Nuove norme per tutta la Chiesa contro chi abusa o copre - Diocesi di Cremona

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Nuove norme per tutta la Chiesa contro chi abusa o copre - Diocesi di Cremona
Nuove norme per tutta la
Chiesa contro chi abusa o
copre
«Vos estis lux mundi, Voi siete la luce del mondo … Nostro
Signore Gesù Cristo chiama ogni fedele ad essere esempio
luminoso di virtù, integrità e santità». Prese dal Vangelo di
Matteo sono il titolo e le prime parole del nuovo Motu proprio
di Francesco dedicato alla lotta agli abusi sessuali commessi
da chierici e religiosi, nonché alle azioni o alle omissioni
dei vescovi e dei superiori religiosi «dirette a interferire o
eludere» le indagini sugli abusi. Il Papa ricorda che i
«crimini di abuso sessuale offendono Nostro Signore, causano
danni fisici, psicologici e spirituali alle vittime e ledono
la comunità dei fedeli», e menziona la particolare
responsabilità che hanno i successori degli apostoli nel
prevenire questi reati. Il documento rappresenta un ulteriore
frutto dell’incontro sulla protezione dei minori tenutosi in
Vaticano nel febbraio 2019. Stabilisce nuove norme procedurali
per combattere gli abusi sessuali e assicurare che vescovi e
superiori religiosi rendano conto del loro operato. È una
normativa universale, che si applica all’intera Chiesa
cattolica.

Uno “sportello” per le denunce in ogni diocesi

Tra le novità previste c’è l’obbligo, per tutte le diocesi del
mondo di dotarsi entro giugno 2020 di «uno o più sistemi
stabili e facilmente accessibili al pubblico per presentare
segnalazioni» riguardanti gli abusi sessuali commessi da
chierici e religiosi, l’uso di materiale pedopornografico e la
copertura degli stessi abusi. La normativa non specifica in
che cosa consistano questi «sistemi», per lasciare alle
diocesi la scelta operativa, che potrà essere diversa a
seconda delle diverse culture e condizioni locali. Ciò che si
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vuole è che le persone che       hanno sofferto abusi possano
ricorrere alla Chiesa locale     sicure di essere ben accolte,
certe che saranno protette       da ritorsioni e che le loro
segnalazioni saranno trattate   con la massima serietà.

L’obbligo di segnalazione

Un’altra novità riguarda l’obbligo per tutti i chierici, i
religiosi e le religiose di «segnalare tempestivamente»
all’autorità ecclesiastica tutte le notizie di abusi di cui
vengano a conoscenza come pure le eventuali omissioni e
coperture nella gestione dei casi di abusi. Se fino ad oggi
quest’obbligo riguardava, in un certo senso, soltanto la
coscienza individuale, d’ora in poi diviene un precetto legale
stabilito universalmente. L’obbligo in quanto tale viene
sancito soltanto per i chierici e i religiosi, ma anche tutti
i laici possono, e sono incoraggiati a utilizzare il sistema
per segnalare abusi e molestie alla competente autorità
ecclesiastica.

Non solo abusi su minori

Il documento comprende non soltanto le molestie e le violenze
sui minori e degli adulti vulnerabili ma riguarda anche la
violenza sessuale e le molestie conseguenti all’abuso di
autorità. Questo obbligo include anche qualsiasi caso di
violenza sulle religiose da parte di chierici, come pure il
caso delle molestie a seminaristi o novizi maggiorenni.

Le “coperture”

Tra gli elementi di maggiore rilievo c’è poi l’individuazione,
come categoria specifica, della cosiddetta condotta di
copertura, consistente in «in azioni od omissioni dirette a
interferire o ad eludere le indagini civili o le indagini
canoniche, amministrative o penali, nei confronti di un
chierico o di un religioso in merito ai delitti» di abuso
sessuale. Si tratta di coloro che, investiti di posizioni di
particolare responsabilità nella Chiesa, invece di perseguire
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gli abusi commessi da altri, li hanno nascosti, proteggendo il
presunto reo invece di tutelare le vittime.

La tutela delle persone vulnerabili

Vos estis lux mundi pone l’accento sull’importanza di tutelare
i minori (persone con meno di 18 anni) e le persone
vulnerabili. Viene infatti ampliata la nozione di “persona
vulnerabile”, non più ristretta alle sole persone che non
hanno “l’uso abituale” della ragione, fino a comprendere anche
i casi occasionali e transitori di incapacità di intendere e
di volere, nonché le disabilità di ordine fisico. In questo il
nuovo Motu proprio fa eco alla recente Legge vaticana (n.
CCXCVII del 26 marzo 2019).

Il rispetto delle leggi degli Stati

L’obbligo di segnalazione all’ordinario del luogo o al
superiore religioso, non interferisce né modifica qualsiasi
altro obbligo di denuncia eventualmente esistente nelle leggi
dei rispettivi Paesi: le norme infatti «si applicano senza
pregiudizio dei diritti e degli obblighi stabiliti in ogni
luogo dalle leggi statali, particolarmente quelli riguardanti
obblighi di segnalazione alle autorità civili competenti».

Tutela di chi denuncia e per le vittime

Significativi anche i paragrafi dedicati a tutelare chi si fa
avanti per fare la segnalazione. Coloro che riferiscono
notizie di abusi, secondo quanto previsto dal Motu proprio,
non possono infatti essere sottoposti a «pregiudizi,
ritorsioni o discriminazioni» a motivo di quanto hanno
segnalato. Un’attenzione anche al problema delle vittime che
in passato sono state ridotte al silenzio: queste norme
universali prevedono che «non può essere» loro «imposto alcun
vincolo di silenzio riguardo al contenuto» della segnalazione.
Ovviamente il segreto confessionale rimane assoluto e
inviolabile e dunque non viene in alcun modo toccato da questa
normativa. Vos estis lux mundi stabilisce inoltre che le
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vittime e le loro famiglie devono essere trattate con dignità
e rispetto e devono ricevere un’appropriata assistenza
spirituale, medica e psicologica.

Le indagini a carico dei vescovi

Il Motu proprio disciplina le indagini a carico dei vescovi,
dei cardinali, dei superiori religiosi e di quanti abbiano a
vario titolo e anche solo temporaneamente, la guida di una
diocesi o di un’altra Chiesa particolare. Questa disciplina
sarà da osservare non solo se queste persone sono indagate per
abusi sessuali compiuti direttamente, ma anche quando vengono
denunciati di avere «coperto» o di non avere voluto perseguire
abusi di cui sono venuti a conoscenza, e che spettava loro
contrastare.

Il ruolo del metropolita

Significativa   la   novità   riguardante   il   coinvolgimento
nell’investigazione previa dell’arcivescovo metropolita, che
riceve dalla Santa Sede il mandato per investigare nel caso
che la persona denunciata sia un vescovo. Il suo ruolo,
tradizionale nella Chiesa, ne esce rafforzato e attesta la
volontà di valorizzare le risorse locali anche per le
questioni riguardanti le indagini sui vescovi. Colui che è
incaricato di investigare dopo trenta giorni trasmette alla
Santa Sede «un’informativa sullo stato delle indagini», che
«devono essere concluse entro il termine di novanta giorni»
(sono possibili proroghe per «giusti motivi»). Ciò stabilisce
tempi certi e per la prima volta viene richiesto che i
Dicasteri interessati agiscano con tempestività.

Coinvolgimento dei laici

Citando l’articolo del Codice canonico che sottolinea il
prezioso contributo dei laici, le norme del Motu proprio
prevedono che il metropolita, nel condurre le indagini, possa
avvalersi dell’aiuto di «persone qualificate», secondo «la
necessità del caso e, in particolare, tenendo conto della
cooperazione che può essere offerta dai laici». Il Papa ha
affermato più volte che le specializzazioni e le capacità
professionali dei laici rappresentano una risorsa importante
per la Chiesa. Le norme prevedono ora che le conferenze
episcopali e le diocesi possano preparare liste di persone
qualificate disponibili a collaborare, ma la responsabilità
ultima sulle indagini rimane affidata al metropolita.

Presunzione di innocenza

Viene ribadito il principio della presunzione di innocenza
della persona indagata, che sarà avvisata dell’esistenza
dell’investigazione stessa quando ciò sia richiesto dal
Dicastero competente. L’accusa deve infatti essere notificata
obbligatoriamente solo in presenza dell’apertura di un
procedimento formale e, se ritenuto opportuno per assicurare
l’integrità dell’indagine o delle prove, può essere omessa
nella fase preliminare.

Conclusione dell’indagine

Il Motu proprio non apporta modifiche alle pene previste per i
delitti ma stabilisce la procedura per fare la segnalazione e
svolgere l’indagine previa. A conclusione dell’indagine il
metropolita (o in determinati casi il vescovo della diocesi
suffraganea con maggiore anzianità di nomina) inoltra le
risultanze al Dicastero vaticano competente e cessa così il
suo compito. Il Dicastero competente procede quindi «a norma
del diritto secondo quanto previsto per il caso specifico»,
agendo dunque sulla base delle norme canoniche già esistenti.
Sulla base delle risultanze dell’investigazione previa, la
Santa Sede può immediatamente imporre delle misure preventive
e restrittive alla persona indagata.

Impegno concreto

Con questo nuovo strumento giuridico voluto da Francesco, la
Chiesa cattolica compie un nuovo e incisivo passo nella
prevenzione e contrasto degli abusi che mette l’enfasi sulle
azioni concrete. Come scrive il Papa all’inizio del documento:
«Affinché tali fenomeni, in tutte le loro forme, non avvengano
più, serve una conversione continua e profonda dei cuori,
attestata da azioni concrete ed efficaci che coinvolgano tutti
nella Chiesa».

Il vescovo di Lugano Valerio
Lazzeri il 13 maggio al
Santuario di Ariadello
È prossimo l’appuntamento con la tradizionale sagra di
Ariadello, il santuario mariano a cui sono particolarmente
devoti i soresinesi. È di fronte all’immagine della Madonna di
Ariadello che, nei secoli, fin dalla fine del lontano 1600, i
soresinesi hanno rivolto preghiere di suppliche contro la
peste, le carestie, le malattie per ottenere una grazia. A
distanza di secoli, di fronte alla stessa immagine, la
devozione continua e trova il suo culmine la seconda domenica
di maggio e il lunedì seguente.

Dunque domenica 12 maggio, in occasione della sagra della
Beata Vergine di Ariadello, il santuario sarà aperto e saranno
celebrate Messe alle 7, alle 9, alle 11 e alle 17.30. Alle 16
è fissata l’ora mariana. Lunedì 11 maggio, giorno del “feren”
particolarmente sentito e molto frequentato, la Messa solenne
al Santuario sarà celebrata dal vescovo di Lugano mons.
Valerio Lazzeri, che raggiungerà il Santuario in carrozza,
lunga la via campestre che congiunge la città ad Ariadello.
Dopo un breve momento di accoglienza, alle 18 sarà celebrata
la Messa.

Le iniziative della sagra tuttavia partiranno già da venerdì
10 maggio con la Messa per i defunti dell’Azione Cattolica.
Sabato 11 maggio invece, alle 21, sarà recitato il Rosario,
cui seguirà l’adorazione eucaristica. Chiude il programma
della sagra la Messa, alle 18, martedì 14 maggio in ricordo
dei benefattori defunti del Santuario.

Durante tutti i giorni della sagra funzioneranno a pieno ritmo
i punti di ristoro organizzati presso il santuario, le giostre
e le bancarelle tipiche di una fiera. Nel corso dei secoli,
infatti, sacro e profano si sono fusi in un’unica gioiosa
tradizione.

                                              Annalisa Tondini

Il miracolo di Ariadello tra realtà e tradizione
Lo storico locale Roberto Cabrini prima e
il Gruppo culturale San Siro (sotto la
guida della responsabile Adele Emilia
Cominetti) poi, hanno raccolto notizie
sulla storia del Santuario di Ariadello,
partendo dal miracolo a cui seguì la
costruzione come ringraziamento alla
Madonna, garantendo così una ricca
documentazione.

La storia di Ariadello, del miracolo e della costruzione del
Santuario sono indissolubilmente legate alla storia della
famiglia Barbò, signori di Soresina.

Alla fine del sec. XVI, i campi intorno ad Ariadello furono
acquistati da Camillo Barbò, capostipite del casato C, già
signore di Soresina dal 1578, ma per parlare delle vicende
legate alla costruzione del Santuario, bisogna attendere
l’epoca del nipote di Camillo, cioè Giovanni Battista Barbò,
II marchese di Soresina, figlio di Ludovico, I marchese di
Soresina.

Giovanni Battista Barbò (1604-1664), feudatario dal 1629,
nonostante la carriera di “mastro di campo”, le ricchezze ed i
dieci figli, pare avesse il cruccio di una bimba sordomuta
dalla nascita, la quartogenita Teresa Gertrude.

Secondo la tradizione popolare (su questo aspetto i documenti
d’archivio non aiutano), un giorno di maggio (anno
imprecisato) la famiglia Barbò avrebbe sostato in contrada
Ariadello, in un campo con dei ruderi. Su una parete di quei
ruderi, protetta da un portico, era dipinta una Madonna col
Bambino che era meta di devozione per i contadini del luogo ed
i pellegrini. Si diceva, infatti, che la “Madonna del portico
di Ariadello” ascoltasse le suppliche degli oranti e facesse
grazie. Ebbene, mentre la famiglia Barbò si trovava in
preghiera davanti all’immagine della Madonna, la piccola
Teresa Gertrude si allontanò dal gruppo per cogliere alcuni
fiori di campo. Tornando, la bambina si avvicinò alla marchesa
madre e avrebbe detto: .

L’evento sarebbe stato subito attribuito all’intervento
miracoloso della Madonna e la notizia dell’evento prodigioso
si diffuse rapidamente.

L’allora vescovo di Cremona, Francesco Visconti, per timore
del diffondersi della superstizione e del fanatismo, ordinò
che l’immagine della Madonna del portico di Ariadello fosse
protetta da un tavolato di legno e il portico recintato.

Nonostante l’ordine del Vescovo di Cremona, la devozione alla
Madonna di Ariadello non diminuì, ma l’autorità ecclesiastica
indugiò diversi anni prima di approvare il culto della Madonna
di Ariadello e permettere ai soresinesi di costruire sul luogo
del miracolo un santuario mariano.

La costruzione del Santuario di Ariadello

A distanza di un secolo dalla chiusura del Concilio di Trento,
la chiesa cattolica aveva reagito al rifiuto protestante della
devozione mariana e delle sacre immagini incrementando il
numero dei luoghi sacri, promuovendo la trasformazione di
primitive e semplici cappelle in veri e propri santuari.
Specialmente in Lombardia, si era data attuazione al progetto
riformatore di San Carlo Borromeo che prevedeva la
sacralizzazione del territorio con una serie di luoghi di
culto maggiori e minori. E così, anche la santella di
Ariadello divenne santuario con la costruzione della chiesa.

Il 26 settembre 1663, il capitano Pietro Maria Barbò, fratello
del marchese Giovanni Battista, istituì un “beneficio
semplice” per l’altare maggiore della costruenda chiesa,
dotandola di un notevole patrimonio terriero. Altre offerte
seguirono generose, in denaro, in natura, in prestazioni
d’opera.

L’11 maggio 1664 fu posta la prima pietra dal parroco di
Soresina, don Orazio Malossi. Don Bonifacio Cigoli riferisce
(da consultazione di un piccolo libro di memorie allora
esistente nell’Ufficio Comunale) che la fabbrica del Santuario
era stata affidata al mastro muratore Gian Maria con
l’assistenza del Sacerdote don Angelo Ferrari. Sorgeva così il
santuario mariano più caro della nostra zona, secondo in
ordine cronologico (il primo è Santa Maria del Cingaro, detto
“la Madonnina”, nato come oratorio extraurbano dopo la peste
del 1630), ma senz’altro il primo nella devozione religiosa e
nella tradizione popolare.

Il 30 maggio 1666, lo stesso parroco benediceva la nuova
chiesa dove, sull’altare maggiore, veniva trasportato il
lacerto di muro con l’affresco della Madonna.

Nel settembre 1670, fu costruito un portico vicino alla chiesa
per i pellegrini e nel 1674 i Deputati della Comunità di
Soresina donarono al santuario il terreno sul quale fu
edificata la casa del sagrestano – eremita con i locali atti
ad ospitare il clero impegnato nelle celebrazioni di culto.

I beni cospicui, tra cui la grande cascina Le Valli a
Castelleone, provenienti da lasciti o da offerte, erano
amministrati dai Reggenti del Santuario della Beata Vergine di
Ariadello, uno dei tre pii sodalizi che si erano formati a
Soresina nel secolo XVII (in aggiunta alle undici
confraternite) per amministrare i beni mobili ed immobili
donati da benefattori ormai defunti.

Dipendeva dai Reggenti, anche se patentato dalla Curia
vescovile di Cremona, l’eremita che aveva cura del luogo sacro
e aveva la facoltà di indossare la veste talare nera che il
parroco gli   aveva   imposta   durante   la   cerimonia   della
vestizione.

Negli ultimi decenni del ‘600, la cura spirituale del
santuario fu affidata ai Minori Osservanti del convento
soresinese sito in Contrada degli Argini (ora Via Cairoli).

Il Santuario ha la facciata volta verso mezzogiorno, di ordine
ionico, ed un campanile. Dal 1950 suona una nuova campana
dedicata all’Assunta dopo che la campana originale, fusa nel
1865, era stata requisita per ragioni belliche nel 1942.
L’interno di architettura molto semplice è di ordine toscano,
a navata unica, ma i due altari laterali sfondano un poco,
abbozzando una croce latina. Sulle lesene decorate in finto
marmo delle pareti sono infissi portaceri lignei che sono
stati rifatti recentemente su modello degli originali,
purtroppo rubati. La prima decorazione risale al 1880, quando
i decoratori Zanni, padre e figlio, ornarono la chiesa con
opere in stucco: rosoni nella volta e cornicione di finto
marmo di Carrara. Altri interventi, compiuti dal signor Allodi
di Cremona, furono realizzati per volontà di don Giacomo Olzi
che, negli anni della sua parrocchialità (1895 – 1914), ebbe a
cuore la bellezza artistica dei luoghi sacri soresinesi e
portò a compimento, nel 1902 – 1904, la decorazione pittorica
della volta di San Siro con l’opera degli artisti bergamaschi
Domenighini e Riva. Dal 1909, furono fatte le decorazioni in
stucco del presbiterio e nel 1912 tutta la chiesa fu rimessa a
nuovo, come si legge nel numero unico del Bollettino
Parrocchiale del 12 settembre 1912.

La chiesa, a sinistra, ospita la cappella dedicata alla
Visitazione di Maria a Santa Elisabetta. Già il 1° settembre
1667, la nobildonna Elisabetta Cattaneo Barbò, senza figli e
vedova del capitano Pietro Maria (fratello del marchese
Giovanni Battista), dotava di “beneficio semplice’ questo
altare con un notevole patrimonio terriero per assicurare
suffragi al defunto marito. Nella pala d’altare, accanto alla
scena religiosa della “Visitazione”, è dipinto il ritratto del
nobile Pietro Maria con lo stemma araldico della sua casata.
Nella cappella laterale di destra, invece, è collocato
l’altare di San Fermo.

Il presbiterio, che in origine era separato da una balaustra
in marmo di vari colori, ha avuto una nuova sistemazione nel
maggio 1986 quando vennero compiuti anche altri lavori di
abbellimento come il restauro delle vetrate.

Nell’altare maggiore, l’ancona barocca, con fastigio adorno di
statue e colonne tortili in coppia ai lati, racchiude
l’affresco antico del miracolo.

Ancona e altare sono opere pregevoli in scagliola modellata
secondo una tecnica ormai desueta. Bellissimo il paliotto che
imita la tarsia marmorea.

Il santuario ospita alcune tele votive, tutte di pittore
anonimo, datate intorno alla seconda metà del XVII secolo.
Nelle tele si riconoscono San Gerolamo, San Nicola di Bari,
San Francesco e Sant’Antonio. La tela più significativa è
quella che, secondo la tradizione, vuole rappresentati i
protagonisti del miracolo, ma la loro individuazione non è
sicura. L’ipotesi già di don Cigoli (1880), ripresa da don
Boni (1928) sembra ricondurre a Giovanni Battista, II marchese
di Soresina con la moglie Eleonora Sfondrati e la quartogenita
Teresa Gertrude, la miracolata. Un’altra ipotesi parla della
figlia del capitano Pietro Maria Barbò. Altre ipotesi sono
state avanzate dal prof. Roberto Cabrini, soresinese, studioso
di storia locale: la prima individua nei personaggi Teresa
Gertrude Barbò, già adulta, il marito marchese Baldassarre
Castigliani di Mantova con la figlia Collatina, ritornati ad
Ariadello dopo parecchi anni per onorare la Madonna. Un’altra,
quasi imposta dall’esame dei tratti somatici del personaggio
maschile e suggerita anche da alcuni raffronti cronologici,
individua nella miracolata Costanza Barbò, figlia di Giuseppe
Maria e di Elisabetta, del ramo B del casato, parenti dei
marchesi Barbò di Soresina e ivi abitanti. Indipendentemente
dalle teorie, la tela si può considerare il più significativo
ex voto del Santuario.
Viadana:    giovedì    sera
commedia con i Natistanki
I Natistanki, gruppo teatrale dell’oratorio viadanese del
Castello, tornano in scena. Appuntamento giovedì 16 maggio
alle ore 21 al Teatro Vittoria di Viadana (ingresso offerta
libera): in scena “Che succede a Villa Rochester?”, commedia
brillante in tre atti.

La pièce si svolge in una sinistra villa vittoriana popolata
da fantasmi e da persone che affermano di averli visti: sarà
insomma una serata all’insegna dei brividi e del divertimento.

I Natistanki – attivi ormai da una decina d’anni, al ritmo di
una nuova produzione l’anno – si sono costituiti in seno
all’oratorio con l’obiettivo di creare opportunità di
socializzazione, di impegno creativo e di divertimento per i
giovani dell’età post-diploma.

                  Locandina dello spettacolo

Festa dell’Europa: gli auguri
dei giovani, “vogliamo essere
insieme e uniti”
“Auguro all’Europa di ritrovare se stessa. Abbiamo bisogno di
un’Europa forte, vogliamo essere insieme, vogliamo essere
uniti e amiamo l’Europa. Europa trova te stessa e sii più
europea”. “Auguro all’Europa di essere capace di includere le
nuove persone che arrivano in Europa, accogliendole bene,
anche sul piano umanitario”. “Auguro per il futuro dell’Europa
che agisca di più a livello locale, vicino alle persone, dia
loro sostegno, alla base, così che sappiano di che cosa si
tratta e che cosa è veramente”. Sono alcuni degli auguri
raccolti in un video del Sir espressi da giovani europei per
la Festa dell’Europa (9 maggio) a ricordo di quel 9 maggio
1950 in cui Robert Schuman presentò la Dichiarazione che,
definendo il piano di cooperazione economica tra Francia e
Germania, dava il via al processo d’integrazione europea. Le
parole di giovani dalla Francia, Ungheria, Romania, Germania,
Italia, Gran Bretagna, Croazia, Austria, danno voce al
desiderio che quel processo continui a crescere: gli auguri
vanno nel senso di un’Europa più solidale, più aperta, più
umana, più forte, più tollerante, più grande, “capace di
abbracciare la diversità” delle persone che la abitano.
“L’Europa è il posto migliore in cui vivere, il posto più
ricco di cultura e tradizioni, qualcosa che tutti gli altri si
stanno sforzando di copiare per essere simili a noi”, dice
Mattia dalla Croazia. “Auguro all’Europa di riuscire ad
arrivare nei bassi di tutti i sud che esistono in questa
Europa, dove ci sono ragazzi che hanno minori opportunità”,
aggiunge Marco Riccio da Napoli. “Auguro che ci sia una alta
affluenza alle urne e si voti bene”, ribadisce un giovane
dall’Ungheria. “Che il motto dell’Europa uniti nella diversità
sia un motto reale, attraverso il quale non solo riconoscerci,
ma anche agire concretamente nei nostri territori, comunità,
progetti che portiamo avanti”, è il desiderio di Giusy da
Salerno, che augura “buona Europa a tutti e a chi si impegna
ogni giorno per portare avanti progetti concreti”.

A Guzzetti e Rebecchi                                    la
“Medaglia d’oro Città                                    di
Cremona”
La Giunta comunale di Cremona ha espresso parere favorevole
unanime in merito alla candidatura per l’assegnazione del
riconoscimento “Medaglia d’oro Città di Cremona” a “Renzo
Rebecchi (in foto a destra) e Giuseppe Guzzetti (in foto a
sinistra), rispettivamente presidenti di Fondazione
Comunitaria della provincia di Cremona e Fondazione
Cariplo per meriti straordinari: 13 milioni di euro dalla
Fondazione di Comunità e 30 da Cariplo per finanziare progetti
realizzati nel territorio. La proposta al sindaco porta la
firma della Fondazione Arvedi Buschini, con la sottoscrizione
e condivisione dell’iniziativa da parte della Diocesi di
Cremona, Fondazione “Città di Cremona”, Cooperativa
“Agropolis”, Fondazione Teatro Ponchielli, Fondazione Museo
del Violino.

Come prevede il regolamento, la delibera della Giunta sarà ora
trasmessa all’Ufficio di Presidenza del Consiglio Comunale,
che provvederà a sottoporre la concessione dell’onorificenza
al voto dei Consiglieri nella prima seduta utile dopo la
consultazione elettorale. La motivazione del riconoscimento
ribadisce la straordinaria azione posta in essere dai due
presidenti, sostenendo e promuovendo innumerevoli e importanti
iniziative di carattere culturale, artistico e architettonico,
formativo, sociale, assistenziale, ambientale e filantropico a
favore della Comunità cremonese e dell’intera provincia nel
corso di decenni.

La proposta sottolinea l’ideale estensione del riconoscimento
a tutti coloro che, con diverse funzioni, mansioni, incarichi
hanno collaborato negli anni alla crescita ed ai risultati
ottenuti dalla Fondazione di Comunità di Cremona, in primis,
Maria Luisa Vespertini e, per Fondazione Cariplo, una
particolare memoria a Piero Mario Vello (prematuramente
scomparso nel 2014 a soli 63 anni)

«Ho accolto molto favorevolmente la richiesta pervenutami
dalle Istituzioni e dagli Enti che hanno proposto la
concessione della “Medaglia d’oro Città di Cremona” all’avv.
Giuseppe Guzzetti – Fondazione Cariplo e al dr. Renzo Rebecchi
– Fondazione Comunitaria della provincia di Cremona” commenta
Gianluca Galimberti, “ringrazio le realtà proponenti che,
insieme alle amministrazioni succedutesi nel tempo, hanno
intensamente lavorato a favore della città, anche e proprio in
collaborazione con la Fondazione Cariplo e la Fondazione
comunitaria. I presidenti Guzzetti e Rebecchi, in tanti anni
hanno promosso idee e progetti nel nostro territorio e
coerentemente li hanno sostenuti con fondi e finanziamenti.
Quanti sono i cittadini che hanno goduto di questo intenso
lavoro migliorando la loro vita, sviluppando potenzialità,
facendo crescere la comunità? Tantissimi e tantissime le
realtà sociali, culturali, ecclesiali, civili. I premiati
hanno svolto questo lavoro con competenza straordinaria e con
uno stile che è un modello per tutti. È stato un grande onore
pertanto accogliere la richiesta. Con riconoscenza».

Il curriculum professionale di Renzo Rebecchi indica l’intensa
attività svolta nel settore pubblico, in ruoli apicali ed a
servizio della Comunità: Presidente della Provincia di
Cremona, Segretario Generale e Direttore Generale del Comune
di Cremona, solo per indicare i principali, prestigiosi ruoli.

Dal 2006 al 2016, il dott. Rebecchi ha ricoperto il ruolo di
presidente della Fondazione Comunitaria della Provincia di
Cremona, riuscendo nel 2012 a vincere la “sfida” di Fondazione
Cariplo di riuscire in dieci anni a raccogliere sul territorio
provinciale un patrimonio di almeno 5.164.00 mila euro. Grazie
a questo successo Fondazione Cariplo ha donato al territorio
cremonese il doppio di quanto raccolto, dotando quindi la
Fondazione di un patrimonio inalienabile di oltre quindici
milioni di euro.

I progetti sostenuti al 50% da Fondazione Comunitaria hanno
permesso l’erogazione a realtà no profit della provincia di
oltre 13 milioni di euro (dato 2016), che hanno attivato un
circolo virtuoso pari al doppio della cifra, stimolando le
contribuzioni territoriali. A ciò si assomma un significativo
“indotto” riferito alle collaborazioni legate all’attuazione
dei progetti. Renzo Rebecchi è stato figura fondamentale nella
impostazione dei bandi basati su precise idee strategiche per
lo sviluppo del territorio e per il sostegno alla qualità
della progettazione stessa.

Nel corrente mese, l’avv. Giuseppe Guzzetti lascerà dopo 22
anni la guida di Fondazione Cariplo. Durante il mandato del
presidente Guzzetti, l’intero territorio della provincia di
Cremona ha beneficiato di interventi indiretti tramite le
Fondazioni di Comunità, sia direttamente, partecipando a
progetti di grande rilevanza tramite Azioni emblematiche
minori e maggiori con l’assegnazione alla provincia di Cremona
di circa trenta milioni di euro.

Ogni anno in Lombardia sono stati realizzati mediamente più di
1000 progetti grazie ai contributi a fondo perduto distribuiti
mediante bandi, erogazioni emblematiche, territoriali,
istituzionali, patrocini, per un valore di circa 150 milioni
di euro a stagione. Nell’aprile del 1998 la Fondazione Cariplo
ha lanciato il progetto Fondazioni di Comunità con l’obiettivo
di costituire su tutto il territorio di riferimento una rete
di Fondazioni autonome in grado di rispondere in modo efficace
e complementare ai bisogni delle comunità locali e di
promuovere una cultura del dono e della partecipazione al fine
di sostenere progetti di utilità sociale e di coinvolgere i
cittadini nelle attività delle Fondazioni. Oggi sono 16 le
Fondazioni di Comunità.

Grazie al suo lavoro anche di fine giurista, la Corte
Costituzionale sentenziò il ruolo e l’identità delle
fondazioni di origine bancaria: “persone giuridiche private
dotate di piena autonomia statutaria e gestionale” collocate a
pieno titolo “tra i soggetti dell’organizzazione delle libertà
sociali”. Una sentenza epocale e fondamentale per il mondo
delle fondazioni e della filantropia.

Le fondazioni italiane e l’ammodernamento del mondo della
filantropia, portano indubbiamente la firma di Giuseppe
Guzzetti, la cui attività instancabile, professionale,
costante e capillare ha consentito una vera e propria
trasformazione, che ha permesso di intervenire e dare risposta
a bisogni talvolta urgenti in diversi settori della società
italiana.

Nel 2016, a 25 anni dalla sua nascita, Fondazione Cariplo ha
lanciato 4 programmi intersettoriali che portano in sé i
valori fondamentali della filantropia di Cariplo: innovazione,
attenzione alle categorie sociali svantaggiate, opportunità
per i giovani, welfare per tutti.

Papa Francesco: dai Balcani
una lezione per l’Europa
sulle orme di due grandi
santi
“Un viaggio breve ma molto fitto”. Così il Papa ha definito il
suo 29° viaggio apostolico, compiuto dal 5 al 7 maggio. Dalla
Bulgaria, “ponte” tra l’Europa dell’est e del sud, e dalla
Macedonia del Nord, “mosaico” di culture, etnie e religioni
diverse abituate per tradizione ad una convivenza pacifica –
in una terra che per la prima volta nella storia vede la
presenza di un Pontefice – Francesco ha proposto questo angolo
dei Balcani come modello di accoglienza, integrazione e
fratellanza, in un continente sempre più diviso che sembra
aver smarrito le sue radici cristiane. I cattolici, qui, sono
un piccolo gregge, pari all’1% della popolazione: ma possono
contare su due grandi santi, Giovanni XXIII e Madre Teresa,
per continuare a “sognare” un futuro di pace.

Europa. Bulgaria, “ponte tra l’Europa dell’Est e quella del
sud”. Terra di radici cristiane e patria di Cirillo e Metodio,
gli evangelizzatori a cui si devono le radici cristiane del
nostro continente. Fin dalla prima tappa del suo viaggio, e
dal suo primo discorso, indirizzato alle autorità, alla
società civile e al Corpo diplomatico, Francesco mette il tema
dell’Europa al primo posto. Nella storica piazza Atanas Burov,
vittima di un regime che non poteva accettare la libertà di
pensiero, lancia un appello a far sorgere in Europa “nuovi
percorsi di pace e di concordia”. Nel corrispettivo discorso,
il primo dei cinque interventi pubblici a Skopje, Francesco
definisce la Macedonia “ponte tra oriente e occidente e punto
di confluenza di numerose correnti culturali”. Un mosaico, un
“crogiuolo di culture e di appartenenze etniche e religiose”
che “ha dato luogo a una pacifica e duratura convivenza, nella
quale “le singole identità hanno saputo e potuto esprimersi e
svilupparsi senza negare, opprimere o discriminare le altre”.
Il popolo macedone e quello bulgaro sono per l’Europa

“un esempio a cui fare riferimento per una convivenza serena e
fraterna, nella distinzione e nel rispetto reciproco”, dice il
Papa, auspicando che “tale integrazione si sviluppi
positivamente per l’intera regione dei Balcani occidentali”.

Migrazioni. “Non chiudere gli occhi, il cuore la mano a chi
bussa alle vostre porte”. È l’appello del primo discorso in
terra bulgara, la cui storia e tradizione ha sempre puntato a
“favorire l’incontro tra culture, etnie, civiltà e religioni
differenti, che da secoli hanno qui convissuto in pace”,
l’omaggio del Papa. Lo sviluppo della Bulgaria, “integrata
nell’Unione europea e dai solidi legami con Russia e Turchia”,
passa anche dalla capacità di offrire ai suoi figli un futuro
di speranza, creando le condizioni affinché, soprattutto i più
giovani, non siano costretti ad emigrare. Anche da Skopje, nel
discorso alle autorità, Francesco cita “il generoso sforzo
compiuto nell’accogliere e prestare soccorso al gran numero di
migranti e profughi provenienti da diversi Paesi
mediorientali”, come i profughi che giungono dalla Libia,
dalla Siria e dall’Iraq. “Oggi il mondo dei migranti e
rifugiati è un po’ una croce dell’umanità, e la croce è tanta
gente che soffre”, le parole pronunciate a braccio e rivolte
alle famiglie ospitate dal Centro profughi “Vrazhdebna” nella
periferia di Sofia, dove il Papa ha incontrato in privato
circa 50 persone provenienti da Siria ed Iraq.

Dialogo. Il Papa che, incontrando il Santo Sinodo della Chiesa
ortodossa bulgara, abbraccia il patriarca Neofit e ne bacia il
medaglione che ha appeso al collo. Che sosta in preghiera
silenziosa davanti all’effige dei santi Cirillo e Metodio,
nella cattedrale Sofia. Che incontra le diverse comunità
religiose, dopo aver celebrato a Rakovsky la Messa con 245
Prime Comunioni. Sono le tre instantanee che descrivono
l’urgenza del dialogo, da tradursi in “ecumenismo del povero”
e in “ecumenismo della missione”, raccomanda Francesco. “Le
ferite che lungo la storia si sono aperte tra noi cristiani
sono lacerazioni dolorose inferte al corpo di Cristo che è la
Chiesa”, e “ancora oggi ne tocchiamo con mano le conseguenze”,
dice il Papa al patriarca. L’unico modo per spezzare questa
spirale è quello di “non rimanere chiusi, ma di aprici, perché
solo così i semi portano frutto”. “Adottare la cultura del
dialogo come via, la collaborazione comune come condotta, la
conoscenza reciproca come metodo e criterio”, la ricetta
suggerita durante la recita del Regina Coeli.

Due santi. Il “santo bulgaro” e “una grande donna”. Sono le
due figure che, come aveva già spiegato Bergoglio nei
videomessaggi alla vigilia della partenza, hanno ispirato il
suo 29° viaggio apostolico. San Giovanni XXIII e Madre Teresa
di Calcutta sono il vero “leit motiv” delle parole di
Francesco, e vengono citati fin dal suo mettere piede,
rispettivamente, nella terra bulgara e in quella macedone. Il
“papa buono”, ricorda il Papa,      “portò sempre nel cuore
sentimenti di gratitudine e di profonda stima per la vostra
nazione”. Visitando il Memoriale di Madre Teresa, Francesco
esorta i suoi concittadini e l’intera nazione macedone a
farsi, come lei, “voce dei poveri e di tutti coloro che hanno
fame e sete di giustizia” e ad imparare ad essere “vigili e
attenti al grido dei poveri, di coloro che sono privati dei
loro diritti, degli ammalati, degli emarginati, degli ultimi”.
Nella Messa a Skopje, davanti a 10mila persone – in un Paese
dove i cattolici sono 15mila – il Papa indica nei due pilastri
su cui Madre Teresa ha voluto fondare la sua vita – Gesù
incarnato nell’Eucaristia e Gesù incarnato nei poveri –
l’antidoto ad una società in cui “ci siamo abituati a mangiare
il pane duro della disinformazione, ci siamo ingozzati di
connessioni      e   abbiamo    perso    il    gusto    della
fraternità”. Incontrando i giovani, nell’ultimo appuntamento a
Skopje prima del rientro a Roma, Francesco esorta a “prendere
la vita sul serio” come ha fatto Madre Teresa: “Lei ha sognato
in grande e per questo ha anche amato in grande”. “Sognate
insieme, non da soli; con gli altri, mai contro gli altri”, il
monito.

A Cremona una serata in
ascolto dei candidati sindaco
L’obiettivo era chiaro: offrire ai cremonesi un momento di
ascolto dei candidati sindaco per il Comune di Cremona, in
modo da capire idee e proposte. Con questo spirito la Zona
pastorale 3, in sinergia con l’Ufficio diocesano per la
Pastorale sociale e del lavoro, giovedì 9 maggio ha
organizzato una serata in vista delle elezioni. Davvero
gremito per l’occasione il salone Bonomelli del Centro
pastorale diocesano di Cremona.

Un confronto che, volutamente, per evitare i toni accesi della
campagna elettorale che a volte rischiano di risultare sterile
polemica e volgare attacco all’avversario, non ha previsto
dibattito e domande dal pubblico. Al centro della serata tre
spunti di riflessione, riguardo ai quali ognuno dei candidati
è stato chiamato a esplicitare il proprio punto di vista. Tre
domande in tutto, a cui i candidati hanno risposto a turno:
tre i minuti di tempo a disposizione di ciascuno.

Dei sette candidati in corsa sei hanno accettato Francesca
Berardi (Cremona cambia musica), il sindaco uscente Gianluca
Galimberti (Partito Democratico – Cittadini per passione –
Cremona attiva – Fare nuova la città – Patto civico per
Cremona – Sinistra per Cremona), Ferruccio Giovetti (La cura
per Cremona), Carlo Malvezzi (Forza Italia – Fratelli d’Italia
– Lega lombarda Salvini – Viva Cremona), Luca Nolli (Movimento
5 stelle) e Diego Ratti (Casa Pound). Assente Alberto Madoglio
(Alternativa Comunista).

La serata, moderata dal giornalista cremonese Riccardo
Mancabelli, è stata introdotto da Gabriele Panena che, a nome
nell’Equipe di coordinamento zonale per l’area “Nel mondo, con
lo stile del servizio”, ha precisato le motivazioni della
serata, sottolineando le aspettative della comunità cristiana
cremonese, al di là degli schieramenti politici.

Si è quindi entrati nel vivo dell’incontro con la prima
tematica in esame, mettendo al centro la persona. E di
conseguenza anche la famiglia, nei confronti della quale i
candidati   hanno espresso differenti concezioni. Tra      le
questioni   affrontate anche quella dell’immigrazione      e,
soprattutto, dell’integrazione. E anche qui i distinguo non
sono mancati.

Il secondo spunto è stato offerto dalla consapevolezza che una
città deve essere a misura d’uomo. Sul tavolo gli aspetti
urbanistici con mobilità e trasporti pubblici. E qui le
visioni sono state anche molto differenti, in particolare per
quanto riguarda le realizzazioni di nuove arterie (per alcuni
strategiche per altri inutili). Auto e bici in città altra
questione al centro del dibattito.

Terzo e ultimo aspetto guardando ai giovani, con università,
lavoro e cultura come parole d’ordine per immaginare un futuro
che possa avere come parola d’ordine “sviluppo”.

A chiudere la serata, seguita con interesse anche attraverso
il servizio streaming del nostro portale e i canali social
della Diocesi, è stato ancora Gabriele Panena che ha auspicato
che l’interesse e la partecipazione che i cremonesi stanno
dimostrando non si esaurisca con la campagna elettorale.

                  Photogallery della serata

La campagna LEV per il 32°
Salone Internazionale del
Libro di Torino
Cinque brevi video clip sul lavoro della Libreria Editrice
Vaticana (LEV). La prima rappresenta il ‘chi siamo’ in poco
più di un minuto; le altre, con un piglio più giocoso, ruotano
attorno al viaggio di un monopattino elettrico alla scoperta
del ciclo produttivo e dei luoghi chiave all’interno e
all’esterno del territorio vaticano. Tutto ciò nel quadro
della #SociaLEV, la campagna informativa varata in vista del
32° Salone Internazionale del Libro di Torino in calendario
dal 9 al 13 maggio prossimi.

‘Credere è comunicare’

Nell’occasione la LEV mostrerà le ultime novità editoriali e
presenterà il catalogo 2018-2019 animato dal claim ‘Credere è
comunicare’. Spicca il giallo della copertina, il colore del
nuovo logo LEV realizzato in sintonia con gli altri marchi
rappresentativi della riforma dei media vaticani voluta da
Papa Francesco. A risaltare anche il formato dell’opuscolo, il
cosiddetto ‘A4’ tipico del book fotografico, nonché la veste
grafica utilizzata nelle pagine interne dove si passano in
rassegna le copertine delle varie pubblicazioni.

Il piano editoriale

Il catalogo costituisce lo specchio della nuova linea
editoriale della LEV. In particolare è suddiviso in 4 sezioni
– Papa, Vaticano, Chiesa e Mondo – che sono le stesse
utilizzate da Vatican News, il portale informativo del
Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede. “Una scelta
molto intuitiva e funzionale per la fruizione”, precisa il
responsabile editoriale dell’Editrice fra Giulio Cesareo,
OFMConv. “In questo modo – aggiunge – il lettore può essere
agilmente guidato all’interno della nostra produzione
libraria”.

Il concept dello stand

La LEV sarà presente al Salone Internazionale del Libro di
Torino assieme alle Edizioni Musei Vaticani attraverso uno
stand congiunto ideato da Sabina Antonini, Alessandra Coppa e
Andrea Lancellotti (Pad. 2 K14-L13). Uno spazio in linea con
il tema dell’appuntamento ‘Il gioco del mondo’, tratto dal
titolo del libro di Julio Cortá z ar che auspica una cultura
senza barriere ne
                ́ linee divisorie, capace di saltare i confini
e frantumare i muri.

L’apertura

La pavimentazione dello stand riporta un inserto ispirato al
‘gioco della campana’. Il riquadro di partenza, disegnato con
un gessetto, è la ‘terra’; la casella di arrivo è chiamata
invece ‘cielo’. È ed è proprio fra cielo e terra che si
articola la visione dell’editoria vaticana, attraverso la
forza della parola e della spiritualità dell’arte per fare da
ponte tra i diversi saperi. La spazialità è aperta e presenta
pareti e librerie curve. L’obiettivo, infatti, è quello di
esemplificare il concetto di dinamismo, di permeabilità, di
accoglienza e di scambio di idee.

Amerigo Vecchiarelli nuovo
direttore dell’AgenSir
La Presidenza della Cei ha nominato Vincenzo Corrado (in foto
a destra), finora direttore dell’Agenzia Sir, vice-direttore
dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della
Conferenza Episcopale Italiana. Contestualmente il Cda del Sir
ha nominato nuovo direttore dell’Agenzia Amerigo Vecchiarelli
(in foto a sinistra), finora caporedattore centrale di Tv2000.

Il disegno complessivo, con la regia della Segreteria Generale
e nello specifico dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni
sociali, punta a sviluppare una sempre maggiore convergenza e
interattività tra le diverse testate che fanno capo alla
Chiesa italiana. A Corrado e Vecchiarelli vanno gli auguri di
buon lavoro da parte di tutta la Presidenza della Cei.

Vincenzo Corrado, nato a Maglie (LE) nel 1976, è direttore
dell’Agenzia Sir dal 2017. Sposato e padre di tre figlie, per
il Sir ha curato negli ultimi quindici anni le relazioni con i
settimanali cattolici della Fisc, mantenendo rapporti
quotidiani con tutto il territorio italiano. Esperto di
questioni ecclesiali, ha seguito gli ultimi sviluppi della
vita della Chiesa italiana e universale.

Amerigo Vecchiarelli, nato a Roma nel 1961, finora ha
ricoperto il ruolo di caporedattore centrale per i servizi di
informazione del Tg2000. Sposato e padre di due figli, è stato
redattore dell’Agenzia giornalistica News Press e caposervizio
del Tg2000. Nel corso della sua vita professionale ha lavorato
anche con Radio Vaticana e la Rai.

Papa: Madre Teresa ci aiuti
ad essere attenti al grido
dei poveri
Uno dei momenti clou di questa tappa di un giorno nella
Macedonia del Nord, è proprio la visita al Memoriale di Madre
Teresa, a Skopje, città natale della Santa, figura di
riferimento, assieme a San Giovanni XXIII, di questo 29.mo
viaggio apostolico. Si tratta di una costruzione moderna,
inaugurata nel 2009, che ospita un piccolo museo con foto,
oggetti e alcune reliquie di Madre Teresa. La prima parte di
questa tappa è scandita dalla preghiera: prima in silenzio
davanti alla statua della Santa, poi nella cappella della
struttura, dove sono riuniti i leader delle comunità religiose
del Paese e due cugini di Madre Teresa, oltre alla Madre
Superiora e alle tre suore, il Papa rivolge la sua Preghiera
in onore di Madre Teresa. Sull’altare sono esposte una
reliquia della Santa, alcuni suoi oggetti personali e cinque
candele a rappresentare proprio le confessioni religiose. Gli
esponenti religiosi che partecipano all’evento sono: per la
Chiesa ortodossa macedone locale il metropolita di Skopje
Stefano, per la comunità islamica l’ulema Sulejman Rexhepi,
per la Chiesa evangelica metodista, il pastore Michail Cekov,
per la comunità ebraica, Berta Romano Nikolic, secondo
informazioni della Chiesa locale. E non è probabilmente un
caso che questa visita avvenga alla presenza dei leader
religiosi: questa piccola donna, che si è chinata verso gli
ultimi fra gli ultimi, è stata amata da persone anche di
diverse fedi, culture, tradizioni.

Ha dissetato la sete di Gesù sulla croce

Nella Preghiera in onore di Madre Teresa, canonizzata da lui
nel 2016, il Papa ringrazia il Signore per il dono della sua
vita e del suo carisma, per la sua testimonianza dell’amore di
Dio fra i più poveri dell’India e del mondo. Lei ha
riconosciuto in ogni uomo e donna “il volto del tuo Figlio”,
dice il Papa, ed è diventata “la voce orante dei poveri e di
tutti coloro che hanno fame e sete di giustizia”: “Accogliendo
il grido di Gesù dalla croce, «Ho sete», Madre Teresa ha
dissetato la sete di Gesù sulla croce, compiendo le opere
dell’amore misericordioso”.

Come Madre Teresa segno d’amore

Sul luogo dove oggi sorge questa casa-memoriale, vi era prima
la Chiesa del Sacro Cuore di Gesù, distrutta da un terremoto
nel 1963. Qui venne battezzata Madre Teresa e vi era solita
andare a pregare. Qui sentì anche la chiamata di Gesù a
seguirlo come religiosa nelle missioni, ricorda ancora Papa
Francesco nella Preghiera. Proprio da qui, dunque, il Papa
leva la sua invocazione perché Santa Madre Teresa interceda
presso Gesù “affinché anche noi otteniamo la grazia di essere
vigili e attenti al grido dei poveri, di coloro che sono
privati dai loro diritti, degli ammalati, degli emarginati,
degli ultimi”. La sua preghiera è di poter vedere Gesù negli
occhi di ha bisogno di noi e avere un cuore per riconoscerlo
“in coloro che sono afflitti da sofferenze e ingiustizie”.

Ci conceda la grazia di essere anche noi segno di amore e di
speranza nel nostro tempo, che vede tanti bisognosi,
abbandonati, emarginati ed emigranti. Faccia sì che il nostro
amore non sia solo a parole, ma sia efficace e vero, perché
possiamo rendere una testimonianza credibile alla Chiesa che
ha il dovere di predicare il Vangelo ai poveri, la liberazione
ai prigionieri, la gioia agli afflitti, la grazia della
salvezza a tutti.

“Santa Madre Teresa prega per questa città – conclude il Papa
– per questo popolo, per la sua Chiesa e per tutti coloro che
vogliono seguire Cristo come discepoli di lui, Buon Pastore”,
compiendo opere d’amore e di servizio, “come lui che è venuto
non per essere servito, ma per servire e donare la vita per
tanti”.

L’incontro con i poveri e la benedizione della prima pietra
del Santuario di Madre Teresa

Al termine, nel cortile, il Papa incontra circa 100 poveri
assistiti dalle Suore Missionarie della Carità, Ordine fondato
da Madre Teresa. La Superiora della comunità locale, suor
Tecla, gli rivolge un saluto: “siamo fra i più poveri dei
poveri” e, ricorda, “come diceva Madre Teresa di Calcutta: ‘i
poveri sono grandi persone’”; “siamo diversi l’uno dall’altro”
per nazionalità, lingua, religione, con esperienze dolorose e
sconvolgenti ma uniti nella speranza. Molto toccante è anche
la testimonianza di Sonja, una donna assistita dalle suore,
che parla davanti al Papa tenendo per mano la sua bimba.
Ragazza madre, sperava in una famiglia ma, assieme a sua
figlia di tre anni, si è ritrovata letteralmente buttata sulla
strada. Dalla sua esperienza traspare il dolore ma anche la
sua riconoscenza per aver incontrato quelle suore che –
racconta    –   non    hanno   guardato     alla   diversità
dell’appartenenza, poiché lei è cristiana della Chiesa
ortodossa, e hanno accolto lei e la figlia. “Quando ho dovuto
decidere se dare alla luce mia figlia o abortire”, afferma,
“io ho scelto la vita perché sentivo, sapevo che il Signore è
qui con noi, che Lui non ci lascerà mai”. Parole toccanti
perché rendono visibile il frutto decisivo di tante vite
donate per amore così come emerge anche dagli sguardi dei
poveri presenti all’incontro, che il Papa, alla fine, si ferma
a salutare.
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