LAMPEDUSA ULTIMA FERMATA: L'ITALIA FINISCE QUI
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LAMPEDUSA ULTIMA FERMATA: L’ITALIA FINISCE QUI Una settimana alla scoperta delle Pelagie: colori e calori del Sud estremo Testo di Fabio Panzeri, foto di Renzo Carlesi Un anno dopo la memorabile trasferta a Pantelleria, lo zoccolo duro del gruppo Carlesi, pur decimato da numerose assenze, torna a schierarsi per la classica vacanza di inizio estate tra le isole del nostro Mediterraneo. Stavolta tocca all’accoppiata Lampedusa & Linosa, l’estremità meridionale del territorio italiano. Siamo a sud di Hammamet, il sole picchia fortissimo, la latitudine non è un’opinione, gli orari degli aerei invece sì, visto che da Milano si parte con quasi sei (!) ore di ritardo sulla tabella di marcia. E il turista che fa? Paga…e aspetta, consolandosi con la visione della fidanzata del calciatore Brambati, una sventolona di evidenti origini slave tipo Ewa Herzigova, in partenza col suo belloccio palestrato per la Grecia. Ma torniamo a noi: dopo aver ricevuto i biglietti da un addetto al desk cerebroleso, che non sa neanche leggere i nomi della lista partenti (Attilia diventa Italia), finalmente ci imbarchiamo e in un soffio eccoci nel cielo di Lampedusa. Il problema però è scendere perché, ci comunica testualmente il pilota, nel piccolo scalo “ci sono problemi di parcheggio”. Risate ironiche a bordo: “Servono spiccioli?” Dopo mezz’ora di tour aereo dell’isola finalmente si atterra. Il nostro charter era ormai in riserva. Poco dopo il gruppo dei Milanesi (6) arriva anche il contingente romano (9), capeggiato dal coordinatore Renzo. Fuori dal mazzo c’è Maurizio, siciliano di Palermo che è venuto a Lampedusa con la nave. Il nostro quartier generale è la casa di Raffaele e Anna Solina, una specie di palazzetto a due piani più solarium circondato da una cinta muraria, sormontata da leoncini in pietra. Anche dentro la casa-albergo non mancano statue, quadri e suppellettili, che farebbero la loro porca figura in una televendita di Corbelli. La più bizzarra opera d’arte però è sicuramente il gesso, un tempo portato all’avambraccio da uno dei due figli, ora colorato e pieno di ghirigori, con dedica del fratello, collocato nell’acquario all’ingresso. Scherzi a parte, la famiglia rivela subito squisite doti di ospitalità, marito e moglie particolarmente affiatati: Anna è una donna piena di energia e senso pratico, Raffaele un perfetto padrone di casa, amichevole e sollecito. In un paio di giorni ha già imparato i nomi di tutti. Per farci posto nella sala e nelle camere i genitori dormono sul divano letto della cucina, mentre i figli si sacrificano dormendo in una stanzetta. Francesco è taciturno e un po’ ribelle, va e viene con gli amici, o cazzeggia in camera con la techno a palla. Antonino, che sta preparando gli esami di terza media ma già lavora come garzoncello in un supermarket, è spigliato e smaliziato. L’unico incolpevole limite della casa sono i bagni, due per 16 persone, senza contare la famiglia Solina. Si fanno i turni, e le code talvolta sono lunghe, quando dentro c’è qualche donna, oppure Sergio, impegnato nelle sue laboriose toilettes…Class is not water. Per non creare ingorghi, ci accordiamo affinché qualcuno faccia il sacrificio di alzarsi presto. Ma, chissà perché, sin dal primo mattino tutti, o quasi, sono pervasi da una straordinaria energia e voglia di mettersi in azione, poi ridimensionata però non appena ci si espone all’impietoso calore del sole, che già alle 8.30 si fa sentire. La camerata da otto in particolare è sempre movimentata. Contro ogni pronostico, lo smilzo ed insospettabile Maurizio russa come un elefante, anzi, per dirla alla Lucio, come un muflone in amore. Così quest’ultimo, per riuscire a dormire, ricorre al rimedio estremo di caricarsi il materasso sulle poderose spalle e rifugiarsi sul balcone. Io, che ho il sonno leggero, sopporto i rantoli di Maurizio fino a che, sfinito, in qualche modo riesco a ricadere tra le braccia di Morfeo. Il mare di Lampedusa è bellissimo, l’isola ha poca vegetazione, è come un piccolo tavoliere fatto di aspra roccia in mezzo al blu. Il debutto nell’acqua si consuma all’incantevole spiaggia dei Conigli: sull’omonima isoletta, quasi attaccata alla costa, volteggiano tantissimi gabbiani, che lì nidificano, sul vicino arenile depongono le uova le famose tartarughe Caretta Caretta. I conigli siamo noi, che abbiamo paura del contatto con l’acqua (a Paola sembra ancora “ghiaccia”) e in egual misura dell’esposizione al sole. Così, facendo contorsioni da fachiri, ci stringiamo e ci rannicchiamo all’ombra di tre ombrelloni. I primi giorni il sole lo prendiamo a piccole dosi, cosparsi di crema protettiva dalla pianta dei piedi ai lobi delle orecchie.
Conigli di giorno, leoni, o meglio lupi a sera, per la cena. Per la prima uscita scegliamo “L’angolo del mare”: il rapporto qualità-prezzo è buono, il pesce è gustoso, ma ce lo dobbiamo sudare con più di un’ora di appostamento fuori dell’affollatissimo locale, che si affaccia sul porto. A servirci un cameriere bizzarro che ama fare un po’ di commedia. Il personaggio si fa apprezzare per le battute, ma quanto a puntualità del servizio non dà garanzie. Forse sarebbe meglio affidarsi a quella graziosa giovane cameriera che guizza tra i tavoli. Noi invece puntiamo sullo stesso cavallo anche per la sera dopo. Stavolta però niente coda, diciamo, si prenota. Ovviamente non cambia nulla: un’ora di attesa non ce la toglie nessuno. A proposito di cene, di eccellente qualità quella che ci preparano Anna e Raffaele sul terrazzo. Cous cous ottimo, pesci e verdure preparati con bravura. E poi il festival dei liquori, limoncello e crema di limoncello, nespolino, finocchietto. Alla grande. Qualcuno dopo un paio di bicchieri crolla sulla sdraio. A dispetto di Pantelleria un anno fa, quest’isola è già piuttosto piena: lo si vede nei locali, sulle spiagge e scogliere e nella centralissima via Roma, luogo di culto dello struscio lampedusano. Polo d’attrazione è il caffè “13.5”, che propone ai numerosi tavolini all’aperto un duo musicale da strapaese delle cui note farei volentieri a meno: un replicante di Fiorello, e una pseudo Mietta- Giorgia-Pausini-Alexia. A proposito di Polo, la cittadina è governata dal neoeletto sindaco forzista Siragusa, che campeggia ancora col suo faccione in compagnia del Berlusca in un manifesto appeso qua e là sui muri del centro. Tra i primi provvedimenti del primo cittadino la chiusura al traffico della succitata via Roma. Nell’ordinanza si motiva la misura con la necessità di far fronte all’invasione dei turisti. Ma quali invasori? Portiamo ricchezza! Forse è la psicosi da sbarco dei clandestini che fa questi effetti. Tornando a via Roma e dintorni, menzione d’onore per il caffè pasticceria Isola delle rose, tappa obbligata per le colazioni; pollice verso invece per la gastronomia di pesce, con un titolare scostante e poco servizievole. Quanto agli altri locali, plauso per l’appartata ed aristocratica pasticceria Roma, anche se il titolare se la tira un po’ troppo come se, anziché pasticcini e brioches, facesse opere d’arte. Tardiva, ma piacevole, la scoperta del bar dell’Amicizia, con l’anziano titolare, degno personaggio alla Camilleri, che ti accoglie offrendoti dolcetti di mandorla in assaggio. Da lui vanno soprattutto i locali, così negli ultimi giorni gli accordiamo la nostra preferenza. Notevole la varietà delle granite, dal gelso alla mandorla. Momento clou della vacanza naturalmente la gita in barca: certo, per i reduci di Pantelleria, il confronto del pur bravo Rosario con Franco, lo straordinario nocchiero pantesco conosciuto l’altr’anno, è improponibile. Paragonereste Di Gennaro a Maradona? Rosario, assistito dal fido Nino, ci conduce nel giro dell’isola tra grotte e calette. Ci racconta degli sbarchi dei clandestini, delle furberie dei pescatori, serve il suo pesce con la solita irresistibile insistenza che ti costringe a mangiare oltre la sazietà, non lesina dolcetti e limoncello, è simpatico, poi però ad un certo punto va sotto coperta a dormire e riappare dopo un’ora. Franco insomma era un’altra cosa. Le sue barzellette gridate al megafono rivolgendosi agli ignari gitanti di altre barche, la sua musica, le sue performances canore e la sua inebriante lap dance erano davvero uno spettacolo. Anche dai nomi delle barche si coglie la differenza: quella di Franco si chiamava Azzurra, appellativo degno di un 12 metri da Coppa America, quella di Rosario “Iccus”. Che cazzo di nome è? E’ un eroe della mitologia classica? No, solo il palindromo del cognome del vecchio proprietario, un romagnolo chiamato Succi…Socc’mel! Anche Rosario comunque ci offre momenti di altissimo folclore con l’uscita serale in peschereccio. Programma: andare a pesca di calamari e poi fermarci in una caletta per l’ultima cena a bordo. Fuori programma imbarchiamo anche due figure femminili, stile “raccordo anulare”. Si tratta di due biondacce alla Isabella Bigini, degne di figurare nel cast di quei film “monnezza” anni ’70 con Bombolo e Thomas Milian. Sono le compagne di Nino e Rosario, o sono lì per fare “affari” con qualcuno del gruppo? Con questo dubbio lasciamo il porto e prendiamo il largo, ma le loro attitudini si manifestano ben presto: una delle due cerca di darsi un tono, sforzandosi di conversare coi compagni di viaggio. L’altra entra subito in scena cominciando ad ancheggiare sinuosa (si fa per dire) sulle note di melodie latino-americane. I suoi movimenti, per la verità piuttosto ritmici, mettono in evidenza l’abbondante pinguedine che le circonda cosce, vita e fianchi, e che a stento è trattenuta dentro attillatissimi fuseaux fiorati. Dalla vita in su domina il rosso, dalla canottiera all’ammaliante rossetto che le imporpora le labbrone. La trucida punta dritta sul bersaglio grosso, ovvero Rosario, strusciandoglisi attorno, ma l’altra subito si ingelosisce, allora all’improvviso ci molla per andare a “tutelare i suoi interessi”. La serata in barca - inutile dire che non si è pescato nulla - scorre divertente. Noi ci scambiamo occhiate
divertite nel goderci lo spettacolo delle due sirene in calore. Le loro tresche però non sembrano funzionare al meglio, forse pensavano di rimorchiare qualcuno di noi, e così poco prima di tornare a riva la trucida si ridà una sistemata al trucco. Per lei la notte deve ancora cominciare. Dimenticavo di annotare che a bordo di Iccus c’è anche un altro special guest: si tratta di Tommaso. E’ un militare, “imbarcatosi” al seguito di Arianna. Lei a Lampedusa c’è già stata un anno fa, e con discrezione si prende i suoi spazi di libertà dal gruppo per gestire i suoi maneggi. Le giustificazioni naturalmente sono le più disparate: “Ho passeggiato, ho guardato le vetrine, ho scritto le cartoline”…Ma ‘dde che? Anche quando ci troviamo a Linosa, lei preferisce smarcarsi e rientrare in anticipo a Lampedusa. Qualcuno commenta: “Credo che sia una di quelle persone che ogni tanto hanno proprio il bisogno di stare con se stesse”…Ripeto: ma ‘dde che? Comunque, poniamo fine al gossip e veniamo a Linosa, più piccola e più quieta, grazie a Dio ancora con pochi turisti. In questo angolo appartato d’Italia, precisamente sotto il portico del bar del porto, assistiamo all’incredibile ko della nazionale con la Corea, un tracollo che lascia il segno sull’umore di Lucio, ma certo non guasta la nostra due giorni nella sorella minore dell’arcipelago. Il bar del porto è il nostro appoggio per drink e aperitivi, il barman, chissà perché sottovoce, ci confida che l’isola in un recente passato ha ospitato mafiosi in domicilio coatto. L’ultimo lo incontriamo io e Maurizio una mattina al bar “del centro” (per la cronaca Linosa non arriva a 400 abitanti) quando il tizio ci avvicina con un’aria intimidatoria solo perché stavamo deridendo la foga con cui gli avventori del bar commentavano la sconfitta della nazionale. Con gli scooter scorrazziamo qua e là lungo la costa, siamo in 15, e quando raggiungiamo un luogo, mettiamo in fuga i pochi bagnanti che ci hanno preceduto. In democrazia contano i numeri, e noi democraticamente li sloggiamo. Molto bello a Linosa anche il piccolo trekking al Monte Vulcano, un cratere spento da millenni ricoperto di vegetazione. Uno straordinario punto panoramico a 360° dove, parole di Lucio, “ti senti in pace col mondo, a parte i Coreani”. La parentesi di Linosa comunque ci riserva anche un momento quasi drammatico: succede all’alba, quando stiamo per riprendere la nave che ci riporterà a Lampedusa. Sono le 6.30. “Oggi sono un po’ giù di corda”, pensava tra sé e sé il marinaio della Siremar, che da due giorni non aveva notizie della moglie. Così, nel gettare le cime per l’attracco della nave, deve aver fatto qualcosa di sbagliato. Se ne accorgono i colleghi quando ormai stiamo quasi per salire a bordo e il ponte è già stato abbassato. “Allontanatevi!!!”, urla qualcuno, panico e fuggi fuggi sulla banchina, la corda dell’ormeggio va in tensione fino a spezzarsi: un fragoroso schiocco di frusta che manda in pezzi la grossa corda, almeno 12 centimetri di diametro. Veri corpi contundenti pericolosamente ricadono sulla banchina sfiorando i presenti. Dopo la sconfitta della nazionale, per il popolo dell’isola un nuovo argomento di discussione. A proposito di corde, male in arnese è quella a cui un manipolo di intrepidi si aggrappa per calarsi lungo la ripida parete di roccia e terra che scende a mare vicino a Cala Creta. Daniela, che sfrutta il bacino basso (bella perifrasi per dire che non abbonda in centimetri!) indica passi e movimenti sulle rocce. Non è che sia impresa da alpinisti, ma con sandaletti e zaino in spalla ci sembra quasi di fare le tre cime di Lavaredo, vincendo (vero Fabio e Simona?) anche qualche insidia delle vertigini, ovviamente taciute per non fare brutta figura. Ci sarebbero ancora tante cose da rievocare, ma certo il racconto non sarebbe così suggestivo come il ricordo che ognuno rivive e rigusta dentro di sé. Il bilancio della vacanza è stato sicuramente ottimo: nota negativa, a voler guardare, i troppi turisti, rovesciati a Lampedusa da una raffica di charter. Note positive tantissime, prima tra tutte l’armonia del gruppo. Siamo stati benissimo, compresa la salute se si eccettua qualche accenno di nausea da mare mosso a bordo di Iccus. A tal proposito, per chiudere in finezza, ci piace ricordare la frase incoraggiante del capogruppo Renzo alla ciurma durante la cena a bordo: “Masticate bene, perché al pesce piace la pastura fina”… E ora concludo con due appendici, prima un piccolo glossario delle vacanze e poi gli immancabili profili non autorizzati sui partecipanti. AEREI: la nota dolente della vacanza. Orari modificati all’ultimo, ritardi, rientri in piena notte con conseguente salasso di taxi per raggiungere la città (alludo a Milano). Anche il vettore Azzurra non ha brillato: in due ore di volo solo un drink con salatini o dolcetti. Senza nemmeno l’offerta del bis. Pochino. BERGAMO: incontriamo alcuni personaggi originari della città lombarda, legata a Lampedusa da singolare gemellaggio. Ma questi orobici non sono venuti a portare quaggiù il tipico spirito di
laboriosità della loro terra, anzi hanno fatto di Lampedusa una sorta di Puerto Escondido dove stare a lungo, vivendo di lavoretti ed espedienti senza pretese, e senza fretta. CANNOLI: sono il pezzo forte della pasticceria locale, senza trascurare babà, cassata, granite, gelati, marzapane, pasta di mandorle. Affondare il morso in quella crema fresca di ricotta avvolta dal rotolo di cialda resta uno dei piaceri di gola unici che solo la Sicilia sa offrire. DONNE: omaggio alla componente femminile del gruppo. Tutte molto carine e simpatiche, qualche volta curiose (Ersilia: “Chi è separato?Chi ha figli?Quanti anni avete?”), qualche volta lamentose (Paola, in difficoltà a muoversi sugli scogli: ”Me pare de stà a camminà su Gggiove”). Inaspettatamente veloci ai bagni (nella media) e voraci a tavola: ho visto boccucce di fata trasformarsi in fauci di lupi davanti a fritti misti e cous cous. EURO: a Lampedusa nel complesso i prezzi non sono esorbitanti. Nel pieno rispetto dello spirito di Avventure evitiamo accuratamente i ristoranti più cari, dove si spende intorno ai 30-35 €, cifra con cui in un ristorante del nord Italia del pesce non ti fanno sentire nemmeno l’odore. Comunque arrotondamenti e rincari non mancano neppure qui: “L’euro è come il pane, quando va va”, si giustifica con questo bizzarro ragionamento un venditore di gelati sulla spiaggia (prezzo imposto 2 €). FAME: è quella che ci assale a sera quando scontiamo regolarmente lunghe code al ristorante. Poi tra le 11 e mezzanotte ecco finalmente i nostri piatti, su cui ci avventiamo famelici. Dopo 4 primi, non ci fermiamo nemmeno davanti a enormi grigliate, la festa continua. GUITGIA: è la spiaggia più vicina al paese raggiungibile a piedi, a due passi dai maggiori alberghi. Di fronte ha il porto, sullo sfondo i serbatoi del dissalatore, ma anche lì, sugli scogli a pochi passi dalla strada, il mare è terso e invitante. ISOLE: turisticamente sviluppata Lampedusa, la cui popolazione non sembra per nulla risentire della marginalità geografica, vissuta anzi con orgoglio. Sonnacchiosa Linosa, prototipo di isola mediterranea quasi fuori dal tempo in cui rifugiarsi per cercare un po’ di quiete. Quando in me affiorerà la vena del grande romanziere (ah ah!), mi ritirerò lì a pensare e scrivere… LAMPIONE: è la terza isola, o meglio isolotto, dell’arcipelago. Visto in lontananza sembra quasi una grande chiatta. Non ci vive nessuno a Lampione, nel nome la sua funzione, solo un faro, una specie di spartitraffico delle rotte del Mediterraneo. MARE: bello, calmo, caldo (più o meno), pulito, a parte qualche pezzo di sdraio sul fondale. Una tavola d’olio pronta a cullarci quando ci immergiamo per i bagni o lo solchiamo con la barca. Alleato fedele, senza mai un’increspatura, ingrediente decisivo del successo della nostra vacanza. NATURA: prevale quella degli ambienti acquatici su quella di terra. La vegetazione è poca a Lampedusa, ma le scogliere sono mozzafiato. A Linosa invece ti seduce la bellezza variegata di piante e fiori e quella colorata delle rocce. OMBRA: la vera merce rara della vacanza. Bastavano poche fronde o il tetto sporgente di una casa a creare quella piccola porzione di spazio che ci permetteva di sottrarci al sole, talvolta spietato. PULLMINO: valido il servizio dei pullmini pubblici sull’isola, una corsa 60 centesimi, il rilascio del biglietto un optional, ma, come notava qualcuno, l’autista deve pur pensare alla sua pensione integrativa. QUI non so che dire. RESPIRO: è il titolo del film girato sull’isola e presentato a Cannes, opera prima di un certo Crialese, impreziosita dall’interpretazione di Valeria Golino. Nella nostra settimana è in proiezione all’Arena, sembra che ce lo lasceranno fino a quando anche l’ultimo vecchietto del paese non sarà stato portato di peso a vederlo. Speriamo che Carmelina, un donnone di almeno 150 chili incontrato sul bus, ci sia andata di sua iniziativa… STRANIERI: a Lampedusa i soli stranieri presenti sono i clandestini, ma non li vedi, rinchiusi nel campo d’accoglienza, una specie di hangar, in attesa di essere rispediti nei Paesi di origine. Spregiudicati passatori del mare gli fanno credere che l’isola sia la Sicilia, così per loro quell’agognato approdo è solo un disperato inganno. TARTARUGHE: sono tra le attrattive naturalistiche dell’isola, su cui vengono a deporre le uova. Più interessante che stare a rimirare il piccolo reticolato creato dai volontari Legambiente e WWF per circoscrivere la zona interessata della spiaggia, sicuramente è la visita alla clinica, dove uomini premurosi cercano di porre rimedio ai danni provocati da loro consimili meno attenti. UNTI: creme abbronzanti, protettive, intensive, idrorepellenti, ci siamo cosparsi dei più disparati unguenti, scottature zero, abbronzatura buona, ma, dopo qualche settimana, e in attesa di un po’
di ripasso, il viso ambrato esibito trionfalmente al rientro comincia ad impallidire di nuovo sotto il neon degli uffici. VINO: a Lampedusa non se ne produce, quello mitico di Pantelleria resta un sogno. Al ristorante ci si affida così al rituale bianco sfuso “della casa”. Talvolta va bene, talaltra ti propinano uno sciacquino che riabilita il Tavernello. Una sera, dopo aver pagato, travasiamo quello avanzato dalle caraffe in un bottiglione di plastica, poi occultato in una borsa. Ovviamente non lo berremo, ma… non si butta nulla. ZANZARE: qualcuna per la verità ha fatto la sua comparsa nella camerata durante la notte, ma non ha fatto danni. Il master anti-zanzare seguito da alcuni di noi la scorsa estate nella campagna biellese, a due passi dalle risaie, ci ha reso invulnerabili. Ed ora, dulcis in fundo, giochiamo allo psicologo con i profili personali dei partecipanti: Renzo: capogruppo di assoluta garanzia. D’altra parte per uno come lui che ha alle spalle una ventina di viaggi in tutto il mondo questo giretto a Lampedusa è stato come per la Juve un’amichevole di precampionato con le giovanili del Villar Perosa. Goloso di ogni cibo, con la sua stazza ci sarebbe da sorprendersi del contrario. Aneddoto: una sera verso mezzanotte, non contento di un robusto cannolo, osa ancora incalzare il pasticcere: “Cos’altro di sfizioso mi consiglia?” E parte una fettona di cassata. Insaziabile. Luisa: la first lady. Riprendo dal rapporto di viaggio a Pantelleria e confermo l’impressione di persona garbata e piacevole. Ha una lunga esperienza lavorativa nel settore alimentare e della gastronomia. Così col suo stile suadente, blocchetto alla mano, è sempre pronta a carpire a cuoche e ristoratori il segreto di qualche ricetta per arricchire il suo repertorio. Accontentare Renzone a tavola non deve essere facile. Lei ogni tanto prova a tirargli la maglia per frenare la sua ingordigia. Ma lui si smarca subito e in un attimo il boccone è già in pancia. Maurizio: siculo di Palermo. Lo smilzo, col muscoloso milanese Lucio, forma una estemporanea coppia alla Dolce e Gabbana (Non fraintendete). In realtà Mauri, aspetto a metà tra Gandhi e il magro dei gemelli Ruggeri, si rivela come uno dei personaggi più simpatici e trainanti del gruppo, con un sense of humour arguto e mai sopra le righe: miscela abilmente una certa naturale imbranataggine con una misurata dose di teatralità. Le imprese temerarie non sono il suo forte: la sera teme il colpo di freddo, non entra in acqua per il bagno se non ha digerito l’ultima mentina di tre ore prima. Paola: anche qui spontaneità e aria da finta (?) svampita si mischiano nel formare un grazioso personaggino a tutto tondo. Verdone, perché non ti sei ancora accorto di lei? Impossibile tenere a mente tutte le battute e le involontarie situazioni comiche che la vedono protagonista nel suo ineffabile romanesco, con quella erre arrotata che fa molto chic, ma anche con una piccola spruzzata di coatto. Se la conosci la eviti, o meglio, la prendi a piccole dosi, senza farti travolgere dalle sue tentacolari paranoie. Uliano: basterebbe l’aggettivo “mitico” per chiudere con una sola battuta la sua descrizione, almeno per chi già lo conosceva e ne aveva apprezzato il sottile sense of humour e lo stile da “cumenda” in vacanza. Per chi non lo conosceva la rivelazione di un compagno di viaggio amabilissimo, come quei giocatori esperti che in una squadra fanno spogliatoio e caricano il gruppo. Deve scontare in extremis l’assenza della sua dolce metà Giovanna, ma non si perde d’animo e resta sempre centro di gravità della comitiva. Incedibile. Arianna: la chiamo così per la sua esplicita richiesta di anonimato, che anche il giornalista, pur con quell’immancabile pizzico da figlio di buona donna che ha in sé, deve rispettare. L’anagrafe e l’inconfondibile cantilena dicono che proviene da una regione del profondo nord, ma bastano i natali meridionali dei suoi genitori per dare conto di quella bellezza un po’ zingara e disordinata da Anna Magnani del ventunesimo secolo: chioma corvina e aria incantata la predispongono per un ideale personaggio fuori dagli schemi stile cinema francese alla Rohmer. Sergio: avvocato e professore di diritto in un liceo romano. Insieme ad Uliano tiene alto lo stile della compagine maschile. Soprannome Kevin Costner. Barba sempre ben fatta (anche due volte al giorno), canottiera bianca a costine fini e spalline strette, pigiama di cotone old way con giacchetta a bottoni e pantaloni lunghi, camicia sempre in ordine. Con quel cappello di paglia in testa sembra un turista inglese alla scoperta della Magna Grecia. Ma la sanguigna anima romana affiora nella risata secca e nelle battute alla Teo Mammucari, e soprattutto in quell’incontenibile golosità con cui al mattino apre le fauci e si divora una brioche con gelato che sfamerebbe un bambino africano per una settimana.
Simona: simpatia e battuta pronta non le fanno difetto. Non è che chi è nato in Toscana debba avere per forza la vis comica scolpita nel DNA, sennò ridurremmo tutto alla solita galleria di luoghi comuni, però se c’è uno stereotipo toscano buono Simona lo conferma in pieno. E’ venuta a Lampedusa per inaugurare l’estate con una storia, e l’ha avuta, come conferma la compromettente foto col prestante cameriere dagli occhi blu, che verrà spedita in tutte le filiali della Banca Toscana. Roba da far venire le vertigini (cosa che sul picco roccioso di Cala Creta non è difficile). Stefano: per i suoi baffetti sottili le donne di fervida fantasia lo hanno ribattezzato Jack Nicholson. Qualcosa in lui del ghigno del grande attore c’è, lo vedrei bene anche come interprete di film americani in bianco e nero degli anni quaranta. Si caratterizza per una presenza discreta, ma, come si suol dire, acque chete…E lui lavora piano piano, senza fretta, come un torrente carsico. Chiedere conferma a Daniela. Sonia: il corpo in vacanza, ma la testa ancora un po’ a Brescia, a pensare alla casa da finire, alle maniglie, le porte e le piastrelle, e il tasso d’interesse del mutuo da fare. Anche lei è una veterana di Pantelleria, di cui le manca soprattutto il vino sopraffino. Quanto al sole, la pelle chiara non la autorizza ad esposizioni troppo prolungate, così lei si cautela con creme ad alta protezione. Ma quella crema non sarà troppa? Così, insoddisfatta dell’abbronzatura, verso la fine della vacanza se ne esce con uno sconsolato: “qui c’è qualcosa che non va”. Riprovaci, Sonia, sarai più fortunata. (No, non parlavo della casa!). Lucio: l’Armadietto di Saronno, nel senso della larghezza. E’ il macho del gruppo, spalle, braccia, pettorali e addominali da culturista. All’inizio si presenta un po’ spesato come una specie di Clark Kent dietro un paio di occhialini. Poi si impone con grande simpatia e umorismo, tra Abatantuono e Della Noce (il meccanico della Ferrari Socc’ chumacher). Incassa con stile il due di picche di Paola. Lucio, guarda sempre il bidone mezzo pieno! Non sai da cosa ti sei salvato! Attilia: lei è la prima ballerina del gruppo, o meglio sarebbe, perché, ammettiamolo, nel ballo gli uomini sono un po’ delle merdacce e si tirano indietro. Sperava molto nel caliente siculo Maurizio, ma lui si è limitato sulla barca di Rosario ad un lento un po’ robotico, che nemmeno le onde del mare sono riuscite ad ammorbidire. Le è mancato il conterraneo Simone, il suo fido partner di canto e ballo di Pantelleria. Attendiamo con ansia di vedere le sue fotografie, altra forma di espressione in cui ha grande talento. Nadia: personaggio da prendere con le pinze, acuta, anzi pungente. Si presenta come una tranquilla signora in relax, poi si trasforma in un peperino sempre pieno di energia. Le sue battute sono di quelle che potrebbero abbattere un bisonte. Eccone una: una sera si sta per uscire, un uomo del gruppo dice: “Sono pronto”, e lei caustica: “Peccato che non ti sfrutti nessuna!”. Lui sta piangendo ancora. Daniela: esce alla distanza, come fa in montagna chi parte col passo lento ma dopo un po’ comincia a rimontare. In effetti lei col trekking, e anche col climbing, ha una certa familiarità, come dimostra nella già citata calata a Cala Creta. A Linosa sul Monte Vulcano ci va con Stefano, o meglio, li vediamo partire, non sappiamo se siano arrivati in cima. Comunque, col suo dirimpettaio di branda, come detto, forse è sbocciato qualcosa. (Ecco dove ho sbagliato: in camerata da parte Uliano, di fronte Lucio, potevo scegliere solo tra l’uomo maturo e il palestrato, sigh!) Tornando a Daniela, a lei va il tapiro d’oro, visto che appena rientrata si è presa la varicella. Ersilia: c’è sempre qualcuno che deve rassegnarsi alla storpiatura del nome fino alla fine della vacanza. Così il suo diventa Erminia, Elvira, Versilia. Facendo onore all’anima napoletana, la nostra bionda partenopea è furba e curiosa. Così, giusto per conoscerci meglio, vorrebbe sfruculiare un po’, sapere qualche cosa di privato di noi. Età, donna o uomo ideale, difetto che attrae, trascorsi coniugali, figli. “E’ possibile che non ci sia neanche uno sposato o un separato?” Domanda caduta nel vuoto. Cara Ersilia, la privacy è un muro di gomma. Fabio: per finire tocca a me. In mezzo ai vari soprannomi cinematografici, assegnati dalle donne, a me, per affinità di professione, ma non di portafoglio, è toccato quello di Bruno Vespa. Che sfiga, non ci sto, sono molto più giovane e più carino, anche se di nei, ma solo sulla schiena, ne ho parecchi anch’io. Piuttosto chiamatemi Beppe Severgnini, dei poveri naturalmente, ma con in comune almeno un pizzico della stessa voglia di viaggiare, osservare, raccontare, sempre col sorriso e senza prendersi troppo sul serio. Alla prossima! Fabio Panzeri
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