Ultime notizie dal mondo 1/ 31 Agosto 2009 - Ildialogo.org

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Ultime notizie dal mondo
                          1/ 31 Agosto 2009
                            (http://www.rivistaindipendenza.org)

a) Iran. Chicche relative al tentativo di destabilizzazione degli assetti politici in Iran: la
Clinton conferma il lavorìo dietro le quinte di Washington (9); manifestanti, con indosso
divise della polizia e dei Basiji, attaccarono altri manifestanti per alimentare gli scontri (6);
Washington dietro gli attacchi terroristici in Iran dell’organizzazione terrorista Jundallah
(25). Sulle accuse di violenza sessuale ai danni di manifestanti arrestati, Karroubi sgonfia
clamorosamente sue precedenti dichiarazioni al riguardo (19). Intanto dà vita, insieme ad
altri riformisti neoliberisti, al “Sentiero verde della speranza” (19). Emergono rapporti tra
Khatami-Soros dal 2006 (25). L’AIEA pubblica un favorevole rapporto sul nucleare
iraniano. Washington, imbarazzata, mantiene però la tensione (30). Per finire, ma
nient’affatto secondaria, Ahmadinejad si mostra deciso nei confronti della vera “eminenza
grigia” all’origine interna dei disordini: l’Ayatollah Rafsanjani. Intanto alti dirigenti
dell’amministrazione Obama e del gabinetto Netanyahu si sono riuniti nella sede del
Mossad israeliano per dare il via al piano «per rovesciare il governo di Ahmadinejad in
Iran» (1).

b) Afghanistan. Si susseguono, sempre più allarmati, i rapporti di criticità sulla situazione
militare e politica. Si segnalano qui quelli del generale McChrystal (13) e di un’analista,
Anthony Cordesman, invitato dallo stesso McChristal a collaborare alla preparazione della
sua analisi (13). A Londra, al Comitato degli Affari Esteri dei Comuni, la “missione” in
Afghanistan è data per fallita (3). A Washington assicurano che sarà rivista la strategia nel
paese asiatico occupato, forse accogliendo le linee guida suggerite dal su citato generale
McChrystal, che in parte stanno trapelando (31).

c) Palestina. Durissimo rapporto dell’ONU sulla «quasi totale impunità» dei crimini sionisti
in Palestina (15). Si susseguono le denunce sui crimini perpetrati, contro i civili, dai soldati
israeliani durante l’operazione “Piombo fuso” su Gaza. Parla l’organizzazione statunitense
Human Rights Watch. A Gerusalemme, intanto, prosegue la “pulizia etnica abitativa” per
“ebraicizzare” la città: la storia di alcune famiglie palestinesi di Sheikh Jarrah, quartiere di
Gerusalemme est (13 e 21). Netanyahu, primo ministro israeliano, ribadisce al suo
omologo britannico Brown che la colonizzazione non si fermerà (26). Gli effetti dell’ultima
aggressione israeliana a Gaza sui bambini (11). Motovedette israeliane continuano a
sparare sui pescherecci palestinesi (22). Gheddafi attacca la politica d’Israele in Africa
(31). Segretamente, intanto, si parla con Hamas (1). Da non perdere la scarrellata di
notizie sul congresso di Al Fatah (12).

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d) Libano. Si sfalda il blocco filo-occidentale di Hariri e cresce il peso politico di Hezbollah
(12). Su Hezbollah al governo, Israele minaccia Hariri che replica (11, 29 e 31). Da
leggere anche, per Hezbollah, le risposte di Hatem (14) e Nasrallah (15).

Sparse ma significative:

   •€€€ Giappone. Dietro la vittoria storica del Partito Democratico giapponese (31).
      Verso una ridefinizione dei rapporti con gli USA negli equilibri geostrategici in Asia?

   •€€€ Russia. La guerra geopolitica del gasdotto South Stream: accordo siglato con la
      Turchia (7). In tema energetico, Mosca ‘strappa’ con l’Unione Europea (7). E mostra
      i muscoli con il progetto di legge Medvedev (11). Crescono le tensioni con Ucraina
      (11 e 15) e Georgia (2 e 6).

   •€€€ Colombia. Verso una guerra in America latina? Il nodo delle basi statunitensi in
      Colombia (7). Reazioni nei paesi latinoamericani (7). L’ELN invita le FARC ad unire
      le forze contro l’«invasione» degli Stati Uniti (5). E la Chiesa cattolica colombiana
      media con le FARC (13).

   •€€€ USA. La politica estera di Barack Obama? Continuazione di quella di Bush.
      Parola di George Friedman di Stratfor (10). Da vedere anche scudo antimissilistico
      (30) e sequestri all’estero (25). Infine, per frenare il rifiuto alla guerra, tanto più con
      l’escalation militare USA in Afghanistan, torna il fantasma dell’11 settembre (24).

   •€€€ Turchia / Kurdistan. Indiscrezioni sulla proposta di pace di Ocalan e posizione
      dell’esercito turco (17 e 26).

   •€€€ Honduras. Parte la campagna elettorale, mentre si punta a normalizzare il golpe:
      contro Obama o il primo, riuscito, dell’era Obama? Con un’occhiata alle ‘ragioni’ dei
      golpisti (31 e 19).

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Tra l’altro:

Nepal (7 agosto).

Myanmar (29 agosto).

Italia (27 agosto).

Ecuador (11 agosto).

Euskal Herria (1 agosto).

Corsica (9 agosto).

Germania (20 agosto).

Romania (11 agosto).

Scozia (31 agosto).

Cina / Australia (20 agosto).

Russia / Mongolia (26 agosto).

USA / Eritrea (7 agosto).

Sri Lanka (7, 31 agosto).

India (19 agosto).

Sahara Occidentale (13, 17 agosto).

Iraq (13 agosto).

Inguscezia (18 agosto).

    •   Euskal Herria. 1 agosto. «Non abbiamo altra opzione: entriamo nell’ETA». I quotidiani
        baschi Gara e Berria pubblicano la notizia di quattro persone a volto scoperto che spiegano
        la decisione del gruppo di cui fanno parte (dieci persone) di entrare nell’organizzazione
        armata basca ETA: dal momento che nel corso degli ultimi mesi sono state accusate e
        inseguite con l’accusa di farne parte, alla fine hanno deciso che valeva la pena entrare
        nell’organizzazione, piuttosto che vivere da braccati. I dieci si presentano come militanti
        della sinistra indipendentista che in diverse maniere hanno preso parte alla lotta a favore di
        Euskal Herria. Affermano: «Abbiamo lavorato in diverse organizzazioni del movimento di
        liberazione nazionale basco fino a quando poliziotti armati fino ai denti sono venuti a
        torturarci, a incarcerarci e ci siamo visti obbligati a fuggire». «Di fronte all’impossibilità di
        continuare a lavorare nei nostri paesi, nelle nostre organizzazioni, noi qui firmanti non
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abbiamo nessuna intenzione di fermarci o di presentarci all’Audiencia Nacional. Se il
    nemico ci voleva neutralizzare, si è sbagliato di grosso». Per questo scrivono: «Non
    abbiamo altra opzione possibile. Ci rimane solo il far fronte alla ragione spagnola delle
    armi, con le armi a nostra volta in pugno e lo faremo con determinazione».

•   Euskal Herria. 1 agosto. Nel prosieguo delle dichiarazioni degli aspiranti etarras, emerge
    anche la criminalizzazione che da anni la magistratura, connivente e ‘indirizzata’ dal
    governo spagnolo, sta portando avanti con lesioni dei diritti personali in nome della lotta al
    «terrorismo». Emerge la disperazione di una condizione di vita diffusissima negli ultimi
    decenni nelle provincie basche. Quando (ed è frequente) c’è l’arresto di uno o più
    indipendentisti, automaticamente si attivano le retate e le case degli amici degli arrestati si
    svuotano. È ‘normale’ che capiti anche nel corso di manifestazioni. L’arresto significa
    tortura nei commissariati spagnoli. Le denunce, dettagliate, che si susseguono, producono un
    effetto ‘terroristico’ sui più giovani. I cinque giorni di isolamento (l’«incomunicazione»),
    cui si è sottoposti dopo un arresto, si riempiono di una vasta letteratura di brutalità e
    nefandezze. Racconti sui metodi di tortura che si ripetono. Per il governo di Madrid è solo
    una strategia di ETA.

•   Palestina. 1 agosto. In segreto si dialoga con Hamas. Rappresentanti di Stati Uniti, Gran
    Bretagna, Germania e Francia, a Ginevra, sotto la mediazione svizzera, si sono incontrati
    con una delegazione dell’organizzazione palestinese Movimento della Resistenza Islamica
    (Hamas), ritenuta «terrorista». La conferma è venuta proprio dall’esecutivo elvetico. Gli
    incontri sono avvenuti gli scorsi 16 e 17 giugno, ma della cosa si è saputo solo adesso.
    Sempre secondo queste informazioni, la delegazione di Hamas sarebbe stata guidata da
    Mahmud al-Zahar, titolare degli Esteri del Governo di Gaza. Finora USA e UE esigono da
    Hamas la rinuncia esplicita alla resistenza («terrorismo») contro le aggressioni e
    l’occupazione d’Israele ed il riconoscimento ufficiale dello Stato israeliano come condizioni
    previe perché Hamsa sia considerato un interlocutore valido. Il riconocimento verrebbe
    ‘pareggiato’ dalla creazione di uno Stato palestinese nelle attuali Gaza e Cisgiordania.
    Hamas condiziona ogni eventuale concessione ad un quadro di negoziazione da pari a pari
    con Tel Aviv.

•   Iran. 1 agosto. Alti dirigenti dell’amministrazione Obama e del gabinetto Netanyahu si
    sono riuniti il 30 luglio scorso nella sede del Mossad israeliano per dare il via al piano «per
    rovesciare il governo di Ahmadinejad in Iran». Lo riferisce il sito israeliano DEBKAfile,
    secondo il quale i partecipanti hanno concordato di non intraprendere azioni allo scoperto
    contro Teheran, per evitare di ricompattare l’opinione pubblica iraniana. Si procederà
    quindi, ufficialmente, solo con gli «inviti al dialogo». Secondo le indiscrezioni divulgate da
    DEBKAfile, nei prossimi giorni «le pressioni invisibili» su Teheran inizieranno con contatti
    estesi del segretario di Stato Hillary Clinton con gli alleati degli Stati Uniti nel Golfo
    Persico, che darà agli alleati indicazioni per avviare i piani ai danni di Teheran. L’agenzia
    stampa iraniana Fars aggiunge che, alla riunione, l’amministrazione Obama era
    rappresentata da esponenti di primissimo piano come il consigliere per la sicurezza
    nazionale James Jones, il sottosegretario di Stato agli affari politici William Burns e
    l’inviato speciale per la regione del Golfo Persico e l’Asia di Sud Ovest Dennis Ross. Per gli
    israeliani erano presenti il capo dei servizi di spionaggio “Meir Dagan”, il direttore
    dell’intelligence militare “Amos Yadlin” ed il presidente del Consiglio per la sicurezza

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nazionale “Ozi Arad”. I partecipanti hanno affermato che alcuni fatti verificatisi
    recentemente testimoniano «mancanza di unità» in Iran e che pertanto il progetto di
    rovesciare il governo iraniano è da prendere in considerazione.

•   Russia / Georgia. 2 agosto. Mosca non scarta il ricorso alla forza per frenare le
    «provocazioni» della Georgia. Ieri il ministero russo della Difesa ha rivendicato il proprio
    diritto a difendere i civili ed il proprio contingente militare. Le autorità dell’Ossezia del Sud,
    la cui indipendenza è stata riconosciuta da Mosca dopo la guerra dello scorso agosto tra
    Russia e Georgia, hanno accusato ieri le forze georgiane di aver sparato vari colpi di mortaio
    contro il proprio territorio. Hanno esteso l’accusa all’Unione Europea giacché l’attacco
    georgiano è stata effettuato «dalla zona di responsabilità degli osservatori europei». «La
    passività e l’attitudine tendenziosa degli osservatori europei animano, di fatto, le
    provocazioni georgiane», ha dichiarato giovedì il leader sudosseta, Eduard Kokoiti, che
    rivendica la consegna, da parte di Tbilisi, di altre «antiche terre ossete». Secondo alcuni
    analisti, Mosca prepara il terreno per una nuova guerra contro la Georgia con l’obiettivo di
    rovesciare il governo di Mikhail Saakashvili, giacché per Mosca «è inaccettabile l’attuale
    status quo» nel Caucaso, dove ha perso ogni influenza. Altri ritengono che si tratti solo di
    una «guerra di nervi» alla vigilia dell’anniversario del conflitto armato.

•   Afghanistan / Gran Bretagna. 3 agosto. La “missione” in Afghanistan è fallita. Ieri il
    Comitato degli Affari Esteri dei Comuni ha preso atto del mancato adempimento delle
    promesse della “missione” militare dovute alle responsabilità delle truppe invasori anche sul
    fronte della lotta al traffico di droga. Si è quindi rivolto a non precisati alleati della NATO
    perché contribuiscano di più nella lotta contro i taliban per evitare il rischio che la
    «reputazione dell’Alleanza sia danneggiata». Il rapporto critica la mancanza di
    pianificazione del governo e la carenza di una strategia realista e di una direzione chiara da
    seguire da parte delle truppe.

•   Colombia. 5 agosto. L’ELN invita le FARC ad unire le forze contro l’«invasione» degli
    Stati Uniti. La guerriglia colombiana dell’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) ha
    rivolto questo appello alle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia-Esercito del Popolo
    (FARC-EP) per porre fine agli scontri nella zona di frontiera con il Venezuela e sommare le
    forze contro l’«invasione» degli Stati Uniti. In una lettera del Comando Centrale dell’ELN
    diretta al decimo fronte delle FARC che opera nel dipartimento di Arauca, afferma che «è
    irresponsabile trasferire problemi addizionali sul territorio, con il che finiremmo con
    l’essere funzionali all’intervento gringo». Inatnto il comandante dell’Esercito colombiano,
    Freddy Padilla, ha confermato che saranno sette le basi militari che vedranno la presenza di
    ufficiali e personale statunitense. Gli USA avranno accesso a tre basi aeree, due navali e due
    dell’Esercito ubicate a Cartagena, Larandia, Tolemaida e Palanquero, Málaga, Apiay e
    Malambo. L’accordo militare tra Washington e Bogotá ha generato malessere tra i paesi
    confinanti.

•   Iran. 6 agosto. Avevano indossato finte divise della polizia e del corpo dei volontari Basiji,
    durante i disordini a Teheran subito dopo l’elezione di Ahmadinejad alla presidenza
    iraniana, e attaccato altri manifestanti con l’intenzione di attribuire la paternità dell’azione

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alle forze di sicurezza iraniane. Arrestati sul fatto, riferisce l’agenzia Fars, adesso è stata
    loro formalizzata l’accusa di aver agito contro la sicurezza nazionale e saranno processati.

•   Russia / Georgia. 6 agosto. Mosca accusa Washington di riarmare la Georgia e di istigare
    così il suo presidente, Mikhail Saakashvili, a compiere una nuova «aggressione». Così ieri il
    viceministro russo degli Esteri, Grigori Karasin, in conferenza stampa. Ha assicurato che gli
    Stati Uniti «non sono gli unici ad inviare armamenti alla Georgia» anche se non ha indicato
    quali siano gli altri paesi. Il comandante aggiunto dello Stato Maggiore russo, Anatoli
    Nogovitsyne, ha detto, dal canto suo, che il riarmo della Georgia significa che Tbilisi si
    prepara ad un nuovo attacco. Tbilisi, ha aggiunto, ha una capacità militare simile o anche
    «superiore» a quella di un periodo di pre-guerra. Durante la sua visita a Tbilisi il 23 luglio
    scorso, il vicepresidente statunitense, Joe Biden, ha ammesso che Washington, che
    equipaggiò ed addestrò le truppe georgiane prima della sua aggressione contro l’Ossezia del
    Sud un anno fa, lavora con la Georgia per «mantenere le sue forze armate». Washington
    starebbe curando una riforma anche in senso professionale dell’esercito georgiano.

•   Russia / Turchia. 7 agosto. Ankara dà il via libera alla Russia per il passaggio del gasdotto
    South Stream per le sue acque del mar Nero. Mosca potrà così evitare l’Ucraina. È previsto
    che studi ed esplorazioni partano a novembre. «Le negoziazioni non sono state facili,
    abbiamo avuto difficoltà, ma alla fine siamo arrivati ad un accordo su tutti i punti», ha
    dichiarato il primo ministro russo, Vladimir Putin, dopo una giornata di negoziazioni con
    l’esecutivo turco presieduto dal primo ministro, Recep Tayyip Erdogan, svoltesi ieri ad
    Ankara. A queste ha partecipato il capo del governo italiano, Silvio Berlusconi, stante la
    partecipazione del gruppo italiano ENI. In cambio del permesso a che South Stream passi
    per le acque turche, Mosca prolungherà l’accordo di esportazione di gas alla Turchia (ben i
    2/3 del suo fabbisogno) e ne rivedrà il prezzo, a beneficio turco. Firmati inoltre 15 protocolli
    di collaborazione tra i due paesi, con un volume dell’interscambio commerciale che
    raggiunge i 40mila milioni di dollari, il che porta questo paese slavo ad essere il primo socio
    commerciale dei turchi. Siglato anche un accordo di cooperazione nucleare con fini pacifici.
    Il gasdotto South Stream, gestito dal consorzio statale russo Gazprom, vede come
    competitore quello paneuropeo Nabucco, sponsorizzato per ragioni geopolitiche da
    Washington per ridurre la dipendenza energetica dei paesi europei dalla Russia e legarli
    ancor più strettamente a sé. In questo contesto la scelta ‘affaristico’/imprenditoriale italiana
    è mal vista a Washington. Il gasdotto progettato da Gazprom collegherà la stazione russa di
    Beregovaya con Varna (Bulgaria) e avrà diversificazioni fino in Italia attraverso Grecia ed
    Europa centrale passando per Serbia e Ungheria. Il Nabucco, il cui piano di sviluppo è stato
    approvato a luglio ad Ankara (la Turchia mantiene, al riguardo, il piede in due staffe) dalle
    compagnie dei paesi coinvolti, connetterà il terminal di Erzurum (Turchia), dove già arriva
    un gasdotto procedente dall’Azerbaiyan, con quello di Baumgarten an der March (Austria)
    mediante una tubatura di 3.300 km attraverso Bulgaria, Romania e Ungheria. In conferenza
    stampa, Putin ha minimizzato sul fatto che i due progetti non potranno convivere in uno
    stesso spazio. Per Erdogan «non ci sono rivalità, se non che sono due progetti alternativi.
    Dobbiamo vederli come diversità che aumenteranno la sicurezza energetica (europea, ndr)».

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•   Russia. 7 agosto. Mosca non ratificherà la Carta Energetica ed il suo protocollo. Il primo
    ministro russo, Vladimir Putin, ha firmato un decreto con il quale la Russia rinuncia
    definitivamente alla ratifica della Carta. L’annuncio, ieri, è venuto dal governo. Mosca ha
    informato della decisione il governo portoghese, giacché l’accordo internazionale fu
    sottoscritto a Lisbona nel dicembre 1994. La Russia, allora, firmò, ma non ratificò. Putin
    ritiene che la Carta non sia oggi più valida per regolare la sua relazione con l’Unione
    Europea e che debba essere rimpiazzata dal patto energetico proposto ad aprile, ad Helsinki,
    dal presidente russo, Dmitri Medvedev. Questo patto «creerebbe una base legale che
    terrebbe in conto gli interessi di tutti i partecipanti: produttori, paesi di transito e
    consumatori». In virtù di questo, paesi fornitori e consumatori condividerebbero la
    responsabilità per il transito degli idrocarburi attraverso il territorio di paesi terzi e
    concorderebbero investimenti congiunti nelle reti di gasdotti e oleodotti. La UE ha ribadito
    che la Russia dovrebbe ratificare la Carta Energetica, «meccanismo di cooperazione tra
    Ovest ed Est d’Europa», ritenendo che l’accordo proposto dal Cremlino non ne annulla lo
    spirito e la lettera. Mosca però la ritiene pregiudiziale per gli interessi dei paesi produttori e
    la considera incapace di prevenire conflitti come la «guerra del gas» che l’ha contrapposta
    nel recente passato all’Ucraina. Mosca ritiene inoltre che la Carta miri ad assicurare alla UE
    il libero accesso alle riserve russe e alle sue reti, a fronte del fatto che l’Europa blocca gli
    investimenti russi e gli acquisti di azioni nei Ventisette.

•   Nepal. 7 agosto. Prachanda accusa: India ed USA sono implicate nella pianificazione di una
    campagna anti-Cina, che prende in considerazione anche un attacco al gigante ‘comunista’
    attraverso il territorio nepalese. «Io ho lasciato il posto di Primo Ministro perché, con il mio
    partito, ci opponiamo a che il nostro territorio sia usato contro la Cina». Così ha detto, in
    un’intervista al Rajdhani Daily, Pushpa Kamal Dahal, conosciuto con il nome di Presidente
    o Compagno “Prachanda” (in nepalese significa “Il fiero”) leader del Partito Comunista
    Maoista Nepalese e primo ministro dall’agosto 2008 al maggio 2009. «Il piano USA-India
    doveva affrontare la sfida del nostro partito e dare il via alla cospirazione contro il mio
    governo». La cospirazione viene ascritta al sabotaggio contro la stesura della Costituzione,
    ha sottolineato lo stesso Prachanda che, in diverse occasioni, ha criticato l’India per aver di
    fatto rovesciato il suo governo a maggio, dopo soli otto mesi. Le accuse di Prachanda
    emergono dopo un programma di proteste, organizzato dal suo partito e durato un mese, per
    il mantenimento della «supremazia dei civili» e per la formazione di un governo d’unità
    nazionale, sotto la guida dei Maoisti. Intanto l’India cestina le accuse di Prachanda. «Le
    accuse sono completamente false e senza basi», ha commentato Vishnu Prakash, portavoce
    del ministero degli Affari Esteri.

•   Sri Lanka. 7 agosto. Arrestato il nuovo leader dell’LTTE a Bangkok. L’Esercito dello Sri
    Lanka lo ha annunciato ieri. Il nuovo leader delle Tigri di Liberazione della Terra Tamil
    (LTTE), Selvarajah Pathmanathan, aveva assunto la direzione dell’organizzazione
    guerrigliera dopo la fine dell’offensiva militare a maggio e la morte di Velupillai
    Prabhakaran, suo storico leader.

•   USA / Eritrea. 7 agosto. Clinton avverte l’Eritrea: «inaccettabili» le sue interferenze in
    Somalia. La segretaria di Stato statunitense, Hillary Clinton, ha promesso ieri un forte

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appoggio di Washington al fragile governo somalo (raddoppio di armi leggere e munizioni)
    e misure contro l’Eritrea se non cessa di prestare aiuti agli «shebab», l’insorgenza islamista
    somala. In conferenza stampa con il presidente somalo, Sharif Sheij Ahmed, la Clinton ha
    bollato gli shebab come «organizzazione terrorista» e ha detto che minacciano la sicurezza
    internazionale. Per ironia della storia, Sharif Sheij Ahmed, descritto come un islamista
    moderato, era alla testa dei Tribunali Islamici che controllarono gran parte del paese nel
    secondo semestre del 2006, e fu uno dei massimi resistenti all’intervento militare etiope
    appoggiato dagli USA nel 2007. Già a fine giugno Washington aveva annunciato l’invio di
    40 tonnellate di armi e munizioni a Mogadiscio. Un esperto in questioni somale ha segnalato
    di recente alla France Presse che, una settimana dopo, la metà di queste armi erano passate
    nelle mani degli «shebab».

•   Colombia. 7 agosto. Uribe non placa le inquietudini regionali dopo l’accordo militare con
    gli USA. Il Brasile è stata l’ultima tappa della maratona del presidente della Colombia,
    Álvaro Uribe, per indorare la pillola del suo controverso accordo militare con Washington
    che include utilizzo di sette basi e addestramento militare. Hugo Chávez ha avvertito che ne
    potrebbe derivare un conflitto bellico. A tempo di record Uribe ha visitato Perù, Bolivia,
    Argentina, Cile, Paraguay, Uruguay e Brasile. Venezuela ed Ecuador sono state escluse
    dalla sua agenda. Finora le risposte dei diversi interlocutori si sono mosse sul terreno della
    diplomazia. Il cancelliere cileno Mariano Fernández ha dichiarato che «il Cile rispetta la
    sovranità, l’interesse nazionale e le decisioni di ciascun paese in questo continente, ed in
    questo caso particolarmente della Colombia». Il peruviano Alan García –alleato di Uribe– è
    stato l’unico che ha appoggiato ed apprezzato apertamente questo accordo. La presidentessa
    argentina, Cristina Fernández, ha invece invitato il mandatario colombiano ad «abbassare la
    tensione» nella regione, avvertendo che «l’installazione di queste basi non è in sintonia con
    questo obiettivo». Il più aspro è stato il venezuelano Hugo Chávez. In conferenza stampa a
    Palacio de Miraflores ha detto che «queste basi potranno segnare l’inizio di una guerra in
    Sudamerica. Si tratta [gli USA, ndr] dello Stato più aggressivo nella storia dell’umanità».
    Chávez ha situato in questo contesto la polemica suscitata dalla notizia delle armi di
    fabbricazione svedese vendute, negli anni Ottanta, all’esercito venezuelano dalla Svizzera e
    che sarebbero state rinvenute in un accampamento delle FARC. La notizia è stata resa
    pubblica pochi giorni dopo che il Venezuela «ha cominciato ad alzare la voce» contro
    queste basi. Alfonso Cano, considerato il numero uno delle FARC, nella prima intervista
    concessa, nella fattispecie alla rivista Cambio, rispondendo alle domande rivolte via Internet
    dalla testata, ha detto che quelle armi «le abbiamo rubate» e ha accusato il governo di Uribe
    e Washington di manipolazione delle notizie. E a proposito dei presunti finanziamenti dei
    guerriglieri alla campagna elettorale del 2006 del presidente ecuadoriano Rafael Correa,
    Cano ha smentito ogni coinvolgimento delle FARC («nemmeno lo conosciamo»).

•   Colombia / Ecuador. 7 agosto. Anche l’Ecuador ha espresso viva preoccupazione per il
    dispiegamento militare USA in territorio colombiano. Il ministro della Defensa, Javier
    Ponce, non dubita che, con l’aiuto di Washington, la Colombia «applicherà la teoria della
    extraterritorialità. Questo è, il diritto ad attaccare qualunque altro paese sovrano in nome
    della lotta al terrorismo». Insieme al Venezuela, è il paese più esposto all’aggressività
    colombiana sponsorizzata ed istigata da Washington. Quito ha rotto le relazioni con Bogotà
    dopo l’attacco ad un accampamento delle FARC in territorio ecuadoriano nel marzo 2008.
    Allora, il ministro della difesa Wellington Sandoval dichiarò che «l’Ecuador, cosciente dei

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suoi obblighi, ha vigilato costantemente lungo la frontiera con la Colombia, che si estende
    per 720 chilometri e che in alcuni punti è, se non impossibile, molto difficile da controllare
    soprattutto se si tratta di bloccare il passaggio di cittadini da una parte all’altra del
    confine. E questa vigilanza non spetta solo all’Ecuador». Ricordò che le forze armate
    ecuadoriane hanno lavorato costantemente e hanno scoperto e smantellato 47 accampamenti
    delle FARC negli anni passati, oltre ad aver catturato molti guerriglieri sul proprio territorio.
    «Esiste un accordo, un documento, tra le due forze armate e la Commissione binazionale di
    frontiera, che stabilisce come si deve agire in caso di sospetti problemi di confine», spiegò
    Sandoval. Ma, chiarì allora il presidente ecuadoriano Rafael Correa in un messaggio al
    paese, il territorio ecuadoriano era stato bombardato e oltraggiato intenzionalmente
    dall’esercito colombiano, un fatto «estremamente grave e intollerabile». «Un attacco aereo
    pianificato e una successiva incursione terrestre da parte delle truppe colombiane, che
    avevano piena coscienza del fatto che stavano violando la nostra sovranità. Non ci sono
    stati combattimenti, ma un massacro», disse Correa. «Gli aerei colombiani sono entrati per
    almeno dieci chilometri nel nostro territorio, per condurre l’attacco arrivando da sud. Poi
    sono arrivate le truppe, a bordo di elicotteri, per completare la mattanza. Sono stati trovati
    anche cadaveri colpiti alle spalle». «Tutto dimostra che il ministero della difesa
    colombiano, il ministero degli esteri e lo stesso presidente Uribe, che pure mi ha informato
    del fatto con una telefonata, stanno mentendo all’Ecuador e al mondo», disse Correa, che
    poi aggiunse: «l’Ecuador non può fidarsi di un governo che tradisce la fiducia di un paese
    fratello». «Abbiamo dimostrato più volte la nostra condanna dei metodi e delle azioni delle
    FARC», proseguì Correa, «Ma non possiamo accettare che con il pretesto della lotta a
    quello che definiscono come terrorismo si impiantino, lo ripetiamo, dottrine e pratiche
    inaccettabili basate sulla mancanza di rispetto per la sovranità degli Stati». «Il diritto
    internazionale esigeva che ci informassero e che fosse la forza pubblica ecuadoriana a
    realizzare l’arresto, come già è accaduto in molte altre occasioni, sempre nel rispetto dei
    diritti umani», disse ancora Correa.

•   Corsica. 9 agosto. Le organizzazioni clandestine còrse verso la riunificazione? Circa sei
    mesi dopo l’unificazione di quattro movimenti indipendentisti còrsi legali, i nazionalisti
    clandestini hanno colto, domenica, la cornice della tenuta delle Ghjurnate Internaziunale di
    Corti, organizzate dal nuovo movimento Corsica Libera, per annunciare a loro volta una
    strategia di riunificazione. Due uomini, domenica, nel corso di una conferenza stampa
    clandestina, hanno letto un comunicato siglato “FLNC” ed invitato «ad un rafforzamento e
    ad una riunificazione strategica di tutte le forze politiche, militari». Attualmente le
    organizzazioni clandestine si suddividono in tre tronconi, tutti sottoposti ad una dura
    repressione poliziesca. Il FLNC-Unione dei Combattenti, il FLNC 22 ottobre (che non ha
    fatto più parlare di sé dall’aprile 2007 e, dal maggio 2008, il FLNC 1976 (anno di nascita
    del primo Fronte di Liberazione Nazionale della Corsica). Quest’ultimo, risultante di una
    scissione di militanti del FLNC 22 ottobre, ha rivendicato una trentina di attentati per poi
    non far più parlare di sé, se non minacciare il pubblicitario Jacques Séguéla che voleva
    costruirsi una villa vicino Bonifacio. Il FLNC 1976 aveva già invitato alla «riunificazione
    totale». Secondo gli inquirenti, la giovane età degli ultimi militanti arrestati e la loro relativa
    inesperienza proverebbe una difficoltà di fase del movimento clandestino nel suo insieme
    che scarseggerebbe di “quadri” esperti morti o incarcerati. Lo stesso numero di attentati (75
    e 14 tentativi) avvenuti nel 2008 risulta in calo rispetto al 2007 (146 e 34 tentativi).
    Dall’inizio di quest’anno sono 26 gli attentati e quattro i tentativi. Il nuovo FLNC, risultante
    della riunificazione, ha rivendicato, domenica, l’attentato di luglio contro la gendarmeria di
    Vescovato quale «avvertimento agli autori della politica di repressione» e affermato «che ci

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saranno altre risposte». L’annuncio di una sinergia dei movimenti clandestini è stata
    applaudita dalle centinaia di militanti presenti domenica sera a Corti nella giornata di
    chiusura del “meeting indipendentista” che ha riaffermato la necessità dell’esistenza di un
    movimento clandestino. Intanto il procuratore generale Michel ha precisato alla France
    Presse che, dopo la conferenza stampa clandestina, un’inchiesta potrebbe essere aperta per
    «associazione di malfattori a carattere terrorista».

•   USA / Iran. 9 agosto. Hillary Clinton conferma il ruolo statunitense nel tentativo di
    destabilizzazione         politica         di       Teheran.         Intervistata        alla
    CNN (http://i.cdn.turner.com/cnn/.element/js/2.0/video/evp/module.js?loc=dom&vid=/video
    /podcasts/fareedzakaria/site/2009/08/09/gps.podcast.08.09.cnn
    ) da Farred Zakaria, la Segretaria di Stato USA, Hillary Clinton, ammette che gli Stati Uniti
    hanno svolto un ruolo molto importante nella cosiddetta “rivoluzione verde” in Iran anche
    inviando falsi messaggi sul Twitter iraniano. Così Hillary Clinton: «Dietro le quinte,
    abbiamo fatto molto. Come sapete, i giovani ... uno dei nostri giovani del Dipartimento di
    Stato ha scritto a Twitter “Continuate”, nonostante il fatto che avevano previsto una sosta
    tecnica. Così abbiamo fatto molto per rafforzare i manifestanti senza esporci. E
    continuiamo a parlare e a sostenere l’opposizione». Insomma, dice la Clinton, la linea
    dell’amministrazione Obama è stata solo apparentemente defilata.

•   Libano / Israele. 10 agosto. Netanyahu minaccia il governo di Beirut: se Hezbollah entra in
    un governo di coalizione, Israele lo riterrà responsabile di ogni eventuale attacco che
    dovesse partire dagli Hezbollah contro obiettivi israeliani. Ieri, a lanciare minacce di guerra,
    era stato il vice ministro degli esteri Dany Ayalon. Minacce basate sul nulla. Ayalon ha
    preso a pretesto le indiscrezioni di stampa su un complotto per un attentato contro
    l’ambasciatore dello stato ebraico in Egitto, Shalom Cohen. Il quotidiano egiziano
    indipendente al Masri al-yom ha scritto ieri che i membri di una cellula islamista egiziana
    legata ad al Qaeda, smantellata recentemente dai servizi di sicurezza del Cairo, avrebbero
    ammesso che intendevano uccidere l’ambasciatore di Israele. È nota la radicale, assoluta,
    estraneità di Hezbollah verso al Qaeda. Ma per Ayalon «c’è un legame ideologico e
    operativo. Alla fine, hanno lo stesso obiettivo ed è lo stesso cervello diabolico che li mette in
    azione». Quindi –il senso delle parole di Ayalon– se al Qaeda colpisse “obiettivi” israeliani,
    Hezbollah sarebbe responsabile. Pronta la replica di Hezbollah. Il suo leader, Hassan
    Nasrallah, parlando nel corso di un’imponente manifestazione alla periferia meridionale di
    Beirut per il terzo anniversario della fine delle ostilità tra Hezbollah a Israele, ha escluso che
    a breve possa scoppiare una nuova guerra con Israele ma ha aggiunto che il suo movimento
    è pronto a rispondere a qualsiasi attacco. «Noi non vogliamo certo un’altra guerra, ma non
    la temiamo e diciamo che, se dovessero bombardare Beirut o la sua periferia, noi
    bombarderemmo Tel Aviv». Se Israele attaccasse, «la guerra del [l’estate, ndr] 2006
    sembrerà in confronto una passeggiata. Se i sionisti avanzeranno ancora nella regione
    saremo pronti a riceverli».

•   Libano. 10 agosto. Hezbollah più forte che mai. Il movimento sciita libanese di Hasan
    Nasrallah ha nel proprio arsenale 40mila razzi e sta addestrando i suoi uomini all’utilizzo di
    missili terra-terra, in grado di colpire Tel Aviv, e di missili anti-aerei che potrebbero sfidare

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i continui sorvoli di jet israeliani sul Libano che ne violano la sovranità nella più assoluta
    impunità. È quanto si legge oggi sul quotidiano britannico The Times, a quasi tre anni dalla
    fine della guerra tra Hezbollah e Israele. Secondo Israele, le Nazioni Unite e gli stessi vertici
    del Partito di Dio, Hezbollah è oggi più forte di quanto fosse nel 2006, quando Israele ha
    attaccato il Libano con l’intenzione di farla finita con il movimento della Resistenza
    nazionale che l’ha obbligata, nel 2000, a ritirarsi dal Libano.

•   USA. 10 agosto. Barack Obama, la continuazione di Bush con altri mezzi retorici. George
    Friedman di Stratfor riflette sulla politica estera di Obama e giunge alla conclusione che
    questa sostanzialmente non si discosta da quella di Bush II. Entriamo nel merito. In primo
    luogo Iraq. «Invece di ordinare un immediato ritiro dall’Iraq, ha adottato la politica
    dell’amministrazione Bush che prevedeva un ritiro scaglionato in funzione della stabilità
    politica del paese e dello sviluppo delle forze di sicurezza irachene. Ha modificato il
    calendario del ritiro, ma la strategia di base è rimasta immutata. Infatti ha mantenuto in
    carica il segretario alla Difesa di Bush, Robert Gates, affinché sovrintenda al ritiro stesso».
    Quindi Afghanistan, paese reputato strategicamente più importante, dove è stato aumentato
    il numero di truppe, «sebbene gli Stati Uniti siano ben lontani dal numero di militari
    schierato dai sovietici quando persero la loro guerra in Afghanistan». Per Friedman «la
    struttura centrale della politica di Obama resta la stessa di Bush». È da segnalare
    comunque una maggiore pressione sul Pakistan per spingerlo a combattere taliban e “al
    Qaeda”, «ma anche così la strategia di Obama rimane, nell’essenza, quella di Bush:
    resistere in Afghanistan fino a quando l’evolversi della situazione arrivi a un punto in cui la
    stabilizzazione politica diventi possibile».
•   USA. 10 agosto. Analoghe considerazioni vengono espresse sulla politica nei confronti
    della Russia. «Sin dalla Rivoluzione Arancione in Ucraina, tra la fine del 2004 e l’inizio del
    2005, le relazioni USA-Russia sono andate drasticamente peggiorando, con Mosca che
    accusa Washington di interferire negli affari interni delle repubbliche ex-sovietiche al fine
    di indebolire la Russia. Una tale situazione ha avuto il suo culmine nella guerra tra Russia
    e Georgia, lo scorso agosto. L’amministrazione Obama da allora ha proposto un “reset”
    nei rapporti tra i due paesi», vale a dire un ritorno alla situazione pre 2004. «Il problema,
    ovviamente, è che l’ultima cosa che vogliono i russi è quella di resettare le relazioni con gli
    Stati Uniti. Non vogliono tornare alla situazione seguente la Rivoluzione Arancione, ma
    neanche a quella esistente tra il collasso dell’URSS e quell’evento (…) I russi guardano al
    periodo post-1991 come a un autentico disastro geopolitico ed economico, gli americani al
    contrario lo considerano alquanto soddisfacente». Obama infatti mira a «continuare la
    politica verso la Russia dell’amministrazione Bush. Quella politica negava alla Russia il
    diritto di reclamare privilegi particolari nell’area dell’ex Unione sovietica, e asseriva il
    diritto degli Stati Uniti tanto di stabilire relazioni bilaterali con qualsiasi repubblica ex-
    sovietica, quanto di espandere liberamente la NATO. Ma l’amministrazione Bush ha dovuto
    prendere atto dell’ostilità russa alla struttura delle relazioni internazionali sorta dopo il
    1991, e del rifiuto verso ciò che gli americani ritenevano fossero relazioni stabili e
    desiderabili». La risposta della Russia «fu la richiesta di una relazione tra i due paesi
    costruita su basi del tutto diverse, seguita dalla minaccia che, qualora ciò non fosse
    accaduto, il Cremlino avrebbe iniziato a perseguire una politica estera indipendente che
    avrebbe compensato l’ostilità americana con un’analoga e simmetrica ostilità russa. Il fatto
    che i piani per l’installazione di una base dello scudo missilistico in Polonia – un simbolo
    della contrapposizione USA-Russia – restino inalterati, mette in luce la continuità delle
    relazioni tra i due paesi».

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•   USA. 10 agosto. Anche riguardo alla Cina emerge una continuità con la politica estera di
    Bush. «Gli Stati Uniti di Obama hanno lo stesso interesse dell’amministrazione Bush a
    mantenere legami commerciali ed evitare complicazioni politiche. In effetti, Hillary Clinton
    ha rifiutato espressamente di sollevare questioni sui diritti umani durante la sua visita in
    Cina. La campagna per fare pressioni su Pechino affinché tuteli i diritti umani sembra
    ormai messa da parte. È logico, visti gli interessi di entrambi i paesi; non di meno è una
    cosa che va sottolineata, data l’ampiezza di argomenti offerta dalla Cina in questo campo (e
    date anche le promesse elettorali) venutasi a creare da quando Obama è entrato in carica
    (si pensi, ad esempio, alla rivolta degli uiguri)». In merito all’Iran si vede la continuità più
    importante secondo Friedman. «Obama continua a chiedere uno stop al programma
    nucleare di Teheran, e ha promesso ulteriori sanzioni a meno che l’Iran non accetti un serio
    confronto entro settembre. Con Israele, «tanto l’amministrazione Bush quanto quella
    Obama, come tante altre amministrazioni USA, chiedevano uno stop agli insediamenti. La
    risposta israeliana è stata sempre quella di accontentare gli americani con piccole
    concessioni, ignorandone le richieste sulla questione principale. L’amministrazione Obama
    sembrava pronta a fare di questo problema una questione di primaria importanza, sta di
    fatto che continua a cooperare con gli israeliani sull’Iran e sul Libano (…) Come
    l’amministrazione Bush, anche quella Obama non ha permesso alla questione degli
    insediamenti di assumere un rilievo strategico». Conclude Friedman: Obama «in campagna
    elettorale ha sostenuto tesi opposte alle politiche di Bush, poi ha portato avanti la sua
    politica estera come se fosse Bush. Ciò è dovuto al fatto che la politica estera bushiana era
    modellata sulle necessità, e quella di Obama deve seguire le stesse necessità».

•   Romania. 11 agosto. FMI, prestito-capestro per Bucarest. Il Fondo Monetario
    Internazionale concede un prestito al governo rumeno, ma in cambio chiede l’attuazione di
    normative neoliberiste. La Romania, in una fase di grave recessione, ha così ricevuto una
    boccata d’ossigeno dal FMI: gli analisti ritengono che il denaro concesso consentirà al
    governo rumeno una breve pausa per pagare stipendi e pensioni, come ammesso dallo stesso
    governo. E questo in un momento in cui la Romania è sul punto di sostenere una campagna
    elettorale per le elezioni presidenziali, previste per la fine novembre. «La nostra missione ha
    raggiunto un accordo su ciò che è stato realizzato e ciò che deve ancora essere in
    Romania», ha affermato a Bucarest, Jeffrey Franks, capo della rappresentanza del FMI in
    Romania. Il responsabile del FMI ha sottolineato che le autorità dovranno adottare in
    cambio, misure più rigorose, a medio e lungo termine per ridurre i salari del settore
    pubblico, al fine di alleviare le difficoltà delle banche centrali e dello Stato. Con il pretesto
    di risanare il deficit, la Romania, costretta a seguire diktat e direttive, si vede spalancata la
    prospettiva a breve di un ulteriore impoverimento.

•   Palestina. 11 agosto. Peggiorano le condizioni psicologiche dei bambini palestini nella
    Striscia di Gaza, a seguito della recente guerra israeliana. Guerra che, durata 23 giorni, ha
    provocato la morte di più di 1400 persone, per lo più bambini e donne. Lo studio condotto
    dall’associazione Ard al-Insan rileva che il 73% dei bambini della Striscia di Gaza soffre di
    disturbi psicologici e comportamentali, a causa dei traumi subiti. Il dott. Ayesh Sammur,
    direttore dell’ospedale psichiatrico di Gaza, commentandone i risultati, ha spiegato che i
    bambini soffrono di enuresi a causa del terrore provocato dai bombardamenti durante
    l’ultimo genocidio israeliano contro Gaza.

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•   Libano. 11 agosto. Il partito di Hariri denuncia ingerenze israeliane nella politica interna. Il
    gruppo parlamentare del partito libanese Al-Mustaqbal o Futuro, guidato dal pur filo-
    occidentale Saad Hariri, ha condannato le intromissioni di Israele nel processo politico
    libanese. Secondo l’agenzia Irna, la condanna del gruppo guidato da Hariri è arrivata dopo
    che il premier sionista Netanyahu nei giorni scorsi aveva minacciato ritorsioni contro il
    Libano qualora nel nuovo governo fossero stati presenti ministri di Hezbollah. Secondo il
    partito Al-Mustaqbal, si legge nella nota diffusa martedì, «lo sforzo di Israele per
    influenzare la composizione del nuovo governo libanese è semplicemente deplorevole». Il
    gruppo ha chiesto infine l’unità di tutto il popolo libanese dinanzi alle minacce di Israele.

•   Iran. 11 agosto. Cosa facevano in Iran i tre statunitensi entrati illegalmente? Il deputato
    iraniano Mohammad Karamira, membro della Commissione esteri e sicurezza nazionale del
    parlamento iraniano, in merito ai tre statunitensi entrati la settimana scorsa illegalmente nel
    paese, provenienti dalla provincia kurda irachena di Suleimaniya, ha dichiarato: «Che tipo di
    missione dovevano compiere? Come mai non hanno chieso il visto iraniano? Il loro
    ingresso illegale non può non essere collegato ai disordini postelettorali». Ieri, dopo aver
    avuto conferma dalle autorità irachene che l’Iran detiene i tre, il consigliere per la sicurezza
    nazionale statunitense Jim Jones, con tono arrogante, ha dichiarato all’Nbc «Abbiamo fatto
    pervenire messaggi forti per far capire che noi vorremmo che questi tre giovani (guarda
    caso tre giornalisti, esperti dell’area, sospettati persino di legami con la CIA) vengano
    rilasciati al più presto possibile». A parte tutta una serie di considerazione, Jones dimentica
    che le autorità militari statunitensi hanno tenuto sequestrati per anni dei diplomatici iraniani,
    rapiti nel consolato iraniano di Arbil (nord dell’Iraq) e consegnati solo di recente alle
    autorità irachene, senza che sia emerso alcunché nei loro confronti.

•   Russia. 11 agosto. Progetto di legge da ieri in parlamento per regolare l’intervento
    dell’esercito russo. Lo ha presentato il presidente russo, Dmitri Medvedev. Se approvato,
    l’esercito potrà intervenire all’estero: in caso di attacco contro le Forze Armate russe, per
    respingere una «aggressione contro un altro Stato» e per «difendere i cittadini russi
    all’estero». Il ministro della Difesa, Anatoli Serdioukov, ha spiegato che il progetto mira a
    creare un meccanismo giuridico che permetta al comandante in capo di inviare rapidamente
    unità militari all’estero.

•   Russia / Ucraina. 11 agosto. Lettera di accuse di Medvedev a Yushchenko alla vigilia delle
    elezioni presidenziali. Il presidente russo ha accusato Kiev di incrinare volutamente le
    relazioni con Mosca, elencando tutta una serie di ragioni, che vanno dalle velleità euro-
    atlatiche ai rapporti energetici. Medvedev esordisce, nella lettera, accusando l’Ucraina di
    aver concesso forniture militari a Tbilisi durante il conflitto russo-georgiano dell’anno
    scorso. Critica poi la proposta di Yushchenko dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO,
    nonché biasima i tentativi di Kiev di ostacolare le attività della flotta russa del Mar Nero,
    ormeggiata nel porto ucraino di Sebastopoli. Medvedev ha inoltre attaccato la versione di
    Kiev sulla grande carestia sovietica degli anni ‘30 (un dramma seguito ai piani di
    collettivizzazione di Stalin, che l’Ucraina, allora la nazione più colpita, definisce

                                                                                                  13
“genocidio”) e contestato il progetto di Yushchenko di istituire una chiesa ucraina
    indipendente sancendo così lo scisma con il patriarcato di Mosca. Infine la questione
    energetica. «Kiev sta danneggiando i legami economici con la Russia, specie nel settore
    energetico». Frase che potrebbe annunciare una nuova guerra del gas per il prossimo
    inverno. L’iniziativa di Medvedev, che peraltro ha sospeso l’insediamento del nuovo
    ambasciatore russo a Kiev –quasi una rottura diplomatica– suona come il tentativo
    d’interferire negli affari interni del vicino, a cinque mesi dalle presidenziali di gennaio, che
    vedranno fronteggiarsi in particolare il primo ministro Yulia Tymoshenko (che negli ultimi
    anni ha assunto posizioni meno intransigenti verso Mosca e si è allontanata da Yushchenko
    e dal filo-occidentale “campo arancione”), il presidente uscente Yushchenko e Viktor
    Yanukovich, capo del Partito delle Regioni, radicatissimo nell’Ucraina russofona.

•   Russia / Ucraina. 11 agosto. La lettera è anche un avvertimento agli altri paesi dell’area
    post-sovietica, che recentemente hanno mostrato un po’ di freddezza nei confronti di Mosca.
    La conferma è arrivata dall’ultimo vertice della CSI, il “commonwealth” postsovietico,
    disertato polemicamente dai leader di Ucraina, Turkmenistan, Kirghizistan, Uzbekistan e
    Bielorussia. Medvedev ha voluto ribadire ai paesi limitrofi che sganciarsi dall’area
    d’influenza russa potrebbe portare più problemi che benefici. L’altra destinataria della
    lettera è Washington, che qualche settimana fa, con la visita di Joe Biden a Kiev e Tbilisi, ha
    rilanciato l’appoggio a Ucraina e Georgia, auspicando che Mosca non ne intralci le manovre
    d’avvicinamento alla NATO. Su questo punto Mosca non transige, anche perché senza
    l’Ucraina –parola dello stratega statunitense Zbigniew Brzezinski– la Russia perde la sua
    “vocazione imperiale”

•   Ecuador. 11 agosto. Correa: «La nostra è la rivoluzione degli oppressi». Ieri, nell’assumere
    il suo secondo mandato, che terminerà nel 2013, il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa,
    che ha portato l’Ecuador nell’Alba, l’Alternativa bolivariana a guida chavista, si è
    impegnato ad approfondire la sua «rivoluzione socialista» che prevede una maggior
    partecipazione dello Stato nell’economia, la rinegoziazione dei contratti con le compagnie
    petrolifere e programmi sociali per i settori più deboli. Ne ha sottolineato i cinque assi: 1) la
    rivoluzione politica, 2) la rivoluzione economica, 3) la rivoluzione etica e la lotta alla
    corruzione, 4) la rivoluzione sociale, culturale e ambientale, 5) la rivoluzione per la
    sovranità nazionale e l’integrazione latino-americana. Il suo governo, ha detto, «non ha mai
    permesso e mai permetterà che una qualche burocrazia internazionale imponga le sue
    regole». La sua vittoria elettorale, ha aggiunto, è stata solo il «primo passo di un processo
    rivoluzionario» per costruire una società «includente, solidaria ed equitativa» e rimarcato
    che l’approvazione della nuova Carta Magna nel 2008 è la «pietra fondativa del
    cambiamento» di una «politica degna e sovrana». Il quadro legale-istituzionale dei cinque
    assi della rivoluzione è dato infatti dal testo costituzionale, uno tra i piú progressisti al
    mondo, in cui si riconosce la natura come soggetto di diritto, l’acqua è considerata come un
    bene inalienabile e di proprietà statale, e dove si innalza il concetto del buen vivir come
    fondamento e obiettivo di qualsiasi politica economica. Nel corso del suo primo mandato (fu
    eletto nell’ottobre 2006), ha realizzato riforme avanzate nell’area dell’istruzione e la sanità.
    Ha anche disdetto la concessione agli USA della base militare di Manta.

•   Palestina. 12 agosto. VI° congresso di Al Fatah, il primo dopo 20 anni (l’ultimo nel 1989, a
    Tunisi), garantito dalla presenza della nuova efficiente polizia palestinese organizzata dal

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generale statunitense Dayton, nonostante il veto di Hamas. A Betlemme, aspra la
    competizione fra i candidati al Comitato esecutivo (21 membri) e al Comitato rivoluzionario
    (150 membri fra cui un ebreo israeliano, Uri Davis, entrato in Al Fatah nel 1980) che ha
    fatto slittare di tre giorni la chiusura. Tra gli eletti l’inquietante figura di Mohammed
    Dahlan, ex “ras” di Gaza, accanito sostenitore e promotore con la violenza della rottura con
    Hamas, avversario di Arafat, con molti legami con Israele, tornato da anni in esilio “di
    malattia” in Europa. Si è posizionato come possibile successore del riconfermato Mahmud
    Abbas. Tra gli eletti nel Comitato centrale anche l’ex capo dei servizi di sicurezza (per chi?)
    in Cisgiordania, Jibril Rajub. Insieme a Dahlan si è distinto nel collaborare con i servizi
    israeliani e statunitensi in funzione della “lotta al terrorismo” (cioè contro Hamas e chi
    resiste all’occupazione), in attuazione dei vari dettati conseguenti a Oslo. Eletto anche
    Marwan Barghuti (cinque ergastoli, detenuto in Israele per implicazione in quattro attentati),
    leader della Seconda Intifada, il più popolare di Al Fatah. È risultato terzo al termine dello
    spoglio delle schede dei 2.600 delegati. Per la sua condizione di detenuto, la sua presenza
    nel Comitato centrale ‘copre’, fa da lustro alla cricca di Ramallah perché evoca una figura
    simbolica della Resistenza palestinese. L’ex premier Ahmed Qureia (Abu Ala) è stato
    sconfessato a causa del suo sfacciato arricchimento con la vendita di cemento usato da
    Israele nella costruzione degli insediamenti. Tra i dieci esponenti della vecchia guardia del
    partito che cercavano la rielezione negli organismi dirigenti (Comitato centrale e Consiglio
    rivoluzionario), meno della metà sono stati confermati. Eletti 18 dei 95 candidati al
    Comitato Centrale (organismo, quest’ultimo, che conta di solito 21 membri), e 80 dei 500
    candidati al Consiglio Rivoluzionario, che di norma conta 120 membri. I tre membri restanti
    del Comitato Centrale saranno cooptati. È possibile che il numero di membri sia elevato a
    23. Nel Consiglio Rivoluzionario, oltre agli 80 eletti, altri 20 saranno cooptati e altri 20
    designati dagli 11mila palestinesi detenuti in Israele.

•   Palestina. 12 agosto. Nel congresso è emersa una falsa, apparente, rottura fra la “vecchia
    guardia” proveniente dall’esilio di Tunisi e la “nuova” formatasi nel corso di due Intifade. I
    “vincitori”, i “nuovi”, sono in buona parte personaggi che gravitano da anni ai vertici del
    movimento e alcuni di loro hanno avuto un ruolo centrale nel disfacimento di Fatah e nel
    suo appiattimento sull’Autorità nazionale (ANP). Anche anagraficamente non sono poi così
    giovani: alcuni di loro si avvicinano ai 60 anni. Ma né le accuse lanciate dall’estero dal
    “ministro degli Esteri dell’Olp” Qaddumi, co-fondatore con Arafat di Al Fatah, né la
    richiesta –respinta– di creare una commissione di inchiesta sul comportamento della
    dirigenza di Al Fatah in questi ultimi 20 anni hanno scalfito il potere dei “vecchi tunisini”
    confermato dall’elezione per acclamazione di Abu Mazen alla presidenza per altri cinque
    anni. Questo nonostante i membri di 18 comitati differenti chiedessero conto di questi venti
    anni di attività e delle scelte finanziarie. Non avendo il Comitato centrale redatto alcun
    rapporto, secondo quanto riferisce oggi l’agenzia di informazioni Maan News, il leader di
    Fatah, nonché presidente dell’ANP con mandato scaduto, Mahmoud Abbas, è stato invitato
    nella sala conferenze diverse volte, da riunioni parallele cui stava prendendo parte, per
    mediare le divergenze tra i membri e il Comitato centrale. Abbas ha spiegato che le 46
    pagine del suo discorso, tenuto il giorno precedente, comprendono gli ultimi venti anni,
    dalla V Conferenza svoltasi a Tunisi, e sono il “documento di riferimento” che rimpiazza il
    report mai stilato dal Comitato centrale. Alcuni delegati hanno accusato Abbas di proteggere
    i membri del Comitato centrale dall’accusa di aver fallito il loro lavoro.

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