilità americana con un’analoga e simmetrica ostilità russa. Il fatto che i piani per l’installazione di una base dello scudo missilistico in Polonia – un simbolo della contrapposizione USA-Russia – restino inalterati, mette in luce la continuità delle relazioni tra i due paesi». 11
• USA. 10 agosto. Anche riguardo alla Cina emerge una continuità con la politica estera di Bush. «Gli Stati Uniti di Obama hanno lo stesso interesse dell’amministrazione Bush a mantenere legami commerciali ed evitare complicazioni politiche. In effetti, Hillary Clinton ha rifiutato espressamente di sollevare questioni sui diritti umani durante la sua visita in Cina. La campagna per fare pressioni su Pechino affinché tuteli i diritti umani sembra ormai messa da parte. È logico, visti gli interessi di entrambi i paesi; non di meno è una cosa che va sottolineata, data l’ampiezza di argomenti offerta dalla Cina in questo campo (e date anche le promesse elettorali) venutasi a creare da quando Obama è entrato in carica (si pensi, ad esempio, alla rivolta degli uiguri)». In merito all’Iran si vede la continuità più importante secondo Friedman. «Obama continua a chiedere uno stop al programma nucleare di Teheran, e ha promesso ulteriori sanzioni a meno che l’Iran non accetti un serio confronto entro settembre. Con Israele, «tanto l’amministrazione Bush quanto quella Obama, come tante altre amministrazioni USA, chiedevano uno stop agli insediamenti. La risposta israeliana è stata sempre quella di accontentare gli americani con piccole concessioni, ignorandone le richieste sulla questione principale. L’amministrazione Obama sembrava pronta a fare di questo problema una questione di primaria importanza, sta di fatto che continua a cooperare con gli israeliani sull’Iran e sul Libano (…) Come l’amministrazione Bush, anche quella Obama non ha permesso alla questione degli insediamenti di assumere un rilievo strategico». Conclude Friedman: Obama «in campagna elettorale ha sostenuto tesi opposte alle politiche di Bush, poi ha portato avanti la sua politica estera come se fosse Bush. Ciò è dovuto al fatto che la politica estera bushiana era modellata sulle necessità, e quella di Obama deve seguire le stesse necessità». • Romania. 11 agosto. FMI, prestito-capestro per Bucarest. Il Fondo Monetario Internazionale concede un prestito al governo rumeno, ma in cambio chiede l’attuazione di normative neoliberiste. La Romania, in una fase di grave recessione, ha così ricevuto una boccata d’ossigeno dal FMI: gli analisti ritengono che il denaro concesso consentirà al governo rumeno una breve pausa per pagare stipendi e pensioni, come ammesso dallo stesso governo. E questo in un momento in cui la Romania è sul punto di sostenere una campagna elettorale per le elezioni presidenziali, previste per la fine novembre. «La nostra missione ha raggiunto un accordo su ciò che è stato realizzato e ciò che deve ancora essere in Romania», ha affermato a Bucarest, Jeffrey Franks, capo della rappresentanza del FMI in Romania. Il responsabile del FMI ha sottolineato che le autorità dovranno adottare in cambio, misure più rigorose, a medio e lungo termine per ridurre i salari del settore pubblico, al fine di alleviare le difficoltà delle banche centrali e dello Stato. Con il pretesto di risanare il deficit, la Romania, costretta a seguire diktat e direttive, si vede spalancata la prospettiva a breve di un ulteriore impoverimento. • Palestina. 11 agosto. Peggiorano le condizioni psicologiche dei bambini palestini nella Striscia di Gaza, a seguito della recente guerra israeliana. Guerra che, durata 23 giorni, ha provocato la morte di più di 1400 persone, per lo più bambini e donne. Lo studio condotto dall’associazione Ard al-Insan rileva che il 73% dei bambini della Striscia di Gaza soffre di disturbi psicologici e comportamentali, a causa dei traumi subiti. Il dott. Ayesh Sammur, direttore dell’ospedale psichiatrico di Gaza, commentandone i risultati, ha spiegato che i bambini soffrono di enuresi a causa del terrore provocato dai bombardamenti durante l’ultimo genocidio israeliano contro Gaza. 12
• Libano. 11 agosto. Il partito di Hariri denuncia ingerenze israeliane nella politica interna. Il gruppo parlamentare del partito libanese Al-Mustaqbal o Futuro, guidato dal pur filo- occidentale Saad Hariri, ha condannato le intromissioni di Israele nel processo politico libanese. Secondo l’agenzia Irna, la condanna del gruppo guidato da Hariri è arrivata dopo che il premier sionista Netanyahu nei giorni scorsi aveva minacciato ritorsioni contro il Libano qualora nel nuovo governo fossero stati presenti ministri di Hezbollah. Secondo il partito Al-Mustaqbal, si legge nella nota diffusa martedì, «lo sforzo di Israele per influenzare la composizione del nuovo governo libanese è semplicemente deplorevole». Il gruppo ha chiesto infine l’unità di tutto il popolo libanese dinanzi alle minacce di Israele. • Iran. 11 agosto. Cosa facevano in Iran i tre statunitensi entrati illegalmente? Il deputato iraniano Mohammad Karamira, membro della Commissione esteri e sicurezza nazionale del parlamento iraniano, in merito ai tre statunitensi entrati la settimana scorsa illegalmente nel paese, provenienti dalla provincia kurda irachena di Suleimaniya, ha dichiarato: «Che tipo di missione dovevano compiere? Come mai non hanno chieso il visto iraniano? Il loro ingresso illegale non può non essere collegato ai disordini postelettorali». Ieri, dopo aver avuto conferma dalle autorità irachene che l’Iran detiene i tre, il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jim Jones, con tono arrogante, ha dichiarato all’Nbc «Abbiamo fatto pervenire messaggi forti per far capire che noi vorremmo che questi tre giovani (guarda caso tre giornalisti, esperti dell’area, sospettati persino di legami con la CIA) vengano rilasciati al più presto possibile». A parte tutta una serie di considerazione, Jones dimentica che le autorità militari statunitensi hanno tenuto sequestrati per anni dei diplomatici iraniani, rapiti nel consolato iraniano di Arbil (nord dell’Iraq) e consegnati solo di recente alle autorità irachene, senza che sia emerso alcunché nei loro confronti. • Russia. 11 agosto. Progetto di legge da ieri in parlamento per regolare l’intervento dell’esercito russo. Lo ha presentato il presidente russo, Dmitri Medvedev. Se approvato, l’esercito potrà intervenire all’estero: in caso di attacco contro le Forze Armate russe, per respingere una «aggressione contro un altro Stato» e per «difendere i cittadini russi all’estero». Il ministro della Difesa, Anatoli Serdioukov, ha spiegato che il progetto mira a creare un meccanismo giuridico che permetta al comandante in capo di inviare rapidamente unità militari all’estero. • Russia / Ucraina. 11 agosto. Lettera di accuse di Medvedev a Yushchenko alla vigilia delle elezioni presidenziali. Il presidente russo ha accusato Kiev di incrinare volutamente le relazioni con Mosca, elencando tutta una serie di ragioni, che vanno dalle velleità euro- atlatiche ai rapporti energetici. Medvedev esordisce, nella lettera, accusando l’Ucraina di aver concesso forniture militari a Tbilisi durante il conflitto russo-georgiano dell’anno scorso. Critica poi la proposta di Yushchenko dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO, nonché biasima i tentativi di Kiev di ostacolare le attività della flotta russa del Mar Nero, ormeggiata nel porto ucraino di Sebastopoli. Medvedev ha inoltre attaccato la versione di Kiev sulla grande carestia sovietica degli anni ‘30 (un dramma seguito ai piani di collettivizzazione di Stalin, che l’Ucraina, allora la nazione più colpita, definisce 13
“genocidio”) e contestato il progetto di Yushchenko di istituire una chiesa ucraina indipendente sancendo così lo scisma con il patriarcato di Mosca. Infine la questione energetica. «Kiev sta danneggiando i legami economici con la Russia, specie nel settore energetico». Frase che potrebbe annunciare una nuova guerra del gas per il prossimo inverno. L’iniziativa di Medvedev, che peraltro ha sospeso l’insediamento del nuovo ambasciatore russo a Kiev –quasi una rottura diplomatica– suona come il tentativo d’interferire negli affari interni del vicino, a cinque mesi dalle presidenziali di gennaio, che vedranno fronteggiarsi in particolare il primo ministro Yulia Tymoshenko (che negli ultimi anni ha assunto posizioni meno intransigenti verso Mosca e si è allontanata da Yushchenko e dal filo-occidentale “campo arancione”), il presidente uscente Yushchenko e Viktor Yanukovich, capo del Partito delle Regioni, radicatissimo nell’Ucraina russofona. • Russia / Ucraina. 11 agosto. La lettera è anche un avvertimento agli altri paesi dell’area post-sovietica, che recentemente hanno mostrato un po’ di freddezza nei confronti di Mosca. La conferma è arrivata dall’ultimo vertice della CSI, il “commonwealth” postsovietico, disertato polemicamente dai leader di Ucraina, Turkmenistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Bielorussia. Medvedev ha voluto ribadire ai paesi limitrofi che sganciarsi dall’area d’influenza russa potrebbe portare più problemi che benefici. L’altra destinataria della lettera è Washington, che qualche settimana fa, con la visita di Joe Biden a Kiev e Tbilisi, ha rilanciato l’appoggio a Ucraina e Georgia, auspicando che Mosca non ne intralci le manovre d’avvicinamento alla NATO. Su questo punto Mosca non transige, anche perché senza l’Ucraina –parola dello stratega statunitense Zbigniew Brzezinski– la Russia perde la sua “vocazione imperiale” • Ecuador. 11 agosto. Correa: «La nostra è la rivoluzione degli oppressi». Ieri, nell’assumere il suo secondo mandato, che terminerà nel 2013, il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, che ha portato l’Ecuador nell’Alba, l’Alternativa bolivariana a guida chavista, si è impegnato ad approfondire la sua «rivoluzione socialista» che prevede una maggior partecipazione dello Stato nell’economia, la rinegoziazione dei contratti con le compagnie petrolifere e programmi sociali per i settori più deboli. Ne ha sottolineato i cinque assi: 1) la rivoluzione politica, 2) la rivoluzione economica, 3) la rivoluzione etica e la lotta alla corruzione, 4) la rivoluzione sociale, culturale e ambientale, 5) la rivoluzione per la sovranità nazionale e l’integrazione latino-americana. Il suo governo, ha detto, «non ha mai permesso e mai permetterà che una qualche burocrazia internazionale imponga le sue regole». La sua vittoria elettorale, ha aggiunto, è stata solo il «primo passo di un processo rivoluzionario» per costruire una società «includente, solidaria ed equitativa» e rimarcato che l’approvazione della nuova Carta Magna nel 2008 è la «pietra fondativa del cambiamento» di una «politica degna e sovrana». Il quadro legale-istituzionale dei cinque assi della rivoluzione è dato infatti dal testo costituzionale, uno tra i piú progressisti al mondo, in cui si riconosce la natura come soggetto di diritto, l’acqua è considerata come un bene inalienabile e di proprietà statale, e dove si innalza il concetto del buen vivir come fondamento e obiettivo di qualsiasi politica economica. Nel corso del suo primo mandato (fu eletto nell’ottobre 2006), ha realizzato riforme avanzate nell’area dell’istruzione e la sanità. Ha anche disdetto la concessione agli USA della base militare di Manta. • Palestina. 12 agosto. VI° congresso di Al Fatah, il primo dopo 20 anni (l’ultimo nel 1989, a Tunisi), garantito dalla presenza della nuova efficiente polizia palestinese organizzata dal 14
generale statunitense Dayton, nonostante il veto di Hamas. A Betlemme, aspra la competizione fra i candidati al Comitato esecutivo (21 membri) e al Comitato rivoluzionario (150 membri fra cui un ebreo israeliano, Uri Davis, entrato in Al Fatah nel 1980) che ha fatto slittare di tre giorni la chiusura. Tra gli eletti l’inquietante figura di Mohammed Dahlan, ex “ras” di Gaza, accanito sostenitore e promotore con la violenza della rottura con Hamas, avversario di Arafat, con molti legami con Israele, tornato da anni in esilio “di malattia” in Europa. Si è posizionato come possibile successore del riconfermato Mahmud Abbas. Tra gli eletti nel Comitato centrale anche l’ex capo dei servizi di sicurezza (per chi?) in Cisgiordania, Jibril Rajub. Insieme a Dahlan si è distinto nel collaborare con i servizi israeliani e statunitensi in funzione della “lotta al terrorismo” (cioè contro Hamas e chi resiste all’occupazione), in attuazione dei vari dettati conseguenti a Oslo. Eletto anche Marwan Barghuti (cinque ergastoli, detenuto in Israele per implicazione in quattro attentati), leader della Seconda Intifada, il più popolare di Al Fatah. È risultato terzo al termine dello spoglio delle schede dei 2.600 delegati. Per la sua condizione di detenuto, la sua presenza nel Comitato centrale ‘copre’, fa da lustro alla cricca di Ramallah perché evoca una figura simbolica della Resistenza palestinese. L’ex premier Ahmed Qureia (Abu Ala) è stato sconfessato a causa del suo sfacciato arricchimento con la vendita di cemento usato da Israele nella costruzione degli insediamenti. Tra i dieci esponenti della vecchia guardia del partito che cercavano la rielezione negli organismi dirigenti (Comitato centrale e Consiglio rivoluzionario), meno della metà sono stati confermati. Eletti 18 dei 95 candidati al Comitato Centrale (organismo, quest’ultimo, che conta di solito 21 membri), e 80 dei 500 candidati al Consiglio Rivoluzionario, che di norma conta 120 membri. I tre membri restanti del Comitato Centrale saranno cooptati. È possibile che il numero di membri sia elevato a 23. Nel Consiglio Rivoluzionario, oltre agli 80 eletti, altri 20 saranno cooptati e altri 20 designati dagli 11mila palestinesi detenuti in Israele. • Palestina. 12 agosto. Nel congresso è emersa una falsa, apparente, rottura fra la “vecchia guardia” proveniente dall’esilio di Tunisi e la “nuova” formatasi nel corso di due Intifade. I “vincitori”, i “nuovi”, sono in buona parte personaggi che gravitano da anni ai vertici del movimento e alcuni di loro hanno avuto un ruolo centrale nel disfacimento di Fatah e nel suo appiattimento sull’Autorità nazionale (ANP). Anche anagraficamente non sono poi così giovani: alcuni di loro si avvicinano ai 60 anni. Ma né le accuse lanciate dall’estero dal “ministro degli Esteri dell’Olp” Qaddumi, co-fondatore con Arafat di Al Fatah, né la richiesta –respinta– di creare una commissione di inchiesta sul comportamento della dirigenza di Al Fatah in questi ultimi 20 anni hanno scalfito il potere dei “vecchi tunisini” confermato dall’elezione per acclamazione di Abu Mazen alla presidenza per altri cinque anni. Questo nonostante i membri di 18 comitati differenti chiedessero conto di questi venti anni di attività e delle scelte finanziarie. Non avendo il Comitato centrale redatto alcun rapporto, secondo quanto riferisce oggi l’agenzia di informazioni Maan News, il leader di Fatah, nonché presidente dell’ANP con mandato scaduto, Mahmoud Abbas, è stato invitato nella sala conferenze diverse volte, da riunioni parallele cui stava prendendo parte, per mediare le divergenze tra i membri e il Comitato centrale. Abbas ha spiegato che le 46 pagine del suo discorso, tenuto il giorno precedente, comprendono gli ultimi venti anni, dalla V Conferenza svoltasi a Tunisi, e sono il “documento di riferimento” che rimpiazza il report mai stilato dal Comitato centrale. Alcuni delegati hanno accusato Abbas di proteggere i membri del Comitato centrale dall’accusa di aver fallito il loro lavoro. 15
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