Francescano: all'insegna del dialogo - Diocesi di Cremona
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A Bologna il Festival Francescano: 150 eventi all’insegna del dialogo Ci sono avvenimenti destinati a cambiare la storia, altri a farla. E’ il caso dell’incontro straordinario tra Francesco d’Assisi e il Sultano d’Egitto, al-Malik al-Kamil, accaduto 800 anni fa in una città sul delta del Nilo chiamata Damietta. Era il 1219 quando il Frate Santo, nel pieno della quinta crociata, decise di scendere in campo per promuovere la pace con la benedizione e il permesso di Papa Onorio III. Così, mentre sulle due rive del Mediterraneo scorrevano l’odio, il sangue e la violenza, San Francesco partì per l’Egitto con un’unica missione: far si che il Vangelo incontrasse il Corano, che il Cristianesimo cercasse la mano dell’Islam per il bene del mondo intero. Un gesto inatteso, profetico, potente nelle intenzioni e nei risvolti, ma rimasto per molto tempo “poco glorioso”, anzi considerato dai più un fallimento perché nell’immediato il Poverello D’Assisi non convertì il Sultano e nemmeno ne uscì martire ma è proprio nel suo desiderio profondo di scendere tra i musulmani, senza borsa né bisaccia, con l’unica arma del rispetto e dell’annuncio della Parola di Dio, che si colloca ancora oggi la rotta da cui partire nella ricerca di intesa e armonia tra Oriente e Occidente. 150 eventi per provare a dialogare Ma che cosa racconta quel fatto agli uomini di oggi? A questo interrogativo cercherà di rispondere l’undicesima edizione del Festival Francescano, che si terrà a Bologna dal 27 al 29 settembre 2019. Oltre 150 eventi, tutti gratuiti che, “Attraverso parole”, porteranno in Piazza Maggiore, cuore spirituale e civile della città, prove di dialogo: conferenze, spettacoli, workshop, mostre, la biblioteca vivente,
attraverso la quale potranno essere presi in prestito “libri in carne ed ossa” che tanto hanno da raccontare per superare pregiudizi, paure, esclusione, vere piaghe del nostro secolo. Ancora, fast conference, contraddittori, testimonianze e performance teatrali. Un programma ricco, con ospiti di eccezione, per creare, con uno stile francescano, un confronto tra posizioni anche molto distanti tra loro. La tenda dell’incontro Una novità su tutte: la tenda dell’incontro che come quella biblica di Abramo, rappresenterà il paradigma dell’ospitalità. “La tenda – dice fra’ Dino Dozzi, direttore scientifico del Festival, è il simbolo dell’evento e il cuore del messaggio che vogliamo trasmettere: ascoltare l’altro, trovare delle mediazioni per diventare famiglia umana, come il nostro Papa ci chiede, e non una gabbia di animali che si sbranano tra loro. In questo spazio la diversità deve diventare motivo di conoscenza vicendevole e arricchimento. Per rendere nuovamente possibile l’incontro fra persone, occorre ritornare ad usare parole che siano cariche di senso e gravi di responsabilità, altrimenti rischiamo di distruggerci”. Ascolta l’intervista a fra Dino Dozzi https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2019/07/16/14/1351 35212_F135135212.mp3 Costruire il futuro “Sulle orme di Francesco – aggiunge il presidente del Festival, fra’ Giampaolo Cavalli, la nostra missione è quella di conciliare idee diverse, cercare percorsi, strade possibili per costruire il futuro. Il mondo francescano vuole ancora una volta attraverso il Festival riaffermare la propria vocazione, il proprio desiderio di incontro con tutte le persone qualsiasi sia l’estrazione sociale, il luogo, di provenienza, la storia, ricordando che Francesco oltre a dialogare col capo saraceno, dialogava con i reietti, gli animali, il lupo, la
gente di Gubbio”. Dialogo interreligioso e non solo Alla presenza dell’arcivesco di Bologna, mons. Matteo Zuppi, l’ex brigatista Adriana Faranda e la figlia di Aldo Moro, Agnese, parleranno del percorso di “giustizia riparativa che le vede coinvolte”. Atteso anche il dialogo tra teologi cristiani e musulmani, tra l’economista Romano Prodi e il gesuita direttore de “La Civiltà Cattolica”, Antonio Spadaro sui rapporti tra Occidente e Cina. Tra gli spettacoli in Piazza Maggiore, quello con il cantante e musicista Simone Cristicchi che si esibirà con l’Orchestra Collegium Musicum Almae Matris nel tour “Abbi cura di me”. In questi tre giorni non si affronterà la questione da un punto di vista teorico, un approccio che troppo spesso conduce a “un altruismo a basso prezzo”, ribadiscono gli organizzatori, al contrario, si cercherà di mettere in atto prove di dialogo, su argomenti che interessano tutti. Non solo, dunque, dialogo tra le religioni, bensì confronto tra generazioni, culture, generi, discipline. Il Festival è organizzato in collaborazione con Comune e Chiesa di Bologna, patrocinato dalla Città, dalla Regione Emilia-Romagna e dalla CEI, sostenuto da BPER Banca e Nykor Pilot Pen. Il programma completo su www.festivalfrancescano.it Leader musulmani ribadiscono l’adesione al Documento sulla Fratellanza “Un punto di partenza” e “di non ritorno”. Così, secondo quanto riportato da “La Croix”, 22 leader e intellettuali
musulmani sunniti, sciiti e sufi definiscono il Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, nel corso della visita di Papa Francesco tenutasi dal 3 al 5 febbraio scorso. Un documento congiunto e sottoscritto insieme al Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb per ribadire insieme che la cultura del dialogo è la via per vivere in pace, conoscendosi reciprocamente. La Fratellanza per la conoscenza e la cooperazione E’ il titolo del testo di 15 pagine nato su iniziativa dell’Imam Yahya Pallavicini, presidente della Coreis italiana (Comunità religiosa islamica), insieme all’Istituto di Studi Islamici in Francia e ad un piccolo gruppo di altri leader musulmani che avevano già firmato la Lettera dei 138 intellettuali musulmani a Papa Benedetto XVI, nel 2007, o alla Dichiarazione di Marrakesh sulle minoranze religiose nel 2016. Nel testo si definisce il Documento sulla Fratellanza Umana come “un evento istituzionale senza precedenti nella storia delle relazioni tra cristiani e musulmani”, il segno dell’apertura di una nuova fase orientata “verso il riconoscimento della legittimità e la provvidenziale diversità di rivelazioni, teologie, religioni, lingue e comunità religiose”. Diversità per mettere in pratica la fraternità I 22 leader e intellettuali musulmani evidenziano come le diversità non siano più considerate “come una chiamata alla conquista o al proselitismo, o un pretesto per una semplice tolleranza di facciata”, ma piuttosto un’opportunità per mettere in pratica la fraternità che è “una vocazione contenuta nel piano di Dio per la creazione”. Pertanto, il dialogo interreligioso, che era già “raccomandato dal Corano”, appare oggi “vitale”. Costruire una rete di dialogo tra cristiani e musulmani
L’intento del recente testo – riferisce l’Imam Pallavicini – è quello di esortare alla riflessione “sulla Dichiarazione, sul suo metodo, sul suo linguaggio: discuterne in modo fraterno, possibilmente critico, ma senza escludere apertamente il testo per ragioni ideologiche o politiche”. Il direttore del Coreis sottolinea che la firma di Abu Dhabi ha generato delle divisioni all’interno del mondo musulmano, non sono mancate critiche per l’iniziativa condotta dagli Emirati Arabi e portata avanti dal Grande Imam di Al-Azhar. Alcuni esponenti religiosi hanno anche deciso di non sottoscrivere il testo: “La Fratellanza per la conoscenza e la cooperazione”. Chi ha firmato – ha spiegato Pallavicini – intende raccogliere l’invito a costruire una “fraternità umana” oltre i confini religiosi, l’intenzione è di “promuovere iniziative locali sulla base di questa dichiarazione”, anche “a livello accademico”, costituendo una “rete di sostegno al dialogo tra cristiani e musulmani”. Caso Bibbiano, non gettare nella spazzatura il valore dell’affido “Questa iniziativa può essere anche valida ma non deve andare a minare un iter già strutturato e collaudato, regolato da due leggi e con percorsi ben definiti. Laddove vengano accertati abusi questi vanno assolutamente perseguiti, da qualsiasi parte vengano, ma ciò che serve è potenziare l’istituto dell’affidamento”.
In un’intervista al Sir Giovanni Paolo Ramonda, responsabile dell’ Associazione comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23) commenta in questi termini l’annuncio del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede di voler istituire presso il dicastero, a seguito della vicenda degli affidi in Val d’Enza, in provincia di Reggio Emilia, sulla quale sta indagando la magistratura, una “squadra speciale di giustizia per la protezione dei bambini” per “fare in modo che il sistema giustizia possa avere il monitoraggio costante e serratissimo di tutto il percorso dei bambini affidati”. L’Apg23 fin dalle origini si occupa di affido, sia con case famiglia (oggi 250 in tutto il mondo) – la prima aperta a Coriano, Rimini, nel 1973 per volere del fondatore don Oreste Benzi – sia con una rete di famiglie affidatarie che accolgono soprattutto bambini con gravi problematiche comportamentali o con grandi disabilità. “In Italia – prosegue il responsabile – ci si occupa di affidamento da decenni; si tratta di un’esperienza collaudata e consolidata ed è incontestabile la validità di questo istituto che ha lo scopo di sostenere famiglie di origine in difficoltà ed eventualmente, in caso di bisogno, di collocarne temporaneamente i figli minori in altri nuclei familiari o in case famiglia. Si tratta sempre di minori non adottabili che non possono rientrare nella loro famiglia d’origine a causa di una comprovata incapacità genitoriale”. Per Ramonda il sistema attuale “è consolidato e caratterizzato da una buona capacità di lavorare fra tribunali dei minori, servizi sociali, associazioni e famiglie”. Il responsabile di Apg23 non nasconde poi che “qua e là si possano riscontrare incapacità o mancanze. Certamente – dice – tutto può essere migliorato ma in generale mi sembra che tutti i soggetti coinvolti normalmente lavorano bene”.
Di qui l’auspicio che la misura annunciata dal ministro Bonafede non incrini in qualche modo un meccanismo che funziona. “Sulla vicenda di Bibbiano va fatta chiarezza, ci mancherebbe! Negli anni ci sono già stati episodi su cui è stato necessario fare accertamenti, ma questo non può indurre a gettare nella spazzatura il valore dell’affido né può far venir meno il valore di un sistema collaudato, consolidato ed efficiente. Grazie all’affido tante famiglie hanno aperto e aprono la loro casa e il loro cuore donando gratuitamente a bambini in difficoltà amore anzitutto, ma anche capacità e competenze”. “Anzi – rilancia Ramonda – l’affido va piuttosto potenziato. Anzitutto con strumenti educativi ed economici nei confronti della famiglia di origine. Il bambino – sottolinea – va dato in affidamento solo quando è inevitabile. Contemporaneamente bisogna lavorare per risolvere i problemi alla base del suo allontanamento e quindi fare di tutto affinché, sempre nella famiglia d’origine, si ricreino le condizioni necessarie per il rientro del minore stesso”. Non ultimo, poi, è opportuno “vagliare attentamente le capacità genitoriali delle famiglie affidatarie e sostenerle sia economicamente sia a livello educativo. In parte già accade, ma occorre investire di più mentre il valore dell’affidamento familiare in questi anni è stato un po’ trascurato”. Sulla vicenda di Bibbiano Luigi Fadiga, già Garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Emilia fino a novembre 2016, racconta al Sir di avere conosciuto in quegli anni i servizi sociali di Bibbiano. “Una realtà a mio avviso composta dapersone per bene, piene di buona volontà e assolutamente disinteressate, ma in numero insufficiente. Per questo – sottolinea – è importante rafforzare l’organico delle strutture pubbliche dedicate ai servizi sociali”. Riguardo poi l’eventuale realizzazione della squadra di esperti a tutela dei minori annunciata dal ministro Bonafede, Fadiga invoca la
presenza di figure competenti e autorevoli, “una per tutte lo psichiatra Luigi Cancrini”. Vescovi italiani per la Giornata del ringraziamento: il pane è fonte di vita e di giustizia “Il pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo, diventi alimento di vita, di dignità e di solidarietà”. In un Messaggio per la 69.esima Giornata nazionale del ringraziamento, il prossimo 10 novembre, i vescovi italiani auspicano che “il pane sia accolto in stili di vita senza spreco e senza avidità, capaci di gustarlo con gratitudine, nel segno del ringraziamento, senza le distorsioni della sua realtà”. Il pane, infatti, “è fonte di vita, espressione di un dono nascosto che è ben più che solo pane, di una misericordia radicale, che tutto valorizza e trasforma”. Pane di giustizia Il pane, rimarcano i presuli, dovrebbe essere prodotto “ogni giorno rispettando la terra e i suoi frutti, valorizzandone la biodiversità e garantendo condizioni giuste ed equa remunerazione” per “chi la lavora”, evitando “le forme di caporalato, di lavoro nero o di corruzione”. Il pane, si legge nel Messaggio, “non può essere usato per vere e proprie guerre economiche, che i paesi economicamente forti conducono sul piano della filiera di commercializzazione, per imporre un certo tipo di produzione ai mercati più deboli”. Nulla,
dunque, “neppure le forme della produzione industriale”, “deve offuscare la realtà di un pane che nasce dalla terra e dall’amore di chi la lavora, per la buona vita di chi lo mangerà”. Germe di pace La forza simbolica del pane si trasfigura nell’Eucaristia, aiutando a comprendere “la realtà di un pane che è fatto per essere spezzato e condiviso, nell’accoglienza reciproca”. Nella preghiera cristiana del Padre nostro, insistono i vescovi italiani, “chiediamo a Dio di darci ‘il nostro pane quotidiano’: una richiesta che ciascuno non fa solo per sé, ma per tutti. Se si chiede il pane, lo si chiede per ogni uomo”. “Per tanti popoli il pane non è solo un cibo come tanti altri, ma elemento fondamentale, che spesso è base per una buona vita – concludono – quando manca, invece, è la vita stessa ad essere a repentaglio e ci si trova esposti ad un’insicurezza che alimenta tensioni sociali e conflitti laceranti”. Il messaggio completo da Avvenire.it Scuola, una liberazione? Quante cose, sentimenti, problematiche, si “nascondono” dietro il suono dell’ultima campanella della scuola. Già, perché, salvo alcune eccezioni, è finito un altro anno scolastico – almeno quella parte dedicata alle lezioni in aula – e di fronte a una marea di studenti, più o meno grandi – si apre un spazio enorme da riempire. E non solo per loro: le famiglie si trovano più o meno all’improvviso a dover gestire problematiche di non poco conto, soprattutto quelle con bambini ancora piccoli – i ragazzini della primaria – e con le incombenze del lavoro che portano i genitori fuori casa tutto
il giorno. Non è facile trovare la quadra e soprattutto non è facile trovarla “che funzioni”, cioè individuare e offrire opportunità a minori che rischiano spesso di rimanere lasciati a loro stessi. Ma se agli occhi degli adulti sono spesso le preoccupazioni a venire associate all’ultima campanella, non è tanto differente nemmeno per gli studenti. Chi ha in casa degli adolescenti è abituato da tempo a sentire il fatidico “non ce la faccio più”…. “Finalmente finisce”. Sa quanto è diventato sempre più difficile sollevare dal letto ragazze e ragazzi che in molti casi sono già fisicamente uomini, veri e propri “armadi” da spostare di forza. Perché i mesi passati sui banchi, la primavera, il caldo sempre “insopportabile” – anche con un meteo che in molte Regioni non è stato davvero finora così favorevole al sole – si infilano tutti insieme, di prepotenza, nell’imbuto del “fine scuola”. “Non se ne può più….” Ma di cosa, in realtà? Perché, sempre con gli occhi degli studenti (adolescenti) non di rado questo atteggiamento di attesa spasmodica della “liberazione” si accompagna alla preoccupazione di non sapere assolutamente come gestire il tempo improvvisamente svuotato dai riti quotidiani. Sì, quelli pesanti, noiosi, insopportabili di ogni mattina, ma capaci di dare senso e significato alle giornate. Che fare, dunque? Come riempire il vuoto? Non che manchino, al giorno d’oggi, le opportunità, ma non è sempre facile – e torna in campo a responsabilità/capacità degli adulti – organizzare e proporre in modo credibile occasioni di esperienza lavorativa, di scambi di volontariato o chissà cos’altro. Certo gli adulti – ancora loro – non possono fare a meno di pensarci e di farlo possibilmente “insieme”, nel senso che attivare sinergie, cercare collaborazione, agire come una “comunità educante” resta la chiave di volta anche in tempo non scolastico. Due parole, infine, su chi l’ultima campanella la vive come… penultima. Perché sa di avere davanti una tempo di esami. In particolare i più grandi che devono affrontare la maturità: si
parte il 19 giugno. E qui si apre un mondo, con mille e mille sfaccettature che vanno dall’ansia legittima di chi comprende il senso del “fine corsa”, della valutazione determinante, fino all’incoscienza di chi ancora non si è reso conto di dove si trova (esperienza incredibilmente comune). Ansie che coinvolgono ragazzi ed adulti in un intreccio perverso troppo intricato da districare in queste righe e che viene ampiamente amplificato dai media, tra consigli di studio e… di dieta. Quindi, niente suggerimenti in più, se non un incoraggiamento: vale la pena di affrontare l’esame con lo spirito di chi si mette alla prova come in una competizione sportiva. Bisogna essersi allenati, è indubbio, ma anche confidare nelle proprie risorse. Coraggio e in bocca al lupo.Alberto Campoleoni “La Cattedrale di Sicardo”. Giovedì 4 luglio visita serale con Crart L’Associazione culturale CrArT e la Diocesi di Cremona presentano giovedì 4 luglio (ore 21) “La Cattedrale di Sicardo: numeri, forme e colori nella simbologia cristiana”: evento esclusivo serale in Cattedrale alla scoperta delle origini della chiesa, letta attraverso lo sguardo e le parole del vescovo Sicardo. La prima parte della serata sarà dedicata all’approfondimento della storia della Cattedrale del XII secolo e dalla vita di Sicardo: la canonizzazione di Omobono Santo, la stesura del
“Mitrale” e la sua attività nella ricostruzione della chiesa. A seguire un itinerario negli spazi dell’edificio sacro accompagnerà i visitatori alla scoperta della simbologia degli elementi architettonici così come sono descritti dal vescovo nel “Mitrale”, la cui lettura accompagnerà la visita. Sarà inoltre possibile accedere allo spazio della Cripta dove potere osservare le reliquie del patrono e il mosaico relativo al periodo della chiesa delle origini. L’evento in collaborazione con l’IIS Luigi Einaudi per il progetto alternanza scuola-lavoro vede la partecipazione attiva di alcune studentesse nel corso della visita guidata, già coinvolte nella parte organizzativa e logistica della serata. La partecipazione è gratuita. Ritrovo alle 20.50. Per informazioni: info@crart.it – 338 8071208 Locandina La donna in parole e musica: tre serate a luglio nella parrocchia di Paderno Ponchielli Poesia e musica si incontrano nelle tre serate proposte per il mese di luglio dalla parrocchia di San Dalmazio a Paderno Ponchielli nella rassegna «I mercoledì della canonica». Gli incontri, curati dal direttore artistico Mario Vitale e intitolati «Quel mistero senza fine», saranno dedicati alla
donna nella poesia, nella Sacra Scrittura e nella letteratura, con letture recitate e intermezzi musicali. Tutti gli appuntamenti si terranno alle ore 21 presso la parrocchia (ingresso dal cancello di via Marco Gerolamo Vida). Ecco il programma completo: 3 LUGLIO “Io voglio del ver la mia donna laudare”. La donna nella poesia Voce recitante: Francesco Montuori Violino: Alessandro Ceravolo Pianoforte: Emanuele Scaramuzza 10 LUGLIO “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto!”. La donna nella Sacra Scrittura Voce recitante: Daniela Coelli Soprano: Elisa Maffi Pianoforte: Alessandro Manara 17 LUGLIO “Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna!”. La donna nella letteratura Voce recitante: Daniela Coelli Musica: Romantic Jazz Quartet (Samantha Iorio – Rita Bacchilega – Gianni Satta – Alberto Venturini)
Giornata dei poveri. Papa: non sono numeri ma persone cui andare incontro “La speranza dei poveri non sarà mai delusa” (Sal 9,19). Le parole del Salmo danno il titolo al Messaggio del Papa per la terza Giornata Mondiale dei Poveri che il Pontefice stesso ha istituito al termine del Giubileo della Misericordia e che ricorre il 17 novembre. Ne sono protagonisti uomini, donne, giovani, bambini: vittime delle nuove schiavitù che li rendono immigrati, orfani, senzatetto, emarginati. I poveri sono il frutto sempre più numeroso di una società dai forti squilibri sociali che costruisce muri e sbarra ingressi e che vorrebbe sbarazzarsi di loro; ma sono anche coloro che “confidano nel Signore” e la Chiesa, come ciascun cristiano, è chiamata ad un impegno particolare nei loro confronti. Sviluppo, sperequazione e nuove schiavitù Il filo conduttore del Messaggio è dunque il Salmo le cui parole, spiega il Papa, manifestano innanzitutto una “incredibile attualità”. Oggi, come all’epoca della composizione del Salmo, un “grande sviluppo economico” ha generato una sperequazione tale da arricchire gruppi di persone a scapito di una massa resa sempre più povera: indigenti a cui “manca il necessario” e “privilegiati” che “senza alcun senso di Dio” danno la caccia ai poveri per “impossessarsi perfino del poco che hanno” e per ridurli in schiavitù. Eccoli i “nuovi schiavi” che Francesco nomina: famiglie costrette a emigrare per vivere, orfani sfruttati, giovani senza lavoro per “politiche miopi”, immigrati “vittime di interessi” e strumentalizzazioni, prostitute, drogati,
tanti “senzatetto ed emarginati” che si aggirano per le nostre città: Quante volte vediamo i poveri nelle discariche a raccogliere il frutto dello scarto e del superfluo, per trovare qualcosa di cui nutrirsi o vestirsi! Diventati loro stessi parte di una discarica umana sono trattati da rifiuti, senza che alcun senso di colpa investa quanti sono complici di questo scandalo. Giudicati spesso parassiti della società, ai poveri non si perdona neppure la loro povertà. Il giudizio è sempre all’erta. Non possono permettersi di essere timidi o scoraggiati, sono percepiti come minacciosi o incapaci, solo perché poveri. Poveri senza speranza nella società E ” dramma nel dramma” aggiunge il Papa, ai poveri di oggi è tolta anche la speranza di “vedere la fine del tunnel della miseria” , tanto che si è giunti anche a “teorizzare e realizzare un’architettura ostile in modo da sbarazzarsi della loro presenza anche nelle strade, ultimi luoghi di accoglienza”. I poveri “trattati con retorica”, “sopportati con fastidio”, ” braccati” come in una “battuta di caccia”, non desiderano alla fine altro che diventare “invisibili”, “trasparenti”: Vagano da una parte all’altra della città, sperando di ottenere un lavoro, una casa, un affetto… Ogni eventuale possibilità offerta, diventa uno spiraglio di luce; eppure, anche là dove dovrebbe registrarsi almeno la giustizia, spesso si infierisce su di loro con la violenza del sopruso. Sono costretti a ore infinite sotto il sole cocente per raccogliere i frutti della stagione, ma sono ricompensati con una paga irrisoria; non hanno sicurezza sul lavoro né condizioni umane che permettano di sentirsi uguali agli altri. Non esiste per loro cassa integrazione, indennità, nemmeno la possibilità di ammalarsi.
Il povero confida nel Signore: il suo grido abbraccia la terra La descrizione che ne fa il Salmo si colora di “tristezza per l’ingiustizia, la sofferenza e l’amarezza che colpisce i poveri”. Ma nonostante questo, rileva il Papa, il Salmo “offre una bella definizione del povero”. Egli è colui che “confida bel Signore”( cfr v.11) e in questa confidenza – rimarca – c’è la “certezza di non essere mai abbandonato, “perciò vive sempre alla presenza di quel Dio che si ricorda di lui”. E Dio, sottolinea il Papa riprendendo ancora le parole del Salmo, è “colui che rende giustizia e non dimentica”: Si possono costruire tanti muri e sbarrare gli ingressi per illudersi di sentirsi sicuri con le proprie ricchezze a danno di quanti si lasciano fuori. Non sarà così per sempre. Il “giorno del Signore”, come descritto dai profeti (cfr Am 5,18; Is 2-5; Gl 1-3), distruggerà le barriere create tra Paesi e sostituirà l’arroganza di pochi con la solidarietà di tanti. La condizione di emarginazione in cui sono vessati milioni di persone non potrà durare ancora a lungo. Il loro grido aumenta e abbraccia la terra intera. Rianimare la speranza e restituire la fiducia Quanto è pressante il richiamo che le Sacre Scritture affidano ai poveri, oppressi e prostrati, ma sempre amati: “Gesù non ha mai avuto timore di identificarsi con ciascuno di essi”, a loro nelle Beatitudini ha dato in appartenenza il Regno di Dio e a loro Gesù si è “sempre mostrato come padre generoso e inesauribie nella sua bontà”. Ecco, scrive il Papa, quanto Gesù ha iniziato, ponendo al centro i poveri, ci deve essere di insegnamento: Lui ha inaugurato, ma ha affidato a noi, suoi discepoli, il compito di portarlo avanti, con la responsabilità di dare speranza ai poveri. È necessario, soprattutto in un periodo come il nostro, rianimare la speranza e restituire fiducia. È un programma che la comunità cristiana non può sottovalutare.
Ne va della credibilità del nostro annuncio e della testimonianza dei cristiani. Toccare la carne di Cristo, compromettersi nel servizio La Chiesa è “popolo”, chiarisce ancora Francesco, con la vocazione di “non far sentire nessuno straniero o escluso” in quanto coinvolti tutti in un medesimo “cammino di salvezza” : Siamo chiamati, piuttosto, a toccare la sua carne per comprometterci in prima persona in un servizio che è autentica evangelizzazione. La promozione anche sociale dei poveri non è un impegno esterno all’annuncio del Vangelo, al contrario, manifesta il realismo della fede cristiana e la sua validità storica. L’amore che dà vita alla fede in Gesù non permette ai suoi discepoli di rinchiudersi in un individualismo asfissiante, nascosto in segmenti di intimità spirituale, senza alcun influsso sulla vita sociale Come Jean Vanier, testimoni della speranza cristiana Un esempio di “grande apostolo dei poveri”, capace di acoltare il “loro grido” e di produrre in loro speranza, è stato Jean Vanier che il Papa cita nel Messaggio definendolo un “santo della porta accanto”. Morto nel maggio scorso a 90 anni, Vanier ha fondato L’Arche, una comunità di accoglienza per persone con disabilità, attiva in tutto il mondo con circa 150 centri: con il suo impegno quotidiano, scrive il Papa, “ha creato segni tangibili di amore concreto” e ha così “prodotto una speranza incrollabile”. Ecco dunque l’impegno che Francesco chiede ai cristiani perchè non sia tradita la loro credibilità. L’ “opzione per gli ultimi” deve essere una “scelta prioritaria” e non deve consistere solo in “iniziative di assistenza”. Servono un “cambiamento di mentalità” e un “impegno continuo nel tempo”: Non è facile essere testimoni della speranza cristiana nel contesto della cultura consumistica e dello scarto, sempre tesa ad accrescere un benessere superficiale ed effimero. È
necessario un cambiamento di mentalità per riscoprire l’essenziale e dare corpo e incisività all’annuncio del regno di Dio. La speranza si comunica anche attraverso la consolazione, che si attua accompagnando i poveri non per qualche momento carico di entusiasmo, ma con un impegno che continua nel tempo. I poveri acquistano speranza vera non quando ci vedono gratificati per aver concesso loro un po’ del nostro tempo, ma quando riconoscono nel nostro sacrificio un atto di amore gratuito che non cerca ricompensa. Appello ai volontari: più dedizione e dialogo fraterno Con un appello specifico il Papa si rivolge quindi ai volontari che “per primi hanno intuito l’importanza dell’attenzione ai poveri” e chiede loro uno scatto nella dedizione, nel ” cercare ciò di cui ogni poveri ha veramente bisogno”, “la bontà del loro cuore” al di là di culture, dei “modi di esprimersi”. Ciò richiede di mettere da parte “le divisioni che provengono da visioni ideologiche o politiche”: I poveri prima di tutto hanno bisogno di Dio, del suo amore reso visibile da persone sante che vivono accanto a loro, le quali nella semplicità della loro vita esprimono e fanno emergere la forza dell’amore cristiano. Dio si serve di tante strade e di infiniti strumenti per raggiungere il cuore delle persone. Certo, i poveri si avvicinano a noi anche perché stiamo distribuendo loro il cibo, ma ciò di cui hanno veramente bisogno va oltre il piatto caldo o il panino che offriamo. I poveri hanno bisogno delle nostre mani per essere risollevati, dei nostri cuori per sentire di nuovo il calore dell’affetto, della nostra presenza per superare la solitudine. Hanno bisogno di amore, semplicemente. I poveri non sono numeri ma persone a cui andare incontro A questo proposito il Papa rimarca quanto poco basti per “restituire la speranza” e quale “forza salvifica” ci sia nei poveri, uan forza visibile e sperimentabile con la fede e non
con gli “occhi umani”: A volte basta poco per restituire speranza: basta fermarsi, sorridere, ascoltare. Per un giorno lasciamo in disparte le statistiche; i poveri non sono numeri a cui appellarsi per vantare opere e progetti. I poveri sono persone a cui andare incontro: sono giovani e anziani soli da invitare a casa per condividere il pasto; uomini, donne e bambini che attendono una parola amica. I poveri ci salvano perché ci permettono di incontrare il volto di Gesù Cristo. Seminare segni tangibili di speranza Questa forza salvifica “pulsa nel cuore del popolo di Dio in cammino” fa notare il Papa e non “esclude nessuno” anzi coinvolge tutti in un “reale pellegrinaggio di conversione per riconoscere i poveri e d amarli”. Al termine del Messaggio quindi il nuovo invito rivolto “ai discepoli del Signore” perchè possano essere “coerenti evangelizzatori”: seminare segni tangibili di speranza. A tutte le comunità cristiane e a quanti sentono l’esigenza di portare speranza e conforto ai poveri, chiedo di impegnarsi perché questa Giornata Mondiale possa rafforzare in tanti la volontà di collaborare fattivamente affinché nessuno si senta privo della vicinanza e della solidarietà. Siria, la presenza francescana come segno di
speranza “Incoraggiamo la gente a vivere questo momento come una testimonianza e una missione. Stiamo vicino a chi non riesce ad arrivare a fine mese. Quindi, sicuramente, la nostra presenza è un segno di speranza per la gente che vive in Siria. Così Padre Bahjat Elia Karakach apre l’intervista a Vatican News. Frate minore della custodia di Terra Santa, parroco della chiesa latina di Damasco e custode dell’annesso convento. La situazione a Damasco Attualmente la situazione a Damasco è migliorata. “Si vive – racconta p. Karakach – senza paura di attacchi e di atti terroristici, però c’è una situazione economica molto difficile, c’è la recessione economica. La gente non ha molta speranza nel futuro. È una situazione che genera un po’ di disperazione, e spinge la gente a emigrare per cercare fuori una vita migliore”. Ascolta l’intervista a Bahjat Elia Karakach https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2019/07/15/11/1351 33072_F135133072.mp3 I cristiani presenti e attivi nella società “I cristiani – afferma p. Karakach – continuano ad essere molto presenti e attivi nella società, attraverso la carità e il dialogo. Direi che si tratta di una presenza molto qualitativa. Anche se rappresentiamo una minoranza, siamo molto presenti e attivi. Con la fede si possono vivere le sofferenze come una testimonianza cristiana “Con gli occhi della fede – dichiara p. Karakach- tutto può acquistare un senso diverso. Anche una situazione difficile,
quando si ha la fede, si può vivere come una testimonianza e una missione. E’ questo il senso della nostra presenza qui come cristiani, ed è quello che cerchiamo di trasmettere alle nostre comunità. Non bisogna vedere solo la sofferenza da un punto di vista terreno, ma bisogna trovare un senso nella sofferenza, che è quello di partecipare alla croce di Cristo per la redenzione del mondo. Un dialogo interreligioso praticato ogni giorno Il dialogo con i musulmani – conclude p. Karakach – non è un dialogo fatto di teorie. Raramente si fa ufficialmente un incontro di dialogo. Questo, forse, si fa più in Occidente. Noi viviamo insieme ogni giorno. Abbiamo le stesse sfide e le stesse difficoltà. Anche i rapporti di amicizia e di lavoro sono tutti intessuti di dialogo. Non si può vivere senza dialogo. Qui il cristiano è conosciuto per questa apertura verso l’altro, quindi anche di dare una testimonianza per l’amore di Cristo. Non è della Caritas il punto di raccolta indumenti di via Vecchia a Cremona In merito alla notizia apparsa in data 25 giugno 2019 su alcuni organi di informazione locale, in cui si indica come «cassonetto della Caritas» il punto di raccolta di indumenti usati ubicato preso il parcheggio di un supermercato in via Vecchia a Cremona che ha suscitato le rimostranze di un gruppo di residenti del quartiere per lo stato di abbandono in cui versa, la Caritas Diocesana precisa che non si tratta di una struttura gestita da Caritas Cremonese.
I punti di raccolta indumenti della Caritas diocesana sono infatti collocati tutti presso strutture delle parrocchie che contribuiscono alla gestione di tale servizio caritativo.
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