PRESENTAZIONE - Passinelcarmelo OCD
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I PRESENTAZIONE La filosofia come scienza rigorosa Laterza 1994 il passo più grande che la nostra epoca deve compiere sta nel riconoscere che all’intuizione filosofica correttamente intesa, all’apprensione fenomenologica d’essenza , si schiude un campo di ricerca infinito ed una scienza, che pur senza il ricorso a tutti quei metodi indiretti di matematizzazione e simbolizzazione, all’apparato di inferenze e dimostrazioni, ottiene tuttavia una grande quantità delle più rigorose conoscenze decisive per ogni fil ulteriore 106 fine Libro III La fenomonologia e i fondamenti della scienza Einaudi per la filosofia, che essa riesca a riconoscere come sia necessario distinguere tra l’eidetica degli stati di coscienza, che è un frammento dell’ontologia razionale della psiche, e l’eidetica della coscienza trascendentalmente depurata (dell’essere dell’Erlebnis), l’autentica fenomenologia pura, che non è né una psicologia razionale né una teoria della natura. Solo una cosa rende legittimo chiamare fenomenologia, come abbiamo fatto, l’eidetica degli stati psichici di coscienza: il fatto – cui già abbiamo alluso – che l’Erlebnis puro, in tutta la sua essenza, penetra nello stato psichico e diventa oggetto di un’appercezione che non lo trasforma, bensì che lo coglie nella sua peculiarità 852 Il titolo prescelto da Teresa Benedetta della Croce per quella che sarebbe stata la sua ultima opera «…che voleva essere la presentazione unitaria della persona e della dottrina di S. Giovanni della Croce…»1, è tanto significativo quanto intrigante: Scienza della Croce. Gli eventi della storia concorrono a crearla, secondo la logica umana, come un’opera d’occasione; in realtà sarebbe divenuta il sigillo apposto, simultaneamente, alla sua vita e al 1 RUFFINENGO P.P., Edith Stein e il problema dell’essere, in «Annali Chieresi», Chieri 1995, pag. 36.
II suo pensiero, infatti vi «…traspare spesso l’esperienza religiosa della stessa Stein»2. Scienza della Croce è realmente un contributo per il IV Centenario della nascita di S. Giovanni della Croce (1542 – 1942), richiesto a Teresa Benedetta dai suoi Superiori: «Grande è la mia gratitudine per essere stata messa in grado di produrre qualche cosa, prima che il mio cervello si arrugginisca del tutto» (settembre 1940) Ella procede con metodo: «Sono attualmente occupata a raccogliere il materiale per una nuova opera. La nostra cara Madre vuole che riprende il lavoro intellettuale, nei limiti compatibili con il nostro stile di vita» (settembre 1940) Teresa Benedetta completa la sua documentazione per procedere con rigore scientifico: «ora sono in possesso dell’opera del Baruzi… un libro che conta più di 700 pagine a caratteri piccoli, fornito di tutto l’apparato scientifico. Leggendo la prefazione della seconda edizione, ho già potuto individuare dove si trovano i punti deboli. È scritto però con grande affetto e simpatia, per cui non lo si può sostituire con nessun altro, se si vuol fare uno studio più approfondito» (21 ottobre 1941) La sua posizione mentale rimane critica ed attenta e ribadisce la sua posizione: «So benissimo che il Baruzi è uno scrittore miscredente. A mio avviso, però, non si può ignorarlo scrivendo sul N. P. Giovanni della Croce» (13 ottobre 1941) Si rivolge anche a quanto, allora, lo stesso Carmelo poteva offrire come migliore documentazione aggiornata: «Mi hanno appena portato il grosso volume di P. Bruno. Ne sono rimasta molto contenta, perché il Baruzi presenta delle spaventevoli lacune e quindi deve necessariamente essere completato» (11 novembre 1941) È ben noto quanto Edith Stein sia assidua nel lavoro, precisa nella documentazione, ponderata in ogni sua affermazione. Questo habitus non si smentisce al Carmelo, si arricchisce anzi di una dimensione nuova: 2 P., Iudicium alterius Theologi Censoris, pag. 97.
III «Il lavoro di cui mi occupo mi fa vivere continuamente immersa nel pensiero di S. Giovanni della Croce. È una grande grazia questa. Oso chiedere a Vostra Reverenza di pregare perché io riesca a fare qualche cosa di bene in occasione del suo Giubileo» (1941) Non intendo nelle pagine che seguono procedere ad una disanima filosofica oppure ad una sintesi critico –storica della fenomenologia e della fenomenologa dott. Edith Stein, intendo solo inquadrare correttamente la sua ultima opera e tentare di comprenderne i due termini chiave: Scienza e Croce. Un filosofo contemporaneo, Carlo Sini, ha centrato pienamente la chiamata di Edith Stein attraverso la fenomenologia verso Cristo: «Vivere la fenomenologia come via per questo incontro fu la genuina e originale vocazione di Edith Stein, la cifra del suo cammino, che essa seppe salvaguardare e difendere, con soave fermezza, anche di fronte all’autorità e grandezza, di cui essa ebbe peraltro piena coscienza, di Maestri come Husserl e Heidegger»3 Edith Stein, secondo l’affermazione della sua grande amica e fenomenologa Hedwig Conrad Martius. «era una fenomenologa nata»4. Che cosa significa fenomenologia? Si tratta di un metodo che inizia con un’operazione preliminare detta epoché, in cui non si nega quanto sospeso ma si cerca d indagarlo in un modo diverso, con la fiducia che si è capaci di coglierne il significato, cioè di intuirne l’essenza. Si esamina ogni “cosa” e anche il mondo interiore, gli atti, le operazioni del soggetto rintracciabili attraverso un atteggiamento di autoriflessione e quindi di evidenziazione di senso. Un famoso allievo di Husserl, della generazione di poco successiva a quella di Edith Stein, Emmanuel Lévinas, spiega chiaramente quanto, lo stesso Maestro, intendesse per fenomenologia: «… è, in fin dei conti, una filosofia della libertà, di una libertà che non caratterizza solo l’attività di un essere, ma che si pone davanti l’essere, e in rapporto alla quale l’essere si costituisce… La coscienza è il modo stesso dell’esistenza del senso»5 3 SINI C. introduzione a VIGONE L., Introduzione al pensiero filosofico di Edith Stein, Città Nuova 1991 II ed. I 1973, pag. 10. 4 STEIN E., Briefe an Hedwig Conrad –Martius, Kösel 1960, pag. 65. 5 LÉVINAS E, En dècouvrant l’existence avec Husserl et Heiddeger, Vrin, Paris 1949- 1988, pag. 49.
IV Husserl nelle vacanze di Natale 1910/1911 aveva progettato ed elaborato un suo scritto, La filosofia come scienza rigorosa, non ancora però pubblicato. Vi possiamo ritrovare una definizione di grande aiuto per introdursi nel pensiero e nell’accezione prescelta da Edith Stein Stein. Husserl scrive: «La scienza è anzitutto un’unità antropologica, cioè un’unità di atti del pensiero, di disposizioni mentali, insieme a certe istituzioni eterne correlative.… perché una scienza sia scienza: in ogni caso non si tratta del nesso psicologico o, in genere reale, nel quale si coordinano gli atti del pensiero, ma un certo nesso obbiettivo o ideale che conferisce un riferimento unitario all’oggetto e, in questa unitarietà, anche una validità ideale»6 Nel corso della riflessione il filosofo spiegava che «Non dalle filosofie, ma dalle cose e dai problemi deve provenire l’impulso alla ricerca. Per sua essenza la filosofia è però scienza dei veri inizi, delle origini, dei rizwmata pantwn La scienza di ciò che è radicale deve essere radicale anche nel suo procedere…»7 Questa è la scienza che aveva costruito la mente di Edith Stein e che ritroviamo alle fondamenta della sua, peculiare, Scienza. Strumento di lavoro è l’epoché che, in questo contesto, limito alla sua funzione in campo spirituale. P. Przywara, il filosofo gesuita che ebbe il merito dell’intuizione di riportare la neo convertita Edith Stein alla ricerca scientifica, offre una spiegazione molto chiara del termine, inquadrandolo in quanto egli denomina, a torto o a ragione ma non è questa la sede della disanima, il «puro essenzialismo» di Edith Stein Stein: «… l’epoché si trasforma da “sospensione” quale è all’origine, in quella “epoché” radicale del “progresso” nel modo in cui l’anima, nella teoria dei gradi di S. Giovanni della Croce, si “apre” al mondo spirituale e religioso di Dio invisibile allo spirito, tanto radicalmente e totalmente che, in questo atto di “aprirsi”, rinunciando allo splendore del mondo sensibile, è trasportata, attraverso una “notte dei sensi” in una “notte dello spirito” e finalmente in una “notte di Dio”, che, conformemente all’aforisma dell’Areopagita, è 6 HUSSERL E., Ricerche logiche, Prolegomeni a una logica pura, Prima ricerca, Seconda ricerca, Il Saggiatore, 1968, pp. 235-236. 7 HUSSERL E., La filosofia come scienza rigorosa, Laterza 1994, pag. 105.
V “espansione di luce” sotto forma di “tempesta- notte”: tenebre (gnophos). Quanto, nel suo maestro Husserl, era solamente un accento ultimo, nascosto, del suo trascendentalismo sistematico, l’epoché come “apertura” al “divino nell’uomo interiore”, diviene, nel “puro essenzialismo” di E. Stein, un autentico colmare questo abisso dell’epoché per mezzo dell’”annientamento carmelitano”: dal “mondo dei sensi” e dal “mondo dello spirito” fino a quella “notte dello spirito” in cui il Divino, in questo autentico trascendentale, è provato come “notte luminosa”, attraverso essa ogni modalità di esperienza, secondo la sostanza degli scritti teoretici di San Giovanni della Croce e di Dionigi l’Areopagita e, conformemente alla “dolce chiarezza” del “puro essenzialismo”, questa esperienza è fatta nella “dolce chiarezza notturna dello spirito” (secondo la terminologia di E. Stein in Scientia Crucis per designare la “realtà ultima”)8 La scienza della Croce appare quindi nella riflessione steiniana come una variante della scienza dei santi: «Una Teologia della Croce è una verità ben conosciuta, ma una Verità vivente, reale ed operante: viene seminata nell’anima come un granello di frumento, getta le radici e cresce; conferisce all’anima un’impronta peculiare e la caratterizza nel suo agire, tanto che ne irraggia e ne è riconoscibile. In questo senso si parla di una scienza dei santi e noi parliamo di Scienza della Croce. Da questa forma e forza vivente scaturisce nel interiore profondissimo anche la concezione della vita, l’immagine di Dio e del mondo che così possono trovare espressione in un’immagine di pensiero, in una teoria» (ivi, intr). Teresa Benedetta pensa e vuole riprodurre nella sua opera «…le idee essenziali di Giovanni della Croce sulla natura della nostra anima –spirito in un linguaggio più conforme alle esigenze del pensiero moderno»9 Pensiero in cui quanto è centrale per la sua vita è assente o sembra esserlo: la Croce. Uno dei due teologi che a Roma il 24 dicembre 1976 firmò il giudizio per la Positio afferma: 8 PRYZWARA E., Edith Stein et Simone Weil, in «Les Etudes philosophiques», (1956) n.3, pag. 468-469. 9 GUILEAD R., De la phenomenologie à la Science de la Croix, Nauwelaerts, 1974, pag. 325.
VI «La Croce di Cristo occupa un posto centrale nell’esperienza religiosa di Edith Stein e 10 conseguentemente nella sua dottrina spirituale» Chiaramente non allude a quella centralità della Croce tipica della fede cristiana professa quanto piuttosto «all’esperienza concreta che ne ha fatto lei e conseguentemente al suo riferirsi esplicitamente e costantemente ad essa, come dato centrale. Ciò non è comune a ogni spiritualità cristiana, ma forma il tratto caratteristico e predominante della fisionomia spirituale della Stein»11 Monaca carmelitana in esilio dalla Germania; ospite del Carmelo di Echt; ebrea perseguitata dal nazismo: sono le tre peculiari caratteristiche esistenziali del lasso di tempo in cui ella compose Scienza della Croce. È indispensabile ricreare questo grembo generativo, mi soffermo perciò sul contesto storico del vivere quotidiano di Teresa Benedetta. Al Carmelo di Echt L’addio alla comunità carmelitana che l’aveva accolta a Colonia il 14 ottobre 1933 fu doloroso per Teresa Benedetta della Croce. Una delle sorelle presenti, nella sua deposizione ai processi di Beatificazione, afferma: «Non poté dire molto, perché era troppo commossa. Suor Ursula, una delle suore più anziane, ringraziò la Serva di Dio per il suo buon esempio. La Serva di Dio ne fu molto confusa» (P I, 3, 24). L’ultima sosta in patria, la Germania di cui fieramente si sapeva e si sentiva viva e legittima cittadina, fu il santuario di Maria vom Frieden (P I, 6, 47), luogo originario del Carmelo di Colonia: «Il parroco Diefenbach scoprì l’immagine, affinché la Serva di Dio potesse vederla bene. Il parroco le offrì ancora un caffè» (P I, 3,19). 10 P., Iudicium alterius Theologi Censoris, pag. 144. 11 P., Iudicium alterius Theologi Censoris, pag. 144.
VII Poi iniziò la fuga nella vettura guidata dal coraggioso medico Paul Strerath, aiutato nell’impresa da don Leo Sudbrack, rettore di Schlebusch. La notte di S. Silvestro presumibilmente avrebbe allentato i controlli e l’ebrea Edith Sara Stein, munita dei documenti previsti, ma pur sempre un’ebrea in fuga, sarebbe riuscita ad attraversare il confine più facilmente. Le meta era Echt. Il Carmelo, fondato da quello di Colonia e composto allora da monache di nazionalità tedesca, era disposto ad accogliere una sorella che si trovava in una situazione critica ed in pericolo di vita. Una volta giunta le fu chiesto: «Ha avuto delle difficoltà? Essa rispose: No, niente di particolare; solo sono stata ispezionata fino alla camicia» (P VIII, 16, 400) Successivamente Teresa Benedetta, temendo di danneggiare il monastero con la sua presenza, chiederà alla Madre priora di allontanarla ma ne ebbe una risposta lapidaria: «Dovunque si stia e dovunque si vada lei rimane con noi» (P IX, 1, 414) La dura realtà storica, la lontananza dalla patria, la preoccupazione per tutto il suo nucleo familiare, il distacco dal Carmelo di Colonia, sembrerebbero colmare la misura di un peso insostenibile. Teresa Benedetta lo porta e lo vive nella dinamica della seconda via che aveva scoperto: «Palesemente ci sono due vie per l’unione con Dio e perciò per la perfezione dell’amore: un faticoso salire in alto per proprio sforzo, certo con l’aiuto della grazia di Dio, e un essere portati in alto, che risparmia molto lavoro proprio, ma la cui preparazione ed attualizzazione esige molto dalla volontà» (ESW, K, pag. 50). L’incalzare della persecuzione agli occhi vigili di Teresa Benedetta non è solo una constatazione storica, acuta e dolorosamente avvertita, è soprattutto un richiamo incessante all’olocausto di sé da lungo tempo percepito. La sua dedizione ormai sfocia nell’amore perfetto e nella Domenica di Passione il 26. 3.1939 scrive alla Madre priora Ottilia Thannisch: «+Cara Madre, per favore, mi consenta Vostra Reverenza, di offrirmi al Cuore di Gesù come vittima di espiazione per la vera pace: che la potenza dell’Anticristo, se possibile, crolli senza che scoppi una nuova guerra mondiale ed un nuovo ordine si possa costruire. Lo vorrei fare oggi perché è la dodicesima ora.
VIII So che sono un nulla, ma Gesù lo vuole, ed Egli certamente in questi giorni chiamerà anche molti altri a fare lo stesso» (SB, 133). Si stava tentando di farla riparare, insieme alla sorella Rosa, in un Carmelo svizzero. In realtà dalla Svizzera ci si muoveva con lentezza, tanto che il visto venne ottenuto infine, il 3 settembre, giorno successivo al suo assassinio, adducendo motivazioni facilmente discutibili: la dr. Stein non era mai stata in Svizzera. Quando invece era ben noto che non solo vi era stata ma vi aveva tenuto delle conferenze. Ella stessa riportò alla memoria, in un intervento di conferenziera, un suo ricordo specifico: «Alcuni mesi fa vidi in Svizzera una chiesa straordinaria: fra due torri del gotico primitivo una facciata barocca, ed ugualmente lo spazio interno, due organismi completamente diversi cresciuti l’uno nell’altro, tanto che difficilmente si poteva pensare come il tutto potesse reggersi» (OS, 20) Maria Bienias discorrendo con Madre Antonia della possibile salvezza di Teresa Benedetta, sottolinea che «avrebbe potuto benissimo scomparire in un convento su una isola della Frisia, ma che rifiutò di farlo perché non voleva sfuggire neanche all’ingiusta persecuzione per vie torte» (P I, 24, 161). Teresa Benedetta rimane ferma sulla sua concezione di giustizia e di verità anche quando mette a repentaglio la sua stessa vita. Quanto va redigendo si incarna; non aveva forse scritto ed era rimasto inciso nel suo animo con un preciso titolo? «Non si può desiderare la liberazione dalla Croce, quando si ha il titolo nobiliare “della Croce”» (SB, 153, 17.11. 1940) Alle difficoltà esterne si sommano anche difficoltà interne. Teresa Benedetta sapeva che in Olanda le monache potevano pronunciare i voti solenni. Ella colse l’occasione della visita del P. Generale per esprimere il suo desiderio, secondo la testimonianza di una consorella: «Attesto che mi sono trovata lì quando ella, alla presenza del P. N. Generale Thomas Petrus, inginocchiata alla porta della cella chiese di poter emettere i voti solenni. Nostro Padre fu qui il 27-7-1939. La cosa rimase in sospeso» (P VIII, 1, 352). Dopo due anni trascorsi nella comunità di Echt Teresa Benedetta ancora non ne è membro effettivo. La sua stabilità non è decisa, vi vive come un’ospite. Una delle consorelle afferma: «Ricordo che la M. Antonia disse una volta a ricreazione che il carattere di Rosa fosse migliore di quello di Suor Benedicta. Fra le suore domina il
IX parere che la M. Antonia sentisse che Suor Benedicta era intellettualmente superiore a lei» (P VIII, 8, 376). Comprenderne le ragioni storiche e psicologiche esula dall’ambito prefisso in questa indagine, basti cogliere la reazione di Teresa Benedetta e collocare, di conseguenza, la famosa asserzione sulla Scientia Crucis nel suo corretto luogo d’origine. Troppo spesso infatti è stata attribuita erroneamente ad un biglietto scritto quando si trovava ormai nelle mani delle SS. Il biglietto è rivolto alla sua priora, Madre Ambrosia Antonia Engelmann, e viene, presumibilmente, datato dai curatori dell’edizione originale delle opere verso la fine del 1941: «Cara Madre, poiché Vostra Reverenza ha letto la lettera di p. Hi12, saprà il suo pensiero. Vorrei nella questione della mia stabilità non fare più nulla ora. La metto nelle mani di V.R. e lascio a V.R. decidere se vuole portare ad una decisione le sorelle, il P. Provinciale o il Vescovo. Io sono contenta di tutto. Una Scientia Crucis si può raggiungere solo quando si sia giunti a sperimentare la Croce a fondo. Fin dal primo momento ne fui certa e dissi con tutto il cuore: Ave Crux, spes unica! Di V. R. la figlia riconoscente Benedicta (BS, 167). Edith Stein non vive con il fiato dello spirito aspro, trova il suo abbandono fidente nell’esperire concreto della Scienza della Croce e nella sua ricerca scientifica su Giovanni della Croce, tutto il resto, e noi ben sappiamo che cosa racchiuda questa sintetica affermazione, è indifferente. Nel giugno 1942 infatti scrive in una lettera: «Da mesi porto sul cuore un bigliettino con la citazione di Matteo 10,23 [Cum autem persequentur vos in civitate ista fugite in aliam]… ma sono tanto immersa nello studio degli scritti del N. S. P. Giovanni, che tutto il resto mi è indifferente» 13 In senso autenticamente ignaziano e teresiano: riconoscendo cioè in tutto la causa prima, quel cammino di purificazione e di amore che rende stretto e rapido il sentiero che sale sulla vetta del Carmelo. Ella aveva scritto nella sua opera maggiore Essere finito ed Essere Eterno: «So che sono sostenuta ed in questo trovo la mia tranquillità e sicurezza – non la sicurezza propria dell’uomo che con le proprie forze si mantiene in piedi – ma la dolce e beata sicurezza del bimbo che viene portato 12 P. Hirschmann, il giovane gesuita che tenne gli esercizi a Echt. 13 TERESIA A MATRE DEI, Edith Stein, Auf der Suche nach Gott, Butzon & Bercker Kevelaer, 1964, pag. 224.
X da braccia robuste. È una sicurezza oggettivamente non meno ragionevole del vivere in continuo timore che la mamma potesse farlo cadere a terra» (EE, pag. 57) Teresa Benedetta non vive in pienezza di saturazione psicologica, di esplosione emotiva, ma in apertura escatologica fiduciosa; sperimenta una sorta di traversata senza scalo né tempesta nell’imperversare delle ondate. Immersa nell’amore kenotico: nel sacrificio e nella beatitudine, facendo il vuoto in sé per lasciare essere l’Altro e gli altri, pregando intensamente; «dalla sua finestra vedeva la lampada del Santissimo e pregava in quella direzione» (P IX, 1, 414). Nella Pentecoste del 1942, in maggio, solo a due mesi dal suo arresto, la tensione spirituale, che sperimenta tutte le tenebre storiche e tutte le ristrettezze ambientali, esploderà in un’atmosfera di luce: Chi sei, dolce luce, che m’inondi e rischiari la notte del mio cuore? Tu mi guidi qual mano di una mamma, ma se mi lasci non più d’un passo solo avanzerei. Tu sei lo spazio che l’essere mio circonda e in cui si cela. Se m’abbandoni cado nell’abisso del nulla, donde all’essere mi chiamasti. Tu a me vicino più di me stessa, più intimo dell’intimo mio. Eppur nessun ti tocca o ti comprende e d’ogni nome infrangi le catene: SPIRITO SANTO ETERNO AMORE! Il laccio intanto si stringeva intorno ai suoi familiari, già provati dalla dura separazione della vicenda della profuganza: «Il 28 luglio 1942, il fratello di suor Benedetta, Paolo, è deportato con sua moglie e sua figlia, e la loro sorella Frieda, a Theresienstadt. Non si rivedranno mai più»14. Paolo le aveva scritto una volta, testimonia una carmelitana, «“perché i buoni debbono tanto soffrire?’”. Gli 14 BÖHM W., Édith Stein, à la lumière du Ressuscité, Médiaspaul, 1985, pag. 103.
XI rispose, come poi mi riferì: “Non lo so neanch’io. Ma tutto coopera al bene di coloro che amano Dio» (P IX, 1, 420). Il 2 luglio la notizia giunse a Teresa Benedetta della Croce. Nello stesso periodo, dopo il 16 luglio, Anna Frank con tutti i suoi familiari raggiungeva il rifugio segreto. Teresa Benedetta, nella sua cella monastica, si concentra sul suo lavoro e, senza soluzione di continuità, sull’accettazione della Croce che si sta profilando sempre più chiaramente: «…prima che ella sia ridotta alla schiavitù dei campi di concentramento,… lascia che la “dolce chiarezza notturna” che istruisce lo spirito si introduca nell’immagine della dubbiosa notte di asservimento evocata dai sacri testi della “notte”, e questo in tutta la sua vita nell’ordine religioso, secondo la descrizione realista di un’audacia totale che, come nessun biografo del Santo aveva fatto prima di lei, occupa il capitolo conclusivo della sua Scientia Crucis»15. Due illustri studiosi, l’uno ebreo, Petuchowski, e l’altro cristiano, Thoma, sintetizzano la notte storico –cosmica che invase l’«ebrea, filosofa, convertita e carmelitana Edith Stein, che malgrado il fortissimo impegno ecclesiastico non sfuggì la gassazione ad Auschwitz»16. La priora Madre Ambrosia, tre settimane dopo l’arresto, scrive: «…eravamo proprio nel nostro giorno di ritiro mensile. Suor Benedetta (Edith Stein) è rimasta quasi ininterrottamente inginocchiata davanti al tabernacolo. Il suo ultimo servizio d’amore fu l’andare a riempire di acqua santa le acquasantiere nei luoghi comuni. Venne anche nella nostra cella e mi parlò di colei che sarebbe succeduta a Rosa (come portinaia). Fu il nostro ultimo colloquio»17. Nel pomeriggio fu arrestata dalla Gestapo ed iniziò l’ultima tappa che, ad Auschwitz, avrebbe incarnato definitivamente la Scienza della Croce. Il lessico di Scienza della Croce Chi leggerà questo testo troverà alcuni termini ricorrenti. Globalmente rimando al Glossario posto in appendice. Bisogna battere un duplice sentiero quello antropologico - umano e quello religioso. Perché Teresa Benedetta ha avuto il grande dono e la rara perspicacia di esplicitare che esiste «una chiamata all’interiorità che è comune vocazione dell’uomo. L’interiorità spirituale –religiosa la continua: è nel proprio centro che l’anima finirà per scoprire, dopo acuta purificazione, la presenza di Dio»18. 15 PRYZWARA E., op. cit., pag. 470. 16 PETUCHOWSKI J.J. - THOMA C., Lexikon der jüdisch – christlichen Begegnung, Herder -Freiburg, 1997, pag. 82. 17 HERBSTRITH W., Kölner und Echter Karmel zur Zeit der Judenverfolgung, in Edith Stein Jahrbuch, Das Judentum, 1997, pag. 409. 18 P., Iudicium alterius Theologi Censoris, pag. 138.
XII È necessario perciò ricorrere alla stessa Edith Stein ed a qualche autorevole studioso per afferrare il senso preciso di termini quali immagine e simbolo che, nel corso della traduzione, sono rimasti nel limite del possibile ancorati ad un solo preciso vocabolo tedesco. Quanto aveva scritto la stessa Teresa Benedetta nel suo articolo Le vie della conoscenza di Dio ci consente di penetrare più profondamente nel suo pensiero: «Il “teologo” impara a conoscere Dio dall’immagine. In questo caso, l’immagine non è un’immagine prodotta, ma un’immagine prodotta di Dio. Egli si è delineato nella sua immagine -formata e attraverso essa si fa conoscere. Il fatto che Egli non sia già conosciuto prima, e perciò non sia “riconosciuto”, non toglie nulla al concetto di immagine quale copia. Infatti con un buon ritratto si può conoscere uno sconosciuto, non solo riconoscervi un conosciuto. E si può riconoscere un buon ritratto quando è un ritratto e un buon ritratto. Anche se non è di chiunque, ma solo chi ne ha il “senso” ed un occhio educato, tuttavia esiste una reale possibilità. Mi pare perciò che realizzi in modo particolarissimo quanto oggi intendiamo con “simbolo”, in cui una figura visibile è intesa come “immagine -senso” e l’immagine ci schiuda un senso fino ad ora sconosciuto» (K, pag. 87). Sulla scorta di Edith Stein stessa sono giunta ad alcune opzioni che indico per agevolare la lettura di alcuni passi molto densi: Symbol simbolo Bild immagine Sinnbild immagine simbolica Wahrzeichen segno reale Zeichen segno Ho preferito conservare il termine «costruzione», Aufbau, perché lo ritengo più pregnante e più attivo, quando sia riferito all’anima, mentre gli altri termini seguono lo schema che indico: Innere l’interiore Innerstes il più profondo interiore tiefstes Inneer interiore profondissimo innerster Grund Il sedimento profondissimo tiefster Grund il sedimento più profondo innerstes Wesen la sostanza più interiore
XIII Alcune piste per la lettura Alcune evidenziazioni possono risultare utili per la lettura, senza per questo volere costringere nessuno in uno schema rigido. Emergono dal pensiero di Teresa Benedetta alcune sfumature, prese nette di posizione, riflessioni che devono essere percepite nella loro originalità e nella loro chiarezza: - Davanti al mistero della libertà umana Dio stesso retrocede. Egli vuole prendere possesso solo dell’anima che si dona a Lui spontaneamente: «Bisogna che essa doni liberamente la propria volontà alla Sua per poter così condurla all’unione beata» (K 144). Guilead afferma: «Per Edith Stein, questa frase riassume il vangelo che tutti gli scritti di Giovanni della Croce annunciano»19; - Teresa Benedetta difende la differenza fra la terza forma d’unione e le due prime, non soltanto quantitativamente ma qualitativamente. Maritain, il filosofo che ella apprezzava e che conobbe a Juvisy nel 1932, aveva asserito: «Fra il matrimonio spirituale e gli stati precedenti c’è una sorta di eterogeneità; San Giovanni della Croce, come Santa Teresa marca molto fortemente questa differenza di natura»20. - Ella scrive «per la Sua passione e la Sua Croce, alla gloria della Risurrezione» (ivi, 165). L’oggetto particolare della contemplazione, la storia della passione di Cristo, è il suo carattere contraddittorio perché è insieme morte e risurrezione. «Questa ultima scoperta è decisiva per la comprensione dell’opera intera di San Giovanni della Croce. Non è peregrino che Edith Stein chiami la dottrina del Dottore del Carmelo Scienza della Croce. E non è neppure un caso che questa dottrina si suddivida in due parti»21. - la concezione della mistica esprime la «… fenomenologia steiniana dell’anima, sparsa nei voluminosi suoi trattati teorico –sistematici come negli scritti di fenomenologia del misticismo, Il castello dell’anima o Scientia Crucis. La si può leggere, questa fenomenologia dell’anima, come una fenomenologia dell’essere vivo, espressione con la quale intendo la partecipazione maggiore o minore ad 19 GUILEAD R., op. cit., pag. 326. 20 MARITAIN J., Distinguer pour unir, Paris, Desclée De Brouwer, 1932, pag. 140. 21 GUILEAD R., op. cit., pag. 334.
XIV una modalità d’essere che ha questi caratteri eidetici: “spontaneità” e “concentrazione”»22. - -l’esperire personale traspare evidente. Indico solo alcuni punti: La contemplazione acquisita: «Qualche cosa di simile è anche il rapporto di un’anima con Dio, dopo un lungo esercizio nella vita spirituale. Non ha più bisogno di meditare per conoscere Dio e per imparare ad amarLo. Il cammino lo ha già percorso, riposa alla meta. Nel momento in cui si dà all’orazione, essa è presso Dio e permane in amoroso abbandono alla Sua presenza. Il suo silenzio Gli è più gradito di molte parole. È quanto, oggi, si denomina contemplazione acquisita. (Giovanni della Croce non usa questa denominazione, ma ne conosce perfettamente la realtà!). È il frutto della propria attività, veramente stimolata e sostenuta dall’aiuto di molte grazie. È una grazia quando ci raggiunge il messaggio della fede, la verità rivelata da Dio. È una grazia che ci dona la forza di accoglierlo - anche se dobbiamo portarlo a termine con una libera decisione – e perciò diventare credenti» (ivi, p.). un essere toccati «Non è un mero accettare il messaggio della fede ascoltato, non un mero rivolgersi a Dio, che si conosce solo per sentito dire, ma un essere toccati interiormente ed uno sperimentare Dio, che dà la forza di liberarci da tutte le cose e di elevarci, ed insieme di immergerci, in un amore che non conosce il suo oggetto» (ivi, pag. ) [p. 107]; incontro a quattro occhi: «Chi per principio cerca il retto, cioè chi è deciso di compierlo sempre e soprattutto, questi ha deciso su di sé ed inserito la propria volontà in quella di Dio, anche se non gli è ancora chiaro che il giusto coincide con quanto Dio vuole. Quando però non gli è chiaro, gli manca il cammino sicuro per trovare il retto; si è appoggiato su se stesso come se già si padroneggiasse, anche se non è giunto alle ultime profondità del suo interiore. 22 DE MONTICELLI R., L’ascesi filosofica, Feltrinelli, 1995, pag. 190.
XV L’ultima decisione sarà possibile solo con gli occhi negli occhi di Dio» (ivi) [p. 148]; la conversione: «Egli può, con la sua onnipotenza, in ogni istante, fare quanto vuole. Egli può lasciare la loro individualità nel normale corso degli eventi. Può anche intervenire in misura straordinaria. In questo modo Dio abita anche in ogni anima umana. Egli le conosce fin dall’eternità con tutti i misteri del loro essere e con ogni fase della loro vita. Essa è in suo potere; sta a Lui abbandonare lei stessa e il corso del mondo o volere intervenire nel suo destino con mano potente. Un simile prodigio della sua Onnipotenza è la rinascita di un’anima per la grazia santificante (ivi ) Perciò la ricezione della grazia non è possibile senza una libera accettazione. Essa compie (Spirito e fede, 59)[p. 149]; «È insito nella sua stessa essenza che l’inabitazione per grazia non sia possibile in esseri impersonali, cioè infra –umani. Comporta un’irruzione continua dell’essere divino e della vita nell’anima benedetta. Questo Essere però è vita personale e può irrompere solo là dove Gli venga personalmente aperto» (Ib.); vari modi della presenza di Dio [ivi, pag. ]; l’infiammarsi d’amore: « Allora quest’infiammazione e questo desiderio di amore ora sono mossi dallo Spirito santo e sono ben diversi da quanto detto nella notte dei sensi». Si sperimentano nello spirito, anche se i sensi vi partecipano. Perciò, quanto si sente e di quanto si avverte la mancanza, viene percepito in modo tale che, tutta la pena del senso, al confronto, è nulla, anche se è ben più ampia di quella prima notte dei sensi» (ivi,, pag.) [p. 120]; sperimentare l’essere afferrati: « Dio è l’amore. Perciò il venire afferrati da Dio è un venire incendiati nell’amore, quando lo spirito vi è preparato» (ivi, pag.)[p. 164]; Vi è espressa la descrizione di fede più completa23: «La fede vivente è un solida 23 P., Iudicium alterius Theologi Censoris, pag. 132.
XVI certezza che Dio è, ritenere–vero–tutto quanto Dio ha rivelato, e una prontezza amante a lasciarsi condurre dalla volontà divina. In quanto conoscenza infusa, soprannaturale di Dio, è «un inizio della vita eterna in noi» (ivi, pag.) [151]; In questa sua ultima opera, incompiuta nel senso che non è stata riveduta globalmente, il teocentrismo filosofico di Teresa Benedetta si organizza intorno a Cristo, ella procede dal Logos al Verbo incarnato. È l’incarnarsi della sua Croce nella notte della storia con una consapevolezza gioiosa, perché ella aveva scritto: «Croce e Notte sono la via per la luce celeste: questo è il lieto messaggio della Croce» (ivi pag. ); [K, 25]. CRISTIANA DOBNER CARMELITANA Concenedo di Barzio 2 febbraio 2001 anniversario della Confermazione di Edith Stein
XVII Vita da rana o vita da Aquila? Riflessioni sul simbolo della Croce all’interno del pensiero di Edith Stein O zia Edith, ti conosciamo a stento Chi sei in realtà? Un insieme di teologia e di fenomenologia? Di antenati ebrei e di freddi ecclesiastici? Una discepola di dei stranieri? Che cosa ti ha condotto ad adorare l’ebreo sulla Croce? 24. Di questi giorni appare a stampa un saggio, documentato e lineare, di Piermario Ferrari che indaga la Philosophia Crucis25, cioè la Croce così come è interpretata dalla filosofia, e la sua rilevanza speculativa, fin oltre il moderno. Nel pensiero di M. Heidegger viene riconosciuto il punto di svolta, quel «croce – via» dell’Occidente che segna il pensiero e la riflessione contemporanea. Con un gesto simbolico il filosofo «propone di scrivere la parola “essere” sotto il segno di una cancellatura a forma di croce (kreuzweise Durchstreichung). La croce, però, non era intesa né come segno negativo, né in quanto segno tout court; essa doveva piuttosto richiamare il Geviert, cioé la quadratura in quanto “gioco del mondo” raccolto nel suo luogo (Ort), all’incrocio della croce. Il luogo, per Heidegger, è sempre luogo di raccolta (Versammulung). Nel gioco del mondo, così richiamato dalla cancellatura dell’”essere”, Heidegger ravvisa il divenir-mondo del mondo, das Welten von Welt, il mondo che è in quanto mondeggia (Die Welt ist, idem sie welt)26 Edith Stein27, un caso «esemplare»28 nella storia, fu interlocutrice attenta e precisa del «piccolo Heidegger» (BRI 36), critica sicura e trasparente di quella opera, Sein und Zeit, che ella sottopone ad una disanima rigorosa. L’assistente di Honecker, Max Müller29, ne riporta la sua opinione: «È un’opera grandiosa ma a me molto estranea». Lasciando ad un altro intervento la presentazione dell’accattivante saggio di Ferrari, propongo di sostare su Edith Stein stessa, la cui forza di scrittura filosofica è 24 BATZDORFF – BIBERSTEIN S., Ricordo di mia zia Edith Stein, in HERBSTRITH W., Edith Stein. Vita e testimonianze, Città Nuova 1987, p. 76. 25 FERRARI P., Philosophia Crucis, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2002. 26 DERRIDA J., Dello spirito, Heidegger e la questione, Feltrinelli, Milano, 1989, 57 –58. 27 Nel presente contributo mi servirò della legenda seguente all’interno dell’opera omnia: Edith Stein Werke, edite a cura di Lucy Gelber e P. Romaeus Leuven e in seguito da Lucy Gelber e p. Michael Linssen, Herder, Freiburg-Basel- Wien; K: Kreuzeswissenschaft. Studie über Johannes a Cruce, ESW 1954, Band I; «Scientia Crucis». Studio su S. Giovanni della Croce, Edizioni OCD, Roma 1996 (le citazioni sono tradotte dal testo originale, l’indicazione della pagina è relativa all’edizione italiana); LJF: Aus dem Leben einer Jüdischen Familie, ESW 1965, BAND VII; Storia di una famiglia ebrea. Lineamenti autobiografici: l’infanzia e gli anni giovanili, Città Nuova, Roma, 1992; GA, Verborgenes Leben. Hagiographische Essays, Meditationen, geistliche Texte, ESW 1987, Band X; GL: Ganzheitliches Leben, Schriften zur Religiösen Bildung, ESW 1990, Band XII; La vita come totalità.Scritti sull’educazione religiosa, Città Nuova, Roma, 1994; SB: Selbstbildnis in Briefen. Erster Teil (1916-1933), ESW 1998, Band VIII; Zweiter Teil (1934 – 1942), ESW 1977, Band IX; VLE, Verborgenes Leben und Epiphanie, ESW 1987, Band XI, pp. 144-147; TR, POSSELT T. R., Edith Stein, Lebensbild einer Philosophin und Karmelitin, Glock u. Lutz, Nürberg, 1952; Edith Stein, Morcelliana, 1952; P: Positio super causae introductione, Roma 1983. 28 PELLETIER A. –M., Le Christianisme et les femmes, Du Cerf, Paris, 2001, 181. 29 MÜLLER M., Meine Erinnerungen an Edith Stein in HERBSTRITH W., Erinnere dich-vergiss es nicht, Edith Stein-christlich-jüdische Perpspektiven, Plöger Verlag, Annweiler, Essen, 1990, 205-6.
XVIII peculiare e si staglia nel panorama speculativo europeo, coestensivo alla sua vita e ben oltre, precisamente nel nostro oggi. La ragione risiede nel luogo in cui si esercita, al massimo grado, la sua scrittura genetica e nella sua metodologia che propone una tipica architettura intelligibile. Quale quindi il luogo? Quale l’architettura intelligibile? A questi quesiti, centrali per la loro rilevanza speculativa, tenterò non di dare risposta -sono sempre tematiche da tenere aperte e da sottoporre a continue letture e riletture gravide della certezza della falsificabilità-, quanto di impostare un cammino di riflessione. Il luogo è la Croce e l’architettura intelligibile è la Scientia Crucis. La Croce, cardine del suo pensiero e della sua vita, espresso soprattutto nel suo scritto, ultimo ma completato come dimostra Ulrich Dobhan OCD, con cui ho potuto confrontare le mie opinioni e dal cui testo critico, di prossima pubblicazione per i tipi Herder, ricavo ogni mia citazione tradotta in italiano. Il testo e la stessa indagine della Stein non trascorrono però a personali esperienze, presentando così una contaminatio fra ragione e fede, ma si presentano come un unicum in cui ragione e fede non sottostanno al duplex ordo cognitionis ma si aprono ad una postura inedita, per il cui esame rimando ad una mia ampia trattazione in merito30. Se «la ragione è per sua natura orientata alla verità ed è inoltre in se stessa fornita dei mezzi necessari per raggiungerla»(Fides et Ratio n. 49), il duplex ordo cognitionis si presenta come il quadro concettuale dell’epoca31 mentre la fenomenologia consente di superare la dicotomia e di impostare in modalità diversa il nesso ragione/fede: «Il pensiero del fondatore della fenomenologia, più di quello dei suoi continuatori, è portatore di un’intuizione, la quale comporterebbe una revisione dei principi stessi della fenomenologia. Si tratta della scoperta, in ordine alla definizione dello statuto dell’evidenza originaria della coscienza, dell’impossibilità di separare la questione del senso dalla sua genesi. La genesi è costitutiva del senso, poiché la fatticità non è solo la condizione esterna dell’atto della coscienza ma la sua matrice. Il termine “fatticità”, più noto attraverso la ripresa che ne ha fatto Heidegger, designa in Husserl più univocamente la dimensione passiva della coscienza che ne anticipa l’attuazione poiché ne prefigura le possibilità. Perciò essa ha un rapporto essenziale con la questione della verità nella sua differenza e inseparabilità dalla questione del senso. La verità è l’istanza referenziale che assicura l’unità del processo del senso, poiché ne anticipa il telos irraggiungibile sul piano orizzontale del senso»32. Si apre così una nuova prospettiva gravida di importanza per il pensiero filosofico e per la fede riflessa: «Per poter integrare la genesi nel pensiero dell’originario, si deve pensare la fatticità come condizione della forma di libertà della coscienza, in accezione moderna, quale complesso delle forme nelle quali si realizza la presenza a sé del soggetto, come luogo interiore. Questa prospettiva istituisce lo spazio della teologia. La genesi è costitutiva del senso, poiché la verità non si manifesta alla 30 31 SEQUERI P., Il Dio affidabile, saggio di teologia fondamentale, Queriniana, Brescia, 1996, 64. 32 BERTULETTI A., Il significato di una formula inconsueta, «Teologia» 3, sett. (1998), 244.
XIX coscienza se non facendo della sua libera appropriazione la forma stessa della sua manifestazione. L’accesso alla forma teologica della trascendenza coincide con l’accesso del soggetto alla propria ipseità e alla consapevolezza dell’implicazione della verità nella sua attuazione. La forma originaria della coscienza è la fede, poiché non si dà riconoscimento della verità se non nel consenso - affidamento del soggetto che la “realizza” come verità della propria esistenza effettiva»33. La Croce, simbolo del tempo e dello spazio dell’alleanza, fa da impuntura in opposizione con il nazismo, segno del tempo e dello spazio dell’Anticristo, nell’arco della storia tragica donato a Edith Stein, a quella donna di cui una suora amica pensava: «”Ecco la figura del santo moderno”. Questa era la mia convinzione prima ancora che ella entrasse in convento» (P I, 32, 192). La Domenica di Passione, 26. 3.1939, Teresa Benedetta della Croce ormai nel monastero di Echt, scrive alla Madre priora Ottilia Thannisch: «+Cara Madre, per favore, mi consenta Vostra Reverenza, di offrirmi al Cuore di Gesù come vittima di espiazione per la vera pace: che la potenza dell’Anticristo, se possibile, crolli senza che scoppi una nuova guerra mondiale ed un nuovo ordine si possa costruire. Lo vorrei fare oggi perché è la dodicesima ora. So che sono un nulla, ma Gesù lo vuole, ed Egli certamente in questi giorni chiamerà anche molti altri a fare lo stesso» (SB, 133). È possibile scrutare in statu nascendi, nella mens phoenomelogica della giovane studiosa, l’irruzione della Croce, il divenirne la Grundwort nel suo pensiero e nella sua vita, e quindi incidere in modo radicalmente genetico una figura di donna, di pensatrice e di santa. Appare allora tutta la sapienza del Creatore che l’ha condotta in una vita a «zig – zag»(LJF, 356 –357) alla deiscenza completa, all’apertura cioè del frutto ormai maturo, inserito nel luogo di ricorrenza storica. Pauline Reinach, la sorella del fenomenologo A. Reinach, che la conobbe in questo periodo, ricorda che ella cercava la verità nella filosofia, e si occupava di questioni riguardanti la fede»(P XXI, 1, 4, 437). Nei terribili anni del conflitto mondiale A. Reinach fu ucciso, «Edith era molto amica sua e di sua moglie. Non aveva il coraggio di andare a casa sua, perché pensava che la moglie fosse disperata. Tuttavia ci andò e fu assai meravigliata nel vedere quanto fosse rassegnata - era una convertita al Cristianesimo - Edith pensò che fosse la religione della signora a darle questa rassegnazione. Pensò che fosse un effetto della fede cristiana» (P NY, 1, 216). La stessa Pauline Reinach, divenuta monaca benedettina in Belgio, nei Processi di beatificazione consegna una deposizione inequivocabile: «Potei constatare come la Serva di Dio fu sconvolta nel vedere mia cognata accettare la morte del marito con tanta forza e abbandono. Allora ella vide quanto il cristianesimo era grande e divino, Allora, mia cognata era ancora protestante» (P XII, 1, 438). 33 Ib.
XX La tanto discussa prima biografa Renata Teresa Posselt34, peraltro maestra della novizia Teresa Benedetta della Croce e successivamente sua priora, indulge raccontando lo stesso episodio ad un romanticismo alieno al temperamento di Edith Stein, ma offre uno spaccato di fondo che, di per sé, si attaglia alla vicenda spirituale della giovane donna che cercava Dio: «Per la prima volta incontrai la Croce e quella forza divina che essa comunica a coloro che la portano. Per la prima volta vidi la Chiesa nata dalla Passione redentrice del Cristo, vittoriosa sulla morte. In quel momento crollò la mia incredulità, l’ebraismo svanì, mentre nasceva in me la luce di Cristo, il Cristo colto nel mistero della Croce» (TR 104). Si dimostra per ciò stesso come una parola, in questo caso la Croce, non entri nel suo e nostro vocabolario solo perché è appresa, ma perché si è venuta ad incontrare in occasione di un’esperienza vissuta. L’amica di Edith Stein Gertrud von Le Fort, così affine a lei per nobiltà di sentire, affermò: «Ella si convertì al cristianesimo per convinzione intima, Per quel che so, l’ingresso al Carmelo seguì perché “voleva compiere qualcosa di totale”. Mi è apparsa sempre una creatura molto nobile» (P XVII, 1, 456). Alle monache che sondavano la motivazione della sua decisione di entrare nel Carmelo, la fenomenologa rispose senza mezzi termini: «Le attività umane non possono aiutarci, può farlo solo la sofferenza di Cristo. Perciò averne parte è il mio desiderio»35. E si trattava, come asserisce l’amica di Edith Rose Bluhm, di una persona con cui ogni problema veniva setacciato ed esaminato fino a quando la verità non affiorava, di una ragazza femminista ante litteram, cui alla fine del liceo furono dedicati alcuni versi: Tra donna e uomo uguaglianza: lo sostiene la nostra suffragetta che un giorno vedremo eletta buon ministro. Questa donna, stimata ed autorevole, grande pensatrice e educatrice raffinata, continuò ad essere interpellata dalla Croce nella sua storia spirituale, quando ormai il nazismo acquistava sempre più potere in Germania: «Sotto la croce compresi il destino del popolo di Dio, che già allora iniziava a profilarsi. Pensai: chi comprende che questo è la croce di Cristo, deve prenderla su di sé in nome di tutti. Certamente oggi so più di allora che cosa significa essere sposata con il Signore nel segno della Croce. Veramente non lo si afferrerà mai, perché è un mistero» (SB 124). 34 Edith Stein, Lebensbild einer Philosophin und Karmelitin, Glock u. Lutz, Nürberg, 1952; Edith Stein, Morcelliana, 1952. 35 LEUVEN R., Heil in Unheil, Das Leben Edith Steins: Reife und Vollendung, ESW Band X, Herder 1983, 191.
XXI Nel segno della Croce Edith Stein appartiene pienamente alla storia del suo secolo perché si lasciò inchiodare «alla Croce con i tre chiodi dei voti» (VL 134). La complessità del tema è tale da dover procedere per passi successivi, interconnessi ma, metodologicamente, separati, sorretti però da una certezza espressa con vigore e nitore da C. M. Martini: «Dio crea ogni cosa in vista di Gesù Cristo, e ognuno di noi per essere figlio in Lui. Il massimo della paternità e della figliolanza sono espresse dalla croce. È solo a partire dalla croce che tutto si fa più umano, accessibile, attraente, perché traspare la paternità di Dio e noi ci sentiamo figli e amati»36. Gesù nella sua vita terrena vive con un richiamo che si può racchiude nella particella greca dei, - Il Gesù dodicenne di Lc 2,49 afferma: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» - Del Gesù predicatore itinerante e annunciatore della Buona notizia che ormai agisce, si narra in Lc 13, 14: «Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, rivolgendosi alla folla e disse: “Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli venite a farvi curare e non in giorno di sabato”. - In Gv 9, 4 Gesù afferma: «Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare». - Fino al dei della passione Mt 16, 21: «Da allora Gesù cominciò a dire chiaramente ai suoi discepoli che egli doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, sommi sacerdoti e scribi; inoltre che doveva essere messo a morte, ma che al terzo giorno sarebbe risorto». Nell’accettazione del dei, afferma H. U. von Balthasar, Gesù «manifesta la sua suprema libera determinazione determinata libertà a non voler vivere per altra cosa che non sia la sua missione»37. Questo il filo che conduce la mia riflessione stimolata anche da un’asserzione di L. Lombardi Vallauri che, pur pregna di analisi critica, non coglie nel segno il rapporto di Gesù con il Padre e gli uomini e la Sua adesione alla Croce: «Violenta è la sua morte non nel senso banale per cui essa si trova all’intersezione “diabolica” delle due violenze politica (il potere imperiale romano) e la religiosa (il monoteismo ebraico, la sua mortale intolleranza dell’eretico), ma nel senso non banale per cui essa sarebbe stata cercata da Gesù stesso in angosciosa obbedienza a un Padre divino offeso che l’avrebbe esigita come prezzo per rinunciare a una vendetta spaventosa estesa a tutti gli uomini. Mi rendo conto che questa non è la sola possibile Deutung del 36 MARTINI C. .M., Nel cuore della Chiesa e del mondo, Dialogo con Antonio Balletto e Bruno Musso, Marietti, Genova, 1991, 57. 37 VON BALTHASAR H. U., Teodrammatica, Le persone del dramma. L’uomo in Cristo, vol III, Jaca Book, Milano, 1980, 211.
XXII sacrificio del calvario; mi sembra però di poter dire che è fortemente suggerita, in ogni caso pienamente consentita, dai testi e la più autorevole nei secoli: Gesù come l’agnus pasquale di Dio e il prezzo pagato per la red–emptio degli uomini destinati altrimenti alla perdizione eterna. L’immagine del crocifisso, ubiquitaria (dalle aule scolastiche o giudiziarie o carcerarie ai crocevia alle viae crucis sui monti) nell’Europa dei secoli cristiani, evoca, memento ininterrotto, quello che sarebbe stato il destino dell’umanità senza l’intervento del salvator: esposta alla giustizia di un Dio colpevolizzante, selvaggio di furore (dies irae) e di amore»38. Nella prospettiva invece della Parola come Verità è possibile riconoscere il dono creativo e redentivo che Dio fa di sé all’umanità. Tutta la creazione che guarda a Cristo e alla totalità della salvezza non è altro che dono di Dio e un dono che Dio fa di sé. L’intelligibilità dei tempi e delle realizzazioni è affidata ad uno sguardo rivolto a «quella realizzazione perfetta che è il Cristo crocifisso e risorto»39. L’ottica con cui guardare e contemplare Gesù in Croce possiede una realtà di dono incommensurabile: «La croce non è dunque il luogo del rantolo che finalmente viene lanciato a Dio per rispondere alla sua esigenza di soddisfazione: bisogna che il cristianesimo smetta di lasciarsi stravolgere in questo modo dalla religione. La croce è il luogo della parola che costituisce il culmine e la pienezza della pratica della verità:”padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”»40. I codici specifici Ogni civiltà ha i suoi codici specifici: siano essi elaborati o spontanei e immediati. Balza all’occhio dell’osservatore - anche se non dotato di una preparazione specifica - che il simbolo ha sempre intrigato le menti dei pensatori, l’immaginazione dei poeti, lo slancio degli artisti in tutte le tre dimensioni presenti «cosmica, onirica, poetica»41. Tuttavia «il pensiero simbolico non è di dominio esclusivo del bambino, del poeta o dello squilibrato; esso precede il linguaggio e il ragionamento discorsivo, e rivela determinati aspetti della realtà – gli aspetti più profondi- che sfuggono a qualsiasi altro mezzo di conoscenza»42. Eppure il simbolo si è sempre trovato o ritrovato in posizione conflittuale, forse perché veniva collegato - impropriamente - alla tematica del mito, uso mito con M. Eliade cioè quale racconto di eventi fondatori sopraggiunti in illo tempore, e che P. Ricoeur chiama un racconto delle origini. Un antico detto recita infatti «aut logos aut mythos». L’esclusione di uno dei due termini sembrava essenziale alla conduzione di un indagine seria. Già Aristotele infatti parla di «elucubrazioni mitologiche»43. Il logos perciò si apparenta al discorso rigoroso e univoco, considerato quale ambito di comunicazione della verità, il mythos invece al dire simbolico, mitico, incapace di dischiudere l’accesso alla verità. 38 LOMBARDI VALLAURI L., Nera luce, Saggio su cattolicesimo e apofatismo, Le Lettere, Firenze, 2001, 143. 39 MARTINI C. .M., Nel cuore della …, o. c., 21. 40 VARONE F., Se pensi che Dio ami la sofferenza, EDB 1995, 87. 41 RICOEUR P., Finitudine e colpa, Il Mulino, Bologna, 1970, 255. 42 MIRCEA E., Immagini e simboli. Saggi sul simbolismo magico religioso, Jaca Book, Milano, 1981, 16. 43 ARISTOTELE, Metafisica, B4, traduzione a cura di G. Reale, L. Loffredo, Napoli, 1978.
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