HARRY PARTCH. THE DREAMER THAT REMAINS

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HARRY PARTCH. THE DREAMER THAT REMAINS
BY   DANIELA CASCELLA

Blow Up. Rock e altre contaminazioni, Edizioni Tuttle, Camucia (AR), Italy, n. 100, settembre 2006

        "La direzione in cui mi sono mosso negli ultimi quarantaquattro anni ha molto in comune con le azioni
        dell'uomo primitivo per come lo immagino. L'uomo primitivo trovava suoni magici nei materiali attorno
        a sé... Creava poi un oggetto… visivamente il più bello possibile. L'ultimo passo era quasi automatico:
        la metamorfosi dei suoni magici e della bellezza visiva in qualcosa di spirituale. Questi si fondevano
        con le sue parole e le sue esperienze quotidiane – i suoi riti, drammi, religioni – dando così un
        significato più profondo alla sua vita. Queste azioni dell'uomo primitivo diventano la triade su cui si
        basa il mio lavoro: suoni magici, forma visiva e bellezza, rito-esperienza."
        Harry Partch, 1967

        Harry Partch ha costruito un mondo a partire da una verità primordiale – l'impulso umano a generare
        suono da qualsiasi oggetto, e lo stupore che ne deriva – con la volontà di restituire all'oggi ciò che egli
        stesso chiamava Ancient Magic: un risvegliarsi a quell'antico stupore attraverso l'integrazione dell'atto
        creativo all'interno della vita, nei modi più vari ma sempre fedeli alla stessa idea di completezza, di
        espansione della musica verso l'esistenza penetrata in tutte le sue fibre, di pienezza di un suono
        indissolubilmente legato ai ritmi e alle proporzioni universali e nascoste che sottendono la quotidianità.
        "E' stato detto molto rispetto all'esprimere il proprio tempo. Nulla di più futile o idiota. L'obbligo
        principale dell'artista è di trascendere il proprio tempo, di mostrarlo nel suo rapporto con i misteri
        eterni, di usarne i materiali trasformandoli in qualcosa di magico."

        "Sognare i cambiamenti è una cosa. Metterli in atto un'altra."
        Partch ha realmente costruito il mondo da lui vagheggiato, rendendo tangibili le proprie intuizioni in
        campo musicale ed estetico, studiando le leggi e la storia dell'acustica e ricercando, manipolando e
        assemblando materiali per dare forma a strumenti che gli consentissero di dare vita alla musica scritta
        secondo le proprie teorie e il proprio sistema di accordatura. E' questa una delle impronte più forti che
        ha lasciato: una dimostrazione di come sia possibile unire visionarietà e concretezza, passione e
        perseveranza, visioni originali e precisione di studi e ricerche. Basti ripercorrere gli slanci e le
        annotazioni puntuali nei suoi scritti, o guardarlo suonare i propri strumenti nell'intervista/documentario
        The Dreamer That Remains – e nel caso di Partch il verbo "suonare" appare più che mai riduttivo: i
        suoi strumenti sono piuttosto da lambire, assecondare, accarezzare o violentare a seconda dei casi,
        per mettere in atto (in scena) la molteplicità di forme in cui si può manifestare la fusione tra corpo,
        oggetto e spazio.
        "Ho camminato per il paese con uno zaino in spalla, costantemente afflitto da ogni tipo di futile
        problema personale, eppure ogni tanto, come risultato dell'esperienza, mi accorgevo della magia delle
        piccole cose che crescono, la magia di un corso d'acqua, la magia del fuoco accanto al quale mi
        sedevo… La scoperta di questa magia primordiale richiede una certa quantità di dedizione." Anelito ed
        euforia, visioni originali e compiute analisi acustiche, realizzazione di strumenti musicali e originali
        ibridazioni con culture esotiche, vita da vagabondo e precisione teorica estrema: sono soltanto alcune
        delle traiettorie creative di Partch. A colpire è sempre il suo lasciarsi saturare dalla vita nel suo farsi e
disfarsi, rallentando ogni esperienza per assaporarne i dettagli e la pienezza; la sua volontà di
superare divisioni stilistiche e di accogliere in sé cadute e ascese, il ritmo del grembo accanto alla
melodia della tomba (come in Even Wild Horses), per riportare "il compositore in diretto contatto con i
miracoli." E i miracoli, come la grande tradizione di outsiders statunitensi insegna, sono nella vita
quotidiana, a cui Partch si accosta in modo obliquo, wayward, fondando su di essa i propri miti e le
proprie visioni mai ingenuamente idilliache anzi spesso velate di quella che in Delusion of the Fury egli
chiamò another darkness.

Alla base di tutto la constatazione che "siamo tutti stregati", come Partch scrive a introduzione di The
Bewitched: stregati da pregiudizi nei modi di ascoltare la musica, di suonarla e di metterla in scena, da
suddivisioni stilistiche soffocanti. E' invece necessario liberarsi da questo incantesimo, da ogni forma
di chiusura e di specializzazione: "Il musicista come danzatore, il danzatore come sterratore, lo
sterratore come fisico, il fisico come barbone, il barbone come messia, il messia come criminale, e
ogni altra metamorfosi concepibile." In che modo avviene questa liberazione? In primis, attraverso una
riacquistata pienezza dell'esperienza umana: "Senza comprensione dell'esperienza umana non c'è
nulla," il tutto mosso sempre da una necessità profonda di comunicazione: "Lo scopo che ispira ed
esaspera, che dà vita e distrugge la vita dell'artista è il raggiungimento di quella comprensione che
genera comunicazione." Per liberarsi dall'incantesimo c'è bisogno di uscire, come il bambino della
filastrocca posta in chiusura della prefazione a Genesis of a Music, "once upon a time / there was a
little boy / and he went outside", o come il vagabondo il cui esistere è legato all'eccitazione del partire:
Partch esce da schemi e convenzioni rispetto alla musica e guarda con occhi nuovi, o meglio ascolta
con orecchie più antiche, per parafrasare quel William Butler Yeats che tanto ammirava. In altre
parole, si tratta di scendere al di sotto della superficie e far riaffiorare verità ed equilibri più profondi,
come ad esempio la verità delle proporzioni armoniche e dei rapporti aritmetici: l'intero percorso di
Partch è stato contrassegnato dalla riscoperta di quella che egli riteneva una verità messa in ombra
dalle convenzioni musicali dominanti, la Just Intonation, sistema di temperamento alternativo a quello
diffuso nella musica occidentale. Una ricerca che accompagnò tutta la sua vita, sostenuta da un forte
rigore rispetto alle proprie tesi e una grande lucidità nel dimostrarle e nel metterle in atto. Partch
stesso infatti affermò più volte di non essere un compositore sperimentale, ma di aver avuto sempre
ben chiaro il proprio percorso e di aver saputo sempre bene a cosa mirare. "L'originalità non può
essere uno scopo. E' semplicemente inevitabile."

Le tematiche fondamentali dell'opera di Partch furono sviluppate e approfondite, oltre che nella
scrittura e messa in scena delle opere e nella realizzazione di strumenti musicali, in un corpus di scritti
vibranti e intensi al pari della musica: commoventi, ironici o provocatori, attraversati da passaggi di
enfasi visionaria, esattezza matematica e sfumature di commovente lirismo. Oltre alla numerosa
corrispondenza raccolta nel prezioso volume Enclosure 3, sono due i testi di riferimento per chi
volesse addentrarsi nella poetica partchiana: Bitter Music e Genesis of a Music.
Bitter Music era in origine il titolo del diario tenuto da Partch durante gli otto mesi di vagabondaggio
(giugno 1935-febbraio 1936) nella West Coast degli Stati Uniti durante la Depressione, che
raccontano anche in forma di flashback il viaggio in Inghilterra del 1934-35 e l'incontro con Yeats in
Irlanda. L'edizione disponibile oggi per i tipi della University of Illinois Press è arricchita da una
selezione di saggi e di interventi a conferenze; completano il volume le introduzioni alle diverse opere
e i libretti delle stesse. Tornando al nucleo originario di Bitter Music, Partch vi si riferì spesso come a
una composizione musicale vera e propria: in tutto il diario, infatti, le vicende narrate sono
giustapposte a frammenti di partiture. Accanto alle notazioni canoniche per pianoforte, Partch tenta di
rappresentare il "parlato" dei personaggi che incontra annotandone le inflessioni melodiche: la
presenza del suono è usata per aumentare il realismo degli eventi vissuti dal protagonista immerso nel
"mare di caotica umanità" con cui viene a contatto giorno dopo giorno. Il diario riflette la frustrazione e
l'amarezza di Partch per la mancanza di supporto alle sue ricerche musicali, alternate a momenti di
slancio nell'immergersi nell'esperienza e nel paesaggio: "Questo non è il passato raddolcito. E' il
presente intenso, sotto l'albero selvaggio di lillà dove sto dormendo – fragile e intenso." E poi
cronache di incontri casuali, di viaggi difficili su treni merci, di suicidi e di disperazione legata a fame,
insicurezza e solitudine. Ombre scurissime squarciate da lampi abbaglianti: il senso di condivisione e
complicità con gli altri hobos, la capacità di cogliere i momenti esilaranti anche nella disperazione,
un'amarezza di fondo che non è mai rassegnazione, il senso di precarietà e al contempo di libertà - e
l'una non sarebbe senza l'altro. Una lettura indispensabile per avvicinarsi alle tematiche partchiane.
Viscerale e toccante.
La prima edizione di Genesis of a Music uscì nel 1949; ad essa seguì nel 1974 una seconda versione
ampliata, ancora oggi disponibile su Da Capo Press. E' un testo fondamentale non soltanto per
comprendere il pensiero di Partch ma per tutta la storia della teoria musicale; ad esso sono state
rivolte le attenzioni e gli elogi di musicisti quali Lou Harrison, John Cage, Steve Reich, per citarne
alcuni. In Genesis of a Music Partch sviscera le proprie ricerche e lo fa con pari dovizia sul piano
teorico/aritmetico e su quello pratico. Nove capitoli del libro sono dedicati a questo argomento,
esponendo problematiche e soluzioni relative alla "Just Intonation", confutando pregiudizi relativi alla
teoria e alla pratica musicale. Altri quattro capitoli passano in rassegna la storia del temperamento in
musica e una nutrita sezione del volume è dedicata inoltre alla descrizione degli strumenti inventati da
Partch per mettere in atto le proprie tesi. Se non bastasse, sempre in Genesis of a Music (all'inizio e a
fondamento di tutto, infatti) Partch espone l'idea di Corporeal come musica "emotivamente tattile",
sempre associata alla poesia o alla danza, che conserva l'essenza della parola intesa come nesso
profondo con la realtà. Chiunque si trovasse davanti a una copia di Genesis of a Music non si lasci
intimorire dai capitoli prettamente attinenti a rapporti tra frazioni e annotazioni relative a scale e
temperamenti: in questo libro c'è Partch al meglio di sé, traboccante di spunti creativi e risvolti ironici,
di feroci attacchi polemici e commenti arguti.

La restituzione della magia primordiale del suono fu perseguita da Partch attraverso lo sviluppo di una
particolare forma di Just Intonation, sistema di accordatura microtonale. Spiegare la Just Intonation su
queste pagine richiederebbe un'analisi approfondita della storia del temperamento, materia che esula
dalle nostre intenzioni. Basti sapere che la Just Intonation promossa da Partch imposta gli intervalli
musicali su frazioni di numeri interi (in altre parole, su serie armoniche): rispetto a un sistema di
intervalli fisso, in cui appunto gli intervalli sono equidistanti tra loro, la Just Intonation implica una
maggiore complessità di individuazione delle note sui vari strumenti, risolta da Partch adattando
strumenti musicali, costruendone di nuovi e sviluppando di pari passo un sistema apposito di
notazione. Partch individua così suoni e rapporti tra i suoni più sfumati, che rendono le sue
composizioni ricche di gamme sonore inusuali rispetto alle convenzioni.
L'insoddisfazione di Partch con le modalità convenzionali di accordatura degli strumenti si manifesta
presto, a livello di pura intuizione come egli ribadì in più occasioni. Nel 1923 la lettura del libro On The
Sensations Of Tone (1885) del fisico tedesco Hermann Helmholtz, che illustra modi alternativi di
temperamento, offre a Partch un riscontro e una base alle proprie teorie: comincia a studiare modi di
creare le scale musicali che oltrepassino quello convenzionale, dedicandosi alle forme antiche di
intonazione, alla scala araba e persiana. Obiettivo principale all'inizio è quello di restituire il ritmo reale
e vivo del parlato, di rendere nelle sue sfumature la voce, definita in Genesis of a Music "bottiglia di
distillato cosmico", potente e intima al tempo stesso, capace di esprimere una varietà di stati d'animo
"dalla malinconia estatica alla fatuità edonista, dalla beatitudine furtiva al grottesco violento alla
lussuria portentosa…": un obiettivo che s'inquadra ancora una volta nella ricerca di quella
compenetrazione di arte ed esistenza di cui abbiamo accennato sopra. Tra il 1928 e il 1933 Partch dà
forma al suo primo sistema microtonale che si basa su 29 toni, sviluppando di pari passo la Adapted
Viola, e nello stesso periodo mette in musica le poesie del cinese Li Po risalenti all'VIII secolo.
Continuerà lo studio della Just Intonation per tutta la vita, giungendo a sviluppare numerose scale
musicali, la più nota delle quali è quella a 43 toni. Alla ricerca su rapporti numerici e leggi acustiche
Partch accompagna una notevole invenzione linguistica relativa tanto alla materia musicale (definizioni
come "Utonality" e "Otonality" per definire rispettivamente la tonalità minore e maggiore) quanto alle
forme di notazione: disegna quindi il proprio sistema musicale fin nei minimi dettagli.

"A volte vorrei morire. Ma non lo farò finché non avrò conosciuto il suono della Bass Marimba."
"Uno dei momenti più forti della mia vita fu all'inizio del 1922, quando vidi un gruppo di uomini
hawaiani scavare dei fossati portando fiori rossi d'ibisco tra i capelli. Prima di morire, spero di vedere
qualche concertista famoso salire sul palco per suonare il concerto per pianoforte di Cjaikovskij con
una rosa rossa dietro l'orecchio. Potrebbe iniziare a migliorare la situazione…"
Lo sviluppo del proprio sistema di temperamento va di pari passo con l'ideazione e la realizzazione di
strumenti musicali capaci di adattarsi a tali forme e di rendere tali suoni; come ogni altra tappa del suo
percorso, Partch lo fa con un coinvolgimento che sconfina nell'accanimento e con una concretezza
operativa impressionante.
Inizialmente Partch adatta strumenti musicali preesistenti: la Adapted Viola e le Adapted Guitars
risalgono già alla prima metà degli anni '30. La Adapted Viola, ad esempio, conserva le forme della
viola ma ha una tastiera più lunga e corde di violoncello; gli intervalli sono segnati sulla tastiera con
punti colorati. E' suonata come una viola da gamba e con una tecnica simile a quella usata per la vina
indiana. Nel corso degli anni Partch giunse a realizzare ex novo strumenti dalle forme inusuali,
spostando gradualmente l'interesse dagli strumenti a corda agli strumenti a percussione. Ben 125
pagine di Genesis of a Music sono dedicate alla descrizione di questi strumenti, dalla storia della loro
ideazione e costruzione, all'accordatura e alla notazione ad essi pertinenti fino alle istruzioni per l'uso:
non soltanto tecniche interpretative ma anche puntuali indicazioni su come i musicisti dovessero
muoversi nell'interagire con ogni strumento. Per Partch, strenuo oppositore della separazione tra
fisicità degli strumenti musicali e loro visibilità sul palco, e dell'aspetto standardizzato degli interpreti, il
musicista doveva fondersi con lo strumento e con lo spazio in cui entrambi si collocavano. Genesis of
a Music è ricco di passaggi illuminanti al riguardo. Vale la pena citarne alcuni: "Il ruolo del suonatore di
Marimba Eroica richiede più del semplice suonare. E' il suo aspetto visivo che egli deve coltivare.
Deve essere un eroe della Guerra di Troia. Nei passaggi concitati e impetuosi deve apparire come
Ben Hur sul suo carro, mentre affronta l'ultima curva del giro finale." "[I suonatori di questi grandi
strumenti] devono essere attori, e il movimento dei piedi grazioso e agile... Quando si abbassa, è
importante che il musicista non lo faccia all'altezza del torace come se fosse un raccoglitore di prugne
della California dilettante, ma che mantenga il busto verticale mentre si piega con il ginocchio. E' un
movimento atletico, grazioso, una specie di danza." "Il suonatore [di Cloud-Chamber Bowls] ha sette
piedi di spazio da ricoprire con grazia atletica… [Muovendosi] deve rivelare – nel corpo e nello spirito
– soltanto ciò che è bello."
Impossibile passare in rassegna tutti gli strumenti costruiti da Partch, molti dei quali sono visibili nelle
foto pubblicate in queste pagine. Alcuni di essi sono dimostrazioni vere e proprie delle corrispondenze
matematiche e del combaciare di struttura e funzione da lui esplorato, come ad esempio la Diamond
Marimba che rende visibile e concreto lo "11-limit tonality diamond" (senza entrare troppo nel
dettaglio, i rapporti di toni entro il limite del numero 11). Tra gli strumenti a corda, i vari tipi di Kithara
producono alcuni tra i suoni più distintivi della musica partchiana e riportano le forme della Kithara
greca su dimensioni giganti (e con più corde). E' negli strumenti a percussione però che l'inventiva di
Partch trova spazio e sfogo - strumenti che avevano il compito di evocare una "magia ritmica antica,
così vecchia che potrebbe addirittura aver preceduto la scoperta del fuoco". Con nomi tanto fantasiosi
quanto le proprie forme – Marimba Eroica, Quadrangularis Reversum, Cloud-Chamber Bowls, Mazda
Marimba (costruito impiegando delle lampadine), Spoils of War, Zymo-Xyl (uno xilofono a cui aggiunse
bottiglie di vino e liquore come elementi da percuotere) – Partch mise insieme un ensemble
visivamente unico, oggi peraltro finalmente documentato su dvd nel recentissimo – e imperdibile –
Enclosure 7.
"Credo nei musicisti capaci di essere parti totali del momento, insostituibili, capaci di suonare, urlare,
fischiare, pestare i piedi; sempre in costume, o forse mezzi nudi – e non mi interessa quale metà lo
sia."
"La ricerca vitale in musica necessariamente deve intraprendere un percorso fisico. Perché la musica
dipende dalla capacità di un corpo di vibrare e dal meccanismo dell'orecchio umano di captare quella
vibrazione."
Dallo studio delle inflessioni della voce all'integrazione del corpo umano come veicolo di significati alla
pari dello strumento musicale, della musica e delle tematiche affrontate nelle opere: il concetto di
Corporeal è articolato da Partch nelle prime pagine di Genesis of a Music, dove è introdotto in
opposizione all'idea di Astratto.
Corporeal è "musica vitale per un tempo e un luogo, un qui e un ora. Il canto epico, e tutte le culture in
cui la musica era fisicamente integrata alla poesia o alla danza. Emotivamente tattile." La musica
Astratta, invece, trascende il qui e l'ora, è mentale o spirituale, in altre parole "pura" – e la purezza,
come abbiamo visto, è l'opposto di quanto cercato da Partch. A partire da questa distinzione di fondo,
e con lo sguardo rivolto al corrispondere di suono e parola in tutte le inflessioni del linguaggio e non
nei rigidi codici dell'opera lirica, Partch traccia nel suo libro una storia della musica secondo le diverse
forme assunte nei secoli dalla Corporeal Music che, come un fiume carsico spesso non manifesto in
superficie, continua a scavare nel sottosuolo. Di particolare importanza le prime pagine di questa
storia, in cui Partch presenta le culture in cui riscontra quell'unità originaria tra musica e parola (e
mondo) corrotta a partire dal cantato in antifona e dagli inni cristiani. Ecco dunque l'Imperatore cinese
Chun, che nel 2300 A.C. decretò "che la musica segua il senso delle parole"; il teatro greco, in cui
ritmo e armonia erano regolati dalle parole, e quello cinese e giapponese, tra i primi ad aver percepito
"la scienza dell'intonazione… e la prova dell'unità della natura umana".

"Uso la parola 'rito' e la parola 'corporeal' per descrivere un tipo di musica che non è collocata né sul
palco né relegata alla buca dell'orchestra. Nel rito i musicisti sono visibili."
"Tutti gli uomini sono danzatori e il loro passo si muove al fragore barbarico di un gong." W.B Yeats
"Questo Dio vuole che danziamo." Revelation in the Courthouse Park
Negli anni successivi a Genesis of a Music, Partch passò ad espandere sempre più la nozione di
Corporeal fino alla messa in scena di veri e propri spettacoli in cui si fondevano musica, presenza dei
musicisti e degli strumenti sul palco, danza e scenografia, corpi e gesti, temi e parole. Fondamentale
da questo punto di vista la svolta dei primi anni '50, che videro la nascita delle Plectra and Percussion
Dances e la comparsa degli strumenti a percussione sul palco (King Oedipus), fino ai lavori della
maturità come The Bewitched e Revelation in the Courthouse Park e al culmine di lavori tardi come
Delusion of the Fury (si vedano le schede delle opere). In tutti i lavori appena citati si riscontrano
continui rimandi al teatro greco, spesso mescolati però a elementi squisitamente contemporanei e a
suggestioni provenienti da altre culture: pur non facendo un mistero della sua attrazione per il teatro
greco, Partch ne traspone miti e riti ambientando le proprie opere in un "passato indefinito" che
spesso si colora di presente. Per Partch la Grecia, "culla di verità d'intonazione e di immoralità
selvaggia", rappresenta un background costante ma flessibile rispetto al proprio sistema d'immagini e
d'idee: la sua non è mai una fedele riproduzione degli stilemi tipici del teatro greco, piuttosto una base
su cui poggiare ibridi iconografici e simbolici sui generis. Riferirsi ai miti greci non è una causa o un
fine, piuttosto una conseguenza del suo modo di intendere il teatro e la musica in quanto parti di un
insieme scenico: come ebbe a dire in relazione a King Oedipus, Partch usa la sintesi di parola, musica
e danza come unità drammatica non per arrivare allo spirito greco ma perché crede in esso. Nelle sue
opere, in quelle ispirate direttamente a Sofocle (King Oedipus) ed Euripide (Revelation in the
Courthouse Park) e in quelle "ibride" come The Bewitched o Delusion of the Fury, la tragedia o la
satira sono architetture portanti di una struttura drammatica che oltrepassa la filologia. Ecco allora che
sul palco possono apparire partite di baseball, riti di fertilità congolesi, favole africane… Come ha
scritto Philip Blackburn: "Partch non cercava tanto di ricreare un'estetica storica quanto di rastrellare il
passato come precedente per sostenere la propria posizione... Ispirato da miti per creare i propri miti."
      O, nelle parole dello stesso Partch: "Ho molto a cuore un'era, o più ere, scoperte attraverso lo scavo,
      l'ipotesi e lo studio. Ho molto più a cuore, però, il presagio di uno spirito antico di cui non conosco
      nulla."

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