Nuove norme per tutta la Chiesa contro chi abusa o copre - Diocesi di Cremona
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Nuove norme per tutta la Chiesa contro chi abusa o copre «Vos estis lux mundi, Voi siete la luce del mondo … Nostro Signore Gesù Cristo chiama ogni fedele ad essere esempio luminoso di virtù, integrità e santità». Prese dal Vangelo di Matteo sono il titolo e le prime parole del nuovo Motu proprio di Francesco dedicato alla lotta agli abusi sessuali commessi da chierici e religiosi, nonché alle azioni o alle omissioni dei vescovi e dei superiori religiosi «dirette a interferire o eludere» le indagini sugli abusi. Il Papa ricorda che i «crimini di abuso sessuale offendono Nostro Signore, causano danni fisici, psicologici e spirituali alle vittime e ledono la comunità dei fedeli», e menziona la particolare responsabilità che hanno i successori degli apostoli nel prevenire questi reati. Il documento rappresenta un ulteriore frutto dell’incontro sulla protezione dei minori tenutosi in Vaticano nel febbraio 2019. Stabilisce nuove norme procedurali per combattere gli abusi sessuali e assicurare che vescovi e superiori religiosi rendano conto del loro operato. È una normativa universale, che si applica all’intera Chiesa cattolica. Uno “sportello” per le denunce in ogni diocesi Tra le novità previste c’è l’obbligo, per tutte le diocesi del mondo di dotarsi entro giugno 2020 di «uno o più sistemi stabili e facilmente accessibili al pubblico per presentare segnalazioni» riguardanti gli abusi sessuali commessi da chierici e religiosi, l’uso di materiale pedopornografico e la copertura degli stessi abusi. La normativa non specifica in che cosa consistano questi «sistemi», per lasciare alle diocesi la scelta operativa, che potrà essere diversa a seconda delle diverse culture e condizioni locali. Ciò che si
vuole è che le persone che hanno sofferto abusi possano ricorrere alla Chiesa locale sicure di essere ben accolte, certe che saranno protette da ritorsioni e che le loro segnalazioni saranno trattate con la massima serietà. L’obbligo di segnalazione Un’altra novità riguarda l’obbligo per tutti i chierici, i religiosi e le religiose di «segnalare tempestivamente» all’autorità ecclesiastica tutte le notizie di abusi di cui vengano a conoscenza come pure le eventuali omissioni e coperture nella gestione dei casi di abusi. Se fino ad oggi quest’obbligo riguardava, in un certo senso, soltanto la coscienza individuale, d’ora in poi diviene un precetto legale stabilito universalmente. L’obbligo in quanto tale viene sancito soltanto per i chierici e i religiosi, ma anche tutti i laici possono, e sono incoraggiati a utilizzare il sistema per segnalare abusi e molestie alla competente autorità ecclesiastica. Non solo abusi su minori Il documento comprende non soltanto le molestie e le violenze sui minori e degli adulti vulnerabili ma riguarda anche la violenza sessuale e le molestie conseguenti all’abuso di autorità. Questo obbligo include anche qualsiasi caso di violenza sulle religiose da parte di chierici, come pure il caso delle molestie a seminaristi o novizi maggiorenni. Le “coperture” Tra gli elementi di maggiore rilievo c’è poi l’individuazione, come categoria specifica, della cosiddetta condotta di copertura, consistente in «in azioni od omissioni dirette a interferire o ad eludere le indagini civili o le indagini canoniche, amministrative o penali, nei confronti di un chierico o di un religioso in merito ai delitti» di abuso sessuale. Si tratta di coloro che, investiti di posizioni di particolare responsabilità nella Chiesa, invece di perseguire
gli abusi commessi da altri, li hanno nascosti, proteggendo il presunto reo invece di tutelare le vittime. La tutela delle persone vulnerabili Vos estis lux mundi pone l’accento sull’importanza di tutelare i minori (persone con meno di 18 anni) e le persone vulnerabili. Viene infatti ampliata la nozione di “persona vulnerabile”, non più ristretta alle sole persone che non hanno “l’uso abituale” della ragione, fino a comprendere anche i casi occasionali e transitori di incapacità di intendere e di volere, nonché le disabilità di ordine fisico. In questo il nuovo Motu proprio fa eco alla recente Legge vaticana (n. CCXCVII del 26 marzo 2019). Il rispetto delle leggi degli Stati L’obbligo di segnalazione all’ordinario del luogo o al superiore religioso, non interferisce né modifica qualsiasi altro obbligo di denuncia eventualmente esistente nelle leggi dei rispettivi Paesi: le norme infatti «si applicano senza pregiudizio dei diritti e degli obblighi stabiliti in ogni luogo dalle leggi statali, particolarmente quelli riguardanti obblighi di segnalazione alle autorità civili competenti». Tutela di chi denuncia e per le vittime Significativi anche i paragrafi dedicati a tutelare chi si fa avanti per fare la segnalazione. Coloro che riferiscono notizie di abusi, secondo quanto previsto dal Motu proprio, non possono infatti essere sottoposti a «pregiudizi, ritorsioni o discriminazioni» a motivo di quanto hanno segnalato. Un’attenzione anche al problema delle vittime che in passato sono state ridotte al silenzio: queste norme universali prevedono che «non può essere» loro «imposto alcun vincolo di silenzio riguardo al contenuto» della segnalazione. Ovviamente il segreto confessionale rimane assoluto e inviolabile e dunque non viene in alcun modo toccato da questa normativa. Vos estis lux mundi stabilisce inoltre che le
vittime e le loro famiglie devono essere trattate con dignità e rispetto e devono ricevere un’appropriata assistenza spirituale, medica e psicologica. Le indagini a carico dei vescovi Il Motu proprio disciplina le indagini a carico dei vescovi, dei cardinali, dei superiori religiosi e di quanti abbiano a vario titolo e anche solo temporaneamente, la guida di una diocesi o di un’altra Chiesa particolare. Questa disciplina sarà da osservare non solo se queste persone sono indagate per abusi sessuali compiuti direttamente, ma anche quando vengono denunciati di avere «coperto» o di non avere voluto perseguire abusi di cui sono venuti a conoscenza, e che spettava loro contrastare. Il ruolo del metropolita Significativa la novità riguardante il coinvolgimento nell’investigazione previa dell’arcivescovo metropolita, che riceve dalla Santa Sede il mandato per investigare nel caso che la persona denunciata sia un vescovo. Il suo ruolo, tradizionale nella Chiesa, ne esce rafforzato e attesta la volontà di valorizzare le risorse locali anche per le questioni riguardanti le indagini sui vescovi. Colui che è incaricato di investigare dopo trenta giorni trasmette alla Santa Sede «un’informativa sullo stato delle indagini», che «devono essere concluse entro il termine di novanta giorni» (sono possibili proroghe per «giusti motivi»). Ciò stabilisce tempi certi e per la prima volta viene richiesto che i Dicasteri interessati agiscano con tempestività. Coinvolgimento dei laici Citando l’articolo del Codice canonico che sottolinea il prezioso contributo dei laici, le norme del Motu proprio prevedono che il metropolita, nel condurre le indagini, possa avvalersi dell’aiuto di «persone qualificate», secondo «la necessità del caso e, in particolare, tenendo conto della
cooperazione che può essere offerta dai laici». Il Papa ha affermato più volte che le specializzazioni e le capacità professionali dei laici rappresentano una risorsa importante per la Chiesa. Le norme prevedono ora che le conferenze episcopali e le diocesi possano preparare liste di persone qualificate disponibili a collaborare, ma la responsabilità ultima sulle indagini rimane affidata al metropolita. Presunzione di innocenza Viene ribadito il principio della presunzione di innocenza della persona indagata, che sarà avvisata dell’esistenza dell’investigazione stessa quando ciò sia richiesto dal Dicastero competente. L’accusa deve infatti essere notificata obbligatoriamente solo in presenza dell’apertura di un procedimento formale e, se ritenuto opportuno per assicurare l’integrità dell’indagine o delle prove, può essere omessa nella fase preliminare. Conclusione dell’indagine Il Motu proprio non apporta modifiche alle pene previste per i delitti ma stabilisce la procedura per fare la segnalazione e svolgere l’indagine previa. A conclusione dell’indagine il metropolita (o in determinati casi il vescovo della diocesi suffraganea con maggiore anzianità di nomina) inoltra le risultanze al Dicastero vaticano competente e cessa così il suo compito. Il Dicastero competente procede quindi «a norma del diritto secondo quanto previsto per il caso specifico», agendo dunque sulla base delle norme canoniche già esistenti. Sulla base delle risultanze dell’investigazione previa, la Santa Sede può immediatamente imporre delle misure preventive e restrittive alla persona indagata. Impegno concreto Con questo nuovo strumento giuridico voluto da Francesco, la Chiesa cattolica compie un nuovo e incisivo passo nella prevenzione e contrasto degli abusi che mette l’enfasi sulle
azioni concrete. Come scrive il Papa all’inizio del documento: «Affinché tali fenomeni, in tutte le loro forme, non avvengano più, serve una conversione continua e profonda dei cuori, attestata da azioni concrete ed efficaci che coinvolgano tutti nella Chiesa». Il vescovo di Lugano Valerio Lazzeri il 13 maggio al Santuario di Ariadello È prossimo l’appuntamento con la tradizionale sagra di Ariadello, il santuario mariano a cui sono particolarmente devoti i soresinesi. È di fronte all’immagine della Madonna di Ariadello che, nei secoli, fin dalla fine del lontano 1600, i soresinesi hanno rivolto preghiere di suppliche contro la peste, le carestie, le malattie per ottenere una grazia. A distanza di secoli, di fronte alla stessa immagine, la devozione continua e trova il suo culmine la seconda domenica di maggio e il lunedì seguente. Dunque domenica 12 maggio, in occasione della sagra della Beata Vergine di Ariadello, il santuario sarà aperto e saranno celebrate Messe alle 7, alle 9, alle 11 e alle 17.30. Alle 16 è fissata l’ora mariana. Lunedì 11 maggio, giorno del “feren” particolarmente sentito e molto frequentato, la Messa solenne al Santuario sarà celebrata dal vescovo di Lugano mons. Valerio Lazzeri, che raggiungerà il Santuario in carrozza, lunga la via campestre che congiunge la città ad Ariadello. Dopo un breve momento di accoglienza, alle 18 sarà celebrata la Messa. Le iniziative della sagra tuttavia partiranno già da venerdì
10 maggio con la Messa per i defunti dell’Azione Cattolica. Sabato 11 maggio invece, alle 21, sarà recitato il Rosario, cui seguirà l’adorazione eucaristica. Chiude il programma della sagra la Messa, alle 18, martedì 14 maggio in ricordo dei benefattori defunti del Santuario. Durante tutti i giorni della sagra funzioneranno a pieno ritmo i punti di ristoro organizzati presso il santuario, le giostre e le bancarelle tipiche di una fiera. Nel corso dei secoli, infatti, sacro e profano si sono fusi in un’unica gioiosa tradizione. Annalisa Tondini Il miracolo di Ariadello tra realtà e tradizione
Lo storico locale Roberto Cabrini prima e il Gruppo culturale San Siro (sotto la guida della responsabile Adele Emilia Cominetti) poi, hanno raccolto notizie sulla storia del Santuario di Ariadello, partendo dal miracolo a cui seguì la costruzione come ringraziamento alla Madonna, garantendo così una ricca documentazione. La storia di Ariadello, del miracolo e della costruzione del Santuario sono indissolubilmente legate alla storia della famiglia Barbò, signori di Soresina. Alla fine del sec. XVI, i campi intorno ad Ariadello furono acquistati da Camillo Barbò, capostipite del casato C, già signore di Soresina dal 1578, ma per parlare delle vicende legate alla costruzione del Santuario, bisogna attendere l’epoca del nipote di Camillo, cioè Giovanni Battista Barbò, II marchese di Soresina, figlio di Ludovico, I marchese di Soresina. Giovanni Battista Barbò (1604-1664), feudatario dal 1629, nonostante la carriera di “mastro di campo”, le ricchezze ed i dieci figli, pare avesse il cruccio di una bimba sordomuta dalla nascita, la quartogenita Teresa Gertrude. Secondo la tradizione popolare (su questo aspetto i documenti d’archivio non aiutano), un giorno di maggio (anno imprecisato) la famiglia Barbò avrebbe sostato in contrada Ariadello, in un campo con dei ruderi. Su una parete di quei ruderi, protetta da un portico, era dipinta una Madonna col Bambino che era meta di devozione per i contadini del luogo ed i pellegrini. Si diceva, infatti, che la “Madonna del portico di Ariadello” ascoltasse le suppliche degli oranti e facesse
grazie. Ebbene, mentre la famiglia Barbò si trovava in preghiera davanti all’immagine della Madonna, la piccola Teresa Gertrude si allontanò dal gruppo per cogliere alcuni fiori di campo. Tornando, la bambina si avvicinò alla marchesa madre e avrebbe detto: . L’evento sarebbe stato subito attribuito all’intervento miracoloso della Madonna e la notizia dell’evento prodigioso si diffuse rapidamente. L’allora vescovo di Cremona, Francesco Visconti, per timore del diffondersi della superstizione e del fanatismo, ordinò che l’immagine della Madonna del portico di Ariadello fosse protetta da un tavolato di legno e il portico recintato. Nonostante l’ordine del Vescovo di Cremona, la devozione alla Madonna di Ariadello non diminuì, ma l’autorità ecclesiastica indugiò diversi anni prima di approvare il culto della Madonna di Ariadello e permettere ai soresinesi di costruire sul luogo del miracolo un santuario mariano. La costruzione del Santuario di Ariadello A distanza di un secolo dalla chiusura del Concilio di Trento, la chiesa cattolica aveva reagito al rifiuto protestante della devozione mariana e delle sacre immagini incrementando il numero dei luoghi sacri, promuovendo la trasformazione di primitive e semplici cappelle in veri e propri santuari. Specialmente in Lombardia, si era data attuazione al progetto riformatore di San Carlo Borromeo che prevedeva la sacralizzazione del territorio con una serie di luoghi di culto maggiori e minori. E così, anche la santella di Ariadello divenne santuario con la costruzione della chiesa. Il 26 settembre 1663, il capitano Pietro Maria Barbò, fratello del marchese Giovanni Battista, istituì un “beneficio
semplice” per l’altare maggiore della costruenda chiesa, dotandola di un notevole patrimonio terriero. Altre offerte seguirono generose, in denaro, in natura, in prestazioni d’opera. L’11 maggio 1664 fu posta la prima pietra dal parroco di Soresina, don Orazio Malossi. Don Bonifacio Cigoli riferisce (da consultazione di un piccolo libro di memorie allora esistente nell’Ufficio Comunale) che la fabbrica del Santuario era stata affidata al mastro muratore Gian Maria con l’assistenza del Sacerdote don Angelo Ferrari. Sorgeva così il santuario mariano più caro della nostra zona, secondo in ordine cronologico (il primo è Santa Maria del Cingaro, detto “la Madonnina”, nato come oratorio extraurbano dopo la peste del 1630), ma senz’altro il primo nella devozione religiosa e nella tradizione popolare. Il 30 maggio 1666, lo stesso parroco benediceva la nuova chiesa dove, sull’altare maggiore, veniva trasportato il lacerto di muro con l’affresco della Madonna. Nel settembre 1670, fu costruito un portico vicino alla chiesa per i pellegrini e nel 1674 i Deputati della Comunità di Soresina donarono al santuario il terreno sul quale fu edificata la casa del sagrestano – eremita con i locali atti ad ospitare il clero impegnato nelle celebrazioni di culto. I beni cospicui, tra cui la grande cascina Le Valli a Castelleone, provenienti da lasciti o da offerte, erano amministrati dai Reggenti del Santuario della Beata Vergine di Ariadello, uno dei tre pii sodalizi che si erano formati a Soresina nel secolo XVII (in aggiunta alle undici confraternite) per amministrare i beni mobili ed immobili donati da benefattori ormai defunti. Dipendeva dai Reggenti, anche se patentato dalla Curia vescovile di Cremona, l’eremita che aveva cura del luogo sacro e aveva la facoltà di indossare la veste talare nera che il
parroco gli aveva imposta durante la cerimonia della vestizione. Negli ultimi decenni del ‘600, la cura spirituale del santuario fu affidata ai Minori Osservanti del convento soresinese sito in Contrada degli Argini (ora Via Cairoli). Il Santuario ha la facciata volta verso mezzogiorno, di ordine ionico, ed un campanile. Dal 1950 suona una nuova campana dedicata all’Assunta dopo che la campana originale, fusa nel 1865, era stata requisita per ragioni belliche nel 1942. L’interno di architettura molto semplice è di ordine toscano, a navata unica, ma i due altari laterali sfondano un poco, abbozzando una croce latina. Sulle lesene decorate in finto marmo delle pareti sono infissi portaceri lignei che sono stati rifatti recentemente su modello degli originali, purtroppo rubati. La prima decorazione risale al 1880, quando i decoratori Zanni, padre e figlio, ornarono la chiesa con opere in stucco: rosoni nella volta e cornicione di finto marmo di Carrara. Altri interventi, compiuti dal signor Allodi di Cremona, furono realizzati per volontà di don Giacomo Olzi che, negli anni della sua parrocchialità (1895 – 1914), ebbe a cuore la bellezza artistica dei luoghi sacri soresinesi e portò a compimento, nel 1902 – 1904, la decorazione pittorica della volta di San Siro con l’opera degli artisti bergamaschi Domenighini e Riva. Dal 1909, furono fatte le decorazioni in stucco del presbiterio e nel 1912 tutta la chiesa fu rimessa a nuovo, come si legge nel numero unico del Bollettino Parrocchiale del 12 settembre 1912. La chiesa, a sinistra, ospita la cappella dedicata alla Visitazione di Maria a Santa Elisabetta. Già il 1° settembre 1667, la nobildonna Elisabetta Cattaneo Barbò, senza figli e vedova del capitano Pietro Maria (fratello del marchese Giovanni Battista), dotava di “beneficio semplice’ questo altare con un notevole patrimonio terriero per assicurare suffragi al defunto marito. Nella pala d’altare, accanto alla scena religiosa della “Visitazione”, è dipinto il ritratto del
nobile Pietro Maria con lo stemma araldico della sua casata. Nella cappella laterale di destra, invece, è collocato l’altare di San Fermo. Il presbiterio, che in origine era separato da una balaustra in marmo di vari colori, ha avuto una nuova sistemazione nel maggio 1986 quando vennero compiuti anche altri lavori di abbellimento come il restauro delle vetrate. Nell’altare maggiore, l’ancona barocca, con fastigio adorno di statue e colonne tortili in coppia ai lati, racchiude l’affresco antico del miracolo. Ancona e altare sono opere pregevoli in scagliola modellata secondo una tecnica ormai desueta. Bellissimo il paliotto che imita la tarsia marmorea. Il santuario ospita alcune tele votive, tutte di pittore anonimo, datate intorno alla seconda metà del XVII secolo. Nelle tele si riconoscono San Gerolamo, San Nicola di Bari, San Francesco e Sant’Antonio. La tela più significativa è quella che, secondo la tradizione, vuole rappresentati i protagonisti del miracolo, ma la loro individuazione non è sicura. L’ipotesi già di don Cigoli (1880), ripresa da don Boni (1928) sembra ricondurre a Giovanni Battista, II marchese di Soresina con la moglie Eleonora Sfondrati e la quartogenita Teresa Gertrude, la miracolata. Un’altra ipotesi parla della figlia del capitano Pietro Maria Barbò. Altre ipotesi sono state avanzate dal prof. Roberto Cabrini, soresinese, studioso di storia locale: la prima individua nei personaggi Teresa Gertrude Barbò, già adulta, il marito marchese Baldassarre Castigliani di Mantova con la figlia Collatina, ritornati ad Ariadello dopo parecchi anni per onorare la Madonna. Un’altra, quasi imposta dall’esame dei tratti somatici del personaggio maschile e suggerita anche da alcuni raffronti cronologici, individua nella miracolata Costanza Barbò, figlia di Giuseppe Maria e di Elisabetta, del ramo B del casato, parenti dei marchesi Barbò di Soresina e ivi abitanti. Indipendentemente
dalle teorie, la tela si può considerare il più significativo ex voto del Santuario.
Viadana: giovedì sera commedia con i Natistanki I Natistanki, gruppo teatrale dell’oratorio viadanese del Castello, tornano in scena. Appuntamento giovedì 16 maggio alle ore 21 al Teatro Vittoria di Viadana (ingresso offerta libera): in scena “Che succede a Villa Rochester?”, commedia brillante in tre atti. La pièce si svolge in una sinistra villa vittoriana popolata da fantasmi e da persone che affermano di averli visti: sarà insomma una serata all’insegna dei brividi e del divertimento. I Natistanki – attivi ormai da una decina d’anni, al ritmo di
una nuova produzione l’anno – si sono costituiti in seno all’oratorio con l’obiettivo di creare opportunità di socializzazione, di impegno creativo e di divertimento per i giovani dell’età post-diploma. Locandina dello spettacolo Festa dell’Europa: gli auguri dei giovani, “vogliamo essere insieme e uniti” “Auguro all’Europa di ritrovare se stessa. Abbiamo bisogno di un’Europa forte, vogliamo essere insieme, vogliamo essere uniti e amiamo l’Europa. Europa trova te stessa e sii più europea”. “Auguro all’Europa di essere capace di includere le nuove persone che arrivano in Europa, accogliendole bene, anche sul piano umanitario”. “Auguro per il futuro dell’Europa che agisca di più a livello locale, vicino alle persone, dia loro sostegno, alla base, così che sappiano di che cosa si tratta e che cosa è veramente”. Sono alcuni degli auguri raccolti in un video del Sir espressi da giovani europei per la Festa dell’Europa (9 maggio) a ricordo di quel 9 maggio 1950 in cui Robert Schuman presentò la Dichiarazione che, definendo il piano di cooperazione economica tra Francia e Germania, dava il via al processo d’integrazione europea. Le parole di giovani dalla Francia, Ungheria, Romania, Germania, Italia, Gran Bretagna, Croazia, Austria, danno voce al desiderio che quel processo continui a crescere: gli auguri vanno nel senso di un’Europa più solidale, più aperta, più umana, più forte, più tollerante, più grande, “capace di abbracciare la diversità” delle persone che la abitano.
“L’Europa è il posto migliore in cui vivere, il posto più ricco di cultura e tradizioni, qualcosa che tutti gli altri si stanno sforzando di copiare per essere simili a noi”, dice Mattia dalla Croazia. “Auguro all’Europa di riuscire ad arrivare nei bassi di tutti i sud che esistono in questa Europa, dove ci sono ragazzi che hanno minori opportunità”, aggiunge Marco Riccio da Napoli. “Auguro che ci sia una alta affluenza alle urne e si voti bene”, ribadisce un giovane dall’Ungheria. “Che il motto dell’Europa uniti nella diversità sia un motto reale, attraverso il quale non solo riconoscerci, ma anche agire concretamente nei nostri territori, comunità, progetti che portiamo avanti”, è il desiderio di Giusy da Salerno, che augura “buona Europa a tutti e a chi si impegna ogni giorno per portare avanti progetti concreti”. A Guzzetti e Rebecchi la “Medaglia d’oro Città di Cremona” La Giunta comunale di Cremona ha espresso parere favorevole unanime in merito alla candidatura per l’assegnazione del riconoscimento “Medaglia d’oro Città di Cremona” a “Renzo Rebecchi (in foto a destra) e Giuseppe Guzzetti (in foto a sinistra), rispettivamente presidenti di Fondazione Comunitaria della provincia di Cremona e Fondazione Cariplo per meriti straordinari: 13 milioni di euro dalla Fondazione di Comunità e 30 da Cariplo per finanziare progetti realizzati nel territorio. La proposta al sindaco porta la firma della Fondazione Arvedi Buschini, con la sottoscrizione e condivisione dell’iniziativa da parte della Diocesi di
Cremona, Fondazione “Città di Cremona”, Cooperativa “Agropolis”, Fondazione Teatro Ponchielli, Fondazione Museo del Violino. Come prevede il regolamento, la delibera della Giunta sarà ora trasmessa all’Ufficio di Presidenza del Consiglio Comunale, che provvederà a sottoporre la concessione dell’onorificenza al voto dei Consiglieri nella prima seduta utile dopo la consultazione elettorale. La motivazione del riconoscimento ribadisce la straordinaria azione posta in essere dai due presidenti, sostenendo e promuovendo innumerevoli e importanti iniziative di carattere culturale, artistico e architettonico, formativo, sociale, assistenziale, ambientale e filantropico a favore della Comunità cremonese e dell’intera provincia nel corso di decenni. La proposta sottolinea l’ideale estensione del riconoscimento a tutti coloro che, con diverse funzioni, mansioni, incarichi hanno collaborato negli anni alla crescita ed ai risultati ottenuti dalla Fondazione di Comunità di Cremona, in primis, Maria Luisa Vespertini e, per Fondazione Cariplo, una particolare memoria a Piero Mario Vello (prematuramente scomparso nel 2014 a soli 63 anni) «Ho accolto molto favorevolmente la richiesta pervenutami dalle Istituzioni e dagli Enti che hanno proposto la concessione della “Medaglia d’oro Città di Cremona” all’avv. Giuseppe Guzzetti – Fondazione Cariplo e al dr. Renzo Rebecchi – Fondazione Comunitaria della provincia di Cremona” commenta Gianluca Galimberti, “ringrazio le realtà proponenti che, insieme alle amministrazioni succedutesi nel tempo, hanno intensamente lavorato a favore della città, anche e proprio in collaborazione con la Fondazione Cariplo e la Fondazione comunitaria. I presidenti Guzzetti e Rebecchi, in tanti anni hanno promosso idee e progetti nel nostro territorio e coerentemente li hanno sostenuti con fondi e finanziamenti. Quanti sono i cittadini che hanno goduto di questo intenso lavoro migliorando la loro vita, sviluppando potenzialità,
facendo crescere la comunità? Tantissimi e tantissime le realtà sociali, culturali, ecclesiali, civili. I premiati hanno svolto questo lavoro con competenza straordinaria e con uno stile che è un modello per tutti. È stato un grande onore pertanto accogliere la richiesta. Con riconoscenza». Il curriculum professionale di Renzo Rebecchi indica l’intensa attività svolta nel settore pubblico, in ruoli apicali ed a servizio della Comunità: Presidente della Provincia di Cremona, Segretario Generale e Direttore Generale del Comune di Cremona, solo per indicare i principali, prestigiosi ruoli. Dal 2006 al 2016, il dott. Rebecchi ha ricoperto il ruolo di presidente della Fondazione Comunitaria della Provincia di Cremona, riuscendo nel 2012 a vincere la “sfida” di Fondazione Cariplo di riuscire in dieci anni a raccogliere sul territorio provinciale un patrimonio di almeno 5.164.00 mila euro. Grazie a questo successo Fondazione Cariplo ha donato al territorio cremonese il doppio di quanto raccolto, dotando quindi la Fondazione di un patrimonio inalienabile di oltre quindici milioni di euro. I progetti sostenuti al 50% da Fondazione Comunitaria hanno permesso l’erogazione a realtà no profit della provincia di oltre 13 milioni di euro (dato 2016), che hanno attivato un circolo virtuoso pari al doppio della cifra, stimolando le contribuzioni territoriali. A ciò si assomma un significativo “indotto” riferito alle collaborazioni legate all’attuazione dei progetti. Renzo Rebecchi è stato figura fondamentale nella impostazione dei bandi basati su precise idee strategiche per lo sviluppo del territorio e per il sostegno alla qualità della progettazione stessa. Nel corrente mese, l’avv. Giuseppe Guzzetti lascerà dopo 22 anni la guida di Fondazione Cariplo. Durante il mandato del
presidente Guzzetti, l’intero territorio della provincia di Cremona ha beneficiato di interventi indiretti tramite le Fondazioni di Comunità, sia direttamente, partecipando a progetti di grande rilevanza tramite Azioni emblematiche minori e maggiori con l’assegnazione alla provincia di Cremona di circa trenta milioni di euro. Ogni anno in Lombardia sono stati realizzati mediamente più di 1000 progetti grazie ai contributi a fondo perduto distribuiti mediante bandi, erogazioni emblematiche, territoriali, istituzionali, patrocini, per un valore di circa 150 milioni di euro a stagione. Nell’aprile del 1998 la Fondazione Cariplo ha lanciato il progetto Fondazioni di Comunità con l’obiettivo di costituire su tutto il territorio di riferimento una rete di Fondazioni autonome in grado di rispondere in modo efficace e complementare ai bisogni delle comunità locali e di promuovere una cultura del dono e della partecipazione al fine di sostenere progetti di utilità sociale e di coinvolgere i cittadini nelle attività delle Fondazioni. Oggi sono 16 le Fondazioni di Comunità. Grazie al suo lavoro anche di fine giurista, la Corte Costituzionale sentenziò il ruolo e l’identità delle fondazioni di origine bancaria: “persone giuridiche private dotate di piena autonomia statutaria e gestionale” collocate a pieno titolo “tra i soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali”. Una sentenza epocale e fondamentale per il mondo delle fondazioni e della filantropia. Le fondazioni italiane e l’ammodernamento del mondo della filantropia, portano indubbiamente la firma di Giuseppe Guzzetti, la cui attività instancabile, professionale, costante e capillare ha consentito una vera e propria trasformazione, che ha permesso di intervenire e dare risposta a bisogni talvolta urgenti in diversi settori della società italiana. Nel 2016, a 25 anni dalla sua nascita, Fondazione Cariplo ha
lanciato 4 programmi intersettoriali che portano in sé i valori fondamentali della filantropia di Cariplo: innovazione, attenzione alle categorie sociali svantaggiate, opportunità per i giovani, welfare per tutti. Papa Francesco: dai Balcani una lezione per l’Europa sulle orme di due grandi santi “Un viaggio breve ma molto fitto”. Così il Papa ha definito il suo 29° viaggio apostolico, compiuto dal 5 al 7 maggio. Dalla Bulgaria, “ponte” tra l’Europa dell’est e del sud, e dalla Macedonia del Nord, “mosaico” di culture, etnie e religioni diverse abituate per tradizione ad una convivenza pacifica – in una terra che per la prima volta nella storia vede la presenza di un Pontefice – Francesco ha proposto questo angolo dei Balcani come modello di accoglienza, integrazione e fratellanza, in un continente sempre più diviso che sembra aver smarrito le sue radici cristiane. I cattolici, qui, sono un piccolo gregge, pari all’1% della popolazione: ma possono contare su due grandi santi, Giovanni XXIII e Madre Teresa, per continuare a “sognare” un futuro di pace. Europa. Bulgaria, “ponte tra l’Europa dell’Est e quella del sud”. Terra di radici cristiane e patria di Cirillo e Metodio, gli evangelizzatori a cui si devono le radici cristiane del nostro continente. Fin dalla prima tappa del suo viaggio, e dal suo primo discorso, indirizzato alle autorità, alla società civile e al Corpo diplomatico, Francesco mette il tema
dell’Europa al primo posto. Nella storica piazza Atanas Burov, vittima di un regime che non poteva accettare la libertà di pensiero, lancia un appello a far sorgere in Europa “nuovi percorsi di pace e di concordia”. Nel corrispettivo discorso, il primo dei cinque interventi pubblici a Skopje, Francesco definisce la Macedonia “ponte tra oriente e occidente e punto di confluenza di numerose correnti culturali”. Un mosaico, un “crogiuolo di culture e di appartenenze etniche e religiose” che “ha dato luogo a una pacifica e duratura convivenza, nella quale “le singole identità hanno saputo e potuto esprimersi e svilupparsi senza negare, opprimere o discriminare le altre”. Il popolo macedone e quello bulgaro sono per l’Europa “un esempio a cui fare riferimento per una convivenza serena e fraterna, nella distinzione e nel rispetto reciproco”, dice il Papa, auspicando che “tale integrazione si sviluppi positivamente per l’intera regione dei Balcani occidentali”. Migrazioni. “Non chiudere gli occhi, il cuore la mano a chi bussa alle vostre porte”. È l’appello del primo discorso in terra bulgara, la cui storia e tradizione ha sempre puntato a “favorire l’incontro tra culture, etnie, civiltà e religioni differenti, che da secoli hanno qui convissuto in pace”, l’omaggio del Papa. Lo sviluppo della Bulgaria, “integrata nell’Unione europea e dai solidi legami con Russia e Turchia”, passa anche dalla capacità di offrire ai suoi figli un futuro di speranza, creando le condizioni affinché, soprattutto i più giovani, non siano costretti ad emigrare. Anche da Skopje, nel discorso alle autorità, Francesco cita “il generoso sforzo compiuto nell’accogliere e prestare soccorso al gran numero di migranti e profughi provenienti da diversi Paesi mediorientali”, come i profughi che giungono dalla Libia, dalla Siria e dall’Iraq. “Oggi il mondo dei migranti e rifugiati è un po’ una croce dell’umanità, e la croce è tanta gente che soffre”, le parole pronunciate a braccio e rivolte alle famiglie ospitate dal Centro profughi “Vrazhdebna” nella periferia di Sofia, dove il Papa ha incontrato in privato
circa 50 persone provenienti da Siria ed Iraq. Dialogo. Il Papa che, incontrando il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa bulgara, abbraccia il patriarca Neofit e ne bacia il medaglione che ha appeso al collo. Che sosta in preghiera silenziosa davanti all’effige dei santi Cirillo e Metodio, nella cattedrale Sofia. Che incontra le diverse comunità religiose, dopo aver celebrato a Rakovsky la Messa con 245 Prime Comunioni. Sono le tre instantanee che descrivono l’urgenza del dialogo, da tradursi in “ecumenismo del povero” e in “ecumenismo della missione”, raccomanda Francesco. “Le ferite che lungo la storia si sono aperte tra noi cristiani sono lacerazioni dolorose inferte al corpo di Cristo che è la Chiesa”, e “ancora oggi ne tocchiamo con mano le conseguenze”, dice il Papa al patriarca. L’unico modo per spezzare questa spirale è quello di “non rimanere chiusi, ma di aprici, perché solo così i semi portano frutto”. “Adottare la cultura del dialogo come via, la collaborazione comune come condotta, la conoscenza reciproca come metodo e criterio”, la ricetta suggerita durante la recita del Regina Coeli. Due santi. Il “santo bulgaro” e “una grande donna”. Sono le due figure che, come aveva già spiegato Bergoglio nei videomessaggi alla vigilia della partenza, hanno ispirato il suo 29° viaggio apostolico. San Giovanni XXIII e Madre Teresa di Calcutta sono il vero “leit motiv” delle parole di Francesco, e vengono citati fin dal suo mettere piede, rispettivamente, nella terra bulgara e in quella macedone. Il “papa buono”, ricorda il Papa, “portò sempre nel cuore sentimenti di gratitudine e di profonda stima per la vostra nazione”. Visitando il Memoriale di Madre Teresa, Francesco esorta i suoi concittadini e l’intera nazione macedone a farsi, come lei, “voce dei poveri e di tutti coloro che hanno fame e sete di giustizia” e ad imparare ad essere “vigili e attenti al grido dei poveri, di coloro che sono privati dei loro diritti, degli ammalati, degli emarginati, degli ultimi”. Nella Messa a Skopje, davanti a 10mila persone – in un Paese
dove i cattolici sono 15mila – il Papa indica nei due pilastri su cui Madre Teresa ha voluto fondare la sua vita – Gesù incarnato nell’Eucaristia e Gesù incarnato nei poveri – l’antidoto ad una società in cui “ci siamo abituati a mangiare il pane duro della disinformazione, ci siamo ingozzati di connessioni e abbiamo perso il gusto della fraternità”. Incontrando i giovani, nell’ultimo appuntamento a Skopje prima del rientro a Roma, Francesco esorta a “prendere la vita sul serio” come ha fatto Madre Teresa: “Lei ha sognato in grande e per questo ha anche amato in grande”. “Sognate insieme, non da soli; con gli altri, mai contro gli altri”, il monito. A Cremona una serata in ascolto dei candidati sindaco L’obiettivo era chiaro: offrire ai cremonesi un momento di ascolto dei candidati sindaco per il Comune di Cremona, in modo da capire idee e proposte. Con questo spirito la Zona pastorale 3, in sinergia con l’Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro, giovedì 9 maggio ha organizzato una serata in vista delle elezioni. Davvero gremito per l’occasione il salone Bonomelli del Centro pastorale diocesano di Cremona. Un confronto che, volutamente, per evitare i toni accesi della campagna elettorale che a volte rischiano di risultare sterile polemica e volgare attacco all’avversario, non ha previsto dibattito e domande dal pubblico. Al centro della serata tre spunti di riflessione, riguardo ai quali ognuno dei candidati è stato chiamato a esplicitare il proprio punto di vista. Tre domande in tutto, a cui i candidati hanno risposto a turno:
tre i minuti di tempo a disposizione di ciascuno. Dei sette candidati in corsa sei hanno accettato Francesca Berardi (Cremona cambia musica), il sindaco uscente Gianluca Galimberti (Partito Democratico – Cittadini per passione – Cremona attiva – Fare nuova la città – Patto civico per Cremona – Sinistra per Cremona), Ferruccio Giovetti (La cura per Cremona), Carlo Malvezzi (Forza Italia – Fratelli d’Italia – Lega lombarda Salvini – Viva Cremona), Luca Nolli (Movimento 5 stelle) e Diego Ratti (Casa Pound). Assente Alberto Madoglio (Alternativa Comunista). La serata, moderata dal giornalista cremonese Riccardo Mancabelli, è stata introdotto da Gabriele Panena che, a nome nell’Equipe di coordinamento zonale per l’area “Nel mondo, con lo stile del servizio”, ha precisato le motivazioni della serata, sottolineando le aspettative della comunità cristiana cremonese, al di là degli schieramenti politici. Si è quindi entrati nel vivo dell’incontro con la prima tematica in esame, mettendo al centro la persona. E di conseguenza anche la famiglia, nei confronti della quale i candidati hanno espresso differenti concezioni. Tra le questioni affrontate anche quella dell’immigrazione e, soprattutto, dell’integrazione. E anche qui i distinguo non sono mancati. Il secondo spunto è stato offerto dalla consapevolezza che una città deve essere a misura d’uomo. Sul tavolo gli aspetti urbanistici con mobilità e trasporti pubblici. E qui le visioni sono state anche molto differenti, in particolare per quanto riguarda le realizzazioni di nuove arterie (per alcuni strategiche per altri inutili). Auto e bici in città altra questione al centro del dibattito. Terzo e ultimo aspetto guardando ai giovani, con università,
lavoro e cultura come parole d’ordine per immaginare un futuro che possa avere come parola d’ordine “sviluppo”. A chiudere la serata, seguita con interesse anche attraverso il servizio streaming del nostro portale e i canali social della Diocesi, è stato ancora Gabriele Panena che ha auspicato che l’interesse e la partecipazione che i cremonesi stanno dimostrando non si esaurisca con la campagna elettorale. Photogallery della serata La campagna LEV per il 32° Salone Internazionale del Libro di Torino Cinque brevi video clip sul lavoro della Libreria Editrice Vaticana (LEV). La prima rappresenta il ‘chi siamo’ in poco più di un minuto; le altre, con un piglio più giocoso, ruotano attorno al viaggio di un monopattino elettrico alla scoperta del ciclo produttivo e dei luoghi chiave all’interno e all’esterno del territorio vaticano. Tutto ciò nel quadro della #SociaLEV, la campagna informativa varata in vista del 32° Salone Internazionale del Libro di Torino in calendario dal 9 al 13 maggio prossimi. ‘Credere è comunicare’ Nell’occasione la LEV mostrerà le ultime novità editoriali e presenterà il catalogo 2018-2019 animato dal claim ‘Credere è
comunicare’. Spicca il giallo della copertina, il colore del nuovo logo LEV realizzato in sintonia con gli altri marchi rappresentativi della riforma dei media vaticani voluta da Papa Francesco. A risaltare anche il formato dell’opuscolo, il cosiddetto ‘A4’ tipico del book fotografico, nonché la veste grafica utilizzata nelle pagine interne dove si passano in rassegna le copertine delle varie pubblicazioni. Il piano editoriale Il catalogo costituisce lo specchio della nuova linea editoriale della LEV. In particolare è suddiviso in 4 sezioni – Papa, Vaticano, Chiesa e Mondo – che sono le stesse utilizzate da Vatican News, il portale informativo del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede. “Una scelta molto intuitiva e funzionale per la fruizione”, precisa il responsabile editoriale dell’Editrice fra Giulio Cesareo, OFMConv. “In questo modo – aggiunge – il lettore può essere agilmente guidato all’interno della nostra produzione libraria”. Il concept dello stand La LEV sarà presente al Salone Internazionale del Libro di Torino assieme alle Edizioni Musei Vaticani attraverso uno stand congiunto ideato da Sabina Antonini, Alessandra Coppa e Andrea Lancellotti (Pad. 2 K14-L13). Uno spazio in linea con il tema dell’appuntamento ‘Il gioco del mondo’, tratto dal titolo del libro di Julio Cortá z ar che auspica una cultura senza barriere ne ́ linee divisorie, capace di saltare i confini e frantumare i muri. L’apertura La pavimentazione dello stand riporta un inserto ispirato al ‘gioco della campana’. Il riquadro di partenza, disegnato con un gessetto, è la ‘terra’; la casella di arrivo è chiamata invece ‘cielo’. È ed è proprio fra cielo e terra che si articola la visione dell’editoria vaticana, attraverso la
forza della parola e della spiritualità dell’arte per fare da ponte tra i diversi saperi. La spazialità è aperta e presenta pareti e librerie curve. L’obiettivo, infatti, è quello di esemplificare il concetto di dinamismo, di permeabilità, di accoglienza e di scambio di idee. Amerigo Vecchiarelli nuovo direttore dell’AgenSir La Presidenza della Cei ha nominato Vincenzo Corrado (in foto a destra), finora direttore dell’Agenzia Sir, vice-direttore dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della Conferenza Episcopale Italiana. Contestualmente il Cda del Sir ha nominato nuovo direttore dell’Agenzia Amerigo Vecchiarelli (in foto a sinistra), finora caporedattore centrale di Tv2000. Il disegno complessivo, con la regia della Segreteria Generale e nello specifico dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali, punta a sviluppare una sempre maggiore convergenza e interattività tra le diverse testate che fanno capo alla Chiesa italiana. A Corrado e Vecchiarelli vanno gli auguri di buon lavoro da parte di tutta la Presidenza della Cei. Vincenzo Corrado, nato a Maglie (LE) nel 1976, è direttore dell’Agenzia Sir dal 2017. Sposato e padre di tre figlie, per il Sir ha curato negli ultimi quindici anni le relazioni con i settimanali cattolici della Fisc, mantenendo rapporti quotidiani con tutto il territorio italiano. Esperto di questioni ecclesiali, ha seguito gli ultimi sviluppi della vita della Chiesa italiana e universale. Amerigo Vecchiarelli, nato a Roma nel 1961, finora ha
ricoperto il ruolo di caporedattore centrale per i servizi di informazione del Tg2000. Sposato e padre di due figli, è stato redattore dell’Agenzia giornalistica News Press e caposervizio del Tg2000. Nel corso della sua vita professionale ha lavorato anche con Radio Vaticana e la Rai. Papa: Madre Teresa ci aiuti ad essere attenti al grido dei poveri Uno dei momenti clou di questa tappa di un giorno nella Macedonia del Nord, è proprio la visita al Memoriale di Madre Teresa, a Skopje, città natale della Santa, figura di riferimento, assieme a San Giovanni XXIII, di questo 29.mo viaggio apostolico. Si tratta di una costruzione moderna, inaugurata nel 2009, che ospita un piccolo museo con foto, oggetti e alcune reliquie di Madre Teresa. La prima parte di questa tappa è scandita dalla preghiera: prima in silenzio davanti alla statua della Santa, poi nella cappella della struttura, dove sono riuniti i leader delle comunità religiose del Paese e due cugini di Madre Teresa, oltre alla Madre Superiora e alle tre suore, il Papa rivolge la sua Preghiera in onore di Madre Teresa. Sull’altare sono esposte una reliquia della Santa, alcuni suoi oggetti personali e cinque candele a rappresentare proprio le confessioni religiose. Gli esponenti religiosi che partecipano all’evento sono: per la Chiesa ortodossa macedone locale il metropolita di Skopje Stefano, per la comunità islamica l’ulema Sulejman Rexhepi, per la Chiesa evangelica metodista, il pastore Michail Cekov, per la comunità ebraica, Berta Romano Nikolic, secondo informazioni della Chiesa locale. E non è probabilmente un
caso che questa visita avvenga alla presenza dei leader religiosi: questa piccola donna, che si è chinata verso gli ultimi fra gli ultimi, è stata amata da persone anche di diverse fedi, culture, tradizioni. Ha dissetato la sete di Gesù sulla croce Nella Preghiera in onore di Madre Teresa, canonizzata da lui nel 2016, il Papa ringrazia il Signore per il dono della sua vita e del suo carisma, per la sua testimonianza dell’amore di Dio fra i più poveri dell’India e del mondo. Lei ha riconosciuto in ogni uomo e donna “il volto del tuo Figlio”, dice il Papa, ed è diventata “la voce orante dei poveri e di tutti coloro che hanno fame e sete di giustizia”: “Accogliendo il grido di Gesù dalla croce, «Ho sete», Madre Teresa ha dissetato la sete di Gesù sulla croce, compiendo le opere dell’amore misericordioso”. Come Madre Teresa segno d’amore Sul luogo dove oggi sorge questa casa-memoriale, vi era prima la Chiesa del Sacro Cuore di Gesù, distrutta da un terremoto nel 1963. Qui venne battezzata Madre Teresa e vi era solita andare a pregare. Qui sentì anche la chiamata di Gesù a seguirlo come religiosa nelle missioni, ricorda ancora Papa Francesco nella Preghiera. Proprio da qui, dunque, il Papa leva la sua invocazione perché Santa Madre Teresa interceda presso Gesù “affinché anche noi otteniamo la grazia di essere vigili e attenti al grido dei poveri, di coloro che sono privati dai loro diritti, degli ammalati, degli emarginati, degli ultimi”. La sua preghiera è di poter vedere Gesù negli occhi di ha bisogno di noi e avere un cuore per riconoscerlo “in coloro che sono afflitti da sofferenze e ingiustizie”. Ci conceda la grazia di essere anche noi segno di amore e di speranza nel nostro tempo, che vede tanti bisognosi, abbandonati, emarginati ed emigranti. Faccia sì che il nostro amore non sia solo a parole, ma sia efficace e vero, perché
possiamo rendere una testimonianza credibile alla Chiesa che ha il dovere di predicare il Vangelo ai poveri, la liberazione ai prigionieri, la gioia agli afflitti, la grazia della salvezza a tutti. “Santa Madre Teresa prega per questa città – conclude il Papa – per questo popolo, per la sua Chiesa e per tutti coloro che vogliono seguire Cristo come discepoli di lui, Buon Pastore”, compiendo opere d’amore e di servizio, “come lui che è venuto non per essere servito, ma per servire e donare la vita per tanti”. L’incontro con i poveri e la benedizione della prima pietra del Santuario di Madre Teresa Al termine, nel cortile, il Papa incontra circa 100 poveri assistiti dalle Suore Missionarie della Carità, Ordine fondato da Madre Teresa. La Superiora della comunità locale, suor Tecla, gli rivolge un saluto: “siamo fra i più poveri dei poveri” e, ricorda, “come diceva Madre Teresa di Calcutta: ‘i poveri sono grandi persone’”; “siamo diversi l’uno dall’altro” per nazionalità, lingua, religione, con esperienze dolorose e sconvolgenti ma uniti nella speranza. Molto toccante è anche la testimonianza di Sonja, una donna assistita dalle suore, che parla davanti al Papa tenendo per mano la sua bimba. Ragazza madre, sperava in una famiglia ma, assieme a sua figlia di tre anni, si è ritrovata letteralmente buttata sulla strada. Dalla sua esperienza traspare il dolore ma anche la sua riconoscenza per aver incontrato quelle suore che – racconta – non hanno guardato alla diversità dell’appartenenza, poiché lei è cristiana della Chiesa ortodossa, e hanno accolto lei e la figlia. “Quando ho dovuto decidere se dare alla luce mia figlia o abortire”, afferma, “io ho scelto la vita perché sentivo, sapevo che il Signore è qui con noi, che Lui non ci lascerà mai”. Parole toccanti perché rendono visibile il frutto decisivo di tante vite donate per amore così come emerge anche dagli sguardi dei poveri presenti all’incontro, che il Papa, alla fine, si ferma
a salutare.
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