CHI DIFFAMA L'ISLAM? Romano Bettini - Armando Editore

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Romano Bettini

                    CHI DIFFAMA L’ISLAM?

                                                ARMANDO
                                                 EDITORE

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Sommario

              Prefazione                                            7
              Roberto Cipriani

              Introduzione                                         21

              Parte prima: SOCIETÀ CREATIVE E SOCIETÀ              25
              MIGRANTI

              Capitolo primo
              Società creatrici e società fruitrici di progressi   27
              di civiltà

              Capitolo secondo
              Musulmani d’Italia e musulmani d’Europa              39

              Allegato
              Carta dei musulmani d’Europa (Gen. 2008)             67

              Capitolo terzo
              Verso intese antiterrorismo?                         79

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Parte seconda: DIFFAMAZIONE DELLE SOCIETÀ 91
              ISLAMICHE E RAGIONI DELLE ISLAMOFOBIE
              OCCIDENTALI

              Capitolo primo
              Chi diffama l’islam?                                   93

              Capitolo secondo
              Le due islamofobie occidentali                        119

              Parte terza: SOCIETÀ ISLAMICHE IBRIDE                 135
              E SEPARAZIONE DELLA RELIGIONE
              DALLO STATO

              Capitolo primo
              Il diritto islamico contemporaneo                     137

              Capitolo secondo
              La bipartizione dei poteri nella storia costituzionale 151
              dell’islam

              Capitolo terzo
              Migrazioni islamiche verso scontri di civiltà?        179

              Concludendo: IL FARDELLO POSTCOLONIALE                193
              DELL’UOMO BIANCO

              Appendice: TESTI DI F. DE VITORIA E R. KIPLING 199
              SU DIRITTI UMANI E DELLE NAZIONI,
              E SOLIDARIETÀ UMANA

              Indice dei nomi                                       206

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Prefazione
              Roberto Cipriani

                 Si può anche non essere d’accordo con quanto Roma-
              no Bettini va sostenendo da tempo in merito all’Islam
              ed ai suoi contenuti controversi e discutibili ma gli si
              deve comunque dare atto di un impegno serio e coe-
              rente, pur ammantato talora di forte spirito polemico ed
              anche sarcastico.
                 C’è poco da aggiungere. La sua passione intellettua-
              le è più che rispettabile e merita di essere presa in se-
              ria considerazione. D’altra parte non mancano prese di
              posizione diverse dalla sua che mirano a mostrare l’altra
              faccia dell’islamismo, più aperto, disponibile, a sua volta
              accogliente. In questo senso la sociologia e la storia del-
              le religioni offrono contributi notevoli ed empiricamente
              fondati. Penso al lavoro di Corrao e Violante1 ed in par-
              ticolare ad un saggio scritto da Ida Zilio-Grandi2 la quale
              mette in luce alcune caratteristiche valoriali di riferimento

                  1 Corrao, F.M., Violante, L. (a cura di) (2018), L’Islam non è terrorismo, Bologna, il

              Mulino, 2018.
                  2 Zilio-Grandi, I. (2018), Le virtù del musulmano, in: Corrao, F.M., Violante, L. (a cura di)

              (2018), L’Islam non è terrorismo, Bologna, il Mulino, 2018, pp. 137-151.

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del musulmano e cioè la pace, la misericordia (basti ricor-
              dare l’incipit degli incontri religiosi e/o culturali di matri-
              ce islamica – e non – che quasi sempre invocano prelimi-
              narmente “il Misericordioso”), la gentilezza con i deboli,
              la reciprocità, l’assennatezza, la gratitudine, la bellezza,
              la medietà, la modestia.
                 Un antagonista ideale delle posizioni sostenute da Ro-
              mano Bettini potrebbe essere il sociologo patavino Ste-
              fano Allievi3, da anni promotore di una politica dell’inte-
              grazione più che dell’accoglienza nei riguardi dell’Islam
              in Italia ed in Europa.
                 Certamente non mancano nel mondo islamico orien-
              tamenti ed atteggiamenti che mirano ad un “sovranismo”
              della religione di Maometto, per cui ogni occasione di-
              venta motivo di enfatizzazione ed esaltazione dell’ap-
              partenenza musulmana. Ricordo a tal proposito un epi-
              sodio, secondario ma significativo, capitatomi anni fa
              in Turchia ad Istanbul: avevo tenuto una conferenza sui
              processi educativi in Italia ed avevo accennato al fatto
              nuovo della presenza di scolari provenienti da paesi isla-
              mici. A titolo esemplificativo avevo dichiarato che nella
              capitale del nostro paese ormai la religione musulmana
              era diventata la seconda per numero di appartenenti. Al

                   3 Allievi, S. (2003), Islam italiano. Viaggio nella seconda religione del paese, Torino,

              Einaudi; (2006), L’islam italiano: istruzioni per l’uso, in Limes, pp.109-121; (2007), Le trap-
              pole dell’immaginario: islam e occidente, Udine, Forum; (2009) (a cura), I musulmani e la
              società italiana. Percezioni reciproche, conflitti culturali, trasformazioni sociali, Milano,
              Franco Angeli; (2010), La guerra delle moschee. L’Europa e la sfida del pluralismo religioso,
              Venezia, Marsilio; (2012), Ma la moschea no. I conflitti sui luoghi di culto islamici, dall’Euro-
              pa al Nordest, Padova, Le Gru; (2016), “A Dio appartengono i nomi più belli”. Come pregano
              i musulmani, Bologna, EDB; (2017), Il burkini come metafora. Conflitti simbolici sull’islam
              in Europa, Roma, Castelvecchi; (2017), Conversioni: verso un nuovo modo di credere? Euro-
              pa, pluralismo, islam, Napoli, Guida.

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termine del mio intervento fui intervistato e fotografato
              a lungo da un’équipe giornalistica. L’indomani un quo-
              tidiano a tiratura nazionale titolava, occupando tutta la
              larghezza della prima pagina: “L’Islam ha conquistato
              Roma” e pubblicava un mia grande foto a centro pagi-
              na. Ecco: il sensazionalismo e l’enfatizzazione di quel
              mezzo di comunicazione rappresentano in buona misura
              un certo modo di concepire una religione e di sostenerne
              la verità assoluta. Ma va anche detto che tale non è la
              modalità prioritaria e prevalente nella medesima confes-
              sione religiosa come in altre.
                  In particolare l’emblematicità della situazione roma-
              na è sottolineata dal fatto che “l’eterogeneità nazionale
              e dottrinale si ricollega alla pluralità delle provenienze,
              in una metropoli che conta oltre 191 gruppi naziona-
              li. Il dato straordinario riguarda allora l’articolazione
              della comunità islamica nell’area metropolitana roma-
              na, divenuta rappresentativa dell’islam italiano, che si
              compone di differenti correnti dottrinali e di diverse
              nazionalità, insieme ad un numero imprecisato di mu-
              sulmani italiani”4.
                  Indubbiamente ogni credo religioso annovera fedeli
              di diversa provenienza e socializzazione che mettono in
              campo i loro specifici punti di vista, non necessariamente
              condivisi dagli altri membri della stessa religione. Il so-
              ciologo è chiamato quindi a saper distinguere, analizzare
              e corroborare con dati empirici le situazioni esistenti e le
              loro connotazioni peculiari.
                   4 Banfi, E., Caragiuli, A. (2011), Roma, immigrazione ed islam: una Capitale in diveni-

              re, in: Caritas di Roma, Camera di Commercio di Roma e Provincia di Roma, Osservatorio
              Romano sulle Migrazioni. Settimo Rapporto, Roma, Centro Studi e Ricerche IDOS, p. 124.

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A tal fine può anche giovare una prospettiva di stu-
              dio ed interpretazione quale quella proposta da Bettini in
              questo volume? Penso di sì ma a patto che i contenuti qui
              offerti siano ricollocati in un quadro più ampio e suffi-
              cientemente contestualizzato.
                 Nonostante resistenze, dubbi, timori ed incompren-
              sioni, il progetto di ampliamento dell’Europa va avanti e
              raggiunge nuovi traguardi, anche inattesi, come nel caso
              del tentativo di un dialogo arabo-scandinavo promosso da
              paesi nordici a prevalenza protestante e paesi arabi a pre-
              valenza islamica, che tentano così di riallacciare rapporti
              vecchi di secoli5.
                 In Europa del resto sono vieppiù numerose le comuni-
              tà arabo-islamiche, turco-islamiche, nonché albanesi, bo-
              sniache, senegalesi, marocchine, tunisine, algerine, egi-
              ziane ed altre ancora (iraniane, pakistane, bengalesi, ecc.)
              insediatesi di recente o da tempi più remoti.
                 L’Oriente islamico in Europa è ormai un tema ricorren-
              te anche nei mezzi di comunicazione di massa. Un primo
              risultato è già percepibile: l’immigrato europeo non è più
              lo spagnolo, l’italiano, il portoghese, ma più di frequente
              il marocchino, il tunisino, il turco. Ed ancora una volta
              tutto è assimilato in una sola, generica categoria: l’arabo
              musulmano, anche se l’individuo additato non è né arabo
              né musulmano. In fondo si generalizza per non voler ap-
              profondire la conoscenza, si stigmatizza per non affronta-
              re l’impegno dell’accoglienza e dell’incontro. Ecco per-
              ché “gli immigrati musulmani non sono ma diventano dei
              gruppi etnici. L’etnicizzazione è un processo di classifica-
                   5   Melasuo, T. (ed.) (1993), Dialogue Arabo-Scandinave, Tampere, TAPRI.

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zione, di declassamento e di riclassificazione degli attori
              sociali che attraverso un sistema di imputazioni incrociate
              e complementari riqualifica la gerarchia sociale. Così, il
              razzismo confina gli immigrati in una posizione stigma-
              tizzata che li discredita. Ma non si assiste mai all’emer-
              gere di una etnicità isolata. Le etnicità si corrispondono e
              sono ordinate l’una all’altra”6.
                 Non è un caso che la bibliografia sociologica sull’I-
              slam in Europa sia aumentata a dismisura7 e che ora
              taluni sociologi della religione, un tempo solo esperti
              della religione dominante nel loro paese di appartenen-
              za, siano divenuti degli specialisti sull’Islam, studiando
              i rapporti fra stato e religione islamica, l’integrazione
              dei musulmani in Europa, il ruolo dell’Islam nella socie-
              tà europea. Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia,
              Italia, Paesi Bassi, Svezia, Norvegia, Spagna e Svizzera
              sono tra i paesi più attenti alle nuove tematiche di con-
              tenuto islamico, in relazione ad argomenti come l’im-
              migrazione, la cittadinanza, la rappresentanza politica,
              l’organizzazione comunitaria, i mezzi di comunicazione
              di massa, i processi identitari, la percezione dell’Unione
              Europea, l’identificazione con l’Europa, l’islamizzazio-
              ne dell’Europa8, l’associazionismo islamico in territorio
              europeo, le reti sociali e religiose islamiche, l’educa-
              zione giovanile, i conflitti interetnici, l’uso del tempo
              libero, la criminalità, l’imprenditorialità, il lavoro, la
                   6 Bastenier, A. (1991), L’Oriente islamico in Occidente. Alcune coordinate, in Religioni

              e Società, VI, 12, pp. 9-17.
                   7 Dassetto, F. and Conrad, Y. (eds.) (1996), Muslims in Western Europe. An Annotated

              Bibliography, Paris, L’Harmattan.
                   8 Rusconi, G.E. (2012), Il mondo islamico riprende la parola, in: Cosa resta

              dell’Occidente, Roma-Bari, Laterza, pp. 73-128.

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poligamia, la condizione minoritaria, la problematica
              linguistica, lo statuto giuridico, i luoghi di culto, il ruolo
              della donna, la pratica religiosa, le conversioni.
                 Osservava giustamente Allievi che “l’Islam infatti
              non è più dall’altra parte, ma è qui, in mezzo a noi, nei
              milioni di musulmani presenti e stabilmente (e irrever-
              sibilmente) residenti in Europa: le valutazioni variano
              tra gli 8 e i 15 milioni e anche più, a seconda dei paesi
              presi in considerazione, della definizione di musulmano
              prescelta e, naturalmente, della tesi che si vuole ‘dimo-
              strare’. La frontiera tra i due mondi si è spostata: anzi,
              non c’è più. Non si può più parlare solo di rapporti tra
              Islam e Occidente: l’Islam è in Occidente. È storia di
              oggi”9. L’Islam è dunque parte integrante ed “integrata”
              dell’Europa, soprattutto a livello di seconde generazio-
              ni, socializzate in pieno nel contesto europeo, in una o
              più lingue europee, quindi euro-islamiche di fatto. In re-
              altà “l’Europa dei musulmani è peraltro diversa da quel-
              la che conosciamo nella sua proiezione istituzionale. È
              più larga, innanzitutto: non limitata a quella dei Quindici
              (i cui confini interni ed esterni non hanno per l’islam si-
              gnificato), e fortemente proiettata verso l’Est. In alcuni
              paesi dell’Europa orientale esistono, infatti, importanti
              minoranze islamiche non immigrate, e quindi cittadine
              a tutti gli effetti, con modalità secolari e sperimentate
              di rapporto con le maggioranze, e di gestione istituzio-
              nale della specificità religiosa islamica (che è spesso
              anche linguistico-culturale, trattandosi in diversi casi di

                  9 Allievi, S. (2002), Musulmani d’Occidente. Tendenze dell’Islam europeo, Roma,

              Carocci, p. 30.

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minoranze turcofone, residuo della dominazione otto-
              mana) da parte degli Stati in questione. Anche questa
              Europa parte dall’Atlantico, ma si slancia più decisa-
              mente verso gli Urali”10. Allievi giungeva ad ipotizza-
              re che l’Europa stessa possa essere dar al-islam, cioè
              “nient’altro che la parte europea della umma, ma in un
              significato in parte diverso da quello tradizionale: terra
              anche dell’islam, e dell’islam tra altri, senza pretese su
              di essi, nemmeno definitorie”. Così l’Europa diventa un
              terreno decisivo per la stessa “geopolitica musulmana”.
              All’orizzonte c’è in definitiva un’Europa “plurale”11.
                 Invero lo stesso Islam è “uno e molteplice”, come lo
              definisce Pace12, passando in rassegna le diverse soluzio-
              ni sperimentate in Europa per il riconoscimento pubblico
              e la regolazione statale dell’Islam e dell’identità musul-
              mana. In Francia, come ricorda ancora Pace, prevale il
              principio dello jus soli che cerca di far diventare ogni in-
              dividuo un cittadino a pieno titolo, mentre in Germania
              vige lo jus sanguinis che tende a riservare la cittadinanza
              solo ai nativi. Da queste due diverse concezioni derivano
              anche gli atteggiamenti nei riguardi degli islamici (come
              di altri immigrati). Nel Regno Unito “le politiche sociali
              sono state ispirate a una concezione socio-culturale che
              porta a classificare gli individui secondo le diverse razze
              umane cui appartengono e, di conseguenza, all’idea che
              le diverse caratteristiche etniche che contraddistinguo-
              no le razze umane debbano essere rispettate e, qualora
              non lo fossero, lo Stato ritiene suo dovere intervenire per
                   10 Op. cit., p. 141.
                   11 Op. cit., p. 179.
                   12 Pace, E. (2004), Islam in Europa. Modelli di integrazione, Roma, Carocci, p. 12.

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promuovere politiche attive di tutela e promozione del-
              le differenze stesse (affirmative action). In tal modo, la
              politica inglese è stata dominata, da un lato, dall’obietti-
              vo di evitare qualsiasi forma di discriminazione razziale
              e, dall’altra, dall’accettazione e riconoscimento graduale
              nella sfera pubblica di tutti quegli elementi distintivi pro-
              pri di questo o quel gruppo etnico”13.
                 In Olanda in un primo momento si è accolta la cor-
              rente migratoria ma poi il sistema di accoglienza è en-
              trato in crisi perché molti degli immigrati sono rimasti
              nel Paese, insieme con le loro famiglie (e con la loro
              religione, islamica o di altra natura): nel giro di un de-
              cennio la popolazione di origine musulmana in Olanda
              è quasi raddoppiata e nel frattempo la società olandese
              ha dovuto affrontare delle crisi economiche. Soprat-
              tutto le seconde generazioni di musulmani ne hanno
              risentito perché hanno visto ledere i loro diritti. In Bel-
              gio esiste un organismo rappresentativo dei musulmani
              che si mette in relazione con lo stato belga ma si adatta
              anche alle sue leggi.
                 Nei paesi scandinavi infine si è applicato lo jus loci,
              come in Francia, agevolando l’accesso alla cittadinan-
              za, ma favorendo soprattutto gli immigrati di origine
              europea, attraverso la limitazione degli ingressi: ma an-
              che qui si è registrata una crisi, a livello fiscale, che ha
              complicato la gestione dei flussi immigratori; per di più
              sono numerosi i rifugiati che vengono accolti per ragioni
              umanitarie ma controllati in modo rigido. Nondimeno
              sono state aperte scuole islamiche e moschee. Però tra i
                   13 Op.   cit., pp. 42-43.

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vari paesi scandinavi ci sono differenziazioni, per esem-
              pio per quanto riguarda l’iscrizione automatica dei neo-
              nati alle chiese nazionali, in particolare a quella svedese,
              sin dal 1990. Appunto in Svezia si sono avuti anche dei
              momenti di frizione con gli islamici: per questo vi sono
              difficoltà nel “passaggio dalla politica dell’assimilazio-
              ne a quella dell’integrazione rispettosa delle differenze
              socio-religiose dell’islam”14. La difficoltà nasce anche
              dal considerare l’Islam come un tutt’uno, quasi fosse
              una sola “congregazione”.
                 Da ultimo Italia e Spagna hanno mostrato un’ampia di-
              sponibilità nei riguardi delle correnti immigratorie islami-
              che, specialmente agli inizi, ma successivamente si sono
              avute restrizioni. In Spagna c’è stato un accordo nel 1992,
              con il riconoscimento dello statuto giuridico dell’Islam:
              ma nel 2000 sono arrivate delle limitazioni legislative.
              In Italia gli ingressi di musulmani stanno crescendo, con
              provenienze piuttosto differenziate. Il loro riconoscimen-
              to giuridico pone però problemi di varia natura, non an-
              cora risolti.
                 Per concludere in tema di Islam in Europa appare
              interessante un’analisi comparativa che concerne bud-
              disti e musulmani alla luce della percezione che ne
              hanno i cittadini europei, che con i loro atteggiamenti
              influenzano le scelte legislative e le dinamiche future
              della società. L’apprezzamento per i buddisti è andato
              aumentando mentre si è ridotto quello per i musulmani:
              questo direbbero alcuni studi condotti in Francia, Bel-
              gio, Olanda, Italia, Danimarca, Regno Unito, Scozia,
                   14   Op. cit., p. 88.

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Austria, Germania ed altrove in Europa. Infatti “dap-
              pertutto in Europa occidentale i gruppi buddisti sono
              riconosciuti o in via di riconoscimento, nonostante
              talvolta il numero irrisorio dei loro membri. Il ricono-
              scimento avviene ed avviene sempre più rapidamen-
              te di quello per l’islam, ed è quasi ovunque di livel-
              lo almeno uguale a quello dell’islam che è nondime-
              no incomparabilmente meglio insediato del buddismo
              nell’insieme europeo”15. Insomma il Buddismo rie-
              sce ad essere (od apparire) più occidentale ed europeo
              dell’Islam. Anzi il Buddismo rappresenterebbe l’Eu-
              ropa futura. Salvo rendere pure l’Islam una sorta di
              nuovo Buddismo, facendo leva su alcuni suoi specifici
              valori religiosi.
                    I quattro blocchi di altrettante religioni (cattolici,
              ortodossi, protestanti ed islamici) sono una base fonda-
              mentale per la costruzione dell’Europa. Sono anzi delle
              vere e proprie pietre angolari collocate ai quattro qua-
              dranti dello scacchiere europeo: il punto di convergenza
              potrebbe essere appunto Bruxelles (od il Belgio), dove
              le presenze delle quattro religioni più numerose sono
              ben evidenti, con a fianco quella ebraica ormai plurimil-
              lenaria in Europa.
                  Ma la storia e la sociologia insegnano che tali blocchi
              possono anche costituire un ostacolo sulla strada del pro-
              cesso identitario continentale. Vero è tuttavia che espe-
              rienze varie mostrano come la convivenza sia possibile.
              Ed anzi il riferimento alla comune appartenenza europea

                  15 Liogier, R. (2006), L’opposition symbolique entre bouddhisme et islam en contexte

              européen, in Religioni e Società, XXI, 56, p. 78.

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può costituire un freno al sorgere di conflitti interetnici.
              Ad esempio la recente entrata della Romania nell’Unione
              Europea potrebbe ridurre l’entità del contrasto fra popo-
              lazioni stabili sul territorio europeo da una parte e popola-
              zioni nomadi come quella dei Rom dall’altra.
                   Nonostante resistenze e perplessità (si pensi anche ai
              problemi sollevati dall’adozione dell’euro come moneta
              unica), esiste una buona piattaforma di adesione all’idea
              di un’Europa come territorio sociale comune. L’idea è
              partita da paesi che avevano come riferimento la matrice
              cattolica e quella protestante ma poi la proposta ha coin-
              volto anche aree di cultura ortodossa dapprima e islamica
              dopo (la Turchia da tempo sta chiedendo di entrare a far
              parte dell’Europa).
                 Il rapporto delle diverse religioni con la realtà dell’Eu-
              ropa è di fatto ineludibile. I nessi ci sono, talvolta sono
              inestricabili, ma hanno comunque un peso, esercitan-
              do una loro influenza. Capirne la portata, conoscerne le
              dinamiche e valutarne le conseguenze non è impresa da
              poco. Pure la raccolta di dati informativi è irta di insidie,
              fraintendimenti, reticenze, deformazioni, censure ideolo-
              giche, difficoltà metodologiche e cronologiche e dunque
              comparative.
                 Non è neppure agevole disporre di dati complessivi sul
              numero dei fedeli delle diverse entità religiose presenti in
              Europa. Anche procedere a delle stime non è facile, ma
              un quadro almeno parziale, per più di 25 Paesi (Russia
              esclusa), può essere considerato il seguente:

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Religioni                       Numero dei fedeli
              Cattolicesimo                   260.457.890
              Protestantesimo                 73.330.350
              Ortodossia greca                35.861.140
              Anglicanesimo                   32.696.030
              Altre religioni cristiane       9.966.980
              Tutte le religioni cristiane    412.312.390

              Islam                           8.760.660

              Altre religioni                 1.526.490

              Ebraismo                        1.447.140

              Non religione                   53.058.980
              Ateismo                         18.452.730

                                              495.558.390

                 Un caso particolare è quello di Cipro, dove una par-
              te dell’isola è greco-ortodossa e l’altra è turco-islamica.
              Altre divisioni sono poi quelle che riguardano la popola-
              zione dell’Azerbaigian (di religione islamica, soprattutto
              sciita, con una minoranza di cristiani). La forte identità
              di questo Paese comporta conflitti di vario genere, che
              influenzano anche le varie religioni. Nell’Azerbaigian
              islamico ci sono altresì i cristiani armeni del Nagorno-
              Karabah; ed infine nell’Armenia ortodossa ci sono pure
              gli azeri di Nahičevan.
                 Nel sud dell’Europa sono presenti gruppi numerosi di
              islamici ad Istanbul ed in Turchia ma anche in Albania,

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Serbia, Bosnia-Erzegovina e Macedonia. Soprattutto
              l’immigrazione più recente (vedi il Cap. 2 - Migrazioni
              musulmane e musulmani d’Europa) ha portato molti isla-
              mici nel continente europeo, tanto da costituire l’Islam la
              seconda religione, per numero di fedeli, in varie nazioni
              dell’Europa. Le prospettive per il futuro dell’Europa non
              possono dunque prescindere da una presa in carico delle
              problematiche religiose. Nuovi arrivi soprattutto dall’A-
              frica e dall’Asia stanno mutando la composizione interna
              delle nazioni europee, anche a livello religioso.
                    Il focus della questione è di natura religioso-politica.
              Su questo Bettini ha ragione di insistere e di richiamare
              l’attenzione. Ed infatti osserva che “certamente gli ordi-
              namenti democratici consentono maggioranze musulma-
              ne; qui il punto è se queste intendano rimanere in un siste-
              ma democratico o piuttosto di imporre un sistema sharai-
              tico, riducendo gli occidentali in ‘dhimmitudine’ soggetta
              all’islam”.

                                                                         19

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Introduzione

                 La tesi che propongo da tempo di un Islam come reli-
              gione ibrida, cioè politicamente impegnata nella sua fede
              “imperialistica”, come aggettivata da un noto analista,
              viene qui ripresa sotto tre aspetti.

                 Il primo è la presenza islamica nei flussi migratori
              verso occidente, presenza che ha culturalmente e politi-
              camente una specificità segnata dalla sua storia di imperi
              perduti, che pur la coinvolge non in impossibili sfide di
              civiltà, come sostenuto da Huntington, ma in una richie-
              sta di ospitalità da parte di società in difficoltà, che cer-
              cano ponti di sopravvivenza in stati creatori di tangibili
              progressi e benessere attraverso invenzioni, scoperte ed
              impegno umano di cui pur fruiscono tutte le società mi-
              granti del XXI secolo. Ed è una pressione di flussi al cui
              contenimento ancora si sottraggono paesi islamici ricchi
              di petrolio.
                 Si tratta di una presenza islamica a difficile integrazio-
              ne, stando ai risultati di sondaggi effettuati.
                 Una quinta colonna per eventuali revanscismi?

                                                                        21

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Un secondo aspetto è quello della asserita diffamazio-
              ne da parte occidentale, di cui i leader delle società isla-
              miche si lamentano insistentemente, come a legittimare le
              loro carenze storiche.
                 Ché di tali carenze e non di reale diffamazione si tratta,
              di un elenco di ragioni (legittime critiche e semplici anche
              se severe constatazioni) che il mondo islamico sembra
              ignorare, ma che sono alla base delle islamofobie e ap-
              prensioni tradizionali e recenti delle società occidentali,
              impegnate a fronteggiare i problemi dei migranti e quelli
              dei terrorismi islamisti.

                 Un terzo aspetto è quello della ancora ampiamente ri-
              fiutata separazione della religione dallo stato, che dal 622
              ancora si distingue per violenze giustificate dal mito del
              califfato, e fa della religione islamica un dovere soggetto
              a sanzioni di legge, nonostante la prescrizione contraria
              del Corano 2,256. Dodici stati islamici ancora condanna-
              no a morte i loro apostati.
                 Complessivamente l’Islam si trova di fronte a società
              occidentali intrise di cristianesimo che hanno storica-
              mente segnato i tratti attuali della globalità con teleco-
              municazioni, trasporti, sanità, diritto, e cioè con muta-
              menti fruiti da tutta l’umanità, al cui conseguimento le
              società islamiche non hanno contribuito, rimanendone
              passive beneficiarie.
                 Nella loro statualità le società islamiche sono in coda,
              nelle graduatorie internazionali, per democraticità, ed ai
              primi posti per corruzione, nonostante l’assunto che nel-
              la loro religione la lotta alla corruzione sia la soluzione

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di tutti i problemi socio-politici, benessere della popola-
              zione incluso.
                 Ma si lamentano di diffamazione.
                 Chi diffama l’Islam? Unicuique suum.

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