Raccontare il patrimonio artistico e culturale italiano - Smart Marketing

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Raccontare il patrimonio artistico e culturale italiano - Smart Marketing
ITsART e Italiana: il nuovo modo di
raccontare il patrimonio artistico e
culturale italiano
Esiste un modo innovativo di raccontare e promuovere la bellezza del patrimonio culturale italiano
anche oltre confine?

Dallo scorso 31 maggio la risposta è ITsART, il portale fortemente voluto dal ministero della cultura
per promuovere e rendere fruibili a tutti, italiani e stranieri, l’immenso patrimonio culturale italiano,
carico di storia, bellezza, tradizione e luoghi culturalmente attrattivi.

Fu il ministro della cultura Dario Franceschini, in pieno lockdown, ad annunciare l’avvento di un
portale che avrebbe cambiato il modo di fruire la cultura italiana nel mondo, una sorta di “Netflix
della cultura”, con contenuti on-demand ed a pagamento, ma anche con moltissimi contenuti
gratuiti.

Il portale, nato dal sodalizio tra Cassa Depositi e Prestiti (società per azioni controllata dal
Ministero dell’Economia) e CHILI.tv (nota piattaforma di streaming), forse inizialmente fu pensato
per intrattenere gli utenti in un periodo in cui musei, cinema e teatri erano interdetti ad artisti e
fruitori a causa delle misure di contrasto al Covid-19; oggi invece, a distanza di un anno
dall’annuncio della sua realizzazione, potrebbe diventare un importante veicolo di promozione del
brand “Italia” all’estero, contribuendo e rafforzando quell’idea di “bel paese” intriso d’arte e cultura
millenarie.

Le potenzialità ci sono e sono evidenti, nonostante ci si trovi ancora di fronte ad un catalogo scarno
e forse non ben organizzato, ma che sicuramente verrà arricchito man mano che la piattaforma
comincerà ad essere attrattiva sia per i creatori di contenuti che per i fruitori.

Al suo interno troviamo grande eterogeneità di contenuti, dalla musica classica all’opera, dalla
musica pop ai film d’autore, dalle visite virtuali ai musei alle performance teatrali, così come è
eterogeneo il modo di poter fruire dei contenuti, a pagamento, gratuitamente e gratuitamente con
pubblicità, mentre attesissimi sono i live streaming (il primo è stato trasmesso il 21 giugno in
occasione della rassegna “Maggio Musicale Fiorentino”).
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ITsART rappresenta sicuramente un salto innovativo nel modo di comunicare la cultura italiana, se
non altro per il fatto che effettivamente è la prima volta che in Italia si promuove arte e cultura
unitariamente ed in modo organico su un’unica piattaforma, ma non è l’unico esempio.

A marzo 2021 infatti, è stata annunciata un’altra piattaforma gestita dal Ministero degli Esteri
che ha come mission la promozione della lingua, della cultura e della creatività italiana nel mondo.

Si chiama “Italiana” ed è stata definita la risposta della Farnesina alla domanda di cultura italiana
nel mondo, in cui troveranno spazio musica, letteratura, poesia, cinema, teatro, arti visive, web art,
ma anche architettura, design, storia, archeologia, enogastronomia e che sarà fruibile in modo
completamente gratuito da tutti, sia in Italia che all’estero.

Al suo interno anche una piattaforma didattica online open source ideata per la rete degli 82 Istituti
Italiani di Cultura e i corsi di lingua e cultura italiana che organizzano nel mondo.

La piattaforma sarà accessibile in 10 lingue e godrà anche di un servizio di assistenza via e-mail e
telefono in italiano e inglese.

Anche per Italiana sono evidenti le enormi potenzialità di una piattaforma del genere che, siamo
sicuri, darà forte impulso alle industrie culturali e creative e favorirà quel grande processo di
esportazione non solo di beni, ma anche di cultura e produzioni culturali all’estero.

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   Non esistono fatti, ma solo interpretazioni. La nostra vita, la società e il nostro mondo è permeato
        dalla comunicazione. Conoscerla ci aiuta a comprenderla e ad essere più consapevoli.

Tralasciando sostenitori e detrattori dell’una o dell’altra piattaforma on-line e tralasciando anche le
varie polemiche sulla necessità dell’una o dell’altra e sull’opportunità di realizzare due distinte
piattaforme non comuni e non comunicanti, è bene invece soffermarsi su quel processo di
innovazione che sta investendo la pubblica amministrazione e che sicuramente sarà in grado di
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offrire al nostro paese ampi spazi di visibilità, riflettendo sul fatto che, probabilmente, la pandemia
ha cambiato non solo il nostro modo di comunicare ma anche quello delle istituzioni, che stanno
cercando nuove forme comunicative per attrarre investitori e promuovere il brand “Italia” all’estero
al fine di incentivare non solo il turismo e le industrie culturali, ma tutte le produzioni del nostro
paese, in un’ottica di rilancio dell’intero sistema economico.

Con queste premesse, ribadiamo che fondamentale non è solo investire sul rilancio, ma anche sul
modo di comunicare una rinascita ed una ripresa, soprattutto in un mondo in cui il modo di
comunicare è spesso ben più importante di ciò che si comunica.

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Le 100 bandiere che raccontano il mondo
di Tim Marshall ci spiega che una
bandiera non è solo un pezzo di stoffa
legato ad un’asta
  Quest’anno vi propongo un libro al mese, forse due, per raccontare chi siamo, da dove veniamo,
  dove vorremmo andare e come ci vogliamo arrivare. Perché la lettura può essere svago,
  intrattenimento, ma anche un valido esercizio per imparare a pensare e sviluppare una certa idea
  del mondo.

  Un libro al mese, in piccole schede, in poche battute, per decidere se vale la pena comprarlo e
  soprattutto leggerlo. Perché la lettura, come diceva Woody Allen, è anche un esercizio di legittima
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difesa.

Che cosa è una bandiera?

È un semplice pezzo di stoffa attaccato ad un’asta?

Oppure è il vessillo di un antico retaggio cavalleresco?

Od ancora è la sintesi grafica dei valori e degli ideali di un popolo, di una cultura, di una nazione?

Ci aiuta a rispondere a queste domande un recente libro del giornalista Tim Marshall, “Le 100
bandiere che raccontano il mondo”, che, con il solito piglio divulgativo, ci porta a comprendere
le motivazioni e i significati profondi che si celano dietro alle bandiere più celebri del mondo.

Partendo dalla bandiera degli Stati Uniti d’America e dalla Union Jack e passando dalle bandiere
dell’Europa, dell’Asia fino ad arrivare alle bandiere del Medio Oriente, dell’Africa e dell’America
Latina, scopriremo perché alcuni colori e combinazioni di essi sono così comuni in alcune aree
geografiche, perché la maggior parte delle bandiere nazionali è rettangolare, mentre alcune sono
quadrate ed alcune rarissime hanno forme originali, come quella del Nepal, la cui forma a doppi
triangoli sovrapposti richiama da una parte la catena montuosa dell’Himalaya e dall’altra la sezione
di una pagoda, uno degli elementi architettonici più tipici e diffusi della nazione.

                 Scopri il nuovo numero: “Holiday working”
     Se l’anno scorso abbiamo scoperto il remote, lo smart e il south working, oggi si fa strada un
   nuovo concetto di lavoro: l’holiday working. Con un pc al seguito ed una connessione a internet è
      possibile lavorare ovunque, mantenendo inalterati i livelli di produttività. La rivoluzione è
                            compiuta: non importa dove lo fai, ma cosa fai!

Ma le scoperte intorno alle bandiere a cui ci introduce l’autore sono tantissime, dalle regole per la
dismissione di una bandiera statunitense alla quale viene organizzato un vero e proprio funerale, al
ruolo che ha avuto il Mahatma Gandhi nell’evoluzione della bandiera indiana, o al concorso vinto da
uno studente poco più che ventenne per creare la nuova bandiera della Nigeria.

Insomma, un libro peno di curiosità e scoperte, ma anche un’occasione per comprendere la
geopolitica del mondo attraverso i vessilli nazionali, perché, come ci spiega Tim Marshall, niente
viene lasciato al caso quando una nazione, un popolo e una cultura decidono di adottare un simbolo
che li rappresenti. Anche perché, non dimentichiamolo, il secolo appena passato è stato per molti
aspetti il secolo delle bandiere, che hanno veicolato non solo i valori e le aspirazioni nazionali più
alte, ma pure le ideologie, i razzismi, la paura ed il terrore.
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Le 100 bandiere che raccontano il mondo
  Autore: Tim Marshall

  Editore: Garzanti

  Anno: 5 settembre 2019

  Pagine: 320

  Isbn: 9788811676348

  Prezzo: € 20,00

Perché dovremmo leggere Le 100 bandiere che raccontano il mondo?
Nel mondo globalizzato di oggi due sono le tendenze predominanti in antitesi fra loro: da una parte
la corsa all’omologazione dei gusti, dei consumi e delle coscienze, favorita dalla rivoluzione digitale,
dai social e dalla cultura mainstream; dall’altra la ricerca di identità, e spesso di radicalizzazione,
degli individui che, sempre più frequentemente si ritrovano, combattono e muoiono per la bandiera
che hanno scelto di adottare. Capire, allora, cosa si cela dietro il colore, dietro il simbolo, dietro la
grafica delle nostre bandiere è non soltanto un momento di accrescimento culturale, ma anche e
soprattutto una maniera per imparare il valore dell’inclusione, perché la reciproca conoscenza ha
sempre avvicinato i popoli e le nazioni, mentre l’ignoranza e la paura li ha sempre allontanati e
trascinati nei conflitti. Il libro di Tim Marshall è una ottima introduzione per capire il mondo delle
bandiere e comprendere una volta per tutte che è la geografia, sempre più spesso, a condizionare la
storia, e non il contrario.
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“Terni, 10 Marzo 2023”: un corto che ci
ricorda, con ironia ed amarezza, a cosa ci
porterà l’astinenza da cultura
Una schermata nera ci avvisa con un cartello, come nel film Halloween di John Carpenter, dove
siamo ed in che anno: Terni, 10 marzo 2023, subito seguito da una seconda scritta che recita
Tredicesimo Lockdown, il tutto scandito da una musica dal ritmo martellante e spiccatamente
ansiogena. Un ragazzo con la mascherina si aggira, con fare circospetto, per la periferia di una città
deserta, il cui silenzio è squarciato solo dal suono delle sirene che ben si armonizza con la musica
extradiegetica in sottofondo. I colori sono freddi, verrebbe da dire plumbei. Ma ciò che cattura il
nostro interesse è la voglia di scoprire dove il ragazzo sia diretto.

La nostra curiosità è presto soddisfatta: ad un certo punto in un seminterrato, in un garage
condominiale, il ragazzo raggiunge il suo interlocutore, anche lui con la mascherina, con il quale
intraprende il classico dialogo fra spacciatore e cliente. Ecco, ci siamo, ecco l’ennesimo video sul
degrado delle nostre periferie, sul problema della droga, sul problema delle piazze di spaccio,
insomma una scena da Gomorra “de noi altri”, senza gli stessi mezzi cinematografici, le stesse
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risorse economiche e gli stessi attori, come Marco D’Amore e Salvatore Esposito.

Ed invece no!
Perché proprio adesso, al 40° secondo, questo piccolo cortometraggio svolta, con il classico “colpo
di scena” che più inaspettato di così non poteva essere. Perché lo scambio di “roba” non riguarda
la droga ma un’altra cosa altrettanto “stupefacente”, i libri. Infatti la “roba colombiana” proposta
al cliente dallo spacciatore è “Cent’anni di solitudine” del Premio Nobel, appunto colombiano,
Gabriel García Márquez. Ed è qui che il corto si sviluppa secondo il suo vero arco narrativo, che
non vi vogliamo spoilerare oltre, per non togliervi il piacere di vederlo.

Il messaggio, molto forte, di questo geniale corto di 2 minuti e 45 secondi (ed è di questo che
vogliamo parlare) è che in un futuro distopico e dispotico la fame di cultura sarà così tanta da
causare non solo problemi di astinenza, ma probabilmente anche quelli relativi alla nascita di un
mercato nero, clandestino, della cultura, dove libri, film e spettacoli teatrali verranno scambiati
come la marijuana, la cocaina o LSD.

Vi sembra inverosimile???

La solita esagerazione di un gruppo di irriducibili intellettuali italiani,
che vogliono farci credere che la cultura sia un bene primario come
l’acqua ed il cibo???

No, non è così!
Perché se è vero che dietro questo geniale e godibilissimo cortometraggio si trova un collettivo di
animatori ed operatori culturali, l’idea originale dello script appartiene ad un corto francese di
qualche mese prima, realizzato da Hugues Duquesne e Kader Nemer dell’associazione “Contre
Culture”.

La versione italiana del video è stata montata da Michele Manuali, scritta e interpretata da
Edoardo Fucile, in arte Vinyasa, (il protagonista), Alessandro Barzetta ed Elisa Gabrielli, e
realizzata con la collaborazione di Marco Carniani, Morena Raggi e Marco Vulcano, ed è stata
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prodotta dall’Associazione di promozione sociale “Il Pettirosso” di Terni.

La traduzione italiana del cortometraggio, benché molto fedele all’originale, ha permesso agli autori
ed attori di inserire riferimenti culturali “indigeni”, come nel caso della sottile, ma efficacissima
citazione all’associazione Il Pettirosso, che compare come parte di un titolo dei libri spacciati e con
l’omaggio molto riuscito al sommo poeta Dante di cui, ricordiamolo, in questo 2021 si celebrano i
700 anni dalla morte.

Cosa altro dire di questo riuscito esperimento culturale senza togliervi il gusto di vederlo? Poco,
perché il rischio spoiler è in agguato e, vista la brevità del media scelto, ancora più incombente.

Questo corto su di me ha avuto, per brevità ed impatto, l’effetto di uno spot, ma non di uno
qualunque, ma di una vera e propria “pubblicità progresso”, di quelle che ti lasciano l’amaro in
bocca e la voglia di cambiare le cose.

Il cortometraggio Terni, 10 Marzo 2023, pubblicato sui social il 10 marzo scorso, qualche giorno
in anticipo (15 marzo) sull’entrata in vigore delle nuove restrizioni da Zona Rossa in gran parte
d’Italia, ci ricorda – qualora lo avessimo scordato – che la cultura, oltre ad essere un comparto che
dà lavoro a milioni di persone nel nostro Paese, non è qualcosa di cui possiamo fare a meno.

Perché la cultura è, a tutti gli effetti, un bene primario, la cui assenza può generare non solo
astinenza, ma anche il proliferare di un mercato nero, più o meno legale, della stessa. Lo sappiamo,
la crescita di una domanda sempre maggiore che un mercato “legale” non riuscirà o potrà più
soddisfare innescherà naturalmente la nascita di un mercato nero, clandestino, fors’anche illegale,
che sarà l’unica e sola alternativa percorribile da chi già adesso, come chi scrive, sente un vuoto
incolmabile di arte, musica, cinema e teatro così come li sperimentavamo un tempo: non certo da
uno schermo più o meno grande, ma come riti collettivi, nell’allestimento di una mostra, nella
confusione di un concerto, nel silenzio di un teatro o nel buio profondo di una sala cinematografica.

Ed allora, fra un mese, fra sei, forse un anno, a seconda della nostra capacità di resilienza, questo
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corto non ci sembrerà più così assurdo, ma sarà una profezia che si è avverata.

Speriamo di no!

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Il Cinema che verrà

Da dove ripartirà la cultura appena la pandemia, anche grazie all’avvento dei
vaccini, ci darà un po’ di tregua?

Sperando che sia quella definitiva?
E’ la domanda che un po’ tutti gli addetti ai lavori si stanno ponendo in questi giorni, perché poi
Febbraio è alle porte e non manca tanto alla primavera e all’estate, da sempre periodi prolifici per la
cultura. Il cinema ripartirà, più florido di prima e tutti coloro che ci navigano intorno stanno
cercando di tenersi pronti. Sarà un pullulare di idee, una nuova ventata di “voglia di fare”, simile a
quella che colpì l’Italia che era appena fuoriuscita dalla seconda guerra mondiale. Ripartiranno tutti,
a cominciare dagli esercenti, grandi o piccoli, toccando anche chi organizza Festival, rassegne e
piccoli cineforum, fino alle maestranze attive sui set.

Già perché l’indotto cinematografico, che si arricchisce anche della didattica, non è solo il set, ma è
un contenitore molto più ampio di quel che superficialmente si possa pensare. Tutti siamo stati
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colpiti in modo durissimo, ormai da un anno, con brevi pause ritempratrici, nessuno escluso. In
concomitanza con questa crisi sono però fiorite delle esperienze di visione e incontri virtuali, che
aiutano psicologicamente a tenere in vita il Cinema, ma che mai sostituiranno il contatto diretto.
Come ad esempio tutto quel settore nel quale il cinema tocca le altre arti: la letteratura, con gli
innumerevoli libri a tema cinema; la musica con i concerti che toccano le corde più alte della poesia;
con il teatro, settore totalmente, ahimé, immobile.

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Rinasceremo, risorgeremo e ritorneremo in sala. Mai come in quest’anno ci siamo accorti che la sala
cinematografica, non è morta e probabilmente mai morirà. Perché la sala è la magia del cinema, è il
luogo in cui il cinema, in quel lontano giorno di fine 1895 nacque e espresse i suoi primi vagiti.
Abbiamo capito una cosa da questa crisi pandemica, che la soluzione “casalinga”, dei film in prima
visione sulle piattaforme online, è soltanto una misura d’emergenza, che andrà sempre più
affiancando il classico metodo di distribuzione in sala, ma mai lo sostituirà. Perché vorrà dire, che
sarà la morte delle sale cinematografiche, e in fondo anche la morte di un vecchio, glorioso modo di
intendere il cinema.

                    Scopri il nuovo numero: The day after
    Dopo un 2020 così pesante sotto tutti i punti di vista, il 2021 deve rappresentare, per
                            tutti noi, l’alba di un nuovo inizio.

Il cinema che verrà, sarà un cinema pieno di idee, un cinema che avrà voglia di emergere, un cinema
che non perderà l’occasione di parlare di questa pandemia e raccontarla con il suo occhio
penetrante. E lo farà soprattutto da noi. Non ci scordiamo che il cinema italiano da sempre, è stato
lo specchio della nostra società, e mai come in Italia è stato in grado di raccontare la Storia, quella
con la S maiuscola.

La luce in fondo al tunnel, ancora non si vede, però il cinema, inteso in tutte le sue accezioni, deve
farsi trovare pronto, per rinascere assieme a tutto il mondo, e dovrà essere in grado di trainare un
nuovo pulpito di rinascita artistica che investirà certamente anche tutte le altre Arti. Ogni tanto si
dibatte: “La cultura ci salverà”. Quanto sarà vera questa frase, non lo sappiamo; ma certamente
possiamo dire “La cultura ci farà rinascere”.

E questo accadrà.

Speriamo quanto prima.

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Il Festival del Cinema Europeo di Lecce e
l’omaggio al grande Aldo Fabrizi: l’ultimo
baluardo della cultura al tempo del Covid-
19
Se ogni festival è una sfida al presente e al futuro del cinema, la sfida che il XXI Festival
  del Cinema Europeo di Lecce si appresta ad affrontare in questo difficilissimo 2020 è
  giocata nel segno della resistenza e della fiducia. Ci ritroviamo a novembre, lontani dalla
  nostra tradizionale collocazione stagionale, per un’edizione alla quale stiamo lavorando
  da oltre un anno. Un’edizione che il difficilissimo momento che sta segnando il nostro
  Paese e il mondo intero in ragione della pandemia ha trasformato in un atto di fiducia
  nella possibilità del cinema di esistere e di resistere, nonostante le avversità e
  nonostante le priorità dettate dall’emergenza.

Così inaugurava la 21esima edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce, il suo Direttore
Artistico, dott. Alberto La Monica, pochi giorni prima che il DPCM di fine ottobre, in materia di
contenimento della pandemia del Covid-19, ponesse un “nuovo” terribile freno soprattutto al
comparto culturale italiano. Tutte le attività culturali, cinematografiche e teatrali dovettero fermarsi
e lo sono tutt’ora, causando un tremendo oblìo al bisogno di cultura, di un Paese che dovrebbe
vivere di questo. Alla sua apertura, almeno fino al nuovo DPCM dello scorso 6 novembre, il
Festival del Cinema Europeo, si è erto come l’ultimo baluardo della cultura prima dell’istituzione
delle zone rosse, arancioni e gialle e dunque prima dell’inizio ufficiale del semi-lockdown. Già perché
le attività museali, nel lasso di tempo tra il DPCM di fine ottobre e quello del 6 novembre, sono
rimaste attive e la Mostra fotografica dedicata al grandissimo Aldo Fabrizi nel trentennale della sua
scomparsa, rimane, al momento e ahimè chissà per quanto, l’ultimissima forma d’arte e di cultura in
presenza.

Questo strepitoso omaggio, curato con amorevole cura e passione, dalla nipote del grande attore e
autore romano, Cielo Pessione Fabrizi, si è svolto nei saloni austeri, ma nello stesso tempo regali
del Castello Carlo V di Lecce. Una Mostra originale nella sua struttura e nel suo significato, perché è
stata dedicata non solo alla figura di un attore che ha dato così tanto lustro a Roma, al cinema e
all’Italia intera; ma alla sua figura, mai troppo celebrata di autore. Infatti anche la retrospettiva
collegata alla Mostra, è stata dedicata ai suoi 9 film come regista, utilissimi nello scoprire ancora di
più, il genio di un grande uomo dello spettacolo italiano.

E così addentrarsi nelle sale del Castello, è stato come fare un tuffo nella “vecchia Roma” che ormai
non esiste più; nella “vecchia Roma” che si respira nei film di Aldo Fabrizi, che si respira nei suoi
sonetti e che si respira semplicemente sentendo la sua voce. Locandine, fotobuste e immagini
suggestive dai set dei suoi film, da quelli ancora di respiro “neorealista” di Emigrantes (1948) e
Benvenuto, Reverendo! (1949); alla meravigliosa trilogia della Famiglia Passaguai (La Famiglia
Passaguai, La Famiglia Passaguai fa fortuna, Papà diventa mamma- 1951/52); passando per film
poco celebrati come Una di quelle (1953) e Marsina stretta (1954), episodio del film corale Questa è
la vita; terminando con due gioiellini misconosciuti e recentemente restaurati come Hanno rubato un
tram (1954) e Il maestro (1957).

La retrospettiva, che sarebbe stata in presenza, si è trasformata in modalità digitale, così come tutte
le altre attività del Festival; mentre la magia della Mostra è riuscita a sopravvivere intatta, alle
catastrofi sanitarie provenienti dal mondo. Alcune chicche, va qui accennato, hanno contribuito a
rendere la Mostra, straordinaria dal punto di vista qualitativo, come ad esempio il vestito da
Reverendo di Benvenuto, Reverendo, o ancora i baffi utilizzati da Fabrizi in Marsina stretta, o alcuni
copioni originali, ingialliti ed invecchiati dal tempo, ma che conservano ancora tutta la loro magia.

Tornando al Festival, nella sua interezza, dobbiamo accennare, che nonostante l’ovvia versione
online, esso è stato un successo, con oltre 15.000 visualizzazioni ed un’utenza proveniente da tutti
gli angoli del mondo. In tale modalità, sono state quindi preservate alcune attività di livello
mondiale, come la proiezione di tutta la filmografia completa da regista di Aldo Fabrizi e gli incontri
con Olivier Assayas e Dario Argento. Un palco virtuale di ospiti, incontri e anteprime mondiali,
ricchissimo di eventi, fino all’attesissima cerimonia di premiazione del 7 novembre.

Il premio più importante del Festival, ovvero l’Ulivo d’oro al miglior film, è stato assegnato al
francese Twelwe Thousand, di Nadége Trebal. Una splendida storia d’amore resa difficile da una
situazione economica complessa, che porta il protagonista ad inventarsi di volta in volta un lavoro,
per assicurare a sé e alla sua donna un futuro migliore. Un film che fa partecipare attivamente lo
spettatore, alle ansie, alle angoscie ma anche alle gioie del suo protagonista e che mette alla luce,
come se fossimo in un “nuovo” neorealismo 2.0, una delle problematiche più rilevanti di una coppia
felice ai tempi d’oggi, ovvero la stabilità economica.

Tra gli altri premi di livello, vanno citati almeno il Premio SNGCI (per intenderci, il Sindacato che
assegna i Nastri d’Argento) al miglior attore europeo, andato a Corinna Harfouch per Lara, di
Jan-Ole Gerster; il Premio FIPRESCI a La belle indifference di Kivanc Sezer; e il Premio
Mario Verdone, assegnato ogni anno dalla famiglia Verdone (Carlo, Luca e Silvia Verdone) a un
giovane autore italiano (under 40), che ha visto trionfare Phaim Bhuyan e il suo celebratissimo
Bangla, già vincitore del Globo d’oro e del David di Donatello come miglior opera prima e del
Nastro d’Argento come miglior commedia. Lo stesso Carlo Verdone, in collegamento da casa, ha
lanciato un appello accorato: «Quello che mi fa più paura, è che a un certo punto qualche esercente
molli e chiuda la sala. Se cominciano a chiudere ulteriori sale sarebbe un autentico disastro per il
cinema italiano».

Un monito, dunque, e in sé anche una speranza, che una ripartenza, che una rinascita culturale
possano essere possibili, auspicabilmente in tempi brevi. Perché siamo in emergenza e stringiamo i
denti, ma senza cultura si può solo sopravvivere, ma non vivere. Già perché, si, si può sopravvivere,
ma a che prezzo? Al prezzo di crescere una mandria di giovani che ignorino le emozioni che la vista
di un’opera d’arte può darti? E se si cresce senza questa emozione, in grado di sconvolgerti l’animo
e il cuore, non si sarà neanche in grado di amare davvero. E’ come lo studio della matematica alle
scuole superiori: “A che serve?”, ognuno di noi si è chiesto, “Studiare gli integrali e le funzioni?”.
Eppure sono servite a sviluppare un ragionamento logico.

Ecco questa è l’educazione all’Arte, ovvero saper sviluppare le emozioni, l’amore, la passione che
smuovono l’anima. Per questo senza cultura, senza arte, senza cinema, il nostro Paese non andrà da
nessuna parte, né culturalmente, né socialmente. Per questo l’Arte è importante, per questo l’Arte è
un bene essenziale. Per questo, al termine dell’emergenza, se si potenzierà la sanità, dovrà essere
potenziata, finalmente l’educazione alla cultura. Perché curare e tutelare la salute è essenziale,
esattamente come è essenziale curare e tutelare le emozioni e i sentimenti.

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Nuovo fermo agli spettacoli dal vivo, il
punto di vista di un operatore culturale:
intervista a Paolo Ruta, Presidente
dell’Associazione “Amici della musica
Arcangelo Speranza”
Pochi giorni dopo il DPCM del 25 ottobre, che ferma nuovamente gli spettacoli dal vivo e chiude
cinema, teatri e centri di cultura, abbiamo ascoltato la voce di un operatore culturale per fare il
punto della situazione ed indagare sulle possibili strategie da porre in essere, a breve ed a lungo
termine, per scongiurare il collasso di un settore già duramente provato.

In questi mesi più volte ci siamo occupati dell’argomento, dando voce alle proteste ed alle difficoltà
dei lavoratori (La crisi dei lavoratori dello spettacolo in Puglia tra affanno e cauto
ottimismo: intervista a Fabrizio Belmonte della BG SERVICE), ma anche cercando di fornire
soluzioni di ampio respiro, evidenziandone le buone pratiche, prendendo ad esempio il caso pugliese
(La Puglia riparte a suon di musica: la ripartenza del comparto musicale tra incertezze e
finanziamenti pubblici).

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tervista: Paolo Ruta, Presidente dell’Associazione “Amici della musica Arcangelo Speranza”.

Alla luce del nuovo fermo, che di fatto blocca la ripartenza, ritorniamo in Puglia per intervistare
Paolo Ruta, Presidente dell’Associazione “Amici della musica Arcangelo Speranza”, operatore
culturale di comprovata esperienza e direttore artistico di importanti stagioni concertistiche e
festival.

                   Scopri il nuovo numero: Recovery round
    Quella che stiamo vivendo è una partita – un round – tra le più difficili che abbiamo mai vissuto
    sotto tutti i punti di vista: economico, sanitario e sociale. In questo contesto i progetti relativi ai
    fondi europei del recovery fund potranno e dovranno essere un volano di crescita e di rinnovato
                                                  benessere.

L’Associazione “Amici della musica Arcangelo Speranza” nasce nel 1922 ed è, forse, una delle
associazioni più antiche d’Italia, che ha come vocazione la promozione e diffusione della musica in
tutte le sue forme, compreso un ricco e variegato archivio storico audiovisivo, non tralasciando la
valorizzazione degli autori locali.

https://www.youtube.com/watch?v=atYMo8tTk9w

Imprescindibile nella vita culturale del Sud Italia è la “Stagione concertistica Amici della
Musica”, giunta alla sua 77a edizione, insieme al Giovanni Paisiello Festival (noto compositore
tarantino, uno dei più importanti del periodo classico alla stregua di Haydn, Mozart e Beethoven),
giunto alla 18 a edizione, che si è svolta dal 28 settembre al 9 ottobre, in piena Fase 2 della
pandemia.

Importante il messaggio lanciato dal Presidente Paolo Ruta durante la nostra intervista: seppur con
grande sacrificio, è necessario fermare gli spettacoli per il bene di tutti.

  Paolo Ruta classe 1963, da oltre trent’anni anni si
  occupa dell’attività musicale e teatrale della città
  di Taranto.

  Ha collaborato negli anni ’80 con la Compagnia Teatrale Crest e con il Teatro Petruzzelli,

  curando le fotografie di alcune importanti produzioni: alcuni suoi scatti sono stati pubblicati dai
  maggiori quotidiani e riviste nazionali (Repubblica, Corriere della Sera, l’Opera, ecc) oltre alla
  stampa regionale e locale.

  Nel 1989 entra a far parte del comitato tecnico-artistico degli Amici della Musica “Arcangelo
  Speranza” e, nel 1996, diventa Direttore Artistico del sodalizio, carica che ricopre fino al 2000
  quando gli viene conferita la delega allo spettacolo del Comune di Taranto. Ha fortemente voluto
  l’istituzionalizzazione del “Giovanni Paisiello Festival” che si pone come obiettivo quello di
  riscoprire e rivalutare l’opera dell’illustre compositore tarantino. Rimessa la delega nel 2004
  torna a ricoprire la carica di Direttore Artistico del sodalizio jonico.

  Da sempre attento all’evoluzione del mondo dello spettacolo e all’orientamento delle tendenze
  musicali, ha favorito con nuove e stimolanti iniziative l’avvicinamento delle nuove generazioni alle
  sale da concerto, così come dimostrato dall’aumentato numero degli spettatori. Ciò gli ha fatto
  conquistare la stima di artisti quali Praticò, Ashkenazy, Martha Argerich, Sergio Perticaroli, Maria
  Tipo, Katia Ricciarelli, Giovanni Allevi, Patrizia Ciofi, Salvatore Accardo, UtoUghi, Andrea
  Lucchesini, Laura De Fusco e tantissimi altri.

  E’ stato Consigliere Comunale a Taranto dal 1993 al 1997 e dal 2000 al 2005.

  Dal 1997 è nel consiglio direttivo dell’Aiam-Agis di Puglia e Basilicata e, dal 1998, nell’Aiam-Agis
  nazionale. Dal 2009 è tra i fondatori dell’AIAC – Associazione Italiana delle Attività Concertistiche
  sorta in seno all’AGIS.

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La Puglia riparte a suon di musica: la
ripartenza del comparto musicale tra
incertezze e finanziamenti pubblici
Durante il lockdown avevamo immaginato un’estate senza musica, senza feste, senza piazze affollate
e senza turisti, benché l’intrattenimento musicale sia stato fondamentale per lenire l’isolamento e
l’incomunicabilità.

Vi abbiamo raccontato di radio, dirette social e musica dai balconi per alleviare il distanziamento
(#iosuonodacasa: la musica ai tempi del Coronavirus – Fratelli d’Italia: le radio i balconi e
le altre storie di un paese blindato), ma abbiamo anche amplificato i dubbi, le paure e le
incertezze del comparto musicale, bloccato dall’impossibilità di fare musica dal vivo (la crisi dei
lavoratori dello spettacolo in Puglia tra affanno e cauto ottimismo: Intervista a Fabrizio Belmonte
della BG SERVICE) e dispensato ricette per cercare di salvare il settore ormai in crisi
(Ricominciamo!?: le 10 proposte di Assomusica per salvare la musica in Italia), ed ora è il
momento di raccontare la ripartenza, lenta, dolorosa e faticosa come tutti gli inizi, ma importante,
prendendo a paradigma il caso pugliese.

Durante l’estate, periodo in cui si ha il picco massimo di concerti ed eventi dal vivo, si sono
moltiplicate iniziative per porre l’attenzione sulle difficoltà dei lavoratori dello spettacolo che, a
causa delle restrizioni, si stima abbiano subito cali di fatturato quasi pari al 100%; la stima
calcola una perdita diretta intorno ai 650 milioni di euro tra febbraio e settembre ed oltre 1,5
miliardi di euro, se si tiene conto dell’indotto. Le stime appaiono ancor più catastrofiche anche se
si guarda al numero degli addetti senza lavoro, pari a 250.000 unità (Fonte: Assomusica).

https://www.youtube.com/watch?v=35T_toXILv8

Da qui, le numerose iniziative a sostegno del comparto, come quella dell’impresa sociale Music
Innovation Hub, un fondo sostenuto dalla FIMI e dal colosso Spotify, a favore dei professionisti
della musica, al quale è giunto anche il sostegno della Nazionale Cantanti, che ha devoluto le
donazioni raccolte durante la Partita del cuore 2020 al fondo, unite all’appello di Assomusica alle
istituzioni per introdurre nel Recovery Fund misure specifiche a sostegno delle industrie culturali e
creative e alla musica popolare contemporanea.

Assomusica (Associazione degli Organizzatori e Produttori di Spettacoli di Musica dal Vivo) ed
ELMA (European Live Music Association) si stanno facendo portavoce di una campagna di
sensibilizzazione non soltanto presso le istituzioni italiane, ma rivolta direttamente al Parlamento
Europeo, che, lo scorso 17 settembre, in una risoluzione sulla “Ripresa culturale dell’Europa”,
ha condiviso l’urgenza di un sostegno diretto e rapido ai settori culturali e creativi, tramite aiuti
finanziari da parte sia dei bilanci nazionali che dei fondi dell’UE. Questo anche perché nel Piano di
ripresa dell’UE Next Generation EU non è stato riservato alcun importo specifico a diretto
beneficio dei settori culturali e creativi, alimentando ancor più le preoccupazioni.

In un contesto in cui tutte le istituzioni, a tutti i livelli, fingono di non vedere che la crisi causata
dalle misure di contenimento della pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto devastante sull’intera
filiera musicale, ma soprattutto sul comparto della musica dal vivo, tanto da ignorare i pressanti
appelli e le continue richieste d’aiuto, vi è il caso della Puglia.
La Puglia è una bellissima penisola della penisola Italiana, un mondo complesso e variegato che
mischia mare, pianure e rilievi, un crogiuolo di dialetti, storie e culture differenti, ma tutte queste
varietà di paesaggio, bellezza, usi, costumi e tradizioni non sarebbero nulla se non fossero
raccontate nel modo giusto, esaltandone la tipicità.

È anche per questo che l’establishment regionale ha fatto della sua firma distintiva la promozione
del territorio, partendo dalle sue bellezze naturalistiche ed architettoniche, ma soprattutto
esaltandone l’immenso ed affascinante patrimonio culturale, di cui la varietà dell’offerta musicale è
sicuramente il fiore all’occhiello.

Dai Cantori di Carpino in Daunia fino alla pizzica nella Grecìa Salentina, passando per rap,
reggae, jazz, soul e pop, un variegato ed articolato mondo di suoni e stili che formano il
macrosistema musicale pugliese e lo rendono riconoscibile ed identificabile in tutto il mondo, ma
soprattutto nel contesto europeo.

https://www.youtube.com/watch?v=7Fw1FbE16nQ

Pugliese è Caparezza, pugliesi sono i Boomdabash ed i Sud Sound System e pugliese è persino
l’ultimo vincitore del Festival di Sanremo, Diodato, ma si potrebbero fare tantissimi esempi, da
Serena Brancale a DrefGold, ognuno con un sound ed una connotazione precisa, ma accomunati
dall’amore per la propria terra e dal racconto, a volte disincantato o polemico ed altre volte fin
troppo ammaliato e passionale, delle proprie origini, racconto che viaggia alla velocità del suono e
contribuisce ad alimentare il mito di una terra tanto bella quanto problematica.
È cavalcando quest’onda che l’amministrazione regionale, da anni, investe sempre più risorse nella
promozione turistica e nell’industria creativa per promuovere in Italia ed all’estero il brand Puglia,
registrando tassi di crescita a due cifre in controtendenza con il resto del paese, grazie anche ad
un’attenta promozione dei talenti locali degli eventi live, diventati volano di sviluppo e potenti
attrattori turistici; basti pensare solo ai numeri de La Notte della Taranta o a quelli registrati dal
MEDIMEX.

                     Scopri il nuovo numero: #ripartItalia
   Mai come ora, in questo settembre 2020, un numero come #ripartItalia sembra utile e necessario
   perché, mai come adesso, in questo nefasto anno bisestile, abbiamo bisogno di fare il punto sulle
                      cose, su noi stessi, sui nostri obbiettivi e sulle nostre vite.

Forse è per non disperdere questo enorme lavoro di valorizzazione che l’amministrazione regionale
ha fortemente voluto e subito varato una serie di misure urgenti per fronteggiare l’emergenza
epidemiologica da Covid-19, tra le quali il Piano straordinario di sostegno alla Cultura,
denominato “CUSTODIAMO LA CULTURA IN PUGLIA” che mira a fornire aiuto concreto al
comparto del turismo e delle industrie culturali e creative, dello spettacolo, del cinema e
dell’audiovisivo. In particolare, l’assessorato all’Industria turistica e culturale ha messo a
disposizione 17 milioni di euro per sostenere gli operatori e le imprese pugliesi nell’emergenza, di
cui 1,5 milioni sono destinati al rilancio del comparto musicale.

Braccio operativo di questa operazione, in netta controtendenza rispetto ai provvedimenti nazionali,
è Puglia Sounds, il programma della Regione Puglia per lo sviluppo del comparto musicale
regionale, il primo progetto pubblico in Italia che sviluppa azioni di sistema, interventi mirati,
partnership e attività di promozione finalizzate a sostenere le componenti artistiche, professionali,
imprenditoriali e istituzionali che concorrono alla produzione, distribuzione e promozione musicale
del territorio, al fine di valorizzare il ricchissimo patrimonio musicale che contraddistingue la
Regione Puglia.

https://www.youtube.com/watch?v=YAQGKBSKR9k

Grazie a Puglia Sounds Plus, la nuova linea di intervento per sostenere e rilanciare il comparto
musicale, sono stati già finanziati 108 progetti che diffondono la cultura musicale pugliese, 33
nuove produzioni discografiche, 27 produzioni multimediali, 29 tour in Italia (per un totale di
123 concerti) e 25 concerti in Puglia (Fonte: Puglia Sounds).

Puglia Sounds Plus è strutturata in una serie di misure specifiche, che vanno dalla produzione e
promozione della musica prettamente pugliese alle collaborazioni internazionali, non trascurando
nuovi modi di fruire la musica e gli eventi, come streaming e produzioni multimediali, che
sosterranno il comparto musicale fino al 2021.

Un’azione, unica in Italia, sicuramente giustificata dalla straordinarietà del momento, ma anche
invocata, non solo in Puglia, per scongiurare la perdita di posti di lavoro, professionalità e
competitività sul mercato, soprattutto pensata per accompagnare il rilancio dell’attività di artisti,
operatori, etichette discografiche, produttori, agenzie di booking, organizzatori di concerti, festival e
luoghi di spettacolo.

Una visione glocal di amministratori illuminati che, scommettendo sul rilancio della cultura, hanno
puntato su una visione non convenzionale del concetto di sviluppo, che prima passa per l’identità di
un territorio per poi raggiungere tutti i comparti economici; un posizionamento sul mercato
fortemente identitario che sta premiando e rafforzando il brand Puglia, ma anche un esempio da
seguire a tutti il livelli di governo, nazionali e sovranazionali che, siamo sicuri, assicurerà stabilità e
sviluppo per gli anni a venire, permettendo agli operatori di adattarsi meglio alle richieste ed alle
congiunture del mercato.

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“La Matematica che trasforma il Mondo”,
la nuova collana edita da RBA, ogni
settimana in edicola, spiega quanta
matematica c’è nella rivoluzione digitale
in cui viviamo
Vi ricordate Numb3rs, la serie tv, in sei stagioni, della CBS, prodotta dai fratelli Ridley e Tony
Scott, andata in onda, anche in Italia, dal 2006, prima su Fox Crime e poi sulla Rai?

La serie era un interessate mistery/police drama incentrato sulle figure dell’agente speciale dell’FBI
Don Eppes (interpretato da Rob Morrow) e del suo giovane fratello, nonché genio matematico
Charlie Eppes (interpretato da David Krumholtz), che lo aiutava a risolvere i casi ed i crimini più
intricati proprio grazie alla matematica.

Nella serie, per risolvere i casi erano citate ed utilizzate diverse discipline, come: crittoanalisi, teoria
della probabilità, teoria dei giochi, equazioni differenziali alle derivate parziali, teoria dei grafi, data
mining e astrofisica.

La produzione si avvalse della consulenza di diversi matematici e scienziati per la realizzazione di
ciascun episodio. Il risultato fu che la serie presentava molti aspetti della matematica
contemporanea, e moltissimi esperti di matematica l’hanno lodata ed hanno affermato che le
equazioni usate negli episodi erano valide e applicabili.

https://www.youtube.com/watch?v=PJWmi7Ovaag

Questo ha portato Numb3rs a vincere numerosi premi, tra cui i prestigiosi Premio Carl Sagan per
la comprensione pubblica della scienza nel 2006, e il National Science Board’s Public
Service Award nel 2007.

La tagline della serie recitava:

  Tutti noi ogni giorno usiamo la matematica: per prevedere il tempo, per dire l’ora, per contare il
  denaro. Usiamo la matematica anche per analizzare i crimini, comprendere gli schemi, prevedere
  i comportamenti. Usando i numeri, possiamo svelare i più grandi misteri della vita!

Perché ve ne sto parlando ora?

Perché credo che la pubblicazione editoriale “La Matematica che trasforma il Mondo” della
RBA, uscita in questi giorni in edicola, lavori, come la serie Numb3rs, sugli aspetti pratici con cui le
diverse teorie matematiche stanno trasformando profondamente, diffusamente ed irrimediabilmente
la nostra vita.

Per rendere lo studio e l’approfondimento della matematica interessante e stimolante l’editore ha
deciso di partire proprio dalla rivoluzione dei dati e dell’informatica che, volenti o nolenti, ogni
giorno ci propone termini e nozioni che appartengono al mondo della matematica.

Sul sito dell’editore la presentazione della collana recita:

  UNA COLLEZIONE UNICA E INNOVATIVA
  La prima biblioteca di matematica nata dopo la rivoluzione dei dati che sta trasformando
  il mondo.

Ed il testo continua dicendo:

  Oggi più che mai, le menti matematiche trasformano il mondo.

  Per la prima volta la matematica e i suoi protagonisti, con tutti gli strumenti
per comprenderla.
  Da un lato, uno stile piacevole, un’organizzazione chiara e un’ampia varietà di elementi grafici.
  Dall’altro, attraverso i case studies scoprirete come i concetti matematici trattati nel volume
  influiscano sulla nostra vita quotidiana. Storie avvincenti che vi guideranno alla scoperta di
  WhatsApp e Google, passando attraverso la lotta ai cambiamenti climatici e la prevenzione delle
  crisi future.

  Formule che stanno cambiando il pianeta
  I calcoli matematici sono alla base di tutto: dai big data all’intelligenza artificiale e dai social
  network alla privacy digitale, ma anche dei modelli climatici, finanziari o epidemiologici che ci
  aiutano a comprendere il nostro ambiente. In tutte le aree, la matematica segna la strada da
  seguire e anticipa il futuro.

Ed infatti, scorrendo i primi titoli della collana, scopriamo sia gli effetti di questo innovativo
approccio sia argomenti interessantissimi, come nel 1° volume incentrato su “La Privacy Digitale
& i Teoremi di Fermat”, che spiega “praticamente” quanto la crittografia sia importante per
salvaguardare la privacy dei nostri messaggi su applicazioni come WhastApp; oppure, il 2° volume
dal titolo “I Big Data, il Machine Learning & la Statistica”, che spiega attraverso quali
meccanismi, applicazioni come Spotify riescano ad “indovinare” i nostri gusti musicali; od ancora, il
3° volume che ci parla di “Le Reti Sociali & la Teoria dei Grafi”, spiegandoci, ad esempio, come
Facebook riesca ad “ottimizzare” il nostro profilo e la nostra esperienza sociale.

Insomma, “La Matematica che trasforma il Mondo” rappresenta un’originale opera di
divulgazione scientifica che mette insieme uno degli spauracchi peggiori della nostra esperienza
scolastica, la matematica appunto, e tutte quelle applicazioni come Facebook, Twitter, WhastApp,
Spotify, etc., che invece conosciamo bene ed adoperiamo tutti i giorni, cercando di farci
comprendere meglio l’importanza della prima attraverso la spiegazione del funzionamento
“profondo” delle seconde.

https://youtu.be/MKLqXPyxRe4

Un obbiettivo lodevole ed insieme un approccio originale in questa nuova proposta editoriale della
RBA, che rappresenta un ottimo investimento per accrescere alcune di quelle competenze
scientifico/matematiche oggi più che mai necessarie, visto che siamo immersi in un mondo fatto di
numeri, schemi e algoritmi, che spesso e volentieri fatichiamo a comprendere.

Certo, 60 volumi non sono pochi, anche se la cadenza delle uscite settimanali ed il prezzo di ogni
volume a soli € 9,99, rappresenta, tutto sommato, un piccolo investimento (circa €1,30 al giorno, il
prezzo di un cappuccino) per migliorare noi stessi e il nostro approccio all’odiata/amata matematica.

Dopo l’acquisto e la lettura appassionata del primo volume di “La Matematica che trasforma il
Mondo”, sono molto tentato dal tuffarmi a capofitto in questa nuova collana editoriale, gli unici
handicap sono la mancanza di spazio in casa, già sommersa da tantissimi altri libri, e le minacce,
sempre più inquietanti, della mia compagna, pronta, come nel romanzo Fahrenheit 451 di Ray
Bradbury, a risolvere definitivamente i miei problemi di spazio e quelli ben più gravi di lettore
compulsivo con una fiammata purificatrice (sperando che se un giorno decida di passare all’azione
bruci i libri e non chi li legge).

Speriamo di no. Perché credo che questa collana, che vi consiglio, sia davvero una delle cose più
interessanti uscite in edicola nell’ultimo anno.

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L’energia di Diodato al Cinzella Festival
per l’unica tappa pugliese del suo tour
Ci sono luoghi la cui energia esula da chi li abita in un determinato momento, luoghi in cui la
bellezza è talmente rara ed incontaminata che non si possono descrivere, bisogna viverli.

È così per le Cave di Fantiano, roccia tufacea scavata dalle mani degli uomini che
inconsapevolmente hanno restituito alla natura uno scenario inconsueto e mozzafiato, un luogo quasi
mistico, dove musica ed arte non possono che fondersi con il fascino dei monoliti calcarei.

Siamo nell’agro di Grottaglie, a due passi da Taranto, eppure la gran parte dei residenti ignora
questo paradiso che, se non fosse per pochi eventi come il Cinzella Festival, quasi verrebbe
dimenticato.
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ono di Maurizio Greco, per gentile concessione del Cinzella Festival.

Basterebbe prendersi del tempo, un attimo di silenzio per farsi suggestionare dalla particolarità di
un teatro incastonato nella roccia per capire che non ci troviamo davanti ad una location comune ed
un evento come tanti altri: sul palco, circondato da ulivi secolari e macchia mediterranea, sta per
salire Diodato per l’unica tappa pugliese del suo tour.

È la serata conclusiva della quarta edizione del Cinzella Festival 2020, che si è svolto dal 12 al 15
agosto e che anche quest’anno, come ogni anno, ha portato alle Cave di Fantiano artisti prestigiosi,
musica e proiezioni.

Quest’anno anche il famoso logo dell’evento, la pecora, simbolo ormai della lotta contro il
siderurgico di Taranto e la contaminazione da diossina che costrinse le autorità sanitarie ad
abbattere oltre 600 ovini, indossa la mascherina, a ricordarci che non è un anno come gli altri: una
subdola pandemia pone l’attenzione nazionale sulla dicotomia tra il diritto alla salute e la necessità
del lavoro, temi sui quali i cittadini tarantini si interrogano da anni ed ai quali nessuna istituzione è
riuscita a dare una risposta certa e definitiva.
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r gentile concessione del Cinzella Festival.
Lo sa bene Diodato, direttore artistico del 1° maggio a Taranto, che non ha smesso mai di pensare
alla sua città, nemmeno nel momento più bello e più alto della carriera di un musicista, la vittoria al
Festiva di Sanremo, vittoria dedicata a Taranto ed ai suoi cittadini che costantemente vivono in
condizioni di degrado ambientale ed emergenza occupazionale e che lo hanno saputo ripagare anche
al Cinzella Festival, con un affetto smisurato, seppur distanziati, con la mascherina indosso e nel
rispetto di tutte le norme del caso.

Di fronte al pubblico non c’è il cantautore Diodato, pluripremiato tra Sanremo, David di Donatello e
Nastro d’Argento, c’è Antonio, l’amico, il vicino di casa, il fratello partito a cercare fortuna, per
inseguire un sogno e tornato per ricordarci che, quando c’è il talento, i sogni si possono realizzare.

                          Scopri la nostra rubrica sulla Musica

Si resta incantati scoprendo con quale naturalezza, con quale energia, ma, allo stesso tempo, con
quale garbo e senza frenesia alcuna racconta di sé, solca il palco e canta le sue canzoni, lasciando
che il pubblico assapori il momento.

Sul palco del Cinzella Festival, insieme a Diodato, anche l’estro di Rodrigo D’Erasmo e la bellissima
voce di Greta Zuccoli, a dare ancora più forza alla sua poesia, in un tour fortemente voluto dal
cantautore tarantino, convinto che, in questo tempo incerto, la musica sia d’aiuto e conforto più che
in altri periodi.
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o, per gentile concessione del Cinzella Festival.

Lo si dice di tutti gli eventi ai quali si è partecipato, che sono unici, rari o particolari, soprattutto,
come in questo caso, quando la musica non è solo intrattenimento ma scava nell’anima, graffiando
sul fondo per far emergere qualcosa di noi che fino a quel momento non avevamo considerato,
oppure avevamo solo ignorato, ma credo che in questa circostanza siamo davvero davanti ad un
concerto unico ed irripetibile.

Forse perché mai più ci troveremo nel mezzo di una pandemia con alle spalle un lockdown che ha
scosso gli animi di tutti, forse perché quel luogo così incantato domani muterà, restituendoci un
altro paesaggio, forse perché ci sarà un’energia diversa a smuovere le coscienze o semplicemente
perché sarà un momento passato di cui conserveremo un bel ricordo e torneremo a casa con il cuore
pieno di bellezza e l’anima in pace, sicuri di aver viaggiato tra “Alveari”, “Ubriaco”, “Solo”, “Il
commerciante”, “Essere semplice”, “Adesso”, solo per citare alcune delle canzoni più belle,
perdendosi in “Mi si scioglie la bocca”, “Babilonia”, “Che vita meravigliosa” e “Fai rumore”.

Un racconto autentico e contemporaneo di una società spesso distratta e che non è più in grado di
apprezzare le piccole cose, ma anche un viaggio insondabile ed introspettivo alla ricerca di sé stessi
tra la felicità e le crisi di ogni esperienza amorosa, un racconto fatto di parole semplici ma, proprio
per questo, mai banali o scontate, che arrivano a tutti e di cui tutti si possono vestire per cambiare il
mondo che li circonda con la forza della gentilezza.

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Antonio Diodato ci lascia un insegnamento tanto prezioso quanto forse involontario, alzare la voce
non è l’unico modo di protestare contro le ingiustizie, lo si può fare anche con pacatezza, con
l’inequivocabilità e l’inamovibilità dei fatti; Antonio ci dimostra con la sua arte che sognare un futuro
diverso per Taranto è possibile e l’unico modo per ottenerlo è non smettere mai di pensare che,
prima o poi, possa accadere, e prodigarsi affinché accada.

Lasciamo le Cave di Fantiano con un grande senso di gratitudine nel cuore che forse non si può
spiegare a chi non ha vissuto e condiviso questo autentico momento di bellezza, portando con noi il
paesaggio che toglie il fiato, la voce, il sorriso e l’energia che Antonio ci ha donato senza
risparmiarsi, l’appagamento, ma anche l’inquietudine che chi vive questa terra conosce bene, tra
voglia di riscatto ed estrema incertezza per il futuro, ma ci portiamo anche un’emozione intima ed
insondabile che le parole non riescono a mostrare, che serve a “ricordarsi di nuovo dell’essenziale
invisibile”.

Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre.

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