DOSSIER - LO ZAR E IL SULTANO - OSSERVATORIO RUSSIA 1/2020
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
DOSSIER – LO ZAR E IL SULTANO OSSERVATORIO RUSSIA – 1/2020 I rapporti tra Mosca ed Ankara dell’ultimo ventennio sono essenzialmente legati alle strategie dei rispettivi leader. È con Putin ed Erdogan che Russia e Turchia raggiungono livelli di cooperazione ed intesa mai visti prima, tra progetti, diplomazia ed infrastrutture. Negli stessi settori, tuttavia, non sono mancati scontri e picchi di tensione, rendendo molto altalenante l’andamento della relazione tra i due Paesi.
“ODI ET AMO” DOSSIER – LO ZAR E IL Mattia Baldoni SULTANO Abbattimento del Su 24M russo, restrizione OSSERVATORIO RUSSIA del regime dei visti, TurkStream, S-400.... 1/2020 Considerando questi recenti avvenimenti, ANALISI risulta chiaro come quella tra Mosca ed • Russia e Turchia, unite dall’Occidente Ankara sia una relazione Pietro Figuera altalenante. Ad interessi «Così vicine e al tempo stesso così distanti. Russia e Turchia strategici spesso differiscono per storia, cultura e società; rappresentano due condivisi (Mediterraneo, modelli contrapposti di civiltà (Europa cristiana vs Islam politico energia, diplomazia) con ambizioni di Sultanato) che per secoli si sono confrontati, corrispondono anche duramente, sui campi di battaglia; influenzano o aspirano disaccordi e distanze alla guida degli stessi territori, dal Mediterraneo all'Asia Centrale. (Siria, Asia centrale), “Continua...Pag. 4 spesso sfociate in rotture plateali. Ad ogni • Il gas e il nucleare tra Mosca ed Ankara modo, lo sviluppo di un “asse” piuttosto Mattia Baldoni malleabile è «La storia delle relazioni tra Federazione Russa e Turchia è intrinsecamente legato relativamente recente, fatta non solo della forte intesa che sia ai rispettivi vediamo, in generale, negli ultimi anni, ma anche di distanze, picchi pluridecennali leader, di tensione, gelo totale tra Mosca e Ankara. Un rapporto a corrente Putin ed Erdogan, sia alternata che, come ci indica la metafora, vede il principale slancio nello sviluppo nei rispettivi interessi nel settore energetico.» alla comune percezione Continua... PAG.8 di una centralità ritrovata, che consenta a Russia e Turchia di far • Siria - le precarie affinità russo-turche valere il proprio peso sul Alessandro Balduzzi piano regionale ed «Putin si trova quindi impigliato in un intrico di alleanze ispirate a internazionale. Tra un multipolarismo a doppio taglio: la continuazione degli attacchi prospettive dubbie e sul Nord Ovest potrebbe da una parte costituire l'ultimo - concordie oscillanti, sanguinoso - passo verso la riunificazione siriana sotto il controllo sono diverse le incognite dell'amico Assad e dall'altra dissotterrare l'ascia della guerra con sul futuro di questa l'amico-nemico turco [...]» cooperazione. Continua...Pag. 14 1
• Influenza russa vs Panturchismo: in Asia centrale la partita decisiva Giulia Baiutti «[...]se la Russia occupa una posizione di maggiore rilevanza nei settori che da sempre attraggono l'attenzione della zona – economia ed energia – rimane il fatto che la Turchia più silenziosamente attecchisca a livello sociale e culturale.» Continua... PAG. 18 • Turchi e russi non dominano ancora la Libia Pietro Figuera «Russia e Turchia, potenze che si percepiscono marginalizzate e che dunque agiscono da revisioniste, hanno trovato in Libia ampissimi spazi per un gioco che si fa sempre più largo e incerto. Per Mosca, la Libia è il secondo bersaglio della sua avventura mediterranea, dopo la Siria.» Continua...PAG. 22 2
E-BOOK L'influenza russa in Europa, tra realtà e percezione Tra gli svariati timori che ha suscitato il ritorno della Russia come potenza globale, quelli relativi alla sua influenza hanno assunto una rilevanza crescente, soprattutto in ambito europeo. Il nostro continente, infatti, ospita decine di partiti inquadrabili come "filorussi", spesso considerati alle dirette dipendenze del Cremlino anche a causa di alcuni finanziamenti sospetti. Ma sono tanti gli strumenti a disposizione della Russia: dalle forniture di gas (potenziale arma di ricatto) alle leve più suadenti del soft power (cultura, religione, sport, informazione), non mancano a Mosca le possibilità di far sentire la propria voce. Quel che occorre sapere è se vi è la volontà di farlo, ovvero se esiste una strategia perseguita coerentemente da Putin e dal suo entourage per portare gli europei (preferibilmente i governi, o a mali estremi anche solo i cittadini) dalla propria parte. Un interrogativo a cui cercherà di rispondere questo ebook, il primo pubblicato da Osservatorio Russia. Disponibile su Amazon- https://www.amazon.it/dp/B07RJNV536 Continua a Pag. 25 3
ANALISI Russia e Turchia, unite dall’Occidente Pietro Figuera "Battuta di caccia europea" - mappa satirica dell'Europa di inizio Novecento (© IWM (Art.IWM PST 6962)) Tante le rivalità storiche e attuali che dividono le due sponde del Mar Nero, ma tanti anche i punti in comune. Uno solo però è decisivo: l'isolamento dall'Europa (e dall'America). Così vicine e al tempo stesso così distanti. Russia e Turchia differiscono per storia, cultura e società; rappresentano due modelli contrapposti di civiltà (Europa cristiana vs Islam politico con ambizioni di Sultanato) che per secoli si sono confrontati, anche duramente, sui campi di battaglia; influenzano o aspirano alla guida degli stessi territori, dal Mediterraneo all'Asia Centrale. Ingredienti perfetti per uno scontro permanente. Eppure, sempre più spesso le due potenze vengono associate sui media e nel dibattito geopolitico, come se le attuali e limitate sponde di cooperazione potessero cancellare o anche solo compensare tutto il resto. 4
Tutto ciò è possibile per due ragioni, essenzialmente. La prima è data dalla contingenza del presente: non sbaglia chi vede nelle frequenti intese tra Mosca e Ankara – spesso "territoriali" e settoriali – lo spregiudicato tatticismo che è diventato quasi un marchio di fabbrica dei due presidentissimi. In altre parole, Putin ed Erdoğan sfruttano le mutevoli circostanze della realtà che li circonda (specialmente in Medio Oriente) per imporre il proprio gioco, sempre più spesso complementare e coordinato. Un assetto relativamente recente, messo alla prova nel conflitto siriano e ritentato (con minor successo finora, a dire il vero) in quello libico. La seconda ragione è più profonda, e scava sia nella storia dei rapporti reciproci che nella stessa identità geopolitica dei due vicini. Un’identità è bene subito precisare, forgiata dall'eterno dilemma dell'appartenenza euro-asiatica dei due Stati a tra(di)zione intercontinentale. In modo quasi inconscio, i due Paesi hanno fatto a gara per essere riconosciuti nel privilegiato club europeo, almeno da quando (XVIII secolo) l'appartenenza ad esso ha iniziato a significare essere alla testa del mondo, anche in senso di progresso scientifico e umano. Va da sé che l'Europa, per esclusivismo antropologico e opportunismo geopolitico, ha più volte frustrato tali ambizioni. Costringendo i due nemici, un tempo acerrimi, a vivere una simile condizione – e dunque a specchiarsi, primo fondamento per un'alleanza o per il reciproco rispetto. Ciò avvenne ad esempio nei primi anni Venti del Novecento. Mosca e Ankara si erano combattute strenuamente fino a pochissimi anni prima, durante la Prima guerra mondiale, e inoltre s'erano distanziate ideologicamente per i loro due nuovi regimi (Ataturk, leader della Repubblica Turca, era fortemente anticomunista e quindi sulla carta nemico di Lenin). Eppure, l'umiliante isolamento dall'Europa post-Versailles portò i due Paesi a parlarsi. Ataturk ricevuto presso l'Ambasciata sovietica di Ankara, 1927 Dinamiche che sembrano ripetersi, a cent'anni di distanza. Ecco infatti che, proprio al culmine della rivalità tra le due potenze – con l'abbattimento di un caccia russo, da parte della contraerea turca, nel novembre 2015 – Putin ed Erdoğan ritrovano il dialogo. Anche stavolta, il ramoscello d'ulivo è portato (involontariamente) dall'Europa: la mancata condanna del tentato golpe ad Ankara, unita al persistere delle sanzioni e delle tensioni con Mosca, sospinge ancor più di prima i due leader verso est, fino a incontrarsi e riconoscersi vittime delle stesse ostilità e preconcetti. 5
Buon viso a cattivo gioco, naturalmente. E non è tutto merito o colpa dell'Europa (o degli Stati Uniti). Russi e turchi si riconoscono in tante altre cose. A partire dal proprio passato imperiale, per restare nel campo della storia: la dimensione transfrontaliera delle proprie reti di lealtà locali, che per entrambi passano dall'Asia Centrale ai Balcani (convergenze pericolose), testimonia un'eredità territoriale e politico-culturale difficile a morire. Sia Mosca che Ankara, inoltre, soffrono di una discrepanza tra ruolo e rango che le porta a sfidare lo status quo, percepito come sfavorevole ai propri interessi. Entrambe lottano per una maggiore libertà d'azione (specie i turchi all'interno della NATO) e per il riconoscimento delle proprie sfere d'influenza, in Europa meridionale, Medio Oriente e Africa. E poco importa se queste ultime spesso si sovrappongono, rischiando di portare allo scontro i due Paesi. Il pericolo viene evitato con una politica di consultazioni sempre più fitta, che tra l'altro ha il vantaggio di mettere in guardia l'Occidente e porlo di fronte – se non al fatto compiuto – ai propri errori. In fin dei conti, si torna sempre lì: alle aspirazioni di riconoscimento da parte dell'Europa (principalmente per i turchi) e degli Stati Uniti (priorità per i russi). Oggi soffocate, o almeno coperte di rivalsa: troppi gli smacchi subiti e le delusioni di chi ha provato, senza mostrarlo troppo, a entrare nell'UE (Turchia) o nella NATO (Russia). Tentativi certamente insufficienti o comunque bruciati da alcune mosse improvvide (l'arretramento democratico ad Ankara e l'annessione della Crimea alla Federazione Russa, tra le altre cose). Ma che testimoniano una volontà di fondo di ancorarsi all'Occidente, nelle sue varie forme di aggregazione politica o militare, senza tuttavia perdere la propria identità e alterità. Missione impossibile: il senso di superiorità verso il mondo e quello di inferiorità verso l'Europa si amalgamano male, producendo effetti incomprensibili ai più. 6
Nemmeno il rinnovato, obbligato dialogo tra Russia e Turchia sembra poter costruire qualcosa di solido e duraturo. L'odore di tatticismo è arrivato persino oltreoceano, dove una Casa Bianca sempre più riluttante a intervenire nel Mediterraneo sembra aver implicitamente stabilito l'irrilevanza del dossier libico, e in parte di quello siriano (non così per la questione EastMed). A tranquillizzare gli americani su ogni ipotesi di alleanza stabile russo-turca non sono le considerazioni sulla preminenza dei rapporti con l'Occidente, all'interno delle due cancellerie – preminenza, come dicevamo, ormai molto offuscata. Gli Stati Uniti puntano invece sull'insostenibilità di un simile rapporto, sulla carta intralciato da troppi ostacoli: Siria, Libia, Egitto, Caucaso e Asia Centrale, senza contare l'eterna questione degli Stretti che tante guerre ha provocato fin dall'alba dell'età moderna. Con ogni evidenza, Washington ignora il potenziale dinamitardo delle proprie azioni. Ovvero non si rende conto di quanto sia stata capace, insieme all'Europa, di unire anche se tatticamente due "amici impossibili". Che pur di non soccombere sono disposti al ribaltamento degli schemi più consolidati e della propria storia (a cui tengono, com'è noto, tantissimo). Operazione non dissimile da quella in corso in Estremo Oriente, tra Mosca e Pechino: anche lì il perenne scontro tra l'Occidente e i russi sta portando a riavvicinamenti inusuali o illogici. Resta da comprendere quali frutti rimarranno, in seguito a questo avvicinamento – oltre a quelli avvelenati lanciati verso l'America e l'Europa, chiaramente. In parte, verrebbe da dire, dipenderà dalla durata del dialogo. Il tempo ricuce molte ferite, ma è anche vero che le divisioni non riguardano i postumi degli scontri russo-ottomani, bensì le odierne ambizioni sovrapposte. Niente affatto trascurabili: soltanto limitandoci agli ultimi giorni, certe incrinature non sembrano facilmente sanabili. Basilare, allora, un impegno lungimirante volto a chiarire i limiti dei propri raggi d'azione (se si vogliono raggiungere accordi duraturi, bisogna pur rinunciare a qualcosa) e a gettare le basi per qualcosa di meno superficiale e "scenico" – cioè studiato a tavolino per impressionare gli altri. Una sfida alla storia e a chi prescrive una rivalità eterna tra Turchia e Russia. Analisi pubblicata su Osservatorio Russia, 2 febbraio 2020 7
Il gas e il nucleare tra Mosca ed Ankara Mattia Baldoni La storia delle relazioni tra Federazione Russa e Turchia è relativamente recente, fatta non solo della forte intesa che vediamo, in generale, negli ultimi anni, ma anche di distanze, picchi di tensione, gelo totale tra Mosca e Ankara. Un rapporto a corrente alternata che, come ci indica la metafora, vede il principale slancio nello sviluppo nei rispettivi interessi nel settore energetico. La divisione del mondo in blocchi contrapposti azzerò praticamente ogni cooperazione. Con la Turchia, kemalista e anticomunista, avamposto della NATO nel Vicino Oriente e direttamente confinante con le tre RSS caucasiche, gli scambi si limitarono a pochi prestiti. La tensione con la Repubblica Popolare di Bulgaria, nata dalla "bulgarizzazione" forzata della minoranza turca, favorì inoltre il taglio netto con il mondo del socialismo reale. Sarà solamente nella seconda metà degli anni Ottanta che Ankara e Mosca torneranno in contatto, sotto il segno delle riforme e delle aperture di Gorbacëv. Tra il 1987 e il 1989 iniziarono i primi voli verso l'URSS, l'apertura di una linea di credito per Mosca e, soprattutto, il primo accordo intergovernativo per l'acquisto del gas sovietico, della durata di 25 anni. Dopo i mediocri anni Novanta, le relazioni russo-turche conobbero un nuovo, fortissimo sviluppo con l'ingresso nel nuovo millennio, grazie all'intesa tra le due nuove figure politiche destinate a reggere le sorti dei due Paesi per il successivo ventennio, Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan. Nel periodo 2001-2011, le esportazioni russe in Turchia sono passate da 3,4 a 24 miliardi $ (+700%) e una vasta gamma di progetti congiunti coinvolge società russe e turche in numerosi campi. Nel 2010, la Russia è diventata il secondo partner commerciale estero più importante per la Turchia, con un occhio di riguardo al mercato delle materie prime, che ha raggiunto un valore di 31 miliardi $ nel 2014. Proprio il settore 8
energetico continua a giocare un ruolo fondamentale, sia per la dimensione del mercato turco, sia per la strategica posizione di Ankara tra Oriente e Occidente, funzionale agli interessi russi nel Mediterraneo e in Medio Oriente. La sezione "Energia" rappresenta circa il 70% delle esportazioni russe in Turchia, andando a coprire oltre il 60% delle esigenze anatoliche. Vediamo dunque quali sono stati i principali traguardi della collaborazione russo-turca in campo energetico, e quali disegni si prospettano per il futuro. La politica dei gasdotti Il Bluestream Che il gas sarebbe stato il perno degli interessi di Russia e Turchia era ben chiaro sin dall'accordo turco-sovietico del 1987. Quello che, tuttavia, risultava meno chiaro era l'effettivo interesse di Ankara e il potenziale coinvolgimenti di altri fornitori, come l'adesione al progetto Nabucco sembrava presagire. Infatti, fino al 2004 le forniture russe per Ankara erano obbligate a transitare viaBalcani (TransBalk an Pipeline) o via Mar Nero, e i vari progetti bilaterali erano fermi sulla carta. Tra questi, figurava il BlueStream. Oggi, il gasdotto collega direttamente Russia e Turchia, posato sul fondo del Mar Nero dalla costa russa (stazione di compressione Beregovaya) fino a quella turca (terminal di Durusu), per poi proseguire da Samsun ad Ankara, per una lunghezza totale di 1213 km. La sua rapida costruzione, iniziata nel 2001, si inserisce nel quadro dell'accordo russo-turco del 1997, secondo il quale la Russia dovrebbe fornire 364,5 miliardi m3 di gas alla Turchia nel periodo 2000-2025. Il tratto off-shore era stato già completato nel maggio 2002 e le forniture di gas sono iniziate nel febbraio 2003. I costi di costruzione sono ammontati a 3,2 miliardi $, sotto la guida della società russo-italiana Blue Stream Pipeline Company B.V., joint-venture di Gazprom e Eni. Il contratto di fornitura con la parte turca è stato redatto secondo il principio di "take or pay" (nel caso in cui i volumi di approvvigionamento previsti non venissero raggiunti, la Turchia dovrebbe pagare per intero le quote previste). La capacità iniziale di 16 miliardi m3 di gas/anno è stata aumentata a 19 miliardi m3/anno nel 2014, a seguito della modernizzazione degli impianti di compressione e ricevimento. 9
Il TurkStream Ad avvinghiare ancora di più la Turchia (e non solo) al mercato energetico russo è il nuovo gasdotto TurkStream. Lungo 1.100 km, è costituito da due linee con una capacità totale di 31,5 miliardi di m³ di gas/anno. La prima linea è destinata alle forniture di gas ai consumatori turchi, mentre la seconda ai paesi dell'Europa meridionale e sud-orientale. Tra il 2017 e il 2019 è stata realizzata la sezione off-shore, segnando il record mondiale di velocità per la posa delle condutture, avanzando di 6,27 km al giorno. Nel 2019 è stata anche completata la costruzione del terminale di ricevimento in terra turca, a Kıyıköy. Costo totale dell'opera: 8 miliardi $. L'inaugurazione ufficiale è avvenuta l'8 gennaio 2020, presieduta da Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin, con la partecipazione anche del presidente serbo Aleksandr Vucic e del premier bulgaro Bojko Borisov. La rotta, infatti, si rivela strategica per il trasporto del gas russo che, attraversando il Mar Nero fino alla Turchia europea, può collegarsi alla rete dei Balcani e dell'Europa centrale, bypassando così Romania e Ucraina, certamente più ostili a Mosca e attraversate dal gasdotto TransBalkan. Infatti, già nel settembre 2019 è cominciata la costruzione del gasdotto BalkanStream (Bulgaria-Serbia-Ungheria), ad opera della società italo- saudita Arkad Engineering. Negli ultimi mesi, un'estensione ha consentito l'allaccio del sistema di trasmissione del gas bulgaro al TurkStream, mentre Gastrans, una joint-venture tra la società statale serba Serbiagas e Gazprom, ha completato la posa delle condotte dal confine tra Serbia e Bulgaria fino al confine con l'Ungheria. Sono stati inoltre effettuati i lavori per garantire l'approvvigionamento di gas attraverso l'esistente TransBalkan in direzione inversa, per cui Bulgaria e Romania sono pronte a ricevere gas via Turchia anziché dalla rotta ucraina. Un successo strategico per la Russia, che consolida nettamente il suo predominio energetico nel bacino del Mar Nero e nei Balcani; una prova di resilienza da parte della Turchia, che barcamenandosi tra passate ispirazioni europeiste ed il protagonismo attuale è riuscita a rimanere al centro della contesa superando il fallimento di progetti come Nabucco e SouthStream. Sempre più distante dall'UE, Ankara ha preso come riferimento Mosca e la stretta collaborazione con questa che si sa, in campo energetico, non tarda a trasformarsi in un'arma a doppio taglio. 10
L'aspirazione del nucleare Akkuyu La ricostruzione grafica della centrale nucleare di Akkuyu. (Fonte: NS Energy) Pur essendo il gas al centro della cooperazione energetica tra Russia e Turchia, nell'ultimo decennio i due Paesi hanno siglato accordi anche in altri settori, tra cui quello del nucleare. Con l'accordo del 9 maggio 2010, Mosca ed Ankara hanno concordato la costruzione della prima centrale nucleare turca, a scopo civile. L'impianto di Akkuyu, nella provincia di Mersin, è stato progettato per avere 4 reattori VVER1200, capaci di generare 4800 MW totali. Nel 2013, la società di costruzioni nucleari russa Atomstrojexport e la società di costruzioni turca Ozdogu hanno firmato il contratto di preparazione del sito, lavori che non si sono fermati nemmeno durante la forte tensione tra Russia e Turchia, causata dall'abbattimento turco dell'aereo russo Su- 24M il 24 novembre 2015, nei pressi del confine turco-siriano. Il finanziamento essenziale è fornito da Mosca, con il 93% dei fondi garantito da Rosatom, così come l'intero progetto è a firma russa: il progettista generale dell'impianto è Atomenergoproekt; l'appaltatore, come visto, è Atomstrojexport; la supervisione scientifica del spetta all'Istituto Kurčatov di Mosca. La cerimonia di inaugurazione della costruzione del primo reattore è avvenuta il 3 aprile 2018, alla presenza di Erdogan e Putin, e la sua consegna è prevista per il 2023; le altre tre unità dovrebbero essere pronte per il 2025. Nonostante l'importanza, reale e di facciata, del progetto, non sono pochi i suoi detrattori, così come le criticità sollevate da ambo le parti. 11
Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan alla cerimonia di lancio della costruzione del primo reattore della centrale nucleare di Akkuyu, 3 aprile 2018 In Russia, ad esempio, sono in molti a vedere l'eccessiva dispendiosità del progetto (circa 22 miliardi $), soprattutto in un periodo in cui Mosca deve fare i conti con performance economiche non proprio esaltanti. Secondo Institut problemyenergetiki, l'investimento russo deve far fronte: • all'assenza di obblighi finanziari per la Turchia, con conseguente alta probabilità che tutte le spese, di cui oltre la metà è gestita da appaltatori turchi, saranno pagate dal bilancio russo; • i dubbi sull'effettiva domanda di elettricità dalle centrali nucleari, poiché la stazione si trova vicino alla zona di villeggiatura di Antalya, dove non ci sono grandi imprese industriali; • la formazione gratuita e qualitativamente discutibile fornita agli operatori turchi per la gestione di centrali nucleari; • il prezzo dell'elettricità è stato fissato per 25 anni, escludendo l'inflazione del dollaro, l'aumento dei prezzi mondiali dell'elettricità e le variazioni del tasso di cambio; • l'assenza di un divieto di nazionalizzazione delle centrali nucleari, in casi di forza maggiore; • la società del progetto ha ricevuto un prestito senza interessi per la costruzione, fatto che non ha precedenti nella pratica di contratti di investimento internazionali a lungo termine. Da Ankara, le principali critiche riguardano il prezzo fissato per l'acquisto di energia elettrica per i primi 15 anni a 0,12$/kWh, due volte più alto del prezzo concordato tra Russia ed Egitto per il progetto della centrale nucleare di El Dabaa. A questa cifra, la TurkishElectricity Trade and Contract Corporation (TETAS) ha già 12
garantito l'acquisto del 70% di energia generata dalle prime due unità e del 30% dalla terza e quarta. Preoccupazione desta anche la rilevante sismicità della penisola anatolica. Nonostante la costruzione proceda tra dubbi e rallentamenti, la Turchia ha recentemente annullato un accordo con un consorzio a guida giapponese per costruire una seconda centrale nucleare a Sinop, nel nord della Turchia, lungo la costa del Mar Nero. Il ministro turco dell'Energia, Fatih Donmez, ha affermato che i risultati degli studi di fattibilità condotti dal giapponese Mitsubishi Heavy Industries (MHI) non hanno soddisfatto le aspettative del ministero in merito alla data di completamento e ai prezzi, ma non ha escluso che "la costruzione della centrale nucleare di Sinop avvenga con un altro partner". Che la Russia sia dietro l'angolo? Come si vede, oltre ai successi riportati, che hanno sicuramente consolidato i rapporti tra Russia e Turchia, si celano anche numerose incognite, principalmente legate alla tenuta e alla sostenibilità delle politiche dei due governi, decisi ad affermare la propria presenza nelle rispettive aree di influenza. La fattibilità politica dei progetti futuri dipenderà molto dalla reciproca affidabilità in termini economici e finanziari, nonché militari, con Mosca ha già insinuato i suoi armamenti nella NATO, vendendo gli S-400 ad Ankara. Erdogan, tuttavia, tentando di ritagliarsi un crescente ruolo da protagonista nello scenario internazionale, non sembra avere i mezzi per far seguito alla sua propaganda su Siria, Libia, Cipro e Mediterraneo orientale, e tra le recenti svalutazioni della lira turca, qualche sconfitta elettorale e promesse non mantenute, la resilienza del passato sembra sempre più a rischio. Analisi pubblicata su Osservatorio Russia, 24 gennaio 2020 13
Siria - le precarie affinità russo-turche Alessandro Balduzzi Nelle ultime settimane, lo sguardo dei media - italiani in particolar modo - si è concentrato sul ginepraio libico e sul topolino partorito dalla montagna della Conferenza di Berlino. Il Nord Africa ha fagocitato l'attenzione dei più e nel Medio Oriente in balia di vaticini di terza guerra mondiale conseguenti l'uccisione del generale Qasem Soleimani è passato in secondo piano l'avanzamento del conflitto siriano. Se l'etichetta di guerra civile è desueta perlomeno dall'intervento di Mosca nel 2015, la crisi siriana è ora quanto mai internazionalizzata, seppur con la tendenza alla progressiva concentrazione delle sorti del paese nelle mani di un solo attore esterno, il Cremlino artefice di una pax russa in via di consolidamento. Se è la Federazione a detenere saldamente il timone della crisi guidando la nave siriana verso l'affermazione irreversibile della vittoria sul campo da parte del governo damasceno di Bashar al Asad, il principale interlocutore è la Turchia. Lo è stata in special modo nell'ottobre scorso, quando Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan hanno negoziato a Sochi un accordo sulla Siria nord-orientale, obiettivo dell'offensiva turca "Sorgente di pace" avviata dopo l'annuncio trumpiano - l'ennesimo - di ritirata delle forze statunitensi dalle zone sotto controllo curdo. Allora si decise il mantenimento della fascia di circa 150 chilometri di lunghezza per 32 di profondità compresa tra Tel Abyad e Ras Al Ayn conquistata dalle truppe turche come parte di una più ampia zona di sicurezza auspicata da Ankara lungo il confine turco-siriano. Oggetto dell'accordo anche l'ingresso delle truppe di Mosca e di Damasco nei territori siriani lungo il confine al fine di facilitare la rimozione di elementi delle Unità di protezione popolare (Ypg) curde e delle armi di queste ultime (misura questa applicata anche per Manbij e Tel Rifaat). Infine, l'organizzazione di pattugliamenti congiunti russo-turchi a est e ovest dell'area dell'Operazione "Sorgente di Pace". 14
Al di là dei dettagli tecnici relativi all'attuazione, l'accordo di Sochi ha sancito una prima convergenza d'intenti tra Russia e Turchia intorno alla Siria. Mentre il Nord-Ovest controllato da forze dell'opposizione a Bashar al Asad vede Mosca e Ankara su fronti opposti (benché la situazione in tale contesto sia ben lungi dall'essere statica, come vedremo oltre), le aree a est dell'Eufrate hanno permesso di approdare a un compromesso apparentemente win-win. La situazione in Siria ad inizio 2020. Da notare le aree celesti. le zone cuscinetto controllate dalla Turchia. Fonte: Al Masdar Il gioco a somma zero tra turchi e russi è stato infatti accantonato per lasciare spazio a una coalizione contro il comune nemico curdo. Quest'ultimo e il progetto di autonomia promosso dal Partito dell'unione democratica (Pyd) e dal suo braccio armato - l'Ypg - sono infatti gli sconfitti certi di questo allineamento. Per Mosca, i disegni curdi rappresentano il maggior ostacolo all'integrità territoriale siriana e all'investitura effettiva della "delfina" Damasco a vincitrice; una minaccia ancora maggiore dell'opposizione e dei qaidisti del Nord Ovest in quanto forte di un sostegno internazionale solido e diffuso. Per Ankara, i curdi ritenuti espressione di un'organizzazione terrorista, il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), sono una spada di Damocle sui propri confini suscettibile - benché più nella retorica pancurda che nei fatti - di unire i fratelli curdi negli altri paesi (Turchia inclusa) in una lotta congiunta per la propria autodeterminazione in chiave statuale. Se alla convergenza tra anti-curdismo turco e "assadismo" russo andiamo poi ad aggiungere il ripiegamento delle forze americane rimaste verso il confine iracheno e quindi verso le mosse delle milizie sciite in fibrillazione dopo la morte di Soleimani, il ritorno di fiamma dello Stato Islamico sotto forma di attacchi di mine vaganti e potenziali miliziani in formazione nel campo di al Hol, così come l'ostilità delle tribù arabe, si finisce per completare un quadro desolante per il futuro dei curdi. 15
La preminenza russa sullo scenario siriano ha trovato un palcoscenico importante durante la visita di Putin a Damasco lo scorso 7 gennaio. Il fatto che l'incontro tra i due non si sia svolto al palazzo presidenziale di Asad, bensì al quartier generale delle forze russe nella capitale ha fatto ironicamente insinuare a qualche osservatore che sia stato il presidente russo a invitare l'omologo siriano nella "sua" capitale piuttosto che il contrario. L'arrivo di Putin a Damasco per la prima volta dal 2011 ha voluto lanciare un messaggio chiaro soprattutto al secondo alleato più importante del regime siriano, l'Iran. A cinque giorni dall'uccisione di Soleimani, principale artefice sia dell'intervento russo che delle operazioni iraniane in Siria, il messaggio putiniano appare piuttosto chiaro: a decidere a Damasco siamo noi, e la Repubblica islamica, orfana del comandante delle Forze al Qods e infiacchita ulteriormente dall'incombere di nuove sanzioni da Washington, non deve neppure pensare di puntare ai residui uomini statunitensi nell'est siriano come a vittime di ritorsioni. Un ritorno in gran spolvero dell'impegno militare a stelle e strisce a est dell'Eufrate infliggerebbe un colpo quasi esiziale al disegno di ricomposizione della Siria targato Mosca e Damasco. Un assenso al ruolo della Russia come deus ex machina foriero di pace sembrava essersi ulteriormente consolidato il giorno seguente. L'8 gennaio, infatti, a Mosca si sono incontrati sotto gli auspici del Cremlino i capi dei servizi d'intelligence siriani e turchi. Malgrado i dettagli dell'abboccamento non siano trapelati, il vertice della sicurezza di Damasco Ali Mamluk avrebbe chiesto all'omologo di Ankara il riconoscimento dell'integrità territoriale siriana da parte turca, il ritiro delle truppe turche dalla Siria e l'eliminazione delle "cellule terroriste" dal governatorato di Idlib. Sarebbe stato inoltre oggetto di discussione una cooperazione turco-siriana nella lotta contro le forze curde. Insomma, l'impressione era quella di una Turchia che va a Mosca come a Canossa, dal capo cosparso di cenere e disposta ad aderire ai disegni russi. Questi ultimi, tuttavia, si stanno decidendo nel governatorato di Idlib, nel Nord-Ovest controllato da jihadisti e forze dell'opposizione sostenute proprio da Ankara. Nei giorni scorsi, il regime di Bashar al Asad ha conseguito i maggiori successi militari nell'area dal 2014 a oggi, tra l'altro riuscendo a riconquistare il tratto 16
dell'autostrada M5 tra Maarrat al Numaan e Khan Shaykhun. Violando il cessate il fuoco negoziato il 12 gennaio scorso tra Russia e Turchia, la violenta offensiva sulla regione di Idlib a suon di aerei da guerra russi e droni iraniani è infatti indicativa della determinazione del fronte damasceno di non scendere a patti con Ankara quando ad andare di mezzo è l'integrità territoriale siriana. Dal suo canto, neppure la Turchia è intenzionata a retrocedere, avendo annunciato di replicare a qualsiasi attacco governativo siriano contro le sue postazioni d'osservazione nell'area. Putin si trova quindi impigliato in un intrico di alleanze ispirate a un multipolarismo a doppio taglio: la continuazione degli attacchi sul Nord Ovest potrebbe da una parte costituire l'ultimo - sanguinoso - passo verso la riunificazione siriana sotto il controllo dell'amico Asad e dall'altra dissotterrare l'ascia della guerra con l'amico-nemico turco, compagno tra l'altro di fondamentali sorti energetiche (si veda la recente inaugurazione del gasdotto Turkish Stream). E al di là della barricata, tra l'altro, sull'incancrenito scacchiere libico. Analisi pubblicata su Osservatorio Russia, 29 gennaio 2020 17
Influenza russa vs Panturchismo: in Asia centrale la partita decisiva Giulia Baiutti Mosca e Ankara cooperano e rivaleggiano anche nelle repubbliche centroasiatiche, dove però inizia ad affacciarsi anche un terzo incomodo, la Cina. Negli ultimi dieci anni le relazioni tra Russia e Turchia hanno rappresentato un caso intrigante dal punto di vista geopolitico e non, tra cooperazione e tensioni - queste ultime culminate in casi eclatanti come l'abbattimento da parte turca di un bombardiere russo SU-24 nel 2015. Ma osservare tali rapporti solo nei contesti geopolitici più controversi e popolari potrebbe impedire di cogliere le sfumature – o forse addirittura la vera natura – di un simile incontro/scontro. In tal senso, l'Asia Centrale rappresenta l'arena più interessante dove le due potenze vedono un'altra volta i loro interessi intersecarsi e contrapporsi. Proprio qui infatti le retoriche di Russia e Turchia devono dimostrarsi sufficientemente solide da riuscire a conquistare gli "-Stan" post-sovietici. Nel XIII secolo le orde mongole si espandevano a macchia d'olio tra le vaste distese del continente eurasiatico, conquistando e stabilendosi negli attuali territori dell'Asia centrale, e giungendo fino alle rive del Mediterraneo turco. Circa ottocento anni dopo la Turchia, affidandosi quasi ad un ideale filo di Arianna, ripercorre la rotta a ritroso, tentando di consolidare i rapporti culturali, politici ed economici con quelli che ormai sono Stati sovrani. Ma riallacciare i rapporti sulle note di una comune origine non si sta rivelando una scelta fruttuosa, dal momento che la Russia può vantare un passato ben più vivido nella memoria di questi Paesi. Mosca parte quindi con un'influenza geopolitica decisamente più rilevante della Turchia. È necessario tenere a mente che comunque, stando alle dichiarazioni ufficiali dei rispettivi governi, in questo 18 complicato gioco di equilibri Russia e Turchia non sono in opposizione l'una all'altra. Per questo motivo la
sfida assume toni più distesi, e per riuscire a carpire il livello di vantaggio di Russia o Turchia nella regione è necessario osservare le rispettive relazioni bilaterali con i singoli Stati dell'Asia Centrale, le cui strategie sono estremamente fluide e non sembrano favorire mai completamente né l'una né l'altra potenza. Consiglio di cooperazione fra i Paesi di lingua turca (TurkicCouncil). In verde chiaro i Paesi membri (Turchia, Azerbaijan, Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan), in scuro i membri osservatori (Turkmenistan, Ungheria) La regione centroasiatica è caratterizzata da fragili equilibri che assicurano le relazioni tra le singole potenze locali e interlocutori esterni, e più volte nella storia è stato dimostrato come solo chi non manifesta apertamente la volontà di voler minare questo equilibrio riesce in qualche modo ad inserirsi stabilmente in questo confuso concerto di Stati. Russia e Turchia sembrano esserne consapevoli e giocano la loro partita compensando le carenze dell'altra quando possibile. Ed è in quest'ottica della "compensazione" che si possono interpretare i rapporti nelle varie sfere di cooperazione che Russia e Turchia intrattengono con i Paesi dell'Asia centrale. Come anticipato, la Russia parte avvantaggiata in moltissimi settori, tra cui quello economico e quello energetico. È noto come Mosca sia riuscita a mantenere un rapporto con il Kazakistan quasi simbiotico (anche grazie alla massiccia percentuale russa nella popolazione del Paese); relazione che nessuna delle due controparti ha finora ufficialmente deciso di ridurre. I rapporti con il Turkmenistan, dopo essere stati congelati per tre anni (il Paese infatti si era rifiutato di vendere gas alla Russia, lasciando così la Cina come unico compratore), si sono sbloccati; mentre l'Uzbekistan del presidente Mirziyoyev non poteva escludere la Russia nella sua rinnovata politica d'apertura ai commerci esteri (come dimostrato dai numerosi accordi per costruire una centrale nucleare in Uzbekistan a spese russe). Ma se la Russia occupa una posizione di maggiore rilevanza nei settori che da sempre attraggono l'attenzione della zona – economia ed energia – rimane il fatto che la Turchia più silenziosamente attecchisca a livello sociale e culturale. Ed è soprattutto nel grande escluso di sempre, il Kirghizistan, che la presenza turca cresce rigogliosa: scuole, moschee, progetti culturali e linguistici, la costruzione dell'università di 19 Narin: il tutto interamente finanziato dalla Turchia ad uso del popolo kirghiso. Parrebbe che laddove la
Russia conduca delle relazioni di carattere puramente diplomatico, piuttosto che di un vantaggio concreto, la Turchia abbia trovato la porta d'accesso alla regione centroasiatica. Ad oggi però, il Paese di Erdoğan non riesce a spingersi più in là dell'uscio, dal momento che i rapporti con i restanti Stati turcofoni non vanno espandendosi ad un ritmo rilevante. Ma alla domanda se sia effettivamente sensato per la Turchia seguitare ad investire nell'area, la risposta è sì, decisamente: la Turchia infatti è il quarto esportatore per l'Uzbekistan, e tra i primi dieci per il Kazakistan. Inoltre, i prodotti di fattura turca in questi Paesi sono generalmente ritenuti molto pregiati e in particolare abiti e cosmetici fanno concorrenza a quelli cinesi. Se a ciò si aggiunge la volontà dei Paesi della regione di trovare nuovi investimenti che vadano ben oltre il loro partner storico – la Russia – la Turchia ha tutte le chances per diventare una solida presenza commerciale in tutti i Paesi centroasiatici. Rimane aperta ovviamente la questione turkmena, che come menzionato non ha lasciato illesa nemmeno la Russia; essendo però un Paese molto peculiare per quanto riguarda le relazioni esterne, si può credere che il Turkmenistan possa non rappresentare l'ago della bilancia nella partita tra questi due Paesi. Sebbene l'analisi dei rapporti bilaterali tra le grandi potenze e gli stati dell'Asia centrale sia un terreno che si presta più facilmente a varie speculazioni, sul piano multilaterale la questione è altrettanto interessante: in questo frangente infatti Russia e Turchia sono in parità, non riuscendo entrambe a creare un sistema che permetta agli Stati della regione di interagire in concerto e di svilupparsi in maniera fruttuosa. La Russia ha all'attivo molte più organizzazioni in confronto al solo concilio turco – SCO, CIS, CSTO per menzionarne alcune – ma quantità non significa in questo caso qualità: la leggerezza degli Stati centroasiatici dentro questi gruppi, infatti, sta dimostrando come essi stiano diventando sempre più vuoti e, per certi versi, inutili. 20
Possiamo dedurre quindi che sebbene la Russia sia un partner ben radicato nel territorio e che la Turchia debba guadagnarsi una fiducia che la sola affiliazione storica sembra non garantirle, la situazione rimane in stallo e nessuna delle due potenze sembra essere riuscita nell'intento – presupponendo che questo sia l'assicurarsi la fetta più grossa di progetti e mercati. E quindi… tra i due litiganti il terzo gode? La Cina alle stucchevoli retoriche di legami passati ha preferito allettare le potenze centroasiatiche con del freddo pragmatismo economico, con buona pace di Turchia e Russia, le quali si sono accodate alla scia rivoluzionaria della Belt and Road Initiative. Va inoltre considerato il fattore regionale: Paesi con necessità e storie di sviluppo differenti portate a convivere in uno spazio così ristretto devono trovare un denominatore comune che li spinga ad interagire in un frangente di volontario dialogo reciproco, così da superare diatribe regionali che paralizzano uno sviluppo potenzialmente enorme dell'area. Ed è proprio trovando uno stimolo concreto alla collaborazione comune capace di ammortizzare i problemi regionali che Russia o Turchia potrebbero guadagnarsi un ruolo dominante in Asia Centrale. Ma questa per ora rimane solo un'ipotesi remota. Analisi pubblicata su Osservatorio Russia, 1 febbraio 2020 21
Turchi e russi non dominano ancora la Libia Pietro Figuera Lo schema sperimentato su altri fronti non funziona bene in Libia, a causa di investimenti tardivi e non troppo ingenti. Mosca e Ankara fingono di spartirsi l'ex colonia italiana per l'assenza di altri grandi protagonisti visibili. Il Nordafrica è il ventre molle del Mediterraneo. Instabile e privo di una leadership, anche esterna, che lo guidi, è oggetto di mire nemmeno troppo velate che puntano a controllarlo, o almeno a influenzarlo in modo decisivo. In palio, due ricchi premi: la spartizione del bottino energetico, principale risorsa terrestre e marittima delle sponde nordafricane, e il controllo del quadrante sud del Mediterraneo, trampolino di lancio verso l'Europa meridionale. Di questo ventre, la Libia è notoriamente il fianco più scoperto. Entrarvi oggi è facile – soprattutto se si promette un appoggio determinante ai due maggiori contendenti del Paese, il "cirenaico" Haftar e il "tripolino" Serraj. Meno facile, come vedremo, elaborare una strategia per ristabilirvi l'ordine. O anche solo restarvi influenti. Russia e Turchia, potenze che si percepiscono marginalizzate e che dunque agiscono da revisioniste, hanno trovato in Libia ampissimi spazi per un gioco che si fa sempre più largo e incerto. Per Mosca, la Libia è il secondo bersaglio della sua nuova avventura mediterranea, dopo la Siria. Un traguardo di ampia portata simbolica: proprio sulla questione libica, nel 2011, aveva cominciato a incrinarsi il rapporto tra l'ex presidente Medvedev e i leader occidentali, rei di aver estromesso Gheddafi attraverso una "no-fly zone" estesa poi oltre misura. Da lì in poi, la politica russa in Medio Oriente cominciò a cambiare, con 22 gli effetti che si sono ben visti in Siria. Ma al di là dei simboli, a contare per Mosca sono i fatti. Ovvero
il potenziale energetico libico (parlando solo di petrolio, si stima che abbia il 38% del totale delle riserve africane) e la possibilità dell'apertura di una seconda base navale nel Mediterraneo, nella Cirenaica oggi controllata da Haftar. Con una sua partecipazione attiva alla disputa libica, la Russia può inserirsi nei delicati equilibri energetici che in ultima istanza governano la sua stessa economia da esportazione. E può naturalmente dimostrare che il suo interessamento al Mediterraneo non è un incidente della storia. La Libia ha un importante significato anche per la Turchia. Dopo averla persa poco più di un secolo fa, per mano degli italiani, i turchi hanno sempre osservato con una certa attenzione gli eventi nella sponda sud. L'affiliazione di Serraj (o meglio, di alcune milizie che lo sostengono) alla Fratellanza Musulmana ha rappresentato un forte richiamo per l'islam politico di Erdoğan e del suo AKP. O meglio, l'alibi perfetto per intervenire: anche ad Ankara la geopolitica finisce per prevalere sull'ideologia, e il supporto al leader tripolino dato da tutti per perdente origina da ben altre valutazioni. Gli accordi di fine dicembre per la delimitazione delle Zone Economiche Esclusive, stipulati tra Erdoğan e Serraj tra vive proteste internazionali (in primis della Grecia, che ha espulso l'ambasciatore libico), hanno permesso ad Ankara di avvicinarsi a due obiettivi. In primo luogo quello di tagliare le gambe al gasdotto EastMed tra Israele, Cipro, Grecia e Italia, minaccia strategica che i turchi non possono permettersi. In secondo luogo, la possibilità di "riprendere il mare" dopo almeno un secolo di esclusione imposta. Non solo Creta e Cipro, ma persino la piccola isola greca di Kastellorizo (l'ex italiana Castelrosso), situata a meno di tre chilometri (!) dalle sponde turche sul Mediterraneo, impedisce ad Ankara di proiettarsi come vorrebbe verso il largo, almeno in termini di demarcazione dei confini marittimi. Con una sua partecipazione attiva alla disputa libica, la Russia può inserirsi nei delicati equilibri energetici che in ultima istanza governano la sua stessa economia da esportazione. E può naturalmente dimostrare che il suo interessamento al Mediterraneo non è un incidente della storia. La Libia dunque per Mosca e Ankara è un'insperata sponda di penetrazione, ben più a ovest di quanto in tempi normali avrebbero potuto desiderare. Un'opportunità colta però tardivamente, almeno dai turchi, che rischiano di perdere il proprio "uomo", Serraj, proprio nel momento di maggior esposizione. Più accorti i russi, presenti ormai da anni in Libia con un discreto contingente delle milizie mercenarie Wagner (in supporto di Haftar), e al tempo stesso vestiti da diplomatici per non perdere gli essenziali contatti con la fazione tripolina di Serraj. Anch'essi, tuttavia, rischiano grosso. Haftar non si è legato mani e piedi a Mosca, ma gioca ancora su più tavoli, da Parigi ad Abu Dhabi. Distinguendosi in ciò nettamente dall'altro protetto dei russi, il presidente siriano Assad. Più volte citata come una nuova Siria, la Libia in realtà fa storia a sé. Anche nel tentativo di riproporre lo schema russo-turco. La conferenza di Mosca, affrettata prova di dialogo che voleva sancire il successo dell'iniziativa diplomatica russa, si è rivelata un flop non solo per il "gran rifiuto" di Haftar di firmare l'accordo, ma anche per l'incessante opera di logoramento dei turchi. Alle loro spalle, poi, altre diplomazie erano già al lavoro per rimpiazzare – almeno a livello d'immagine – il breve predominio di Mosca e Ankara sulla scena. Niente a che vedere con la "comoda" spartizione del Vicino Oriente. Russia e Turchia sono state abili a riempire in poche settimane, tra dicembre e gennaio, i vuoti lasciati incautamente dagli altri (Italia e Francia in primis): Mosca, soprattutto, è ormai specialista nella disciplina. Tuttavia, il non aver investito a tempo e in misura debita sugli attori libici (né russi né turchi hanno voluto – o potuto – inserire l'ex colonia italiana tra le priorità della propria politica estera) sta già presentando il conto. 23
La conferenza di Berlino non ha raggiunto grandi risultati, ma ha riaperto un teatro dove non è facile stabilire chi sono i burattini e chi i burattinai. Almeno in quella Cirenaica su cui quasi tutti sembrano puntare e che invece, fino ad ora, ha ridimensionato le aspettative sulla propria forza. Per russi e turchi, la sfida sarà quella di non perdere troppo terreno dopo essersi esposte massicciamente e tardivamente. Pena la perdita di quel prestigio acquisito su tutti gli altri tavoli diplomatici. Analisi pubblicata su Osservatorio Russia, 4 febbraio 2020 24
E-BOOK L'influenza russa in Europa, tra realtà e percezione Che cos’è L'influenza russa in Europa, tra realtà e percezione? Sono 150 pagine di saggi, analisi e interviste, firmate da alcuni degli autori della redazione di Osservatorio Russia. L’obiettivo che si sono posti è stato fin dall’inizio ambizioso ed avvincente: parlare del russkijmir (mondo russo, ndr) oltre qualsiasi stereotipo o preconcetto, oltre ogni retorica, faziosità o narrativa partigiana che, soprattutto oggi, affollala scarsa letteratura sull’argomento. Nasce così questo volume, che vuole delineare a 360° il tipo di relazione che intercorre tra Mosca e l’Europa, le sue numerose sfaccettature e declinazioni, per arrivare infine a dibattere ed argomentare il significato stesso del titolo: esiste o meno questa influenza russa in Europa? Ci sono segnali concreti o strategie che la orientano, oppure è un’enorme e fumosa macchina del fango, che alimenta essenzialmente una propaganda avversa, ma infondata? Disponibile su Amazon- https://www.amazon.it/dp/B07RJNV536 25
Dossier – Lo Zar e il Sultano Osservatorio Russia – 1/2020 Dossier di approfondimento a cura di Osservatorio Russia Direttore Pietro Figuera Redattore Capo Mattia Baldoni Hanno contribuito a questo numero gli autori: (in ordine alfabetico) Baiutti Giulia Baldoni Mattia Balduzzi Alessandro Figuera Pietro Un ringraziamento a tutti i nostri sostenitori, agli appassionati, ai collaboratori e a quanti contribuiscono a portare avanti ogni giorno il nostro progetto. La Redazione 26
Puoi anche leggere