Autonomie regionali e identità costituzionale degli Stati membri nell'orizzonte sovranazionale europeo - di Marta Tomasi - Sipotra

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ISSN 1826-3534

                     4 MARZO 2020

    Autonomie regionali e identità
  costituzionale degli Stati membri
nell’orizzonte sovranazionale europeo

                     di Marta2Tomasi
    Dottoressa di ricerca in Studi giuridici comparati ed europei
                  Università degli Studi di Trento
Autonomie regionali e identità costituzionale
           degli Stati membri nell’orizzonte
               sovranazionale europeo *
                                            di Marta Tomasi
                      Dottoressa di ricerca in Studi giuridici comparati ed europei
                                    Università degli Studi di Trento

Abstract [It]: È dato ormai consolidato che gli Stati membri, pur titolari di un ruolo primario, non rappresentino
i protagonisti unici sul palco dell’Unione europea, potendosi intendere gli enti sub-statali quali comprimari
funzionali, almeno in alcuni ordinamenti, al processo di integrazione europea. I tentativi di descrivere l’architettura
istituzionale europea su un triplice livello territoriale di governo sono stati frequenti e il tema, alla radice del quale
si colloca l’«ossimoro costituzionale» che mette in tensione i processi di integrazione europea e le istanze di
autonomia regionale, continua a sollecitare nuove riflessioni, anche alla luce del mutamento di alcune fondamentali
condizioni al contorno. Il cammino verso lo scenario di una piena e concreta integrazione europea – verso
«un’unione sempre più stretta fra i popoli dell'Europa» – procede oggi tra continue sfide: basti pensare all’intensità
delle spinte sovraniste, ai processi di disgregazione endogeni a livello eurounitario e a livello statale, ma anche alle
sfide provenienti dall’esterno, quali il mutare e l’intensificarsi dei flussi migratori e le drammatiche proporzioni dei
cambiamenti climatici che possono incidere, in maniera anche significativa, sugli equilibri interni all’Unione. In
questi scenari in costante evoluzione, appare utile riconsiderare e mettere a sistema, con l’ausilio della
comparazione, gli strumenti ai quali le regioni possono attingere per contribuire alla gestione di tali processi. In
particolare, il contributo offre una ricostruzione critica e comparata degli strumenti di partecipazione regionale alla
produzione del diritto dell’Unione europea e alla sua attuazione, ai fini di comprendere quale sia il potenziale ruolo
dei livelli di governo regionali nell’Europa di oggi e come esso possa essere valorizzato. Si andrà dunque a verificare
come la molteplicità e varietà delle soluzioni adottate, connesse alle peculiarità proprie di ciascuno dei modelli
costituzionali considerati, le consistenti difficoltà di coordinamento fra diversi livelli e il grado in certa misura
insoddisfacente di concreta implementazione delle possibilità sviluppate non impediscano di rilevare il dato
comune della costante importanza da attribuirsi al livello regionale, quantomeno là dove esistente e dotato di poteri
normativi. Una opportuna valorizzazione di questo e della sua potenziale azione quale catalizzatore di democraticità
e interprete di istanze identitarie consente di ricostruire le dinamiche dell’integrazione europea in termini di
circolarità, fondata anche su un potenzialmente fruttuoso canale di scambio biunivoco fra livello europeo e livello
territoriale delle autonomie.

Abstract [En]: It is nowadays well established that the Member States, although having a primary role, cannot be
considered as the only players on the EU stage; sub-state entities can in fact be understood as functional
contributors (at least in some legal systems) to the process of European integration. Attempts to describe the
European institutional architecture on a threefold territorial level of government have been frequent and the theme,
at the root of which lies the “constitutional oxymoron” that puts the processes of European integration and the
demands for regional autonomy under tension, continues to provoke new reflections, also in the light of the change
in some conditions. The path towards the scenario of full and concrete European integration - towards “an ever
closer Union among the peoples of Europe” - is today moving forward amidst continuous challenges: just think
of the emergence of nationalisms, the processes of endogenous disintegration at the euro-unitary and state level,
but also the challenges coming from the outside, such as the change and intensification of migration flows and the
dramatic proportions of climate change that can affect, even significantly, balances and relationships within the
Union. In these constantly evolving scenarios, it is useful to reconsider and put into context, with the help of a

*   Articolo sottoposto a referaggio.

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comparative analysis, the instruments that the regions can rely upon to help manage these processes. In particular,
the paper offers a critical and comparative reconstruction of the instruments for regional participation in the
production of EU law and in its implementation, with a view to understanding the potential role of regional levels
of government in today's Europe and how it can be enhanced. It will, therefore, be examined how the variety of
the solutions adopted (linked to the specific features of each constitutional model), the considerable difficulties of
coordination between different levels and the somewhat unsatisfactory degree of the concrete implementation of
the possibilities developed do not affect the constant importance attributed to the regional levels. An appropriate
promotion of its potential role as a catalyst of democracy and interpreter of identity demands allows a
reconstruction of the dynamics of European integration in terms of circularity, in which a two-way exchange
between the European level and the territorial levels of autonomy proves to be potentially fruitful.

Sommario: 1. Premessa. Il perdurante «ossimoro costituzionale» fra processi di integrazione europea e istanze di
autonomia regionale. 2. Le stagioni degli enti sub-statali in Europa. Un excursus. 3. I canali di partecipazione diretta
e indiretta ai processi di integrazione europea. 3.1. Il coinvolgimento nei processi decisionali interni. 3.2. Gli
strumenti di partecipazione offerti dal diritto dell’Unione europea. 3.3. Il ruolo delle autonomie regionali nella c.d.
fase discendente. 4. La “cifra” della specialità: le regioni differenziate nel processo di integrazione europea. 5. I più
recenti richiami istituzionali all’importanza del ruolo regionale. 6. Riflessioni conclusive. Le autonomie come
elementi coessenziali delle identità costituzionali degli Stati e dell’Europa.

1. Premessa. Il perdurante «ossimoro costituzionale» fra processi di integrazione europea e
istanze di autonomia regionale
È dato ormai consolidato che gli Stati membri, pur titolari di un ruolo primario, non rappresentino i
protagonisti unici sul palco dell’Unione europea, potendosi intendere gli enti sub-statali quali comprimari
funzionali, almeno in alcuni ordinamenti, al processo di integrazione europea.
Nel corso degli anni sono stati frequenti i tentativi di descrivere l’architettura istituzionale europea su un
triplice livello territoriale di governo1 che vedrebbe alla sua base le autonomie infra-statali e, dunque, di
indagare principi, istituti, procedure e prassi che consentono alle regioni2 di agire nei due diversi

1 Cfr., fra i moltissimi, M.P. CHITI, Regionalismo comunitario e regionalismo interno: due modelli da ricomporre, in Rivista italiana
di diritto pubblico comunitario, 1/1992, pp. 33-70; A. D’ATENA, Il difficile cammino europeo delle Regioni italiane, in Le Regioni,
3-4/2000, pp. 555-562 ss.; A. PAPA (a cura di), Le Regioni nella multilevel governance europea. Sussidiarietà, partecipazione,
prossimità, Torino, 2016.
2 Nel presente contributo si andrà a impiegare il termine “regioni” intendendolo in senso ampio, facendo riferimento

non solo agli ordinamenti che utilizzano tale denominazione nel proprio ordinamento costituzionali, bensì a tutti i livelli
di governo compresi tra lo stato centrale e gli enti locali. Tale generica definizione, in linea con il principio di irrilevanza
europea della struttura interna degli Stati membri del quale si dirà, è stata fatta propria anche dal Parlamento europeo,
secondo il quale «la Regione è l’ente pubblico territoriale di livello immediatamente inferiore a quello dello Stato, dotato
di autogoverno politico» (risoluzione del Parlamento europeo sul ruolo dei poteri regionali e locali nella Costituzione
europea del 4 dicembre 2002, 2002/2141/INI). Le soluzioni organizzative registrate a livello comparato sono
estremamente varie e possono essere categorizzate in base a differenti criteri legati all’assetto istituzionale o ai poteri di
cui le regioni godono (rispettivamente, G. MARCOU, Le représentant territorial de l'Etat et le fait régional dans les etats européens,
in Revue française d'administration publique, 3(10)/2010, pp. 567-582 e J. LUTHER, Costituzionalismo e regionalismo europeo, in
Le Regioni, 6/2007, pp. 933-958). In particolare, per illustrare in chiave comparata la posizione e il ruolo di tali enti, si
prenderanno in considerazione quegli ordinamenti che attribuiscono poteri legislativi alle loro regioni e, in particolare,
Austria, Belgio e Germania fra gli ordinamenti federali e Italia e Spagna fra quelli propriamente regionali. Si riserveranno
riferimenti specifici ad esperienze di volta in volta rilevanti (in alcuni casi anche a Finlandia e Portogallo, pure dotati di
alcune regioni con poteri legislativi), mentre si è scelto, vista la condizione di membership non definita nel momento in
cui si scrive, di non inserire riferimenti al Regno Unito, che pure, negli anni, ha offerto spunti di interesse.

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ordinamenti – quello costituzionale degli Stati membri e quello europeo – disegnando la ben nota
immagine di un “doppio intreccio federale”3.
Nonostante la vasta letteratura4, il tema, alla radice del quale si colloca l’«ossimoro costituzionale» che
mette in tensione i processi di integrazione europea e le istanze di autonomia regionale5, continua a
sollecitare nuove riflessioni, anche alla luce del mutamento di alcune fondamentali condizioni al contorno.
Il cammino verso lo scenario di una piena e concreta integrazione europea – come suggerito dal Trattato
sull’Unione europea (TUE), verso «un’unione sempre più stretta fra i popoli dell'Europa» – procede oggi
tra continui inciampi, interni ed esterni all’Unione. Per quanto riguarda il “fronte interno”, rilevano, da
un lato, le sempre più intense spinte nazionaliste e i frequenti richiami alla sovranità statale. Queste
inclinazioni, che si ancorano oggi nei richiami alla «sussidiarietà» e alle «identità nazionali» contenuti nei
Trattati e nei meccanismi previsti all’art. 48.2 TUE e 50 TUE6, hanno trovato una prima inattesa e

3 L’espressione si deve a A. D’ATENA, Il doppio intreccio federale: le Regioni nell'Unione europea, in Le Regioni, 6/1998, pp.
1401-1426.
4 Solo in prospettiva comparata, fra i moltissimi, si possono citare B. CARAVITA – L. CASSETTI (a cura di), Il

rafforzamento della democrazia regionale e locale nell’Unione europea, Studi del CdR, Bruxelles, 2004; A. D’ATENA, Modelli federali
e sussidiarietà nel riparto delle competenze normative tra l’Unione europea e gli Stati membri, in Il diritto dell’U.E., 10(1)/2005, pp. 59-
74.; A. D’ATENA (a cura di), Procedure per la partecipazione delle autorità regionali e locali al processo di policy making nei vari Stati
membri, Studi del CdR, Bruxelles, 2005; A. D’ATENA, Regionalismo ed integrazione sovranazionale in prospettiva europea e
comparata, in G.G. FLORIDIA – R. ORRÙ (a cura di), Meccanismi e tecniche di normazione fra livello comunitario e livello nazionale
e subnazionale, Torino, 2007, pp. 148 ss.; A. D'ATENA (a cura di), I cantieri del federalismo in Europa, Milano, 2008; L.
FERRARO, La partecipazione delle Comunità autonome spagnole ai processi decisionali comunitari, in L. CHIEFFI (a cura di),
Regioni e dinamiche di integrazione europea, Torino, Giappichelli, 2003, pp. 265-292; L. DANIELE (a cura di), Regioni ed
autonomie territoriali nel diritto internazionale ed europeo, Napoli, 2006; S. GOZI, Regioni europee e processi decisionali dell’Unione:
quale equilibrio? I casi di Belgio, Spagna, Germania e Regno Unito, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2/2003, pp. 339
ss.; T. GROPPI, Unione europea e Regioni: una prospettiva comparata, in G. CARPANI – T. GROPPI – M. OLIVETTI – A.
SINISCALCHI (a cura di), Le Regioni italiane nei processi normativi comunitari dopo la legge n. 11/2005, Bologna, 2007, pp.
183-216; F. LANCHESTER (a cura di), Parlamenti nazionali e Unione Europea nella governance multilivello, Milano, 2016; K.J.
NAGEL, L’intervento delle Regioni nella politica europea. Un’analisi comparata, in Le istituzioni del federalismo, 1/2004, pp. 57 ss.;
S. RAGONE, Le relazioni con l’Unione europea nei nuovi statuti regionali italiani e spagnoli (con particolare riguardo a quanto disposto
in materia di partecipazione alla fase ascendente del diritto comunitario), in G.G. FLORIDIA – R. ORRÙ (a cura di), Meccanismi e
tecniche di normazione fra livello comunitario e livello nazionale e subnazionale, cit., pp. 220-235; A. SIMONATO, Il rapporto tra
entità federate belghe ed ordinamento euro unitario alla luce delle tensioni tra rispetto dell’identità costituzionale degli Stati membri ed esigenze
del mercato comune, in federalismi.it, 12/2012; S. WEATHERILL – U. BERNITZ (eds), The Role of Regions and Sub-National
Actors in Europe, Oxford, 2005.
5 A. RUGGERI, Integrazione europea e autonomia regionale: un ossimoro costituzionale?, in Diritti regionali - Rivista di diritto delle

autonomie territoriali, 1/2017, pp. 51-70.
6 Tali principi trovano poi traduzione nelle politiche e nei discorsi delle istituzioni: «Non dobbiamo intrometterci nella

vita dei cittadini europei regolandone ogni aspetto. Dobbiamo essere grandi sulle grandi questioni. Non dobbiamo
irrompere con un fiume di nuove iniziative né cercare di appropriarci di altre competenze. Dobbiamo anzi restituire
competenze agli Stati membri quando ha senso farlo» (discorso sullo stato dell'Unione 2017 del presidente Jean-Claude
Juncker). In riferimento alle tensioni fra clausola sul rispetto delle identità nazionali e disposizioni sull’omogeneità
europea, si v. D. STRAZZARI, La clausola di omogeneità dell’UE: connotazione costituzionale o internazionale? Riflessioni da
un’analisi comparata; T. CERRUTI, Valori comuni e identità nazionali nell'Unione europea: continuità o rottura?; G. CAPONI – V.
CAPUOZZO – I. DEL VECCHIO – A. SIMONETTI, Omogeneità costituzionale europea e identità nazionali: un processo di
integrazione circolare tra valori costituzionali europei e teoria dei contro limiti, tutti in federalismi.it, 9/2014, rispettivamente pp.1-55,
1-24 e 1-34.

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impegnativa concretizzazione nelle complesse e non definite vicende che muovono verso il recesso
volontario del Regno Unito dall’Unione europea. D’altro canto, queste tendenze si manifestano anche
all’interno dei singoli Stati membri, determinando processi di disgregazione endogeni che, pur non
rappresentando un elemento del tutto inedito nella vita dell’Unione europea, richiedono rinnovata e
specifica attenzione. Fra questi, per prossimità temporale, si possono richiamare le vicende, differenti
sotto innumerevoli profili, ma accomunate da aneliti indipendentisti, della Scozia e della Catalogna7.
Vi sono poi una serie di questioni etero-determinate – che derivano dall’esterno – come il mutare e
l’intensificarsi dei flussi migratori e le drammatiche proporzioni dei cambiamenti climatici che possono
incidere, in maniera anche significativa, sugli equilibri interni all’Unione, andando a colpire alcuni contesti
regionali più (o prima) che altri e richiedendo, anche per questo, una gestione congiunta e coordinata.
In questi rinnovati scenari in costante evoluzione, appare evidente l’esigenza di riconsiderare e mettere a
sistema gli strumenti ai quali le regioni possono attingere per contribuire alla gestione di tali processi, al
fine di valorizzare il potenziale dei livelli di governo regionali nell’Europa di oggi.
Si propone, dunque, nelle pagine a seguire, una ricostruzione critica e in chiave comparata degli strumenti
di partecipazione regionale alla costruzione del diritto dell’Unione europea e alla sua attuazione, ai fini di
verificare il ruolo delle regioni in ordinamenti caratterizzati da diverse forme di stato, federale, regionale
e decentrato, nella consapevolezza, comunque, che i modelli non possono essere intesi in termini di netta
separazione8.
L’articolazione dello scritto muove da una breve ricostruzione dei noti passaggi evolutivi che hanno
innescato processi di considerazione delle regioni da parte dell’Unione europea (par. 2), per poi passare
a cartografare e confrontare gli strumenti di partecipazione regionale ai processi decisionali sovranazionali
e, più in generale, all’integrazione europea, esistenti in alcuni ordinamenti (par. 3). A completare il quadro
si offriranno alcune considerazioni con specifico riferimento ai rapporti fra la dimensione europea e le
regioni cui sono riconosciute forme particolari di autonomia (par. 4) e si farà breve riferimento ai più
recenti richiami istituzionali all’importanza del ruolo regionale (par. 5).
Anticipando le conclusioni (par. 6), si andrà a verificare come la molteplicità delle soluzioni adottate,
tanto dal punto di vista della produzione delle fonti europee (cd. fase ascendente), quanto da quello dei
meccanismi concreti di coinvolgimento delle autonomie nelle pratiche attuative delle stesse (cd. fase
discendente), testimone della imprescindibile centralità della questione del modello costituzionale proprio
di ciascuno Stato, non impedisca di rilevare il dato comune della costante importanza da attribuirsi al

7 A.K. BOURNE, Europeanization and Secession: The Cases of Catalonia and Scotland, in Journal of Ethnopolitics and Minority
Issues in Europe, 13(3)/2014, pp. 94-120.
8 Per tutti, A. BARBERA, Regioni e interesse nazionale, Milano, 1973. Più di recente, F. PALERMO – K. KÖSSLER,

Comparative Federalism. Constitutional Arrangements and Case Law, Oxford, 2017.

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livello regionale (se esistente e, in particolare, ove dotato di poteri legislativi o regolamentari). Esso, infatti,
in tutti gli ordinamenti considerati, può agire quale catalizzatore di democraticità e interprete di istanze
identitarie, nella prospettiva della ricostruzione di una dinamica circolare dell’integrazione europea, che
implica, fra l’altro, di promuovere il coordinamento fra fase di predisposizione e definizione del diritto
dell’Unione e fase di attuazione e implementazione dello stesso9.

2. Le stagioni degli enti sub-statali in Europa. Un excursus.
Gli enti sub-statali, nel corso degli anni, hanno vissuto un processo evolutivo che li ha trasformati da
soggetti tendenzialmente estromessi dalla sfera decisionale comunitaria, ad attori in grado di far valere i
propri interessi nei processi decisionali europei e nella loro concreta attuazione10. Tale percorso, come
noto, trova il proprio punto di avvio nei riferimenti al principio della c.d. “cecità regionale” o “cecità
federale” (Landesblindheit)11 – il quale sintetizza l’irrilevanza, agli occhi delle istituzioni europee, della
struttura costituzionale interna agli stati membri, fintanto che sia garantito il principio generale della
responsabilità statale – e si muove lungo la direttiva orientata verso l’obiettivo che alcune delle entità sub-
statali più attive negli anni ’90 definivano come “Europa delle Regioni”12.
Se il principio originario può dirsi ampiamente superato dalle evoluzioni normative e strutturali che hanno
seguito gli anni della costituzione delle comunità europee13, il supposto obiettivo finale – come vale la
pena di richiamare brevemente – può, in certi termini, apparire come una promessa sostanzialmente
tradita, se non come uno slogan mai concretamente perseguito14.

9 La distinzione fra fasi mantiene peraltro un’utilità a fini espositivi, della quale si beneficerà anche nel prosieguo di
questo scritto.
10 A.M. RUSSO, Le Regioni e l’Unione europea, in S. GAMBINO (a cura di), Diritto regionale, Milano 2009, pp. 385-402.
11 Il riferimento, nella dottrina tedesca, è da attribuire, per primo, a H.-P. IPSEN, Als Bundesstaat in der Gemeinschaft, in

E. VON CAEMMERER, H.J. SCHLOCHAUER, E. STEINDORFF (a cura di), Probleme des Europäischen Rechts. Festschrift
für Walter Hallstein zu seinem 65. Geburtstag, Frankfurt, 1966, p. 248 s. Le due traduzioni sono proposte, rispettivamente,
da G. FALCON, La cittadinanza europea delle Regioni, in Le Regioni; 2, 2001, pp. 327-342 e da A. D’ATENA, Il doppio intreccio
federale: le Regioni nell’Unione Europea, in Le Regioni, 6, 1998, pp. 1401-1425.
12 In generale, si vedano J. LOUGHLIN, “Europe of the Regions” and the Federalization of Europe, in Publius: The Journal of

Federalism, 26(4)/1996, pp. 141-161 e S. MAZEY – J. MITCHELL, Europe of the Regions? Territorial Interests and European
Integration: The Scottish Experience, in S. MAZEY – J. RICHARDSON (eds.), Lobbying in the European Community, Oxford,
1993, pp. 95-121. La locuzione si è poi evoluta in “Europa con le regioni”, su cui F. PATERNITI, La partecipazione delle
Regioni alla formazione delle norme e alle procedure dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea nel guado tra la riforma legislativa del
2012 e l’auspicabile revisione dell’architettura istituzionale italiana, in federalismi.it, 8/2015, p. 52.
13 L’evoluzione è stata lenta e graduale e si è assistito a diversi passaggi, cui si è fatto riferimento con diverse locuzioni:

“regional blindness”, “regional myopia”, “regional visibility” (J. BENGOETXEA, Autonomous constitutional regions in a
federal Europe, in E. CLOOTS – G. DE BAERE – S. SOTTIAUX (eds), Federalism in the European Union, Oxford, 2012,
pp. 230-238).
14 In questi termini J.M. MAGONE, Regional Institutions and Governance in the European Union, Newport-Greenwood, 2003

e A. ELIAS et al., Whatever happened to the Europe of the regions? Revisiting the regional dimension of European politics, in Regional
and federal studies, 18(5)/2008, pp. 483-635.

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La prima fase che in questo progressivo percorso si può individuare è quella di tendenziale irrilevanza
degli enti-substatali. Tale condizione era determinata da due aspetti. Il primo era legato all’origine
internazionalistica delle Comunità europee e alla conseguente natura intergovernativa che si riteneva i
processi decisionali avrebbero assunto e mantenuto. Il secondo derivava dalla scarsa diffusione della
realtà degli enti regionali, presenti, allora, in due soli ordinamenti fondatori (quello tedesco e quello
italiano, il quale aveva diretta conoscenza, peraltro, delle sole Regioni a Statuto speciale)15.
I cambiamenti interni agli assetti istituzionali degli Stati membri, che a partire dagli anni ‘70 sono stati
variamente interessati da processi di regionalizzazione, e l’ingresso nell’Unione di Paesi già decentrati o
inclini a divenirlo16 hanno determinato un progressivo incremento della percezione degli effetti della
cecità regionale dell’UE. In un primo momento, infatti, l’attrazione di materie di competenza esclusiva
delle regioni verso il livello di governo europeo, determinata dal processo di integrazione, è avvenuta
senza che vi fosse alcuna contropartita in termini di strumenti di partecipazione al processo decisionale
sovrannazionale17. Il connesso rischio è sempre stato che dietro l’argomento dell’asserita necessità di
garantire il rispetto e l’implementazione dei vincoli europei, gli Stati celassero aspirazioni centraliste e
tentativi surrettizi di riappropriazione di ambiti d’azione regionale, in deroga al riparto interno delle
competenze normative18.
La situazione ha prodotto, in diversi contesti, una mobilitazione degli enti sub-statali, i quali si sono
attivati, in particolare attraverso la creazione di associazioni interregionali a livello europeo, per portare
all’attenzione dell’UE la propria esigenza di ottenere spazi di partecipazione19.
A questa fase ha fatto seguito un cambiamento nell’atteggiamento di iniziale indifferenza da parte delle
istituzioni euro unitarie e, negli anni ‘80, l’attivismo di alcuni governi regionali ha determinato
un’inversione di rotta che ha impiegato però molto per portare al sostanziale riconoscimento
dell’importanza delle regioni nella costruzione del progetto europeo. I primi tentativi di coinvolgimento
attivo delle autonomie regionali, infatti, erano legati ai Programmi integrati mediterranei (PIM) previsti

15  Come noto, in Belgio la «lunga marcia» verso un assetto federale ha preso avvio negli anni ’70 e ha trovato
consacrazione nella modifica del primo articolo della Costituzione del 1831 solo nel 1993. Cfr., fra molti, P.
CARROZZA, Lo Stato belga e la sua crisi, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 3/2011, pp. 995 ss. Alcuni riferimenti
all’evoluzione nei diversi contesti ordinamentali sono rinvenibili in A. D’ATENA, Il doppio intreccio federale, cit., pp. 1403-
1404 e R. TONIATTI – S. MILIA – R. SATANIELLO (a cura di), L’Unione Europea e la questione regionale: quali orientamenti
nella convenzione per una costituzione europea?, in Quaderni del CDE, 18/2003, p. 8.
16 F. BRUNO, Stati membri e Unione europea: il difficile cammino dell'integrazione, Torino, 2012, pp. 149 ss.
17 Sui problemi della “compensazione”, cfr. L. DOMENICHELLI, Le regioni nella Costituzione europea. Elogio delle virtù

nascoste della consultazione, Milano, 2007, p. 36 e A. D’ATENA (a cura di), Regionalismo e sovranazionalità, Milano, 2008.
18 A. CARDONE, Le incidenze del diritto dell’Unione europea sul sistema delle fonti delle autonomie territoriali, in Osservatorio sulle

fonti, 3/2017, p. 6; S. BARTOLE, La Regione nel contesto del pluralismo costituzionale europeo, in Le Regioni, 1/2018, p. 44; F.
RASPADORI, La partecipazione delle regioni italiane all’Unione europea dopo il trattato di Lisbona, Torino, 2012, p. 16.
19 G. IURATO, L’UE e la rappresentanza territoriale regionale, in Le Regioni, 4/2006, pp. 679-710.

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dal Reg. CEE n. 2088/85 del 23 luglio 1985 e dalla riforma dei Fondi strutturali che, pur riferiti a
determinate aree geografiche o economiche, piuttosto che a veri e propri enti politici territoriali20,
possono essere considerati come il punto di avvio di una stabile concertazione tra Commissione, Stati
membri e livelli sub-nazionali21.
Si tratta di azioni che svelano dinamiche bidirezionali. Da un lato, esse mostrano come il sistema
comunitario possa essere considerato coinvolto, almeno in via indiretta, nei processi di regionalizzazione
interni ad alcuni Stati membri22. Dall’altro, rendono evidente come finalità di compensazione23 e di
riequilibrio e redistribuzione24 abbiano, almeno inizialmente, prevalso ampiamente rispetto a un vero e
proprio processo «alto» di integrazione e coesione che potesse essere inteso anche in senso politico e
democratico25. In questi termini, si è parlato di un’attenzione maggiormente rivolta a forme di
legittimazione orientata all’output, intesa quale «governo per il popolo», piuttosto che all’input, in termini
di un «governo da parte del popolo», vale a dire – nel caso in esame – alla valorizzazione delle autonomie
come elemento del principio democratico26.
La politica regionale della Comunità, insomma, si è preoccupata, fino agli anni ‘90, più che delle ragioni
politico-istituzionali delle entità territoriali, degli squilibri regionali e delle possibili conseguenze negative
in termini di coesione economica e produttiva27.

20 F. RASPADORI, La partecipazione delle regioni italiane all’Unione europea dopo il trattato di Lisbona, cit., pp. 65 s.
21 A. PAPA, Il modello europeo di integrazione e la multilevel governance europea, in F. LANCHESTER (a cura di), Parlamenti
nazionali e Unione europea nella governance multilivello, Milano, 2016, pp. 505-524. Si vedano anche E. BUGLIONE, C.
DESIDERI (a cura di), Le regioni nell'ordinamento comunitario: stato di attuazione e prospettive della partnership, Roma, 1991; A.
BRUZZO, Le politiche strutturali della Comunità europea per la coesione economica e sociale, Padova, 2000, p. 83 e R.Y. NANETTI,
EU Cohesion and Territorial Restructuring in the Member States, in L. HOOGHE (ed.), Cohesion Policy and European Integration,
Oxford, 1996.
22 Su questi aspetti si vedano P. POPELIER, A multilevel governance perspective on disintegrative dynamics within EU member

states e F. PALERMO, Autonomia, Europa e secessione. Come stanno le cose?, entrambi in P. LATTARULO – A. OMIZZOLO
– F. PALERMO – V. PROVENZANO – T. STREIFENEDER (a cura di), Le regioni d’Europa tra identità locali, nuove
comunità e disparità territoriali, cit. e J. LOUGHLIN, Subnational Democracy in the European Union: Challenges and Opportunities,
Oxford, 2001, p. vii.
23 Con lo scopo di mitigare gli effetti negativi prodotti sul piano del riequilibrio territoriale dall’attuazione di altre politiche

economiche che allora la Comunità stava conducendo in via prioritaria. Si v. A. BRUZZO, op.cit., pp. 85-86.
24 Si può ricordare che già il preambolo del trattato di Roma del 1957 prometteva di agire in questo senso, rispondendo

all’«esigenza di rafforzare l'unità delle loro economie e di garantirne lo sviluppo armonioso riducendo il divario fra le diverse regioni
e il ritardo di quelle più svantaggiate». Cfr. M. MASCIA, Il Comitato delle Regioni nel sistema dell’Unione europea, Padova, 1996,
p. 13.
25 Così la definizione di processi federativi suggerita da A. BARBERA, Federalismo democratico e regionalismo, in M.

SABELLA – N. URBINATI (a cura di), Quale federalismo? Interviste sull’Italia del futuro, Firenze, 1994, 31.
26 G. RIVOSECCHI, Gli effetti del processo di integrazione europea sulle autonomie territoriali, in Rivista AIC, 3/2017, p. 7.
27 M. MASCIA, Il Comitato delle Regioni nel sistema dell’Unione europea, cit., p. 12. Si può che segnalare che, nonostante le

evoluzioni di cui si andrà a trattare, l’elemento dei fondi europei permane ancora un elemento importante nei processi
di integrazione e costruzione di fiducia nei confronti dell’UE: questo dato emerge, per esempio, dagli esiti di un recente
studio che evidenziano il legame esistente fra supporto dei processi di integrazione europea da parte dei partiti regionali
e politiche di sostegno europee (cfr. M. GROSS – M. DEBUS, Does EU regional policy increase parties’ support for European
integration?, in West European Politics, 41(3)/2018, pp. 594-614.

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Procedendo per sommi capi, il primo punto di sensibile svolta è avvenuto – come noto – con il Trattato
di Maastricht che, a partire dal 1992, ha elevato il principio di sussidiarietà a principio fondamentale
dell’Unione europea28 e ha rafforzato, in certa misura, le forme di partecipazione regionale ai processi
decisionali europei. Ciò è avvenuto, per esempio, consentendo a membri degli esecutivi regionali di
rappresentare in Consiglio, evidentemente con qualche ambiguità, il proprio stato di appartenenza29 e
sfruttando le potenzialità del Comitato consultivo degli enti regionali e locali, istituito nel 1988 presso la
Commissione europea e sostituito, poi, con il Comitato delle Regioni30.
Nell’imminenza delle riforme, il Trattato sembrava aver apportato cambiamenti sensibili, tanto da far
sostenere che si fosse affermato un «regionalismo sostanziale», che riconosce nelle regioni «l’anima e la
cultura democratica dell’Europa», il luogo «ove si manifesta e si sviluppa la cittadinanza, quale strumento
di crescita della persona» e la cui affermazione presuppone «il ridimensionamento o la riduzione della
sovranità politica degli stati»31.

28 La centralità del principio è ben sintetizzata dal Comitato delle Regioni, secondo il quale «l'attuazione della governance
multilivello poggia sul rispetto del principio di sussidiarietà, che consente di evitare che le decisioni si concentrino su di
un solo livello di potere e garantisce che le politiche vengano elaborate e applicate al livello più appropriato. Il rispetto
del principio di sussidiarietà e la governance multilivello sono due aspetti indissociabili: il primo riguarda le competenze
dei diversi livelli di potere, mentre il secondo pone l'accento sulla loro interazione» (Libro bianco del Comitato delle
Regioni sulla governance multilivello, CdR 89/2009. Sul principio, fra i moltissimi: A. MOSCARINI, Il principio di
sussidiarietà, in S. MANGIAMELI (a cura di), L'ordinamento europeo. L'esercizio delle competenze, Milano, 2006, pp. 153 ss.; J.
WOELK – P. BUßJÄGER, Il Trattato di Lisbona e le Regioni: il controllo di sussidiarietà, Lavis, 2010 M. CARTABIA – N.
LUPO – SIMONCINI (a cura di), Democracy and subsidiarity in the EU. National parliaments, regions and civil society in the
decisionmaking process, Bologna, 2013; F. VECCHIO, La sussidiarietà nell’ordinameto europeo, in P. BARCELLONA (a
cura di), La società europea, Torino, 2009, pp. 458-476 e F. VECCHIO, Il principio di sussidiarietà nel Trattato Costituzionale:
procedimentalizzazione vs. giustizi abilità, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2010, con ulteriori riferimenti bibliografici nella
seconda nota.
29 Il trattato di Maastricht, in particolare, ha modificato l’ex art. 146 del Trattato che istituisce la Comunità economica

europea, abbandonando il riferimento ai governi nazionali, rendendo possibile che gli Stati Membri siano rappresentati
anche da rappresentanti delle autorità regionali; inoltre, le regole di procedura del Consiglio prevedono la possibilità che
i membri dello stesso siano accompagnati da “officials who assist them” (art. 5.3). Sotto tale profilo, le scelte degli Stati
membri hanno teso ad avvantaggiare gli organi esecutivi regionali (cfr. C. FASONE, Le assemblee legislative regionali e i
processi decisionali comunitari: un’analisi di diritto comparato, in Le Istituzioni del Federalismo, 3-4/2009, p. 417. Si vedano anche
P. SCARLATTI, Le Regioni italiane nella fase discendente di adattamento al diritto europeo: metodi e strumenti comuni di recepimento,
in federalismi.it, 8/2013, p. 3. e E. DI SALVATORE, Il decentramento politico-istituzionale nel processo di integrazione europea, in
A. D’ATENA (a cura di), Regionalismo e sovranazionalità, cit., pp. 60-73.
30 La componente dominante all’interno di tale organo è di provenienza locale, con eccezione delle delegazioni degli 8

stati membri dotati di “Regioni legislative”, formate prevalentemente da membri di organi di governo regionali (gli
Esecutivi e, in misura notevolmente minore, i Parlamenti regionali). Sulle specifiche di tale organo, fra i moltissimi, M.
MASCIA, Il Comitato delle Regioni nel sistema dell’Unione europea, cit.; C. ALIBERTI, Il ruolo del Comitato delle Regioni nell’assetto
istituzionale dell’Unione Europea, in Diritti Regionali, 1/2018, pp. 467 ss.; D. MESSINA, Il ruolo del Comitato delle regioni nella
multilevel governance europea, in A. PAPA (a cura di), Le Regioni nella multilevel governance europea, cit., pp. 59 ss.; L.
DOMENICHELLI, La partecipazione del Comitato delle Regioni alla produzione legislativa comunitaria, in G.G. FLORIDIA – R.
ORRÙ (a cura di), Meccanismi e tecniche di normazione fra livello comunitario e livello nazionale e subnazionale, cit., pp. 27 ss.; V.
FALCONE, Il Comitato delle Regioni: esperienze e prospettive, in A. D’ATENA (a cura di), L'Europa delle autonomie: le regioni e
l'Unione europea, Milano, 2003, pp. 247 ss.; S. PIAZZA, Il ruolo del Comitato delle Regioni nella costruzione del regionalismo europeo,
Padova 1998.
31 Così, G. BERTI, Regionalismo europeo nella prospettiva del Trattato di Maastricht, in Le Regioni, 5/1992, pp. 1203 ss.

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In realtà, i nuovi strumenti, seppure significativi, si sono mostrati sostanzialmente insoddisfacenti e
inidonei a rispondere alle richieste delle regioni32, le quali, negli anni successivi, hanno preferito e
sviluppato il ricorso a canali di partecipazione non istituzionali, ad esempio sfruttando le opportunità
offerte dalle consultazioni della Commissione in fase pre-legislativa33. Sono questi gli anni nei quali
proliferano gli uffici regionali di collegamento con le istituzioni europee, associazioni, piattaforme e reti
in grado di dare risalto alla voce degli enti sub-statali, in particolare nella fase di creazione del diritto
dell’Unione.
È in questo clima che si afferma, con diverse sfumature e accezioni, l’idea di una “Europa delle Regioni”34
che, nelle declinazioni più radicali, avrebbe richiesto una dissoluzione degli stati nazionali, mentre, in
quelle più moderate, avrebbe implicato l’emergere di un terzo livello istituzionale di rilevanza
comunitaria35.
Anche il Trattato di Lisbona ha proseguito nel solco del processo di valorizzazione in sede europea
dell’autonomia territoriale, pur apportando, nei fatti, modificazioni solo parziali36: come noto – in
omaggio all’origine intergovernativa dell’Unione –, l’assetto istituzionale si mantiene marcatamente stato-
centrico37, ma con alcune innovazioni, resesi indispensabili in ragione del ruolo di tutto rilievo degli enti

32 Si tratta delle cd. “four big demands”, relative, in sintesi, a principio di sussidiarietà, apertura del Consiglio dei Ministri
ad esponenti delle entità sub-statali, potere di adire la Corte di Giustizia a tutela del principio di sussidiarietà e creazione
di un Consiglio regionale dell’UE, avanzate sin da prima dell’adozione del Trattato di Maastricht. Si veda, più
estesamente, J. KOTTMANN, Europe and the Regions: Sub-national Entity Representation at Community Level, in European Law
Review, 26/2001, pp. 159 ss. e G. BERTEZZOLO, La scomposizione degli enti regionali e la tutela del’interesse pubblico in
prospettiva ultrastatale, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1/2010, pp. 1-32.
33 Attraverso il Libro bianco sulla governance, adottato nel 2001, dopo il Trattato di Amsterdam, la Commissione europea

ha introdotto tre strumenti di coinvolgimento “funzionale” (e non “istituzionale”) dei poteri regionali e locali nelle
politiche comunitarie: il dialogo diretto, ossia il dialogo con il Comitato delle Regioni e informale con le “parti
interessate”; il dialogo strutturato; la c.d. “contrattualizzazione delle politiche comunitarie” (Commissione europea, Libro
bianco sulla governance, (COM(2001) 428 def.).
34 Sulle origini ed evoluzioni di tale concetto, E. ANWEN et al., Whatever happened to the Europe of the regions? Revisiting the

regional dimension of European politics, in Regional and federal studies, 18, 5, 2008, pp. 483-635.
35 G. IURATO, Meccanismi e tecniche di normazione fra livello comunitario e livello nazionale e subnazionale, cit., pp. 694-695. I

differenti orientamenti della dottrina sono riportati in L. FROSINA, Regioni e Unione europea dopo il Trattato di Lisbona, Il
Comitato delle Regioni, i Parlamenti regionali e le sfide della multilevel governance, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 4, 2013,
pp. 1097-1128.
36 G. BERTEZZOLO, La scomposizione degli enti regionali e la tutela del’interesse pubblico in prospettiva ultrastatale,cit., p. 2; G.

IURATO, Meccanismi e tecniche di normazione fra livello comunitario e livello nazionale e subnazionale, cit., pp. 695-697; L.
DANIELE, Le istituzioni politiche dell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona: verso un nuovo equilibrio?, in Studi sull’integrazione
europea, 1/2009, pp. 43-54; L. DOMENICHELLI, Il Trattato di Lisbona: un decisivo passo in avanti per le autonomie territoriali,
in La cittadinanza europea, 1-2/2010, pp. 165 ss.; C. FASONE, Il Trattato di Lisbona quale fattore di innovazione
dell’organizzazione e del funzionamento degli organi di governo regionali. In particolare, la Regione Veneto, in Rivista AIC, 2/2012, pp.
1-11.
37 Come ha affermato la Corte di Giustizia: «emerge con chiarezza dal sistema generale dei Trattati che la nozione di

Stato membro, ai sensi delle norme istituzionali e, in particolare, di quelle relative ai ricorsi giurisdizionali, comprende le sole autorità
di governo degli Stati membri delle Comunità europee e non può estendersi agli esecutivi di Regioni o di comunità
autonome, indipendentemente dalla portata delle competenze attribuite a questi ultimi. Ammettere il contrario
equivarrebbe a mettere in pericolo l’equilibrio istituzionale voluto dai Trattati, i quali determinano in particolare le

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territoriali regionali nell’attuazione della normativa comunitaria38. Nel nuovo assetto, la complessiva
considerazione dei livelli di autonomia interni agli Stati membri ai fini del conseguimento degli obiettivi
dell’UE39 emerge, in particolare, dalla lettura combinata dell’art. 4, § 2 TUE, che conferma il rispetto da
parte dell’Unione dell’identità nazionale degli Stati membri, con un riferimento specifico al sistema delle
autonomie locali e regionali, con l’art. 3, § 3 TUE che riconosce la coesione territoriale come obiettivo
fondamentale della politica dell’Unione. Queste indicazioni attribuiscono rilevanza fondamentale e critica
al principio di sussidiarietà, sancito nell’art. 5, § 2, TCE, in base al quale «nei settori che non sono di sua
esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella
misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati
membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere
realizzati meglio a livello comunitario». La formulazione introdotta con il Trattato di Lisbona perfeziona
tale concetto specificando che «nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene
soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente
dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale» (art. 5, § 3, TUE).
Tali norme si integrano e si saldano con quelle di cui all’art. 10 che individua il principio rappresentativo
come parte integrante del principio democratico (art. 10 § 1 TUE), prevede che le decisioni siano prese
«nella maniera più possibile aperta e vicina ai cittadini» e consente ad «ogni cittadino […] il diritto di
partecipare alla vita democratica dell’Unione» (art. 10, § 3 TUE).
Completano il quadro gli istituti pensati per facilitare una buona governance europea come il dialogo diretto
ed informale della Commissione con il Comitato delle Regioni e con le «parti interessate» (art. 11 TUE)40.
Altre indicazioni di interesse regionale si possono rinvenire nel “Protocollo n. 2 sull’applicazione dei
principi di sussidiarietà e proporzionalità”41, il quale individua specifici spazi di intervento degli enti sub-
statali, funzionali a garantire forme di partecipazione effettiva al processo di determinazione delle
politiche e azioni europee.

condizioni alle quali gli Stati membri […] partecipano al funzionamento delle istituzioni comunitarie. Le Comunità
europee non possono, infatti, comprendere un numero di Stati membri superiore a quello degli Stati membri che le
hanno costituite» (C-95/97, Région Wallonne c. Commissione, 21 marzo 1997). A pronunce analoghe fa riferimento A.
SIMONATO, Integrazione europea e autonomia regionale, cit., spec. nt. 31; si veda anche P. ZUDDAS, L’influenza del diritto
dell’Unione europea sul riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, Padova, 2010, p. 145.
38 Sul particolare ruolo delle Diete dei Länder tedeschi e austriaci e della Conferenza delle Assemblee legislative regionali

(la CALRE) nel processo di innovazione, C. FASONE, Le assemblee legislative regionali e i processi decisionali comunitari, cit., p.
416.
39 A. D’ATENA, Regioni e sovranazionalità, in A. D’ATENA (a cura di), Regionalismo e sovranazionalità, cit., pp. 7-8.
40 A. SIMONATO, Multilevel governance. Profili costituzionali. Il coordinamento tra Regioni, Stato e UE, Padova, 2016, in

particolare p. 138 ss.
41 Protocollo (n. 2) sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, in GU C 115 del 9 maggio 2008,

pp. 206-209.

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In riferimento alla partecipazione degli enti sub-statali nella fase pre-legislativa, il Protocollo prevede –
pur lasciando un profilo di discrezionalità alla Commissione – la consultazione di tali organismi, qualora
le azioni rientranti nella proposta di atto legislativo li coinvolgano nella fase di attuazione (art. 2). La
Commissione, inoltre, è tenuta a corredare ogni proposta con una scheda esplicativa, che dedichi
particolare attenzione agli aspetti finanziari, al rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità e
all’impatto che l’atto produrrebbe sulla conseguente regolamentazione statale e, «se del caso», regionale
(art. 5). Il coinvolgimento è però sempre limitato da due fattori: il riferimento alla discrezionalità del
soggetto chiamato ad assumere la decisione e il filtro degli stati nazionali, che restano gli unici interlocutori
istituzionali dell’Unione42.
Un ulteriore tentativo di valorizzazione della dimensione regionale si può riscontrare nella lettera dell’art.
7, § 1 che impone che i voti attribuiti a ciascun Parlamento siano ripartiti, nei sistemi bicamerali, fra le
due camere. Il meccanismo appare evidentemente inadeguato allo scopo, se si considera che le camere
alte non sono necessariamente il luogo in cui sono rappresentate le entità regionali e, anche dove lo siano,
non sempre sono la sede in cui gli interessi regionali sono meglio riprodotti43.
Per completezza, si può citare anche la prescrizione che assegna al Comitato delle Regioni il potere di
ricorrere alla Corte di giustizia dell’Unione europea nel caso in cui un atto legislativo europeo, per il quale
il Trattato prescrive la consultazione del medesimo, sia ritenuto lesivo del principio di sussidiarietà (art.
8 § 2). Lo stesso articolo stabilisce anche che ciascuno Stato membro, anche se sollecitato dal Parlamento,
possa presentare ricorso verso atti legislativi che violino il principio di sussidiarietà (art. 8, § 1)44.
La forma di coinvolgimento più significativa per il discorso che si sta svolgendo è, comunque, quella di
cui all’art. 6, nell’ambito del c.d. early warning system45. Come noto, tale istituto consente a ciascuno dei
parlamenti statali o a ciascuna camera di uno di questi, entro un termine di otto settimane a decorrere
dalla data di trasmissione di un progetto di atto legislativo nelle lingue ufficiali dell'Unione, di inviare alle
istituzioni europee un parere motivato che espone le ragioni per le quali ritiene che il progetto in causa

42 N. LUPO, I poteri “europei” dei parlamenti nazionali, in AA.VV., Scritti in onore di Antonio D’Atena, III, Milano, Giuffrè
Editore, 2015, pp. 1713 ss.; M. MORELLI, La democrazia partecipativa nella governance europea, Milano, 2011, pp. 83 ss.;
C. FASONE, Gli effetti del Trattato di Lisbona sulla funzione di controllo parlamentare, in Rivista italiana di diritto pubblico
comunitario, 2/2011, pp. 361 ss.
43 P. POPELIER, A multilevel governance perspective on disintegrative dynamics within EU member states, cit., p. 40.
44 Sul riconoscimento delle regioni quali ricorrenti non privilegiati nelle azioni di annullamento, già negli anni precedenti,

cfr. M. DANI – F. PALERMO, Towards an ever more complex Union: an epilogue, in R. TONIATTI – F. PALERMO – M.
DANI (eds), An ever more complex Union. The regional variable as missing link in the EU Constitution?, Baden-Baden, 2004, pp.
313-330.
45 Il meccanismo interessa 74 Assemblee legislative regionali degli otto Stati membri che attribuiscono poteri legislativi

ad alcune o a tutte le loro Regioni (Austria, Belgio, Finlandia, Germania, Italia, Portogallo, Spagna e, per il momento,
Regno Unito). R. IBRIDO, Le strategie di recepimento e attuazione del diritto dell’Unione europea: il quadro comparato, in E.
MOAVERO MILANESI, G. PICCIRILLI (a cura di), Attuare il diritto dell'Unione Europea in Italia. Un bilancio a 5 anni
dall'entrata in vigore della legge n. 234 del 2012, Bari, 2018, p. 59.

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non sia conforme al principio di sussidiarietà46. Il § 1, si chiude disponendo che «spetta a ciascun
parlamento nazionale o a ciascuna Camera dei parlamenti nazionali consultare all’occorrenza i parlamenti
regionali con poteri legislativi». Come si vedrà nel prosieguo, il funzionamento del meccanismo e il ruolo
effettivamente svolto dalle entità sub-nazionali dipende, ancora una volta, dall’approccio individuale di
ciascuno Stato Membro e, in particolare: a) dall’esistenza di una camera rappresentativa delle autonomie
territoriali; b) dalla scelta dei Parlamenti statali di consultare le assemblee legislative regionali.
In via generale, comunque, si può già osservare che il principio di sussidiarietà, entrato nei Trattati per
difendere la sovranità nazionale, potrebbe, almeno da un punto di vista teorico e secondo alcuni, servire
anche a rinforzare il ruolo delle autonomie regionali47. Nondimeno, bisogna rilevare che la scelta di
coinvolgere nel sistema di allerta anche le Assemblee regionali con poteri legislativi pare mantenersi
nell’alveo del rispetto del principio della soggettività degli Stati e dell’architettura costituzionale degli
stessi: il legislatore europeo, infatti, non ha previsto che il coinvolgimento delle assemblee legislative
regionali avvenga attraverso pareri rivolti direttamente alle istituzioni europee, bensì mediante
osservazioni presentate ai parlamenti nazionali. Tutte le formulazioni linguistiche della disposizione
paiono mantenere intatte le prerogative di ciascuna camera, lasciando loro la scelta in merito alla
consultazione dei consigli regionali48, anche se non mancano interpretazioni in senso opposto49.
Nel prosieguo – come detto – si cercherà di verificare se e come questo principio sia stato implementato
a livello nazionale e, dunque, quale spazio di partecipazione per gli enti sub-statali esso abbia
effettivamente consentito50.
La questione del ruolo delle regioni nella costruzione dei percorsi di integrazione europea ha da sempre
tentato di districarsi all’interno della costante tensione fra due poli. Da un lato, gli enti regionali debbono
certamente essere annoverati fra i soggetti rilevanti dell’ordinamento europeo, chiamati, «ad interpretare

46 J. WOELK – P. BUßJÄGER (eds.), Il Trattato di Lisbona e le Regioni: il controllo di sussidiarietà, Bolzano, 2010.
47 P.D. MARQUARDT, Subsidiarity and Sovereignty in the European Union, in Fordham International Law Journal, 18(2)/1994,
pp. 617-640.
48 C. FASONE, Le assemblee legislative regionali e i processi decisionali comunitari, cit., p. 409, nt. 2.
49 Circa l’esistenza di un obbligo di consultazione E. ÁLVAREZ CONDE, Los Parlamentos regionales y la Unión europea: el

mecanismo de alerta temprana, in E. ÁLVAREZ CONDE – L. PEGORARO – A. RINELLA (a cura di), Regional Councils
and Devolved Forms of Governments, Bologna, 2006, p. 51. In senso contrario, almeno con riferimento alle norme attuative
adottate in Italia, M. DRIGANI, La legge 24 dicembre 2012, n. 234: analogie e differenze con la legge Buttiglione, in Le Regioni, 5-
6/2013, pp. 915 ss.; A. PAPA, Il modello europeo di integrazione e la multilevel governance europea, cit., e G. RIVOSECCHI,
Gli effetti del processo di integrazione europea sulle autonomie territoriali, cit., p. 15.
50 Quanto alla modesta effettività nella pratica del meccanismo, che sino ad ora ha portato all’adozione di tre “cartellini

gialli” da parte dei parlamenti nazionali, si v. F. FABBRINI – K. GRANAT, “Yellow Card, but Not Foul”: The Role of the
National Parliaments under the Subsidiarity Protocol and the Commission Proposal for an EU Regulation on the Right to Strike, in
Common Market Law Review, 50/2013, pp. 115- 144; C. FASONE, Parlamenti nazionali e controllo di sussidiarietà: il secondo
“cartellino giallo” sull'istituzione della Procura europea, in Quaderni costituzionali, 1/2014, pp. 165-167 e, più in generale, K.
GRANAT, The Principle of Subsidiarity and its Enforcement in the EU Legal Order The Role of National Parliaments in the Early
Warning System, Oxford, 2018.

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ruoli e missioni diversi, indipendentemente dall’ordinamento rilevante, interno o europeo»51. Secondo
alcuni, essi avrebbero assunto una vera e propria soggettività propria di diritto eurounitario, in quanto
destinatarie degli effetti giuridici prodotti nell’ordinamento giuridico europeo52. L’iniziale cecità è stata
progressivamente sostituita con un atteggiamento di favor nei confronti degli enti territoriali53, ostando le
citate norme dei Trattati a che l’Unione evolva in maniera tale da recare pregiudizio ai principi supremi
dell’identità costituzionale statale.
D’altro lato, proprio il costante riferimento all’architettura costituzionale statale impone di rilevare la
perdurante assenza di livelli regionali in molti Stati membri e le profonde differenze che intercorrono fra
i vari enti sub-statali esistenti54. Gli strumenti di partecipazione offerti dal diritto dell’Unione sono solo
in minima parte in grado di compensare le perdite subite dagli enti sub-statali; in questo senso, resterebbe
primario il ruolo del diritto interno, che in quanto «calibrato sulle specificità di ciascun singolo sistema
nazionale», è l’unico in grado di rispettarne e valorizzarne le peculiarità costituzionali55.
Inoltre, si può brevemente osservare che gli eventi emergenziali degli ultimi anni, connessi alla crisi
economico-finanziaria, hanno determinato l’accentuarsi della propensione dell’Unione al ricorso a
strumenti intergovernativi e, in molti ordinamenti, un riaccentramento dei processi decisionali e di
produzione normativa, causando una limitazione e un rallentamento dell’attuazione del disegno
autonomistico56.

51 Così O. PORCHIA, UE, Stati membri e enti territoriali, in L. DANIELE (a cura di), Regioni e autonomie territoriali nel diritto
internazionale ed europeo, Napoli, 2006, p. 274.
52 N. BASSI, Gli accordi fra soggetti pubblici nel diritto europeo, Milano, 2004, p. 125; M.P. CHITI, L’organizzazione amministrativa,

in M.P. CHITI – G. GRECO (diretto da), Trattato di diritto amministrativo europeo. Parte generale, Milano, Giuffrè, 1997, p.
192; D. FLORENZANO, L’autonomia regionale nella dimensione internazionale. Dalle attività promozionali agli accordi ed alle intese,
Padova, 2004, pp. 106 ss.; G. FALCON, La “cittadinanza europea” delle Regioni, in AA. VV., Studi in onore di Umberto
Pototschnig, vol. I, Milano, 2002, p. 338 ss.
53 G. RIVOSECCHI, Gli effetti del processo di integrazione europea sulle autonomie territoriali, cit., p. 8 e, già, E. DI SALVATORE,

L’identità costituzionale dell’Unione europea e degli Stati membri. Il decentramento politico-istituzionale nel processo di integrazione,
Torino, Giappichelli, 2008, pp. 64 ss. Analogamente, N. LUPO, Perché il federalismo in Italia?, in I Quaderni di Italianieuropei.
Il federalismo, 1/2009, p. 29.
54 In una sintesi particolarmente efficace: «subnational authorities eschew straightforward definitional exercises for their

widely diverse statuses and competences as a matter of domestic law, which necessarily influence their interactions with
other actors such as the European Union» (M. FINCK, Subnational Authorities in EU Law, Oxford, 2017, p. 60. Questa
asimmetria ha significativamente portato a parlare di “Europe with some regions”: così, N. SKOUTARIS, The Role of
Sub-State Entities in the EU Decision-Making Processes: A Comparative Constitutional Law Approach, in E. CLOOTS – G. DE
BAERE – S. SOTTIAUX (eds.), Federalism in the European Union, cit., 2012, p. 219 e J. GREENWOOD, Interest
representation in the European Union, 3rd ed., Basingstoke, 2011, p. 176.
55 A. D’ATENA, Il doppio intreccio federale, cit., pp. 1921-1922.
56 In senso critico, S. MANGIAMELI, Crisi economica e distribuzione territoriale del potere politico — relazione al XXVIII

Convegno annuale dell’AIC, in Rivista AIC, 4/2013, pp. 1-41 e G. RIVOSECCHI, Gli effetti del processo di integrazione europea
sulle autonomie territoriali, cit., pp. 1-25.

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