PRESENTAZIONE - Passinelcarmelo OCD

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I

                      PRESENTAZIONE
                   La filosofia come scienza rigorosa
                   Laterza 1994

                   il passo più grande che la nostra epoca deve compiere sta nel riconoscere
                   che all’intuizione filosofica correttamente intesa, all’apprensione
                   fenomenologica d’essenza , si schiude un campo di ricerca infinito ed
                   una scienza, che pur senza il ricorso a tutti quei metodi indiretti di
                   matematizzazione e simbolizzazione, all’apparato di inferenze e
                   dimostrazioni, ottiene tuttavia una grande quantità delle più rigorose
                   conoscenze decisive per ogni fil ulteriore

                   106 fine

                   Libro III
                   La fenomonologia e i fondamenti della scienza
         Einaudi

                   per la filosofia, che essa riesca a riconoscere come sia necessario
                   distinguere tra l’eidetica degli stati di coscienza, che è un frammento
                   dell’ontologia razionale della psiche, e l’eidetica della coscienza
                   trascendentalmente depurata (dell’essere dell’Erlebnis), l’autentica
                   fenomenologia pura, che non è né una psicologia razionale né una teoria
                   della natura. Solo una cosa rende legittimo chiamare fenomenologia,
                   come abbiamo fatto, l’eidetica degli stati psichici di coscienza: il fatto –
                   cui già abbiamo alluso – che l’Erlebnis puro, in tutta la sua essenza,
                   penetra nello stato psichico e diventa oggetto di un’appercezione che non
                   lo trasforma, bensì che lo coglie nella sua peculiarità

                   852

          Il titolo prescelto da Teresa Benedetta della Croce per
      quella che sarebbe stata la sua ultima opera «…che voleva
      essere la presentazione unitaria della persona e della dottrina di
      S. Giovanni della Croce…»1, è tanto significativo quanto
      intrigante: Scienza della Croce.
          Gli eventi della storia concorrono a crearla, secondo la
      logica umana, come un’opera d’occasione; in realtà sarebbe
      divenuta il sigillo apposto, simultaneamente, alla sua vita e al

1
 RUFFINENGO P.P., Edith Stein e il problema dell’essere, in «Annali Chieresi»,
Chieri 1995, pag. 36.
II

         suo pensiero, infatti vi «…traspare spesso l’esperienza religiosa
         della stessa Stein»2.
             Scienza della Croce è realmente un contributo per il IV
         Centenario della nascita di S. Giovanni della Croce (1542 –
         1942), richiesto a Teresa Benedetta dai suoi Superiori:

                «Grande è la mia gratitudine per essere stata messa in
                grado di produrre qualche cosa, prima che il mio cervello
                si arrugginisca del tutto» (settembre 1940)

             Ella procede con metodo:

                «Sono attualmente occupata a raccogliere il materiale per
                una nuova opera. La nostra cara Madre vuole che
                riprende il lavoro intellettuale, nei limiti compatibili con
                il nostro stile di vita» (settembre 1940)

            Teresa Benedetta completa la sua documentazione per
         procedere con rigore scientifico:

                «ora sono in possesso dell’opera del Baruzi… un libro
                che conta più di 700 pagine a caratteri piccoli, fornito di
                tutto l’apparato scientifico. Leggendo la prefazione della
                seconda edizione, ho già potuto individuare dove si
                trovano i punti deboli. È scritto però con grande affetto e
                simpatia, per cui non lo si può sostituire con nessun altro,
                se si vuol fare uno studio più approfondito» (21 ottobre
                1941)

             La sua posizione mentale rimane critica ed attenta e
         ribadisce la sua posizione:

                «So benissimo che il Baruzi è uno scrittore miscredente.
                A mio avviso, però, non si può ignorarlo scrivendo sul N.
                P. Giovanni della Croce» (13 ottobre 1941)

             Si rivolge anche a quanto, allora, lo stesso Carmelo poteva
         offrire come migliore documentazione aggiornata:

                «Mi hanno appena portato il grosso volume di P. Bruno.
                Ne sono rimasta molto contenta, perché il Baruzi presenta
                delle spaventevoli lacune e quindi deve necessariamente
                essere completato» (11 novembre 1941)

             È ben noto quanto Edith Stein sia assidua nel lavoro,
         precisa nella documentazione, ponderata in ogni sua
         affermazione. Questo habitus non si smentisce al Carmelo, si
         arricchisce anzi di una dimensione nuova:

2
    P., Iudicium alterius Theologi Censoris, pag. 97.
III

            «Il lavoro di cui mi occupo mi fa vivere continuamente
            immersa nel pensiero di S. Giovanni della Croce. È una
            grande grazia questa. Oso chiedere a Vostra Reverenza di
            pregare perché io riesca a fare qualche cosa di bene in
            occasione del suo Giubileo» (1941)

          Non intendo nelle pagine che seguono procedere ad una
      disanima filosofica oppure ad una sintesi critico –storica della
      fenomenologia e della fenomenologa dott. Edith Stein, intendo
      solo inquadrare correttamente la sua ultima opera e tentare di
      comprenderne i due termini chiave: Scienza e Croce.
          Un filosofo contemporaneo, Carlo Sini, ha centrato
      pienamente la chiamata di Edith Stein attraverso la
      fenomenologia verso Cristo:

            «Vivere la fenomenologia come via per questo incontro
            fu la genuina e originale vocazione di Edith Stein, la cifra
            del suo cammino, che essa seppe salvaguardare e
            difendere, con soave fermezza, anche di fronte
            all’autorità e grandezza, di cui essa ebbe peraltro piena
            coscienza, di Maestri come Husserl e Heidegger»3

          Edith Stein, secondo l’affermazione della sua grande amica
      e fenomenologa Hedwig Conrad Martius. «era una
      fenomenologa nata»4.
          Che cosa significa fenomenologia? Si tratta di un metodo
      che inizia con un’operazione preliminare detta epoché, in cui
      non si nega quanto sospeso ma si cerca d indagarlo in un modo
      diverso, con la fiducia che si è capaci di coglierne il significato,
      cioè di intuirne l’essenza. Si esamina ogni “cosa” e anche il
      mondo interiore, gli atti, le operazioni del soggetto
      rintracciabili attraverso un atteggiamento di autoriflessione e
      quindi di evidenziazione di senso.
          Un famoso allievo di Husserl, della generazione di poco
      successiva a quella di Edith Stein, Emmanuel Lévinas, spiega
      chiaramente quanto, lo stesso Maestro, intendesse per
      fenomenologia:

            «… è, in fin dei conti, una filosofia della libertà, di una
            libertà che non caratterizza solo l’attività di un essere, ma
            che si pone davanti l’essere, e in rapporto alla quale
            l’essere si costituisce… La coscienza è il modo stesso
            dell’esistenza del senso»5

3
  SINI C. introduzione a VIGONE L., Introduzione al pensiero filosofico di Edith
Stein, Città Nuova 1991 II ed. I 1973, pag. 10.
4
  STEIN E., Briefe an Hedwig Conrad –Martius, Kösel 1960, pag. 65.
5
  LÉVINAS E, En dècouvrant l’existence avec Husserl et Heiddeger, Vrin, Paris 1949-
1988, pag. 49.
IV

         Husserl nelle vacanze di Natale 1910/1911 aveva
     progettato ed elaborato un suo scritto, La filosofia come scienza
     rigorosa, non ancora però pubblicato.
         Vi possiamo ritrovare una definizione di grande aiuto per
     introdursi nel pensiero e nell’accezione prescelta da Edith Stein
     Stein.
         Husserl scrive:

           «La scienza è anzitutto un’unità antropologica, cioè
           un’unità di atti del pensiero, di disposizioni mentali,
           insieme a certe istituzioni eterne correlative.… perché
           una scienza sia scienza: in ogni caso non si tratta del
           nesso psicologico o, in genere reale, nel quale si
           coordinano gli atti del pensiero, ma un certo nesso
           obbiettivo o ideale che conferisce un riferimento unitario
           all’oggetto e, in questa unitarietà, anche una validità
           ideale»6

         Nel corso della riflessione il filosofo spiegava che

           «Non dalle filosofie, ma dalle cose e dai problemi deve
           provenire l’impulso alla ricerca. Per sua essenza la
           filosofia è però scienza dei veri inizi, delle origini, dei
           rizwmata pantwn La scienza di ciò che è radicale deve
           essere radicale anche nel suo procedere…»7

         Questa è la scienza che aveva costruito la mente di Edith
     Stein e che ritroviamo alle fondamenta della sua, peculiare,
     Scienza.
         Strumento di lavoro è l’epoché che, in questo contesto,
     limito alla sua funzione in campo spirituale.
         P. Przywara, il filosofo gesuita che ebbe il merito
     dell’intuizione di riportare la neo convertita Edith Stein alla
     ricerca scientifica, offre una spiegazione molto chiara del
     termine, inquadrandolo in quanto egli denomina, a torto o a
     ragione ma non è questa la sede della disanima, il «puro
     essenzialismo» di Edith Stein Stein:

           «… l’epoché si trasforma da “sospensione” quale è
           all’origine, in quella “epoché” radicale del “progresso”
           nel modo in cui l’anima, nella teoria dei gradi di S.
           Giovanni della Croce, si “apre” al mondo spirituale e
           religioso di Dio invisibile allo spirito, tanto radicalmente
           e totalmente che, in questo atto di “aprirsi”, rinunciando
           allo splendore del mondo sensibile, è trasportata,
           attraverso una “notte dei sensi” in una “notte dello
           spirito” e finalmente in una “notte di Dio”, che,
           conformemente        all’aforisma      dell’Areopagita,    è

6
  HUSSERL E., Ricerche logiche, Prolegomeni a una logica pura, Prima ricerca,
Seconda ricerca, Il Saggiatore, 1968, pp. 235-236.
7
  HUSSERL E., La filosofia come scienza rigorosa, Laterza 1994, pag. 105.
V

            “espansione di luce” sotto forma di “tempesta- notte”:
            tenebre (gnophos). Quanto, nel suo maestro Husserl, era
            solamente un accento ultimo, nascosto, del suo
            trascendentalismo sistematico, l’epoché come “apertura”
            al “divino nell’uomo interiore”, diviene, nel “puro
            essenzialismo” di E. Stein, un autentico colmare questo
            abisso dell’epoché per mezzo dell’”annientamento
            carmelitano”: dal “mondo dei sensi” e dal “mondo dello
            spirito” fino a quella “notte dello spirito” in cui il Divino,
            in questo autentico trascendentale, è provato come “notte
            luminosa”, attraverso essa ogni modalità di esperienza,
            secondo la sostanza degli scritti teoretici di San Giovanni
            della Croce e di Dionigi l’Areopagita e, conformemente
            alla “dolce chiarezza” del “puro essenzialismo”, questa
            esperienza è fatta nella “dolce chiarezza notturna dello
            spirito” (secondo la terminologia di E. Stein in Scientia
            Crucis per designare la “realtà ultima”)8

          La scienza della Croce appare quindi nella riflessione
      steiniana come una variante della scienza dei santi:

            «Una Teologia della Croce è una verità ben conosciuta,
            ma una Verità vivente, reale ed operante: viene seminata
            nell’anima come un granello di frumento, getta le radici e
            cresce; conferisce all’anima un’impronta peculiare e la
            caratterizza nel suo agire, tanto che ne irraggia e ne è
            riconoscibile.
            In questo senso si parla di una scienza dei santi e noi
            parliamo di Scienza della Croce. Da questa forma e forza
            vivente scaturisce nel interiore profondissimo anche la
            concezione della vita, l’immagine di Dio e del mondo che
            così possono trovare espressione in un’immagine di
            pensiero, in una teoria» (ivi, intr).

          Teresa Benedetta pensa e vuole riprodurre nella sua opera

            «…le idee essenziali di Giovanni della Croce sulla natura
            della nostra anima –spirito in un linguaggio più conforme
            alle esigenze del pensiero moderno»9

           Pensiero in cui quanto è centrale per la sua vita è assente o
      sembra esserlo: la Croce.
           Uno dei due teologi che a Roma il 24 dicembre 1976 firmò
      il giudizio per la Positio afferma:

8
  PRYZWARA E., Edith Stein et Simone Weil, in «Les Etudes philosophiques», (1956)
n.3, pag. 468-469.
9
  GUILEAD R., De la phenomenologie à la Science de la Croix, Nauwelaerts, 1974,
pag. 325.
VI

                «La Croce di Cristo occupa un posto centrale
                nell’esperienza  religiosa    di     Edith      Stein e
                                                                10
                conseguentemente nella sua dottrina spirituale»

             Chiaramente non allude a quella centralità della Croce
         tipica della fede cristiana professa quanto piuttosto

                «all’esperienza concreta che ne ha fatto lei e
                conseguentemente al suo riferirsi esplicitamente e
                costantemente ad essa, come dato centrale. Ciò non è
                comune a ogni spiritualità cristiana, ma forma il tratto
                caratteristico e predominante della fisionomia spirituale
                della Stein»11

             Monaca carmelitana in esilio dalla Germania;
             ospite del Carmelo di Echt;
             ebrea perseguitata dal nazismo:
             sono le tre peculiari caratteristiche esistenziali del lasso di
         tempo in cui ella compose Scienza della Croce.
             È indispensabile ricreare questo grembo generativo, mi
         soffermo perciò sul contesto storico del vivere quotidiano di
         Teresa Benedetta.

         Al Carmelo di Echt

             L’addio alla comunità carmelitana che l’aveva accolta a
         Colonia il 14 ottobre 1933 fu doloroso per Teresa Benedetta
         della Croce.
             Una delle sorelle presenti, nella sua deposizione ai processi
         di Beatificazione, afferma:

                «Non poté dire molto, perché era troppo commossa. Suor
                Ursula, una delle suore più anziane, ringraziò la Serva di
                Dio per il suo buon esempio. La Serva di Dio ne fu molto
                confusa» (P I, 3, 24).

            L’ultima sosta in patria, la Germania di cui fieramente si
         sapeva e si sentiva viva e legittima cittadina, fu il santuario di
         Maria vom Frieden (P I, 6, 47), luogo originario del Carmelo di
         Colonia:

                «Il parroco Diefenbach scoprì l’immagine, affinché la
                Serva di Dio potesse vederla bene. Il parroco le offrì
                ancora un caffè» (P I, 3,19).

10
     P., Iudicium alterius Theologi Censoris, pag. 144.
11
     P., Iudicium alterius Theologi Censoris, pag. 144.
VII

    Poi iniziò la fuga nella vettura guidata dal coraggioso
medico Paul Strerath, aiutato nell’impresa da don Leo
Sudbrack, rettore di Schlebusch.
    La notte di S. Silvestro presumibilmente avrebbe allentato i
controlli e l’ebrea Edith Sara Stein, munita dei documenti
previsti, ma pur sempre un’ebrea in fuga, sarebbe riuscita ad
attraversare il confine più facilmente.
    Le meta era Echt. Il Carmelo, fondato da quello di Colonia
e composto allora da monache di nazionalità tedesca, era
disposto ad accogliere una sorella che si trovava in una
situazione critica ed in pericolo di vita.
    Una volta giunta le fu chiesto:

     «Ha avuto delle difficoltà? Essa rispose: No, niente di
     particolare; solo sono stata ispezionata fino alla camicia»
     (P VIII, 16, 400)

   Successivamente      Teresa    Benedetta,     temendo      di
danneggiare il monastero con la sua presenza, chiederà alla
Madre priora di allontanarla ma ne ebbe una risposta lapidaria:

     «Dovunque si stia e dovunque si vada lei rimane con noi»
     (P IX, 1, 414)

   La dura realtà storica, la lontananza dalla patria, la
preoccupazione per tutto il suo nucleo familiare, il distacco dal
Carmelo di Colonia, sembrerebbero colmare la misura di un
peso insostenibile. Teresa Benedetta lo porta e lo vive nella
dinamica della seconda via che aveva scoperto:

     «Palesemente ci sono due vie per l’unione con Dio e
     perciò per la perfezione dell’amore: un faticoso salire in
     alto per proprio sforzo, certo con l’aiuto della grazia di
     Dio, e un essere portati in alto, che risparmia molto
     lavoro proprio, ma la cui preparazione ed attualizzazione
     esige molto dalla volontà» (ESW, K, pag. 50).

    L’incalzare della persecuzione agli occhi vigili di Teresa
Benedetta non è solo una constatazione storica, acuta e
dolorosamente avvertita, è soprattutto un richiamo incessante
all’olocausto di sé da lungo tempo percepito.
    La sua dedizione ormai sfocia nell’amore perfetto e nella
Domenica di Passione il 26. 3.1939 scrive alla Madre priora
Ottilia Thannisch:

     «+Cara Madre, per favore, mi consenta Vostra
     Reverenza, di offrirmi al Cuore di Gesù come vittima di
     espiazione per la vera pace: che la potenza
     dell’Anticristo, se possibile, crolli senza che scoppi una
     nuova guerra mondiale ed un nuovo ordine si possa
     costruire. Lo vorrei fare oggi perché è la dodicesima ora.
VIII

     So che sono un nulla, ma Gesù lo vuole, ed Egli
     certamente in questi giorni chiamerà anche molti altri a
     fare lo stesso» (SB, 133).

    Si stava tentando di farla riparare, insieme alla sorella
Rosa, in un Carmelo svizzero. In realtà dalla Svizzera ci si
muoveva con lentezza, tanto che il visto venne ottenuto infine,
il 3 settembre, giorno successivo al suo assassinio, adducendo
motivazioni facilmente discutibili: la dr. Stein non era mai stata
in Svizzera. Quando invece era ben noto che non solo vi era
stata ma vi aveva tenuto delle conferenze. Ella stessa riportò
alla memoria, in un intervento di conferenziera, un suo ricordo
specifico:

     «Alcuni mesi fa vidi in Svizzera una chiesa straordinaria:
     fra due torri del gotico primitivo una facciata barocca, ed
     ugualmente lo spazio interno, due organismi
     completamente diversi cresciuti l’uno nell’altro, tanto che
     difficilmente si poteva pensare come il tutto potesse
     reggersi» (OS, 20)

    Maria Bienias discorrendo con Madre Antonia della
possibile salvezza di Teresa Benedetta, sottolinea che «avrebbe
potuto benissimo scomparire in un convento su una isola della
Frisia, ma che rifiutò di farlo perché non voleva sfuggire
neanche all’ingiusta persecuzione per vie torte» (P I, 24, 161).
    Teresa Benedetta rimane ferma sulla sua concezione di
giustizia e di verità anche quando mette a repentaglio la sua
stessa vita.
    Quanto va redigendo si incarna; non aveva forse scritto ed
era rimasto inciso nel suo animo con un preciso titolo?

     «Non si può desiderare la liberazione dalla Croce, quando
     si ha il titolo nobiliare “della Croce”» (SB, 153, 17.11.
     1940)

    Alle difficoltà esterne si sommano anche difficoltà interne.
    Teresa Benedetta sapeva che in Olanda le monache
potevano pronunciare i voti solenni. Ella colse l’occasione
della visita del P. Generale per esprimere il suo desiderio,
secondo la testimonianza di una consorella: «Attesto che mi
sono trovata lì quando ella, alla presenza del P. N. Generale
Thomas Petrus, inginocchiata alla porta della cella chiese di
poter emettere i voti solenni. Nostro Padre fu qui il 27-7-1939.
La cosa rimase in sospeso» (P VIII, 1, 352).
    Dopo due anni trascorsi nella comunità di Echt Teresa
Benedetta ancora non ne è membro effettivo. La sua stabilità
non è decisa, vi vive come un’ospite.
    Una delle consorelle afferma: «Ricordo che la M. Antonia
disse una volta a ricreazione che il carattere di Rosa fosse
migliore di quello di Suor Benedicta. Fra le suore domina il
IX

     parere che la M. Antonia sentisse che Suor Benedicta era
     intellettualmente superiore a lei» (P VIII, 8, 376).
         Comprenderne le ragioni storiche e psicologiche esula
     dall’ambito prefisso in questa indagine, basti cogliere la
     reazione di Teresa Benedetta e collocare, di conseguenza, la
     famosa asserzione sulla Scientia Crucis nel suo corretto luogo
     d’origine. Troppo spesso infatti è stata attribuita erroneamente
     ad un biglietto scritto quando si trovava ormai nelle mani delle
     SS.
         Il biglietto è rivolto alla sua priora, Madre Ambrosia
     Antonia Engelmann, e viene, presumibilmente, datato dai
     curatori dell’edizione originale delle opere verso la fine del
     1941:

           «Cara Madre, poiché Vostra Reverenza ha letto la lettera
           di p. Hi12, saprà il suo pensiero. Vorrei nella questione
           della mia stabilità non fare più nulla ora. La metto nelle
           mani di V.R. e lascio a V.R. decidere se vuole portare ad
           una decisione le sorelle, il P. Provinciale o il Vescovo. Io
           sono contenta di tutto. Una Scientia Crucis si può
           raggiungere solo quando si sia giunti a sperimentare la
           Croce a fondo. Fin dal primo momento ne fui certa e dissi
           con tutto il cuore: Ave Crux, spes unica! Di V. R. la figlia
           riconoscente Benedicta (BS, 167).

         Edith Stein non vive con il fiato dello spirito aspro, trova il
     suo abbandono fidente nell’esperire concreto della Scienza
     della Croce e nella sua ricerca scientifica su Giovanni della
     Croce, tutto il resto, e noi ben sappiamo che cosa racchiuda
     questa sintetica affermazione, è indifferente.
         Nel giugno 1942 infatti scrive in una lettera:

           «Da mesi porto sul cuore un bigliettino con la citazione di
           Matteo 10,23 [Cum autem persequentur vos in civitate
           ista fugite in aliam]… ma sono tanto immersa nello
           studio degli scritti del N. S. P. Giovanni, che tutto il resto
           mi è indifferente» 13

         In senso autenticamente ignaziano e teresiano:
     riconoscendo cioè in tutto la causa prima, quel cammino di
     purificazione e di amore che rende stretto e rapido il sentiero
     che sale sulla vetta del Carmelo. Ella aveva scritto nella sua
     opera maggiore Essere finito ed Essere Eterno:

           «So che sono sostenuta ed in questo trovo la mia
           tranquillità e sicurezza – non la sicurezza propria
           dell’uomo che con le proprie forze si mantiene in piedi –
           ma la dolce e beata sicurezza del bimbo che viene portato

12
 P. Hirschmann, il giovane gesuita che tenne gli esercizi a Echt.
13
 TERESIA A MATRE DEI, Edith Stein, Auf der Suche nach Gott, Butzon & Bercker
Kevelaer, 1964, pag. 224.
X

               da braccia robuste. È una sicurezza oggettivamente non
               meno ragionevole del vivere in continuo timore che la
               mamma potesse farlo cadere a terra» (EE, pag. 57)

             Teresa Benedetta non vive in pienezza di saturazione
         psicologica, di esplosione emotiva, ma in apertura escatologica
         fiduciosa; sperimenta una sorta di traversata senza scalo né
         tempesta nell’imperversare delle ondate.
             Immersa nell’amore kenotico: nel sacrificio e nella
         beatitudine, facendo il vuoto in sé per lasciare essere l’Altro e
         gli altri, pregando intensamente; «dalla sua finestra vedeva la
         lampada del Santissimo e pregava in quella direzione» (P IX, 1,
         414).
             Nella Pentecoste del 1942, in maggio, solo a due mesi dal
         suo arresto, la tensione spirituale, che sperimenta tutte le
         tenebre storiche e tutte le ristrettezze ambientali, esploderà in
         un’atmosfera di luce:

               Chi sei, dolce luce,
               che m’inondi
               e rischiari la notte
               del mio cuore?
               Tu mi guidi qual mano
               di una mamma,
               ma se mi lasci
               non più d’un passo solo avanzerei.
               Tu sei lo spazio
               che l’essere mio circonda
               e in cui si cela.
               Se m’abbandoni
               cado nell’abisso del nulla,
               donde all’essere mi chiamasti.
               Tu a me vicino
               più di me stessa,
               più intimo dell’intimo mio.
               Eppur nessun ti tocca
               o ti comprende
               e d’ogni nome
               infrangi le catene:
               SPIRITO SANTO
               ETERNO AMORE!

             Il laccio intanto si stringeva intorno ai suoi familiari, già
         provati dalla dura separazione della vicenda della profuganza:
         «Il 28 luglio 1942, il fratello di suor Benedetta, Paolo, è
         deportato con sua moglie e sua figlia, e la loro sorella Frieda, a
         Theresienstadt. Non si rivedranno mai più»14.
             Paolo le aveva scritto una volta, testimonia una
         carmelitana, «“perché i buoni debbono tanto soffrire?’”. Gli

14
     BÖHM W., Édith Stein, à la lumière du Ressuscité, Médiaspaul, 1985, pag. 103.
XI

     rispose, come poi mi riferì: “Non lo so neanch’io. Ma tutto
     coopera al bene di coloro che amano Dio» (P IX, 1, 420).
         Il 2 luglio la notizia giunse a Teresa Benedetta della Croce.
     Nello stesso periodo, dopo il 16 luglio, Anna Frank con tutti i
     suoi familiari raggiungeva il rifugio segreto.
         Teresa Benedetta, nella sua cella monastica, si concentra
     sul suo lavoro e, senza soluzione di continuità,
     sull’accettazione della Croce che si sta profilando sempre più
     chiaramente: «…prima che ella sia ridotta alla schiavitù dei
     campi di concentramento,… lascia che la “dolce chiarezza
     notturna” che istruisce lo spirito si introduca nell’immagine
     della dubbiosa notte di asservimento evocata dai sacri testi
     della “notte”, e questo in tutta la sua vita nell’ordine religioso,
     secondo la descrizione realista di un’audacia totale che, come
     nessun biografo del Santo aveva fatto prima di lei, occupa il
     capitolo conclusivo della sua Scientia Crucis»15.
         Due illustri studiosi, l’uno ebreo, Petuchowski, e l’altro
     cristiano, Thoma, sintetizzano la notte storico –cosmica che
     invase l’«ebrea, filosofa, convertita e carmelitana Edith Stein,
     che malgrado il fortissimo impegno ecclesiastico non sfuggì la
     gassazione ad Auschwitz»16.
         La priora Madre Ambrosia, tre settimane dopo l’arresto,
     scrive: «…eravamo proprio nel nostro giorno di ritiro mensile.
     Suor Benedetta (Edith Stein) è rimasta quasi ininterrottamente
     inginocchiata davanti al tabernacolo. Il suo ultimo servizio
     d’amore fu l’andare a riempire di acqua santa le acquasantiere
     nei luoghi comuni. Venne anche nella nostra cella e mi parlò di
     colei che sarebbe succeduta a Rosa (come portinaia). Fu il
     nostro ultimo colloquio»17.
         Nel pomeriggio fu arrestata dalla Gestapo ed iniziò l’ultima
     tappa che, ad Auschwitz, avrebbe incarnato definitivamente la
     Scienza della Croce.

     Il lessico di Scienza della Croce

         Chi leggerà questo testo troverà alcuni termini ricorrenti.
     Globalmente rimando al Glossario posto in appendice.
         Bisogna battere un duplice sentiero quello antropologico -
     umano e quello religioso. Perché Teresa Benedetta ha avuto il
     grande dono e la rara perspicacia di esplicitare che esiste «una
     chiamata all’interiorità che è comune vocazione dell’uomo.
     L’interiorità spirituale –religiosa la continua: è nel proprio
     centro che l’anima finirà per scoprire, dopo acuta purificazione,
     la presenza di Dio»18.

15
   PRYZWARA E., op. cit., pag. 470.
16
   PETUCHOWSKI J.J. - THOMA C., Lexikon der jüdisch – christlichen Begegnung,
Herder -Freiburg, 1997, pag. 82.
17
   HERBSTRITH W., Kölner und Echter Karmel zur Zeit der Judenverfolgung, in
Edith Stein Jahrbuch, Das Judentum, 1997, pag. 409.
18
   P., Iudicium alterius Theologi Censoris, pag. 138.
XII

    È necessario perciò ricorrere alla stessa Edith Stein ed a
qualche autorevole studioso per afferrare il senso preciso di
termini quali immagine e simbolo che, nel corso della
traduzione, sono rimasti nel limite del possibile ancorati ad un
solo preciso vocabolo tedesco.
    Quanto aveva scritto la stessa Teresa Benedetta nel suo
articolo Le vie della conoscenza di Dio ci consente di penetrare
più profondamente nel suo pensiero:

     «Il “teologo” impara a conoscere Dio dall’immagine. In
     questo caso, l’immagine non è un’immagine prodotta, ma
     un’immagine prodotta di Dio. Egli si è delineato nella sua
     immagine -formata e attraverso essa si fa conoscere. Il
     fatto che Egli non sia già conosciuto prima, e perciò non
     sia “riconosciuto”, non toglie nulla al concetto di
     immagine quale copia. Infatti con un buon ritratto si può
     conoscere uno sconosciuto, non solo riconoscervi un
     conosciuto. E si può riconoscere un buon ritratto quando
     è un ritratto e un buon ritratto. Anche se non è di
     chiunque, ma solo chi ne ha il “senso” ed un occhio
     educato, tuttavia esiste una reale possibilità. Mi pare
     perciò che realizzi in modo particolarissimo quanto oggi
     intendiamo con “simbolo”, in cui una figura visibile è
     intesa come “immagine -senso” e l’immagine ci schiuda
     un senso fino ad ora sconosciuto» (K, pag. 87).

   Sulla scorta di Edith Stein stessa sono giunta ad alcune
opzioni che indico per agevolare la lettura di alcuni passi molto
densi:

   Symbol               simbolo
   Bild                 immagine
   Sinnbild             immagine simbolica
   Wahrzeichen          segno reale
   Zeichen              segno

    Ho preferito conservare il termine «costruzione», Aufbau,
perché lo ritengo più pregnante e più attivo, quando sia riferito
all’anima, mentre gli altri termini seguono lo schema che
indico:

   Innere               l’interiore
   Innerstes            il più profondo interiore
   tiefstes Inneer      interiore profondissimo
   innerster Grund      Il sedimento profondissimo
   tiefster Grund       il sedimento più profondo
   innerstes Wesen      la sostanza più interiore
XIII

          Alcune piste per la lettura

          Alcune evidenziazioni possono risultare utili per la lettura,
      senza per questo volere costringere nessuno in uno schema
      rigido.
          Emergono dal pensiero di Teresa Benedetta alcune
      sfumature, prese nette di posizione, riflessioni che devono
      essere percepite nella loro originalità e nella loro chiarezza:

          -     Davanti al mistero della libertà umana Dio stesso
                retrocede. Egli vuole prendere possesso solo
                dell’anima che si dona a Lui spontaneamente:
                «Bisogna che essa doni liberamente la propria volontà
                alla Sua per poter così condurla all’unione beata» (K
                144). Guilead afferma: «Per Edith Stein, questa frase
                riassume il vangelo che tutti gli scritti di Giovanni
                della Croce annunciano»19;

          -     Teresa Benedetta difende la differenza fra la terza
                forma d’unione e le due prime, non soltanto
                quantitativamente ma qualitativamente. Maritain, il
                filosofo che ella apprezzava e che conobbe a Juvisy
                nel 1932, aveva asserito: «Fra il matrimonio spirituale
                e gli stati precedenti c’è una sorta di eterogeneità; San
                Giovanni della Croce, come Santa Teresa marca molto
                fortemente questa differenza di natura»20.

          -     Ella scrive «per la Sua passione e la Sua Croce, alla
                gloria della Risurrezione» (ivi, 165). L’oggetto
                particolare della contemplazione, la storia della
                passione di Cristo, è il suo carattere contraddittorio
                perché è insieme morte e risurrezione. «Questa ultima
                scoperta è decisiva per la comprensione dell’opera
                intera di San Giovanni della Croce. Non è peregrino
                che Edith Stein chiami la dottrina del Dottore del
                Carmelo Scienza della Croce. E non è neppure un
                caso che questa dottrina si suddivida in due parti»21.

          -     la concezione della mistica esprime la «…
                fenomenologia steiniana dell’anima, sparsa nei
                voluminosi suoi trattati teorico –sistematici come
                negli scritti di fenomenologia del misticismo, Il
                castello dell’anima o Scientia Crucis. La si può
                leggere, questa fenomenologia dell’anima, come una
                fenomenologia dell’essere vivo, espressione con la
                quale intendo la partecipazione maggiore o minore ad

19
   GUILEAD R., op. cit., pag. 326.
20
   MARITAIN J., Distinguer pour unir, Paris, Desclée De Brouwer, 1932, pag. 140.
21
   GUILEAD R., op. cit., pag. 334.
XIV

                   una modalità d’essere che ha questi caratteri eidetici:
                   “spontaneità” e “concentrazione”»22.

             -     -l’esperire personale traspare evidente. Indico solo
                   alcuni punti:

                           La contemplazione acquisita: «Qualche cosa
                            di simile è anche il rapporto di un’anima con
                            Dio, dopo un lungo esercizio nella vita
                            spirituale. Non ha più bisogno di meditare per
                            conoscere Dio e per imparare ad amarLo. Il
                            cammino lo ha già percorso, riposa alla meta.
                            Nel momento in cui si dà all’orazione, essa è
                            presso Dio e permane in amoroso abbandono
                            alla Sua presenza. Il suo silenzio Gli è più
                            gradito di molte parole.
                            È quanto, oggi, si denomina contemplazione
                            acquisita. (Giovanni della Croce non usa
                            questa denominazione, ma ne conosce
                            perfettamente la realtà!). È il frutto della
                            propria attività, veramente stimolata e
                            sostenuta dall’aiuto di molte grazie. È una
                            grazia quando ci raggiunge il messaggio della
                            fede, la verità rivelata da Dio. È una grazia
                            che ci dona la forza di accoglierlo - anche se
                            dobbiamo portarlo a termine con una libera
                            decisione – e perciò diventare credenti» (ivi,
                            p.).

                           un essere toccati «Non è un mero accettare il
                            messaggio della fede ascoltato, non un mero
                            rivolgersi a Dio, che si conosce solo per
                            sentito dire, ma un essere toccati interiormente
                            ed uno sperimentare Dio, che dà la forza di
                            liberarci da tutte le cose e di elevarci, ed
                            insieme di immergerci, in un amore che non
                            conosce il suo oggetto» (ivi, pag. ) [p. 107];

                           incontro a quattro occhi: «Chi per principio
                            cerca il retto, cioè chi è deciso di compierlo
                            sempre e soprattutto, questi ha deciso su di sé
                            ed inserito la propria volontà in quella di Dio,
                            anche se non gli è ancora chiaro che il giusto
                            coincide con quanto Dio vuole. Quando però
                            non gli è chiaro, gli manca il cammino sicuro
                            per trovare il retto; si è appoggiato su se stesso
                            come se già si padroneggiasse, anche se non è
                            giunto alle ultime profondità del suo interiore.

22
     DE MONTICELLI R., L’ascesi filosofica, Feltrinelli, 1995, pag. 190.
XV

                             L’ultima decisione sarà possibile solo con gli
                             occhi negli occhi di Dio» (ivi) [p. 148];

                            la conversione: «Egli può, con la sua
                             onnipotenza, in ogni istante, fare quanto
                             vuole. Egli può lasciare la loro individualità
                             nel normale corso degli eventi. Può anche
                             intervenire in misura straordinaria. In questo
                             modo Dio abita anche in ogni anima umana.
                             Egli le conosce fin dall’eternità con tutti i
                             misteri del loro essere e con ogni fase della
                             loro vita. Essa è in suo potere; sta a Lui
                             abbandonare lei stessa e il corso del mondo o
                             volere intervenire nel suo destino con mano
                             potente. Un simile prodigio della sua
                             Onnipotenza è la rinascita di un’anima per la
                             grazia santificante (ivi )
                             Perciò la ricezione della grazia non è possibile
                             senza una libera accettazione. Essa compie
                             (Spirito e fede, 59)[p. 149]; «È insito nella sua
                             stessa essenza che l’inabitazione per grazia
                             non sia possibile in esseri impersonali, cioè
                             infra –umani. Comporta un’irruzione continua
                             dell’essere divino e della vita nell’anima
                             benedetta. Questo Essere però è vita personale
                             e può irrompere solo là dove Gli venga
                             personalmente aperto» (Ib.);

                            vari modi della presenza di Dio [ivi, pag. ];

                            l’infiammarsi        d’amore:      «      Allora
                             quest’infiammazione e questo desiderio di
                             amore ora sono mossi dallo Spirito santo e
                             sono ben diversi da quanto detto nella notte
                             dei sensi». Si sperimentano nello spirito,
                             anche se i sensi vi partecipano. Perciò, quanto
                             si sente e di quanto si avverte la mancanza,
                             viene percepito in modo tale che, tutta la pena
                             del senso, al confronto, è nulla, anche se è ben
                             più ampia di quella prima notte dei sensi»
                             (ivi,, pag.) [p. 120];

                            sperimentare l’essere afferrati: « Dio è
                             l’amore. Perciò il venire afferrati da Dio è un
                             venire incendiati nell’amore, quando lo spirito
                             vi è preparato» (ivi, pag.)[p. 164];

                            Vi è espressa la descrizione di fede più
                             completa23: «La fede vivente è un solida

23
     P., Iudicium alterius Theologi Censoris, pag. 132.
XVI

                 certezza che Dio è, ritenere–vero–tutto quanto
                 Dio ha rivelato, e una prontezza amante a
                 lasciarsi condurre dalla volontà divina. In
                 quanto conoscenza infusa, soprannaturale di
                 Dio, è «un inizio della vita eterna in noi» (ivi,
                 pag.) [151];

    In questa sua ultima opera, incompiuta nel senso che non è
stata riveduta globalmente, il teocentrismo filosofico di Teresa
Benedetta si organizza intorno a Cristo, ella procede dal Logos
al Verbo incarnato.
    È l’incarnarsi della sua Croce nella notte della storia con
una consapevolezza gioiosa, perché ella aveva scritto: «Croce e
Notte sono la via per la luce celeste: questo è il lieto messaggio
della Croce» (ivi pag. ); [K, 25].

   CRISTIANA DOBNER
   CARMELITANA

   Concenedo di Barzio
   2 febbraio 2001
   anniversario della Confermazione
   di Edith Stein
XVII

          Vita da rana o vita da Aquila?

              Riflessioni sul simbolo della Croce all’interno del pensiero di Edith Stein

                                                 O zia Edith, ti conosciamo a stento
                                                 Chi sei in realtà?
                                                 Un insieme di teologia e di fenomenologia?
                                                 Di antenati ebrei e di freddi ecclesiastici?
                                                 Una discepola di dei stranieri?
                                                 Che cosa ti ha condotto ad adorare l’ebreo sulla
                                                 Croce? 24.

          Di questi giorni appare a stampa un saggio, documentato e lineare, di Piermario
       Ferrari che indaga la Philosophia Crucis25, cioè la Croce così come è interpretata
       dalla filosofia, e la sua rilevanza speculativa, fin oltre il moderno.
          Nel pensiero di M. Heidegger viene riconosciuto il punto di svolta, quel «croce –
       via» dell’Occidente che segna il pensiero e la riflessione contemporanea.
          Con un gesto simbolico il filosofo «propone di scrivere la parola “essere” sotto il
       segno di una cancellatura a forma di croce (kreuzweise Durchstreichung). La croce,
       però, non era intesa né come segno negativo, né in quanto segno tout court; essa
       doveva piuttosto richiamare il Geviert, cioé la quadratura in quanto “gioco del
       mondo” raccolto nel suo luogo (Ort), all’incrocio della croce. Il luogo, per
       Heidegger, è sempre luogo di raccolta (Versammulung). Nel gioco del mondo, così
       richiamato dalla cancellatura dell’”essere”, Heidegger ravvisa il divenir-mondo del
       mondo, das Welten von Welt, il mondo che è in quanto mondeggia (Die Welt ist,
       idem sie welt)26
          Edith Stein27, un caso «esemplare»28 nella storia, fu interlocutrice attenta e precisa
       del «piccolo Heidegger» (BRI 36), critica sicura e trasparente di quella opera, Sein
       und Zeit, che ella sottopone ad una disanima rigorosa. L’assistente di Honecker, Max
       Müller29, ne riporta la sua opinione: «È un’opera grandiosa ma a me molto estranea».
          Lasciando ad un altro intervento la presentazione dell’accattivante saggio di
       Ferrari, propongo di sostare su Edith Stein stessa, la cui forza di scrittura filosofica è

24
   BATZDORFF – BIBERSTEIN S., Ricordo di mia zia Edith Stein, in HERBSTRITH W., Edith Stein. Vita
e testimonianze, Città Nuova 1987, p. 76.
25
   FERRARI P., Philosophia Crucis, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2002.
26
   DERRIDA J., Dello spirito, Heidegger e la questione, Feltrinelli, Milano, 1989, 57 –58.
27
   Nel presente contributo mi servirò della legenda seguente all’interno dell’opera omnia: Edith Stein Werke,
edite a cura di Lucy Gelber e P. Romaeus Leuven e in seguito da Lucy Gelber e p. Michael Linssen, Herder,
Freiburg-Basel- Wien; K: Kreuzeswissenschaft. Studie über Johannes a Cruce, ESW 1954, Band I; «Scientia
Crucis». Studio su S. Giovanni della Croce, Edizioni OCD, Roma 1996 (le citazioni sono tradotte dal testo
originale, l’indicazione della pagina è relativa all’edizione italiana); LJF: Aus dem Leben einer Jüdischen
Familie, ESW 1965, BAND VII; Storia di una famiglia ebrea. Lineamenti autobiografici: l’infanzia e gli
anni giovanili, Città Nuova, Roma, 1992; GA, Verborgenes Leben. Hagiographische Essays, Meditationen,
geistliche Texte, ESW 1987, Band X; GL: Ganzheitliches Leben, Schriften zur Religiösen Bildung, ESW
1990, Band XII; La vita come totalità.Scritti sull’educazione religiosa, Città Nuova, Roma, 1994; SB:
Selbstbildnis in Briefen. Erster Teil (1916-1933), ESW 1998, Band VIII; Zweiter Teil (1934 – 1942), ESW
1977, Band IX; VLE, Verborgenes Leben und Epiphanie, ESW 1987, Band XI, pp. 144-147; TR, POSSELT
T. R., Edith Stein, Lebensbild einer Philosophin und Karmelitin, Glock u. Lutz, Nürberg, 1952; Edith Stein,
Morcelliana, 1952; P: Positio super causae introductione, Roma 1983.
28
   PELLETIER A. –M., Le Christianisme et les femmes, Du Cerf, Paris, 2001, 181.
29
   MÜLLER M., Meine Erinnerungen an Edith Stein in HERBSTRITH W., Erinnere dich-vergiss es nicht,
Edith Stein-christlich-jüdische Perpspektiven, Plöger Verlag, Annweiler, Essen, 1990, 205-6.
XVIII

         peculiare e si staglia nel panorama speculativo europeo, coestensivo alla sua vita e
         ben oltre, precisamente nel nostro oggi.
             La ragione risiede nel luogo in cui si esercita, al massimo grado, la sua scrittura
         genetica e nella sua metodologia che propone una tipica architettura intelligibile.
             Quale quindi il luogo? Quale l’architettura intelligibile?
             A questi quesiti, centrali per la loro rilevanza speculativa, tenterò non di dare
         risposta -sono sempre tematiche da tenere aperte e da sottoporre a continue letture e
         riletture gravide della certezza della falsificabilità-, quanto di impostare un cammino
         di riflessione.
             Il luogo è la Croce e l’architettura intelligibile è la Scientia Crucis.
             La Croce, cardine del suo pensiero e della sua vita, espresso soprattutto nel suo
         scritto, ultimo ma completato come dimostra Ulrich Dobhan OCD, con cui ho potuto
         confrontare le mie opinioni e dal cui testo critico, di prossima pubblicazione per i tipi
         Herder, ricavo ogni mia citazione tradotta in italiano.
             Il testo e la stessa indagine della Stein non trascorrono però a personali
         esperienze, presentando così una contaminatio fra ragione e fede, ma si presentano
         come un unicum in cui ragione e fede non sottostanno al duplex ordo cognitionis ma
         si aprono ad una postura inedita, per il cui esame rimando ad una mia ampia
         trattazione in merito30.
             Se «la ragione è per sua natura orientata alla verità ed è inoltre in se stessa fornita
         dei mezzi necessari per raggiungerla»(Fides et Ratio n. 49), il duplex ordo
         cognitionis si presenta come il quadro concettuale dell’epoca31 mentre la
         fenomenologia consente di superare la dicotomia e di impostare in modalità diversa
         il nesso ragione/fede:

                «Il pensiero del fondatore della fenomenologia, più di quello dei suoi
                continuatori, è portatore di un’intuizione, la quale comporterebbe una revisione
                dei principi stessi della fenomenologia. Si tratta della scoperta, in ordine alla
                definizione dello statuto dell’evidenza originaria della coscienza,
                dell’impossibilità di separare la questione del senso dalla sua genesi. La genesi
                è costitutiva del senso, poiché la fatticità non è solo la condizione esterna
                dell’atto della coscienza ma la sua matrice. Il termine “fatticità”, più noto
                attraverso la ripresa che ne ha fatto Heidegger, designa in Husserl più
                univocamente la dimensione passiva della coscienza che ne anticipa
                l’attuazione poiché ne prefigura le possibilità. Perciò essa ha un rapporto
                essenziale con la questione della verità nella sua differenza e inseparabilità
                dalla questione del senso. La verità è l’istanza referenziale che assicura l’unità
                del processo del senso, poiché ne anticipa il telos irraggiungibile sul piano
                orizzontale del senso»32.

            Si apre così una nuova prospettiva gravida di importanza per il pensiero filosofico
         e per la fede riflessa:

                «Per poter integrare la genesi nel pensiero dell’originario, si deve pensare la
                fatticità come condizione della forma di libertà della coscienza, in accezione
                moderna, quale complesso delle forme nelle quali si realizza la presenza a sé
                del soggetto, come luogo interiore. Questa prospettiva istituisce lo spazio della
                teologia. La genesi è costitutiva del senso, poiché la verità non si manifesta alla

30
31
     SEQUERI P., Il Dio affidabile, saggio di teologia fondamentale, Queriniana, Brescia, 1996, 64.
32
     BERTULETTI A., Il significato di una formula inconsueta, «Teologia» 3, sett. (1998), 244.
XIX

                coscienza se non facendo della sua libera appropriazione la forma stessa della
                sua manifestazione. L’accesso alla forma teologica della trascendenza coincide
                con l’accesso del soggetto alla propria ipseità e alla consapevolezza
                dell’implicazione della verità nella sua attuazione. La forma originaria della
                coscienza è la fede, poiché non si dà riconoscimento della verità se non nel
                consenso - affidamento del soggetto che la “realizza” come verità della propria
                esistenza effettiva»33.

              La Croce, simbolo del tempo e dello spazio dell’alleanza, fa da impuntura in
           opposizione con il nazismo, segno del tempo e dello spazio dell’Anticristo, nell’arco
           della storia tragica donato a Edith Stein, a quella donna di cui una suora amica
           pensava: «”Ecco la figura del santo moderno”. Questa era la mia convinzione prima
           ancora che ella entrasse in convento» (P I, 32, 192).
              La Domenica di Passione, 26. 3.1939, Teresa Benedetta della Croce ormai nel
           monastero di Echt, scrive alla Madre priora Ottilia Thannisch:

                «+Cara Madre, per favore, mi consenta Vostra Reverenza, di offrirmi al Cuore
                di Gesù come vittima di espiazione per la vera pace: che la potenza
                dell’Anticristo, se possibile, crolli senza che scoppi una nuova guerra mondiale
                ed un nuovo ordine si possa costruire. Lo vorrei fare oggi perché è la
                dodicesima ora. So che sono un nulla, ma Gesù lo vuole, ed Egli certamente in
                questi giorni chiamerà anche molti altri a fare lo stesso» (SB, 133).

              È possibile scrutare in statu nascendi, nella mens phoenomelogica della giovane
           studiosa, l’irruzione della Croce, il divenirne la Grundwort nel suo pensiero e nella
           sua vita, e quindi incidere in modo radicalmente genetico una figura di donna, di
           pensatrice e di santa.
              Appare allora tutta la sapienza del Creatore che l’ha condotta in una vita a «zig –
           zag»(LJF, 356 –357) alla deiscenza completa, all’apertura cioè del frutto ormai
           maturo, inserito nel luogo di ricorrenza storica. Pauline Reinach, la sorella del
           fenomenologo A. Reinach, che la conobbe in questo periodo, ricorda che ella cercava
           la verità nella filosofia, e si occupava di questioni riguardanti la fede»(P XXI, 1, 4,
           437).
              Nei terribili anni del conflitto mondiale A. Reinach fu ucciso, «Edith era molto
           amica sua e di sua moglie. Non aveva il coraggio di andare a casa sua, perché
           pensava che la moglie fosse disperata. Tuttavia ci andò e fu assai meravigliata nel
           vedere quanto fosse rassegnata - era una convertita al Cristianesimo - Edith pensò
           che fosse la religione della signora a darle questa rassegnazione. Pensò che fosse un
           effetto della fede cristiana» (P NY, 1, 216).
              La stessa Pauline Reinach, divenuta monaca benedettina in Belgio, nei Processi di
           beatificazione consegna una deposizione inequivocabile:

                «Potei constatare come la Serva di Dio fu sconvolta nel vedere mia cognata
                accettare la morte del marito con tanta forza e abbandono. Allora ella vide
                quanto il cristianesimo era grande e divino, Allora, mia cognata era ancora
                protestante» (P XII, 1, 438).

33
     Ib.
XX

         La tanto discussa prima biografa Renata Teresa Posselt34, peraltro maestra della
      novizia Teresa Benedetta della Croce e successivamente sua priora, indulge
      raccontando lo stesso episodio ad un romanticismo alieno al temperamento di Edith
      Stein, ma offre uno spaccato di fondo che, di per sé, si attaglia alla vicenda spirituale
      della giovane donna che cercava Dio:

             «Per la prima volta incontrai la Croce e quella forza divina che essa comunica a
             coloro che la portano. Per la prima volta vidi la Chiesa nata dalla Passione
             redentrice del Cristo, vittoriosa sulla morte. In quel momento crollò la mia
             incredulità, l’ebraismo svanì, mentre nasceva in me la luce di Cristo, il Cristo
             colto nel mistero della Croce» (TR 104).

         Si dimostra per ciò stesso come una parola, in questo caso la Croce, non entri nel
      suo e nostro vocabolario solo perché è appresa, ma perché si è venuta ad incontrare
      in occasione di un’esperienza vissuta.
           L’amica di Edith Stein Gertrud von Le Fort, così affine a
           lei per nobiltà di sentire, affermò: «Ella si convertì al
           cristianesimo per convinzione intima, Per quel che so,
           l’ingresso al Carmelo seguì perché “voleva compiere
           qualcosa di totale”. Mi è apparsa sempre una creatura
           molto nobile» (P XVII, 1, 456).
         Alle monache che sondavano la motivazione della sua decisione di entrare nel
      Carmelo, la fenomenologa rispose senza mezzi termini:

             «Le attività umane non possono aiutarci, può farlo solo la sofferenza di Cristo.
             Perciò averne parte è il mio desiderio»35.

         E si trattava, come asserisce l’amica di Edith Rose Bluhm, di una persona con cui
      ogni problema veniva setacciato ed esaminato fino a quando la verità non affiorava,
      di una ragazza femminista ante litteram, cui alla fine del liceo furono dedicati alcuni
      versi:

             Tra donna e uomo uguaglianza:
             lo sostiene la nostra suffragetta
             che un giorno
             vedremo eletta buon ministro.

         Questa donna, stimata ed autorevole, grande pensatrice e educatrice raffinata,
      continuò ad essere interpellata dalla Croce nella sua storia spirituale, quando ormai il
      nazismo acquistava sempre più potere in Germania:

             «Sotto la croce compresi il destino del popolo di Dio, che già allora iniziava a
             profilarsi. Pensai: chi comprende che questo è la croce di Cristo, deve
             prenderla su di sé in nome di tutti. Certamente oggi so più di allora che cosa
             significa essere sposata con il Signore nel segno della Croce. Veramente non lo
             si afferrerà mai, perché è un mistero» (SB 124).

34
   Edith Stein, Lebensbild einer Philosophin und Karmelitin, Glock u. Lutz, Nürberg, 1952; Edith Stein,
Morcelliana, 1952.
35
   LEUVEN R., Heil in Unheil, Das Leben Edith Steins: Reife und Vollendung, ESW Band X, Herder 1983,
191.
XXI

         Nel segno della Croce Edith Stein appartiene pienamente alla storia del suo secolo
      perché si lasciò inchiodare «alla Croce con i tre chiodi dei voti» (VL 134).

         La complessità del tema è tale da dover procedere per passi successivi,
      interconnessi ma, metodologicamente, separati, sorretti però da una certezza espressa
      con vigore e nitore da C. M. Martini:

            «Dio crea ogni cosa in vista di Gesù Cristo, e ognuno di noi per essere figlio in
            Lui. Il massimo della paternità e della figliolanza sono espresse dalla croce. È
            solo a partire dalla croce che tutto si fa più umano, accessibile, attraente,
            perché traspare la paternità di Dio e noi ci sentiamo figli e amati»36.

         Gesù nella sua vita terrena vive con un richiamo che si può racchiude nella
      particella greca dei,

          - Il Gesù dodicenne di Lc 2,49 afferma: «Perché mi cercavate? Non sapevate che
      io devo occuparmi delle cose del Padre mio?»

           - Del Gesù predicatore itinerante e annunciatore della Buona notizia che ormai
          agisce, si narra in Lc 13, 14: «Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù
          aveva operato quella guarigione di sabato, rivolgendosi alla folla e disse: “Ci
          sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli venite a farvi curare e non in
          giorno di sabato”.

          - In Gv 9, 4 Gesù afferma: «Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha
          mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare».

         - Fino al dei della passione Mt 16, 21: «Da allora Gesù cominciò a dire
      chiaramente ai suoi discepoli che egli doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto
      da parte degli anziani, sommi sacerdoti e scribi; inoltre che doveva essere messo a
      morte, ma che al terzo giorno sarebbe risorto».

         Nell’accettazione del dei, afferma H. U. von Balthasar, Gesù «manifesta la sua
      suprema libera determinazione determinata libertà a non voler vivere per altra cosa
      che non sia la sua missione»37.
         Questo il filo che conduce la mia riflessione stimolata anche da un’asserzione di
      L. Lombardi Vallauri che, pur pregna di analisi critica, non coglie nel segno il
      rapporto di Gesù con il Padre e gli uomini e la Sua adesione alla Croce:

            «Violenta è la sua morte non nel senso banale per cui essa si trova
            all’intersezione “diabolica” delle due violenze politica (il potere imperiale
            romano) e la religiosa (il monoteismo ebraico, la sua mortale intolleranza
            dell’eretico), ma nel senso non banale per cui essa sarebbe stata cercata da
            Gesù stesso in angosciosa obbedienza a un Padre divino offeso che l’avrebbe
            esigita come prezzo per rinunciare a una vendetta spaventosa estesa a tutti gli
            uomini. Mi rendo conto che questa non è la sola possibile Deutung del

36
   MARTINI C. .M., Nel cuore della Chiesa e del mondo, Dialogo con Antonio Balletto e Bruno Musso,
Marietti, Genova, 1991, 57.
37
   VON BALTHASAR H. U., Teodrammatica, Le persone del dramma. L’uomo in Cristo, vol III, Jaca Book,
Milano, 1980, 211.
XXII

             sacrificio del calvario; mi sembra però di poter dire che è fortemente suggerita,
             in ogni caso pienamente consentita, dai testi e la più autorevole nei secoli:
             Gesù come l’agnus pasquale di Dio e il prezzo pagato per la red–emptio degli
             uomini destinati altrimenti alla perdizione eterna. L’immagine del crocifisso,
             ubiquitaria (dalle aule scolastiche o giudiziarie o carcerarie ai crocevia alle viae
             crucis sui monti) nell’Europa dei secoli cristiani, evoca, memento ininterrotto,
             quello che sarebbe stato il destino dell’umanità senza l’intervento del salvator:
             esposta alla giustizia di un Dio colpevolizzante, selvaggio di furore (dies irae)
             e di amore»38.

         Nella prospettiva invece della Parola come Verità è possibile riconoscere il dono
      creativo e redentivo che Dio fa di sé all’umanità.
         Tutta la creazione che guarda a Cristo e alla totalità della salvezza non è altro che
      dono di Dio e un dono che Dio fa di sé. L’intelligibilità dei tempi e delle
      realizzazioni è affidata ad uno sguardo rivolto a «quella realizzazione perfetta che è il
      Cristo crocifisso e risorto»39.
         L’ottica con cui guardare e contemplare Gesù in Croce possiede una realtà di dono
      incommensurabile: «La croce non è dunque il luogo del rantolo che finalmente viene
      lanciato a Dio per rispondere alla sua esigenza di soddisfazione: bisogna che il
      cristianesimo smetta di lasciarsi stravolgere in questo modo dalla religione. La croce
      è il luogo della parola che costituisce il culmine e la pienezza della pratica della
      verità:”padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”»40.

         I codici specifici

          Ogni civiltà ha i suoi codici specifici: siano essi elaborati o spontanei e immediati.
      Balza all’occhio dell’osservatore - anche se non dotato di una preparazione specifica
      - che il simbolo ha sempre intrigato le menti dei pensatori, l’immaginazione dei
      poeti, lo slancio degli artisti in tutte le tre dimensioni presenti «cosmica, onirica,
      poetica»41.
          Tuttavia «il pensiero simbolico non è di dominio esclusivo del bambino, del poeta
      o dello squilibrato; esso precede il linguaggio e il ragionamento discorsivo, e rivela
      determinati aspetti della realtà – gli aspetti più profondi- che sfuggono a qualsiasi
      altro mezzo di conoscenza»42.
          Eppure il simbolo si è sempre trovato o ritrovato in posizione conflittuale, forse
      perché veniva collegato - impropriamente - alla tematica del mito, uso mito con M.
      Eliade cioè quale racconto di eventi fondatori sopraggiunti in illo tempore, e che P.
      Ricoeur chiama un racconto delle origini.
          Un antico detto recita infatti «aut logos aut mythos». L’esclusione di uno dei due
      termini sembrava essenziale alla conduzione di un indagine seria. Già Aristotele
      infatti parla di «elucubrazioni mitologiche»43.
          Il logos perciò si apparenta al discorso rigoroso e univoco, considerato quale
      ambito di comunicazione della verità, il mythos invece al dire simbolico, mitico,
      incapace di dischiudere l’accesso alla verità.

38
   LOMBARDI VALLAURI L., Nera luce, Saggio su cattolicesimo e apofatismo, Le Lettere, Firenze, 2001,
143.
39
   MARTINI C. .M., Nel cuore della …, o. c., 21.
40
   VARONE F., Se pensi che Dio ami la sofferenza, EDB 1995, 87.
41
   RICOEUR P., Finitudine e colpa, Il Mulino, Bologna, 1970, 255.
42
   MIRCEA E., Immagini e simboli. Saggi sul simbolismo magico religioso, Jaca Book, Milano, 1981, 16.
43
   ARISTOTELE, Metafisica, B4, traduzione a cura di G. Reale, L. Loffredo, Napoli, 1978.
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