Francescano: all'insegna del dialogo - Diocesi di Cremona

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A   Bologna   il   Festival
Francescano:   150   eventi
all’insegna del dialogo
Ci sono avvenimenti destinati a cambiare la storia, altri a
farla. E’ il caso dell’incontro straordinario tra Francesco
d’Assisi e il Sultano d’Egitto, al-Malik al-Kamil, accaduto
800 anni fa in una città sul delta del Nilo chiamata Damietta.
Era il 1219 quando il Frate Santo, nel pieno della quinta
crociata, decise di scendere in campo per promuovere la pace
con la benedizione e il permesso di Papa Onorio III. Così,
mentre sulle due rive del Mediterraneo scorrevano l’odio, il
sangue e la violenza, San Francesco partì per l’Egitto con
un’unica missione: far si che il Vangelo incontrasse il
Corano, che il Cristianesimo cercasse la mano dell’Islam per
il bene del mondo intero. Un gesto inatteso, profetico,
potente nelle intenzioni e nei risvolti, ma rimasto per molto
tempo “poco glorioso”, anzi considerato dai più un fallimento
perché nell’immediato il Poverello D’Assisi non convertì il
Sultano e nemmeno ne uscì martire ma è proprio nel suo
desiderio profondo di scendere tra i musulmani, senza borsa né
bisaccia, con l’unica arma del rispetto e dell’annuncio della
Parola di Dio, che si colloca ancora oggi la rotta da cui
partire nella ricerca di intesa e armonia tra Oriente e
Occidente.

150 eventi per provare a dialogare

Ma che cosa racconta quel fatto agli uomini di oggi? A questo
interrogativo cercherà di rispondere l’undicesima edizione del
Festival Francescano, che si terrà a Bologna dal 27 al 29
settembre 2019. Oltre 150 eventi, tutti gratuiti che,
“Attraverso parole”, porteranno in Piazza Maggiore, cuore
spirituale e civile della città, prove di dialogo: conferenze,
spettacoli,   workshop,   mostre,    la   biblioteca   vivente,
attraverso la quale potranno essere presi in prestito “libri
in carne ed ossa” che tanto hanno da raccontare per superare
pregiudizi, paure, esclusione, vere piaghe del nostro secolo.
Ancora, fast conference, contraddittori, testimonianze e
performance teatrali. Un programma ricco, con ospiti di
eccezione, per creare, con uno stile francescano, un confronto
tra posizioni anche molto distanti tra loro.

La tenda dell’incontro

Una novità su tutte: la tenda dell’incontro che come quella
biblica di Abramo, rappresenterà il paradigma dell’ospitalità.
“La tenda – dice fra’ Dino Dozzi, direttore scientifico del
Festival, è il simbolo dell’evento e il cuore del messaggio
che vogliamo trasmettere: ascoltare l’altro, trovare delle
mediazioni per diventare famiglia umana, come il nostro Papa
ci chiede, e non una gabbia di animali che si sbranano tra
loro. In questo spazio la diversità deve diventare motivo di
conoscenza vicendevole e arricchimento. Per rendere nuovamente
possibile l’incontro fra persone, occorre ritornare ad usare
parole che siano cariche di senso e gravi di responsabilità,
altrimenti rischiamo di distruggerci”.

            Ascolta l’intervista a fra Dino Dozzi

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2019/07/16/14/1351
35212_F135135212.mp3

Costruire il futuro

“Sulle orme di Francesco – aggiunge il presidente del
Festival, fra’ Giampaolo Cavalli, la nostra missione è quella
di conciliare idee diverse, cercare percorsi, strade possibili
per costruire il futuro. Il mondo francescano vuole ancora una
volta attraverso il Festival riaffermare la propria vocazione,
il proprio desiderio di incontro con tutte le persone
qualsiasi sia l’estrazione sociale, il luogo, di provenienza,
la storia, ricordando che Francesco oltre a dialogare col capo
saraceno, dialogava con i reietti, gli animali, il lupo, la
gente di Gubbio”.

Dialogo interreligioso e non solo

Alla presenza dell’arcivesco di Bologna, mons. Matteo Zuppi,
l’ex brigatista Adriana Faranda e la figlia di Aldo Moro,
Agnese, parleranno del percorso di “giustizia riparativa che
le vede coinvolte”. Atteso anche il dialogo tra teologi
cristiani e musulmani, tra l’economista Romano Prodi e il
gesuita direttore de “La Civiltà Cattolica”, Antonio Spadaro
sui rapporti tra Occidente e Cina. Tra gli spettacoli in
Piazza Maggiore, quello con il cantante e musicista Simone
Cristicchi che si esibirà con l’Orchestra Collegium Musicum
Almae Matris nel tour “Abbi cura di me”. In questi tre giorni
non si affronterà la questione da un punto di vista teorico,
un approccio che troppo spesso conduce a “un altruismo a basso
prezzo”, ribadiscono gli organizzatori, al contrario, si
cercherà di mettere in atto prove di dialogo, su argomenti che
interessano tutti. Non solo, dunque, dialogo tra le religioni,
bensì confronto tra generazioni, culture, generi, discipline.
Il Festival è organizzato in collaborazione con Comune e
Chiesa di Bologna, patrocinato dalla Città, dalla Regione
Emilia-Romagna e dalla CEI, sostenuto da BPER Banca e Nykor
Pilot Pen. Il programma completo su www.festivalfrancescano.it

Leader musulmani ribadiscono
l’adesione al Documento sulla
Fratellanza
“Un punto di partenza” e “di non ritorno”. Così, secondo
quanto riportato da “La Croix”, 22 leader e intellettuali
musulmani sunniti, sciiti e sufi definiscono il Documento
sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza
comune, firmato ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, nel
corso della visita di Papa Francesco tenutasi dal 3 al 5
febbraio scorso. Un documento congiunto e sottoscritto insieme
al Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb per ribadire
insieme che la cultura del dialogo è la via per vivere in
pace, conoscendosi reciprocamente.

La Fratellanza per la conoscenza e la cooperazione

E’ il titolo del testo di 15 pagine nato su iniziativa
dell’Imam Yahya Pallavicini, presidente della Coreis italiana
(Comunità religiosa islamica), insieme all’Istituto di Studi
Islamici in Francia e ad un piccolo gruppo di altri leader
musulmani che avevano già firmato la Lettera dei 138
intellettuali musulmani a Papa Benedetto XVI, nel 2007, o alla
Dichiarazione di Marrakesh sulle minoranze religiose nel 2016.
Nel testo si definisce il Documento sulla Fratellanza Umana
come “un evento istituzionale senza precedenti nella storia
delle relazioni tra cristiani e musulmani”, il segno
dell’apertura di una nuova fase orientata “verso il
riconoscimento della legittimità e la provvidenziale diversità
di rivelazioni,   teologie,   religioni,   lingue    e   comunità
religiose”.

Diversità per mettere in pratica la fraternità

I 22 leader e intellettuali musulmani evidenziano come le
diversità non siano più considerate “come una chiamata alla
conquista o al proselitismo, o un pretesto per una semplice
tolleranza di facciata”, ma piuttosto un’opportunità per
mettere in pratica la fraternità che è “una vocazione
contenuta nel piano di Dio per la creazione”. Pertanto, il
dialogo interreligioso, che era già “raccomandato dal Corano”,
appare oggi “vitale”.

Costruire una rete di dialogo tra cristiani e musulmani
L’intento del recente testo – riferisce l’Imam Pallavicini – è
quello di esortare alla riflessione “sulla Dichiarazione, sul
suo metodo, sul suo linguaggio: discuterne in modo fraterno,
possibilmente critico, ma senza escludere apertamente il testo
per ragioni ideologiche o politiche”. Il direttore del Coreis
sottolinea che la firma di Abu Dhabi ha generato delle
divisioni all’interno del mondo musulmano, non sono mancate
critiche per l’iniziativa condotta dagli Emirati Arabi e
portata avanti dal Grande Imam di Al-Azhar. Alcuni esponenti
religiosi hanno anche deciso di non sottoscrivere il testo:
“La Fratellanza per la conoscenza e la cooperazione”. Chi ha
firmato – ha spiegato Pallavicini – intende raccogliere
l’invito a costruire una “fraternità umana” oltre i confini
religiosi, l’intenzione è di “promuovere iniziative locali
sulla base di questa dichiarazione”, anche “a livello
accademico”, costituendo una “rete di sostegno al dialogo tra
cristiani e musulmani”.

Caso Bibbiano, non gettare
nella spazzatura il valore
dell’affido
“Questa iniziativa può essere anche valida ma non deve andare
a minare un iter già strutturato e collaudato, regolato da due
leggi e con percorsi ben definiti. Laddove vengano accertati
abusi questi vanno assolutamente perseguiti, da qualsiasi
parte vengano, ma

 ciò che serve è potenziare l’istituto dell’affidamento”.
In un’intervista al Sir Giovanni Paolo Ramonda, responsabile
dell’ Associazione comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23)
commenta in questi termini l’annuncio del ministro della
Giustizia Alfonso Bonafede di voler istituire presso il
dicastero, a seguito della vicenda degli affidi in Val d’Enza,
in provincia di Reggio Emilia, sulla quale sta indagando la
magistratura, una “squadra speciale di giustizia per la
protezione dei bambini” per “fare in modo che il sistema
giustizia possa avere il monitoraggio costante e serratissimo
di tutto il percorso dei bambini affidati”.

L’Apg23 fin dalle origini si occupa di affido, sia con case
famiglia (oggi 250 in tutto il mondo) – la prima aperta a
Coriano, Rimini, nel 1973 per volere del fondatore don Oreste
Benzi – sia con una rete di famiglie affidatarie che accolgono
soprattutto bambini con gravi problematiche comportamentali o
con grandi disabilità. “In Italia – prosegue il responsabile –
ci si occupa di affidamento da decenni; si tratta di
un’esperienza collaudata e consolidata ed è incontestabile la
validità di questo istituto che ha lo scopo di sostenere
famiglie di origine in difficoltà ed eventualmente, in caso di
bisogno, di collocarne temporaneamente i figli minori in altri
nuclei familiari o in case famiglia. Si tratta sempre di
minori non adottabili che non possono rientrare nella loro
famiglia d’origine a causa di una comprovata incapacità
genitoriale”.

Per Ramonda

 il sistema attuale “è consolidato e caratterizzato da una
 buona capacità di lavorare fra tribunali dei minori, servizi
 sociali, associazioni e famiglie”.

Il responsabile di Apg23 non nasconde poi che “qua e là si
possano riscontrare incapacità o mancanze. Certamente – dice –
tutto può essere migliorato ma in generale mi sembra che tutti
i soggetti coinvolti normalmente lavorano bene”.
Di qui l’auspicio che la misura annunciata dal ministro
Bonafede non incrini in qualche modo un meccanismo che
funziona. “Sulla vicenda di Bibbiano va fatta chiarezza, ci
mancherebbe! Negli anni ci sono già stati episodi su cui è
stato necessario fare accertamenti, ma

 questo non può indurre a gettare nella spazzatura il valore
 dell’affido né può far venir meno il valore di un sistema
 collaudato, consolidato ed efficiente. Grazie all’affido
 tante famiglie hanno aperto e aprono la loro casa e il loro
 cuore donando gratuitamente a bambini in difficoltà amore
 anzitutto, ma anche capacità e competenze”.

“Anzi – rilancia Ramonda – l’affido va piuttosto potenziato.
Anzitutto con strumenti educativi ed economici nei confronti
della famiglia di origine. Il bambino – sottolinea – va dato
in affidamento solo quando è inevitabile. Contemporaneamente
bisogna lavorare per risolvere i problemi alla base del suo
allontanamento e quindi fare di tutto affinché, sempre nella
famiglia d’origine, si ricreino le condizioni necessarie per
il rientro del minore stesso”. Non ultimo, poi, è opportuno
“vagliare attentamente le capacità genitoriali delle famiglie
affidatarie e sostenerle sia economicamente sia a livello
educativo. In parte già accade, ma occorre investire di più
mentre il valore dell’affidamento familiare in questi anni è
stato un po’ trascurato”.

Sulla vicenda di Bibbiano Luigi Fadiga, già Garante per
l’infanzia e l’adolescenza della Regione Emilia fino a
novembre 2016, racconta al Sir di avere conosciuto in quegli
anni i servizi sociali di Bibbiano. “Una realtà a mio avviso
composta dapersone per bene, piene di buona volontà e
assolutamente disinteressate, ma in numero insufficiente. Per
questo – sottolinea – è importante rafforzare l’organico delle
strutture pubbliche dedicate ai servizi sociali”. Riguardo poi
l’eventuale realizzazione della squadra di esperti a tutela
dei minori annunciata dal ministro Bonafede, Fadiga invoca la
presenza di figure competenti e autorevoli, “una per tutte lo
psichiatra Luigi Cancrini”.

Vescovi   italiani  per   la
Giornata del ringraziamento:
il pane è fonte di vita e di
giustizia
“Il pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo, diventi
alimento di vita, di dignità e di solidarietà”. In un
Messaggio per la 69.esima Giornata nazionale del
ringraziamento, il prossimo 10 novembre, i vescovi italiani
auspicano che “il pane sia accolto in stili di vita senza
spreco e senza avidità, capaci di gustarlo con gratitudine,
nel segno del ringraziamento, senza le distorsioni della sua
realtà”. Il pane, infatti, “è fonte di vita, espressione di un
dono nascosto che è ben più che solo pane, di una misericordia
radicale, che tutto valorizza e trasforma”.

Pane di giustizia

Il pane, rimarcano i presuli, dovrebbe essere prodotto “ogni
giorno rispettando la terra e i suoi frutti, valorizzandone la
biodiversità e garantendo condizioni giuste ed equa
remunerazione” per “chi la lavora”, evitando “le forme di
caporalato, di lavoro nero o di corruzione”. Il pane, si legge
nel Messaggio, “non può essere usato per vere e proprie guerre
economiche, che i paesi economicamente forti conducono sul
piano della filiera di commercializzazione, per imporre un
certo tipo di produzione ai mercati più deboli”. Nulla,
dunque, “neppure le forme della produzione industriale”, “deve
offuscare la realtà di un pane che nasce dalla terra e
dall’amore di chi la lavora, per la buona vita di chi lo
mangerà”.

Germe di pace

La forza simbolica del pane si trasfigura nell’Eucaristia,
aiutando a comprendere “la realtà di un pane che è fatto per
essere spezzato e condiviso, nell’accoglienza reciproca”.
Nella preghiera cristiana del Padre nostro, insistono i
vescovi italiani, “chiediamo a Dio di darci ‘il nostro pane
quotidiano’: una richiesta che ciascuno non fa solo per sé, ma
per tutti. Se si chiede il pane, lo si chiede per ogni uomo”.
“Per tanti popoli il pane non è solo un cibo come tanti altri,
ma elemento fondamentale, che spesso è base per una buona vita
– concludono – quando manca, invece, è la vita stessa ad
essere a repentaglio e ci si trova esposti ad un’insicurezza
che alimenta tensioni sociali e conflitti laceranti”.

                Il messaggio completo da Avvenire.it

Scuola, una liberazione?
Quante cose, sentimenti, problematiche, si “nascondono” dietro
il suono dell’ultima campanella della scuola. Già, perché,
salvo alcune eccezioni, è finito un altro anno scolastico –
almeno quella parte dedicata alle lezioni in aula – e di
fronte a una marea di studenti, più o meno grandi – si apre un
spazio enorme da riempire. E non solo per loro: le famiglie si
trovano più o meno all’improvviso a dover gestire
problematiche di non poco conto, soprattutto quelle con
bambini ancora piccoli – i ragazzini della primaria – e con le
incombenze del lavoro che portano i genitori fuori casa tutto
il giorno. Non è facile trovare la quadra e soprattutto non è
facile trovarla “che funzioni”, cioè individuare e offrire
opportunità a minori che rischiano spesso di rimanere lasciati
a loro stessi.

Ma se agli occhi degli adulti sono spesso le preoccupazioni a
venire associate all’ultima campanella, non è tanto differente
nemmeno per gli studenti. Chi ha in casa degli adolescenti è
abituato da tempo a sentire il fatidico “non ce la faccio
più”…. “Finalmente finisce”. Sa quanto è diventato sempre più
difficile sollevare dal letto ragazze e ragazzi che in molti
casi sono già fisicamente uomini, veri e propri “armadi” da
spostare di forza. Perché i mesi passati sui banchi, la
primavera, il caldo sempre “insopportabile” – anche con un
meteo che in molte Regioni non è stato davvero finora così
favorevole al sole – si infilano tutti insieme, di prepotenza,
nell’imbuto del “fine scuola”. “Non se ne può più….”

Ma di cosa, in realtà? Perché, sempre con gli occhi degli
studenti (adolescenti) non di rado questo atteggiamento di
attesa spasmodica della “liberazione” si accompagna alla
preoccupazione di non sapere assolutamente come gestire il
tempo improvvisamente svuotato dai riti quotidiani. Sì, quelli
pesanti, noiosi, insopportabili di ogni mattina, ma capaci di
dare senso e significato alle giornate. Che fare, dunque? Come
riempire il vuoto? Non che manchino, al giorno d’oggi, le
opportunità, ma non è sempre facile – e torna in campo a
responsabilità/capacità degli adulti – organizzare e proporre
in modo credibile occasioni di esperienza lavorativa, di
scambi di volontariato o chissà cos’altro. Certo gli adulti –
ancora loro – non possono fare a meno di pensarci e di farlo
possibilmente “insieme”, nel senso che attivare sinergie,
cercare collaborazione, agire come una “comunità educante”
resta la chiave di volta anche in tempo non scolastico.

Due parole, infine, su chi l’ultima campanella la vive come…
penultima. Perché sa di avere davanti una tempo di esami. In
particolare i più grandi che devono affrontare la maturità: si
parte il 19 giugno.

E qui si apre un mondo, con mille e mille sfaccettature che
vanno dall’ansia legittima di chi comprende il senso del “fine
corsa”, della valutazione determinante, fino all’incoscienza
di chi ancora non si è reso conto di dove si trova (esperienza
incredibilmente comune). Ansie che coinvolgono ragazzi ed
adulti in un intreccio perverso troppo intricato da districare
in queste righe e che viene ampiamente amplificato dai media,
tra consigli di studio e… di dieta.

Quindi, niente suggerimenti in più, se non un incoraggiamento:
vale la pena di affrontare l’esame con lo spirito di chi si
mette alla prova come in una competizione sportiva. Bisogna
essersi allenati, è indubbio, ma anche confidare nelle proprie
risorse. Coraggio e in bocca al lupo.Alberto Campoleoni

“La Cattedrale di Sicardo”.
Giovedì   4  luglio  visita
serale con Crart
L’Associazione culturale CrArT e la Diocesi di Cremona
presentano giovedì 4 luglio (ore 21) “La Cattedrale di
Sicardo: numeri, forme e colori nella simbologia cristiana”:
evento esclusivo serale in Cattedrale alla scoperta delle
origini della chiesa, letta attraverso lo sguardo e le parole
del vescovo Sicardo.

La prima parte della serata sarà dedicata all’approfondimento
della storia della Cattedrale del XII secolo e dalla vita di
Sicardo: la canonizzazione di Omobono Santo, la stesura del
“Mitrale” e la sua attività nella ricostruzione della chiesa.
A seguire un itinerario negli spazi dell’edificio sacro
accompagnerà i visitatori alla scoperta della simbologia degli
elementi architettonici così come sono descritti dal vescovo
nel “Mitrale”, la cui lettura accompagnerà la visita. Sarà
inoltre possibile accedere allo spazio della Cripta dove
potere osservare le reliquie del patrono e il mosaico relativo
al periodo della chiesa delle origini.

L’evento in collaborazione con l’IIS Luigi Einaudi per il
progetto alternanza scuola-lavoro vede la partecipazione
attiva di alcune studentesse nel corso della visita guidata,
già coinvolte nella parte organizzativa e logistica della
serata.

La partecipazione è gratuita. Ritrovo alle        20.50.   Per
informazioni: info@crart.it – 338 8071208

                          Locandina

La donna in parole e musica:
tre serate a luglio nella
parrocchia     di    Paderno
Ponchielli
Poesia e musica si incontrano nelle tre serate proposte per il
mese di luglio dalla parrocchia di San Dalmazio a Paderno
Ponchielli nella rassegna «I mercoledì della canonica».

Gli incontri, curati dal direttore artistico Mario Vitale e
intitolati «Quel mistero senza fine», saranno dedicati alla
donna nella poesia, nella Sacra Scrittura e nella letteratura,
con letture recitate e intermezzi musicali.

Tutti gli appuntamenti si terranno alle ore 21 presso la
parrocchia (ingresso dal cancello di via Marco Gerolamo Vida).

Ecco il programma completo:

     3 LUGLIO

“Io voglio del ver la mia donna laudare”. La donna nella
poesia

Voce recitante: Francesco Montuori

Violino: Alessandro Ceravolo

Pianoforte: Emanuele Scaramuzza

     10 LUGLIO

“Alzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto!”. La donna
nella Sacra Scrittura

Voce recitante: Daniela Coelli

Soprano: Elisa Maffi

Pianoforte: Alessandro Manara

     17 LUGLIO

“Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna!”. La
donna nella letteratura

Voce recitante: Daniela Coelli

Musica: Romantic Jazz Quartet (Samantha Iorio         –   Rita
Bacchilega – Gianni Satta – Alberto Venturini)
Giornata dei poveri. Papa:
non sono numeri ma persone
cui andare incontro
“La speranza dei poveri non sarà mai delusa” (Sal 9,19). Le
parole del Salmo danno il titolo al Messaggio del Papa per la
terza Giornata Mondiale dei Poveri che il Pontefice stesso ha
istituito al termine del Giubileo della Misericordia e che
ricorre il 17 novembre. Ne sono protagonisti uomini, donne,
giovani, bambini: vittime delle nuove schiavitù che li rendono
immigrati, orfani, senzatetto, emarginati. I poveri sono il
frutto sempre più numeroso di una società dai forti squilibri
sociali che costruisce muri e sbarra ingressi e che vorrebbe
sbarazzarsi di loro; ma sono anche coloro che “confidano nel
Signore” e la Chiesa, come ciascun cristiano, è chiamata ad un
impegno particolare nei loro confronti.

Sviluppo, sperequazione e nuove schiavitù

Il filo conduttore del Messaggio è dunque il Salmo le cui
parole, spiega il Papa, manifestano innanzitutto una
“incredibile attualità”. Oggi, come all’epoca della
composizione del Salmo, un “grande sviluppo economico” ha
generato una sperequazione tale da arricchire gruppi di
persone a scapito di una massa resa sempre più povera:
indigenti a cui “manca il necessario” e “privilegiati” che
“senza alcun senso di Dio” danno la caccia ai poveri per
“impossessarsi perfino del poco che hanno” e per ridurli in
schiavitù. Eccoli i “nuovi schiavi” che Francesco nomina:
famiglie costrette a emigrare per vivere, orfani sfruttati,
giovani senza lavoro per “politiche miopi”, immigrati “vittime
di interessi” e strumentalizzazioni, prostitute, drogati,
tanti “senzatetto ed emarginati” che si aggirano per le nostre
città:

Quante volte vediamo i poveri nelle discariche a raccogliere
il frutto dello scarto e del superfluo, per trovare qualcosa
di cui nutrirsi o vestirsi! Diventati loro stessi parte di una
discarica umana sono trattati da rifiuti, senza che alcun
senso di colpa investa quanti sono complici di questo
scandalo. Giudicati spesso parassiti della società, ai poveri
non si perdona neppure la loro povertà. Il giudizio è sempre
all’erta. Non possono permettersi di essere timidi o
scoraggiati, sono percepiti come minacciosi o incapaci, solo
perché poveri.

Poveri senza speranza nella società

E ” dramma nel dramma” aggiunge il Papa, ai poveri di oggi è
tolta anche la speranza di “vedere la fine del tunnel della
miseria” , tanto che si è giunti anche a “teorizzare e
realizzare un’architettura ostile in modo da sbarazzarsi della
loro presenza anche nelle strade, ultimi luoghi di
accoglienza”. I poveri “trattati con retorica”, “sopportati
con fastidio”, ” braccati” come in una “battuta di caccia”,
non desiderano alla fine altro che diventare “invisibili”,
“trasparenti”:

Vagano da una parte all’altra della città, sperando di
ottenere un lavoro, una casa, un affetto… Ogni eventuale
possibilità offerta, diventa uno spiraglio di luce; eppure,
anche là dove dovrebbe registrarsi almeno la giustizia, spesso
si infierisce su di loro con la violenza del sopruso. Sono
costretti a ore infinite sotto il sole cocente per raccogliere
i frutti della stagione, ma sono ricompensati con una paga
irrisoria; non hanno sicurezza sul lavoro né condizioni umane
che permettano di sentirsi uguali agli altri. Non esiste per
loro cassa integrazione, indennità, nemmeno la possibilità di
ammalarsi.
Il povero confida nel Signore: il suo grido abbraccia la terra

La descrizione che ne fa il Salmo si colora di “tristezza per
l’ingiustizia, la sofferenza e l’amarezza che colpisce i
poveri”. Ma nonostante questo, rileva il Papa, il Salmo “offre
una bella definizione del povero”. Egli è colui che “confida
bel Signore”( cfr v.11) e in questa confidenza – rimarca – c’è
la “certezza di non essere mai abbandonato, “perciò vive
sempre alla presenza di quel Dio che si ricorda di lui”. E
Dio, sottolinea il Papa riprendendo ancora le parole del
Salmo, è “colui che rende giustizia e non dimentica”:

Si possono costruire tanti muri e sbarrare gli ingressi per
illudersi di sentirsi sicuri con le proprie ricchezze a danno
di quanti si lasciano fuori. Non sarà così per sempre. Il
“giorno del Signore”, come descritto dai profeti (cfr Am 5,18;
Is 2-5; Gl 1-3), distruggerà le barriere create tra Paesi e
sostituirà l’arroganza di pochi con la solidarietà di tanti.
La condizione di emarginazione in cui sono vessati milioni di
persone non potrà durare ancora a lungo. Il loro grido aumenta
e abbraccia la terra intera.

Rianimare la speranza e restituire la fiducia

Quanto è pressante il richiamo che le Sacre Scritture affidano
ai poveri, oppressi e prostrati, ma sempre amati: “Gesù non ha
mai avuto timore di identificarsi con ciascuno di essi”, a
loro nelle Beatitudini ha dato in appartenenza il Regno di Dio
e a loro Gesù si è “sempre mostrato come padre generoso e
inesauribie nella sua bontà”. Ecco, scrive il Papa, quanto
Gesù ha iniziato, ponendo al centro i poveri, ci deve essere
di insegnamento:

Lui ha inaugurato, ma ha affidato a noi, suoi discepoli, il
compito di portarlo avanti, con la responsabilità di dare
speranza ai poveri. È necessario, soprattutto in un periodo
come il nostro, rianimare la speranza e restituire fiducia. È
un programma che la comunità cristiana non può sottovalutare.
Ne va della credibilità del       nostro   annuncio    e   della
testimonianza dei cristiani.

Toccare la carne di Cristo, compromettersi nel servizio

La Chiesa è “popolo”, chiarisce ancora Francesco, con la
vocazione di “non far sentire nessuno straniero o escluso” in
quanto coinvolti tutti in un medesimo “cammino di salvezza” :

Siamo chiamati, piuttosto, a toccare la sua carne per
comprometterci in prima persona in un servizio che è autentica
evangelizzazione. La promozione anche sociale dei poveri non è
un impegno esterno all’annuncio del Vangelo, al contrario,
manifesta il realismo della fede cristiana e la sua validità
storica. L’amore che dà vita alla fede in Gesù non permette ai
suoi discepoli di rinchiudersi in un individualismo
asfissiante, nascosto in segmenti di intimità spirituale,
senza alcun influsso sulla vita sociale

Come Jean Vanier, testimoni della speranza cristiana

Un esempio di “grande apostolo dei poveri”, capace di acoltare
il “loro grido” e di produrre in loro speranza, è stato Jean
Vanier che il Papa cita nel Messaggio definendolo un “santo
della porta accanto”. Morto nel maggio scorso a 90 anni,
Vanier ha fondato L’Arche, una comunità di accoglienza per
persone con disabilità, attiva in tutto il mondo con circa 150
centri: con il suo impegno quotidiano, scrive il Papa, “ha
creato segni tangibili di amore concreto” e ha così “prodotto
una speranza incrollabile”. Ecco dunque l’impegno che
Francesco chiede ai cristiani perchè non sia tradita la loro
credibilità. L’ “opzione per gli ultimi” deve essere una
“scelta prioritaria” e non deve consistere solo in “iniziative
di assistenza”. Servono un “cambiamento di mentalità” e un
“impegno continuo nel tempo”:

Non è facile essere testimoni della speranza cristiana nel
contesto della cultura consumistica e dello scarto, sempre
tesa ad accrescere un benessere superficiale ed effimero. È
necessario un cambiamento di mentalità per riscoprire
l’essenziale e dare corpo e incisività all’annuncio del regno
di Dio.    La speranza si comunica anche attraverso la
consolazione, che si attua accompagnando i poveri non per
qualche momento carico di entusiasmo, ma con un impegno che
continua nel tempo. I poveri acquistano speranza vera non
quando ci vedono gratificati per aver concesso loro un po’ del
nostro tempo, ma quando riconoscono nel nostro sacrificio un
atto di amore gratuito che non cerca ricompensa.

Appello ai volontari: più dedizione e dialogo fraterno

Con un appello specifico il Papa si rivolge quindi ai
volontari che “per primi hanno intuito l’importanza
dell’attenzione ai poveri” e chiede loro uno scatto nella
dedizione, nel ” cercare ciò di cui ogni poveri ha veramente
bisogno”, “la bontà del loro cuore” al di là di culture, dei
“modi di esprimersi”. Ciò richiede di mettere da parte “le
divisioni che provengono da visioni ideologiche o politiche”:

I poveri prima di tutto hanno bisogno di Dio, del suo amore
reso visibile da persone sante che vivono accanto a loro, le
quali nella semplicità della loro vita esprimono e fanno
emergere la forza dell’amore cristiano. Dio si serve di tante
strade e di infiniti strumenti per raggiungere il cuore delle
persone. Certo, i poveri si avvicinano a noi anche perché
stiamo distribuendo loro il cibo, ma ciò di cui hanno
veramente bisogno va oltre il piatto caldo o il panino che
offriamo. I poveri hanno bisogno delle nostre mani per essere
risollevati, dei nostri cuori per sentire di nuovo il calore
dell’affetto, della nostra presenza per superare la
solitudine. Hanno bisogno di amore, semplicemente.

I poveri non sono numeri ma persone a cui andare incontro

A questo proposito il Papa rimarca quanto poco basti per
“restituire la speranza” e quale “forza salvifica” ci sia nei
poveri, uan forza visibile e sperimentabile con la fede e non
con gli “occhi umani”:

A volte basta poco per restituire speranza: basta fermarsi,
sorridere, ascoltare. Per un giorno lasciamo in disparte le
statistiche; i poveri non sono numeri a cui appellarsi per
vantare opere e progetti. I poveri sono persone a cui andare
incontro: sono giovani e anziani soli da invitare a casa per
condividere il pasto; uomini, donne e bambini che attendono
una parola amica. I poveri ci salvano perché ci permettono di
incontrare il volto di Gesù Cristo.

Seminare segni tangibili di speranza

Questa forza salvifica “pulsa nel cuore del popolo di Dio in
cammino” fa notare il Papa e non “esclude nessuno” anzi
coinvolge tutti in un “reale pellegrinaggio di conversione per
riconoscere i poveri e d amarli”. Al termine del Messaggio
quindi il nuovo invito rivolto “ai discepoli del Signore”
perchè possano essere “coerenti evangelizzatori”: seminare
segni tangibili di speranza.

A tutte le comunità cristiane e a quanti sentono l’esigenza di
portare speranza e conforto ai poveri, chiedo di impegnarsi
perché questa Giornata Mondiale possa rafforzare in tanti la
volontà di collaborare fattivamente affinché nessuno si senta
privo della vicinanza e della solidarietà.

Siria,     la                                 presenza
francescana come                             segno di
speranza
“Incoraggiamo la gente a vivere questo momento come una
testimonianza e una missione. Stiamo vicino a chi non riesce
ad arrivare a fine mese. Quindi, sicuramente, la nostra
presenza è un segno di speranza per la gente che vive in
Siria. Così Padre Bahjat Elia Karakach apre l’intervista a
Vatican News. Frate minore della custodia di Terra Santa,
parroco della chiesa latina di Damasco e custode dell’annesso
convento.

La situazione a Damasco

Attualmente la situazione a Damasco è migliorata. “Si vive –
racconta p. Karakach – senza paura di attacchi e di atti
terroristici, però c’è una situazione economica molto
difficile, c’è la recessione economica. La gente non ha molta
speranza nel futuro. È una situazione che genera un po’ di
disperazione, e spinge la gente a emigrare per cercare fuori
una vita migliore”.

         Ascolta l’intervista a Bahjat Elia Karakach

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2019/07/15/11/1351
33072_F135133072.mp3

I cristiani presenti e attivi nella società

“I cristiani – afferma p. Karakach – continuano ad essere
molto presenti e attivi nella società, attraverso la carità e
il dialogo. Direi che si tratta di una presenza molto
qualitativa. Anche se rappresentiamo una minoranza, siamo
molto presenti e attivi.

Con la fede si possono vivere le sofferenze come una
testimonianza cristiana

“Con gli occhi della fede – dichiara p. Karakach- tutto può
acquistare un senso diverso. Anche una situazione difficile,
quando si ha la fede, si può vivere come una testimonianza e
una missione. E’ questo il senso della nostra presenza qui
come cristiani, ed è quello che cerchiamo di trasmettere alle
nostre comunità. Non bisogna vedere solo la sofferenza da un
punto di vista terreno, ma bisogna trovare un senso nella
sofferenza, che è quello di partecipare alla croce di Cristo
per la redenzione del mondo.

Un dialogo interreligioso praticato ogni giorno

Il dialogo con i musulmani – conclude p. Karakach – non è un
dialogo fatto di teorie. Raramente si fa ufficialmente un
incontro di dialogo. Questo, forse, si fa più in Occidente.
Noi viviamo insieme ogni giorno. Abbiamo le stesse sfide e le
stesse difficoltà. Anche i rapporti di amicizia e di lavoro
sono tutti intessuti di dialogo. Non si può vivere senza
dialogo. Qui il cristiano è conosciuto per questa apertura
verso l’altro, quindi anche di dare una testimonianza per
l’amore di Cristo.

Non è della Caritas il punto
di raccolta indumenti di via
Vecchia a Cremona
In merito alla notizia apparsa in data 25 giugno 2019 su
alcuni organi di informazione locale, in cui si indica come
«cassonetto della Caritas» il punto di raccolta di indumenti
usati ubicato preso il parcheggio di un supermercato in via
Vecchia a Cremona che ha suscitato le rimostranze di un gruppo
di residenti del quartiere per lo stato di abbandono in cui
versa, la Caritas Diocesana precisa che non si tratta di una
struttura gestita da Caritas Cremonese.
I punti di raccolta indumenti della Caritas diocesana sono
infatti collocati tutti presso strutture delle parrocchie che
contribuiscono alla gestione di tale servizio caritativo.
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