Senza un accordo che li proibisca, saranno i robot killer i protagonisti delle prossime guerre - Raiawadunia

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Senza un accordo che li proibisca, saranno i robot killer i protagonisti delle prossime guerre - Raiawadunia
Senza un accordo che li
proibisca, saranno i robot
killer i protagonisti delle
prossime guerre.
Ancora una volta non hanno deciso.
A Ginevra i membri della Convenzione Onu per le armi
convenzionali non hanno avviato i negoziati necessari per un
trattato vincolante, come per quello sulle armi atomiche, per
il bando delle “ armi letali atomiche “, cioè i cosiddetti
robot killer.
I robot killer sono possono selezionare, individuare e colpire
il “nemico”. In modo del tutto autonomo, cioè senza alcun
intervento e controllo umano significativo. La loro ideazione
e produzione è in preoccupante crescita.
Durante l’ultima riunione di aprile l’elenco dei paesi che
hanno esplicitamente chiesto una norma di divieto sulle armi
completamente autonome, grazie alle pressioni della campagna
internazionale contro i Robot Killer, è salito a 26, con
l’aggiunta di Austria, Cina, Colombia e Gibuti.
Germania, Francia e Italia, invece hanno rifiutato di aderire
alla richiesta di un divieto normativo, proponendo invece una
dichiarazione politica formulata troppo debolmente sul
concetto di controllo umano, che la Campagna “Stop Killer
Robots” ha respinto come non appropriata e non ambiziosa.
Francia, Israele, Russia, Regno Unito e Stati Uniti hanno
esplicitamente rifiutato di iniziare negoziati verso una nuova
legge internazionale sulle armi completamente autonome. Questi
paesi e altre potenze militari stanno investendo ingenti fondi
in droni armati e altri sistemi d’armamento con livelli
decrescenti di controllo umano.
Secondo Mary Wareham di Human Rights Watch, coordinatrice
della Campagna internazionale «le promesse di maggiore
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trasparenza e le dichiarazioni politiche deboli sono
insufficienti per affrontare le conseguenze di vasta portata
che si avrebbero con la creazione di armi completamente
autonome. Nulla di meno che un Trattato di divieto è
assolutamente necessario per limitare efficacemente lo
sviluppo dell’autonomia nelle funzioni critiche dei sistemi
d’arma ed evitare di disumanizzare l’uso della forza».
l’International commettee for robots arms control (Icrac) –
che riunisce scienziati specializzati in intelligenza
artificiale – ha definito tali dispositivi «un rischio per la
sicurezza globale»
“ Permettere una tale evoluzione sarebbe aberrante, immorale,
e un affronto al concetto di dignità umana e ai principi di
umanità», ha dichiarato Jody Williams, premio Nobel per la
pace nel 1997.

I PADRONI DEL MONDO CONTRO LA
RIFORMA AGRARIA IN SUDAFRICA
“Ho chiesto al Segretario di Stato Mike Pompeo di analizzare
attentamente i sequestri di terre e fattorie, gli espropri e
le uccisioni su larga scala di imprenditori agricoli in
Sudafrica. Il governo sudafricano sta sequestrando terreni
appartenenti a coltivatori bianchi”, ha minacciosamente
affermato il presidente americano Donald Trump attaccando il
progetto di riforma agraria allo studio da parte del governo
del Sudafrica.
Pretoria non ha fatto attendere la sua reazione. “Il Sudafrica
respinge totalmente questa versione meschina della nostra
politica che vuole solo riprecipitarci in un passato di
lacerazioni sanguinose “, ha affermato il governo sudafricano,
ribadendo che la sua riforma agraria sarà giusta e inclusiva.
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Anche Julius Malema, leader dei Combattenti per la libertà
economica, sostenitori di questa riforma, ha reagito. “Non
occuparti degli affari sudafricani! Non abbiamo paura di te “,
ha intimato al presidente americano, definendolo un” bugiardo
patologico “.

Questa polemica ha colpito immediatamente la moneta
sudafricana, il Rand ha perso fino al 2% nella mattinata di
giovedì 23 agosto contro il dollaro USA, prima di riprendersi.
Cyril Ramaphosa, il presidente sudafricano, salito al potere
all’inizio del 2018, ha promesso di accelerare la riforma
agraria per riparare la grave ingiustizia storica commessa
contro la maggioranza nera durante il periodo coloniale e
l’apartheid, ufficialmente abolito nel 1994. La riforma mira a
correggere gli squilibri nella proprietà agraria in Sud
Africa, dove la minoranza bianca (8% della popolazione)
possiede il 72% delle fattorie, mentre gli africani che sono
l’80% della popolazione ne posseggono solo il 4%. Un’evidente
ingiustizia.
L’intenzione   del   governo   sulla   questione   è   quella   di
espropriare i grandi agricoltori senza procedere a
compensazioni. Una misura che richiede la modifica della
Costituzione e, per ora, il progetto non è ancora stato
implementato. Gli agricoltori bianchi temono una ripetizione
delle violente espulsioni ordinate nei primi anni 2000 nel
vicino Zimbabwe dal regime dell’ex presidente Robert Mugabe.
Una parte della minoranza bianca denuncia anche la violenza
che gli agricoltori bianchi subiscono regolarmente nel paese.
Una questione molto controversa. Tra il 2016 e il 2017, 74
coltivatori sono stati uccisi in Sud Africa. Quasi tutti
bianchi, secondo l’organizzazione AfriForum, che difende
questa minoranza. Ma l’organizzazione è stata accusata di
diffondere bugie e falsi allarmi pur di ottenere all’estero,
innanzitutto dal governo americano, sostegno ai loro assurdi e
ingiusti privilegi.
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LA FOLLE LOGICA DEL ” PRIMA
NOI ” PORTA AL MASSACRO DEL
PIANETA
Gli Stati Uniti sono il paese più inquinante del mondo, anzi
del drammatico problema portano la maggior responsabilità
insieme alla Cina.
Con il Clean Power Plan varato nel 2014 dall’amministrazione
Obama gli Stati Uniti si erano impegnati a ridurre del 32% le
loro emissioni entro il 2030. Non era molto, vista la pessima
salute del pianeta, ma era un passo nella direzione giusta.
Ora Donald Trump fa marcia indietro. Mette in discussione gli
accordi sul clima. E prepara una nuova legge, improntata alla
filosofia del “Prima gli americani”, che prevede di affidare
ai singoli governi locali la decisione di come, quanto e
perfino se ridurre le emissioni di anidride carbonica delle
centrali a carbone e delle centrali elettriche da risanare.
Questa legge fa seguito a quella dello scorso anno sulle
emissioni delle auto. Riconvertire nel rispetto dell’ambiente
è troppo costoso per gli americani e allora tutti liberi di
inquinare. Poco importa se poi questo avrà ricadute
sull’intero pianeta. America, first!
E’ la logica folle di questo nostro tempo. Tutte le leggi e le
istituzioni che regolano il vivere in comune degli abitanti
del pianeta sono in discussione. Ogni paese agisce nel mondo
in base ai soli interessi di bandiera. Ma in questo gioco al
massacro di chi pretende di affermare solo i propri interessi,
a decidere, per tutti, poi sono i più forti.
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LA CINA PRONTA A RISPONDERE
ALL’ESERCITO   SPAZIALE  DI
TRUMP
” La Cina deve abbandonare ogni illusione e sviluppare
risolutamente le sue capacità per resistere all’egemonia
statunitense nello spazio. Dobbiamo attribuire grande
importanza a questa problematica e riconoscere che è una
questione di vita o di morte per lo sviluppo futuro della
Cina. Lo spazio esterno è il futuro dell’umanità e la Cina ha
bisogno della propria chiave per lo spazio esterno. Assicurare
che lo spazio esterno non sia dominato dagli Stati Uniti è
l’interesse comune di tutti i cinesi “.

E’ questa la risposta di Pechino alla decisione americana di
costituire un proprio esercito spaziale.
“È giunto il momento di scrivere il prossimo grande capitolo
della storia delle nostre forze armate, per preparare il
prossimo campo di battaglia su cui i migliori e i più
coraggiosi d’America saranno chiamati a scoraggiare e
sconfiggere una nuova generazione di minacce al nostro popolo,
alla nostra nazione. È arrivato il momento di istituire la US
Space Force”, ha detto il vicepresidente americano Mike Pence
in un discorso ai militari al Pentagono.
Scott Kelly, veterano delle missioni spaziali della Nasa e
inoltre ex pilota top gun della marina militare Usa, ha detto
alla rete tv americana Msnbc: «Per me la domanda numero uno è:
stiamo parlando di nuove capacità offensive nello spazio nelle
armi spaziali? Alcune di queste cose sono limitate da trattati
internazionali sottoscritti dagli Stati Uniti sin dagli anni
’60. Quindi non mi è chiaro quale sia lo scopo di questo nuovo
ramo dell’esercito che sarà incredibilmente costoso e che
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aggiungerà burocrazia a un comparto già molto burocratizzato.
E la mia grande preoccupazione è che lo spazio è stato finora
un ambiente dove possiamo lavorare in modo pacifico con tutte
le nazioni del mondo, e cambiarlo senza una ragione chiara a
questo punto, come ho detto, è piuttosto difficile da capire».

L’esempio più immediato è la stazione spaziale internazionale,
Iss, in nome della quale non è mai mancata la collaborazione
fra grandi potenze anche quando sulla Terra la tensione
raggiungeva livelli preoccupanti. Inoltre i costi delle
imprese spaziali sono elevatissimi e richiedono l’alleanza fra
nazioni: sono in molti a credere che l’uomo sbarcherà su Marte
per colonizzarlo solo quando la missione sarà effettivamente
mondiale e non di questo o quello stato.
Per l’amministrazione Trump, preoccupata dei progressi cinesi
e russi in campo spaziale, invece lo spazio è un dominio di
guerra, proprio come la terra, l’aria e il mare. Anzi è il
futuro grazie alle enormi risorse da poter sfruttare e alle
infinite possibilità di dominio della Terra per chi ne avesse
il controllo.
“Molto presto andremo su Marte”, ha dichiarato Trump. “Non
sareste andati su Marte se il mio avversario, Hillary Clinton,
avesse vinto”.
La corsa folle agli armamenti, mai doma, è destinata a trovare
nuovi pericolosi impulsi dall’apertura del fronte spaziale. Le
minacce alla pace mondiale aumenteranno in modo esponenziale.

UN PASSO VERSO L’ABISSO:
TRUMP  INIZIA LE  GUERRE
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STELLARI
Il vice presidente degli Stati Uniti, Mike Pence, ha
annunciato giovedì scorso che gli Stati Uniti creeranno un
esercito dedicato alla sicurezza nello spazio, uno scenario
che, ha detto, ed è diventato “un nuovo campo di battaglia”.
Il governo ha chiesto al Congresso di destinare 8.000 milioni
di euro nei prossimi anni a questo nuovo ramo dell’esercito,
che sarà il sesto delle forze armate degli Stati Uniti e
potrebbe essere operativo già nell’anno 2020.
Questa iniziativa è stata voluta dal Donald Trump per
rafforzare il “dominio” americano del cosmo e contrastare i
progressi in questo campo della Cina e della Russia.
La legge stabilisce quattro punti da seguire a tale scopo. Il
primo è la creazione del Comando Spaziale, che alla fine sarà
l’unità responsabile di questo nuovo esercito. In secondo
luogo, lavorare sulla formazione di truppe provenienti dalle
varie branche delle forze armate americane e la cui missione
sarà quella di occuparsi di sicurezza spaziale. Terzo,
un’agenzia spaziale il cui obiettivo sarebbe quello di
“ricerca e innovazione” per fornire al Pentagono tutte le
risorse necessarie per svolgere questa nuova missione. Infine,
il quarto passo sarebbe quello di nominare un nuovo segretario
della difesa per lo spazio.
“I nostri avversari hanno già trasformato lo spazio in un
nuovo campo di battaglia”, ha sostenuto Pence, che ha portato
come esempi la distruzione da parte della Cina di uno dei suoi
satelliti con un missile e lo sviluppo, da parte russa, di un
laser in grado di bloccare le infrastrutture spaziali .”
Abbiamo la necessità di garantire la capacità deterrente degli
Stati Uniti nello spazio, perché è una tappa fondamentale per
gli interessi del nostro paese “.
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A SETTEMBRE PER TANTI BAMBINI
NON RIAPRIRANNO LE SCUOLE
Negli ultimi 10 anni la percentuale di bambini e ragazzi tra i
6 e i 15 anni che non vanno a scuola è appena diminuita,
racconta un rapporto dell’Unicef. L11,5% dei bambini in età
scolare – pari a 123 milioni – non frequenta la scuola; nel
2007 erano il 12,8%, cioè 135 milioni. La gran parte di questi
bambini vive nella parte povera del pianeta o in quella
afflitta dal flagello della guerra.
I conflitti in Iraq e Siria hanno prodotto altri 3,4 milioni
di bambini che non seguono la scuola, portando il numero di
scolari e studenti fuori dalle scuole, in Medio Oriente e in
Nord Africa, ai livelli del 2007, con circa 16 milioni di
individui. A livello globale, il 75% dei bambini in età da
scuola primaria e secondaria inferiore che non frequentano la
scuola si trova in Africa sub sahariana e Asia del Sud, dove i
livelli di povertà sono altissimi e rapidi gli incrementi
della popolazione, con le conseguenti e ricorrenti emergenze.
A queste cifre spaventose vanno aggiunte quelle altrettanto
terribili sulla qualità e l’accessibilità delle scuole
primarie e secondarie inferiori. Andare a scuola per decine e
decine di milioni di bambine e bambini è un’impresa, spesso
pericolosissima. E una volta in classe strumenti didattici e
qualità dell’insegnamento sono praticamente zero.

“Gli investimenti mirati a far crescere il numero di scuole e
insegnanti – dice Jo Bourne, responsabile UNICEF per
l’Istruzione – non sono sufficienti. L’approccio tradizionale
al fenomeno non riporterà quei bambini a scuola e non li
aiuterà a sviluppare le loro potenzialità, soprattutto se
continueranno ad essere intrappolati nella povertà, nelle
privazioni e nell’insicurezza”.

Il diritto negato all’istruzione. Sullo sfondo di questa
condizione, che condanna milioni di ragazzini alla marginalità
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per tutta la loro esistenza, c’è evidentemente un cattivo uso
delle già scarse risorse di cui si dispone. La mancanza di
fondi per l’istruzione, in molti casi non considerata
un’emergenza, come la fame, la salute o la sicurezza, sta
colpendo duramente l’accesso alle scuole. In media, meno del
2,7% degli appelli umanitari a livello globale sono dedicati
all’istruzione.

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a      Jacopo          Montanaro
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LA CINA E’ IL PIU’ GRANDE
NEMICO DELL’AMAZZONIA
La Cina è il più grande importatore mondiale di legname
tropicale. La Cina è, però, priva di una legislazione capace
di garantire che queste importazioni siano legali, cioè che il
legname importato non sia frutto del disboscamento selvaggio
che sta facendo strage dell’Amazzonia e delle residue foreste
tropicali del pianeta. Anzi rischia di divenire il porto
franco del traffico di legname mondiale.
Lo denuncia un rapporto di Global Witness che auspica che il
gigante asiatico si decida finalmente a legiferare nel campo
seguendo l’esempio di altri paesi.
“ Sono passati 10 anni dall’entrata in vigore dell’emendamento
Lacey Act negli Stati Uniti e cinque anni da quando il
regolamento UE sul legname (EUTR) è diventato vincolante in
Europa. Entrambi i testi legislativi vietano il commercio di
legname illegale e varie società in Germania, Svezia, Paesi
Bassi e Regno Unito sono state recentemente sanzionate per
infrazioni a queste leggi, sebbene la loro applicazione in
altri importanti paesi importatori dell’UE sia estremamente
povera. Inoltre, sia l’Australia che il Giappone hanno ora una
legislazione che vieta le importazioni illegali. Il mondo sta
finalmente prendendo coscienza che fino a quando gli
acquirenti di legname continueranno a non fare acquisti di
legname prodotto legalmente, il problema del disboscamento
illegale continuerà e con esso l’irreparabile danno ambientale
e climatico che questi comportano “.

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a Jacopo Montanaro
LE    POCHE                        COSE     CHE
CAMBIEREBBERO                      IL   DESTINO
DELL’AFRICA E                      CHE NESSUNO
VUOLE FARE
L’Africa è ricchissima. E’ il continente delle materie prime,
soprattutto di quelle più rare e strategiche. E’ il nuovo
medio oriente energetico visto che di “giant”, cioè di
giacimenti di grandissime dimensioni, se ne scoprono, oramai,
solo nel suo territorio e nelle sue acque.
Eppure l’Africa resta povera, un continente in crisi, dai
modestissimi tassi di sviluppo.
Perché? Le ragioni sono tante, antiche e nuove, ma fanno capo,
essenzialmente, a tre grandi problemi: corruzione, rapina
delle risorse loro mancata trasformazione in Africa.
La ricchezza africana è trafugata dai grandi gruppi finanziari
e industriali internazionali e dalle elite, quasi sempre da
questi sostenute, attualmente al potere. In più le risorse
delle quali il continente nero abbonda restano materie prime,
come tali esportate a prezzi decisi nelle borse merci del
resto del mondo, mai trasformate in loco, senza quindi mai
generare sviluppo. Non c’è bisogno di particolari studi di
economia per sapere che lo sviluppo si da solo quando le
materie prime vengono trasformate generando così valore
aggiunto.
Come affrontare questi nodi? Intanto alcune proposte che
sicuramente genererebbero una decisa inversione di tendenza.

1) LOTTA ALLA CORRUZIONE
Vanno resi pubblici i trasferimenti superiori ai 100.000
dollari da parte delle imprese che commerciano con i paesi
africani. Ciò metterebbe in crisi i meccanismi di corruzione
messi in piedi da queste imprese nei confronti delle elite
africane. Alcuni paesi hanno già adottato misure del genere,
ma il principio va universalizzato per legge.
Vanno perseguiti e sequestrati i depositi bancari e le
acquisizioni immobiliari di esponenti africani nei nostri
paesi e le somme in questione vanno destinate a progetti di
sviluppo delle comunità africane.

2) TRACCIABILITA’ DELLE MATERIE PRIME
Le aziende che adoperano materie prime di provenienza africana
devono renderne pubblici i percorsi di acquisizione. Ciò
metterebbe fine a una moltitudine di conflitti in cui bande
armate saccheggiano i territori minerari commettendo ogni
crimine. Le materie prime così acquisite non sarebbero più
commerciabili e tante mattanze avrebbero fine.
Esistono già varie leggi in alcuni dei nostri paesi che
tentano di misurarsi con questo problema. L’amministrazione
Trump ha invece colpevolmente ridotto l’efficacia di una legge
promossa in tal senso dalla precedente amministrazione Obama.

3) REGOLAMENTAZIONE ROYALTIES
Le royalties sono in sostanza le tasse pagate dalle imprese
che acquisiscono materie prime al paese in cui queste
esistono. E’ un mercato opaco e segnato dalla corruzione. Le
imprese vogliono pagare il meno possibile e pagano i
funzionari statali africani a tale scopo rubando risorse a
quelle popolazioni. Accade così che per l’uranio del Niger si
paghi un misero 5%, per i diamanti della Sierra Leone un
vergognoso 3% e per i contratti energetici in Africa vengano
pagate royalties infinitamente più basse che in altre aree del
mondo. Una legge internazionale deve stabilire i minimi delle
royalties da pagare.
4) TRASFORMAZIONE E SVILUPPO
L’Africa va messa in condizione di trasformare le sue materie
prime. Ciò significherebbe sviluppo e occupazione. E’
insopportabile vedere che l’egoismo del resto del mondo
proibisca di fatto, e con ogni mezzo, ogni forma di decollo
dello sviluppo africano. E’ intollerabile, ad esempio, che la
Costa d’Avorio, tra i primi produttori mondiali di cacao, non
produca sul suo suolo neanche una barretta di cioccolato e non
per sua volontà.
Un piano internazionale per lo sviluppo del continente
africano deve dettare chiaramente un sostegno crescente alla
trasformazione in loco delle risorse dei paesi che lo
compongono.

E’ bene sottolineare che queste semplici misure oltre a metter
fine a più guerre, a rendere più potenti le popolazioni
africane nel controllo democratico dei loro budget nazionali,
oltre a aprire la strada a speranze di occupazione per i loro
giovani ,avrebbero poi l’effetto di bonificare anche le nostre
società. La rapina in Africa rende potenti interessi criminali
nei nostri territori capaci di finanziare, grazie alla
quantità di maltolto e denaro in nero, l’inquinamento delle
nostre istituzioni e della nostra vicenda politica.

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NICARAGUA:                  LA         TRISTE  E
SANGUINOSA                 FINE        DEL SOGNO
SANDINISTA
Studenti, contadini e operai del Nicaragua hanno indetto per
oggi la “madre di tutte le marce”, dopo che lunedì scorso le
strade di Managua sono state nuovamente imbrattate di sangue
dalle brigate d’assalto del governo di Daniel Ortega e di sua
moglie, la vice presidente Rosario Murillo.
“Non possono ammazzarci tutti”, dice uno dei graffiti su di un
muro vicino alla Central American University , oramai centro
fondamentale della rivolta popolare cominciata settimane fa e
che è stata repressa nel sangue. Lunedì alcuni studenti sono
stati uccisi dalla polizia e da gruppi paramilitari al
servizio del governo e il conto dei manifestanti uccisi
dall’inizio delle proteste oramai è oramai vicino a 100,
mentre non si contano i feriti.
“La strategia letale di repressione contro i manifestanti
combina l’uso eccessivo della forza, le esecuzioni
extragiudiziali, il controllo dei mezzi di comunicazione e
l’uso di milizie paramilitari per stroncare ogni focolaio di
protesta”, riassumono i rappresentanti di più organizzazioni
internazionali dei diritti umani che sono state testimoni
degli eventi.
La rivolta popolare è iniziata quando è entrata in vigore la
riforma del sistema previdenziale nazionale avviata dal Fronte
nazionale sandinista per la liberazione, su consiglio del
Fondo Monetario Internazionale per far fronte alla crisi
finanziaria dell’ente pensionistico del Paese. La riforma
prevede una tassa del 5% sulle pensioni ed un aumento dei
contributi per lavoratori e datori di lavoro.
“ Loro rubano e ingrassano e tocca a noi poveri pagarne le
conseguenze “, questo il ragionamento di massa che ha spinto
la gente in piazza.
il Nicaragua è infatti la nazione con la manodopera meno
pagata del Centroamerica, in cui gli imprenditori stranieri –
dai coreani agli statunitensi – aprono fabbriche nelle zone
franche, libere da dazi doganali, in cui i lavoratori privi di
supporto sindacale vengono trattati come schiavi. E, oramai,
il sogno rivoluzionario sandinista, quello che liberò il paese
da una delle più orribili dittature, quella di Somoza, è solo
un’ombra lontana nel passato. Tanti militanti della vecchia
guardia sandinista sono alla testa delle manifestazioni contro
lo strapotere della famiglia Ortega che ha trasformato il
paese in un feudo familiare.

In un intervento trasmesso dalle tv nazionali, Ortega ha detto
di essere aperto ai negoziati in modo che “non ci sia più
terrore per le famiglie nicaraguensi”, sottolineando però che
il dialogo avverrà solo con i rappresentanti del mondo
imprenditoriale e non con altri settori della società. Ortega
ha inoltre cercato di giustificare il pesante intervento della
polizia affermando che i dimostranti, in gran parte studenti
universitari, vengono manipolati da una “minoranza” di
interessi politici e sono stati infiltrati da gruppi
criminali.
“ Ortega oramai è come Somoza. Anche il dittatore infatti
giustificava le sue repressioni sanguinarie chiamando
criminali quelli che giustamente gli si opponevano ”,
replicano i manifestanti che chiedono elezioni anticipate.
Senza nulla togliere alla giusta protesta in corso e alla sua
spontaneità, va ricordato che il Nicaragua, piccolo e povero
paese, è divenuto un obiettivo delle politiche americane e
dell’amministrazione Trump che qui, come in altri paesi del
Centro e del Sud America, punta a riprendere il totale
controllo di un’area considerata il proprio cortile di casa.
Daniel Ortega, anni fa, ha fatto un accordo con un’importante
società cinese, dietro la quale si nasconde il governo di
Pechino, per la costruzione di un canale tra Atlantico e
Pacifico concorrenziale a quello di Panama. L’opera è stata
contestata da più gruppi ambientalisti per il suo possibile e
enorme impatto ambientale e sociale. Ortega, invece, la vuole
ad ogni costo convinto che il canale porterà ricchezza e
lavoro al proprio paese.
Il canale del Nicaragua è visto dai cinesi come un
investimento strategico. Il Dragone non ha mai fatto mistero
di volersi espandere nella regione. Nel 2015 ha firmato una
serie di accordi con i paesi dell’America latina che
promettono di raddoppiare il commercio bilaterale a 500
miliardi di dollari entro dieci anni e di aumentare il volume
totale degli investimenti da 85 a 250 miliardi. La Cina sta
cercando buone relazioni con i paesi sudamericani per
diversificare le sue fonti di energia, aprire nuovi mercati
alle sue società di infrastrutture e allungare la sua ombra
sull’emisfero occidentale.
La strategia cinese è chiara: sostituirsi agli Stati Uniti nel
sud e centro America. Un ribaltamento della vecchia dottrina
elaborata dal presidente Usa Monroe nel 1823, che considerava
tutto il continente americano come zona esclusiva degli Stati
Uniti. E agli Stati Uniti questo non piace per niente.

Il sogno di giustizia e libertà dei nicaraguensi rischia di
infrangersi sullo scontro in atto   tra i due titani della
scena mondiale.
LIBERIA: GLI SPORCHI AFFARI
DELLA EXXON
Nel 2013, il gigante petrolifero Exxon firmò un accordo da 120
milioni di dollari con il governo liberiano per assicurarsi un
campo petrolifero nonostante sapesse che l’affare era frutto
di uno spaventoso processo di corruzione.
Un rapporto di Global Witness dimostra che Exxon era al
corrente che la società Broadway Consolidated / Peppercoast,
dalla quale stava acquistando il blocco petrolifero, era di
proprietà di ex politici liberiani che si erano appropriati
illegalmente del giacimento. Exxon sapeva che il suo acquisto
avrebbe potuto arricchire questi ex politici. La società
sapeva anche che il blocco di petrolio era stato assegnato a
Broadway Consolidaded dopo il pagamento di tangenti
all’Agenzia petrolifera della Liberia. I funzionari che hanno
ricevuto pagamenti includono i ministri della Giustizia, della
Finanza e delle Miniere della Liberia, ognuno dei quali ha
ricevuto 35.000 dollari, cioè più del doppio dei loro stipendi
annuali.
Nonostante questo, Exxon ha proceduto all’acquisto. Inoltre ha
messo in piedi un piano per coprirsi le spalle utilizzando la
canadese Overseas Petroleum di Calgary come intermediario per
l’acquisto del blocco petrolifero.

Ma questa non è solo una storia su Exxon e Liberia, ma anche
su come Exxon – insieme ad altri nel settore petrolifero – ha
ripetutamente attaccato la legge, anti-corruzione e per la
trasparenza petrolifera degli Stati Uniti, che ci permette di
scoprire gli affari fatti nel settore del petrolio e del gas,
notoriamente corrotto e opaco.
Nel 2010, tre anni prima che l’affare liberiano venisse
denunciato, l’allora amministratore delegato di Exxon, Rex
Tillerson, si era precipitato a Washington, per combattere di
persona la Sezione 1504 del Dodd-Frank Act. Mirava a fare in
modo che questa legge, che richiedeva alle compagnie
petrolifere, del gas e minerarie quotate negli Stati Uniti di
riferire sui pagamenti effettuati ai governi, non potesse mai
vedere la luce del giorno. Nonostante i suoi sforzi di
lobbying, la legge era passata.
Nel 2017, nello stesso giorno in cui Tillerson ha prestato
giuramento come primo Segretario di Stato di Donald Trump,
l’amministrazione e il Congresso di Trump si sono
immediatamente dati da fare per cancellarla.
Senza questa legge non ci sarà trasparenza negli affari
internazionali e, soprattutto, non saremo in grado di fermare
la corruzione che mantiene le persone povere e destabilizza i
loro paesi.
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